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CAPITOLO I ELEMENTI DI LOGICA La Logica si interessa alle

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CAPITOLO I ELEMENTI DI LOGICA La Logica si interessa alle
CAPITOLO I
ELEMENTI DI LOGICA
La Logica si interessa alle
proposizioni
intese come
enunciati di senso compiuto riferibili a degli oggetti definiti.
Una proposizione può essere
o vera oppure falsa
le due circostanze escludendosi a vicenda
e , inoltre ,
non essendoci per una proposizione p
alcuna possibilità che essa possa risultare né vera , né falsa
assioma logico conosciuto da sempre come
principio del terzo escluso
Si conviene di assegnare a ogni proposizione p un “ valore logico “ :
se p è vera , il suo valore logico è 1;
se p è falsa , il suo valore logico è 0;
Date una , o più , proposizioni , se ne possono costruire delle altre definendone
il pertinente valore logico .
1
Esempio 1.1). Data una proposizione p , con il simbolo
p
che si legge “ non p “ , si intende la proposizione detta anche
la negazione di p
avente il valore logico definito secondo lo schema seguente :
p
p
1
0
0
1
a parole si può affermare che
se p è vera , allora p è falsa
e che , viceversa ,
se p è falsa , allora p è vera
Esempio 1.2). Date le proposizioni
p
e
q
si indica con il simbolo
p∧q
che si legge “p e q ” , o anche “p et q ” , la proposizione il cui valore logico
è definito dal seguente schema
2
•
p
q
p∧q
1
1
0
0
1
0
0
1
1
0
0
0
a parole si può affermare che
p ∧ q è vera soltanto nel caso che sia p che q risultano vere
in ogni altro caso p ∧ q risulta falsa .
Si osservi che la proposizione
p∧p
è vera se p è vera , mentre è falsa se p è falsa
Esempio 1.3). Date le proposizioni
p e q
si indica con il simbolo
p∨q
che si legge “p o q “ , o anche “p vel q “ , la proposizione il cui valore logico
è definito secondo il seguente schema
p
q
1
1
0
0
1
0
0
1
p∨q
1
1
0
1
3
a parole si può affermare che
p ∨ q è vera esattamente quando almeno una fra p e q risulta vera
mentre
p ∨ q è falsa soltanto quando sia p che q risultano entrambe false
Si osservi che , come la p ∧ p , anche la proposizione
p∨p
è vera se p è vera , mentre è falsa se p è falsa
Esempio 1.4). Date le proposizioni
p e q
si indica con il simbolo
p ⇒ q
che si legge “p implica q “ , la proposizione il cui valore logico è defi
nito dal seguente schema
p
q
1
0
0
1
1
1
0
0
p⇒q
1
1
1
0
pertanto si ha che
4
p ⇒ q risulta vera esattamente quando si verifica uno dei seguenti casi :
1) p è vera ed è vera anche q ;
2) p è falsa e q è vera ;
3) p è falsa e q è falsa ;
D’altra parte
p ⇒ q risulta falsa quando p è vera e q è falsa
Si osservi che la proposizione
p ⇒ p è vera qualunque sia la proposizione p
Definizione 1.1) . Le proposizioni
p
e
q
si dicono
logicamente equivalenti
e si usa , per indicare tale fatto , il simbolo
p ⇔ q , o anche p ∼ q ,
quando risulta vera la proposizione seguente
p ⇒ q ∧ q ⇒ q
E’ importante osservare che , in vista della definizione di implicazione,
p e q sono (logicamente) equivalenti esattamente quando
p e q sono entrambe vere , oppure sono entrambe false
5
E’ assai utile , a questo punto , acquisire il seguente risultato :
Proposizione 1.1) . Date due proposizioni qualsiansi
p
q
e
vale la seguente equivalenza logica
q ⇒ p
p ⇒q ∼
Dimostrazione. Per dimostrare questo importante fatto , si costruisce la
tabella logica relativa alle due proposizioni
p ⇒ q
q ⇒ p
e
per constatare che esse hanno lo stesso valore logico per ogni scelta di
p e q
Vediamo:
p
q
p
q
p ⇒ q
q ⇒ p
1
0
0
1
1
1
0
0
0
1
1
0
0
0
1
1
1
1
1
0
1
1
1
0
La situazione posta in rilievo dalla tabella precedente è che
l’implicazione (p ⇒ q ) ⇒ ( q ⇒ p ) è sempre vera
e che
l’implicazione ( q ⇒ p ) ⇒ ( p ⇒ q ) è sempre vera
6
donde la conclusione (v. def. di proposizioni equivalenti) . C.V.D.
Osservazione importante 1.1) . L’equivalenza logica delle due implicazioni
p ⇒q
e
q ⇒ p
è alla base delle cosiddette
dimostrazioni per assurdo
che in Matematica ricorrono molto spesso .
Precisamente :
se ci si propone di dimostrare la verità dell’ implicazione p ⇒ q ,
si può ottenere lo scopo provando la verità dell’ implicazione q ⇒ p :
infatti , come sopra si è visto , essendo
l’implicazione ( q ⇒ p ) ⇒ (p ⇒ q ) sempre vera
la verità dell’implicazione q ⇒ p comporta la verità della p ⇒ q .
C.V.D.
7
CAPITOLO II
ELEMENTI DI TEORIA DEGLI INSIEMI
La nozione di
insieme
e’ considerata come primitiva , così come quella , ad essa direttamente
collegata , di
elemento appartenente ad un insieme.
Se x è un elemento dell’insieme E , per significare tale fatto si usa il simbolo
x∈E
In generale un insieme E viene definito assegnando una certa
proprietà che sia soddisfatta da tutti e soli i suoi elementi :
tale proprietà sarà formulata tramite una opportuna
proposizione p
la quale , se riferita ad un oggetto x , si suole indicare con il simbolo
p(x)
sicchè varrà l’equivalenza logica seguente
x ∈ E ⇔ p(x) risulta vera :
usualmente una proposizione di questo tipo viene essa stessa denominata
proprietà caratteristica dell’insieme E
8
essendo ovvio che
due proprietà logicamente equivalenti
risulteranno proprietà caratteristiche dello stesso insieme.
Esempio 1.2). Se p è la proprietà di
essere un numero intero positivo pari
allora si ha che
p(2) , p(112) , p(23478) risultano vere ,
mentre
p(−4) , p(7) , p( 2 ) , p( 2 ) , p(π) risultano false .
3
Esempio 2.2). Se p è la proprietà di
essere un quadrilatero piano convesso con le diagonali fra loro ortogonali
allora
p(x) è vera per ogni rombo , in particolare per un quadrato ,
mentre
p(x) è falsa per ogni rettangolo che non sia un quadrato.
E’ ovvio che l’affermazione
p(x) è vera per ogni rombo , in particolare per un quadrato ,
non esclude affatto che p(x) possa essere vera anche
per infiniti altri quadrilateri
come il dimostra l’esempio grafico n° 1 .
9
Definizione 1.2). Dati gli insiemi
A
,
B
si dice che
A è un sottoinsieme di B , o che A è incluso in B ,
oppure anche che
B è sopransieme di A , o che B include A ,
e si usa per indicare in breve tale circostanza il simbolo
A ⊆ B
se vale la seguente implicazione
x∈A ⇒ x∈B
a parole :
A è sottoinsieme di B se ogni elemento di A è anche elemento di B
Può ben darsi , con tale definizione, che risulti A = B : perciò , se si ha , invece,
che A è sottoinsieme di B , ma che A ≠ B , si
si dirà che
A è sottoinsieme proprio di B
e si adotterà in tal caso il simbolo
A⊂B
E’ evidente che varrà l’importante implicazione
10
A ⊆ B ∧ B ⊆ A ⇒ A=B
Se, poi, essendo
p è una proprietà caratteristica dell’insieme A
e
q è una proprietà caratteristica dell’insieme B
si avrà ovviamente l’equivalenza logica
A ⊆ B
⇔ ( p(x) ⇒ q(x) )
La relazione fra gli insiemi A , B , espressa da A ⊆ B , prende
il nome di
relazione di inclusione
Nel caso in cui si abbia A ⊂ B
l’inclusione si dice stretta
Definizione 1.2). Dati gli insiemi A , B , di proprietà caratteristiche rispettive
p , q
si definisce l’insieme indicato con il simbolo
A∪B
e detto
unione di A e B
assumendo come sua proprietà caratteristica quella espressa dalla proposizione
p∨q
avremo quindi
11
x ∈ A ∪ B ⇔ p (x) ∨ q (x) risulta vera
in pratica , diremo che
gli elementi di A ∪ B sono tutti gli elementi di A e tutti gli elementi di B
ma
nessun altro elemento che non appartenga né ad A , né a B
Definizione 2.2). Dati gli insiemi A , B , di proprietà caratteristiche rispettive
p , q
si definisce l’insieme indicato con il simbolo
A∩B
e detto
intersezione di A e B
assumendo come sua proprietà caratteristica quella espressa dalla proposizione
p∧q:
avremo quindi
x ∈ A∩B ⇔
p (x) ∧ q (x) risulta vera
in pratica , diremo che
gli elementi di A ∩ B sono esattamente gli elementi che appartengono
sia ad A che a B
In teoria degli insiemi è uso comune indicare un insieme con un sottoinsieme di
12
punti del piano :
si tratta ovviamente di una convenzione , poiché , in generale , gli elementi di un
insieme non sono affat to dei “punti”, anche se a volte si chiamano così per brevità :
si introducono perciò i cosiddetti
diagrammi di Venn :
in Figura n°2 , ad esempio , è rappresentato A ∩ B intersezione dei due insiemi
A e B
D’altra parte , quando ciò risulta opportuno ed efficace , è altrettanto comune asse
gnare un insieme elencando esplicitamente i suoi elementi : ad esempio
A = {a,b,c} , B = {1,−5 , 37 , −21} , C = { √2 , −π, ε, δ} , ecc.
Alle volte però gli elementi di un insieme risultano troppo numerosi , o addirittura
in numero infinito , sicché non è praticabile il metodo sopra indicato : si procede
allora usando un simbolismo illustrato dai seguenti esempi
A = {x | x è un numero intero positivo multiplo di 3};
B = { x | x è un numero intero relativo divisore di 18 e di −700};
C = { x | x è una frazione positiva avente la somma del numeratore e del
denominatore minore o uguale a 21};
ecc…
Il simbolo | si legge “tale che” , e sarà già ben noto al lettore , ed è spesso
sostitutito dal simbolo : .
Se gli insiemi A e B sono sottoinsiemi di uno stesso insieme E , si indica con il
simbolo
A–B
il sottoinsieme di E definito nel seguente modo :
13
A – B = { x | x∈E ∧ x∈A ∧ x ∉ B }
questo sottoinsieme di E è evidenziato in Figuran°3 mediante diagrammi di Venn
L’insieme A – B sopra definito prende il nome di
differenza di A e B
Segnaliamo infine un altro importante tipo di sottoinsieme di un dato insieme E .
Dato l’insieme E , sia A un suo sottoinsieme : si definisce allora
il complementare di A rispetto ad E
nel seguente modo :
Ac = { x | x ∈ E ∧ x ∉ A }
E’ immediato riconoscere che vale la formula
(Ac)c = A
E’ uso comune introdurre il concetto di
insieme vuoto
che si indica con il simbolo
∅
questo insieme non contiene alcun elemento , e , se si vuole associarlo a una pro
prietà si può scegliere , ad esempio , quella che , per ogni x∈E (l’insieme nel quale
si svolge la teoria che si sta sviluppando) , afferma che
x ≠ x
14
la quale risulta falsa per ogni x ∈ E : è infatti assiomatico che
per ogni ogni elemento x che si consideri è sempre vero che
x=x
Se E è insieme nel quale si svolge una certa teoria , allora è facile verificare le se
guenti circostanze :
Ec = ∅ ; ∅c = E ; A ∩ Ac = ∅ ; A ∪ Ac = E
15
CAPITOLO III
RICHIAMI SUI NUMERI INTERI POSITIVI
Il lettore conosce certamente l’insieme
N dei numeri interi positivi
e le due operazioni binarie interne di
addizione e moltiplicazione
che intercedono fra loro , con le relative
proprietà formali
che sono , prima di tutto ,
la commutatività e l’associatività
precisamente valgono le seguenti regole :
1.1)
n1 + n2 = n2 + n1 , ∀ n1 , n2 ∈ N ;
2.1)
( n1 + n2 ) + n3 = n1 + ( n2 + n3 ) , ∀ n1 , n2 , n3 ∈ N ;
3.1)
n1 n2 = n2 n1 , ∀ n1 , n2 ∈ N ;
4.1)
( n1 n2 ) n3 = n1 ( n2 n3 ) , ∀ n1 , n2 , n3 ∈ N .
Si osservi che il simbolo
n1 + n2
denota
il risultato dell’operazione di addizione eseguita sui due numeri n1 ed n2 :
16
tale risultato prende il nome di
somma di n1 ed n2 ;
similmente , il simbolo
n1 n2 (che a volte diventa n1×n2 , o anche n1∗n2)
denota
il risultato dell’operazione di moltiplicazione eseguita sui due numeri n1 e n2:
tale risultato prende il nome di
prodotto di n1 ed n2 .
Le due operazioni di addizione e moltiplicazione ( ma molto spesso si transige
con il linguaggio e si dice somma e prodotto ) sono legate da una importante
proprietà formale : precisamente si ha che vale la regola seguente
5.1)
n1 ( n2 + n3 ) = n1 n2 + n1 n3 , ∀ n1 , n2 , n3 ∈ N ,
che prende il nome di
distributività del prodotto rispetto alla somma
Osservazione 1.1) . Dati tre numeri interi n1 , n2 , n3 , l’associatività della
somma e quella del prodotto consente
di interpretare in modo univoco i simboli n1+n2+n3 e n1 n2 n3
nonché di estendere analoghi simboli ad un numero qualunque di addendi o
di fattori , in quanto i risultati
non dipendono affatto da come addendi o fattori vengono associati fra loro :
ad esempio
n1 + n2 + n3 + n4 + n5
17
può essere calcolato in uno qualunque dei seguenti modi ,
n1 + ( n2 + n3 + n4 + n5 ) = ( n1 + n2 )+( n3 + n4 + n5) =
= ( n1 + n2 + n3 )+ ( n4 + n5 ) = ( n1 + n2 + n3 + n4) + n5 =
= n1 + ( n2 + n3 )+ ( n4 + n5 ) = n1 + ( n2 + n3 + n4 ) + n5 =
= ( n1 + n2 ) + n3 + ( n4 + n5) = ( n1 + n2 ) +( n3 + n4 ) + n5 =
= ( n1 + n2 + n3 )+ n4 + n5 = n1 + n2 +( n3 + n4 + n5 ) :
il lettore si eserciti a dimostrare le uguaglianze sopra esposte , come pure le ana
loghe uguaglianze relative al prodotto .
Per la somma e il prodotto di numeri interi valgono inoltre due altre assai notevoli
proprietà , che si riassumono nei seguenti due enunciati :
permutando comunque l’ordine degli addendi di una somma
la somma non cambia
e
permutando comunque l’ordine dei fattori di un prodotto
il prodotto non cambia
a tale riguardo bisogna sottolineare il fatto , di solito trascurato , che il sussistere
di queste due fondamentali proprietà delle due operazioni vigenti in N
è dovuto ad entrambe le proprietà associativa e commutativa
di cui esse godono , come sopra si è stabilito ,
e non alla sola proprietà commutativa .
18
Per illustrare questo punto essenziale vediamo un caso particolare , sufficiente
però a persuadere di quanto sopra avvertito :
supponiamo di dover provare che , dati 4 numeri di N ,
n1 , n2 , n3 , n4
sussiste l’uguaglianza
n1 + n2 + n3 + n4 = n4 + n2 + n3 + n1
Ecco come si deve , pazientemente , ma con rigore logico , procedere:
n1 + n2 + n3 + n4 = (n1 + n2 + n3) + n4 = (n1 + (n2 + n3)) + n4 =
= (n1 + (n3 + n2)) + n4 = ((n1 + n3)+n2) + n4 = (n1 + n3)+(n2 + n4) =
= (n1 + n3) + (n4 + n2) = (n4 + n2) + (n1 + n3) = (n4 + n2) + (n3 + n1) =
= n4 + n2 + n3 + n1
precisi il lettore , ad ogni passaggio ,
quale delle due proprietà , associativa o commutativa , è stata applicata .
E’ ovvio che in modo del tutto analogo si procede con il prodotto.
Nell’insieme dei numeri interi positivi N vige una
relazione di ordine totale
secondo la quale
due numeri n1 , n2 , si dicono , nell’ordine , uno minore dell’altro ,
e si indica tale fatto con il simbolo
n1 < n2
19
quando esiste un numero d ∈ N tale che risulti
n1 + d = n2
L’espressione
n2 è maggiore di n1
è ritenuta equivalente alla
n1 è minore di n2
Il termine totale si riferisce al fatto ben noto che
dati due numeri interi positivi distinti
ne esiste uno (e uno solo) dei due che risulta minore dell’altro
E’ chiaro che la relazione d’ordine risulta
transitiva
cioè che vale la seguente implicazione , di dimostrazione agevole ,
n1 < n2 ∧ n2 < n3 ⇒ n1 < n3
La relazione d’ordine di N
interferisce con l’addizione e con la moltiplicazione
e precisamente nel seguente modo :
∀ n ∈ N valgono le seguenti doppie implicazioni
e
n1 < n2 ⇔ n + n1 < n + n2
n1 < n2 ⇔ n n1 < n n2
20
e tali proprietà si enunciano dicendo che
le due operazioni di N “ rispettano la relazione d’ordine”
Risulta poi evidente che , valendo , in particolare ,
“ da destra a sinistra “
le due formule sopra stabilite costituiscono , per entrambe le operazioni , le
cosiddette
regole di semplificazione
che certamente il lettore avrà applicato innumerevoli volte.
Il più piccolo di tutti i numeri interi positivi è il numero 1 ; per di più per ogni
numero n , l’insieme dei numeri maggiori di n ha un elemento che risulta il suo
minimo , rispetto all’ordine : esso è precisamente
il numero
n+1
Osservazione 2.1). Sarà ben noto al lettore che la moltiplicazione vigente in N
si costruisce “tramite” l’addizione : precisamente risulta ,
per definizione , che
n × 1 = n , e che (n × (m + 1)) = n × m + n
Definizione 1.1). Si dice che
un numero n è un multiplo del numero m
se esiste un numero q tale che risulti
n =mq
si dice in tal caso anche che
n è divisibile per m , e che q è il quoziente di n per m
Definizione 2.1). Un numero p si dice un numero primo se risulta
21
maggiore di 1 e divisibile soltanto per sé stesso e per 1
Il lettore individui tutti i numeri primi minori di 100.
Osservazione 3.1). In N si possono considerare altre due operazioni , che
non sono operazioni binarie complete ,
nel senso che
non si possono applicare a coppie arbitrarie di numeri ,
come avviene per l’addizione e la moltiplicazione : si tratta
della sottrazione
e
della divisione
La sottrazione di due numeri n1 , n2 , nell’ordine , si può eseguire solo nel caso
che risulti
n2 < n 1
e , precisamente , il risultato di tale sottrazione , che prende il nome di
differenza , nell’ordine , di n1 e n2 ,
e si denota con il simbolo
n1− n2 ,
altro non è che quel numero d per cui risulta n2 + d = n1 :
va da sé che tale numero risulta univocamente determinato
Quanto alla divisione di due numeri n1 , n2 , nell’ordine , essa si può eseguire
solo nel caso in cui si ha che n1 è multiplo di n2
cioè quando esiste q tale da aversi
22
n1 = n2 q
q , considerato il risultato della divisione di n1 per n2 , prende il nome di
quoziente di n1 e n2
e si indica con il simbolo
n1 : n2
o anche con
n1
n2
preludendo con questo la notazione ben nota per i
numeri razionali
come frazioni di cui parleremo fra poco.
Determini il lettore per quali coppie (n1, n2) di numeri di N , sotto assegnate
esiste il quoziente di n1 per n2 , calcolandolo nei casi trovati:
(252 , 9) , (37 , 1) , (97 , 97) , (615 , 41) , (100 , 1000) , (51 , 17) ,
(1, 2) , (355 , 71) , (901 , 17) , (n +1 , n) ,(n + 2 , n) , (n + 20 , n).
Definizione . Dati due qualsiasi numeri di N
n
e
r
si dice
potenza di base n ed esponente r
il numero uguale al prodotto di r fattori tutti uguali a n :
tale numero si denota con il simbolo ben noto
nr
23
che si legge “ n elevato alla r”, o anche solo “ n alla r” .
Ricordiamo le più comuni proprietà delle potenze :
(6.1)
(7.1)
(8.3)
nr ns = nr+s
nr mr = (n m) r
(nr)s = nr s
Osservazione importante. Bisogna fare attenzione a non confondere potenze
del tipo
n
(r s )
e
(n r ) s
poiché , in generale ,
esse hanno valori diversi :
provi il lettore , ad esempio , a calcolare
3
( 32 )
e
(33 ) 2 :
troverà due numeri assai diversi .
A proposito di numeri primi è senz’altro il caso,per le considerazioni che verranno,
di ricordare il
Teorema fondamentale dell’Aritmetica ( Euclide , IV sec. a.C.)
Dati due numeri interi positivi
m
e
n
24
se p è un numero primo che divide il prodotto di m ed n
(in simboli si suole indicare tale fatto con la scrittura p | m n ) ,
allora si ha che
p|m ∨ p|n
vale a dire che
p deve dividere almeno uno dei due numeri m , n
potendo eventualmente dividere entrambi .
Provi il lettore ad organizzare una dimostrazione di questo famoso risultato
del grande Euclide nel caso in cui sia p = 2 , 3 , 5 .
Conseguenza ben nota del Teorema di Euclide sopra enunciato, è il seguente
Corollario 1.1). Ogni numero intero positivo n maggiore di 1 , se non è già
un numero primo , o una potenza di un numero primo,
è il prodotto di potenze di numeri primi ,
cioè del tipo
n = (p1) s 1 (p2) s 2 . . . (pr) s r
per di più
i numeri primi che intervengono in tale rappresetazione di n ,
e i relativi esponenti
sono univocamente determinati da n
ovviamente a meno dell’ordine.
Questo fatto fondamentale interverrà a suo tempo , quando ci si renderà conto
dell’ insufficienza dei numeri razionali , anche soltanto
25
per istituire una soddisfacente teoria della misura delle lunghezze
assolutamente necessaria per
la Geometria Analitica e per l’Analisi Infinitesimale .
I numeri di N che sono multipli del numero 2 , che è il successivo di 1 nella
serie naturale , ed uguale quindi a 1+1, ovvero, il che è lo stesso , i numeri
di N che sono divisibili per 2 , sono detti
numeri pari :
è ovvio che nessuno di essi può essere un numero primo , e che , dunque ,
i numeri primi si trovano tutti nel complementare, rispetto a N , dell’insieme
dei numeri pari , insieme che prende il nome ben noto di
insieme dei numeri dispari
Si badi bene però al fatto che varranno le seguenti relazioni fra insiemi :
insieme dei numeri primi ⊂ insieme dei numeri dispari ;
insieme dei numeri dispari ∩ insieme dei numeri pari = ∅ ;
insieme dei numeri dispari ∪ insieme dei numeri pari = N ;
Si noti che la prima inclusione è inclusione stretta , la cosa è
ovvia , ma va sottolineato il fatto che
i numeri primi , che pure sono in numero infinito , sono in realtà
una estrema minoranza fra i numeri dispari
anzi , più si procede nella successione naturale ,
e più rari diventano i numeri primi :
26
se tra 1 e un numero con 7 cifre (cioè qualche milione) si incontra in media un
numero primo ogni 12 , tra 1 e un numero di 70 cifre ( questo è l’ordine di
grandezza che i Fisici stimano essere il numero di tutte le particelle di cui è
costituito l’Universo conosciuto ) si incontra invece un numero primo , sempre
mediamente , ogni 160 numeri , per cui scrivendo un tale numero a caso , si è
pressoché certi di scrivere un numero non primo , cioè , come si dice ,
un numero composto
Infine ricordiamo una importante proprietà dell’insieme N dei numeri interi
positivi : essa va sotto il nome di
principio di induzione completa
e nei trattati appare addirittura come
uno degli assiomi fondanti dell’Aritmetica .
Il suo enunciato è il seguente :
se A è un sottoinsieme di N con entrambe le seguenti proprietà
1a) 1∈A ,
2a) se A contiene un numero n , contiene anche il successivo n+1 di n ,
allora risulta che
A=N
Su questa proprietà si basano
molte dimostrazioni e definizioni di ogni ramo della Matematica
27
CAPITOLO IV
RICHIAMI SUI NUMERI INTERI RELATIVI
Chiunque sia versato anche nelle più semplici fra le questioni dell’economia , come
tenere un registro di entrate ed uscite , avrà già compreso che la struttura numerica
dei numeri interi positivi, cioè l’insieme N con le sue operazioni , e
la relazione d’ordine , detta anche l’ordinamento , risulti troppo povera per con
sentire un computo efficace e tempestivo , oltreché , s’intende, esatto .
In altri campi , come la Fisica e l’Ingegneria , la necessità di considerare quantità
“ con segno”, è avvertita con ancor maggiore urgenza.
Per questo i matematici hanno proceduto ad un ampliamento dell’algebra dei
bra dei numeri , costruendo
l’insieme Z dei numeri interi relativi
Z contiene N , ne è cioè un soprainsieme . Oltre ai numeri interi positivi , Z con
tiene
lo
0
che in N non esisteva , e poi esattamente quelli che vengono detti
gli opposti dei numeri interi positivi
sicché si suole rappresentarlo come segue
Z = {… , −3 , −2 , −1 , 0 , 1 , 2 , 3 , … }
In Z vigono
tre operazioni binarie interne
1)
l’addizione
28
la quale , applicata ai numeri di N ,
dà gli stessi risultati dell’addizione di N ;
per questa addizione
lo 0 risulta elemento neutro
il che significa che
z+0=0+z = z,∀z∈Z;
per le rimanenti coppie di numeri di Z l’addizione viene costruita secondo le
regole ben note, e che sono succintamente esemplificate dai seguenti esempi
7 + (−12) = − (12−7) = −5 ; −128 + 37 = − (128 − 37) = − 91 ;
5041+ (−2378) = 2663 ; − 35721 + (−25000) = − (35721 + 25000) =
= −60721 , ecc…
Si noti come il sommarsi di due uscite , o perdite , equivalga ad una
perdita pari alla somma degli ammontari perduti : e questo
aderisce perfettamente alla realtà dei fatti .
Senza entrare nei dettagli della costruzione matematicamente rigorosa della
somma di Z , ricordiamo semplicemente che per essa
valgono le stesse proprietà formali dell’addizione di N
cioè
l’associatività e la commutatività
con tutte le loro ben note conseguenze nel calcolo algebrico.
Ogni numero z ∈ Z viene ad avere un ben preciso opposto , il quale , sommato
con esso dà lo zero :
29
l’opposto di z viene denotato con −z
per cui si avrà
z + (−z) = (−z) + (z) = 0 , ∀ z ∈ Z ;
I numeri negativi , detti anche “ minori di 0 “ sono esattamente
gli opposti dei numeri interi positivi di N
sono quindi rappresentabili come segue
−n , ∀ n ∈ N ,
ed è quindi ovvio che −n avrà proprio n come suo opposto :
−(−n) = n , ∀ n ∈ N ;
ma è anche elementare il fatto che risulta
−(−z) = z , ∀ z ∈ Z :
questo viene incontro al fatto di buon senso che
l’opposto di una perdita è un profitto e viceversa
La seconda operazione di Z è
2)
la moltiplicazione
la quale , anch’essa , applicata ai numeri di N ,
dà gli stessi risultati della moltiplicazione di N ;
per le restanti coppie di numeri di Z si ha che
0z=z0=0, ∀z∈Z,
30
mentre quando sono coinvolti fattori negativi , si seguono le ben note
“ regole dei segni “
illustrate dai seguenti esempi ( in molti casi si fa ricorso al segno “ cross” per
indicare il risultato della moltiplicazione di numeri , detto anche il loro prodotto,
78 × (−31) = (−31) × 78 = − (78 × 31) = −2418 ;
si osservi ancora l’aderenza di questo algoritmo alla realtà dei fatti :
se si hanno 78 perdite di 31 euro l’una
il fatto equivale a una perdita il cui ammontare è 78 volte 31
Le proprietà formali della moltiplicazione sono completate dalla regola del
prodotto fra numeri negativi
ad esempio:
(−45) × (−128) = 45 × 128 = 5760
Anche nel caso della moltiplicazione , o “prodotto” , ci limitiamo a ricordare
che per essa
valgono le stesse proprietà formali della moltiplicazione di N
cioè
l’associatività e la commutatività
con tutte le loro ben note conseguenze nel calcolo algebrico.
Inoltre va anche ricordato che , come in N ,
il prodotto è distributivo rispetto alla somma :
z ( z’ + z”) = z z’ + z z” , ∀ z , z’ , z” ∈ Z .
31
La terza operazione binaria di Z è
3)
la sottrazione
In effetti , la costruzione di Z , con l’introduzione degli opposti dei numeri di N , è
stata realizzata anzitutto con lo scopo di completare
l’operazione di sottrazione di N
la quale , come sappiamo , era possibile solo se
il diminuendo era maggiore del sottraendo :
in Z , invece ,
la sottrazione di due interi relativi risulta sempre possibile
secondo la seguente regola definitoria
z’− z” = z’ + (− z”) , ∀ z’ , z” ∈ Z .
Non è allora difficile riconoscere che
il prodotto è distributivo anche rispetto alla differenza
ciè che si ha
z ( z’− z”) = z z’− z z” , ∀ z , z’ , z” ∈ Z .
Essendo N ⊂ Z , l’ordinamento vigente in N si estende a Z in modo del tutto
Naturale : se infatti
un numero positivo interpreta l’ ammontare di un profitto ,
lo 0 sarà ovviamente da considerarsi come un pareggio ,
situazione “da svalutare” certo rispetto al profitto , cioè
32
da considerare “minore” di quest’ultimo ;
quanto a un numero opposto ad un numero considerato “positivo”
sarà ben da svalutare rispetto non solo ad esso , ma anche rispetto allo 0 ;
di due numeri “negativi” , sarà da svalutare ,come quello che interpreta
una perdita più ingente , quello il cui opposto risulta invece più grande
, sicchè , per esempio , riterremo a buona ragione
−570 < −290
leggendo il segno < come “minore di” , ritenendo il primo numero ,
in quanto sigla di un passivo più pesante del secondo ,
come “non preferibile” rispetto a quest’ultimo , sicchè , in questa scala di valori
sarà logico collocarlo “a sinistra” , così come si colloca 170 “a sinistra” di 500.
Riassumiamo il tutto con la serie ordinata dei numeri interi relativi :
… −5 < −4 < −3 < −2 < −1 < 0 < 1 < 2 < 3 < 4 < 5 < …
E’ possibile estendere anche l’operazione di divisione che si era considerata in N :
1)°
2)°
per numeri positivi si procede esattamente come in N ;
la divisione di qualunque numero per 0 non è possibile in alcun caso ;
3)° la divisione , in Z , di un numero negativo per uno positivo si può eseguire
solo nel caso in cui l’opposto del dividendo è un numero positivo
divisibile , in N , per il divisore , che è in N, essendo positivo ,
33
esemplificando :
(−63) : 9 = −(63 : 9) = −7
−319 : 11 =−(319 : 11) = −29
ecc…
Analogamente
si può dividere un numero positivo per uno negativo
quando l’opposto di quest’ultimo è un numero positivo
che sia , in N , un divisore esatto del dividendo :
8551 : (−17) = −(8551 : 17) = −503
In Z , invece , non si può dividere , ad esempio , −125 per 7 , perché , in N ,
125 non è divisibile per 7 , ecc…
Passando alla divisione fra numeri negativi ,
essa è eseguibile solo se i due opposti rispettivi sono divisibili in N
per esempio :
−1651 : (−127) =1651 : 127 = 13
non si può invece eseguire la divisione di −347 per −23 , perché , in N ,
in N , 347 non è divisibile per 23 , ecc…
Osservazione 1.4). Dalle considerazioni appena svolte sulla operazione di
divisione fra numeri interi
si comprende subito come , rispetto all’esigenza ovvia di poterla effettuare in
ogni caso ( tranne la divisione per 0 , s’intende ) ,
34
l’insieme dei numeri interi relativi Z si rivela non soddisfacente
sicché si impone la necessità di un suo ampliamento
del quale ci occuperemo fra poco.
Quanto al comportamento delle operazioni vigenti in Z rispetto alla relazione di
ordine va osservato che
la somma e la differenza rispettano l’ordinamento
per esempio
−348 < 35 ⇒ −348 + 73 < 35 + 73
oppure
−348 < 35 ⇒ −348 −113 < 35 −113
Per il prodotto , invece ,
si devono distinguere rigorosamente due casi :
1°) caso :
se il numero che moltiplica i due membri della disuguaglianza è positivo
la disuguaglianza viene rispettata
per esempio
−5 < 11 ⇒ (−5) × 21 < 11 × 21 :
il prodotto per il moltiplicatore positivo 21 conserva l’ordinamento ;
2°) caso :
se il numero che moltiplica i due membri della disuguaglianza è negativo
35
la disuguaglianza non viene rispettata
ad esempio
−352 < 67 ⇒ (−352 ) × (−43) =15136 > 67 × (−43) = −288
oppure
− 83 > −134 ⇒ (− 83 ) × (−29) = 2407 < (−134) × (−29) = 3886
il prodotto per i moltiplicatori negativi −43 e −29
ha causato capovolgimento dell’ordine
Quanto alla possibilità di definire potenze di base intera relativa , esse possono es
sere definite in modo del tutto analogo alle potenze di base intera positiva , però
bisogna tener presente le seguenti condizioni :
1) gli esponenti non possono essere negativi ;
2) l’esponente può essere 0 , ma la base deve essere positiva : queste potenze val
gono tutte 1 :
10 = 1
; 30 = 1 ; 9310 = 1 ; 56410 = 1 ; ecc…
e il motivo di ciò verrà a suo tempo chiarito .
In tali condizioni le regole per il calcolo delle potenze sono le stesse di quelle as
segnate in N ( v. Cap. III )
36
CAPITOLO V
RICHIAMI SUI NUMERI RAZIONALI
L’algebra dei numeri interi , cioè Z con le sue strutture operative e di ordine ,
consente di trattare quantità di oggetti
ciascuno dei quali è uno e indiviso
Questo fatto è chiaramente una limitazione : in qualsiasi campo della Scienza ,
pura o applicata , accade di dover considerare
parti di un intero
o di poter esprimere numericamente
rapporti di grandezze che sono parti di un tutto omogeneo
Per venire incontro a queste esigenze è stato costruito
l’insieme Q dei numeri razionali
l’attributo razionali rimanda al termine latino ratio , nell’accezione di porzione ,
razione , frazione , intesa , quest’ultima , come
parte di un tutto suddiviso (fractio da frango = spezzo).
L’insieme Q , lettera iniziale della parola quoziente ( il motivo lo capiremo fra
fra poco ) risulta
un soprainsieme dell’insieme Z
e le operazioni che vengono introdotte in Q , se ristrette a Z , daranno
logicamente
37
gli stessi risultati che davano come operazioni interne di Z
e naturalmente mantenendone tutte le proprietà .
Per di più
l’ordinamento dei numeri interi relativi si conserva in Q
nel senso che
Q viene dotato di un ordinamento totale
il quale , ristretto a Z , coincide con l’ordinamento di Z
Il procedimento di ampliamento comincia con l’estensione dei numeri interi
positivi con l’introduzione dei
numeri frazionari positivi
Si comprende meglio questa nozione pensando alla
suddivisione di un segmento in parti uguali :
mediante una ben nota costruzione
un segmento può essere suddiviso
in un numero prefissato n qualunque di parti di uguale lunghezza :
ciascuna delle quali viene detta
parte n–esima del segmento
o anche
un n–esimo del segmento
convenendo di indicarne
la misura rispetto all’intero segmento con la frazione
1
n
38
Naturalmente di queste frazioni se ne possono unire, a formare una parte del seg
mento , più di una : due , tre , … , n –1 , e introdurre quindi
le frazioni
2
3
n −1
n , n , ... , n
ciascuna interpretando
numericamente la misura della relativa parte rispetto al segmento
E’ ovvio che un procedimento analogo può essere messo in atto per
ottenere , più in generale ,
misure di porzioni di qualsiasi altro intero divisibile in parti uguali
questo intero potendo essere unità di moneta , di massa , di forza, ecc., e le me
desime frazioni servendo ad formulare numericamente la misura di ciascuna por
zione rispetto all’intero considerato .
Si costruiscono così
le frazioni proprie
a proposito delle quali va subito osservato che
due frazioni possono rappresentare la stessa parte dell’intero
pur essendo “costruite” con numeri diversi :
è un fatto del tutto elementare , ad esempio , che
2
4
6
i
3 di un intero sono la stessa quantità dei suoi 6 , o 9 , ecc…
e, più in generale ,
dei suoi
2× n
− esimi
3× n
39
sicché si giunge alla nozione di
frazioni equivalenti
le quali sono tutte quelle
riconducibili ad una stessa frazione irriducibile
con il procedimento ben noto della semplificazione
ottenuta via , via , dividendo
numeratore e denominatore
per uno stesso loro divisore comune , finché ciò sia possibile.
Senza entrare troppo nei dettagli costruttivi dell’algebra razionale , ricordiamo
solo che , limitandoci al momento ai numeri razionali positivi, e , inoltre , sem
pre per adesso ,
minori di 1,
un numero razionale , cioè un elemento di Q , va concepito come
un’intera classe di frazioni fra loro a due a due equivalenti :
ad esempio , bisognerebbe usare un simbolo come
2
{ }
3
2
per indicare l’insieme di tutte le frazioni equivalenti alla frazione
3
e pensare che tutta questa classe si debba chiamare
numero razionale
40
Naturalmente si transige , per non appesantire troppo le notazioni , e di conse
guenza i calcoli , sicché si parla alla breve del
15
56
2
numero razionale , o
3
23 , o 27 , ecc…
2
4
18
il numero razionale
essendo identico a , a
, ecc…
3
27
6
Finora si è parlato di
frazioni con il numeratore più piccolo del denominatore :
m
cioè del tipo
n , con m < n ,
le quali interpretano , nei vari contesti possibili , quantità minori dell’intero ,
che è naturalmente rappresentato dal numero 1 : queste frazioni
si riterranno i (rappresentanti dei) numeri razionali minori di 1.
Restano disponibili allora tutte le frazioni rimanenti, sempre limitando
ci per il momento a quelle
con numeratore e denominatore entrambi positivi :
come saranno efficacemente adoperate ?
Basta pensare , allo scopo , alla necessità di considerare quantità consistenti di
un numero intero positivo di interi più una parte propria di intero
serviranno perfettamente allo scopo (il lettore certamente se lo ricorderà) frazioni
del tipo , per esemplificare ,
8
39
205
5 , 23 , 100 , ecc…
41
8
5
ad esempio , corrisponderà chiaramente quella quantità che consiste
5
3
in un intero , rappresentato da = 1 , più i suoi …
5
5
Anche per queste frazioni , dette improprie , si presenta la circostanza
di risultare equivalenti ad altre , e riducibili a frazioni con
numeratore e denominatore numeri interi primi fra loro
senza quindi divisori propri in comune :
ad esempio , e usando direttamente il segno di uguaglianza , in modo analogo a
quanto fatto sopra , si avrà
41 123
41× 3
533 41×13
27 = 81 (= 27 × 3 ) = 351 = 27 ×13 = ecc…
Restano infine le cosiddette
frazioni apparenti
per il semplice motivo che non richiamano la necessità di suddividere l’intero di
turno , ma ne rappresentano in effetti un numero intero positivo di esemplari : ad
esempio
12
238
122171
3 = 4 , 7 = 34 , 217 = 563 , ecc…
E’certamente il caso di soffermarsi ad esaminare come
i numeri razionali si compongano fra loro in somma e in prodotto .
Quanto alla somma viene , in fase elementare (Scuola media inferiore), proposto
in genere del tutto acriticamente , il procedimento qui di seguito esemplificato :
42
133 274
133× 7 + 274 × 41 12165
+
=
41
7 =
287
41× 7
Il punto è :
per quale motivo non si spiega la ragione di questa procedura ?
Perché costringere a imparare questa arida formula algebrica senza cognizione
di causa ?
Vediamo allora di farcene noi una ragione .
Supponiamo , ad esempio , di dover sommare le quantità frazionarie rappresentate
appunto da
274
133
41 e 7
ebbene , noi sappiamo che tali frazioni
possono essere sostituite da frazioni equivalenti
pertanto è come se ci fosse richiesto di sommare
133 × 7
41× 7
con
274 × 41
7 × 41 :
ripensati in tal modo i due addendi , la somma si impone da sola : è come se
dovessimo mettere assieme i 133×7 (41×7=287)-esimi di un certo intero
con i 274 × 41 (sempre) (41×7=287)-esimi del medesimo intero :
ma allora ognuno comprende che il risultato sarà
43
133 × 7 + 274 × 41
133 × 7 + 274 × 41 12165
=
=
41× 7
287
287
Sussiste però , nella mente di persone attente , la questione
dell’indipendenza del risultato della somma
dalle particolari frazioni rappresentanti usate allo scopo .
Per chiarire fino in fondo : se , per ottenere la somma di due numeri razionali ,
si ricorre a una certa coppia di frazioni , che siano loro rappresentanti rispettivi ,
usandone altre due ,che siano equivalenti , nell’ordine , a quelle , si ottiene lo
stesso risultato, o , meglio , è certo che le due frazioni che ne risultano saranno
sempre fra loro equivalenti , fornendo così lo stesso numero razionale ?
Ognuno converrà che questa è una ben giustificata domanda :
ebbene
la risposta ad essa è affermativa
e lo verifichiamo in un caso numericamente esplicito:
supponiamo di dover sommare i due numeri razionali rappresentati dalle due
frazioni
6
8
e
20
45 :
il procedimento assegnato sopra porta alla somma rappresentata dalla frazione
6 × 45 + 8 × 20
8 × 45
D’altra parte , gli stessi due numeri razionali sono rappresentati , come
è immediato verificare , dalle due frazioni
44
12
16
4
9
e
e , partendo da queste due , si ottiene la somma rappresentata dalla
frazione seguente
12 × 9 + 16 × 4
;
16 × 9
ebbene ,
le due frazioni ottenute sono in effetti equivalenti :
per rendersene conto basta ridurle per equivalenza a una stessa frazione : questo
si ottiene moltiplicando numeratore e denominatore della prima , e della seconda ,
rispettivamente , per 2 e per 5 :
si ottengono così le frazioni
2 × (6 × 45 + 8 × 20)
2 × (8 × 45)
e
5 × (12 × 9 + 16 × 4)
5 × (16 × 9)
che sono in effetti la stessa , e cioè
860
720
equivalente a sua volta alla frazione irriducibile
43
36
Si può quindi affermare che
6 20
12 4 43
8 + 45 = 16 + 9 = 36
45
e questo conclude questa (ovviamente parziale) dimostrazione : nei trattati si
può trovare una giustificazione teoricamente completa .
Possiamo stabilire a questo punto la formula che definisce
l’operazione di addizione , o “somma” , fra numeri razionali positivi :
m1 n1 m1 × n2 + n1 × m2
+ =
m2 n2
m2 × n2
Non è difficile allora constatare che
la somma è associativa e commutativa ;
Si assimilano quindi i numeri interi positivi ai numeri razionali del tipo
n
1
al variare di n nell’insieme ei numeri interi positivi , cioè in N , e non è difficile
verificare che
la somma di numeri razionali positivi , ristretta a N ,
coincide con la somma considerata a suo tempo in N.
Passiamo a qualche considerazione sul
prodotto di numeri razionali positivi
La formula assegnata nei testi di algebra elementare è la seguente :
m1 n1 m1 × n1
× =
m2 n2 m2 × n2
In particolare si avrà che
46
n×
n1
n n1
n × n1
n× n1
×
n2 = 1 n2 = 1× n2 = n2
Si osservi che moltiplicare un numero razionale per un numero intero positivo
n equivale a considerare una quantità n volte più grande della quantità razionale
considerata : quindi
si ha esattamente lo stesso effetto della moltiplicazione in N .
Ora , la moltiplicazione fra numeri razionali ha un significato analogo.
Supponiamo di avere un numero razionale , ad esempio
4
5
e chiediamoci :
2
4
?
qual è la quantità razionale corrispondente ai di
3
5
E’ ovvio che , per rispondere a questo quesito , dobbiamo prima sapere
1
4
qual è la quantità razionale corrispondente a di
3
5
2
4
.
infatti , conoscendo quest’ultima , basterà raddoppiarla, per ottenere i di
3
5
Ora , per ottenere
1
4
4
di
, rappresentiamo nel seguente modo
3
5
5
4×3
12
4
=
=
:
5× 3
15
5
è ovvio che
4
12
è data da
la terza parte di
15
15
47
e ne segue quindi che il doppio di
4
, che è
15
8
15
corrisponde esattamente ai
2
4
di
; si osservi allora come
3
5
la stessa quantità si ottiene moltiplicando , con la regola data sopra ,
2
3
per
4
:
5
8
2 4
2× 4
× =
3 5
3 × 5 = 15
Verificato , anche solo su un esempio , l’effetto della moltiplicazione fra numeri
razionali ,
accettiamo senz’altro la formula generale che la definisce .
Non è poi difficile verificare che , come già la somma , anche
il prodotto è associativo e commutativo
con le ben note conseguenze per il calcolo .
Ora , qualche considerazione su
l’estensione dell’algebra razionale ai numeri minori o uguali a zero.
Si è già detto che Q è un soprainsieme di Z : poiché in Z esiste lo 0 , questo
esisterà anche in Q , rappresentato da ogni frazione del tipo
48
0
n
al variare di n in N , ma , quasi sempre nel seguito ,
denotato semplicemente con 0 ;
si osservi che , ponendo in atto le definizioni di somma e di prodotto poste sopra ,
estendendole anche allo 0 si ottiene , rispettivamente
0+
m1
0 m1
0 × n1 + m1 × n
m1 × n
m1
+
= n×n = n
n1 = n n1 =
n × n1
1
1
e
0 m1
0 × m1
0
×
n n1 = n × n1 = n× n1 = 0 :
questi risultati ci dicono che
lo 0 è elemento neutro per la somma
e anche
elemento annichilatore per il prodotto
comportandosi anche in Q (per il momento nei confronti dei numeri razionali non
negativi) esattamente come si comportava in Z .
Un’altra verifica , riguardante la
proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma
che , come sappiamo , già valeva in Z :
m m1 m2
m m × n + m2 × n1
m × (m1 × n2 + m2 × n1 )
×( + ) = ×( 1 2
) =
=
n n1 n2
n
n1 × n2
m × (n1 × n2 )
49
m × m1 × n2
m × m1 × n2 + m × m2 × n1
m × m2 × n1
+
= m × ( n × n ) m × (n × n ) =
m × (n1 × n2 )
1
2
1
2
m m1 m m2
m × m1 × n2
m × m2 × n1
× + ×
+
=
n n1 n n2
(m × n1 ) × n2 ) (m × n2 ) × n1 )
C.V.D.
Ora si tratta di introdurre i
numeri razionali negativi
e il motivo è chiaro : anche per quantità negative ( perdite , o uscite , nel caso eco
nomico ) devono potersi considerare frazioni dell’unità negativa : per esempio
tre euro e tre quarti “in rosso”.
Tali quantità razionali sono interpretate da
frazioni con numeratore negativo e denominatore positivo
per esempio :
− 42
− 9672
−7
11 , 29 , 527 , ecc.
ma è uso comune denotarle con frazioni positive precedute dal segno − :
−
7
42
9672
−
−
11 ,
29 ,
527 , ecc.
e questo è ben giustificato , per il ruolo che esse svolgono
di quantità opposte delle relative quantità positive ,
50
una volta che ,
per numeri razionali di segno qualunque , si definiscano
la somma e il prodotto
mediante le medesime formule poste per quelli positivi
ad esempio :
−
− 7 ×11 + 7 ×11
7 7
−7 7
0
+
=
11 11 = 11 + 11 =
11×11
11×11 = 0
Senza addentrarci più a fondo nei dettagli , conviene riassumere la situazione con
un prontuario dell’algebra razionale che possa servire da punto di riferimento
in fase di calcolo.
1)° L’insieme Q dei numeri razionali è un soprainsieme dell’ insieme Z
dei numeri interi relativi .
2)° Ogni numero razionale è rappresentato da
una intera classe di frazioni equivalenti
del tipo
m
n
con
m intero relativo ed n intero positivo
ma , in generale, per denotarlo si fa ricorso a una qualunque di esse .
Va comunque ricordato che in ogni tale classe
esiste una e una sola frazione che risulta ridotta ai minimi termini
cioè con il numeratore e il denominatore che sono interi primi fra loro.
51
3)° Q è dotato di due operazioni binarie interne
l’addizione e la
moltiplicazione
L’addizione viene detta spesso somma , benché la somma , a rigori , sia il
risultato dell’addizione
,e la moltiplicazione viene spesso detta prodotto , benché questo sia il
risultato della moltiplicazione .
La somma di due numeri razionali si definisce con la seguente formula
n1 × m2 + m1 × n2
n2 × m2
n1 m1
+
n2 m2 =
che si rivela valida perché , come si dimostra ,
il risultato non dipende dalle particolari frazioni
scelte come rappresentanti dei due addendi ;
la somma è associativa e commutativa
sicchè , come avveniva in N e in Z , si può affermare che
permutando comunque l’ordine degli addendi di una somma
la somma non cambia
Il prodotto di due numeri razionali si definisce con la seguente formula
n1 m1
×
n2 m2
=
n1 × m1
n2 × m2
E , anche in questo caso ,
52
il risultato non dipende dalle particolari frazioni
scelte come rappresentanti rappresentanti dei due fattori ;
il prodotto è associativo e commutativo
dunque ,
permutando comunque l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Il prodotto è distributivo rispetto alla somma
cioè , denotando per brevità un numero razionale con una sola lettera , vale la
vale la formula
q × (q1 + q2) = q × q1 + q × q2
Il numero 0 è
elemento neutro per la somma
e
elemento annichilatore per il prodotto
il significato dei termini essendo ormai chiaro .
4)°
Come in Z , anche in Q si può costruire una terza operazione binaria
interna :
la sottrazione , o differenza ,
mediante la definizione seguente
q1 − q2 = q1 + (−q2)
ove −q2 denota l’opposto di q2;
non è difficile riconoscere allora che
il prodotto è distributivo anche rispetto alla differenza
53
cioè che vale la seguente uguaglianza
q × (q1 − q2) = q × q1 − q × q2
5)° Parliamo ora della nozione di
reciproco di un numero razionale
In qualunque struttura algebrica , vigente in un insieme A , nel quale sia definita
una operazione binaria interna , con notazione “moltiplicativa”, la quale consiste
nell’apporre fra due elementi composti fra loro un segno come un punto (dot) ,
una croce greca (cross) , ecc. , o anche nessun segno (normalmente è escluso
il comune segno + della notazione “additiva”)
se esiste un elemento , denotato di solito con il simbolo 1,
e denominato
unità moltiplicativa
per il quale risulta
a 1 = 1 a = a, ∀ a ∈ A ,
in altre parole se questo elemento svolge il ruolo di
elemento neutro per l’operazione agente in A
sorge subito la questione , per ogni elemento a di A ,
dell’esistenza , o meno , di un elemento a’ di A per cui si abbia
a a’ = a’a = 1 :
se tale elemento esiste , prende il nome di
reciproco di a
54
Non è difficile verificare che
se l’operazione in questione risulta associativa
allora
se a ammette un reciproco , ne ammette uno solo
ed è quindi giustificato chiamarlo “ il “ reciproco di a
il quale viene normalmente denotato con il simbolo
a−1
E’ immediato constatare che , in Z , dotato dell’usuale prodotto ,
l’ 1 risulta unità moltiplicativa , ma che
esistono solo due elementi dotati di reciproco : e sono 1 e −1 .
Questa “povertà di reciproci” è un notevole inconveniente , poiché uno dei primi
problemi algebrici , in qualunque campo in cui si fa uso di numeri , è quello
della ricerca delle eventuali soluzioni dell’equazione
(∗)
ax = b
vale a dire della ricerca di eventuali elementi s di A per i quali valga
l’uguaglianza
as = b
ogni tale elemento prendendo il nome di soluzione dell’equazione data.
Ora , finché si rimane in una struttura come Z , il problema non ha risposta ,
se non nei casi banali in cui a = 1 , oppure a = −1.
55
Quando invece il problema viene posto in Q ,
la situazione cambia in meglio radicalmente .
Vediamo perché .
La novità circa la moltiplicazione in Q , rispetto a quella in Z ,
consiste nel fatto che
ogni numero razionale , diverso da 0 , ha uno (e un solo) reciproco :
rendiamoci conto di questo fatto la con precisione.
m
, con m ≠ 0 , sia un qualunque numero di Q diverso da 0 ,
Posto che
n
n
il numero
, anch’esso ovviamente diverso da 0 , è il suo reciproco :
m
infatti risulta
m n m× n m× n
× =
=
=1
n m n× m m× n
perché
tutte le frazioni con il numeratore uguale al denominatore sono
a due a due equivalenti e rappresentanti dello stesso numero razionale 1.
Se sopra abbiamo detto “ il “ suo reciproco , è perché
il prodotto , in Q , è associativo , donde l’unicità del reciproco .
Stabilita l’esistenza del reciproco per ogni numero razionale non nullo ,
ne segue facilmente che l’equazione
56
(∗)
ax = b
è risolubile in ogni caso in cui sia a ≠ 0 :
infatti risulta
a × (a −1 × b) = (a × a −1 ) × b = 1× b = b
e, quindi ,
il numero razionale s = a−1 b è soluzione dell’equazione (∗)
quanto all’unicità di tale soluzione , essa si dimostra subito :
supposto infatti che s1 e s2 siano entrambe soluzioni della (∗) , vale la seguen
te catena di implicazioni
a s1 = b ∧ a s2 = b ⇒ a s1 = a s2 ⇒ a−1(a s1) = a−1(a s2) ⇒
⇒ (a−1a) s1 = (a−1a) s2 ⇒ 1 s1 = 1 s2 ⇒ s1 = s2
C.V.D.
6)° Un’osservazione importante sull’algebra razionale Q :
ogni numero razionale si può esprimere come
il quoziente di due numeri interi
Ricordato che Z è identificato all’insieme dei numeri razionali del
tipo
z
1
con z variabile in Z , sia
57
z1
z2
q=
un numero razionale qualsiasi : si osservi allora che
q=
z1 z1 1 z1 z2
= × = :
z2 1 z2 1 1
e l’enunciato è così dimostrato .
7)° Poniamo ora in rilievo
un’altra assai notevole proprietà del corpo razionale Q
per la quale esso si distingue nettamente dall’algebra intera Z
La relazione d’ordine che viene introdotta in Q , comincia con il porre , per due
numeri razionali positivi
m1
n1
m2
n2
e
che risulta
m1
n1
m2
< n
2
quando sussiste la disuguaglianza
(∗∗)
m2 m1
−
n2 n1
> 0
ma , essendo
58
−m
m2 m1 m2
m
m
−
=
+ (− 1 ) = 2 + ( 1 ) =
n2 n1 n2
n1
n2
n1
=
m2 n1 + (−m1 )n2 m2 n1 − m1n2
=
n2 n1
n2 n1
la (∗∗) vale precisamente quando vale la disuguaglianza fra
numeri interi positivi
m2n1 − m1n2 > 0
riassumendo , per numeri razionali positivi , si può porre
m2 m1
−
n2 n1
> 0 ⇔ m2n1 − m1n2 > 0
dopo aver assunto ovviamente che 0 è minore di ogni numero razionale posi
tivo , e , altrettanto ovviamente , che ogni numero razionale negativo è minore
è minore dello zero , e di ogni numero razionale positivo ,
fra due numeri negativi si riterrà minore quello il cui opposto ( positivo )
sarà maggiore dell’opposto dell’altro ( anch’esso positivo ) :
ad esempio si avrà che fra i due numeri
−
157
94
e
−
311
117
il minore dei due sarà il secondo , poiché risulta
311
117
>
157
94
infatti così risulta in base alla definizione data sopra , essendo
59
29234 = 94× 311 > 157 × 117 = 18369
La relazione d’ordine così introdotta in Q ,
è una relazione d’ordine totale
che viene rispettata dalla somma e dal prodotto per numeri positivi ,
mentre il prodotto per numeri negativi , come già visto in Z ,
capovolge una qualsiasi disuguaglianza
Tutta questa (necessaria) introduzione serve ora a mettere in luce
la proprietà del corpo razionale Q preannunciata sopra .
Conviene partire dalla successione dei numeri interi relativi , cioè
dalla struttura ordinata di Z ,
… , −3 , −2 , −1 , 0 , 1 , 2 , 3 , …
questa struttura , rispetto all’ordinamento in essa vigente , viene de
finita come
discreta
(in latino il verbo discernere , il cui participio passato fa discretum, ha fra le sue
accezioni quella di “ tenere lontano “ , o “ tenere discosto “ ) , e questo per il
fatto che , partendo da un numero intero relativo qualsiasi non se ne trova un
altro , né precedente , né seguente , che sia , per così dire , a distanza minore di 1
da esso :
ogni numero z si trova , ad esso “ prossimi “ , solo z + 1 e z− 1
La situazione in Q è completamente diversa , e , precisamente :
dati due numeri razionali qualsiansi
60
q1 e q2 , con q1 < q2 ,
ne esiste sempre almeno uno q strettamente compreso fra loro ,
cioè tale che risulti
q1 < q < q2
e questo
per quanto piccola risulti la differenza q2 − q1
Questo fatto del tutto nuovo si dimostra senza difficoltà :
infatti , scelti q1 e q2 come sopra detto , si consideri
q=
il numero razionale
q1 q2 q1 + q2
+ =
2 2
2
e , ricordato che
il prodotto per un numero positivo e la somma rispettano l’ordine
si osservi che si ha
1
1
q q
q q q q
q1 < q2 ⇒ × q1 < × q2 ⇒ 1 < 2 ⇒ q1 = 1 + 1 < 1 + 2 = q
2
2
2 2
2 2 2 2
e che , d’altra parte , si ha anche
q=
q1 q2 q2 q2
+ < + = q2 :
2 2
2 2
ne segue dunque che
q1 < q < q2
61
e questo prova la tesi .
C.V.D.
Ma
c’è di più :
infatti si può dire addirittura che
fra due numeri razionali qualsiansi ne cadono addirittura infiniti
e questo , ripetiamolo , per quanto vicini essi siano fra loro , e la prova di tale
fatto è del tutto elementare.
Esprimendoci in modo informale , potremmo dire che , a differenza dei numeri
interi relativi
i numeri razionali sono estremamente “ fitti “ :
questa loro particolarità viene espressa dicendo che
il corpo razionale Q , rispetto all’ordinamento in esso introdotto,
è un insieme denso in sé.
Riprenderemo nel prossimo capitolo questo argomento.
Nel corpo razionale Q , per quanto concerne
le potenze
vi sono impotanti novità rispetto a Z .
Possiamo iniziare l’argomento riproponendo , analogamente a quanto fatto in Z ,
le potenze di base razionale ed esponente intero positivo :
dato un qualunque numero razionale a ≠ 0 , e un qualunque n ∈ N ,
62
si pone
n
a = prodotto di n fattori tutti uguali ad a
Per queste potenze valgono le stesse regole formali già evidenziate per quelle di
base intera positiva ( e relativa ) che riproponiamo , designando con a e b due
generici numeri razionali , e con r e s due generici numeri interi positivi :
(6.5)
ar as = a r + s
(7.5)
ar br = (a b) r
(8.5)
(ar)s = ar s
Per quello che riguarda invece le novità di cui abbimo detto sopra , si può comin
ciare con il ricordare che si è introdotto con notazione esponenziale
il reciproco di un numero razionale a denotandolo
a−1
e preludendo in tal modo all’introduzione delle potenze ad esponente negativo .
Osserviamo intanto che , per ogni numero razionale a ≠ 0 , vale la formula
seguente
(∗)
( a−1)2 = ( a2 ) −1
cioè si ha che
il reciproco del quadrato di un numero è il quadrato del suo reciproco
e dimostriamo esplicitamente questo fatto :
a2 ∗ ( a−1)2 = ( a ∗ a−1) 2 = 12 = 1
come volevasi.
Ma la formula (∗) si generalizza subito senza difficoltà alla
63
n
n
( a−1) ) = ( a ) −1 , ∀ n ∈ N .
(∗∗)
La simmetria della formula (∗∗) induce ad introdurre
le potenze di base razionale a ≠ 0 ed esponente intero negativo
ponendo , per definizione ,
a
−n
n −1
= (a )
1
=(a ) =1:a = n , ∀n∈N :
a
−1
n
n
si può quindi dire che è stata acquisita la nozione di
potenza di base razionale a ≠ 0 ed esponente intero relativo
a
z
e anche per queste potenze valgono le stesse proprietà sopra riportate
la cui verifica è lasciata alla diligenza del Lettore .
Si estende la nozione di potenza ammettendo che l’esponente possa essere 0 ,
a condizione però che la base sia rigorosamente un numero razionale a > 0 ,
e ponendo in tal caso
0
a = 1
la ragione di tale definizione apparirà chiara più avanti .
Le tre proprietà formali sopra stabilite valgono anche nel caso che gli esponenti ,
uno o entrambi , possano essere uguali a 0 , con la condizione che
le basi che li sopportano siano numeri positivi .
64
CAPITOLO VI
IL CORPO DEI NUMERI REALI
Paragrafo 1.6). Insufficienza del corpo razionale.
Si consideri una retta orientata r , sulla quale sia fissato un punto O ; si scelga
quindi una unità di misura delle lunghezze u .
Associamo allora ad ogni numero razionale q > 0 quel (ben preciso) punto P
della semiretta positiva di r tale che
la misura del segmento OP sia uguale a q :
si procederà , per la costruzione del segmento OP , nel seguente modo .
Supposto che il segmento AB sia un rappresentante dell’unità di misura u ,
e che il numero razionale q sia rappresentato dalla frazione
m
n
si suddividerà , nel modo noto (v.Figura 1.6) , il segmento AB in n parti di
uguale lunghezza , e di queste parti se ne sommeranno assieme m , ottenendo
così
m
un segmento la cui misura rispetto a u sarà precisamente q =
;
n
quindi
si riporta su r , con l’origine in O , e l’estremo P sulla semiretta positiva di r ,
il segmento OP equiesteso a quello così costruito .
65
Si assocerà, naturalmente lo 0 al punto O , e si completerà la corrispondenza
associando ad ogni numero razionale negativo q < 0
quel punto P della semiretta negativa di r tale che
la sua misura rispetto a u risulti il valore assoluto di q , cioè | q | .
A questo punto , data la “fittezza” dei numeri razionali ( si è visto nel Cap.IV
che il corpo dei numeri razionali risulta denso in sé ) , si avrà l’impressione
visiva che la retta r venga, per così dire , “completamente invasa” dai punti
P che si sono fatti corrispondere nel modo sopra descritto a tutti i numeri del
corpo razionale Q .
Ebbene
questa è un’impressione completamente falsa
e per due motivi , come ora vedremo .
1)° MOTIVO . Se si conviene di chiamare
“ coordinata di P “ il numero razionale cui esso è stato associato ,
resta ancora sulla retta r una infinità di punti privi di coordinata ,
e vediamone un esempio (v. Figura 2.6).
Sia U il punto della semiretta positiva di r tale che il segmento OU sia un
rappresentante dell’unità di misura u :
U avrà naturalmente coordinata uguale a 1
Si consideri allora un quadrato di lato OU , e OD ne sia il segmento diagona
le di origine O . Si riporti ora sulla retta r il punto D’ tale che OD’ sia equi
esteso a OD : dimostriamo allora che
il punto D’ non è fra i punti associati a un numero razionale
66
cioè che
D’, per il momento , è privo di coordinata
La dimostrazione di questo fondamentale fatto avviene per assurdo :
supposto cioè vero il contrario , si proverà che ciò implica contraddizione.
Supporre il contrario equivale a sostenere il fatto che
il segmento OD’ , e quindi anche il segmento OD che gli è equiesteso ,
ha misura razionale rispetto all’unità u :
potremo così porre , per opportuni interi positivi m ed n ,
che possiamo supporre primi fra loro
l’uguaglianza
(1.6)
mis (OD ) =
m
n
Ma il triangolo ODU è rettangolo in U e isoscele sull’ipotenusa OD ,
con entrambi i cateti di misura 1.
Per il Teorema di Pitagora , allora , il quadrato Q costruito sull’ipotenusa OD
risulta avere
area doppia di quelli costruiti su entrambi i suoi cateti
ciascuno dei quali ha area di misura 1
dunque avremmo l’uguaglianza
(2.6)
misQ = 1+1 = 2
D’altra parte , se vale la (1.6) , per la misura dell’area del quadrato Q , di lato
lato OD , si potrà porre anche l’uguaglianza
67
2
misQ
(3.6)
m2
⎛m⎞
= ⎜n⎟ = 2
n
⎝ ⎠
Ora , da (2.6) e (3.6) segue l’uguaglianza numerica in Q
m2
=2
n2
e , da questa , l’uguaglianza numerica in N
m2 = 2 × n2
(4.6)
A questo punto entra in gioco il
Teorema fondamentale dell’Aritmetica di Euclide
secondo il quale dalla (4.6) segue che
il numero intero positivo m è divisibile per 2
e si può dunque porre l’uguaglianza
m = 2 × m1
inserendo la quale nella (4.5) si ottiene la
(5.6)
(2 × m1 ) 2 = 2 2 × (m1 ) 2 = 2 × n 2
dalla quale segue , semplificando per 2 , la
(6.6)
2 × (m1 ) 2 = n 2
e , riapplicando Euclide , si conclude che
anche il numero intero positivo n è divisibile per 2
68
ma questa è
una inaccettabile contraddizione
perché
i due numeri m ed n sono , per ipotesi , primi fra loro ,
e non possono quindi essere entrambi divisibili per 2
come sopra , invece , è risultato :
dunque l’affermazione
il punto D’ non è fra i punti associati a un numero razionale
risulta vera
per il fatto che l’affermazione contraria , cioè
il punto D’ è fra i punti associati a un numero razionale
è risultata falsa
Ma i punti che risultano privi di coordinata razionale sono addirittura infiniti
perché , con un ragionamento analogo a quello effettuato sopra , si dimostra
che
non esiste un numero razionale il cui quadrato sia
qualunque altro numero primo : 3, 5 , 7 , … , p , …
anzi ,
qualunque altro numero che non sia un quadrato perfetto
e , più in generale ancora ,
non esiste un numero razionale la cui n−esima potenza sia
un numero intero che non sia una esatta n−esima potenza
69
per esempio ,
poiché tra 1 e 100 gli unici numeri che sono dei cubi esatti
sono 1 , 8 , 27 , 64
in Q non esistono quelle che chiameremo fra poco
le radici cubiche di 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 9 , … , 26 , 28 , … , 63 , 65 , … , 100
E veniamo al
2)° MOTIVO . In effetti , la carenza rilevata del corpo Q relativa al problema
di esprimere numericamente le misure di tutte le lunghezze ris
petto ad una data unità di misura , è ancora più grave .
Ricordiamo qui una nozione di solito impartita alle Scuole medie :
due segmenti , o anche le rispettive lunghezze , si dicono
fra loro incommensurabili
quando uno di essi non ha misura razionale rispetto all’altro
ad esempio
il lato di un quadrato e la sua diagonale sono fra loro incommensurabili
come sopra si è visto .
Il fatto è che , come si dimostra , fissata una unità di misura u ,
la maggior parte delle lunghezze risultano incommensurabili con u
e questo , rispetto al problema , direttamente collegato a quello della misura
70
delle lunghezze , di
associare a ogni punto di una retta cartesiana una coordinata numerica
si traduce nel fatto che
finché si dispone solo di numeri razionali
la maggior parte dei punti della retta resta senza una sua coordinata
Questa è la principale ragione che ha indotto i Matematici a costruire il
corpo numerico reale R
Paragrafo 2.6). La costruzione del corpo numerico reale R .
I limiti di tempo imposti dalla durata di questo Corso non permettono
di essere rigorosamente formali nella costruzione del
corpo R dei numeri reali
e quindi si procederà soprattutto a porre in luce quelle sue proprietà che lo
distinguono dal corpo dei numeri razionali Q , in virtù delle quali esso as
solve perfettamente all’esigenza posta
di assegnare a ogni punto di una retta cartesiana
una coordinata numerica
e se si dice perfettamente è perché
i numeri reali di cui si disporrà sono tutti e soli i numeri
che occorrono a questo scopo
detto altrimenti
a R non fa difetto alcun numero ,
ma anche
71
non ne contiene alcuno che sia in sovrappiù
sempre rispetto al fine di poter stabilire quella corrispondenza biunivoca fra
i punti di una retta cartesiana r e i numeri di R che prende il nome di
sistema di coordinate rispetto al riferimento cartesiano fissato su r
che consiste , come è noto , in
1)° un punto O , scelto su r , detto origine ;
2)° un orientamento , o verso positivo , della retta stessa ;
3)° una unità di misura delle lunghezze u , o , il che è lo stesso ,
un punto U , sulla semiretta positiva , tale che mis(OU) = 1 .
Abbiamo constatato che
la misura della diagonale di un quadrato rispetto al suo lato
non è esprimibile mediante un numero razionale
tuttavia resta la possibilità di
approssimare con precisione sempre migliore questa misura
servendosi di una successione di numeri razionali :
vediamo proprio l’esempio della misura della diagonale di un quadrato rispet
to al lato :
si constata subito che , i due numeri della coppia
1
,
2
forniscono , della misura in questione ,
il primo una approssimazione per difetto
72
il secondo una approssimazione per eccesso ;
esaminando allora i numeri con una cifra decimale , che sono ovviamente
numeri razionali , compresi fra 1 e 2 , si trova che i due numeri della coppia
1,4
,
1,5
forniscono , della misura in questione ,
il primo una approssimazione per difetto
il secondo una approssimazione per eccesso :
si osservi infatti che risulta
(1,4)2 = 1,96 < 2
(1,5)2 = 2,25 > 2 ;
e
si procede allora all’esame dei decimali compresi fra 1,4 e 1,5 , e si trova
che i due numeri della coppia
1,41
,
1,42
forniscono , della misura in questione ,
il primo una approssimazione per difetto
il secondo una approssimazione per eccesso :
infatti risulta
(1,41)2 = 1,9881 < 2
e
(1,42)2 = 2,0164 > 2 ;
procedendo in modo analogo si trovano le seguenti due successioni , che
riprendiamo dall’inizio , di misure per difetto , a sinistra , e per eccesso ,
a destra , della misura in questione
73
1
,
2
1,4
,
1,5
1,41
,
1,42
1,414
,
1,415
1,4142
,
1,4143
1, 41421
,
1,41422
1,414213
,
1,414214
1,4142135
,
1,4142136
1, 41421356
,
1,41421357
1,414213562
...
,
,
1,414213563
...
il procedimento , teoricamente , può continuare all’infinito : si osservi che
a ogni stadio le due misure per difetto e per eccesso
differiscono di meno rispetto allo stadio precedente
anzi ,
la loro differenza diminuisce al di sotto di qualunque quantità positiva
essendo , allo stadio n − esimo , esattamente
1
10 n
Con ciò , si apre la possibilità di considerare come indicazione numerica
della misura della diagonale di un quadrato rispetto al suo lato , ad esempio,
l’intera successione delle sue misure razionali per difetto
74
simbolicamente indicata con il numero decimale illimitato
1,414213562…
e quindi dire che questo nuovo ente numerico è
il numero reale che fornisce la misura richiesta
e poiché ci si aspetta , del tutto ragionevolmente , che
il quadrato di tale misura risulti uguale a 2 ,
brevemente la si suole indicare con il simbolo
2
che denota quindi un numero reale non razionale , detto perciò ,
irrazionale
Si avrà quindi , per costruzione , che
( 2 )2 = 2
Si dimostra , ma vi facciamo solo cenno , che in tal modo
1)° ogni lunghezza ha una sua misura reale ;
2)° ogni numero reale positivo, pensato come decimale illimitato,
è la misura di una ben precisa lunghezza ;
Resta da precisare come tale insieme di numeri reali , per il momento solo
positivi , ricomprenda l’insieme dei numeri razionali : in proposito ci limi
teremo a ricordare come , nell’ambito dei numeri decimali ,
i numeri razionali sono caratterizzati dall’essere decimali periodici ,
75
considerando tali anche quelli di periodo 0 , che vengono denominati
numeri decimali finiti .
Alle Scuole medie , di solito questo argomento è trattato in modo abbastanza
esauriente .
Costruito in tal modo l’insieme dei numeri reali positivi , che si indica di
solito con il simbolo
R+
si deve dotarlo delle operazioni binarie interne di
somma e prodotto
riservandosi in seguito di estenderle a tutto l’insieme R , che comprenderà lo
0 e tutti i numeri negativi , ciascuno opposto di un numero positivo .
Le operazioni dovranno essere , è ovvio , estensioni di quelle già in atto per
i numeri razionali .
Inoltre bisogna anche introdurre un criterio di ordine per i nuovi numeri ,
che sia naturalmente
una estensione di quello vigente per i numeri razionali.
Cominciamo dalla somma .
Poiché abbiamo enunciato il fatto che , fissata una unità di misura delle lun
ghezze u ,
ogni numero reale positivo è la misura di una ben precisa lunghezza
dati due numeri di R+ , diciamoli a e b , per individuare loro somma
a+b
basta
costruire un segmento che sia la somma , nel senso geometrico ben noto,
76
di due segmenti , uno di misura a , l’altro di misura b :
e quindi assumere la misura della sua lunghezza come il numero
a+b
E’ facile riconoscere che
questa somma , ristretta a Q+ , dà la somma che già conosciamo ;
come non è difficile provare per la somma in R+ le proprietà formali di
associatività
e commutatività
Veniamo al prodotto .
Siano sempre a e b due numeri di R+ .
La semplice costruzione in Figura 3.6 , basa sul teorema di Talete , dimostra
il modo di determinare un segmento la misura della cui lunghezza
sia da assumere , per definizione , come il numero
ab
Anche in questo caso , non è difficile provare
associatività e commutatività
di questo prodotto , come pure la
distributività del prodotto rispetto alla somma
Il fatto poi che , operando con numeri razionali , i risultati
coincidano con quelli che già si ottenevano in Q+ , è del tutto scontato .
Fin da ora si può notare che , come in Q+ ,
77
anche in R+ 1 risulta elemento neutro per il prodotto
Ancora con una costruzione basata sul teorema di Talete ( v. Figura 4.6)
si riconosce che
ogni numero di R+ ha un reciproco rispetto a 1
se il numero in questione è a , il suo reciproco si denota con a−1 ,
e ha la seguente proprietà caratteristica : a a−1= a−1a = 1 .
Veniamo a
l’ordinamento di R+
Il criterio per introdurvi una relazione d’ordine è , almeno teoricamente , ab
bastanza semplice .
Dati due numeri reali distinti di R+ , e siano sempre a e b , si disporrà per
entrambi della espressione decimale , per cui si potrà porre
a = no , n1 n2 n3 … nh …
,
b = mo , m1 m2 m3 … mh …
dove le parti intere no ed mo sono numeri interi positivi o nulli ( i numeri de
cimali che esprimono misure di lunghezze minori di quella unitaria avranno
necessariamente come parte intera lo 0 ) , e
tali possono essere anche i decimali dopo la virgola .
Ebbene , il criterio consiste nel definire , per esempio ,
a minore di b
1)° quando si ha no < mo ;
oppure
2)° quando esiste un indice k , tale da aversi
78
no = mo , n1= m1 , … , nk−1= mk−1
ma
nk < mk
Questo criterio stabilisce un ordinamento totale per R+ , il quale , inoltre ,
se ristretto a Q+ , coincide con l’ordinamento che già vi esisteva .
L’ ordinamento introdotto viene rispettato , nel senso ormai acquisito ,
sia dalla somma che dal prodotto
ma per il prodotto usandosi per il momento solo numeri positivi , cioè di R+ .
A questo punto ,
su di una retta (orientata) cartesiana r , di origine O , e unità di misura u ,
ad ogni punto P della semiretta positiva di origine O , detta anche r+,
è associato il numero reale positivo misura del segmento OP rispetto a u
detto la coordinata di P , o anche l’ascissa di P , su r
e , viceversa ,
ad ogni numero reale positivo , cioè di R+, resta associato il punto P ∈ r+
tale che quel numero reale sia la misura di OP rispetto a u
essendo evidente che
a punti distinti sono associati numeri distinti e viceversa
sicché si è realizzata una corrispondenza biunivoca
r+ → R+
che ora bisogna estendere a tutta la retta : è evidente che occorre anzitutto
79
ampliare l’insieme dei numeri reali con l’introduzione
dello 0 e dei nemeri negativi
che saranno i numeri decimali (infiniti) , periodici e non periodici ,
ai quali viene preposto il segno “ meno” :
così :
1)° l’origine O avrà per coordinata 0 ;
mentre
2)° ad un punto P che appartenga alla semiretta negativa r− di r , verrà
associato il numero costruito premettendo il segno − a quel numero
reale positivo che è la misura del segmento PO .
In tal modo si realizza lo scopo che ci si era proposto , cioè quello di realiz
zare una corrispondenza biunivoca tra la retta cartesiana e l’insieme dei nu
ri reali R , completato come sopra si è visto :
r
→ R
Le operazioni di
somma e prodotto
si estendono senza difficoltà anche ai numeri negativi : in particolare ricordia
mo che per il prodotto vale anche in R
la regola dei segni
secondo la quale
il prodotto di due numeri positivi è positivo
il prodotto di due numeri negativi è positivo
il prodotto di due numeri di segno opposto è negativo
80
per fare qualche esempio ,
(
)
(− 2 ) × 3 = −( 2 × 3 ) = − 2 × 3 = − 6
(− 3 ) × (− 12 ) = ( 3 × 12 ) = 36 = 6
(−π ) × (π ) = −(π × π ) = −π 2
2
2 2
(−π ) × (− ) = (π × ) = π
3
3 3
ecc…
Paragrafo 3.6). La continuità del corpo reale R .
Il corpo reale R ha una proprietà fondamentale
di grande importanza per l’Analisi matematica
la cosiddetta
continuità
proprietà che , invece , il corpo razionale Q non possiede .
Introduciamo l’argomento con il porre alcune definizioni.
Definizione 1.6). Dati due insiemi non vuoti di numeri reali A e B ,
essi si dicono
separati
quando risulta che
a∈A ∧ b∈B ⇒ a < b
Visualizzando i numeri reali come i punti di una retta cartesiana r , si può
81
dire , informalmente , che
A sta completamente a sinistra di B
Gli insiemi A e B sono separati nei seguenti esempi :
1) A è l’insieme dei numeri negativi , B è l’insieme dei numeri positivi ;
2) A = {a : a > 0 ∧ a2 < 2} , B = {b : b > 0 ∧ b2 > 2} ;
3) A = { a : a3 < 4} ,
B = {b : b3 > 4 } .
Gli insiemi A e B, invece , non sono separati nei seguenti esempi :
1’) A è l’insieme dei n.i razionali , B è l’insieme dei n.i irrazionali ;
2’) A = {a : a2 < 2}
3’) A = { q −
,
B = {b : b2 > 2} ;
3 ,∀q∈Q} ,
B={ q +
3 ,∀q∈Q}
Definizione 2.6). Dati due insiemi non vuoti di numeri reali A e B ,
essi si dicono
contigui
quando
per qualunque numero reale ε > 0 che venga fissato
esistono sempre un numero a ∈ A e un numero b ∈ B tali da aversi
b−a<ε
Sempre ricorrendo alla rappresentazione geometrica dei numeri reali , si
può dire che si possono trovare “ punti ” di A e di B
“ vicini quanto si vuole ”
82
Si osservi però che , se A e B dovessero avere un elemento in comune , cioè
se dovesse risultare
A… B ∫«
la contiguità di A e B sarebbe soddisfatta in modo banale : ma
questo non è certo il caso se A e B sono anche separati .
Ed è proprio delle coppie di insiemi di numeri reali che siano al tempo stesso
separati e contigui
che ora ci occuperemo .
Vale in proposito il seguente risultato fondamentale
Proposizione 1.6). Siano A e B due insiemi di numeri reali che siano
separati e contigui :
esiste allora sempre uno e un solo numero reale s tale che risulti
a < s < b , ∀ a ∈ A Ÿ ∀ b ∈ B,
e questo numero s viene detto
l’elemento separatore di A e B
DIMOSTRAZIONE . Si ragiona molto semplicemente per via geometrica.
Se A e B sono visti , al solito , come insiemi di punti
di una retta cartesiana r , questi due insiemi di punti sono precisamente due
insiemi che in Geometria vengono detti
insiemi separati e contigui di punti della retta
per i quali vale il cosiddetto
83
postulato di Dedekind o della continuità della retta
il quale afferma che
due tale insiemi sono sempre separati da uno e un solo punto S
detto il loro punto separatore
Se allora s è il numero reale associato al punto S , cioè la sua coordinata
sulla retta r , è chiaro che s è precisamente il numero di cui nella tesi .
C.V.D.
Poniamo allora subito una definizione , per porre nel maggior risalto possibile
la proprietà sopra stabilita.
Definizione 3.6). In ragione della proprietà del corpo dei numeri reali R sta
bilita dalla Prop. 1.6) , si dice che
il corpo R dei numeri reali è un continuo
o , anche , semplicemente , che R è un corpo continuo .
A questo punto viene spontaneo chiedersi perché si dia tanta importanza a
Tale proprietà , come pure perché
la stessa non è condivisa dal corpo dei numeri razionali Q .
Cominciamo da quest’ultima questione : il corpo razionale Q , in effetti ,
non è continuo
e questo significa che
in Q esistono esempi di sottoinsiemi separati e contigui
per i quali non esiste in Q un elemento separatore
84
si faccia molta attenzione , perché è stato detto in Q : il fatto è che ,
se due sottoinsiemi di Q sono separati e contigui in Q
lo sono certamente anche come sottoinsiemi di R ,
e avranno quindi un numero reale s come loro elemento separatore , solo che
ci sono esempi , e ne vedremo subito uno , per i quali risulta che
questo s è un numero irrazionale , cioè s œ Q .
Prima di considerare l’esempio che rende Q non continuo , diciamo che
la continuità del corpo R è talmente importante che
senza di essa l’Analisi Matematica letteralmente non esisterebbe
E veniamo all’esempio annunciato.
Si considerino i due sottoinsiemi di Q così definiti :
A = { a : a ∈ Q+ Ÿ a2 < 2 } , B = { b : b ∈ Q+ Ÿ b2 > 2 }
Ora dimostreremo che , in Q ( e quindi anche in R ) ,
A e B risultano separati e contigui
ma che
non esiste alcun numero razionale che sia loro elemento separatore
DIMOSTRAZIONE. Che A e B siano non vuoti e separati è immediato .
Ricordiamo , prima di dimostrare che sono contigui , ciò
che si è provato nel Par. 1.5) ( 1)° MOTIVO ) , e cioè che
non esiste alcun numero razionale il cui quadrato sia 2 .
85
Scegliamo allora un qualsiasi numero razionale q > 0 , e un numero a1 ∈ A .
Consideriamo ora la seguente successione di numeri razionali
a1
,
1
1
1
1
a1 + q , a1 + 2 × q , a1 + 3 × q , … , a1 + h × q , …
3
3
3
3
con h che descrive la successione dei numeri interi positivi .
Scegliamo ora un numero b ∈ B : certamente , purché h venga scelto abbas
tanza grande , si avrà che
1
a1 + h × q ≥ b
3
a ciò bastando che risulti
3
h ≥ (b − a1 ) ×
q
e l’ intero h , può diventare ovviamente
maggiore di qualsiasi numero razionale fissato
Se dunque si ha
1
a1 + h × q ≥ b
3
certamente il numero
1
a1 + h × q
3
apparterrà anch’esso a B , e potremo così considerare
il primo intero h1 tale che il numero
1
a1 + h1 × q
3
appartenga a B ;
consideriamo allora il numero , diciamolo r , che precede
86
1
a1 + h1 × e
3
nella successione costruita sopra , cioè
1
r = a1 + (h1 − 1) × q :
3
cosa ne possiamo dire ? Certamente possiamo dire a suo proposito tre cose :
1) r non appartiene più a B ;
2) r è un numero razionale positivo ;
3) r2 ∫ 2 ;
ne deriva immediatamente che
r∈A
Ma allora abbiamo trovato i due numeri
1
1
a1 + h1 × q
a
+
(
h
−
1
)
×
q
1
1
e
3
3
che stanno , rispettivamente , in A e in B , la cui differenza è
1
1 ⎞ 1
⎛
a1 + h1 × q − ⎜ a1 + (h1 − 1) × q ⎟ = q
3
3 ⎠ 3
⎝
che è un numero
minore del prefissato q
donde si conclude che
i due sottoinsiemi A e B di Q sono contigui
Dunque
87
A e B sono sottoinsiemi di Q separati e contigui
ma fra di essi
non esiste alcun numero razionale che sia loro separatore
fatto che si dimostra , per assurdo , così :
se s fosse un numero razionale separatore di A e B
allora
1)
poiché s non sta in A , deve essere s2 £ 2 ;
2)
poiché s non sta in B , deve essere s2 ≥ 2 :
ne seguirebbe che non può che risultare
s2 = 2
ma questo non può essere vero
perché s ∈ Q , e in Q non esiste alcun numero il cui quadrato sia 2
donde la conclusione. C.V.D.
Paragrafo 4.6). Proprietà topologiche del corpo reale R .
La corrispondenza biunivoca
r ↔ R
tra una retta cartesiana r e il corpo dei numeri reali R , di cui si è trattato
nel Par. 3.6) , induce , ogni volta che si considera qualche questione che lo
riguarda , a visualizzare i numeri reali come “ punti della retta r “ , identifi
cando cioè un numero reale con il punto di r di cui esso è “coordinata” , e ad
adottare quindi un linguaggio geometrico che è nella natura delle cose : per
esempio , tutto R viene spesso denominato come “ l’asse reale “ .
88
Ora tratteremo le principali proprietà del corpo R , specialmente quelle che
intervengono nell’ambito della teoria delle funzioni , oggetto primario del
Corso di Matematica Generale .
Poniamo alcune definizioni .
Definizione 4.6). Dato un insieme A di numeri reali , si dice che
A è superormente limitato
quando
esiste un numero reale M tale che si abbia x ≤ M , ∀ x ∈ A ;
se , invece , si ha che ,
fissato un qualunque numero reale M , ∃ x : x ∈ A ∧ x > M ,
si dice che
A è superormente illimitato
Simmetricamente , si dice che
A è inferiormente limitato
quando
esiste un numero reale N tale che si abbia x ≥ N , ∀ x ∈ A ;
mentre , se si ha che ,
fissato un qualunque numero reale N , ∃ x : x ∈ A ∧ x < N ,
si dice che
A è inferiormente illimitato
89
Si dice , infine , che
A è limitato
se , al tempo stesso , si ha che
A è superiormente e inferiormente limitato
Definizione 5.6). Un insieme A di numeri reali si dice
finito
quando ha un numero finito di elementi
in caso contrario si dice che
A è un insieme infinito
Osservazione 1.6). E’ necessario porre attenzione nell’uso della terminologia :
un insieme limitato può essere infinito :
ad esempio , l’insieme dei numeri reali compresi fra 0 e 1 è chiaramente
limitato , ma è anche infinito , poiché contiene infiniti elementi ;
ma certamente ,come si dimostra subito ,
ogni insieme che sia illimitato è infinito
e
ogni insieme che sia finito è limitato
Definizione 6.6). Siano dati due numeri reali a e b , con a < b .
Allora :
1) l’insieme
[ a , b ] = { x : x ∈R ∧ a ≤ x ≤ b }
90
prende il nome di
intervallo chiuso di estremi a e b ;
2) l’insieme
]a,b[={x: x∈R ∧ a<x<b}
prende il nome di
intervallo aperto di estremi a e b ;
3) l’insieme
] a , b ] = { x : x∈ R ∧ a < x ≤ b }
prende il nome di
intervallo di estremi a e b semiaperto a sinistra ;
4) l’insieme
[ a , b [ = { x : x ∈R ∧ a ≤ x < b }
prende il nome di
intervallo di estremi a e b semiaperto a destra :
tutti questi intervalli si chiamano intervalli limitati di numeri reali
Definizione 7.6). Sia a un numero reale qualsiasi . Allora
1) l’insieme
[ a , +∞ [ = { x : x ∈ R ∧ x ≥ a }
prende il nome di
semiretta destra chiusa di origine a
91
2) l’insieme
] a , +∞ [ = { x : x ∈ R ∧ x > a }
prende il nome di
semiretta destra aperta di origine a
3) l’insieme
] −∞ , a ] = { x : x ∈ R ∧ x ≤ a }
prende il nome di
semiretta sinistra chiusa di origine a
4) l’insieme
] −∞ , a [ = { x : x ∈ R ∧ x < a }
prende il nome di
semiretta sinistra aperta di origine a :
assieme a tutto R , che in questo contesto si designa come “ l’asse reale” ,
ricorrendo anche con il simbolismo
R = ] −∞ , +∞ [
tutti questi insiemi si chiamano intervalli infiniti di numeri reali
Osservazione 1.6). E’ evidente che , adottando il linguaggio geometrico di cui
sopra si è detto ,
gli intervalli finiti corrispondono a dei segmenti
eventualmente privi di uno , o di entrambi gli estremi , mentre
92
gli intervalli infiniti corrispondono a semirette destre o sinistre
anch’ esse eventualmente prive dell’origine , salvo il caso di tutto R , che cor
risponde all’intera retta r ( l’asse reale ) .
Definizione 7.6). Sia x0 un numero reale , o , se si vuole , un punto dell’asse
reale . Dato allora un qualsiasi numero reale ε > 0 ,
l’intervallo aperto
] x0 − ε , x0 + ε [
prende il nome di
intorno circolare ( aperto ) di centro x0 e raggio ε
e viene denotato con il simbolo
I( x0 ; ε )
Definizione 8.6). Dato un qualunque x0 ∈ R , si dice
intorno di x0
qualsiasi insieme che contenga un intorno circolare di x0
Definizione 9.6). Sia A un insieme di numeri reali , e c sia un punto dell’as
se reale appartenente o non appartente ad A : ebbene
il punto c si dice un punto di accumulazione per l’insieme A
se ,
fissato ad arbitrio un numero ε > 0
nell ’intorno I( c ; ε ) di x0 esiste (almeno) un punto x di A diverso da c
e questo
per quanto piccolo venga scelto il numero positivo ε .
93
Osservazione importante 2.6). In base alla precedente
fondamentale definizione
è agevole verificare che
dato un qualunque intervallo finito I di estremi a e b ,
i punti di accumulazione per I
sono tutti e soli i punti dell’intervallo chiuso [ a , b ] ;
data una qualunque semiretta S di numeri reali , di origine a ,
i punti di accumulazione per S
sono tutti e soli i punti di S più il punto a (che appartenga o no a S ) ;
è infine ovvio che per l’intero asse reale R ,
ogni suo punto è per esso un punto di accumulazione
Meno facili da dimostrare , ma importanti da ricordare , sono i seguenti fatti:
1) Il sottoinsieme Q del corpo reale R
ha come suoi punti di accumulazione tutti i punti di R
2) Il sottoinsieme R − Q dei numeri irrazionali , complementare di Q ris
petto a R ,
ha come suoi punti di accumulazione tutti i punti di R
E’ invece immediato constatare che per Z , e quindi anche per N ,
non esiste alcun punto di accumulazione
Trovi , per esercizio , il lettore i punti di accumulazione degli insiemi
A = { n−1 , ∀ n ∈ N}
;
B = { r−1 , ∀ r ∈ Q }
94
Definizione 10.6). Dato un qualunque insieme ( non vuoto ) di numeri reali
A
un numero E si dice
estremo superiore per A ( o anche di A )
se si verificano entrambe le seguenti circostanze :
1) vale l’implicazione
x∈A ⇒ x≤E ;
2) comunque si fissi un numero reale ε > 0
esiste sempre almeno un elemento x appartenente ad A tale che sia
E−ε < x ≤ E
e questo per quanto piccolo venga scelto il numero positivo ε .
Simmetricamente , un numero e si dice
estremo inferiore per A ( o anche di A )
se si verificano entrambe le seguenti circostanze
1) vale l’implicazione
x∈A ⇒ x ≥ e ;
2) comunque si fissi un numero reale ε > 0
esiste sempre almeno un elemento x appartenente ad A tale che sia
95
e ≤ x <e+ε
e questo per quanto piccolo venga scelto il numero positivo ε .
A proposito delle nozioni appena definite vale una importante circostanza
stabilita dalla seguente
Proposizione 1.6). Se l’insieme A ammette un estremo superiore E ( un es
tremo inferiore e )
esso ne ammette uno solo
DIM. Vediamo il caso dell’estremo superiore : per l’estremo inferiore si ra
giona in modo del tutto analogo. La dimostrazione si ottiene riducendo
all’assurdo l’ipotesi contraria , cioè che A possa ammettere due estremi su
periori distinti E’ ed E’’. Supponiamo , ad esempio , che sia E’ < E’’ .
Se , dunque , così fosse , nell’intervallo
] E’ , E’’]
non potrebbe cadere alcun punto x di A
in quanto cadrebbe a destra di E’ , cosa impossibile , per la prima proprietà
di E’ , supposto estremo superiore di A ;
ma questo fatto contraddice , d’altra parte , la seconda proprietà di E’’, sup
posto anch’esso estremo superiore di A , in quanto , posto E’’ − E’ = ε > 0 ,
non esisterebbe alcun punto x di A tale che
E’’− ε = E’’− (E’’ − E’) = E’ < x ≤ E’’
donde la conclusione . C.V.D.
A seguito della Prop.1.6) si pone la seguente
Definizione 11.6). Dato l’insieme A , se esso ammette come estremo superio
re il numero E , si dirà che
96
E è l’estremo superiore di A
e , per denotarlo , si userà il simbolo
sup( A )
Simmetricamente , se A ammette il numero e come estremo inferiore , si
dirà che
e è l’estremo inferiore di A
e , per denotarlo , si userà il simbolo
inf( A )
Si completa poi la nomenclatura dicendo che
se A è superiormente illimitato il suo estremo superiore è +∞
e ponendo
sup( A ) = +∞
e,
se A è inferiormente illimitato il suo estremo superiore è −∞
ponendo
inf( A ) = −∞
Il corpo reale R ha una assai notevole proprietà , per la quale si distingue net
tamente dal corpo razionale Q , precisamente a proposito delle nozioni sopra
poste di
estremo superiore ed estremo inferiore
di un insieme .
Proposizione 2.6). Sia A un insieme non vuoto di numeri reali . Allora si ha
che
se A è superiormente limitato , esso ha estremo superiore finito sup(A)
97
e che
se A è inferiormente limitato , esso ha estremo inferiore finito inf(A)
DIM. La dimostrazione di tale fatto è fondata sulla proprietà della
continuità del corpo reale R
ed è proprio per questo che il corpo razionale Q non la condivide . Invece di
inoltrarci in una dimostrazione dell’enunciato , vediamo un esempio che pone
in rilievo questa profonda differenza fra le due strutture di Q e di R .
ESEMPIO. Sia
A = { a : a ∈ Q+ ∧ a2 < 2 }
Già sappiamo che A è il primo di una coppia di insiemi di numeri razionali
separati e contigui
il secondo insieme essendo
B = { b : b ∈ Q+ ∧ b2 > 2 }
Sappiamo anche che , essendo anche insiemi di numeri reali ,
esiste in R un elemento separatore s fra A e B
e che
questo s non è un numero razionale , perché s2 = 2 ,
ma in Q non esiste alcun numero il cui quadrato sia uguale a 2 :
ebbene , questo numero s , reale irrazionale , è quello che si è convenuto di
indicare con
2
98
e risulta essere chiaramente
l’estremo superiore dell’insieme A
avendone entrambe le proprietà :
1) risulta certamente s > a , ∀ a ∈ A ;
2) a sinistra di s vi sono numeri a di A vicini a s quanto si vuole : si pen
si all’approssimazione per difetto di s mediante numeri decimali a suo
tempo illustrata .
L’esistenza di estremo superiore ed inferiore per gli insiemi di numeri reali
è di estrema importanza , e verrà in seguito posta sempre meglio in evidenza.
Paragrafo 5.6). Le potenze di base reale ed esponente razionale .
La generalizzazione della nozione di potenza , che fino ad ora
prevedeva soltanto potenze di esponente intero relativo , si può effettuare :
si introducono , per il momento ,
potenze di esponente razionale
ma , già per queste ,
ci si deve limitare a potenze di base non negativa
e questo per non andare incontro a insanabili contraddizioni , come si vedrà
su espliciti esempi .
Inizieremo con potenze di esponenti razionali del tipo
r=
Già si è preso in considerazione il caso
1
n
r=
1
, parlando della radice qua
2
99
drata del numero 2 : in quel caso si erano costruite
due successioni separate e contigue di numeri razionali
il cui elemento separatore si era assunto come il numero 2
numero che verrà fra poco denotato con il simbolo
2
1
2
Si era messo in luce , in quell’occasione , che con analoga procedura si
poteva definire
n , ∀ n∈N,
sicché i numeri del tipo
n
1
2
possono darsi per acquisiti.
Consideremo però almeno un esempio , analogo a quello di
si voglia : vediamo la costruzione del numero reale
3
4
o
4
1
2
2 , o 2 che dir
1
3
Si verifica con una calcolatrice scientifica che le due successioni dei valori
approssimati per difetto ( colonna a sinistra ) e quella dei valori approssimati
per eccesso ( colonna a destra ) di questo numero reale sono
1
1.5
1.58
1.587
1.5874
1.58740
1.587401
,
,
,
,
,
,
,
2
1.6
1.59
1.588
1.5875
1.58741
1.587402
100
1.5874010
1.58740105
1.587401051
…
,
,
,
,
1.5874011
1.58740106
1.587401052
…
Ribadiamo a questo punto il concetto che il numero reale di cui parliamo
consiste esattamente nello sviluppo decimale illimitato
dei valori per difetto ( colonna di sinistra )
il quale , teoricamente , e’ rigorosamente definito , benche’ praticamente non
si richiede la conoscenza esatta delle sue cifre molto lontane ( nella Scienza
applicata , del resto , a cosa servirebbero ?)
Ora si deve generalizzare la costruzione delle potenze di esponente razionale
sempre del tipo
1
r=
n
assumendo come base un numero razionale positivo
s=
h
k
Con
h>0
e k > 0
La definizione e’ del tutto logica : si pone
1
n
sr = s =
h
k
1
n
1
n
e tale definizione e’ lecita , perché , come non e’ difficile verificare , il valore
a secondo membro
non dipende affatto
dalla particolare rappresentazione del numero razionale
101
s=
h
k
vale a dire , scegliendo per s un’altra espressione frazionaria ,
la formula definitoria per la potenza fornisce sempre lo stesso valore .
Passiamo alla definizione di potenza di base razionale ed esponente razionale
per il momento positivo qualsiasi , non più solo del tipo più semplice
1
n
r=
Consideriamo dunque due qualsiansi numeri razionali positivi
s=
h
k
r=
m
n
e
ove si suppone
h>0
,
k>0
m>0
,
,
n>0 :
si definisce la potenza
sr
ponendo
1
n
s = (s ) m
r
ancora osservando che
la definizione e’ ben posta , vista la sua indipendenza
102
dalla particolare rappresentazione del numero razionale esponente
r=
m
n
di verifica agevole .
Si completa la definizione di
potenza di base razionale negativa ed esponente razionale non negativo
definendo
1°)
s0 = 1 , ∀ s ∈ Q+ ;
2°)
0r = 0 , ∀ r ∈ Q+ ;
La prima definizione apparirà chiara più avanti , con la teoria dei limiti ; la se
conda e’ del tutto ovvia .
E’ possibile definire la nozione di
potenza di base razionale positiva ed esponente razionale negativo :
dato un qualsiasi numero razionale positivo s ,
e un qualsiasi numero razionale negativo r
si definisce la potenza di base s ed esponente r ponendo
sr =
che ha senso , poiché
1
s −r
− r ∈ Q+
103
e quindi ci si rifà alle definizioni precedenti .
Ora bisogna acquisire la nozione di
potenza di base reale non negativa .
Cominciamo con il caso della
potenza di base reale maggiore di 1 e di esponente razionale positivo
Definizione 12.6). Consideriamo
un qualsiasi numero reale a > 1
e
un qualsiasi numero razionale positivo q
Sia
no , n1 n2 n3 . . .
la rappresentazione decimale approssimante a per difetto ,
e
mo , m1 m2 m3 . . .
la rappresentazione decimale approssimante a per eccesso .
Per ogni intero non negativo
k
i due numeri
e
rk = no , n1 n2 n3 . . . nk
s k = mo , m1 m2 m3 . . mk
sono numeri razionali maggiori di 1
104
e , per le due successioni di numeri
r1 , r2 , r3 , . . . , rk , . . .
e
risulta
s1 , s2 , s3 , . . . , sk , . . .
(1<) r1 < r2 < r3 < . . . < rk < . . . sk < . . . < s3 < s2 < s1
per cui si avrà
(r1) q < (r2) q < (r2) q < . . . < (rk) q < . . . < (sk ) q < . . . < (s3 ) q < (s2 ) q < (s1) q
e questo consente di affermare che
i due insiemi di numeri reali aventi per elementi
(r1) q , (r2) q , (r2) q , . . . , (rk) q , . . .
e , rispettivamente ,
(s1) q , (s2 ) q, (s3) q , . . . , (sk ) q , . . .
sono insiemi separati
ma la cosa più importante , che puntualmente si dimostra ,
ma che noi solo enunciamo ,
è che questi due insiemi sono anche contigui
poiché si prova precisamente che
la differenza (sk ) q − (rk) q può diventare minoredi qualunque numero
reale positivo ε > 0 assegnato , purchè k sia abbastanza grande :
105
ne segue che esiste un
esiste un ben preciso numero reale σ che è l’elemento separatore
dei due insiemi sopra costruiti , risultando così
(r1)q < (r2)q< (r2)q < . . . < (rk)q < . . . < σ < . . .< (sk )q < . . . < (s3 )q < (s2 )q < (s1)q
sarà quindi perfettamente adeguato assumere , per definizione ,
aq =σ
e questo perché
r1 , r2 , r3 , . . . , rk , . . .
e
s1 , s2 , s3 , . . . , sk , . . .
approssimano sempre meglio a , al crescere di k , e , d’altra parte ,
(r1) q , (r2) q , (r2) q , . . . , (rk) q , . . .
e
(s1) q , (s2 ) q, (s3) q , . . . , (sk ) q , . . .
approssimano sempre meglio σ , sempre al crescere di k .
Acquisita così la nozione di
potenza di base reale a > 1 e di esponente razionale positivo
si completa la definizione assumendo
1°)
se è q < 0 , e a > 1 ,
106
aq =
1
a−q
2°) se è 0 < a < 1 , e q ≠ 0 ,
a q = (a −1 ) − q
(si osservi che 0 < a < 1 ⇒ a−1 > 1, per cui si torna a Def. 12.6 , o a 1°) )
3°)
a 0 = 1 , ∀ a ∈ R+ ;
4°)
0 q = 0 , ∀ q ∈ Q+ ;
Riassumiamo la situazione :
è stata definita finora la nozione di
potenza di base reale positiva qualunque ed esponente razionale qualunque
cioè
a questo punto si conosce il significato del simbolo
a q , ∀ a ∈ R+
∧ ∀q∈Q ;
inoltre , è stata definita la
potenza di base reale 0 ed esponente razionale positivo qualunque
e precisamente si è posto
a 0 = 1 , ∀ a ∈ R+ ,
preannunciando che
107
la ragione di questa definizione si comprenderà nel seguito
Resta dunque da acquisire la nozione di
potenza di base reale positiva ed esponente reale irrazionale qualunque
cioè bisogna dare significato al simbolo
∧ ∀α ∈R−Q ;
a α , ∀ a ∈ R+
Cominceremo con il caso in cui è
a >1
α >0
e
Consideriamo allora gli sviluppi decimali ( illimitati non periodici) del
numero irrazionale α
rispettivamente per difetto , e per eccesso ,
r1 , r2 , r3 , . . . , rk , . . .
e
s1 , s2 , s3 , . . . , sk , . . .
Poiché
rk ∈ Q
∧ sk ∈ Q , ∀ k ∈ N ,
sono ormai ben definite le potenze
a rk
e
a sk
per ogni k ∈ N :
si dimostra quindi che i due insiemi ( di numeri reali positivi )
r
{a k , ∀ k ∈ N }
e
s
{a k , ∀ k ∈ N }
108
risultano separati e contigui
nel caso attuale , cioè con a > 1 , essendo
r
{a k , ∀ k ∈ N }
se , allora
a sinistra di
s
{a k , ∀ k ∈ N } :
σ è il loro elemento di separazione
del tutto logicamente si assume , per definizione ,
aα = σ
Se è
a =1
si pone ovviamente
1α = 1 ;
mentre si estende la nozione di potenza con base a positiva , ma minore di 1 ,
ponendo
a α = (a−1) α
si osservi che
0 < a < 1 ⇒ a−1 > 1
sicché , per quanto precede ,
il secondo membro ha un ben preciso significato .
Il caso dell’esponente ( irrazionale ) negativo si risolve facilmente ponendo
aα =
1
a −α
109
Restano , infine , da verificare le proprietà formali delle potenze , già menzio
nate in precedenza per le potenze in N , Z , Q . Tale verifica viene lasciata ,
come utile esercizio , alla diligenza del Lettore ; ci limitiamo perciò ad elen
care queste proprietà nella versione più semplice del prodotto di due potenze
…ecc.
(1) a α × a β = a α +β ;
(2) a α × b α = ( a × b) α ;
α β
a×β
(3) (a ) = a
110
CAPITOLO VII
LE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
Paragrafo 1.8). La nozione di funzione reale di una variabile reale .
Definizione 1.8). Dati due sottoinsiemi non vuoti di numeri reali D e C ,
qualsiasi corrispondenza f la quale
associa a ogni elemento di D uno e uno solo elemento di C
prende il nome di
funzione reale univoca di una variabile reale
di dominio D e codominio C
e si usa , per denotarla in breve , il simbolo
f : D→C
Di norma l’attributo univoca è sottointeso , poiché la considerazione di fun
zioni plurivoche sarà a puro titolo di esempio .
Se x è un qualsiasi elemento di D , l’elemento che f associa a x si denota
con il simbolo
f (x)
111
e si dice
il valore di f in x o anche l’immagine di x tramite f
Il sottoinsieme di C ∀
{ f (x) , ∀ x ∈ D}
cioè l’insieme dei valori che f assume in D , prende il nome di
Immagine di f
e viene denotato con uno dei simboli seguenti
Im ( f )
Se risulta
o
f (D)
f (D) = C
la funzione f si dice
suriettiva
Se f soddisfa alla proprietà seguente
∀ x1∈ D Ÿ ∀ x2 ∈ D Ÿ x1 ∫ x2
fl f (x1) ∫ f (x2)
la funzione f viene detta
iniettiva
Se , poi , f risulta al tempo stesso iniettiva e suriettiva , f viene detta
biiettiva o biunivoca
Se D’ è un sottoinsieme non vuoto di D , la funzione , di dominio D’ e codo
minio C , che ad ogni elemento x’ di D’ associa il valore f (x’) di f in x’,
prende il nome di
restrizione di f a D’
e si denota con il simbolo
112
nel contempo
f |D’ : D’ → C
f viene detta un prolungamento di f |D’ a D
La nozione di funzione comprende quelle di
dominio , codominio , e legge di corrispondenza :
si osservi che se
f : D→C
non è suriettiva , il codominio può essere ristretto , fino a ridursi anche solo a
Im( f )
senza che la legge di corrispondenza venga minimamente alterata ; teoricamen te ,
tuttavia , due funzioni che abbiano uguale dominio , valori coincidenti in
ogni elemento di esso , ma codomini diversi , andrebbero considerate come og
getti distinti .
E’ usuale denominare l’elemento generico x che descrive il dominio D della
funzione
f : D→C
con il termine di
variabile indipendente
mentre il valore f (x) , che f associa a x , e che varia in genere al variare di
x , viene detto
la variabile dipendente
Le leggi di corrispondenza che instaurano funzioni possono essere della più
svariata natura . Quelle che si incontrano più spesso , tuttavia , consistono in
genere in una successione di calcoli analiticamente formulati che conducono da x
a f (x) : ad esempio
f ( x) = 2 x 2 − 3 x + 1
113
o
f ( x) =
oppure
f ( x) =
x2 − 2x + 3
21+x − 1
log( x + 3)
4
x2 − 1
Non bisogna però pensare che la regola per il calcolo di f (x) sia affidata ad
una formula unica valida per ogni x : sono infatti abbastanza frequenti le così
dette
definizioni composite o definizioni a tratti
di una funzione , come nel seguente esempio :
f (x) = x − 1 , per x < 0 ,
e
f (x) = x + 1 , per x > 0 ;
si definisce in tal modo una funzione il cui dominio risulta R − {0} , ma con
una formula vigente in R+ , e un’altra , diversa , vigente in R−
Quando viene assegnata una formula per il calcolo del valore di una funzione ,
normalmente la prima indagine che si esegue è quella di individuare l’insieme
degli x a partire dai quali il computo da effettuare può essere condotto a buon
fine , senza incontrare ostacoli oltre i quali non è possibile procedere :
prendendo il primo degli esempi sopra proposti
f ( x) = 2 x 2 − 3x + 1
e ricordando che
non esiste la radice quadrata di alcun numero reale negativo
bisognerà limitarsi a considerare solo quegli x per cui risulta
114
2 x2 − 3 x + 1 ¥ 0 :
ecco come sorge in modo assai naturale il problema di
risolvere una disequazione ;
nel nostro caso le soluzioni della disequazioni costituiscono l’insieme
D = ] −∞ , 1] ∪ ] 2 , +∞ [ :
si osservi che si tratta del complementare , rispetto a R , dell’ intervallo aperto
]1 , 2[
Si può dunque affermare che , stando alla formula assegnata ,
il dominio massimale della funzione è D
Questo non esclude affatto la possibilità di contrarre questo insieme a un suo
sottoinsieme proprio : per qualche ragione possono non interessare , ad esempio,
i numeri minori di
3
2
e quindi assegnare la stessa formula per il calcolo , ma restringendo la funzione
a
3
D’ = [
2 , 2]
3
pur restando eseguibile il calcolo anche per valori minori di
, e maggiori di
2
1.
115
Paragrafo 2.8). La rappresentazione grafica di una funzione
Definizione 2.8). Sia data una funzione
f : D→C
e si consideri un piano nel quale sia stato fissato un
sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxy
Allora l’insieme dei punti del piano cartesiano
{P (x , f (x)) , ∀ x ∈ D }
Prende il nome di
grafico , o diagramma , della funzione f
e si indica il più delle volte con il simbolo
G( f )
Osservazione importante . La disponibilità del grafico di una funzione è , di
norma , conseguente ad un accurato studio della
funzione stessa :
si deve determinare il suo dominio , i sottodomini di positività e di negatività ,
quelli di crescenza e di decrescenza , ecc…
Comunque , anche se il grafico di una funzione viene fornito assieme alla fun
zione stessa , esso è di grande utilità , in quanto permette
una visione complessiva dell’andamento della funzione
mettendo in evidenza le sue proprietà sia globali che locali
come , ad esempio , se si tratta di una funzione limitata o no , gli eventuali com
portamenti asintotici , sia al finito che all’infinito , i suoi eventuali massimi e
116
minimi relativi , o assoluti , ecc…
Si può certamente affermare che , a livello undergraduate ,
l’abilità più importante da acquisire è quella di
saper disegnare con precisione il grafico di una data funzione
Paragrafo 3.8). Estremi di una funzione . Funzioni limitate .
Definizione 3.8). Sia data una funzione
f : D→C
Si dice
estremo superiore di f in D
l’estremo superiore dell’insieme f (D) dei valori che f assume in D
e , per denotarlo , si usano simboli del tipo
sup {f (x) , ∀ x ∈ D} , sup f ( x) , sup f (D) , sup( f )
x∈D
Simmetricamente , si dice
estremo inferiore di f in D
l’estremo inferiore dell’insieme f (D) dei valori che f assume in D
e , per denotarlo , si usano simboli del tipo
inf {f (x) , ∀ x ∈ D}
f ( x) ,
, inf
x∈D
inf f (D) , inf( f )
Osservazione importante . In base alle definizioni di
117
estremo superiore ed estremo inferiore
( vedi Cap.VI ) , ad esempio , dire che
il numero E è l’estremo superiore della funzione f : D → C
significa precisamente che si verificano al tempo stesso i due fatti seguenti :
1)° risulta f (x) ≤ E , ∀ x ∈ D ;
2)° fissato un qualunque numero ε > 0 ,
esiste in D almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza
E−ε < f (x) ( ≤ E )
(1)
Simmetricamente dire che
il numero e è l’estremo inferiore della funzione f : D → C
significa precisamente che si verificano al tempo stesso i due fatti seguenti :
1)° risulta e ≤ f (x) , ∀ x ∈ D ;
2)° fissato un qualunque numero ε > 0 ,
esiste in D almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza
(2)
( e ≤ ) f (x) < e + ε
Si osservi che , se E ( risp. e ) non appartiene a f (D), allora di punti x soddis
facenti la (1) ( risp. (2)) , per ogni ε fissato ,
ne esisteranno addirittura infiniti
A completamento dell’ osservazione , prendiamo in considerazione anche il ca
so in cui l’estr. sup. di f in D è +∞ , e quello in cui l’estr. inf. di f in D è −∞.
118
Si dirà , precisamente , che
+∞ è l’estremo superiore di f : D → C
quando
fissato un qualunque numero M
esiste sempre almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza
f (x) > M
(3)
Mentre si dirà che
−∞ è l’estremo inferiore di f : D → C
quando
fissato un qualunque numero M
esiste sempre almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza
f (x) < M
(4)
Notiamo che , nei casi in cui l’estr. sup. (rispettivamente , estr. inf.) di f in D
è un numero reale che non appartiene a f (D)
oppure nei casi in cui
l’estr. sup. di f in D è +∞
oppure
l’estr. inf. di f in D è −∞
in effetti di punti x che soddisfano , rispettivamente , alle
(1) , (2) , (3) , (4)
ne esistono , per ogni ε > 0 fissato , nei primi due casi , e per ogni M fissato ,
nei secondi due ,
addirittura infiniti
119
Si pongono allora le seguenti definizioni.
Definizione 4.8). La funzione f : D → C si dice
superiormente ( inferiormenete ) limitata
quando
l’insieme Im( f ) = f (D) è superiormente ( inferiormente ) limitato
La funzione f : D → C si dice poi
limitata
quando
l’insieme Im( f ) = f (D) è limitato
Osservazione . E’ chiaro , in base alle definizioni sopra poste , che
una funzione è sup. limitata se e solo se sup( f ) è un numero reale ;
una funzione è inf. limitata se e solo se inf( f ) è un numero reale ;
una funzione è limitata se e solo se
sia sup( f ) che inf( f ) sono numeri reali
Nel caso in cui f : D → C è limitata si ha che , posto
sup( f ) = E ∈ R e inf( f ) = e ∈ R
si avrà che
e ≤ f (x) ≤ E , ∀ x ∈ D ,
120
detto altrimenti
Im( f ) = f (D) è porzione dell’intervallo finito [ e , E ]
e , ovviamnte , se ciò accade , f : D → C è limitata .
Definizione 5.8). Se la funzione
f : D → C è limitata
posto
sup( f ) = E ∈ R e inf( f ) = e ∈ R
il numero reale
ω = E−e
prende il nome di
oscillazione di f in D
Definizione 6.8). Si dice che la funzione
f : D → C ammette ( in D) minimo assoluto
se f è inferiormente limitata e il numero inf( f ) = e ∈ Im( f ) = f (D)
cioè
se esiste in D ( almeno ) un numero xo tale che f (xo) = e
e si pone in tal caso
min( f ) = e
Simmetricamente si dirà che la funzione
f : D → C ammette ( in D) massimo assoluto
se f è superiormente limitata e il numero sup( f ) = E ∈ Im( f ) = f (D)
121
cioè
se esiste in D ( almeno ) un numero xo tale che f (xo) = E
e si pone in tal caso
max( f ) = E
Paragrafo 4.8). Funzioni notevoli . Funzioni somma , prodotto , differenza
e quoziente . Funzioni composte
La prima , e più importante , funzione reale ( di una variabile
reale , precisazione che verrà omessa nel seguito se risulta chiara dal contesto)
è la cosiddetta
funzione identica , o funzione - identità
definita ponendo
f (x) = x , ∀ x ∈ R ,
e denotata spesso con il simbolo
idR : R ↔ R
la doppia freccia essendo dovuta al fatto che tale funzione è ovviamente
una funzione iniettiva e suriettiva , cioè biunivoca
Quando tale funzione viene ristretta a un sottoinsieme D di R , la si indica con
il simbolo
idD : D ↔ D
Alcuni Autori denotano la funzione identica con il simbolo
X
per cui si avrà
X(x) = x ,∀x∈R,
Questa funzione prende spesso il nome di
122
variabile indipendente
Date due funzioni
f:D→C
e
g : D → C’
si possono costruire altre funzioni , con lo stesso dominio D ( e codominio di
volta in volta adatto ) :
1) la funzione , indicata con il simbolo
f+g
definita ponendo
(f + g) (x) = f (x) + g(x) , ∀ x ∈ D
prende il nome di
funzione somma di f e di g
2) la funzione , indicata con il simbolo
f−g
definita ponendo
(f − g) (x) = f (x) − g(x) , ∀ x ∈ D
prende il nome di
funzione differenza di f e di g
3) la funzione , indicata con il simbolo
f g
definita ponendo
123
(f g) (x) = f (x) g(x) , ∀ x ∈ D
prende il nome di
funzione prodotto di f e di g
4) se , in D la funzione g non acquista mai il valore 0 , si puòdefinire la funzio
ne , indicata con il simbolo
f
g
definita ponendo
f
f ( x)
( x) =
g
g ( x)
, ∀x∈D,
prende il nome di
funzione quoziente di f e di g
Naturalmente , in quest’ultimo caso , restringendo il dominio delle funzioni
al sottoinsieme D’ di D nel quale la funzione g non si annulla , si può defi
nirvi la funzione quoziente di f e di g .
Un’altra nozione , di fondamentale importanza , è quella di
funzione composta di due funzioni f e g
Dedicheremo a questo concetto una apposita
Definizione 7.8). Siano
f:D→C
e
g : D’ → C’
due funzioni , e si abbia l’inclusione insiemistica
124
Im( f ) ⊆ D’
In tali ipotesi si può costruire una nuova funzione , indicata con il simbolo
gof
e denominata
funzione composta di prima componente f e seconda componente g
definita come segue :
(g o f ) (x) = g ( f (x)) , ∀ x ∈ D ,
Si osservi che la correttezza di questa definizione è essenzialmente dovuta al
l’ipotesi
Im( f ) ⊆ D’
senza la quale non si potrebbe calcolare g in corrispondenza al valore f (x) ,
che appartiene ad Im( f ) .
Paragrafo 5.8). Funzioni invertibili e loro funzioni inverse.
Definizione 8.8). Una funzione
f:D→C
si dice
funzione invertibile
precisamente quando
f è una funzione biunivoca , cioè iniettiva e suriettiva .
In tale ipotesi si può costruire una funzione , denotata con il simbolo
125
f −1
e detta
la funzione inversa di f
avente per dominio C e per codominio D
ponendo
f −1( y ) = x : x ∈ D ∧ f (x) = y
E’ importante rendersi conto dei due seguenti fatti :
1°) l’elemento x che la definizione associa a un dato y ∈ C
certamente esiste , perché f è per ipotesi suriettiva
2°) l’elemento x di cui sopra
è anche univocamente determinato da y
perché , essendo f iniettiva , non possono esistere 2 diversi elementi
x’ e x’’ appartenenti a D con f (x’) = f (x’’) = y
in tal modo la funzione inversa di f
f −1 : C → D
risulta perfettamente definita .
Vediamo ora le proprietà della funzione inversa di una funzione invertibile .
Proposizione 1.8). Sia
f :D→C
una funzione invertibile , e
126
f −1 : C → D
la funzione inversa di f .
Allora esistono entrambe le funzioni
f −1 o f : D → D
f o f −1 : C → C
e
e si hanno le seguenti importanti identità funzionali
f −1 o f = idD : D ↔ D
f o f −1 = idC : C ↔ C
e
DIM. Infatti , come è immediato verificare , risulta
( f −1 o f ) (x) = f −1 (f (x)) = x , ∀ x ∈ D ,
e
( f o f −1) (y) = f ( f −1(y) ) = y , ∀ y ∈ C .
Osservazione. Si è visto sopra che la funzione f −1 inversa di una funzione
invertibile
f :D→C
composta nei due modi possibili con la f stessa dà le funzioni identiche
f −1 o f = idD : D ↔ D
e
f o f −1 = idC : C ↔ C
Ebbene , si può verificare , viceversa , che
una funzione che si comporti allo stesso modo
necessariamente coincide con f −1 : C → D .
127
Osservazione importante . Posta la nozione di funzione composta , si può
accedere a una importante notazione di una qualsiasi
funzione reale
f :D→C
Se , infatti X denota la funzione identica ristetta a D , cioè
X = idD : D ↔ D
allora è chiaramente possibile comporre , nell’ordine , le due funzioni
X
e
f
costruendo la funzione
foX: D→C :
è immediato verificare quindi che si ha l’identità
foX=f
in base alla quale , con un lieve adattamento simbolico , si giunge alla nota
zione
f (X) per indicare la funzione f
e questa notazione sarà ripresa trattando delle funzioni di due variabili.
128
CAPITOLO VIII
LE FUNZIONI REALI DI PIU’ VARIABILI REALI
Paragrafo 1.8). Le funzioni reali di due variabili reali .
L’introduzione di questo concetto segue un procedimento
analogo a quello seguito per porre la nozione di funzione di una variabile
reale .
Avvertiamo subito che , come nel caso di una variabile , ci si interesserà
quasi unicamente di
funzioni univoche , cioè ad un solo valore ,
per cui l’attributo univoca(o,ci,che) sarà di norma sottointeso .
Definizione 1,7). Dato un qualsiasi
(sotto) insieme D dell’insieme delle coppie ordinate di numeri reali R
R × R = R2
e un qualsiasi
(sotto) insieme C di numeri reali R
qualunque corrispondenza F la quale
associa a ogni elemento di D uno e uno solo elemento di C
prende il nome di
funzione reale (univoca) di due variabili reali
di dominio D e codominio C
129
e si usa , per denotarla in breve , il simbolo
F : D→C
Se
(x , y) è un qualsiasi elemento di D ,
l’elemento che F associa a (x , y) si denota con il simbolo
F (x , y)
e si dice
il valore di F in (x , y) o anche l’immagine di (x , y) tramite F
Il sottoinsieme di C
{ F(x , y) , ∀ (x , y) ∈ D}
cioè l’insieme dei valori che F assume in D , prende il nome di
Immagine di F
e viene denotato con uno dei simboli seguenti
Im(F)
o
F(D)
Tra le funzioni (reali) di 2 variabili (reali) segnaliamone subito due :
1a) . E’ la funzione denotata molto spesso con il simbolo
X
detta
la prima variabile fondamentale :
si tratta della funzione , di dominio R2 , definita ponendo
X( x, y ) = x , ∀ ( x, y ) ∈ R .
2
130
E’ evidente che risulta
Im(X) = R
2a) . E’ la funzione denotata molto spesso con il simbolo
Y
detta
la seconda variabile fondamentale :
si tratta della funzione , di dominio R2 , definita ponendo
Y( x, y ) = y , ∀ ( x, y ) ∈ R .
2
E’ evidente che risulta ancora
Im(Y) = R
Paragrafo 1.8). Le funzioni composte con una o due componenti funzioni
di due variabili .
La nozione di
funzione composta
quando fra le componenti ci sono funzioni di 2 variabili , risulta più
articolata rispetto al caso delle sole funzioni di 1 variabile .
I casi possibili sono i seguenti.
1°) CASO .
Sono date due funzioni ,
la prima
F : D → C di 2 variabili
la seconda f : D’→ C’ di 1 variabile
131
con l’ipotesi che risulti
Im(F) ⊆ D’
In tale situazione , si può costruire una funzione H di 2 variabili, di
dominio D , e codominio C’
H : D → C’
ponendo
H (x , y) = f ( F(x , y)) , ∀ (x , y) ∈ D
tale definizione essendo lecita in vista dell’ipotesi Im(F) ⊆ D’
La funzione così costruita prende il nome di
funzione composta di prima componente F e seconda componente f
2°) CASO .
Sono date tre funzioni , tutte di 2 variabili ,
le prime due con lo stesso dominio D
F1 : D → C’
,
F2 : D → C’’
la terza
G : D’→ C
con l’ipotesi che risulti
( F1(x , y) , F2(x , y) ) ∈ D’ , ∀ ( x, y ) ∈ D .
In tale situazione , si può costruire una funzione H di 2 variabili, di
dominio D , e codominio C , ponendo
H (x , y) = G (( F1(x , y) , F2(x , y)) , ∀ (x , y) ∈ D
132
tale definizione essendo lecita in vista dell’ipotesi
( F1(x , y) , F2(x , y) ) ∈ D’ , ∀ ( x, y ) ∈ D .
La funzione così costruita prende il nome di
funzione composta
di prime componenti F1 ed F2 e seconda componente G
e viene in breve indicata con il simbolo
G(F1 , F2 )
Vediamo subito un’importante applicazione di questo tipo di composizio
ne di funzioni .
Data una qualunque funzione di 2 variabili
F : D→C
si possono considerare le restrizioni a D delle due variabili fondamentali
XD : D → R
YD : D → R
e
e considerare la funzione composta
F( XD ,YD )
di prime componenti
XD e YD
e
di seconda componente F
Ebbene ,
la funzione F( XD ,YD ) coincide con la funzione F stessa :
133
infatti , calcolando tale funzione in un punto qualunque (x , y) di D ,
si ottiene
F( XD ,YD )( x , y) = F(XD(x , y) ,YD(x , y)) = F( x , y)
donde la conclusione .
Naturalmente la notazione si semplifica , scrivendo semplicemente
F(X ,Y)
se il dominio risulta chiaro dal contesto .
Questa notazione per una funzione di 2 variabili è importante quando viene
usata nel trattare di equazioni , di disequazioni , e di sistemi di equazioni e
di disequazioni in 2 variabili , che intervengono nella rappresentazione di
luoghi e di regioni di un piano cartesiano , fra i quali troviamo
il grafico di una funzione di 1 variabile reale
e le regioni delimitate da due o più di tali grafici .
3°) CASO .
Sono date tre funzioni ,
le prime 2 di una variabile , con lo stesso dominio D ( ⊆ R )
f1 : D → C1
,
f2 : D → C2
la terza di due variabili ,
G : D’ → C
con l’ipotesi che risulti
(f1(t) , f2(t)) ∈ D’ , ∀ t ∈ D .
134
In tale situazione , si può costruire una funzione h di 1 variabile, di
dominio D , e codominio C , ponendo
h (t) = G(f1(t) , f2(t)) , ∀ t ∈ D
tale definizione essendo lecita in vista dell’ipotesi
(f1(t) , f2(t)) ∈ D’ , ∀ t ∈ D :
la funzione così costruita prende il nome di
funzione composta
di prime componenti f1 ed f2 e seconda componente G
e viene in breve indicata con il simbolo
G(f1 , f2 )
135
CAPITOLO IX
ELEMENTI DI GEOMETRIA ANALITICA
Paragrafo 1.7). La Geometria analitica piana.
Si è visto , nel capitolo sui numeri reali , che la costruzione del corpo numerico
R aveva come scopo principale quello di costruire
la corrispondenza biunivoca
fra l’insieme dei punti di una retta cartesiana r l’insieme dei numeri reali R
detta sistema di coordinate cartesiane su r
Questa proprietà fondamentale dell’insieme R si può ora sfruttare più a fondo
con la costruzione di una corrispondenza molto importante fra l’insieme dei punti di
un piano α e l’insieme delle coppie ordinate di numeri reali
α ↔ R × R = R2
e poi fra l’insieme dei punti dell’intero spazio S e l’insieme delle terne ordinate
di numeri reali
S ↔ R × R × R = R3
Il fine e l’utilità di queste estensioni del concetto di coordinate apparirà in tutta
evidenza al lettore con lo studio dei grafici delle
lo studio dei grafici delle funzioni di una e di due variabili
di cui ci interesseremo in seguito
Ci occuperemo ora dei sistemi di coordinate cartesiane in un piano , e delle
principali formule di Geometria analitica connesse .
Un
sistema di riferimento cartesiano ortogonale
136
è costituito da ( v. Figura 1.9)
1) un punto O , detto l’origine del sistema ;
2) una coppia ordinata di rette orientate per O fra loro ortogonali , dette ,
rispettivamente ,
il primo asse cartesiano
denominato usualmente
asse delle ascisse , o asse delle x , e indicato col simbolo Ox ,
e
il secondo asse cartesiano
denominato usualmente
asse delle ordinate , o asse delle y , e indicato col simbolo Oy ;
3) due unità di misura associate una al primo , e l’altra al secondo asse cartesia
no , o , il che è equivalente , due “ punti unità ”
il primo
U
sulla semiretta positiva del primo asse
e il secondo
V
sulla semiretta positiva del secondo asse
Se le due unità di misura sono uguali , e in tal caso i due segmenti
OU e OV saranno congruenti
il sistema cartesiano si dice
monometrico
e
normalmente sarà così nel seguito
137
salvo esplicito avviso contrario : in tal caso il sistema cartesiano si dirà
polimetrico
E’ importante porre in evidenza il fatto che l’uso dei sistemi polimetrici , sia
nel piano , che nello spazio , si rende alle volte indispensabile nella rappresen
tazuione grafica di alcune funzioni : riprenderemo a suo tempo la questione.
Fissato che sia in un piano α un sistema cartesiano con assi Ox e Oy ,
o , come in breve si dice ,
un sistema di riferimento cartesiano Oxy
si procede alla costruzione della corrispondenza biunivoca
α ↔ R × R = R2
nel seguente modo ( v. Figura 2.9).
Scelto un qualsiasi punto P appartenente ad α , si considerano
le sue proiezioni ortogonali Px , sull’asse Ox , e Py , sull’asse Oy ;
il punto Px , rispetto al sistema di coordinate {O ;U } sull’asse Ox ,
ha una ben precisa coordinata xP ;
il punto Py , rispetto al sistema di coordinate {O ;V } sull’asse Oy ,
ha una ben precisa coordinata yP :
ebbene
al punto P viene associata la coppia ordinata di numeri reali
( xP , yP )
detta
138
la coppia delle sue coordinate rispetto al sistema Oxy
xP viene detta la prima coordinata di P , o l’ascissa di P ,
yP viene detta la seconda coordinata di P , o l’ordinata di P .
In tal modo si è costruita una
corrispondenza univoca di dominio α e codominio R×R = R2
Σ : α → R × R = R2
che ora dobbiamo riconoscere essere in effetti biunivoca , cioè
suriettiva e iniettiva
1) Σ è suriettiva :
scegliamo una qualsiasi coppia ordinata di nuimeri reali ( x, y ) :
sull’asse Ox ( v. Figura 3.9) , rispetto al sistema cartesiano {O ;U },
esiste un ben preciso punto Px , avente coordinata x ;
sull’asse Oy , rispetto al sistema cartesiano {O ;V}, esiste un ben preciso
esiste un ben preciso punto Py , avente coordinata y ;
se , ora , si conducono le rette per Px e per Py , ortogonali rispettivamente
a Ox e a Oy ,
queste due rette si intersecheranno in un punto P
il quale , in base alla definizione precedente , avrà come coppia delle sue
coordinate rispetto al sistema Oxy , esattamente la coppia prescelta
( x, y )
139
in simboli si può porre
Σ( P ) = ( x, y )
sicché
la corrispondenza Σ : α → R × R = R2 risulta suriettiva ;
2) Σ è iniettiva :
si deve provare che vale l’implicazione
P1 ≠ P2 ⇒ Σ( P1) ≠ Σ( P2)
e la cosa si vede subito ragionando “ per assurdo “ : se , infatti fosse
Σ( P1) = Σ( P2)
P1 e P2 avrebbero le medesime proiezioni ortogonali su Ox e su Oy ,
il che è chiaramente impossibile .
C.V.D.
Per esprimere il fatto che P è il punto di coppia di coordinate ( x, y ) , si
si usa il simbolismo
P( x, y )
Questo metodo , introdotto da Cartesio , permette di individuare un punto
mediante l’ente numerico costituito da una coppia ordinata di numeri , e di
avviare lo studio dei luoghi di punti del piano mediante relazioni caratteris
tiche che intercedono fra le ascisse e le ordinate di tali punti : in ciò consis
te , in sostanza , la
Geometria analitica
Certamente il lettore avrà avuto occasione di usare tale metodo , per cui qui
ci limiteremo a ricordare i fatti principali di questo ramo della Matematica ,
e , soprattutto , a riproporre quelle sue applicazioni che risultano di certo in
140
teresse per gli argomenti del Corso di Matematica Generale per l’Economia.
1) Gli assi coordinati Ox e Oy dividono il resto del piano(v. F.4.9) in
4 quadranti :
1.1) nel primo quadrante si trovano i punti con
ascissa > 0 e ordinata > 0
1.2) nel secondo quadrante si trovano i punti con
ascissa < 0 e ordinata > 0
1.3) nel terzo quadrante si trovano i punti con
ascissa < 0 e ordinata < 0
1.4) nel quarto quadrante si trovano i punti con
ascissa > 0 e ordinata < 0
Per quanto riguarda i punti appartenenti agli assi del sistema di riferimento ,
si può dire che
1.5) i punti dell’asse Ox
sono caratterizzati dal fatto che
le loro seconde coordinate (ordinate) , sono uguali a zero
in breve risulta che
P ( x, y ) ∈ Ox ⇔ y = 0
1.6) i punti dell’asse Oy
sono caratterizzati dal fatto che
141
le loro prime coordinate (ascisse) , sono uguali a zero
in breve risulta che
P ( x, y ) ∈ Oy ⇔ x = 0
2) La (misura della) distanza fra due punti ( v. F. 5.9)
P1 ( x1, y1 )
P2 ( x2, y2 )
e
è data dalla formula
d (P1( x1, y1 ) , P2( x2, y2 )) =
( x 2 − x1 ) 2 + ( y 2 − y1 ) 2
naturalmente se il sistema di riferimento è monometrico
altrimenti tale formula risulta gravemente errata
( ma sopra si è detto che , se il sistema di riferimanto non fosse monometrico
la cosa verrebbe, ogni volta , esplicitamente dichiarata) .
3) Dati due punti
P1( x1, y1 )
e
P2( x2, y2 )
Il punto medio del segmento che li ha per estremi è ( v. F. 6.9)
M(
x1 + x 2 y1 + y 2
,
)
2
2
Di grande importanza è il concetto di
rappresentazione cartesiana di un luogo di punti
Poniamo perciò , per il momento , la seguente
Definizione 1.7). Dato un sottoinsieme L di punti del piano , riferito al sistema
142
cartesiano Oxy , si dice che
L è rappresentato , rispetto a Oxy , dall’equazione
F (X ,Y) = 0
ove F (X ,Y) è una certa funzione di 2 variabili , se vale la seguente doppia
implicazione :
P ( x, y ) ∈ L ⇔ F(x, y) = 0
a parole diciamo che
un punto P ( x, y ) appartiene ad L se e solo se la sua coppia di coordinate
( x, y ) è soluzione dell’equazione F(X ,Y) = 0
Si dice anche che
F (X ,Y) = 0 è un’equazione del luogo L rispetto al sistema Oxy
Osservazione 1.7). Si è sottolineato , nell’enunciato precedente , il
se e solo se
per il buon motivo che , per dichiarare che
F(X ,Y) = 0 è un’equazione di L
bisogna provare
entrambe le implicazioni
P ( x, y ) ∈ L
⇒
F (x, y) = 0
F (x, y) = 0
⇒
P ( x, y ) ∈ L :
e
non basta , si badi bene , limitarsi a dimostrare una sola di esse :
143
(v. F. 7.9) .
Le figure più semplici del piano sono le rette :
Ricordiamo la loro rappresentazione cartesiana.
4). Nel piano cartesiano Oxy ogni retta r è rappresentata da una equazione
algebrica lineare , cioè di primo grado , del tipo
a X + b Y + c = 0 , con ( a , b ) ≠ ( 0 , 0 )
Se la stessa retta r ammette un’altra rappresentazione del tipo detto
a’ X + b’ Y + c’ = 0 , con ( a’ , b’ ) ≠ ( 0 , 0 )
risulta che vale la proporzione
a : a’ = b : b’ = c : c’
la qualcosa va intesa come il fatto che esiste un numero reale ρ ≠ 0 tale che
si abbia
a’ = ρ a , b’ = ρ b , c’ = ρ c :
si dice in tal caso che le due equazioni
aX+bY+c=0
a’ X + b’ Y + c’ = 0
e
risultano
proporzionali
5). Date due rette
r: aX+bY+c=0
e
r’ : a’ X + b’ Y + c’ = 0
144
come si traduce , in termini delle loro equazioni , il fatto che sono
fra loro parallele ?
La condizione di parallelismo fra r ed r’ è precisamente la seguente :
r || r’ ⇔ ∃ ρ ≠ 0 : a’ = ρ a ∧ b’ = ρ b
condizione equivalente a quest’altra
r || r’ ⇔ a b’– a’b = 0
come non è difficile riconoscere (v . F.8.9) .
E’ chiaro che
la condizione di parallelismo ricomprende in sé quella di coincidenza
6). La rappresentazione dei due assi cartesiani è la seguente
Ox : Y = 0
e
Oy : X = 0
precisamente si ha che
l’equazione dell’asse Ox è
0X+1Y+0=0
l’equazione dell’asse Oy è
1X+0Y+0=0
Ne segue che
le rette parallele all’asse Ox , dette rette orizzontali , sono caratterizzate
dall’avere equazioni del tipo
0 X + b Y + c = b Y + c = 0 , con b ≠ 0 ,
mentre
145
le rette parallele all’asse Oy , dette rette verticali , sono caratterizzate
dall’avere equazioni del tipo
a X + 0 Y + c = a X + c = 0 , con a ≠ 0 .
7). Ogni retta r che non sia verticale ha quindi equazione del tipo
a X + b Y + c = 0 , con b ≠ 0 :
ne segue l’importante circostanza che la retta in questione ha come sua
equazione , equivalente alla
aX+bY+c=0
la seguente :
Y=mX +q
, con
m=−
a
b
q=−
∧
c
b
questa equazione di una retta non verticale prende il nome di
equazione di r esplicita rispetto a Y
I due numeri
m
e
q
che intervengono nell’equazione esplicita suddetta
hanno importanti significati geometrici
Precisamente ,
1) per quanto riguarda m , si può dire che
146
se è m = 0 , la retta r risulta orizzontale , e si può dire che forma con
l’asse delle ascisse Ox angolo α nullo ( o anche , volendo , piatto) ;
se , invece , è m ≠ 0 , allora la retta r interseca in un ben preciso punto l’asse Ox
:
detto P tale punto , restano individuate ( v. Figura 8.9 )
la semiretta positiva dell’asse Ox di origine P ,
e
la semiretta superiore della retta r di origine P :
queste due semirette uscenti da P formano un angolo convesso α di am
piezza compresa fra 0° e 180° ( estremi esclusi ) , e risulta precisamente che
vale l’uguaglianza (v. F. 9.9)
m = tg α
per cui
m è detto anche , giustamente , coefficiente angolare di r :
si può osservare che
se è m > 0 , la retta è inclinata verso destra ,
se è m < 0 , la retta è inclinata verso sinistra ,
mentre il valore assoluto di m informa sulla
consistenza dell’inclinazione della retta r sull’asse delle ascisse Ox ;
2) per quanto riguarda q , risulta che
esso è l’ordinata del punto Q di intersezione fra la retta r e l’ asse Oy :
infatti la coppia delle coordinate del punto Q , deve soddisfare le equazioni
di r e dell’asse Oy , quindi deve soddisfare il seguente sistema lineare
147
{Y=mX+q
∧
X=0}
che ha ovviamente la sola soluzione
(0,q)
donde la conclusione .
8). Date due rette non verticali r ed r’ ,
r : Y=mX+q
r’ : Y = m’ X + q’
ed
si ha la seguente condizione di parallelismo
r || r’ ⇔ m = m’ ;
mentre la condizione di ortogonalità è
r ⊥ r’ ⇔ m m’ = –1
(v. F. 10.9)
9). Dati due punti distinti
P1( x1, y1)
e
P2( x2, y2)
la retta r (P1 , P2) che li congiunge ha la seguente rappresentazione
r (P1 , P2) : (y2 – y1) (X – x1) + ( x2 – x1) (Y– y1) = 0
infatti :
la condizione P1 ≠ P2 equivale evidentemente alla
(y2 – y1 , x2 – x1) ≠ ( 0 , 0)
per cui l’equazione fornita sopra rappresenta una retta del piano ;
148
quanto al fatto che essa passi per i due punti
P1( x1, y1)
e
P2( x2, y2)
si constata subito con un la semplice verifica che le due coppie di coordinate
dei due punti P1 e P2
( x1, y1)
e
( x2, y2)
sono entrambe soluzioni dell’equazione in questione .
10). Se i due punti
P1( x1, y1)
e
P2( x2, y2)
sono tali che la retta per essi non risulta verticale , il che è equivalente
al fatto che risulta
x1 ≠ x 2
ovvero
x2 – x1 ≠ 0
per la retta r (P1 , P2) si può ottenere la seguente equazione esplicita
y2 − y1
r (P1 , P2) : Y = y1 + x − x ( X – x1)
2
1
come si verifica facilmente .
Si osservi che il coefficiente angolare della retta r (P1 , P2) risulta
y2 − y1
m = x −x
2
1
Se , in particolare , si ha che il punto P1 è l’origine O del sistema di riferi
mento, cioè se si ha
x1 = y1 = 0
l’equazione della retta r (P1 , P2) si semplifica nella
149
Y=
y2 − y1
x2 − x1 X
11). Dati nel piano cartesiano Oxy un punto
P1( x1, y1)
e una retta
r:aX+bY+c=0
la (misura della) distanza del punto P1 da r è fornita dalla formula
d (P1 , r) =
ax1 + by1 + c
a2 + b2
(v. F. 11.9)
12). Dati
un punto Po(xo , yo) e un numero reale R > 0
la circonferenza , o circolo , C (Po , R) , di centro Po(xo , yo) e raggio R
si rappresenta mediante l’equazione
(X− xo) 2 + (Y− yo)2 = R2
che , sviluppata , e ridotta a forma normale , diventa
X2 + Y2 − 2xo X − 2yoY + xo2 + yo2 − R2 = 0
cioè del tipo
[∗]
X2 + Y2 + 2a X + 2b Y + c = 0
avendo posto chiaramente
150
a = − xo ,
b = − yo , c = xo2 + yo2 − R2 :
bisogna , però , considerare attentamente il fatto che
se è vero che ogni circonferenza ha una equazione del tipo [∗]
non ogni equazione di questo tipo rappresenta una circonferenza
come apparirà chiaro in sede di esercitazione .
Di particolare importanza risulta
la circonferenza C (O , 1) di centro O( 0 , 0) e raggio R = 1
e questo per il fatto , certo ben noto al lettore , che
se P( x , y ) appartiene a C (O , 1) , si ha , per definizione ,
x = cos α
e
y = sin α
ove α è ( v. F. 12.9)
l’angolo di vertice O e lati le due semirette s(O ; A) e s(O ; P)
descritto nel verso positivo associato al sistema di riferimento
( che , di solito , per l’osservatore è antiorario )
e l’angolo in questione è compreso fra l’angolo nullo e quello giro .
Quando il circolo suddetto svolge questa funzione , prende il nome di
circolo goniometrico
Osservazione importante . Bisogna porre la dovuta attenzione al fatto che
quasi sempre si suole assegnare le due quantità
coseno
e seno
151
come
cos(t)
e
sin(t)
ove
t è un numero
e non un angolo , come sopra si è detto :
l’interpretazione corretta dei due simboli cos(t) e sin(t)
si ottiene ricordando la convenzione degli Analisti , che consiste
nell’assumere cos(t) e sin(t) come
il coseno e il seno dell’angolo
la cui misura è t rispetto all’unità di misura degli angoli detta
angolo radiante
( v. F. 13.9).
Adeguati commenti in proposito in corso di esercitazioni .
152
CAPITOLO X
LIMITI DELLE FUNZIONI DI UNA VARIABILE
Paragrafo 1.7). Limite finito di una funzione in un punto.
Avvertenza 1.7). In virtù della corrispondenza biunivoca fra l’ insieme dei
numeri reali R e i punti di una retta cartesiana , un numero
reale viene molto spesso denominato un “ punto” : il contesto renderà chia
ro quando questo termine indicherà un numero , o quando , invece , denote
rà l’ente geometrico conosciuto con lo stesso nome .
Definizione 1.7). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di
accumulazione per l’insieme D , dominio di f .
Si dice che
la funzione f , per x che tende a c , ha per limite il numero L
e si scrive
lim f ( x) = L
x→c
o anche
x→c
f (x) → L
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre
determinare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale
che , considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ
153
I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be
ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatto il seguente sistema di
disuguaglianze
L− ε < f (x) < L + ε
riassumibile nell’unica disuguaglianza
⏐f (x) − L⏐ < ε
(1.7)
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ ⏐f (x) − L⏐ < ε
Si dice in questo caso anche che
il valore f (x) della funzione f “converge” a L per x tendente a c
ma spesso si abbrevia l’enunciato dicendo che
f (x) “converge” a L per x tendente a c
oppure anche
la funzione f “converge” a L per x tendente a c
Osservazione importante 1.7). Non c’è alcun dubbio che la definizione di
limite di una funzione , data sopra , risulti
articolata e complessa : d’altra parte
nessuno degli elementi che la costituiscono può essere eliminato,
senza compromettere gravemente la nozione che sta , si noti ,
154
al fondamento stesso di tutta l’Analisi Infinitesimale.
Perciò , sarà necessario qualche commento .
1)° Il fatto di richiedere che c sia un punto d’accumulazione per D , è dovu
to alla necessità che la cosiddetta variabile x possa assumere valori arbi
trariamente vicini a c , ma distinti da c stesso ; l’Analisi infatti indaga la
possibilità che , durante questo processo di avvicinamento di x a c , si evi
denzi un valore di tendenza di f (x) , cioè il progressivo accostarsi del va
lore della funzione a un determinato limite numerico L : è evidente che le
espressioni appena usate sono certamente di ausilio suggestivo, ma sono
sprovviste di rigore matematico ; inoltre si è detto limite numerico L : più
avanti vedremo che tale limite potrà anche essere infinito .
2) Nella definizione si è anche richiesto che la variabile x , al fine di verifica
re la disuguaglianza (1.7) , non debba affatto assumere il valore c , an
che nel caso che lo possa assumere , cioè che la funzione f sia definita in
c : ciò è collegato a quanto detto sopra : anzi , può benissimo accadere
che la funzione f ammetta limite L per x tendente al c , ma che tale
limite risulti diverso dall’eventuale valore che f assume in c , cioè che
si abbia ( come numerosi esempi confermeranno)
f (c) ≠ L
Qualche Autore esprime questa situazione dicendo che
il limite di una funzione f
è del tutto indipendente dal comportamentodi f in c
questo “comportamento” prevedendo sia che
la funzione f non risulti nemmeno definita in c
sia che ,
pur essendo in c definita , il suo valore f (c) sia diverso dal
lim f ( x) = L
x →c
155
potendo però , s’intende , anche essergli uguale .
Paragrafo 2.7). Limite infinito di una funzione in un punto.
Definizione 2.7). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di
accumulazione per l’insieme D , dominio di f .
Si dice che
la funzione f , per x che tende a c , ha per limite più infinito,
e si scrive
lim f ( x) = +∞
x→c
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter
minare un numero positivo δ , dipendente in generale da M , tale che ,
considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ
I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be
ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ f (x) > M
Si dice in tal caso anche che
la funzione f “diverge” a +∞ per x tendente a c
156
Definizione 3.7). ). Data la funzione f : D → C , sia
c un punto di accumulazione per l’insieme D , dominio di f .
Si dice che
la funzione f , per x che tende a c , ha per limite meno infinito,
e si scrive
lim f ( x) = −∞
x→c
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter
minare un numero positivo δ , dipendente in generale da M , tale che ,
considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ
I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be
ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) < M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ f (x) < M
Si dice in tal caso anche che
la funzione f “diverge” a −∞ per x tendente a c
Definizione 4.7). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di
157
accumulazione per l’insieme D , dominio di f .
Si dice che
la funzione f , per x che tende a c , ha per limite l’ infinito ,
e si scrive
lim f ( x) = ∞
x→c
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre
determinare un numero positivo δ , dipendente in generale da M , tale
che , considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ
I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be
ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x)⏐ > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ ⏐f (x)⏐ > M
ed è poi ovvio che la condizione
⏐f (x)⏐ > M
risulta equivalente alla
f (x) < − M
∨
f (x) > M
Si dice in tal caso anche che
la funzione f “diverge” all’ ∞ per x tendente a c
158
Paragrafo 3.7). Limite destro o sinistro di una funzione in un punto.
Le definizioni di limite in un punto date nel Par. 2.7) non precisano un mo
do specifico secondo il quale la variabile x debba accostarsi al punto c ,
se , ad esempio “da destra”, cioè mantenendosi comunque maggiore di c ,
oppure “da sinistra” , avvicinandosi a c per valori minori di c : perciò , se
c risultasse punto di accumulazione sia destra , che sinistra , per il dominio
D della funzione f , l’avvicinamento di x a c potrebbe attuarsi anche in
modo discontinuo , assumendo posizioni sia a destra di c che alla sua sini
stra , sempre più vicine comunque a c stesso , il che si può riassumere di
cendo che ⏐x − c⏐ deve “tendere a zero”.
Per questo motivo i limiti definiti fino ad ora prendono il nome di
limiti bilateri
e , sotto questo profilo , essendo la definizione congegnata in tal modo , non
ci si occupa dell’eventualità , ben possibile , che sia , ad esempio , impedito
a x di assumere valori sempre più vicini a c e minori di c , per il semplice
fatto che c non risulta punto di accumulazione sinistra per D.
Giustamente , gli Analisti hanno voluto affinare la definizione di limite con
l’introdurre i concetti di limite destro e di limite sinistro , denominati con il
termine di
limiti unilateri
Daremo , le definizioni di limiti unilateri , distinguendo il caso dei limiti
finiti da quello dei limiti infiniti .
159
Definizione 5.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di
accumulazione destra per l’insieme D , dominio di f .
Il numero L si dice limite destro della funzione f per x che tende a c ,
o anche limite della funzione f per x che tende a c da destra , e si scri
ve
lim+ f ( x) = L
x →c
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre tro
vare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , consi
derato l’intorno destro di c raggio δ
I + (c ; δ) = [ c , c + δ [
si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x) − L⏐ < ε
Simmetricamente ,
il numero L si dice limite sinistro della funzione f per x che tende a c ,
o anche limite della funzione f per x che tende a c da sinistra , e si scri
ve
lim− f ( x) = L
x →c
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre tro
vare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , consi
derato l’intorno sinistro di c raggio δ
I − (c ; δ) = ] c − δ , c ]
si abbia che , per ogni x ∈ I − (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x) − L⏐ < ε
160
Definizione 6.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di
accumulazione destra per l’insieme D , dominio di f.
Si dice che il
il limite destro della funzione f per x che tende a c è più infinito
o anche che
il limite della funzione f per x che tende a c da destra è più infinito
e si scrive
lim f ( x) = +∞
x →c +
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un
numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato
l’intorno destro di c raggio δ
I + (c ; δ) = [ c , c + δ [
si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
f (x) > M
Simmetricamente , si dice che
il limite destro della funzione f per x che tende a c è meno infinito
o anche che
il limite della funzione f per x che tende a c da destra è meno infinito
e si scrive
lim f ( x) = −∞
x →c +
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un
161
numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato
l’intorno destro di c raggio δ
I + (c ; δ) = [ c , c + δ [
si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
f (x) < M
Definizione 7.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di
accumulazione sinistra per l’insieme D , dominio di f.
Si dice che il
il limite sinistro della funzione f per x che tende a c è più infinito
o anche che
il limite della funzione f per x che tende a c da sinistra è più infinito
e si scrive
lim f ( x) = +∞
x →c −
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un
numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato
l’intorno sinistro di c raggio δ
I − (c ; δ) = ] c + δ , c ]
si abbia che , per ogni x ∈ I − (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
f (x) > M
162
Simmetricamente , si dice che
il limite sinistro della funzione f per x che tende a c è meno infinito
o anche che
il limite della funzione f per x che tende a c da sinistra è meno infinito
e si scrive
lim f ( x) = −∞
x →c −
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un
numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato
l’intorno sinistro di c raggio δ
I − (c ; δ) = ] c + δ , c ]
si abbia che , per ogni x ∈ I − (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
f (x) < M
Per completezza , anche se il caso dell’∞ come limite unilatero non è molto
frequente , ne forniamo le relative definizioni in
Definizione 8.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di
accumulazione destra per l’insieme D , dominio di f.
Si dice che il
il limite destro della funzione f per x che tende a c è l’infinito
o anche che
il limite della funzione f per x che tende a c da destra è l’infinito
163
e si scrive
lim f ( x) = ∞
x →c +
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un
numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato
l’intorno destro di c raggio δ
I + (c ; δ) = [ c , c + δ [
si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x)⏐ > M
Simmetricamente , si dice che
il limite sinistro della funzione f per x che tende a c è l’ infinito
o anche che
il limite della funzione f per x che tende a c da sinistra è l’infinito
e si scrive
lim f ( x) = ∞
x →c −
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un
numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato
l’intorno sinistro di c raggio δ
I − (c ; δ) = ]c −δ , c ]
si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti
soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x)⏐ > M
164
Paragrafo 4.7). Limiti di una funzione all’infinito.
Fino a questo punto si sono presi in considerazione i limiti di una funzione
i limiti di una funzione “ in un punto “
vale a dire con la “variabile” x che tende a un valore finito c , nei vari mo
di possibili , e i limiti potendo essere , a loro volta , finiti o infiniti .
Ora , quando il dominio D della funzione f è illimitato , o anche superior
mente , o inferiormente illimitato , la variabile x può “tendere all’infinito”,
nel senso che , nel primo caso , può assumere determinazioni che in valore
assoluto sono indefinitamente crescenti , oppure , negli altri due , rispettiva
mente di valore indefinitamente crescente o decrescente : in questi due ulti
mi casi il “punto” x si allontana indefinitamente verso destra , o , rispettiva
mente , verso sinistra , sulla retta cartesiana che visualizza l’insieme dei nu
ri reali R nel modo ben noto .
Ebbene , anche in questi casi può accadere che il valore f (x) della funzione
manifesti una tendenza a “convergere” a un certo valore finito L , oppure a
“divergere” all’∞ , a +∞ , o a −∞ , per cui è necessario porre definizioni ri
rigorose , che prendano in considerazione questi comportamenti “liminali”
di una funzione all’infinito.
Definizione 9.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f superiormente illimitato ( si può dire anche che
D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ ) .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite il numero L
e si scrive
lim f ( x) = L
x→+∞
165
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre
determinare un numero positivo N , dipendente in generale da ε , tale
che , considerato l’intorno di +∞
I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
L − ε < f (x) < L + ε
riassumibile nell’unica disuguaglianza
⏐f (x) − L⏐ < ε
(1.7)
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
∀ ε > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒⏐f (x) − L⏐ < ε
Si dice in questo caso che
la funzione f “ converge” a L per x tendente a +∞
Osservazione 2.7). Si noti che nella definizione data sopra non si trovi più
la locuzione analoga alla
“ qualunque sia x diverso da c “
e questo è ben comprensibile , poiché ora x tende a +∞ , e, se x è un nu
mero reale qualunque reale , dire “ x diverso da +∞ ” è ovviamente un
inutile pleonasmo , e anche passabilmente risibile …
comunque , è meglio ribadirlo :
166
∞ , +∞ e −∞ non sono affatto numeri , ma solo comode locuzioni
Definizione 11.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D ,
dominio di f inferiormente illimitato ( si può dire anche
dire che
D si accumula a −∞ , o che presenta accumulazione in −∞ ) .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a −∞ , ha per limite il numero L
e si scrive
lim f ( x) = L
x→−∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre
determinare un numero positivo N , dipendente in generale da ε , tale
che , considerato l’intorno di −∞
I (−∞ ; N ) = ] −∞ , N [
avviene che , per ogni x appartenente a I (−∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
L − ε < f (x) < L + ε
riassumibile nell’unica disuguaglianza
(1.7)
⏐f (x) − L⏐ < ε
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
∀ ε > 0 , ∃ N : x ∈ I (−∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x) − L⏐ < ε
Si dice in questo caso che
167
la funzione f “ converge” a L per x tendente a −∞
Definizione 11.7). Sia data la funzione f : D → C , con l’insieme D ,
dominio di f , illimitato , sia superiormente che inferior
mente , ( si può dire anche dire che
D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ ) .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende all’∞ , ha per limite il numero L
e si scrive
lim f ( x) = L
x→∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre
determinare un numero positivo N , dipendente in generale da ε , tale
che , considerato l’intorno dell’∞
I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪
] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatto il sistema di disuguaglianze
L − ε < f (x) < L + ε
riassumibile nell’unica disuguaglianza
(1.7)
⏐f (x) − L⏐ < ε
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue :
168
∀ ε > 0 , ∃ N : x∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x) − L⏐ < ε
Si dice anche in questo caso che
la funzione f “ converge” a L per x tendente all’ ∞
E’ ora la volta delle funzioni “divergenti ” all’infinito .
Definizione 12.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f superiormente illimitato , si può dire anche che
D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ ).
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite +∞
e si scrive
lim f ( x) = +∞
x→+∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre determi
nare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che ,
considerato l’intorno di +∞
I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
169
∀ M > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) > M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente a +∞
Definizione 13.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f superiormente illimitato , si può dire anche che
D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite −∞
e si scrive
lim f ( x) = −∞
x→+∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre determi
nare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che ,
considerato l’intorno di +∞
I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) < M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) < M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a −∞ per x tendente a +∞
170
Definizione 13.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f superiormente illimitato , si può dire anche che
D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite ∞
e si scrive
lim f ( x) = ∞
x→+∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre
determinare un numero N , dipendente in generale da M , tale che ,
considerato l’intorno di +∞
I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x) − L⏐ > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐ f (x) − L⏐ > M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a ∞ per x tendente a +∞
Definizione 14.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f inferiormente illimitato , si può dire anche che
171
D si accumula a −∞ , o che presenta accumulazione in −∞ .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a −∞ , ha per limite +∞
e si scrive
lim f ( x) = +∞
x→−∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter
minare un numero N , dipendente in generale da M , tale che , con
siderato l’intorno di −∞
I (−∞ ; N ) = ] −∞ , N [
avviene che , per ogni x appartenente a I (−∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M ∈ R , ∃ N : x ∈ I (−∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) > M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente a −∞
Definizione 15.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f inferiormente illimitato , si può dire anche che
D si accumula a −∞ , o che presenta accumulazione in −∞ .
.
Si dice in tal caso che
172
la funzione f , per x che tende a −∞ , ha per limite ∞
e si scrive
lim f ( x) = ∞
x→−∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre
determinare un numero N , dipendente in generale da M , tale che ,
con siderato l’intorno di −∞
I (−∞ ; N ) = ] −∞ , N [
avviene che , per ogni x appartenente a I (−∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x)⏐ > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M ∈ R , ∃ N : x ∈ I (−∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x)⏐ > M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a ∞ per x tendente a −∞
Definizione 16.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f illimitato , sia superiormente che inferiormente
illimitato ,si può dire anche che
D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende all’ ∞ , ha per limite +∞
173
e si scrive
lim f ( x) = +∞
x →∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter
minare un numero N , dipendente in generale da M , tale che , con
siderato l’intorno di ∞
I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M > 0 , ∃ N > 0 : x ∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) > M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente all’ ∞
Definizione 17.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f illimitato , sia superiormente che inferiormente
illimitato , si può dire anche che
D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende a ∞ , ha per limite −∞
e si scrive
lim f ( x) = −∞
x→∞
174
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre determi
nare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che ,
considerato l’intorno di ∞
I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
f (x) < M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M > 0 , ∃ N > 0 : x ∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) < M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” a −∞ per x tendente all’ ∞
la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente all’ ∞
Definizione 18.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi
nio di f illimitato , sia superiormente che inferiormente
illimitato ,si può dire anche che
D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ .
.
Si dice in tal caso che
la funzione f , per x che tende all’ ∞ , ha per limite ∞
e si scrive
175
lim f ( x) = ∞
x→∞
quando
in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre
determinare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale
che , considerato l’intorno di ∞
I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [
avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che
risulta soddisfatta la disuguaglianza
⏐f (x)⏐ > M
in breve , la condizione sopra descritta si esprime come
∀ M > 0 , ∃ N > 0 : x ∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x)⏐ > M
Si dice in questo caso anche che
la funzione f “ diverge” all’ ∞ per x tendente all’ ∞
176
CAPITOLO XI
PROPRIETA’ DEI LIMITI DI UNA FUNZIONE DI UNA VARIABILE
Paragrafo 1.11) . Definizione unitaria di limite di una funzione .
Per giungere a una formulazione comprensiva di tutte le
definizioni di limite fornite nel Cap.X , occorre anzitutto porre una defi
nizione unitaria della nozione di
intorno
Così si conviene di assumere
1) per intorno di un numero reale c
un qualunque intorno circolare di c
2) per intorno di +∞
una qualunque semiretta destra aperta di numeri reali
3) per intorno di − ∞
una qualunque semiretta sinistra aperta di numeri reali
4) per intorno di ∞
l’unione di qualunque semiretta destra aperta con la sua simmetrica
Bisogna poi convenire che i simboli
c
e
L
177
possano prendere il posto dei simboli +∞ , − ∞ , ∞ , ammettendo inoltre
che il termine “punto” possa applicarsi anche a questi casi
Con queste convenzioni si può formulare
una definizione di limite assai notevole per la sua generalità :
Definizione 1.11) . Data la funzione
f : D→C
sia
c un punto di accumulazione per D
Si dice allora che
f ha per limite L al tendere di x a c
e si scrive
lim f ( x ) = L
x→c
o anche
x→c
f ( x) → L
quando ,
scelto un qualunque intorno I(L) di L
esiste sempre ( almeno) un intorno I(c) di c tale da aversi
x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L)
( va da sé che l’esclusione di c nell’enunciato precedente risulta di fratto
superflua nel caso c sia +∞ , − ∞ , ∞ ) .
178
Si lascia al Lettore il compito di riconoscere , nel caso di limiti bilateri , il
fatto che questa definizione li riassume tutti
nella sintesi di un unico enunciato
Paragrafo 2.11) . Teoremi fondamentali sui limiti .
Teorema 1.11) . ( dell’unicità del limite)
Se esiste un limite della funzione f per x tendente a c allora
tale limite è unico
pur di convenire che , quando il limite è +∞ o − ∞ , non sia permesso
affermare che tale limite può essere anche ∞ (come , a rigor di termini ,
sarebbe consentito ).
DIM. Escludendo per il momento il caso del limite ∞ , è facile constatare
che se la funzione f ammettesse per x→c i limiti L1 ed L2 , con
L1 ≠ L2
sarebbe possibile scegliere due intorni
uno I(L1) di L1
, l’altro I(L2) di L2 ,
fra loro disgiunti
cioè tali che sia
I(L1) ∩ I(L2) = ∅
Ma allora , da un lato , in corrispondenza a I(L1) , esisterebbe un intorno di c
I1(c)
179
tale da aversi
1.11)
x ∈ I1(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L1) ;
dall’altro , in corrispondenza ad I(L2) , esisterebbe un intorno di c
I2(c)
tale da aversi
2 .11)
x ∈ I2(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L2) :
ora , poiché , come è facile riconoscere ( vedi F. 1.11) ,
l’intersezione di due intorni di c è ancora un intorno di c
e sia
I1(c) ∩ I2(c) = I(c)
da 1.11) e 2 .11) deriva che vale l’implicazione
x ∈ (I1(c) ∩ I2(c) = I(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L1) ∩ I(L2) = ∅
ma questa è una inaccettabile contraddizione , perché
l’insieme vuoto non può contenere alcun elemento
mentre si è appena concluso che f (x) ∈ I(L1) ∩ I(L2) = ∅
non appena sia x ∈ (I1(c) ∩ I2(c) = I(c)) ∩ D −{c} :
l’ipotesi L1 ≠ L2 è quindi assurda
donde la conclusione. C.V.D.
Il Lettore completi il ragionamento nel caso in cui uno dei due limiti risulta ∞.
180
A seguito del Teorema dell’unicità del limite è opportuno porre in luce
alcuni fatti di rilievo , che si rivelano utili in molte sitazioni .
Proposizione 1.11) . Se per una funzione f risulta
lim f ( x ) = L
x →c
e D’ è un sottoinsieme di D( f ) avente anch’esso c come punto di accu
mulazione , allora se
fD’
è la restrizione di f a D’ , risulta ancora
x→c
fD’(x) → L
DIM. Facile : è lasciata per esercizio al Lettore.
Assai importanti sono le seguenti due conseguenze della Prop.1.11) .
Proposizione 2.11) . Sia f una funzione di dominio D , c sia un punto di
accumulazione per D e per il suo sottoinsieme D’ :
allora vale la seguente implicazione
fD’ e non ha limite per x→c ⇒ f non ha limite per x→c
DIM. Infatti , in base a Prop. 1.11) , se f avesse limite L f per x→c ,
anche f|D’ avrebbe limite L per x→c .
Proposizione 3.11) . Sia f una funzione di dominio D , c sia un punto di
accumulazione per D e per i suoi sottoinsiemi D’ e D’’.
se allora
fD’ e ha limite L’ per x→c ∧ fD’’ ha limite L’’ per x→c
e risulta
181
L’ ≠ L’’
( tranne il caso in cui uno dei due sia ∞ , e l’altro +∞ , o −∞)
sicuramente f non ha limite per x→c
DIM. Infatti , se sistesse il
lim f ( x ) = L
x →c
per Prop.1.11)
fD’ ed fD’ dovrebbero avere entrambe L come limite per x→c
contro l’ipotesi L’ ≠ L’’
donde la conclusione.
E’ infine chiaro che , nel caso di limiti unilateri , gli enunciati vanno integrati
con i termini
intorno destro o intorno sinistro
e anche in tal caso il Lettore può procedere ad analoghe verifiche .
Teorema 2.11) . ( della permanenza del segno)
Se risulta
lim f ( x ) = L
x→c
con
L >0
oppure L < 0
convenendo di assumere
+∞ > 0
e
−∞ < 0
allora esiste un intorno I(c) di c tale che
182
i valori che la funzione assume in ogni x ∈ (I1(c) ∩ I2(c) = I(c)) ∩ D −{c}
hanno tutti lo stesso segno del limite
DIM. Ci limiteremo al caso L > 0 : al Lettore il compito di trattare l’altro
caso.
Se è L > 0 ( vedi F. 2.11)
è sempre possibile scegliere
un intorno I(L) di L tutto contenuto in R+
Scelto in tal modo I(L) ,
per definizione di limite , esiste un intorno I(c) di c tale da aversi
x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L) ⊆ R+
donde la facile conclusione. C.V.D.
Teorema 3.11) . ( 1° teorema del confronto) .
Siano date tre funzioni
f , h , g
di domini rispettivi
D(f ) , D(h) , D(g)
con un medesimo punto di accumulazione c ,
e con f e g ammettenti lo stesso limite L per x → c .
Allora , se esiste
183
un intorno I∗(c) di c tale che si abbia
3.11)
I∗(c) ∩ D(f ) −{c} = I∗(c) ∩ D(h ) −{c} = I∗(c) ∩ D(g) −{c} = D∗
e inoltre valga la catena di disuguaglianze
f (x) ≤ h (x) ≤ g(x) , ∀ x ∈ D∗ ,
4.11)
anche la funzione h ammette L come limite per x → c
DIM. Limitiamoci , per semplicità , al caso in cui L è un numero reale , cioè
supponiamo f e g convergenti per x → c .
Si tratta di provare , deducendolo dalle ipotesi , il fatto che si ha
lim h( x ) = L
x →c
Scegliamo quindi un arbitrario numero ε > 0 , definente l’intorno
I( L ; ε) di L :
per l’ipotesi
lim f ( x ) = L
x →c
lim g ( x ) = L
∧
x →c
esistono due intorni di c
If (c)
e
Ig(c)
siffatti che valgano le implicazioni
5.11)
x ∈ If (c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ∈ I( L ; ε)
6.11)
x ∈ Ig(c) ∩ D(g) −{c} ⇒ g (x) ∈ I( L ; ε) ;
e
184
Posto allora
I(c) = I∗(c) ∩ If (c) ∩ Ig(c)
si ha che I(c) è un intorno di c , e che
qualunque sia x appartenente a I(c) ∩ D(h) e diverso da c
per la 3.11)
x appartiene a D∗
quindi vale la
4.11)
f (x) ≤ h (x) ≤ g(x) ;
d’altra parte , per le 5.11) e 6.11) , per ogni tale x si hanno le
7.11)
L−ε < f (x) < L+ε
8.11)
L−ε < g (x) < L+ε :
e
ora , assieme , 4.11) , 7.11) e 8.11) rendono valida l’implicazione
x ∈ I(c) ∩ D(h) −{c} ⇒ L−ε < f (x) ≤ h (x) ≤ g(x) < L+ε
e dunque la
x ∈ I(c) ∩ D(h) −{c} ⇒ L−ε < h (x) < L+ε ⇔ h (x) ∈ I( L ; ε)
ed è quanto basta per concludere che vale la tesi
lim h( x ) = L
x →c
C.V.D.
Il Lettore può ora completare la dimostrazione anche nel caso in cui
L sia infinito , o limite unilatero .
185
Enunciamo gli altri due Teoremi del confronto , lasciando la loro semplice
dimostrazione al Lettore .
Teorema 4.11) . ( 2° teorema del confronto) .
Siano date due funzioni
f
e
g
di domini rispettivi
D(f ) , D(g)
con un medesimo punto di accumulazione c , e si abbia che
lim f ( x ) = +∞
x →c
Allora , se esiste
un intorno I∗(c) di c tale che si abbia
9.11)
I∗(c) ∩ D(f ) −{c} = I∗(c) ∩ D(g) −{c} = D∗
e inoltre valga la disuguaglianaza
f (x) ≤ g(x) , ∀ x ∈ D∗ ,
10.11)
risulta pure che
lim g ( x ) = +∞
x →c
Teorema 5.11) . ( 3° teorema del confronto) .
Siano date due funzioni
186
f
e
g
di domini rispettivi
D(f ) , D(g)
con un medesimo punto di accumulazione c , e si abbia che
lim f ( x ) = −∞
x →c
Allora , se esiste
un intorno I∗(c) di c tale che si abbia
I∗(c) ∩ D(f ) −{c} = I∗(c) ∩ D(g) −{c} = D∗
9.11)
e inoltre valga la disuguaglianaza
10.11)
g (x) ≤ f (x) , ∀ x ∈ D∗ ,
risulta pure che
lim g ( x ) = −∞
x →c
Chiudiamo questo paragrafo con un
importante risultato sulle funzioni convergenti
Teorema 6.11) . Se una funzione f è convergente per x → c , allora
esiste un opportuno intorno di c nel quale f risulta limitata
DIM. Per ipotesi si ha che esiste L ∈ R tale che
lim f ( x ) = L
x →c
187
Scegliamo allora un numero ε > 0 , che fissa l’intorno
I(L; ε) di L :
per definizione di limite , esiste un intorno
I(c) di c
( c , si noti , può anche essere +∞ , −∞ o ∞) tale da aversi
x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L; ε) ⇔ L − ε < f (x) < L + ε
questo significa che la funzione f ristretta a I(c) ∩ D(f )
ha l’Immagine contenuta nell’insieme ] L − ε , L + ε[ ∪ {f (c)}
o , addirittura , se f non fosse definita in c , o c fosse +∞ , −∞ o ∞ ,
contenuta nell’intervallo ] L − ε , L + ε[
donde la facile conclusione .C.V.D.
Paragrafo 3.11) . Infinitesimi e loro proprietà principali.
Definizione 2.11) . Se una funzione f è tale che
lim f ( x ) = 0
x →c
si dice che f è un infinitesimo per x → c
Proposizione 5.11) . Data una funzione f si ha che
188
f è un infinitesimo per x → c
se e solo se
è un infinitesimo per x → c la funzione | f | , detta valore assoluto di f
DIM. La funzione | f | si definisce ponendo
| f | (x) = | f (x) | , ∀ x ∈ D( f ) .
Allora la dimostrazione è una semplice reinterpretazione della Def 1.7).
Altrettanto elementare è la dimostrazione della seguente
Proposizione 4.11) . Una funzione f è convergente per x → c , avendosi
lim f ( x ) = L
x →c
con L ∈ R
se e solo se la funzione f − L è un infinitesimo per x → c
come pure
se e solo se la funzione | f − L| è un infinitesimo per x → c
Proposizione 5.11) . Se una funzione f è convergente per x → c , avendosi
lim f ( x ) = L
x →c
con L ∈ R
esiste un infinitesimo α , di dominio uguale a quello di f , tale che
f (x) = L + α (x) , ∀ x ∈ D( f ) ,
a parole diremo che
una funzione convergente a L per x → c si può pensare come somma
189
della funzione costante L e di un infinitesimo per x → c
DIM. Facile : l’infinitesimo di cui nell’enunciato è ( vedi Prop.4.11))
α = f (x) − L
Proposizione 5.11) . Se la funzione f è un infinitesimo per x → c , ed esis
te un intorno
I∗(c) di c
tale che valga l’implicazione
11.11)
x ∈ I∗(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ≠ 0
allora risulta che
lim
x →c
1
=∞
f ( x)
ove qui chiaramente per f si intende la f ristretta a I∗(c) ∩ D(f ) −{c}.
Se , poi , la 11.11) si può precisare nella forma
12.11)
x ∈ I∗(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) > 0
allora risulta che
lim
x →c
1
= +∞
f ( x)
e se , invece , si ha
13.11)
x ∈ I∗(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) < 0
allora risulta che
190
lim
x →c
1
= −∞
f ( x)
DIM. L’ipotesi è che
lim f ( x ) = 0
x →c
la tesi è che
lim
x →c
1
=∞
f ( x)
e , per dimostrare quest’ultima , si scelga un qualunque numero M > 0 , che
determina l’intorno di ∞
I(∞ ; M ) = ] −∞ , M [ ∪
]M,+∞[
Considerato allora il numero positivo
ε = M −1 (=
per l’ipotesi
1
) >0
M
lim f ( x ) = 0
x →c
esiste un intorno
I’(c) di c
tale da aversi
x ∈ I’(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ | f (x) | < ε ;
se , allora , si pone
I(c) = I∗(c) ∩ I’(c)
I(c) è un intorno di c , contenuto in particolare in I∗(c) , sicché si avrà
191
14.11)
x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ≠ 0 :
d’altra parte I(c) è contenuto anche in I’(c) , per cui si avrà
15.11)
x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ | f (x) | < ε :
dalle 14.11) e 15.11) deriva che
1
f ( x)
x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒
>
1
ε
=M
e questo equivale chiaramente a dire che
1
f ( x) ∈ I(∞ ; M ) = ] −∞ , M [ ∪ ] M , + ∞ [ :
tanto basta per avvalorare la tesi . C.V.D.
Il Lettore completi la dimostrazione negli altri due casi contemplati nell’enun
ciato .
Proposizione 6.11) . Se una funzione f è
somma di un numero finito di infinitesimi per x → c
allora anche f è un infinitesimo x → c
DIM. Ci limiteremo al caso in cui f è somma di due infinitesimi per x → c :
f =α +β
Per provare che α + β è un infinitesimo , si scelga un qualunque numero
ε > 0
e sia
ε’=
ε
2
> 0:
192
avendosi
lim α ( x ) = 0
x →c
e
lim β ( x ) = 0
x →c
esisteranno due intorni di c
Iα(c)
e
Iβ (c)
tali da aversi , rispettivamente , se D è il comune dominio di α e di β ,
16.11)
x ∈ Iα (c) ∩ D −{c} ⇒ | α (x) | < ε ’
17.11)
x ∈ Iβ (c) ∩ D −{c} ⇒ | β (x) | < ε ’ :
e
posto allora
I(c) = Iα (c) ∩ Iβ (c)
I(c) è un intorno di c , e , per le 16.11) e 17.11) , valide entrambe in I(c) ,
si avrà
x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ | α (x) + β (x) | ≤ | α (x) | + | β (x) | < 2 ε ’ = ε
e tanto basta per validare la tesi . C.V.D.
Il caso di più funzioni−addendi è una semplice estensione , lasciata al Lettore .
Proposizione 7.11) . Siano g ed α funzioni di dominio D ; c sia un pun
to di accumulazione per D , e si abbia che
18.11)
α è un infinitesimo per x→c ,
193
e
19.11)
g risulta limitata in un intorno I’(c) di c :
in tali condizioni la funzione prodotto f = α g è un infinitesimo per x→c .
DIM. L’ipotesi sulla funzione g garantisce l’esistenza
di un intorno
e di
I’(c) di c
un numero M > 0
tali che sussista la
20.11)
x ∈ I’(c) ∩ D −{c} ⇒ | f (x) | < M
Per dimostrare la tesi
lim α ( x ) f ( x ) = 0
x →c
sia ε > 0 un qualunque numero positivo , e si ponga
ε’=
ε
M
>0
In corrispondenza a ε ’ > 0 , per l’ipotesi
lim α ( x ) = 0
x →c
esiste un intorno I’’(c) di c tale da aversi
21.11)
Si ponga allora
x ∈ I’’(c) ∩ D −{c} ⇒ |α (x) | < ε ’
I(c) = I’(c) ∩ I’’(c) :
194
I(c) è anch’esso un intorno di c , nel quale , per le 20.11) e 21.11) ,
risulta , per moltiplicazione membro a membro delle due disuguaglianze ,
x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ |α (x) f (x) | = |α (x) | | f (x) | < ε ’M = ε
donde la conclusione , ormai agevole . C.V.D.
Una facile , ma importante conseguenza della Prop.7.11) , è la seguente
Proposizione 8.11). Siano g ed α funzioni di dominio D ; c sia un punto
di accumulazione per D , e si abbia che
18.11)
α è un infinitesimo per x→c ,
e
19.11)
g risulta convergente per x→c :
in tali condizioni la funzione prodotto f = α g è un infinitesimo per x→c .
DIM. Basta infatti applicare alla funzione g il Teor. 6.11) , secondo il quale
g in un opportuno intorno di c risulta limitata :
ad α e g si può quindi applicare la Prop. 7.11) , e ottenere la tesi .
Paragrafo 3.11) . Comportamenti al limite delle funzioni somma,
differenza , prodotto e quoziente di funzioni ,
e del valore assoluto di una funzione .
Proposizione 9.11) . Siano
f1 , f2 , . . . , fn
195
funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione
di D . Allora , se
f1 , f2 , . . . , fn
sono tutte convergenti per x→c , avendosi
lim f h ( x ) = Lh
x →c
con
Lh ∈ R , ∀ h ∈{ 1 , 2 , … , n} ,
risulta che anche la funzione somma delle funzioni in questione
f1 + f2 + ⋅ ⋅ ⋅ + fn
è convergente per x→c , avendosi inoltre che
lim f1 ( x ) + f 2 ( x ) + ⋅ ⋅ ⋅ + f n ( x ) = L1 + L2 + ⋅ ⋅ ⋅ + Ln
x →c
formula che si può rendere in forma più compatta come segue
n
n
1
1
lim ∑ h f h ( x ) = ∑ h lim f h ( x )
x →c
x →c
e dà luogo all’enunciato ben noto
il limite della somma di funzioni convergenti è la somma dei limiti
DIM. Vediamo il caso di due funzioni : la generalizzazione al caso di n
funzioni è facile .
Per provare che risulta
lim f1 ( x ) + f 2 ( x ) = L1 + L2
x →c
basta provare che
196
x→c
( f1 (x) + f2(x) ) − (L1 + L2) → 0
ma ciò è immediato appena si pensi che è
( f1 (x) + f2(x) ) − (L1 + L2) = ( f1 (x) −L1) + ( f2(x) − L2)
che risulta
x→c
f1 (x) − L1 → 0
x→c
e
f2 (x) − L2 → 0
e che la somma di due finitesimi è un in finitesimo ( v. Prop. 6.11)) .
Proposizione 9.11) . Siano
f1 , f2 , . . . , fn
funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione
di D . Allora , se
f1 , f2 , . . . , fn
sono tutte convergenti per x→c , avendosi
lim f h ( x ) = Lh
x →c
con
Lh ∈ R , ∀ h ∈{ 1 , 2 , … , n} ,
risulta che anche la funzione prodotto delle funzioni in questione
f1 f2 . . . fn
è convergente per x→c , avendosi inoltre che
lim f1 ( x ) f 2 ( x )... f n ( x ) = L1 L2 ...Ln
x →c
formula che si può rendere in forma più compatta come segue
197
n
n
1
1
lim ∏ h f h ( x ) = ∏ h lim f h ( x )
x →c
x →c
e dà luogo all’enunciato ben noto
il limite del prodotto di funzioni convergenti è il prodotto dei limiti
DIM. Anche qui consideriamo il caso di due funzioni : il Lettore potrà facil
mente generalizzare .
Per provare che risulta
lim f1 ( x ) f 2 ( x ) = L1 L2
x →c
basta dimostrare che si ha
x→c
( f1(x) f2(x) − L1 L2) → 0 :
si pensi allora che valgono le uguaglianze
f1(x) f2(x) − L1 L2 = f1(x) f2(x) − f1(x) L2 + f1(x) L2 − L1 L2 =
= f1(x) ( f2(x) − L2) + ( f1(x) − L1 ) L2 ,
e che per le ipotesi risulta , da un lato , che
x→c
x→c
f1(x) − L1 → 0
f2(x) − L2 → 0 ,
e
e , dall’altro , che
f1
ed
L2
( questa seconda pensata come funzione costante ) risultano entrambe
convergenti per x → c , la prima ad L1 , la seconda a L2 :
198
si può quindi applicare alle funzioni prodotto
f1(X) ( f2(X) − L2)
e
( f1(X) − L1 ) L2
la Prop. 8.11) , la quale assicura che sono entrambe infinitesimi per x → c :
infinitesimo per x→c sarà dunque anche la loro somma
sicché risulterà
lim f 1 ( x ) f 2 ( x ) − L1 L2 = 0
x →c
donde la conclusione .C.V.D.
Conseguenza immediata della Prop 9.11) è la seguente
Proposizione 10.11) Se f è una funzione convergente per x → c
avendosi
lim f ( x ) = L
x →c
e h è un qualsiasi numero reale , allora per la funzione
hf
detta
prodotto di h per f
definita ponendo
( h f ) (x) = h f (x) , ∀ x ∈ D( f ) ,
si ha che
h f è convergente per x → c , e che risulta
199
lim ( hf )( x ) = hL = h lim f ( x )
x →c
x →c
DIM. Basta pensare h come una funzione costante , convergente ad h
per x→c , e applicare appunto Prop. 9.11) .
Proposizione 11.11) . Siano
f1
e
f2
funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione
di D . Allora , se
f1
e
f2 sono entrambe convergenti per x → c , con
lim f1 ( x ) = L1
x →c
∧
lim f 2 ( x ) = L2
x →c
anche la loro differenza f1 − f2 è convergente per x → c , avendosi inoltre
lim f1 ( x ) − f 2 ( x ) = L1 − L2 = lim f1 ( x ) − lim f 2 ( x )
x →c
x →c
x →c
formula tradotta in parole con
il limite della differenza di funzioni convergenti è la differenza dei limiti
DIM. Si pensi f1 − f2 come somma di f1 e di (−1) f2 : al Lettore i particolari.
Proposizione 12.11) . Sia f una funzione convergente per x → c
avendosi
lim f ( x ) = L ≠ 0
x →c
vale a dire che
f converge per x→c , ma non è un infinitesimo per x → c ,
200
allora esiste un intorno I(c) di c tale da aversi
x ∈ I(c) ∩ D( f ) − {c} ⇒ f (x) ≠ 0
sicché si può considerare nell’insieme
D’ = I(c) ∩ D( f ) − {c}
la funzione reciproca della f
1
f
e tale , inoltre , che
1
questa funzione f risulti limitata in D’ = I(c) ∩ D( f ) − {c}
DIM. Poiché
L≠0
supponiamo , per fissar le idee , che sia
L>0
si scelga allora per intorno circolare di L un intervallo
I(L; ε) = ] L−ε , L+ε [
in modo che risulti
0 < L−ε < L < L+ε ;
per l’ipotesi
lim f ( x ) = L
x →c
201
in corrispondenza ad I(L; ε) esiste un intorno I(c) di c tale da aversi
x ∈ I(c) ∩ D( f ) − {c} ⇒ L−ε < f (x) < L+ε :
ora , essendo
0 < L−ε < f (x) < L+ε
passando ai reciproci dei membri delle due ultime disuguaglianze , si ottiene la
seguente , valida per ogni x ∈ I(c) ∩ D( f ) − {c} ,
1
1
1
<
<
L+ε
f ( x) L − ε
donde la facile conclusione . C.V.D.
Proposizione 13.11) . Sia f una funzione convergente per x → c
avendosi
lim f ( x ) = L ≠ 0
x →c
vale a dire che
f converge per x→c , ma non è un infinitesimo per x → c ,
allora , se I(c) è un intorno di c tale da aversi che in
D’= I(c) ∩ D( f ) − {c}
la funzione reciproca della f
1
f
esiste e risulta limitata (v. Prop.12.11))
si può dire che tale funzione è convergente per x → c , e per di più che si ha
202
lim
x →c
1
1
1
= =
f ( x ) L lim 1
x →c f ( x )
DIM. Basta provare che
1
1 x →c
− →0
f ( x) L
Allo scopo osserviamo che vale l’uguaglianza , per ogni x ∈ D’ ,
1
1
1 −1
− =
( ( f ( x ) − L ))
f ( x) L f ( x) L
e, per cose già viste , che il Lettore può precisare , si ha che
x →c
−1
( f ( x) − L) → 0
L
mentre in D’
1
f
si mantiene limitata : applicando allora Prop. 7.11) si ottiene subito la conclu
sione voluta. C.V.D.
Proposizione 14.11) . Siano
f1
e
f2
funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione
di D . Allora , se
f1
e
f2 sono entrambe convergenti per x → c , con
lim f1 ( x ) = L1
x →c
∧
lim f 2 ( x ) = L2
x →c
203
e inoltre si ha che
L2 ≠ 0
ristretta a un opportuno intorno di c si può considerare la funzione
f1
f2
la quale risulta convergente per x → c , avendosi inoltre
f1 ( x )
f1 ( x ) L1 lim
x →c
=
=
lim
x →c f ( x )
L
lim f 2 ( x )
2
2
x →c
formula tradotta in parole con
il limite del quoziente di funzioni convergenti è il quoziente dei limiti
naturalmente essendo sottointeso che
il funzione denominatore del quoziente non deve essere un infinitesimo
vale a dire che si ha
lim f 2 ( x ) ≠ 0
x →c
DIM. Basta provare che
f1 ( x ) L1 x→c
−
→0
f 2 ( x ) L2
e questo si ottiene considerando le uguaglianze , valide in un opportuno
intorno di c ( v. Prop.13.11)) ,
f1 ( x ) L1
f ( x ) L2 − f 2 ( x ) L1
f ( x ) L2 − L1 L2 + L1 L2 − f 2 ( x ) L1
−
= 1
= 1
=
f 2 ( x ) L2
f 2 ( x ) L2
f 2 ( x ) L2
204
=
( f1 ( x ) − L1 ) L2 + L1 ( L2 − f 2 ( x ))
1
1
=
( ( f1 ( x ) − L1 ) L2 + L1 ( L2 − f 2 ( x ))))
f 2 ( x ) L2
f 2 ( x ) L2
e tener presente ( il Lettore precisi) che
1
f 2 ( x ) si mantiene limitato nell’intorno considerato di c
e che
x →c
1
( f1 ( x ) − L1 ) L2 + L1 ( L2 − f 2 ( x )) → 0
L2
da cui la conclusione .
Proposizione 15.11) . Sia f una funzione , di dominio D , e c sia un punto
di accumulazione di D . Allora , se f è convergente
per x → c , avendosi
lim f ( x ) = L
x →c
con
L∈R
anche la funzione ⎢f ⎢, valore assoluto di f , è convergente per x → c
è risulta inoltre che
x→c
⎢f ⎢(x) = ⎢f (x) ⎢ → ⎢L ⎢
a parole si dice che
il limite del valore assoluto di una funzione convergente
è il valore assoluto del suo limite
DIM. E’ lasciata per esercizio al Lettore .
205
Osservazione importante 1.11) . In base ai teoremi sui limiti sopra considerati
se esistono finiti i limiti di due funzioni f e g
esistono finiti anche i limiti delle funzioni
f+g
,
f−g ,
fg
,
f
g
nel caso del quoziente , come precisato in Prop. 12.11) , dovendosi supporre
che la funzione g non sia un infinitesimo ;
si deve però , a questo proposito , sottolineare il fatto che
non valgono affatto i teoremi inversi di quelli sopra enunciati :
e precisamente ,
può benissimo darsi , ad esempio , che esista finito il limite di f + g
senza che esistano finiti i limiti di f e di g
e così pure per gli altri casi della differenza , del prodotto e del quoziente .
Si aggiunge a questo il fatto che
può darsi che esista finito il limite del valore assoluto | f (x) | di f
senza che esista finito il limite di f
Tutte questi casi saranno presi in considerazione in sede di esercitazione .
Paragrafo 3.11) . Limite di una funzione composta .
Poiché la maggior parte delle funzioni oggetto dell’Analisi sono
206
funzioni composte
risulta molto importante il loro comportamento di fronte all’operazione di
limite . Ne trattiamo quindi in una proposizione dedicata .
Proposizione 16.11) . Sia data la funzione composta
h=gof
di prima componente la funzione f
e
seconda componente la funzione g ;
sia poi c un punto di accumulazione ( eventualmente anche infinito) di
D( h ) = D( f ) .
Supponiamo soddisfatte le condizioni seguenti :
1)
esiste il limite di f per x → c , avendosi
lim f ( x ) = l
x→c
ove l può essere finito o infinito ;
2)
esiste il limite di g per y → l , avendosi
lim g ( y ) = L
y →l
( l’elemento corrente in D( g) è qui denotato con y per maggior chia
rezza ; va detto inoltre che L può essere anche infinito ) ;
3) esiste un intorno I di c tale da aversi
x ∈ D( f ) ∩ I − {c} ⇒ f (x) ≠ l ;
207
in tali ipotesi si ha che
la funzione composta h = g o f ha per limite L per x → c :
lim h( x ) = lim g ( f ( x )) = L
x→c
x→c
DIM. Per provare la tesi si scelga un intorno qualsiasi
I(L) di L :
si tratta di provare che , in corrispondenza a I(L) , esiste un intorno
I(c) di c
tale da aversi
x ∈ D(h) ∩ I(c) − {c} ⇒ h (x) = g( f (x)) ∈ I(L)
Ora , per l’ipotesi
lim g ( y ) = L
y →l
in corrispondenza ad I(L) esiste un intorno
I(l) di l
tale da aversi
y∈ D(g) ∩ I(l) − {l} } ⇒ g( y) ∈ I(L) ;
ma per l’ipotesi
lim f ( x ) = l
x→c
in corrispondenza all’intorno I(l) di l esiste un intorno
208
I′(c) di c
tale da aversi
x ∈ D(f ) ∩ I′(c) − {c} ⇒ f (x) ∈ I(l) :
posto allora
I(c) = I′(c) ∩ I
I(c) è ancora un intorno di c , contenuto però in I
sicché la funzione f , calcolata in un punto qualunque x di
D(f ) ∩ I(c) − {c}
non assumerà mai il valore l , e questo per la condizione assunta 3) ;
si è così trovato l’intorno cercato di c , ed è proprio l’ I(c) = I′(c) ∩ I ,
per il quale , tenuto conto di tutto quanto detto , del fatto che risulta ovvia
mente
D(h ) = D(f ) ,
e infine che certo si ha
Im( f ) ⊆ D(g) ,
sussistono le implicazioni
x ∈ D(f ) ∩ I(c) − {c} ⇒ f (x) ∈ D(g) ∩ I(l) − {l} ⇒
⇒ g( f (x)) = h (x) ∈ I(L) ,
donde la facile conclusione . C.V.D.
209
Paragrafo 4.11) . Limiti delle funzioni monotòne .
Definizione 2.11) . Una funzione , definita in un insieme A , sottoinsieme del
suo dominio D ,
si dice monotòna crescente in A se vale l’implicazione
x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) ≤ f (x2) ;
si dice monotòna crescente in senso stretto in A se vale l’implicazione
x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) < f (x2) ;
si dice monotòna decrescente in A se vale l’implicazione
x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) ≥ f (x2) ;
si dice monotòna decrescente in senso stretto in A se vale l’implicazione
x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) > f (x2) ;
Le funzioni monotòne dei vari tipi
hanno notevoli proprietà per quanto riguarda i loro limiti
delle quali tratteremo qui di seguito .
Teorema 7.11) . Il dominio D della funzione f abbia il punto c ( eventual
mente anche +∞ ) come punto di accumulazione sinistra ;
in tal caso
se esiste un intorno sinistro di c Is(c) tale che
in A = Is(c) ∩ D − {c} f risulta monotòna crescente (decrescente)
210
allora si può affermare che
certamente esiste il
lim f ( x ) = L
x →c −
e precisamente risulta che
L è l’estremo superiore (inferiore) dell’insieme Im( fA)
DIM. Prendiamo il caso di f crescente : l’altro caso si tratta in modo del tutto
analogo .
Sia
E = sup( fA ) (= sup(Im( fA)) :
si tratta di dimostrare che risulta
lim f ( x ) = E
x →c −
A tale scopo si scelga un qualunque intorno I(E) di E : si deve trovare in corris
pondenza un intorno sinistro I(c) di c tale da aversi
x ∈ I(c) ∩ D − {c} ⇒ f (x) ∈ I(E)
Se , ad esempio , E è un numero reale , si può scegliere
I(E) = ] E − ε , E + ε ]
Essendo
E−ε < E
per la seconda proprietà dell’estremo superiore esiste un elemento dell’insieme
Im( fA)) , e sia y1 , tale che risulti
E − ε < y1 ≤ E ;
211
se x1 è un elemento di A tale che f (x1) = y1 , certamente risulta
x1 < c ;
posto allora δ = c − x1 ( > 0 ) , sia
I(c) = Is(c) ∩ ] c − δ = x1 , c ] :
I(c) è un intorno sinistro di c , per il quale vale la seguente catena di implica
zioni
x ∈ I(c) ∩ D − {c} ⇒ y1 = f (x1) ≤ f (x) ⇒
⇒ E − ε < y1 = f (x1) ≤ f (x) ≤ E ⇒ f (x) ∈ I(E)
la disuguaglianza
f (x1) ≤ f (x)
essendo dovuta al fatto che fA è monotona crescente in A , mentre la
f (x) ≤ E
è dovuta alla prima proprietà dell’estremo superiore E di Im( fA) , donde la
conclusione , ormai facile . C.V.D.
Il Lettore prenda in considerazione anche il caso in cui sia E = +∞ , oltre al ca
so della decrescenza di f .
Si ha naturalmente un enunciato simmetrico al precedente in
Teorema 8.11) . Il dominio D della funzione f abbia il punto c ( eventual
mente anche −∞ ) come punto di accumulazione destra ;
in tal caso
se esiste un intorno destro di c Id(c) tale che
in A = Id(c) ∩ D − {c} f risulta monotòna crescente (decrescente)
212
allora si può affermare che
certamente esiste il
lim f ( x ) = L
x →c −
e precisamente risulta che
L è l’estremo inferiore (superiore) dell’insieme Im( fA)
Non ci addentreremo nella dimostrazione di quest’altro risultato : gli esempi
in sede di esercitazione lo illustreranno ampiamente , come del resto anche que
sta conseguenza dei due teoremi precedenti sulle funzioni monotòne .
Proposizione 17.11). Se f è una funzione definita in un intervallo I , limitato
o illimitato ,
ed f è in I monotòna
allora , per ogni punto c ∈ I , si ha che
f ammette finiti sia il limite sinistro che quello destro per x → c
e precisamente si ha che
f ( x ) ≤ f (c) ≤ lim f ( x )
f crescente in I ⇒ xlim
→c
x →c
−
+
e che
f ( x ) ≥ f (c) ≥ lim f ( x)
f decrescente in I ⇒ xlim
→c
x →c
−
+
il numero
lim f ( x ) − lim− f ( x )
x →c +
x →c
213
prende il nome di
salto di f in c
ed è non negativo se f è crescente , non positivo se f è decrescente
Adeguate esemplificazioni in sede di esercitazione .
Paragrafo 5.11) . Due limiti fondamentali .
Di grande importanza per l’Analisi delle funzioni è il calcolo dei seguenti
due limiti :
sin x
x→0
x
1°)
lim
2°)
1
lim (1 + ) x
x →∞
x
e
sicché affideremo il loro calcolo a due specifiche Preoposizioni .
Proposizione 18.11). Se
sin x
significa
il seno dell’angolo la cui misura in radianti è x
allora risulta
sin x
=1
x →0
x
lim
214
DIM. Dimostriamo prima che si ha la
[∗]
lim+
x →0
sin x
=1
x
il Lettore si riferisca in proposito alla F. 3.11) .
In un intorno destro abbastanza piccolo dello 0 , 0 escluso , valgono le
seguenti disuguaglianze
sin x < x < tg x
dividendo le quali per sin x , che è positivo , si ottengono queste altre
x
1
1<
<
sin x
cos x
:
passando ai reciproci di questi numeri positivi si ottengono infine le
cos x <
sin x
< 1;
x
come dimostrato a suo tempo per la funzione coseno si ha che
lim cos x = 1
x →0
sicché per ottenere la [∗] basta applicare il Teorema del confronto , inter
pretando 1 come funzione costante , avente quindi 1 come limite per
x→ 0 .
La dimostrazione poi che vale anche la
[∗∗]
lim−
x →0
sin x
=1
x
è ottenuta considerando che , nell’intorno sinistro dello 0 , 0 escluso
la funzione h il cui valore è dato , per x < 0 , da
215
sin x
x
si può interpretare come funzione composta : precisamente
di prima componente la funzione f definita ponendo , per ogni x > 0 ,
f (x) = − x
e di seconda componente la funzione g definita ponendo , per ogni
y>0,
sin y
g (y) = y
infatti , per definizione di funzione composta , si ha , per ogni x < 0 ,
h (x) = (g o f )(x) = g(f (x)) =
− sin( x ) sin x
sin( − x )
=
(− x)
− ( x) = x :
poiché , se x tende a 0 da sinistra , f tende a 0 da destra , e g tende a 1
da destra per la [∗] sopra ottenuta , la [∗∗] può dirsi dimostrata applican
il teorema del limite di una funzione composta .
Donde la conclusione .C.V.D.
Osservazione 2.11). Il limite
sin x
=1
x →0
x
lim
risulterà essenziale per il calcolo delle derivate delle funzioni goniometriche
e delle loro inverse , le funzioni circolari .
E’ opportuno premettere alla Prop. nella quale si calcolerà il limite
216
1
lim (1 + ) x
x →∞
x
il seguente
Lemma 1.11). La successione di termine generale
1
(1 + ) n
n
risulta strettamente crescente e (superiormente) limitata :
ne segue che essa converge all’estremo superiore dell ’insieme dei suoi
valori , che un numero compreso tra 2 e 3 , detto il “ numero e “ .
DIM. Il termine generale della successione è suscettibile di una interpreta
di tipo finanziario , dalla quale apparirà chiaro il suo carattere stret
mente crescente ; il fatto che sia anche superiormente limitata è più
laborioso da ottenere , e non ce ne occuperemo in dettaglio .
La rappresentazione decimale del numero e , per le prime cifre ,è la se
guente
e = 2 , 7182818284590352 ... :
si tratta di un numero irrazionale ( prima dimostrazione di Eulero , del cui
nome il numero e è l’iniziale) .
Conseguenza del Lemma precedente è la
Proposizione 19.11). Risulta
1
lim (1 + ) x = e
x →∞
x
217
DIM. Per ogni numero x ≥ 1 , sia Floor(x) =[x] la sua parte intera ( il
più grande intero minore o uguale a x ) : allora , per ogni x tale
che risulti
n ≤ x < n+1 , con n ∈ N ,
si hanno le eguaglianze seguenti
(1 +
1 n
1 [x ]
) = (1 +
)
[x ] + 1
n +1
e
1
1
(1 + ) n +1 = (1 + )[ x ]+1
[x ]
n
mentre dalla n ≤ x < n+1 stessa derivano successivamente le
1
1 1
< <
n +1 x n
1+
(1 +
,
1
1
1
< 1+ < 1+
n +1
x
n
,
1 n
1
1
) < (1 + ) x < (1 + ) n+1
n +1
x
n
;
quindi , per le uguaglinze sopra stabilite , si hanno le disuguaglianze
(1 +
1 [x ]
1
1
) < (1 + ) x < (1 + )[ x ]+1
[x ] + 1
[x ]
x
valide per ogni x ≥ 1 : tenuto conto del Lemma 1.11) , del Teorema del
confronto , e del fatto , di dimostrazione agevole , che risulta
lim (1 +
n→+∞
1 n
1
1
) = lim (1 + ) n+1 = lim (1 + ) n
n→+∞
n→+∞
n +1
n
n
si può affermare intanto che è provata la
218
1
lim (1 + ) x = e
x → +∞
x
Per concludere resta da provare che risulta pure
1
lim (1 + ) x = e
x →−∞
x
e questo è lasciato per esercizio al Lettore .
Osservazione 3.11). Il limite
1
lim (1 + ) x = e
x→∞
x
si rivelerà essenziale per il calcolo delle derivate delle funzioni esponenziali
e delle loro inverse , le funzioni logaritmiche .
Osservazione importante 4.11). I due limiti
sin x
x→0
x
lim
e
1
lim (1 + ) x = e
x →∞
x
appartengono a quei limiti che vengono detti
di forma indeterminata :
nel caso del primo , si tratta del limite di una funzione
quoziente di due infinitesimi simultanei ;
nel caso del secondo , si tratta del limite di una funzione di tipo esponenziale
in cui la base tende a 1, mentre l’esponente tende a ∞ ;
è costume diffuso indicare il primo tipo di limite con il simbolo
0
0
e il secondo con il simbolo
1∞
219
ma con questo non si intende attribuire a questi simboli
nessun significato di operazioni algebriche
si tratta cioè di comode convenzioni per indicare in breve
problemi di limiti di forma indeterminata
questo attributo applicandosi a quei limiti che non possono essere calcolati
applicando qualcuno dei teoremi dimostrati a loro proposito , ma richiedono
per il loro calcolo accorgimenti appositi e diversi di volta in volta , come si
è chiaramente visto nei due casi esaminati sopra .
Elenchiamo qui di seguito
i tipi di limiti di forma indeterminata , o di indecisione :
0
∞
;
; 0 ⋅ ∞ ; +∞ − (+∞) ; −∞ − (−∞) ; ∞0 ; 1∞ ; 00 ;
0
∞
log0 ∞ ; log0 0 ; log∞0 ; log11 .
Il motivo dell’attributo “ di forma indeterminata “ è conseguenza del fatto
che , a priori , nulla può essere detto circa questi tipi di limiti : può cioè
darsi che un tale limite esista , oppure non esista , e , nel caso che esista ,
può essere finito , come infinito (dei vari tipi) : ognuno deve essere tratta
to a parte , con accorgimenti che solo l’esperienza può suggerire .
La casistica è molto ampia , e sarà naturalmente oggetto di dettagliate esem
plificazioni in sede di esercitazione .
220
CAPITOLO XII
LE FUNZIONI CONTINUE
Paragrafo 1.12). Nozione generale di continuità .
Definizione 1.12). Sia data una funzione
f:D→C
e x0 sia un punto del suo dominio D :
f si dice continua in x0 nei due casi seguenti :
1) x0 è un punto isolato di D ;
2) x0 è un punto di accumulazione per D e si ha che
lim f ( x) = f ( x0 )
x → x0
vale a dire
se f risulta convergente per x→ x0
e il suo limite coincide con il suo valore f (x0) in x0 :
nel secondo caso la definizione equivale ad affermare che risulta
lim f ( x) − f ( x0 ) = 0
x→ x0
221
ovvero che si ha
x → x0
f ( x ) − f ( x0 ) → 0
Se A è un sottoinsieme del dominio D di f tale che f risulta continua
in ogni punto di A , si dirà che
f è continua in A
in particolare f può essere continua in ogni punto del suo dominio D .
Nel caso in cui
x0 è punto di accumulazione destra per D
e risulta inoltre che
lim f ( x) = f ( x0 )
x→ x0+
si dice che
f è continua da destra in x0
e , simmetricamente , se si ha che
x0 è punto di accumulazione sinistra per D
e risulta inoltre che
lim f ( x) = f ( x0 )
x→ x0−
si dice che
f è continua da sinistra in x0
Osservazione importante 1.12). Poiché la continuità di una funzione
consiste nel fatto che si ha
222
lim f ( x) = f ( x0 )
x → x0
basandosi sulla definizione di limite , tale fatto consiste in quanto segue :
fissato un qualunque numero ε > 0 , esiste un numero δ > 0 tale da aversi
x∈ I(x0 , δ) ∩ D − {x0} ⇒ f (x) ∈ I(f (x0) , δ)
Ora , poiché in ogni caso certamente f (x0) ∈ I(f (x0) , δ) ,
l’esclusione di x0 nel caso della continità non è più necessaria
Paragrafo 2.12). Proprietà principali delle funzioni continue .
Semplici applicazioni dei teoremi sui limiti , di cui si è ampiamente trattato
nel Cap. XI , consentono di formulare la seguente
Proposizione 1.11). La somma e il prodotto di un numero finito qualsiasi
di funzioni continue risultano funzioni continue ;
la differenza e il quoziente di due funzioni continue
risultano funzioni continue
con l’unica condizione , nel caso del quoziente , è che
la funzione divisore non sia nulla in alcuno dei punti considerati
Il Lettore può verificare facilmente tutto l’enunciato .
Avvertenza 1.12). La continuità delle cosiddette funzioni elementari ,
come
le funzioni costanti , la variabile indipendente X , le funzioni razionali intere
dette anche “ polinomi ” , le funzioni razionali fratte (ovunque non si annul
223
li il denominatore) , le funzioni goniometriche , esponenziali , logaritmiche ,
le funzioni “ potenza ” , tra le quali i “ radicali ”, ecc . . .
saranno oggetto di verifica in sede di esercitazione
Ci occuperemo invece esplicitamente della continuità delle funzioni composte
Proposizione 2.12). Siano date due funzioni
f:D→C
e
g : D’→ C’
con la condizione di componibilità
f (D) ⊆ D’
Se , allora , x0 è un punto di D nel quale la funzione f è continua , e la
funzione g è continua nel punto f (x0) , ne segue che
la funzione composta
gof
è continua nel punto x0 .
DIM. Si tratta di dimostrare che risulta
lim g ( f ( x)) = g ( f ( x0 ))
x→ x0
partendo dalle ipotesi
lim f ( x) = f ( x0 )
e
x → x0
lim g ( f ( x)) = g ( f ( x0 ))
x→ x0
A questo scopo scegliamo un qualsiasi numero ε > 0 , che definisce l’intorno
I(g( f (x0)) , ε) di g( f (x0)) :
poiché risulta
lim g ( f ( x)) = g ( f ( x0 ))
x→ x0
224
esiste un numero γ > 0 tale da aversi ( v. Oss. 1.11))
1.12)
y ∈ I(f (x0) , γ) ∩ D’ ⇒ g(y) ∈ I(g( f (x0)) , ε) ;
d’altra parte , in corrispondenza al numero γ > 0 , che determina l’ intorno
I(f (x0) , γ) di f (x0)
poiché si ha anche
lim f ( x) = f ( x0 ) ,
x → x0
esiste un numero δ > 0 tale da aversi ( v. sempre Oss.1.11))
x∈ I(x0 , δ) ∩ D ⇒ f (x) ∈ I(f (x0) , γ) :
ma , allora , tenendo presente la 1.12) , risulta valere la catena di implicazioni
x∈ I(x0 , δ) ∩ D ⇒ f (x) ∈ I(f (x0) , γ) ⇒ g(f (x)) ∈ I(g( f (x0)) , ε)
donde la conclusione , ormai facile . C.V.D.
Per trattare ora delle proprietà di una funzione continua definita in un intervallo
I
che può essere aperto , chiuso , o semiaperto , limitato , o illimitato , si devono
premettere alcuni risultati a proposito della “ topologia del corpo reale R “ .
Teorema 1.12). (Teorema di Cantor)
Se
I1 = [ a1 , b1] , I2 = [ a2 , b2] , . . . , In = [ an , bn] , . . .
225
è una famiglia ( “ successione ” ) di intervalli chiusi e limitati , ciascuno dei
quali contiene il successivo ( intervalli “inscatolati “) , allora si ha che
l’insieme intersezione di tutti questi intervalli è non vuoto, si ha cioè
+∞
ℑ = I1 ∩ I2 ∩ I3 ∩ . . . ∩ In ∩ . . . = I n In ≠ ∅ ;
1
per di più si hanno due possibilità :
1a) ℑ è un intervallo chiuso e limitato [ a , b ] ;
2a) ℑ è un insieme costituito da un solo punto−numero ,
questa seconda situazione verificandosi esattamente
quando la successione delle misure degli intervalli della successione
b1 − a1 , b2 − a2 , . . . , bn − an , . . .
risulta infinitesima
DIM. Basta considerare le due successioni
2.12
a1 , a2 , . . . , an , . . .
3.12
b1 , b2 , . . . , bn , . . . :
e
la 2.12 risulta non decrescente e superiormente limitata , quindi
2.12 è convergente , e sia
lim a n = a
n → +∞
con ( v. proprietà delle funzioni monotòne)
226
an ≤ a , ∀ n ∈ N ;
la 3.12 risulta non crescente e inferiormente limitata , quindi
3.12 è convergente , e sia
lim bn = b
n→+∞
con ( v. proprietà delle funzioni monotòne)
b ≤ bn , ∀ n ∈ N ;
ne segue facilmente che si avrà
an ≤ a ≤ b ≤ bn , ∀ n ∈ N ,
e di qui l’ovvia conclusione . Il Lettore implementi e precisi .
Dal teorema di Cantor discende il seguente risultato molto importante
Teorema 2.12). (Teorema di Bolzano)
Ogni insieme A di numeri reali che sia
limitato e infinito
ammette almeno un punto di accumulazione
DIM. Sia
A ⊆ I= [ a , b ] , con a , b ∈ R .
Si divida I1 in due intervalli di uguale lunghezza
I1,1 = [a ,
risulta
a+b
]
2
e I1,2 = [
a+b
, ponendo
2
a+b
, b]
2
I1 = I1,1 ∪ I1,2 :
227
almeno uno dei due intervalli I1,1 , I1,2 deve contenere un numero infinito
di elementi di A , e si ponga allora
I1 = [ a1 , b1]
quello dei due , ad esempio , che si trova “ più a sinistra “ ; la lunghezza di
la lunghezza di I1 è uguale a b1− a1 =
b−a
b−a
= 1
2
2
e
I1 e contiene infiniti elementi di A
A questo punto il procedimento si ripete , suddividendo I1 in due intervalli
di uguale lunghezza e ponendo
I2 = [ a2 , b2] quello dei due che contiene infiniti elementi di A
e si trova “ più a sinistra dei due” :
la lunghezza di I2 è uguale a b2− a2 =
b−a b−a
= 2
4
2
ecc... : si costruisce così la successione di intervalli chiusi e inscatolati
I1 , I2 , . . . , In , . . .
b−a
;
2n
ci troviamo nelle ipotesi del teorema di Cantor , e precisamente nella seconda delle
due possibilità , essendo ovviamente
la lunghezza dell’ n−esimo dei quali , In , è bn− an =
b−a
=0
n→ +∞ 2 n
lim
quindi l’intersezione
228
+∞
ℑ = I1 ∩ I2 ∩ I3 ∩ . . . ∩ In ∩ . . . = I n In = {c}
1
ove c è un opportuno punto dell’intervallo I che risulta
un punto di accumulazione per l’insieme A :
infatti , ogni suo intorno circolare ( v. F. 1.12)
I(c, ε)
contiene ogni In della successione sopra costruita , non appena risulti
mis(In) =
b−a
<ε
2n
il che accade per n > N , ove N è un opportuno intero positivo , atteso che
b−a
=0
n→ +∞ 2 n
lim
per la precisione basta che sia
b−a
) +1
ε
ove Floor è la funzione “parte intera di ” : stabilito ciò è chiaro che
n > Floor( log 2
I(c, ε) contiene infiniti punti di A , poiché ogni In ne contiene infiniti
donde la conclusione , ormai facile.
L’importanza del teorema di Bolzano si rivela per la sua conseguenza
di fondamentale rilievo
costituita dal seguente
Teorema 3.12). (Teorema di Weierstrass) .
Se f è una funzione definita e continua in un insieme D , chiuso e limitato ,
229
in D f è limitata e assume in D minimo e massimo assoluti
In particolare D può essere un intervallo chiuso e limitato I = [ a , b ].
DIM. Supposto , per semplicità , che sia D = I = [ a , b ] , si dimostra per prima cosa
che f risulta in D ( superiormente e inferiormente ) limitata .
Quindi , posto , ad esempio ,
E = sup( f )
si costruisce ( v. F. 2.12) una successione di punti di I = [ a , b ] , a due a due distinti
,
x1 , x2 , . . . , xn , . . .
tale che risulti
4.12)
lim f ( xn ) = E
n → +∞
Il sottoinsieme di I = [ a , b ] , infinito e limitato , per il Teorema di Bolzano ,
A = { xn , ∀ n ∈ N}
per il Teorema di Bolzano , ammette un punto di accumulazione c :
facilmente allora si costruisce una sottosuccessione di A = { xn , ∀ n ∈ N}
xh1 , xh2 ,..., xhm ,...
tale che
m → +∞
xh1 , xh2 ,..., xhm ,... → c
Per la continuità di f si avrà , da un lato ,
230
m→ +∞
f ( xh1 ), f ( xh2 ),..., f ( xhm ),... → f (c )
dall’altro , per la 4.12 , si ha però anche
m→+∞
f ( xh1 ), f ( xh2 ),..., f ( xhm ),... → E :
quindi risulta , per l’unicità del limite ,
f (c) = E
sicché
E è il massimo assoluto di f in I = [ a , b ] .
Per il minimo assoluto il ragionamento è del tutto analogo .
Sussiste un risultato fondamentale a proposito di funzioni continue , che pe
rò ci limiteremo ad enunciare e a commentare in sede di esercitazione, data
la ristrettezza del tempo a disposizione del corso :
Teorema 4.12). (Teorema dei valori intermedi).
Se f è una funzione definita e continua in un intervallo I ( limitato o illimi
tato , chiuso , aperto , o semiaperto )
f assume in I tutti i valori compresi fra inf( f ) e sup( f )
in particolare , se I è chiuso e limitato , si ha che , detti
m = min( f )
e
M = max( f )
il minimo assoluto e il massimo assoluto di f in I
risulta
Im( f ) = [ m , M ] :
così una funzione continua
231
trasforma un intervallo chiuso e limitato in un intervallo chiuso e limitato
assumendo almeno una volta ogni valore compreso fra m e M
Di un’ altra notevole proprietà delle funzioni continue tratta il seguente
Teorema 5.12) . Se f è una funzione definita e continua in un intervallo
chiuso e limitato
I=[a,b]
ed è in I invertibile ,
la sua funzione inversa f −1 risulta anch’essa continua in Im( f )
Osservazione 2.12). E’ importante notare come
l’inversa di una funzione f continua e invertibile può non risultare continua
se il dominio di f non è un intervallo
Paragrafo 3.12). Classificazione dei punti di discontinuità .
Definizione 2.12) . Se f : D → C è una funzione e , c è un punto di accumu
lazione per D , e si verifica uno o l’altro dei seguenti casi
A) c ∈ D , ma f non è continua in c , vale a dire
quando è falso affermare che f converge a f (c) per x → c
( potendo esistere o non esistere il limite di f per x → c ) ;
B) f non è definita in c .
232
I punti di discontinuità di una funzione vengono classificati secondo il seguente
schema (ogni caso sarà adeguatamente illustrato in sede di eser citazione) .
1°) Punti di discontinuità di prima specie .
Si dice che
nel punto c la funzione f ha una discontinuità di prima specie
se esistono finiti in il limite destro e quello sinistro di f per x → c
e questi due limiti risultano diversi fra loro
e , in tal caso , se si ha
lim f ( x ) ≠ lim− f ( x )
x →c +
x →c
il numero
s = lim+ f ( x ) − lim− f ( x )
x →c
x →c
prende il nome di
salto di f in c
e può essere chiaramente sia positivo che negativo ;
2°) Punti di discontinuità di seconda specie .
Si dice che
nel punto c la funzione f ha una discontinuità di seconda specie
se in c uno almeno dei due limiti
lim f ( x )
x →c +
,
lim f ( x )
x →c −
233
risulta infinito , oppure non esiste :
per la precisione , con la locuzione , per esempio , “ non esiste “ il
lim f ( x )
x →c +
si deve intendere qui che c è punto di accumulazione destra per D
ma la funzione f non ammette limite per x → c+
3°) Punti di discontinuità di terza specie , detta anche “ eliminabile “ .
Si dice che
nel punto c la funzione f ha un punto di discontinuità di terza specie ,
oppure di discontinuità “ eliminabile “ , se esiste finito il limite
lim f ( x )
x→c
ma , o la funzione f non è definita nel punto c , pur esistendo f (c) ,
risulta però
lim f ( x ) ≠ f (c )
x →c
Osservazione 3.12). L’attributo “ eliminabile “ , nel 3°) caso , è dovuto
al fatto che
è sufficiente modificare la funzione semplicemente attribuendole in c
per definizione il valore
lim f ( x )
x→c
234
per ottenere una funzione continua in c :
la funzione così ottenuta differisce dalla f di partenza solo in c ,
o essendovi definita , mentre f non lo era ,
oppure avendo solo in c un valore diverso da quello di f ,
ed essendole identica ovunque altrove .
235
CAPITOLO XIII
DERIVATE DELLE FUNZIONI DI UNA VARIABILE
Paragrafo1.13). Il concetto di derivata prima di una funzione .
Definizione 1.13). Sia f : D → C una funzione , e
x0 un punto del suo dominio D
che sia anche punto di accumulazione per D :
la funzione
R[ x0] : D − { x0} → R
definita ponendo
f (x) − f (x0 )
R[ x0](x) =
x − x0
prende il nome di
rapporto incrementale della funzione f nel punto x0 , o in x0 .
Se risulta che
cioè
il rapporto incrementale di f in x0 converge per x → x0
se esiste finito il limite
si pone
lim
x→ x0
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
,
x − x0
f ( x) − f ( x0 )
= f ' ( x0 )
x − x0
236
e tale numero prende il nome di
derivata prima , o 1a , della funzione f nel punto x0 , o in x0 :
si dice in tal caso che
la funzione f è derivabile in x0 .
L’attributo “ prima “ viene di norma sottointeso se il contesto non richie
de altrimenti ( per distinguere derivate di vari ordini ) .
Osservazione 1.13). Se , per ogni x appartenente al dominio di f e tale
che sia x ≠ x0 , si pone
h = x − x0
il rapporto incrementale di f in x0 si può esprimere nella forma
f (x0 +h) − f (x0 )
h
e, poiché , se x → x0 , h = x − x0 → 0 , il limite del rapporto incrementale
si può calcolare anche come
lim
h→0
f ( x0 + h) − f ( x0 )
h
Dimostriamo subito un risultato assai importante in
Teorema 1.13). Se una funzione f è derivabile in x0 , allora si ha che
di conseguenza f è continua in x0 ,
vale cioè l’implicazione
f è derivabile in x0 ⇒ f è continua in x0 ;
ma , si badi bene ,
237
non vale in generale l ’implicazione inversa
vale a dire che
una funzione può essere continua in un punto
ma non essere in quel punto derivabile
come gli esempi in proposito confermeranno .
DIM. f è per ipotesi derivabile in x0 , quindi risulta
1.13)
lim
x→ x0
f ( x) − f ( x0 )
= f ' ( x0 )
x − x0
Costruiamo allora la funzione H : D −{ x0} → R , ponendo
2.13)
h( x) =
f ( x) − f ( x0 )
− f ' ( x0 )
x − x0
che , per l’ipotesi 1.13) , è un infinitesimo per x → x0 :
da 2.13) segue che vale in tutto D −{x0} l’uguaglianza
3.13)
f (x) − f (x0) = ( h(x) + f ′( x0)) ( x− x0)
e questa basta per concludere che risulta
4.13)
in quanto si ha che
lim f ( x) − f ( x0 )) = 0
x→ x0
lim x − x0 = 0
x→ x0
e anche che
238
lim h( x) + f ' ( x0 ) = f ' ( x0 )
x→ x0
sicché il secondo membro della 3.13) è un infinitesimo per x → x0
perché prodotto della funzione h(X) + f ′( x0) , convergente a f ′( x0) per
x → x0 , e della funzione (X − x0) , infinitesima per x → x0 :
ma la 4.13) equivale alla
lim f ( x) = f ( x0 )
x→ x0
cioè alla continuità della f in x0 .
Quanto al fatto che una funzione può essere continua in un punto , ma non
essere ivi derivabile , basti per il momento il seguente esempio : la funzione
⏐X⏐
è continua ovunque , e in particolare , è continua in 0 :
in 0 però essa non è derivabile poiché si ha
lim+
x→0
x−0
x
= lim+ = 1
x − 0 x→0 x
ma
lim−
x→0
x−0
−x
= lim−
= −1
x − 0 x→0 x
e pertanto non esiste il
lim
x→0
x−0
x−0
sicché la funzione
⏐X⏐ non è derivabile in 0
239
Osservazione 2.13). Vedremo fra poco che , se è vero che la funzione
⏐X⏐ non è derivabile in 0 , essa ammette però in 0
derivata destra uguale a 1 e derivata sinistra uguale a −1 :
vi sono tuttavia esempi di funzioni che, pur essendo continue in un punto
non ammettono nemmeno derivate unilatere : ne prenderemo in conside
razione alcuni in sede di esercitazione .
Va comunque osservato che questi esempi dimostrano come per una fun
zione
la condizione di derivabilità risulta più forte di quella di continuità
Osservazione importante 3.13). Come illustra chiaramente la F.1.13) , nel
le varie configurazioni della curva−grafico di una funzione ,
la derivabilità di una funzione f in un punto x0 corrisponde al fatto che
la curva−grafico G( f ) è dotata di tangente non verticale nel suo punto
P0(x0 , f (x0))
Questo fatto va precisato con cura .
Anzitutto la retta che congiunge
il punto P0(x0 , f (x0)) con il punto P(x , f (x)) , con x ≠ x0 ,
prende il nome di
“ corda “ di G( f ) relativa al punto P0(x0 , f (x0))
e la sua rappresentazione cartesiana è
r (P0 , P) : Y =
f (x) − f (x0 )
(X − x0) ;
x − x0
dunque , intanto ,
il coefficiente angolare della corda r (P0 , P) di G( f ) relativa a P0(x0 , f (x0))
240
coincide con il rapporto incrementale della funzione f in x0 :
poiché la funzione f è derivabile in x0 ,
il rapporto incrementale , e quindi il coefficiente angolare di r (P0 , P) ,
tendono , per x → x0 , allo stesso limite
lim
x→ x0
f ( x) − f ( x0 )
= f ' ( x0 )
x − x0
quindi la corda r (P0 , P) tende ad identificarsi ,” al limite “ , con la retta
r0 : Y = f ′( x0) (X − x0)
che per questo prende il nome di
tangente alla curva G( f ) in P0(x0 , f (x0))
il cui coefficiente angolare , o “ pendenza “ , è la derivata 1a di f in x0
f ′( x0) ;
si osservi che , in ogni caso , la retta
r0 : Y = f ′( x0) (X − x0)
risulta
una retta non verticale del piano cartesiano .
Poiché è chiaro che , fra tutte le rette per P0(x0 , f (x0)) , la tangente a G( f )
è quella che meglio approssima G( f ) nell’intorno del punto P0(x0 , f (x0)) ,
risulta del tutto naturale assumere
f ′( x0) come “pendenza “ della curva−grafico G( f ) nel punto P0(x0 , f (x0)) :
241
è cosi che f ′( x0) , la derivata 1a di f in x0 ,
fornisce , in x0 una interpretazione numericamente quantificata
della rapidità della variazione , o “ velocità ”, di f (x) rispetto a quella di x ,
e questo sia in valore assoluto , che in segno , poichè , al crescere di x ,
f (x) può , in corrispondenza a x0 , essere in fase crescente o decrescente .
Si è parlato per il momento di derivata di una funzione f in un singolo punto.
E’ chiaro che , data l’importanza della derivata , sarà di sicuro interesse deter
minarla in ogni punto in cui la funzione risulta derivabile :
viene così costruita una nuova funzione , definita in un sottoinsieme del
dominio D( f ) di f , la quale prende il nome di
( funzione ) derivata 1a della funzione f
e viene denotata con i simboli
f ′ , o f ′(X) , o D( f )
in quest’ultimo caso D prende il nome di operatore derivata
gli operatori essendo concepiti come corrispondenze che
a funzioni associano funzioni
Va da sé che il dominio della derivata di una funzione f va determinato
e indicato di volta in volta , perché può essere strettamente contenuto nel
dominio della funzione .
Paragrafo 2.13). Derivate di alcune funzioni elementari .
1) Se la funzione f , in un intorno I di x0 , è costante , si ha che
242
f è derivabile in x0 , e inoltre che f ′( x0) = 0 .
Infatti , per calcolare il limite per x→ x0 del rapporto incrementale di f in
x0 , si può calcolare il limite del rapporto incrementale della restrizione di f
a D( f ) ∩ I , e in questo insieme essendo f costante per ipotesi , ne segue
facilmente che il relativo rapporto incrementale risulta identicamente nullo ,
donde la facile conclusione .
Da quanto sopra provato discende subito che
se la funzione f è costante in un qualsiasi intervallo I , si ha che
in tutto I f risulta derivabile , e che la sua derivata D( f ) = 0 ,
intendendosi con ciò che D( f ) è la funzione nulla in tutto I .
2) La derivata della funzione − identità X è la costante 1 .
Infatti , in qualunque punto x0 in cui si costruisca il rapporto incrementale
di X , lo si trova uguale a
x − x0
=1
x − x0
da cui segue subito l’enunciato .
3) Considerate le due funzioni goniometriche fondamentali
sin X
e
cos X
esse sono ovunque derivabili , e si ha che
D( sin X ) = cos X
e
D( cos X ) = sin X
Premettiamo l’avvertenza essenziale che ogni funzione goniometrica del
l’Analisi è calcolata supponendo che , per ogni numero x che sia il suo
argomento , x sia la misura in radianti dell’angolo nel quale la funzio
243
goniomatrica va valutata : questa è la convenzione sotto la quale si è cal
colato il limite fondamentale
sin( x )
=1
x→0
x
lim
(v. Par.4.11)) : gli altri limiti che coinvolgono funzioni goniometriche so
no più o meno direttamente connessi a questo .
Esaminiamo il caso della funzione sin X . Il suo rapporto incrementale in
un punto x qualsiasi si può esprimere successivamente come segue
sin( x + h ) − f ( x ) sin( x ) cos( h ) + cos( x ) sin( h ) − sin( x )
=
=
h
h
= sin( x )
cos( h ) − 1
sin( h )
+ cos( x )
h
h
e di questo va calcolato il limite per h → 0 : tenendo presenti i limiti già
calcolati altrove
sin( h )
=1
h→0
h
lim
e
cos( h ) − 1
=0
h→ 0
h
lim
( x in questo caso va pensato fissato e costante al variare di h ) si ottiene
lim
h→ 0
sin( x + h ) − f ( x )
cos( h ) − 1
sin( h )
= lim sin( x )
+ cos( x )
=
h→ 0
h
h
h
= sin(x) ⋅ 0 + cos(x) ⋅1 = cos x :
si è così provata la formula
D( sin X ) = cos X
La dimostrazione della seconda formula è analoga , basata sulla formula del
“ coseno di una somma “ : è lasciata per esercizio al Lettore .
244
4) Consideriamo la funzione esponenziale eX : si ha che
eX è derivabile ovunque , e la sua derivata è
D (eX) = eX
vale a dire che
la derivata di eX coincide con la funzione eX stessa
In un qualunque punto x esprimiamo il rapporto incrementale di eX nella
forma
h
e x+h − e x
x e −1
=e
h
h
ricordando che risulta ( v. Par.4.11))
eh −1
lim
=1
h→0
h
si ottiene
h
e x+h − e x
x e −1
lim
= lim e
= e x ⋅1 = e x
h→0
h→0
h
h
da cui la conclusione .
Paragrafo 3.13). Derivate unilatere .
La nozione di derivata si può affinare con l’acquisire il concetto di derivata
unilatera : questo perché , anche se la derivata bilatera non dovesse , per qual
che motivo , esistere , l’esistenza , ad esempio , della derivata destra , fornisce
una buona informazione sul “attacco” della funzione a partire da un certo pun
to x0 in avanti , che si traduce graficamente in un comportamento ben preci
so del grafico della funzione stessa “ in uscita “ dal punto P0(x0 , f (x0)) verso
destra .
Porremo quindi la seguente
245
Definizione 2.13). Sia x0 é un punto del dominio D della funzione f , di
accumulazione destra ( sinistra) per D.
Se allora risulta che
il rapporto incrementale di f in x0 converge per x → x0+, [ x → x0−] ,
cioè
se esiste finito il limite
lim+
x→x0
f (x) − f (x0 ) ⎡
f (x) − f (x0 ) ⎤
lim
⎢x→x0 −
⎥
x − x0
x − x0 ⎦ ,
⎣
si pone
lim+
x→ x0
⎡
⎤
f ( x) − f ( x0 )
f ( x) − f ( x0 )
= f '+ ( x0 ) ⎢ lim−
= f '− ( x0 )⎥
x − x0
x − x0
⎣ x→x0
⎦
si dice che
e che
f è derivabile a destra ( a sinistra ) in x0
f ′+(x0) [f ′−(x0)] è la derivata destra [sinistra] di f in x0
Osservazione 4.13). Sulla scorta della dimostrazione che , se f e derivabile
in un punto x0 , f risulta anche continua in x0 , si può
agevolmente provare che
se f ammette derivata destra [ sinistra ] in x0
f risulta anche continua da destra [da sinistra ] in x0 .
Paragrafo 5.13). Derivata di una somma , di una differenza , di un
prodotto e di un quoziente di funzioni .
Proposizione 1.13). Se x è il generico punto nel quale le funzioni in og
getto risultano derivabili , valgono le formule seguenti :
246
1) D( f + g ) (x) = D( f ) (x) + D (g) (x) ;
2) D( f − g ) (x) = D( f ) (x) − D (g) (x) ;
3) D( f g) (x) = D( f ) (x) ⋅ g(x) + f (x) ⋅ D (g) (x) ;
D( f )( x) ⋅ g ( x) − f ( x) ⋅ D( g )( x)
f
(
)(
x
)
=
D
4)
;
g
g ( x) 2
nell’ultimo caso è chiaro che si deve supporre che sia g(x) ≠ 0 .
Le prime tre formule sono abbastanza semplici da provare , sicché si può
lasciare al Lettore il compito .
Per la quarta , è opportuno supporre in un primo momento che f sia la cos
tante 1 , con il che essa diventa la
1
D( g )( x)
g ' ( x)
4′) D( g )( x) = − g ( x) 2 = − g ( x) 2
f
dimostrata la quale ( sarà oggetto di esercitazione ) si può interpretare g
come
1
f⋅
g
e ricorrere alla formula 3) . Al Lettore i dettagli .
Osservazione 6.13). La prima e la terza formula di Prop. 3.13) sono suscetti
bili di generalizzazione per via induttiva : saranno ogget
to di esercitazione.
Paragrafo 4.13). Derivata di una funzione composta .
247
Questo è un argomento di grande rilievo , in quanto attraverso il procedi
di composizione di funzioni si costruiscono la gran parte delle funzioni
che interessano l’Analisi .
Ne tratteremo quindi dedicando alla questione un Teorema specifico con
qualche semplificazione delle ipotesi , in quanto le funzioni che si studiano
in Economia rientrano in genere in queste ipotesi stesse .
Teorema 2.13). Siano f e g due funzioni , rispettivamente prima e secon
da componente di una funzione composta ( v. Def.7.8))
h= gof
inoltre si fanno le seguenti supposizioni
1) f è derivabile in un punto x0 ;
2) g è derivabile nel punto f (x0) ;
3) esiste un intorno I del punto x0 tale da aversi
x ∈ D( f ) ∩ I − { x0} ⇒ f (x) ≠ f (x0) :
in tali condizioni si ha che
la funzione composta
h= gof
risulta derivabile nel punto x0 , e che vale la seguente formula
5.13)
h ′(x0) = g ′(f (x0)) ⋅ f ′(x0)
DIM. Come al solito , per calcolare il limite del rapporto incrementale della
funzione
h= gof
relativo al punto x0 , ci si può limitare alla funzione restrizione di essa all’in
248
insieme
D( h ) ∩ I − { x0} = D( f ) ∩ I − { x0}:
questo consente di redigere tale rapporto incrementale nel seguente modo
6.13)
h(x) − h(x0 ) g( f (x)) − g( f (x0 )) g( f (x)) − g( f (x0 )) f (x) − f (x0 )
=
=
⋅
x − x0
x − x0
f (x) − f (x0 )
x − x0
si può allora tener presente che
a) la funzione primo fattore dell’ultima espressione
g( f (x)) − g( f (x0 ))
f (x) − f (x0 )
è pensabile come funzione composta , di dominio
D( h ) ∩ I − { x0} = D( f ) ∩ I − { x0}
di prima componente la restrizione di f a quest’ultimo
e
di seconda componente il rapporto incrementale della funzione g
nel punto f (x0)
rapporto incrementale che è , ricordiamo , la funzione definita ponendo
g( y) − g( f (x0 ))
y − f (x0 )
per ogni y ∈ D( g ) − { f ( x0)} e , già che ci siamo , ricordiamo anche che
essendo
g derivabile nel punto f (x0)
risulta che
g( y) − g( f (x0 ))
= g' ( f (x0 ))
y→f ( x0 )
y − f (x0 )
lim
249
Per il risultato sul limite di una funzione composta ( v. Prop.16.11) si ha dun
que intanto che tale fattore è convergente per x→ x0 , avendosi
g( f ( x)) − g( f ( x0 ))
g( y) − g( f ( x0 ))
= lim
= g' ( f ( x0 ))
x→x0
y→ f ( x0 )
f ( x) − f ( x0 )
f ( y) − f ( x0 )
lim
b) il secondo fattore dell’ultimo membro della 6.13) risulta anch’esso
convergente per x→ x0 , e precisamente a f ′(x0)
naturalmente questa volta per il fatto che
f è derivabile nel punto x0
poiché il limite del prodotto di due funzioni convergenti è il prodotto dei
loro limite ,
il risultato può dirsi raggiunto .
C.V.D.
Un altro risultato di grande rilievo , collegato con Teor.2.13) , riguarda
la derivabilità della funzione inversa di una funzione derivabile
ne forniamo qui di seguito l’enunciato
Proposizione 2.13). Sia f una funzione derivabile nel suo dominio, l’inter
vallo I ( di qualunque specie ) . Se , inoltre , f è anche
f è anche invertibile , e g = f −1, è la sua inversa ,
allora , per ogni punto x0 di I per il quale si abbia
f ′(x0) ≠ 0
250
risulta che
la funzione g , inversa di f , è derivabile nel punto f (x0) , e risulta anzi
DIM. Di questo assai importante risultato daremo una giustificazione di ca
rattere prevalentemente geometrico : dovrà essere inserita quindi fra
le Figure .
Osservazione 7.13). E’ chiaro che le due formule che forniscono le derivate
di una funzione composta e di una funzione inversa ,
valgono in ogni punto x in cui le rispettive ipotesi sono soddisfatte , dando
così luogo alle più generali
h ′(x) = g ′(f (x)) ⋅ f ′(x)
e
g ' ( f ( x)) =
1
f ' ( x)
Paragrafo 5.13). Comportamento della derivata nei punti estremanti
di una funzione .
Definizione 2.13). Sia f : D → C una , e x0 un punto di D . Allora
1) se esiste un intorno I(x0) di x0 tale che risulti
x ∈ I(x0) ∩ D ⇒ f (x) ≤ f (x0)
x0 si dice un punto di massimo relativo per la funzione f ,
e se risulta addirittura
251
x ∈ I(x0) ∩ D −{ x0} ⇒ f (x) < f (x0)
x0 si dice un punto di massimo relativo proprio per la funzione f ;
2) se esiste un intorno I(x0) di x0 tale che risulti
x ∈ I(x0) ∩ D ⇒ f (x) ≥ f (x0)
x0 si dice un punto di minimo relativo per la funzione f ,
e se risulta addirittura
x ∈ I(x0) ∩ D −{ x0} ⇒ f (x) > f (x0)
x0 si dice un punto di minimo relativo proprio per la funzione f ;
3) i punti di massimo e di minimo relativo vengono collettivamente designati
con il termine
estremanti di f ;
4) se x0 è un punto di massimo relativo per f e inoltre si ha che
f (x0) = max(Im( f ))
x0 si dice un punto di massimo assoluto per la funzione f ;
5) se x0 è un punto di minimo relativo per f e inoltre si ha che
f (x0) = min(Im( f ))
x0 si dice un punto di minimo assoluto per la funzione f ;
6) se x0 è un estremante di f che sia punto di accumulazione sia destra
che sinistra per il dominio D di f ,
252
x0 si dice un estremante bilatero di f .
Assai notevole è il comportamento della derivata di una funzione in un punto
che sia per essa un estremante bilatero , come risulta dal prossimo
Teorema 2.13). Se x0 è un estremante bilatero della funzione f ,
e in x0 f è derivabile , allora si ha che
f ′( x0) = 0
DIM. Sia , ad esempio , x0 un punto di massimo relativo per f . Per ipotesi
esiste il
lim f ( x ) = f ' ( x 0 )
x → x0
e poichè è stato supposto che x0 lè punto di accumulazione sia destra che
sinistra per D , ne segue che esistono , entrambi uguali a f ′( x0) , i limiti
unilateri
lim f ( x ) = f ' ( x 0 )
x → x0 +
lim f ( x ) = f ' ( x 0 )
x → x0 −
D’altra parte , essendo x0 un punto di massimo relativo per f , esiste intan
to un intorno I(x0) di x0 tale da aversi
x ∈ I(x0) ∩ D ⇒ f (x) ≤ f (x0) ;
costruiamo allora il rapporto incrementale destro di f in x0
f ( x) − f ( x0 )
x − x0
e osserviamo che
a) essendo x > x0 , si ha x − x0 > 0 ;
b) per calcolare il limite del rapporto incrementale in questione ci si può li
mitare ai valori x ( situati a destra di x0) e tali che
253
x∈ I(x0) ∩ D
sicché il numeratore del rapporto incrementale risulta
f (x) − f (x0) ≤ 0 ;
quindi , tenendo conto di a) e di b) , si può affermare che
per il rapporto incrementale destro di f , “ in prossimità di x0” ,
risulta
f ( x) − f ( x0 )
≤0
x − x0
[∗]
Applicando a questo punto il Teorema della permanenza del segno , si
può concludere che
non è possibile che risulti
lim +
x → x0
f ( x) − f ( x0 )
= f '( x0 ) > 0
x − x0
in quanto , a norma di quel Teorema , esisterebbe un intorno destro I+( x0)
di x0 tale da aversi
x ∈ I+(x0) ∩ D
⇒
f ( x) − f ( x0 )
>0
x − x0
il che contrasta evidentemente con la [∗] sopra stabilita :
non resta quindi che concludere con la disuguaglianza
(1)
f ′( x0) ≤ 0
Ragionando in modo analogo con il limite sinistro ( al Lettore i particolari)
254
lim f ( x ) = f ' ( x 0 )
x → x0 −
si conclude con la disuguaglianza
(2)
f ′( x0) ≥ 0 :
(1) e (2) implicano la tesi
f ′( x0) = 0
E’ infine chiaro che il risultato vale anche nel caso in cui
x0 è un punto di minimo relativo (bilatero)
e anche in tal caso il Lettore è invitato a costruire il relativo ragionamento .
C.V.D.
Osservazione importante 8.13). L’ipotesi che
x0 sia un estremante bilatero per f è assolutamente essenziale
per poter concludere che , se f è derivabile in x0 , si ha f ′( x0) = 0 :
lo dimostreranno ampiamente gli esempi in sede di esercitazione .
Va inoltre osservato come , nella dimostrazione del Teorema 2.13) , è im
plicito che , se la funzione f è , ad esempio ,
monotona crescente [ decrescente] a destra di x0
quindi se
x0 è punto di minimo [ massimo ] relativo
per la funzione restrizione di f a D ∩ [x0 , +∞ [ ,
e
f ammette derivata destra in x0 ,
255
allora si avrà , rispettivamente ,
f ′+(x0) ≥ 0 [ f ′−(x0) ≤ 0 ]
Paragrafo 6.13). Derivate successive di una funzione .
Data una funzione f , di dominio l’insieme D , la funzione f ’ , sua derivata
1a , risulta una nuova funzione , definita in un sottoinsieme D1 di D , eventual
mente coincidente con D. Posto
g=f’
si può indagare g per quanto riguarda la sua derivabilità : può quindi restare
definita un’ulteriore funzione g’ , derivata 1a di g , il cui dominio sarà , a sua
volta , un sottoinsieme D2 di D1 , e quindi di D : tale funzione prende il nome
di
derivata seconda , o 2a , di f
e viene indicata con il simbolo
f ’’
ma anche , e specie in vista di derivate di ordini più elevati ,
f (2)
Procedendo ulteriormente si può considerare , naturalmente sotto opportune
ipotesi di esistenza , la derivata n − esima , o d’ordine n , di f
f (n)
Ciascuna derivata successiva di una funzione f dà un contrtibuto specifico
che serve a migliorare sempre più la comprensione dell’andamento della fun
zione stessa : ad esempio , il valore in un punto x0 della derivata 2a, f (2) (x0),
256
è in relazione , sia per il suo valore , che per il suo segno , con quella che può
essere intuitivamente chiamata
la curvatura del grafico G( f ) nel suo punto P0( x0 , f (x0))
257
CAPITOLO XIV
I TEOREMI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE
Paragrafo 1.14). Teoremi di Rolle , Lagrange , Cauchy .
Teorema 1.14). (Teorema di Rolle).
Sia f una funzione definita in un intervallo chiuso e limitato
I=[a,b]
ed f soddisfi inoltre alle seguenti condizioni :
(1) f (a) = f (b) ;
(2) f è continua in tutto I = [ a , b ] ;
(3) f è derivabile in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ :
allora si ha che
esiste almeno un punto c interno ad I = [ a , b ] , cioè c ∈ ] a , b [ ,
tale che in c la derivata di f si annulla : f ′(c) = 0
DIM. f è , per ipotesi continua nell’intervallo chiuso e limitato I = [ a , b ] :
come tale , per il Teor. di Weierstrass , f è dotata in [ a , b ] di
258
minimo e massimo assoluti
e siano essi
m = min( f )
e
M = max( f )
Ora si danno due casi :
1°) m = M ;
2°) m ≠ M .
Nel primo caso si ha , ovviamente , per ogni x ∈ [ a , b ] ,
m ≤ f (x) ≤ M = m ⇒ f (x) = m = M
quindi f è una funzione costante in tutto [ a , b ] : ne segue che
f è derivabile in tutto [ a , b ] (compresi gli estremi )
e anzi risulta
f ′ (x) = 0 , ∀ x ∈ [ a , b ] ,
per cui la tesi è soddisfatta “ad abundanziam” .
Nel secondo caso , siano c e d due punti in cui f assume , rispettivamente,
il suo minimo m e il suo massimo M :
f (c) = m
<
f (d) = M ;
poichè , per ipotesi , risulta
f (a) = f (b)
almeno uno dei due punti c e d deve cadere internamente ad [ a , b ] ,
e sia , ad esempio , c : essendo allora
c un estremante bilatero per f , ed essendo f derivabile in c
259
ne segue che ( v, Teor. 2.13))
f ′ (c) = 0
donde la conclusione. C.V.D.
Teorema 2.14).(Teorema di Lagrange , o del valor medio)
Sia f una funzione definita in un intervallo chiuso e limitato
I=[a,b]
ed f soddisfi inoltre alle seguenti condizioni
(1) f è continua in tutto I = [ a , b ] ;
(2) f è derivabile in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ :
allora si ha che
esiste almeno un punto c interno ad I = [ a , b ] , cioè c ∈ ] a , b [ ,
tale da aversi
f (b ) − f ( a )
= f ' (c )
b−a
DIM. Si consideri la funzione g definita ponendo
g ( x) = f ( x) −
f (b ) − f ( a )
x
b−a
A proposito di questa funzione g si può dire che
(1) g (a) = g (b) ;
260
(2) g è continua in tutto I = [ a , b ] ;
(3) g è derivabile in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ :
(1) si ottiene subito con un calcolo elementare ;
(2) è dovuta al fatto che g è differenza delle funzioni continue in tutto
[a,b]
f (b ) − f ( a )
f (X) e
X
b−a
(3) è dovuta al fatto che g è differenza delle funzioni derivabili in tutto
]a,b[
f (b ) − f ( a )
X
f (X) e
b−a
dunque
la funzione g verifica in [ a , b ] alle ipotesi del teorema di Rolle :
esiste perciò (almeno) un punto c interno ad [ a , b ] tale da aversi
g′ (c) = 0 ,
ma , essendo , per ogni x ∈ ] a , b [
g ' ( x) = f ' ( x) −
f (b ) − f ( a )
b−a
ne segue che risulta
0 = g ' (c ) = f ' (c ) −
f (b ) − f ( a )
b−a
donde
f (b ) − f ( a )
= f ' (c )
b−a
e la conclusione. C.V.D.
261
Osservazione 1.14). La denominazione di
Teorema del valor medio
è chiaramente dovuta al fatto che il membro di sinistra dell’uguaglianza sta
bilita da Lagrange , nel caso che x sia la misura del tempo , ed f (x) quella
dello spazio percorso lungo una certa traiettoria nel lasso di tempo di durata
x , essendo il rapporto fra l’incremento dello spazio e quello del tempo , ha
il significato di
velocità media del moto :
in tal caso l’uguaglianza di Lagrange stabilisce un fatto del tutto verosimile,
e cioè che , almeno in un certo istante c , situato dopo l’inizio e prima della
fine del moto in questione ,
la velocità istantanea del moto coicide con la sua velocità media complessiva
Interpretazioni analoghe nel caso che le variabili abbiano significati diversi.
Di solito , nei trattati , al Teorema del valor medio di Lagrange si fanno segui
re alcune sue importanti conseguenze , che vanno sotto il nome di Corollari del
Teorema stesso : anche qui vengono proposti.
Corollario 1.14). ( 1° Corollario del Teorema di Lagrange )
Data una una funzione f definita in un intervallo I , che può essere
limitato o illimitato , chiuso , aperto , o semiaperto ,
se sono soddisfatte le due condizioni seguenti
(a) f è continua in tutto I ,
(b) se x è un qualsiasi punto interno di I , si ha che f è derivabile in x
e risulta
f ’(x) = 0 ,
262
allora si ha che
la funzione f è costante in tutto I
DIM. Sia x1 un qualunque punto interno di I , e x un qualunque altro
punto di I (anche non interno , cioè di frontiera) : supponiamo , per
fissar le idee , che sia
x1 < x
La funzione g restrizione di f all’intervallo chiuso e limitato [ x1 , x]
risulta continua in tutto [ x1 , x] , che è contenuto in I , dove f è conti
nua ; inoltre è derivabile in ogni punto ξ interno a [ x1 , x] , perché ξ è
interno anche a I , f vi è quindi derivabile , e dunque anche g , che di
f è la restrizione a [ x1 , x] , anzi , è ovvio che si ha
(∗)
g’(ξ ) = f ’(ξ ) = 0
Pertanto
g verifica in [ x1 , x] le ipotesi del Teorema di Lagrange
e quindi
esiste un punto c interno a [ x1 , x] , tale da aversi
g( x) − g( x1 )
= g' (c) = 0
x − x1
l’ultima uguaglianza essendo dovuta alla ( ∗ ) : ne segue che risulta
g (x) = g (x1) , ∀ x ∈ I ∧ x > x1 ,
e dunque , poiché g è la restrizione di f ,
f (x) = f (x1) , ∀ x ∈ I ∧ x > x1 ,
Ragionando in modo analogo ( il Lettore precisi) per ogni punto x di I e
x < x1 , si ottiene che risulta
263
f (x) = f (x1) , ∀ x ∈ I ,
donde la conclusione . C.V.D.
Corollario 2.14). ( 2° Corollario del Teorema di Lagrange )
Date due funzioni f e g definite in un intervallo I , che può essere
limitato o illimitato , chiuso , aperto , o semiaperto ,
se sono soddisfatte le due condizioni seguenti
(a) f e g sono continue in tutto I ,
(b) se x è un qualsiasi punto interno di I , si ha che f e g sono etrambe
derivabili in x , e risulta
f ’(x) = g’(x) ,
allora si ha che
in tutto I f e g differiscono per una ( funzione ) costante
vale a dire che , esiste un numero k tale che
f (x) − g (x) = k , ∀ x ∈ I .
DIM. La funzione f − g è continua in tutto I , perché è differenza delle
due funzioni f e g , continue in tutto I ; inoltre f − g è derivabile
in tutti i punti interni a I , perché differenza delle due funzioni f e g ,
derivabili in tutti i punti interni a I ; infine , in ogni punto x interno a I
si ha , per la (b) ,
D( f − g ) (x) = D( f )(x) − D(g) (x) = f ’(x)− g’(x) = 0 :
pertanto la funzione f − g verifica le ipotesi del 2° Cor. del Teor. di La
264
grange , e risulta dunque una funzione costante in tutto I , donde la con
sione .
C.V.D
Corollario 3.14). ( 3° Corollario del Teorema di Lagrange )
Data una una funzione f definita in un intervallo I , che può essere
limitato o illimitato , chiuso , aperto , o semiaperto ,
se sono soddisfatte le due condizioni seguenti
(a) f è continua in tutto I ,
(b) se x è un qualsiasi punto interno di I , si ha che f è derivabile in x
e risulta
f ’(x) > 0 ( f ’(x) < 0 )
allora si ha che
f è strettamente crescente ( decrescente ) in tutto I
DIM. Consideriamo il caso in cui è f ’(x) > 0 ( l’altro caso si tratta in mo
do analogo , ed è lasciato come esercizio al Lettore ) .
Siano dunque
x1 e x2 due punti di I tali che sia x1 < x2 , e del resto arbitrari :
dobbiamo provare che risulta sempre
f (x1) < f (x2)
Ragionando come nel caso del 1° Cor. del Teor. di Lagrange , si conclu
de che
la funzione g restrizione di f all’intervallo chiuso e limitato [ x1 , x2]
soddisfa in [ x1 , x2] alle ipotesi del Teorema di Lagrange
265
per cui esiste un punto c interno a [ x1 , x2] tale da aversi
g ( x2 ) − g ( x1 )
= g ' (c) :
x2 − x1
poiché si ha
g (x2) = f (x2) , g (x1) = f (x1) , g′(c) = f ′(c)
ne segue che risulta
f ( x2 ) − f ( x1 )
= f ' (c)
x2 − x1
ma , essendo
x2 − x1 > 0
e
f ′(c) > 0
se ne deduce subito che sussiste la
f (x2) − f (x1) > 0
ossia la
f (x1) < f (x2)
donde la conclusione .C.V.D.
Osservazione importante 2.14). Il Cor. 3.14) , 3° Corollario del Teorema
di Lagrange
non si inverte
nel senso che
una funzione f può essere strettamente crescente in un intervallo I
ma la sua derivata può annullarsi in qualche punto interno di I ;
266
un semplice esempio in tal senso è la funzione f definita ponendo
f (x) = x3 , ∀ x ∈ R ,:
f è strettamente crescente in tutto (l’intervallo infinito) R , eppure la sua
derivata f ’ , per la quale si ha
f ’(x) = 3 x2 , ∀ x ∈ R ,
si annulla in 0 .
Tuttavia si può provare che , ferme le altre ipotesi del 3°Corollario del Teo
rema di Lagrange ,
se risulta che f ’(x) > 0 ( f ’(x) < 0 ) , tranne in un numero finito di punti di I
x1 , x2 , . . . , xn
nei quali si ha
f ’(x1) = f ’(x2) = ⋅⋅⋅ = f ’(xn) = 0 ,
risulta ancora che
in tutto I la funzione f è strettamente crescente (decrescente)
Questo risultato verrà provato come esercizio .
Un’altra notevole conseguenza del Teorema di Lagrange è il
Corollario 4.14). ( 4° Corollario del Teorema di Lagrange )
Se f è una funzione definita e continua nel solito intervallo I ; x0 è un
punto interno ad I e ad un intervallo I’ contenuto in I ; inoltre
f è derivabile nei punti interni di I , tranne eventualmente in x0 ,
267
avendosi , da un lato
x < x0 ∧ x interno ad I’ ⇒ f ’(x) > 0 [ f ’(x) < 0]
e dall’altro , invece ,
x > x0 ∧ x interno ad I’ ⇒ f ’(x) < 0 [ f ’(x) > 0]
allora si ha che
x0 è un punto di massimo (minimo) relativo proprio per f
DIM. E’ un facile esercizio di applicazione del Teorema di Lagrange : verrà
considerato in sede di esercitazione .
Teorema 3.14). (Teorema di Cauchy , o degli incrementi finiti )
Siano f e g due funzioni definite nell’intervallo chiuso e limitato
I=[a,b]
e soddisfino alle seguenti condizioni
(1) f e g siano continue in tutto I = [ a , b ] ;
(2) f e g siano derivabili in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ ;
(3) g′(x) ≠ 0 in ogni x ∈ ] a , b [ , cioè in ogni x interno ad I = [ a , b ] :
in tali ipotesi si ha allora che
(a) g(a) ≠ g(b) ;
(b) esiste almeno un punto c ∈ ] a , b [ , cioè interno ad I = [ a , b ] ,
tale da aversi
268
f (b) − f (a) f ' (c)
=
g (b) − g (a) g ' (c)
DIM. Si consideri la funzione F definita in I ponendo
F (x) = g(x) ( f (b) − f (a) ) − f (x) ( g(b) − g(a) ) ;
a proposito di F si può dire che sussistono i seguenti fatti :
(1°) F (a) = F (b) = g(a) f (b) − g(b) f(a) ( il Lettore verifichi) ;
(2°) F è continua in tutto [ a , b ] , perché differenza di due funzioni
continue in tutto [ a , b ] essendo prodotti di g e di f , rispetti
vamente , per le costanti f (b) − f (a) e g(b) − g(a) ;
(3°) F è derivabile in tutto ] a , b [ , perché differenza di due funzioni
derivabili in tutto ] a , b [ essendo prodotti di g e di f , rispettiva
mente , per le costanti f (b) − f (a) e g(b) − g(a) :
si può dunque affermare che
F verifica in [ a , b ] le ipotesi del Teorema di Rolle
e pertanto
esiste (almeno) un punto c interno ad [ a , b ] , cioè c ∈ ] a , b [ ,
tale da aversi F’(c) = 0 :
la derivata di F calcolata per ogni x di ] a , b [ , vale
F’(x) = g’(x) ( f (b) − f (a) ) − f ’(x) ( g(b) − g(a) ) ,
e , calcolata in c dà luogo all’uguaglianza
(∗)
0 = F’(c) = g’(c) ( f (b) − f (a) ) − f ’(c) ( g(b) − g(a) :
269
a questo punto entra in gioco l’ipotesi (3) dell’enunciato , per cui risul
ta
g’(c) ≠ 0
ma anche , si noti ,
g(b) − g(a) ≠ 0
e questo perché , in caso contrario , si avrebbe
g(b) − g(a) = 0 ⇒ g(a) = g(b) ,
ma così la funzione g soddisferebbe alle ipotesi del Teor. di Rolle , e
quindi esisterebbe (almeno) un punto c1 ∈] a , b [ in cui si avrebbe
g’(c1) = 0
il che va contro proprio all’ipotesi (3) dell’enunciato :
e quindi dalla (∗) con facile calcolo si può ottenere la tesi
f (b) − f (a) f ' (c)
=
g (b) − g (a) g ' (c)
C.V.D.
Paragrafo 2.14). Regola di De l’Hospital .
Si è trattato in precedenza (v. Oss.4.11) dei cosiddetti
limiti di forma indeterminata
Ebbene , la
Regola di De l’Hospital
270
permette , in molti casi , naturalmente sotto precise ipotesi , di calcolare
limiti della forma
0
0
o
∞
∞
e , quello che è particolarmente interessante , non poche delle altre forme
indeterminate si possono ricondurre a queste due , ed essere quindi affron
tate con la Regola di De l’Hospital .
Questa “ Regola ” segue da due Teoremi di De l’Hospital , dei quali ora
ci interesseremo .
Teorema 4.14). ( Primo Teorema di De l’Hospital)
f e g siano due funzioni definite in uno stesso dominio D.
Sia poi x0 un punto di accumulazione , anche solo sinistra , o solo destra, per D
, ivi compresi i casi in cui x0 possa essere ∞ , +∞ ,−∞ .
Inoltre , siano soddisfatte le seguenti condizioni :
(1) f e g siano infinitesimi simultanei per x → x0 , si abbia cioè
lim f ( x) = lim g ( x) = 0
x→x0
x→x0
(2) esista un intorno I(x0) di x0 , rispettivamente bilatero , sinistro aperto
o destro aperto , tale da aversi
I(x0) ⊆ D ,
che in I(x0) f e g siano derivabili , e che valga l’implicazione
x ∈ I(x0) − {x0} ⇒ g′(x) ≠ 0 ;
(3) esista , finito o infinito , il limite
271
lim
x→x0
f ' ( x)
= L:
g ' ( x)
in tali ipotesi si ha allora che
(a)
(b)
x ∈ I(x0) ⇒ g (x) ≠ 0 ;
esiste anche il limite del quoziente di f e g per x → x0 , e anzi
risulta
f ( x)
f ' ( x)
= lim
=L
lim
x→x0 g ( x)
x→x0 g ' ( x)
DIM. Supponiamo x0 ∈R e punto di accumulazione destra per D .
Se f e / o g non sono definite in x0 , oppure vi hanno un valore diver
so da 0 , esse vengono prolungate per continuità(destra) in x0 , ponendo
f (x0) = g (x0) = 0
e le due funzioni , così eventualmente modificate , continueranno ad essere
denotate con f e g :
per definizione queste due funzioni risultano continue da destra
in x0 , e quindi continue in tutto l’intervallo {x0}∪ I(x0) .
Dimostreremo ora che risulta
lim+
x→x0
f ( x)
=L
g ( x)
osservando subito come l’ipotesi
f ' ( x)
=L
x→x0 g ' ( x)
implica senz’altro che si ha anche
f ' ( x)
=L
lim+
x→x0 g ' ( x)
lim
Scelto ora un qualunque punto x ∈ I(x0) , nell’intervallo chiuso e limitato
272
[x0 , x]
le due funzioni f e g verificano le ipotesi del Teorema 3.14) di Cauchy ,
per cui esiste (almeno) un punto , che indicheremo con c(x) , perché dipen
de in generale dall ’ x prescelto , tale da aversi
x0 < c(x) < x
[∗]
e
[∗∗]
f ( x) f ( x) − 0 f ( x) − f ( x0 ) f ' (c( x))
=
=
=
g ( x) g ( x) − 0 g ( x) − g ( x0 ) g ' (c( x))
l’ultima uguaglianza essendo dovuta al Teor. 3.14) di Cauchy .
Acquisita la [∗∗] , per ogni x ∈ I(x0) , si osserva che , quando x → x0+,
per la [∗] anche c(x) → x0+, e quindi , per il Teorema sul limite di una
funzione composta , applicato all’ultimo rapporto della [∗∗] , si avrà
lim+
x→x0
f ( x)
f ' (c( x))
= lim+
=L
g ( x) x→x0 g ' (c( x))
donde la conclusione .
Si ragiona in modo analogo per il caso in cui x0 sia punto di accumulazio
ne sinistra per D (il Lettore precisi) : sicché si può dire che la tesi è prova
ta anche per il limite bilatero .
Con adattamenti opportuni si trattano anche i casi in cui x0 sia ∞ , + ∞ ,− ∞ .
Teorema 5.14). ( Secondo teorema di De l’Hospital )
f e g siano due funzioni definite in uno stesso dominio D.
Sia poi x0 un punto di accumulazione , anche solo sinistra , o solo destra, per D
, ivi compresi i casi in cui x0 possa essere ∞ , +∞ ,−∞ .
Siano inoltre soddisfatte le seguenti condizioni :
(1) f e g siano infiniti simultanei per x → x0, si abbia cioè
273
lim f ( x) = lim g ( x) = L
x→x0
con
x→x0
L = ∞ o +∞ o −∞
(2) esista un intorno I(x0) di x0 , rispettivamente bilatero , sinistro aperto
o destro aperto , tale da aversi
I(x0) ⊆ D ,
che in I(x0) f e g siano derivabili , e che valga l’implicazione
x ∈ I(x0) − {x0} ⇒ g′(x) ≠ 0 ;
(3) esista , finito o infinito , il limite
lim
x→x0
f ' ( x)
=L:
g ' ( x)
in tali ipotesi si ha allora che
esiste anche il limite del quoziente di f e g per x → x0 , e anzi risulta
lim
x→x0
f ( x)
f ' ( x)
= lim
=L
g ( x) x→x0 g ' ( x)
DIM. La dimostrazione di questo Teorema non è semplice : data la portata del
Corso , ci limitiamo a fornirne l’enunciato , perché l’Allievo se ne pos
sa servire all’occorrenza . La dimostrazione può comunque essere trovata
in qualunque buon testo di Analisi .
I due teoremi di De l’Hospital si riassumono nel seguente
Teorema 6.14). ( Regola di De l’Hospital )
f e g siano due funzioni definite in uno stesso dominio D.
274
Sia poi x0 un punto di accumulazione , anche solo sinistra , o solo destra,
per D , ivi compresi i casi in cui x0 possa essere ∞ , +∞ ,−∞ .
Siano inoltre soddisfatte le seguenti condizioni :
(1) f e g siano o infinitesimi simultanei o infiniti simultanei per x → x0
si abbia cioè
lim f ( x) = lim g ( x) = L
x→x0
con
x→x0
L = 0 o ∞ o +∞ o −∞
(2) esista un intorno I(x0) di x0 , rispettivamente bilatero , sinistro aperto ,
o destro aperto , tale da aversi
I(x0) ⊆ D
che in I(x0) f e g siano derivabili , e che valga l’implicazione
x ∈ I(x0) − { x0} ⇒ g′(x) ≠ 0 ;
(3) esista , finito o infinito , il limite
lim
x→x0
f ' ( x)
=L:
g ' ( x)
in tali ipotesi si ha che
esiste anche il limite del quoziente di f e g per x → x0 , e anzi risulta
lim
x→x0
f ( x)
f ' ( x)
= lim
=L
x
→
x
0
g ( x)
g ' ( x)
275
Osservazione molto importante 3.14). Riconsiderando in breve l’enunciato
della
Regola di De l’Hospital
si noti con la dovuta attenzione che essa , soto le dovute ipotesi , afferma
che
l’esistenza del limite del rapporto delle derivate delle due funzioni
infinitesimi o infiniti simultanei
implica
l’esistenza del limite del rapporto delle due funzioni
e niente affatto il viceversa
come gli esempi che saranno addotti dimostreranno : può dunque darsi che
esista il limite del rapporto delle due funzioni
mentre non esiste il limite del rapporto delle loro derivate
Per sottolineare questo fatto , molti autori , nell’applicare la
Regola di De l’Hospital
usano il seguente simbolismo
←
f ( x) H
f ' ( x)
= lim
=L
lim
x→x0 g ( x)
x→x0 g ' ( x)
con l’
←
H
276
inserito sul segno di uguaglianza si vuole così ricordare che
l’implicazione va “da destra a sinistra”
Osservazione molto importante 2.14). E’ subito il caso di porre in luce come
l’applicazione della regola di De l’Hospital può essere iterata
nel senso che
se il rapporto delle derivate risulta ancora di forma indeterminata
si può passare alla considerazione del rapporto delle loro derivate
cioè del rapporto delle derivate seconde delle funzioni di partenza
naturalmente sotto le dovute ipotesi , fra le quali la prima è che queste deri
vate seconde esistano : la circostanza è molto interessante , e ovviamente si
possono considerare , se occorre , anche i rapporti di derivate di ordini via
via crescenti .
Ma vi sono casi nei quali questo ricorso alle derivate successive risulta ineffi
cace , e per calcolare il limite bisogna allora ingegnarsi diversamente . . .
come nel seguente caso di rapporto fra infiniti simultanei , che sarà oggetto
di esercitazione ,
3x + 4 x
lim
x→+∞ 4 x + 5 x
Paragrafo 3.14). La Formula di Taylor.
La Formula di Taylor è un efficace modo di approssimare una funzione me
diante funzioni razionali intere , o funzioni − polinomio , che sono le più sem
plici e più regolari funzioni .
Ci interesseremo di questa formula non nella sua generalità , ma nei limiti
in cui risulta interessante per lo studio di una funzione , e il tracciamento del
277
suo grafico , o diagramma , sufficientemente aderente alla realtà .
Definizione 1.14). La funzione f risulti derivabile n − 1 volte nell’intervallo
I , dove si suppone n ≥ 2 , e x0 sia un punto di I :
in tali ipotesi
il polinomio Pn−1(X) di grado n − 1 che , nel generico punto x di I , vale
f (2) (x0 )
f (n−1) (x0 )
2
Pn (x) = f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) +
(x − x0 ) +⋅⋅⋅ +
(x − x0 )n−1
2!
(n −1)!
(1)
prende il nome di
polinomio di Taylor di f d ’ordine n−1 e di punto iniziale x0 ;
in forma compatta il polinomio di Taylor in questione , calcolato nel generico
punto x di I , si rende con la sommatoria
n −1
∑
0
k
f ( k ) ( x0 )
( x − x0 ) k
k!
Avvertenza : è ovvio che nel polinomio di Taylor , per uniformità di linguaggio,
i simboli
f (1)(x0)
e
f (2)(x0)
stanno , rispettivamente , per
f ′(x0)
e
f ′′(x0)
Va detto poi che , nella sommatoria sopra considerata , il termine
f ( 0) ( x0 )
( x − x0 )0
0!
sta semplicemente per f (x0)
278
Al polinomio di Taylor è connesso
uno dei più importanti risultati del Calcolo differenziale
sia dal punto di vista teorico che applicativo :
la Formula di Taylor , nelle sue varie redazioni .
Teorema 7.14). (Formula di Taylor − Lagrange)
La funzione f , definita nell’intervallo I , sia derivabile n volte in I :
allora , per ogni x appartenente a I sussiste l’uguaglianza
f (n) (cn (x))
f (2) (x0 )
f (n−1) (x0 )
2
n−1
f (x) = f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) +
(x − x0 )n
(x − x0 ) +
(x − x0 ) + ⋅ ⋅ ⋅ +
(n)!
(n −1)!
2!
ove cn(x) è un opportuno punto interno all’intrvallo di estremi x0 e x ;
precisiamo meglio questa espressione (anche per il seguito) :
se è
x0 < x
sarà
x0 < cn(x) < x ;
se , invece , è
x < x0
sarà
x < cn(x) < x0
(1)
essendo chiaro che la notazione cn(x) sottointende che tale punto dipende
in generale dal punto x .
DIM. Noi daremo qui la dimostrazione di questa Formula nel caso n = 3 :
l’enunciato può essere comunque utilizzato per n > 3 nelle applica
zioni.
Sia quindi f derivabile 3 volte in I .
279
DIM. Si considerino le due funzioni F e G , definite ponendo
f (2) (x0 )
F(x) = f (x) − f (x0 ) − f (x0 ) ⋅ (x − x0 ) −
(x − x0 )2
2!
(1)
e
G ( x ) = ( x − x0 )3
E’ ovvio che
F (x0) = G (x0)
Poiché F è differenza di f e del polinomio di Taylor di f d’ordine 2
e di punto iniziale x0 , certamente
F sarà derivabile 3 volte in tutto I , e in x0 ammetterà derivata 3a
e questo per le ipotesi su f e per il fatto che ogni polinomio è addirittura ovun
que infinite volte derivabile (anche se con le derivate d’ordine superiore al suo
grado che sono tutte funzioni nulle) : le due funzioni derivate 1a , 2a e 3a di F ,
sempre calcolate nel generico punto di I , sono
F(1) (x) = f (1) (x) − f (1) (x0 ) − f (2) (x0 )(x − x0 )
F(2) (x) = f (2) (x) − f (2) (x0 )
F(3) (x) = f (3) (x)
ne segue che si hanno le uguaglianze
F (1)( x0) = f (1)( x0) − f (1)(x0) = 0
e F (2) ( x0) = f (2) ( x0) − f (2)(x0) = 0 :
cioè
F ha la derivata 1a e la derivata 2a entrambe nulle in x0 ,
e inoltre risulta anche
280
F (3)( x0) = f (3) (x0)
Osserviamo che anche la funzione G sopra definita
ha le prime due derivate che , calcolate nel generico punto x , sono
G (1) ( x) = 3( x − x0 ) 2
e
G (2)(x) = 6 ( x− x0)
dunque anche
G ha la derivata 1a e la derivata 2a entrambe nulle in x0
mentre risulta costante la sua derivata 3a
G (3)(x) = 6 = 3!
ricordiamo , per riassumere , che
la funzione F è nulla in x0 assieme alle sue derivate 1a e 2a
e che , parimenti ,
la funzione G è nulla in x0 assieme alle sue derivate 1a e 2a
Per ogni x ∈ I −{x0} si può dunque considerare il rapporto
[i]
F ( x) F ( x) − F ( x0 )
=
G( x) G( x) − G( x0 )
Per le considerazioni svolte sopra , al secondo membro è applicabile il
Teorema di Cauchy degli incrementi finiti
in base al quale esiste un opportuno punto , ovviamente dipendente da x , e
interno all ’intervallo di estremi x0 e x ,
281
c1(x)
tale da aversi
F ( x) − F ( x0 ) F (1) (c1 ( x)) F (1) (c1 ( x)) − F (1) ( x0 )
=
=
G( x) − G( x0 ) G(1) (c1 ( x)) G(1) (c1 ( x)) − G(1) ( x0 )
[ ii ]
(1)
(1)
(si ricordi ,per l’ultima uguaglianza , che F ( x0 ) = G ( x0 ) = 0 ) ;
ma anche al rapporto
F ' (c1 ( x)) − F ' ( x0 )
G' (c1 ( x)) − G' ( x0 )
è applicabile il Teorema di Cauchy , per cui esiste un opportuno punto
c2(x)
anche questo dipendente da x , e interno all ’intervallo di estremi x0 e c1(x) ,
dunque anche interno all ’intervallo di estremi x0 e x , tale da aversi
F (1) (c1 ( x )) − F (1) ( x0 ) F ( 2 ) (c2 ( x )) F ( 2 ) (c2 ( x )) − F ( 2 ) ( x0 )
=
=
G (1) (c1 ( x )) − G (1) ( x0 ) G ( 2 ) (c2 ( x )) G ( 2 ) (c2 ( x )) − G ( 2 ) ( x0 )
[ iii ]
(2)
( 2)
(si ricordi , per l’ultima uguaglianza , che F ( x0 ) = G ( x0 ) = 0 ) ;
infine , applicando il Teorema di Cauchy al rapporto a terzo membro delle
uguaglianze appena ottenute , si ottiene
[iv]
F ( 2 ) (c2 ( x )) − F ( 2 ) ( x0 ) F ( 3) (c3 ( x ))
= ( 3)
(2)
( 2)
G (c2 ( x )) − G ( x0 ) G (c3 ( x ))
282
ove
c3(x)
è un opportuno punto interno all ’intervallo di estremi x0 e c2(x) , e quindi
anche interno all ’intervallo di estremi x0 e x .
Seguendo la successione di uguaglianze ottenute
a partire dalla [ i ] fino alla [ iv ]
si conclude con l’uguaglianza
[v]
F ( x) F (3) (c3 ( x))
=
G( x) G(3) (c3 ( x))
Ricordando allora le definizioni di F e di G ( v. sopra) , e che per ogni x ∈ I
si ha ( v. , anche per questo , sopra)
F (3)( x) = f (3) (x)
e
G (3)(x) = 6 = 3! ,
dalla [v] si ottiene
f (2) ( x0 )
( x − x0 )2
f (x) − f ( x0 ) − f ( x0 ) ⋅ ( x − x0 ) −
f (3) (c3 ( x))
F ( x)
2
!
=
=
(x − x0 )3
3!
G( x)
(1)
[ vi ]
da cui discende subito la Formula di Taylor −Lagrange per n = 3
f (2) ( x0 )
f (3) (c3 ( x))
2
f ( x) = f ( x0 ) + f ( x0 ) ⋅ ( x − x0 ) +
( x − x0 ) +
( x − x0 )3
2!
3!
(1)
ove c3(x) è un opportuno punto interno all ’intervallo di estremi x0 e x :
donde la conclusione .
La formula generale si ottiene in modo concettualmente identico , iterando più
a lungo l’applicazione del
283
Teorema di Cauchy degli incrementi finiti
Teorema 7.14). (Formula di Taylor − Peano)
La funzione f , definita nell’intervallo I , sia derivabile n volte in I , e la
sua derivata n − esima f (n) risulti continua nel punto x0 : allora
per ogni x appartenente a I sussiste l’uguaglianza
f (2) (x0 )
f (n−1) (x0 )
f (n) (x0 ) + ω(x)
n−1
2
f (x) = f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) +
(x − x0 ) + ⋅ ⋅ ⋅ +
(x − x0 ) +
(x − x0 )n
2!
(n −1)!
(n)!
ove ω è una opportuna funzione infinitesima per x → x0 .
(1)
DIM. Questa Formula discende direttamente dalla precedente di Taylor − Lagran
ge che le attuali ipotesi consentono evidentemente di redigere , e della qua
le interessa ora solo l’ultimo addendo
f (n) (cn (x))
R(n,L) (x) =
(x − x0 )n
(n)!
che prende il nome di
resto n − esimo della Formula di Formula di Taylor −Lagrange di ordine n
Attualmente abbiamo l’ipotesi che risulti
lim f (n) (x) = f (n) (x0 )
x→x0
che equivale alla
lim f (n) (x) − f (n) (x0 ) = 0
x→x0
Ora , basta definire la funzione σ , infinitesima per x → x0 , ponendo
(n)
(n)
σ (x) = f (x) − f (x0 )
284
e quindi osservare che , per essere il punto cn(x) interno all’intervallo di es
tremi x0 e x , si avrà che
limcn (x) = x0
x→x0
il che consente di applicare alla funzione ω definita ponendo
(n)
(n)
ω (x) = f (cn (x)) − f (x0 )
il Teorema sul limite di una funzione composta ,
di prima componente cn(X)
e
di seconda componente σ (X)
ottenendo così che
ω è un infinitesimo per x → x0 :
poiché risulta , per definizione di ω ,
f (n) (cn ( x)) = f (n) ( x0 ) + ω( x)
sostituendo nella Formula di Taylor −Lagrange ( v. sopra ) il termine
f (n) (cn ( x))
con
f ( n ) ( x0 ) + ω ( x )
si ottiene la tesi , cioè la
Formula di Taylor −Peano
il cui ultimo addendo
f ( n ) ( x0 ) + ω ( x)
R( n ,P ) ( x) =
( x − x0 ) n
(n)!
prende il nome di
285
resto n − esimo della Formula di Formula di Taylor −Peano di ordine n
286
CAPITOLO XVI
ELEMENTI DI TEORIA DELL’ INTEGRAZIONE
Paragrafo 1.15). Il problema della misura delle regioni piane.
Definizione 1.15). Sia f una funzione definita e continua in un intervallo
chiuso e limitato
I=[a,b]
e inoltre
f sia in tutto I = [ a , b ] non negativa
si abbia cioè
f (x) ≥ 0 , ∀ x ∈ I = [ a , b ] .
In tali ipotesi la regione di punti del piano cartesiano , nel quale è rappresen
tato il grafico G ( f ) di f , definito nel modo seguente
T( f ) = {P( x , y) : 0 ≤ y ≤ f (x) , ∀ x ∈ I = [ a , b ] }
prende il nome di
trapezoide (sottostante al grafico) della funzione f
o anche
trapezoide relativo ad f ( o di f )
287
con linguaggio meno formale , e più utile all’intuizione ( v. F. 1.15)) , si può
dire che
il trapezoide relativo ad f è la regione del piano cartesiano delimitata
verso il basso dall’asse Ox , verso l’alto dal grafico G ( f ) di f ,
e compresa fra le due rette verticali di equazioni X = a e X = b .
Il primo tipo di regioni piane di cui si cerca di calcolare l’area , vale a dire
la loro misura rispetto all’unità di misura delle aree
che , come è noto ,
è il quadrato di lato unitario
sono appunto
i trapezoidi relativi a funzioni continue :
una volta risolto questo problema , si passa a regioni del piano disposte in mo
do più generale .
Definizione 2.15). Dato un intervallo chiuso e limitato di numeri reali
I=[a,b]
ogni (n +1) − upla di punti (nel senso di numeri)
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn-1 , xn )
con
a = x0 < x1 < ⋅⋅⋅ < xn-1 < xn = b
prende il nome di
288
suddivisione dell’intervallo [ a , b ]
e gli elementi dell’ (n +1) − upla σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn-1 , xn ) si dicono i
punti suddividenti
Date due suddivisioni di [ a , b ]
σ′ = ( x0′ , x1′, ⋅⋅⋅ , xn-1′ , xn′)
e
σ′′ = ( x0′′ , x1′′, ⋅⋅⋅ , xm-1′′ , xm′′)
si dice che
σ′′ è un raffinamento , o un infittimento di σ′
se si ha che
tutti gli elementi di σ′ sono anche elementi di σ′′ e inoltre è m > n
in pratica si può dire che
σ′′ è ottenuta da σ′ “inserendovi qualche altro punto suddividente”
Di solito , per denotare una suddivisione (di [ a , b ]), si usa il simbolo
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
è ciò per il fatto che ogni suddivisione ha una sua precisa “lunghezza” n(σ)
Data una suddivisione
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
l’intervallo (chiuso e limitato)
[ xi−1 , xi ] , con 1 ≤ i ≤ n(σ) ,
289
si dice
l’ i− esimo subintervallo della suddivisione σ :
σ perciò ha n(σ) subintervalli
Poiché f è supposta continua in [ a , b ] , risultano continue tutte le sue re
strizioni ai vari subintervalli di una qualsiasi suddivisione
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
ed essendo ciascuno dei subintervalli [ xi−1 , xi ] chiuso e limitato , (la restri
zione di) f , per il Teor. di Weierstrass ,
assumerà in [ xi−1 , xi ]
minimo assoluto mi
e
massimo assoluto Mi
Definizione 3.15). Con le nozioni e le notazioni poste sopra , data un suddivi
sione di [ a , b ]
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
la somma
n(σ )
(x1 − x0 ) ⋅ m1 +(x2 − x1)m2 +⋅⋅⋅ +(xn(σ)−1 − xn(σ)−2 )mn(σ)−1 +(xn(σ) − xn(σ)−1)mn(σ) = ∑i (xi − xi−1)mi
1
prende il nome di
somma inferiore s(σ) relativa alla suddivisione σ ;
la somma
n(σ )
(x1 − x0 ) ⋅ M1 +(x2 − x1)M2 +⋅⋅⋅ +(xn(σ)−1 − xn(σ)−2 )Mn(σ)−1 +(xn(σ) − xn(σ)−1)Mn(σ) = ∑i (xi − xi−1)Mi
1
290
prende il nome di
somma superiore S(σ) relativa alla suddivisione σ .
A questo proposito , per porre in evidenza il significato geometrico delle som
me inferiori e di quelle superiori , è bene effettuare la seguente
Osservazione importante 1.15). Per ciascuna suddivisione di [ a , b ]
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
consideriamo un generico addendo della relativa somma inferiore
( xi − xi−1) mi
qual è il suo significato ?
Riferendoci alla F.2.15) possiamo dire che
( xi − xi−1) mi è la misura dell’area di un rettangolo
avente la base di misura ( xi − xi−1) e l’altezza di misura mi
rettangolo che risulta completamente contenuto nel trapezoide T(f )
Poiché è ovvio che due qualsiansi di questi rettangoli non hanno punti interni
in comune , ne segue che
n(σ )
l’intera somma inferiore s(σ) =
∑ (x − x
i
i
i−1
)mi
1
risulta essere la misura dell’area complessiva di un plurirettangolo
completamente contenuto nel trapezoide T(f )
e perciò detto
plurirettangolo inscritto in T(f )
291
Passando al significato dell’addendo generico della somma superiore relative
alla suddivisione σ , e riferendoci alla F. 3.14) , si conclude che , per ogni i
compreso fra 1 e n(σ) ,
( xi − xi−1) Mi è la misura dell’area di un rettangolo
contenente la porzione Ti (f ) del trapezoide T(f ) definita ponendo
Ti (f )= {P( x , y) : 0 ≤ y ≤ f (x) , ∀ x ∈ [xi-1 , xi]} :
ne segue , questa volta , che
n(σ )
l’intera somma superiore S(σ) =
∑ (x − x
i
i
i−1
)Mi
1
risulta essere la misura dell’area complessiva di un plurirettangolo
che contiene completamente il trapezoide T(f )
e perciò detto
plurirettangolo circoscritto a T(f )
Le considerazioni svolte nell’Osservazione 1.14) precedente consentono di
stabilire la seguente
Proposizione 1.15). Date due qualsiansi suddivisioni di [ a , b ]
σ′ = ( x′0 , x′1, ⋅⋅⋅ , x′n(σ)−1, x′n(σ) )
e
σ″ = ( x″0 , x″1, ⋅⋅⋅ , x″n(σ)−1, x″n(σ) )
la somma inferiore di ciascuna è sempre
minore o uguale alla somma superiore dell’altra
DIM. Infatti , ad esempio , risulta
s(σ′) ≤ S(σ″)
e questo perché
292
s(σ′) è (la misura del) l’area di un plurirettangolo inscritto in T(f )
S(σ″) è (la misura del) l’area di un plurirettangolo circoscritto a T(f )
Poiché risulta
plurirettangolo inscritto in T(f ) ⊆ T(f ) ⊆ plurirettangolo circoscritto a T(f )
ne segue che
plurirettangolo inscritto in T(f ) ⊆ plurirettangolo circoscritto a T(f )
e questo implica ovviamente che
l’area del primo è minore o uguale a quella del secondo
donde la conclusione .
Osservazione importante 2.15). Quanto stabilito nella precedente Prop. 1.14)
consente di affermare intanto che posto
s = insieme di tutte le somme inferiori
e
S = insieme di tutte le somme superiori
relative ad una stessa funzione f
i due insiemi s ed S risultano due insiemi separati di numeri reali
Un’altra circostanza che occorre mettere in luce è oggetto della seguente
Proposizione 2.15). Date due suddivisioni di [ a , b ]
σ′
e
σ″
con
293
σ″ che sia un infittimento di σ′
per le somme inferiori e superiori relative si ha che
s(σ′) ≤ s(σ″)
mentre
S(σ′) ≥ S(σ″)
a parole :
infittendo una suddivisione
la somma inferiore non diminuisce (anzi , in genere , aumenta)
e nel contempo
la somma superiore non aumenta (anzi , in genere , diminuisce)
DIM. Poichè un infittimento si può realizzare inserendo uno ad uno un certo
numero di punti , basta provare l’asserto per un infittimento ottenuto
inserendo un solo punto : il ragionamento è allora affidato alla conside
attenta della F. 4.14) .
Si è visto in Oss. 2.15) che i due insiemi
s delle somme inferiori
ed
S delle somme superiori
sono due insiemi separati di numeri reali :
poiché risulta chiaro che
294
ogni somma inferiore è una misura per difetto dell ’area del trapezoide T( f )
e
ogni somma superiore è una misura per eccesso dell ’area del trapezoide T( f )
si comprende appieno
l’importanza di stabilire che i due insiemi s e S sono insiemi contigui
perché questa circostanza consentirebbe di assumere logicamente
il loro elemento separatore α come misura dell’area del trapezoide T( f )
Ora , la dimostrazione circostanziata che s e S sono insiemi contigui non è
cosa da poco , per cui citeremo il fatto fondamentale concernente una funzio
ne continua in un intervallo chiuso e limitato , che permette di giungere poi
alla dimostrazione della contiguità di s ed S :
Teorema 1.15) .(di Heine o dell’uniforme continuità di una funzione continua
in un insieme chiuso e limitato)
Data una funzione f continua in un insieme D chiuso e limitato (in particola
re D può essere un intervallo chiuso e limitato) sussiste il seguente fatto :
scelto un arbitrario numero ε > 0 esiste un numero δ (ε) > 0 (dipendente in
generale da ε ) tale che valga la seguente implicazione
x1 ∈ D ∧ x2∈ D ∧ ⎢x1 − x2 ⎢< δ (ε) ⇒ ⎢f (x1)− f (x2) ⎢< ε
a parole :
la differenza dei valori della funzione in due punti x1 e x2 di D risulta minore
di un prefissato numero positivo ε
purché la distanza fra i due punti sia ″abbastanza piccola ″ ( ⎢x1 − x2 ⎢< δ (ε))
e questo , si noti bene , dovunque siano situati i due punti x1 e x2 in D
che devono solo differire fra loro in valore assoluto meno di δ (ε)
295
è proprio l’ ″ubiquità ″ della posizione dei due punti x1 e x2 in D
purché distanti fra loro meno di δ (ε )
che ha determinato la scelta di denominare il Teorema di Heine
Teorema dell’″uniforme continuità ″
Come gli esempi che verranno forniti confermeranno , si ha che
ciascuna delle ipotesi del Teorema di Heine è essenziale per la sua validità
cioè
1) sia la continuità della funzione ,
2) sia che D deve essere chiuso ,
3) sia che D deve essere limitato .
Acquisito il Teorema di Heine , si può dimostrare
la contiguità dei due insiemi s ed S delle somme inferiori e superiori
relative ad una funzione f continua in un intervallo chiuso e limitato
con il seguente
Teorema 2.15). Data una funzione f
continua in un intervallo chiuso e limitato [ a , b ]
i due insiemi s ed S delle somme inferiori e superiori relative ad f
sono insiemi contigui
DIM. La dimostrazione si ottiene provando che
scelto un arbitrario numero ε > 0
296
esistono (almeno) una somma superiore S ed una somma inferiore s
che differiscono fra loro meno di ε
Vediamo .
Si scelga dunque un qualunque numero ε > 0 , e poniamo
ε '=
ε
b − a >0
La funzione f essendo uniformemente continua in [ a , b ] , per il Teor. di
Heine , esiste δ (ε ′) > 0 tale che valga l’implicazione
x1 ∈ D ∧ x2∈ D ∧ ⎢x1 − x2 ⎢< δ (ε ′) ⇒ ⎢f (x1)− f (x2) ⎢< ε ′
Scegliamo allora una suddivisione di [ a , b ]
σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
tale che la
massima ampiezza dei subintervalli ad essa relativi sia minore di δ (ε ′)
cioè che risulti
max[ xi − xi−1 , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] < δ (ε ′)
Nel generico subintervallo [xi−1 , xi] siano , rispettivamente , ci e di un
punto di minimo e uno di massimo assoluto di f : avremo quindi
f (ci) = mi
e
f (di) = Mi
e , poiché si ha
xi−1 ≤ ci ≤ xi
e
xi−1 ≤ di ≤ xi ,
si vede facilmente che risulta
297
⎢di − ci ⎢ ≤ ⎢xi − xi−1 ⎢ ≤ max[ xi − xi−1 , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] < δ (ε ′)
e questa disuguaglianza vale ovviamenete per ogni i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)} ;
ne segue , per l’uniforme continuità di f , che si avrà
⎢f (di)− f (ci) ⎢< ε ′ , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}]
ossia
⎢ Mi− mi ⎢= Mi− mi < ε ′ , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] ;
consideriamo allora la somma superiore e la somma inferiore relative a σ
n(σ )
S(σ) =
∑ (x − x
i
i−1
i
n(σ )
)Mi
s(σ) =
e
1
∑ (x − x
i
i
i−1
)mi
1
la cui differenza risulta
n(σ )
n(σ )
S(σ) − s(σ) =
∑ (x − x
i
i
i −1
)Mi −
1
n(σ )
∑ (x − x
i
1
=
i
ε
b−a
i−1
)(Mi − mi ) <
⋅ (b − a) = ε
∑ (x − x
i
i
i −1
)mi =
1
n (σ )
∑ (x − x
i
1
i
i −1
n (σ )
) ⋅ ε ' = ε '⋅ ∑ i ( x i − x i −1 ) = ε′ ⋅ (b − a) =
1
⇒ S(σ) − s(σ) < ε :
abbiamo così trovato
una somma superiore ed una inferiore che differiscono meno di ε
donde la conclusione . C.V.D.
La contiguità dell’insieme delle somme inferiori s e di quello delle somme
superiori S relative alla funzione f consentono quindi di porre la seguente
Definizione 4.15). Data una funzione f continua e non negativa nell’interval
lo chiuso e limitato [ a , b ] , sia
T( f ) il trapezoide relativo a f :
298
si definisce misura di T( f ) il numero α elemento di separazione
dei due insiemi separati e contigui
s insieme delle somme inferiori e S insieme delle somme superiori
relative alla funzione f
in simboli si pone
mis(T( f )) = α
A questo punto si deve trovare un modo per calcolare effettivamente
questo numero mis(T( f ))
la cui esistenza è stata provata in sede teorica .
Per giungere a questo scopo si osserva che , come è implicito nelle conside
razioni del Teor. 2.15) , e come si dimostra con il dovuto rigore ,
se la massima ampiezza μ dei subintervalli di una suddivisione tende a 0
risulta che
n(σ )
lims(σ ) = lim∑ i mi (xi − xi−1) = α
μ→0
μ→0
1
e che
n(σ )
limS(σ ) = lim∑ i Mi (xi − xi−1) = α
μ→0
μ→0
1
e poiché , se nel generico subintervallo di una suddivisione di [ a , b ] si sce
glie ad arbitrio un numero ξi , avendosi così
xi−1 ≤ ξi ≤ xi
e quindi anche
mi ≤ f (ξi ) ≤ Mi
risulterà
299
n(σ )
∑ m (x − x
i
i
i
1
i−1
n(σ )
n(σ )
1
1
) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ ∑ i Mi (xi − xi−1)
Per il Teorema del confronto , opportunamente riformulato , si avrà anche che
n (σ )
lim ∑ i f (ξ i ) ⋅ ( xi − xi −1 ) = α
μ →0
1
Ora , poiché la sommatoria sotto segno di limite , che prende il nome di
somma intermedia
quando μ → 0 , vede nel contempo
aumentare indefinitamente il numero dei suoi addendi
e
questi stessi addendi decrescere al di sotto di qualunque quantità positiva
il limite finito cui tende questa sommatoria viene denotato con il simbolo
b
∫ f ( x ) dx
a
e prende il nome di
integrale definito della funzione f esteso all’intervallo [ a , b ]
Si osservi che la ∫ richiama il simbolo di sommatoria ( vorrebbe significare
una somma di infiniti termini ) ; mentre f (x) è , per così dire , il valore di
f nel generico punto dell’intervallo [ a , b ] ( si pensi al fatto che , quando
μ → 0 , i subintervalli diventano piccolissimi , e , praticamente , ξi si piazza
un po’ dovunque ) ; infine il dx , associato ad ogni x di [ a , b ] , richiama la
misura ″ infinitesima ″ del generico subintervallo di una suddivisione ″infini
tamente fitta″ di [ a , b ] : si prendano queste considerazioni per quello che
300
sono , cioè un aiuto all’intuizione , in mancanza di deduzioni rigorose ma ec
cessivamente lunghe .
Va poi detto che il procedimento della costruzione delle somme inferiori
e superiori e il loro convergere per μ → 0 ad un limite finito
vale anche nel caso che la funzione continua f assuma valori
di segno qualunque :
naturalmente il significato geometrico di questo limite va riconsiderato
e sarà quindi oggetto di commento in sede di esercitazione .
Passiamo ora a ottenere qualche risultato matematicamente giustificato sull’
b
∫ f ( x ) dx
a
Teorema 3.15). ( Teorema della media integrale)
Data la funzione f continua nell’intervallo chiuso e limitato [ a , b ] ,
sussiste la seguente formula
b
∫ f ( x)dx = f (c) ⋅ (b − a)
a
ove
c è un opportuno punto dell’intervallo [ a , b ]
DIM. f , continua in [ a , b ] , vi assume minimo assoluto m e massimo asso
luto M . Consideriamo allora una generica somma intermedia relativa
ad una suddivisione σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) )
n(σ )
∑ f (ξ )(x − x
i
i
i
i−1
)
1
poiché risulta (v. sopra)
301
n(σ )
∑ m (x − x
i
i
i
i−1
1
n(σ )
n(σ )
1
1
) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ ∑ i Mi (xi − xi−1)
e , d’altra parte ,
valgono le seguenti disuguaglianze
m ≤ mi
e
Mi ≤ M , ∀ i ∈ {1 , 2 , ⋅⋅⋅ , n(σ )}
si ottiene subito , dalle disuguaglianze sopra riportate , le seguenti
n(σ )
n(σ )
n(σ )
1
1
1
m(b − a) ≤ ∑ i mi ( xi − xi−1) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ ∑ i Mi ( xi − xi−1) ≤ M (b − a)
e , da queste si ottengono le
n(σ )
m(b − a) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ M (b − a)
1
e , infine , le
n(σ )
m≤
∑
i
f (ξi )(xi − xi−1)
1
b−a
≤M
Da queste , passando al limite per μ → 0 , e per il Teor. del confronto ,
si ottiene
b
m≤
∫ f (x)dx
a
b−a
≤M
Poiché f , continua in [ a , b ] , assume tutti i valori compresi fra m e M ,
assumerà anche il termine intermedio delle disuguaglinze di sopra
dunque esiste (almeno) un valore c ∈ [ a , b ] tale da aversi
302
b
∫ f ( x)dx
a
b−a
= f (c )
e quindi
b
∫ f ( x)dx =
f ( c ) ⋅ (b − a )
a
donde la conclusione. C.V.D.
In possesso del Teorema della media integrale , si può ottenere
il risultato principale della teoria e dell’integrazione :
Teorema 4.15). (PrimoTeorema fondamentale del Calcolo integrale)
Sia f una funzione continua in un intervallo I , limitato o illimitato , aperto ,
chiuso o semiaperto , e sia a un punto qualunque di I .
Definiamo in I una funzione F ponendo
x
F ( x ) = ∫ f (t ) dt
a
se è a ≤ x , e
a
F ( x) =
∫ f (t )dt
x
se è , invece , x ≤ a : la definizione è lecita
perché f , continua in tutto I , lo è nei suoi sottointervalli [a , x] e [x , a]
quindi gli integrali sopra indicati esistono per ogni x ∈ I .
Ebbene
la funzione F sopra definita per ogni x ∈ I è derivabile in tutto I
303
e , per di più , si ha che , in tutto I , risulta F′ = f :
si suol dire per questo che
F è in tutto I una primitiva di f
cioè
F è una funzione che ha f come sua derivata 1a in tutto I .
DIM. Fissiamo un qualunque x0 ∈ I e x0 ≥ a . Dobbiamo provare che
lim
x → x0
F ( x ) − F ( x0 )
= f ( x0 )
x − x0
Per la definizione di F risulta
x
F (x) =
∫
f ( t ) dt
a
e
F ( x0 ) =
x0
∫
f ( t ) dt
a
Supposto , per fissar le idee , x > x0 , si ha
F ( x ) − F ( x0 )
=
x − x0
x
x0
a
a
∫ f (t ) dt − ∫ f (t ) dt
x − x0
=
x0
x
x0
a
x0
a
∫ f (t ) dt + ∫ f (t ) dt − ∫ f (t ) dt
x − x0
=
x
=
∫ f (t ) dt
x0
x − x0
=
f ( c ( x ))( x − x0 )
= f ( c ( x ))
x − x0
304
dove c(x) è , per il Teorema della media integrale , un opportuno punto del
l’intervallo [x0 , x] , ed è denotato così perché ovviamente dipende , in genera
le , dal punto x : comunque certamente risulta
x0 ≤ c(x) ≤ x
e , quando x→ x0 , per il Teor. del confronto , si avrà che c(x) → x0 .
Ora , poiché si è visto che
F ( x ) − F ( x0 )
= f ( c ( x ))
x − x0
si può interpretare il secondo membro come una funzione composta
di prima componente la funzione c(X)
e
di seconda componente la funzione f (X) :
applicando il Teor. sul limite di una funzione composta si ottiene allora
lim
x → x0
F ( x ) − F ( x0 )
= lim f ( c ( x )) = f ( x0 )
x → x0
x − x0
donde la conclusione , nel caso considerato .
Se fosse x < x0 facilmente adattando il ragionamento precedente si ottiene
lo stesso risultato , e così anche se si fosse nel caso x0 < a .
C.V.D.
Si era posto , più , sopra il problema del calcolo esplicito di un integrale
definito
b
∫ f ( x ) dx
a
Ora siamo in grado di rispondere a questa esigenza mediante una conseguen
za assai notevole del 1° Teor. fondamentale del Calcolo integrale :
305
Teorema 5.15). (Secondo Teorema fondamentale del Calcolo integrale)
Sia f una funzione continua in un intervallo I , limitato , o illimitato ,
aperto , chiuso o semiaperto , e sia [ a , b ] un qualunque intervallo chiuso
e limitato contenuto in I .
Se , allora ,
se F è una qualsiasi primitiva di f in I
risulta
b
∫
f ( x ) dx = F ( b ) − F ( a )
a
a parole diremo che
l’integrale definito di f esteso all’intervallo [ a , b ] è uguale
alla differenza dei valori
assunti da una qualunque primitiva di f rispettivamente in b e in a
DIM. Consideriamo la funzione integrale relativa ad f di punto iniziale a de
finita ponendo , per ogni x ∈ I ,
x
∫
Fa ( x ) =
f ( t ) dt
a
Posto in questa formula x = b , si ottiene
b
Fa (b ) =
∫
f ( t ) dt
a
e poiché è
a
Fa ( a ) =
∫
f ( t ) dt = 0
a
risulta in effetti
b
∫
f ( t ) dt = F a ( b ) − F a ( a )
a
306
e , a questo punto , l’uso cautelativo del simbolo t per la ″ variabile di in
tegrazione ″ non avendo più scopo , si può redigere la formula ottenuta sos
tituendo t con x :
b
∫
f ( x ) dx = F a ( b ) − F a ( a )
a
e si può affermare intanto che l’enunciato vale per la primitiva di f in I
fornita dalla funzione integrale Fa .
Ma è stato dimostrato ( v. Cor.4.14)) che in un intervallo qualsiasi
due primitive di una stessa funzione differiscono per una costante
se , perciò , F è una qualunque primitiva di f in I , esisterà una costante
k
tale da aversi
F(x) − Fa(x) = k , ∀ x ∈ I :
quindi si avrà , in particolare ,
F(b) − Fa(b) = k
e
F(a) − Fa(a) = k
e , sottraendo membro a membro , si ottiene
F(b) − Fa(b) −( F(a) − Fa(a) ) = k − k = 0
da cui segue
b
F(b) − F(a) = Fa (b) − Fa (a) = ∫ f (x)dx
a
cioè la tesi. C.V.D.
307
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