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CAPITOLO I ELEMENTI DI LOGICA La Logica si interessa alle
CAPITOLO I ELEMENTI DI LOGICA La Logica si interessa alle proposizioni intese come enunciati di senso compiuto riferibili a degli oggetti definiti. Una proposizione può essere o vera oppure falsa le due circostanze escludendosi a vicenda e , inoltre , non essendoci per una proposizione p alcuna possibilità che essa possa risultare né vera , né falsa assioma logico conosciuto da sempre come principio del terzo escluso Si conviene di assegnare a ogni proposizione p un “ valore logico “ : se p è vera , il suo valore logico è 1; se p è falsa , il suo valore logico è 0; Date una , o più , proposizioni , se ne possono costruire delle altre definendone il pertinente valore logico . 1 Esempio 1.1). Data una proposizione p , con il simbolo p che si legge “ non p “ , si intende la proposizione detta anche la negazione di p avente il valore logico definito secondo lo schema seguente : p p 1 0 0 1 a parole si può affermare che se p è vera , allora p è falsa e che , viceversa , se p è falsa , allora p è vera Esempio 1.2). Date le proposizioni p e q si indica con il simbolo p∧q che si legge “p e q ” , o anche “p et q ” , la proposizione il cui valore logico è definito dal seguente schema 2 • p q p∧q 1 1 0 0 1 0 0 1 1 0 0 0 a parole si può affermare che p ∧ q è vera soltanto nel caso che sia p che q risultano vere in ogni altro caso p ∧ q risulta falsa . Si osservi che la proposizione p∧p è vera se p è vera , mentre è falsa se p è falsa Esempio 1.3). Date le proposizioni p e q si indica con il simbolo p∨q che si legge “p o q “ , o anche “p vel q “ , la proposizione il cui valore logico è definito secondo il seguente schema p q 1 1 0 0 1 0 0 1 p∨q 1 1 0 1 3 a parole si può affermare che p ∨ q è vera esattamente quando almeno una fra p e q risulta vera mentre p ∨ q è falsa soltanto quando sia p che q risultano entrambe false Si osservi che , come la p ∧ p , anche la proposizione p∨p è vera se p è vera , mentre è falsa se p è falsa Esempio 1.4). Date le proposizioni p e q si indica con il simbolo p ⇒ q che si legge “p implica q “ , la proposizione il cui valore logico è defi nito dal seguente schema p q 1 0 0 1 1 1 0 0 p⇒q 1 1 1 0 pertanto si ha che 4 p ⇒ q risulta vera esattamente quando si verifica uno dei seguenti casi : 1) p è vera ed è vera anche q ; 2) p è falsa e q è vera ; 3) p è falsa e q è falsa ; D’altra parte p ⇒ q risulta falsa quando p è vera e q è falsa Si osservi che la proposizione p ⇒ p è vera qualunque sia la proposizione p Definizione 1.1) . Le proposizioni p e q si dicono logicamente equivalenti e si usa , per indicare tale fatto , il simbolo p ⇔ q , o anche p ∼ q , quando risulta vera la proposizione seguente p ⇒ q ∧ q ⇒ q E’ importante osservare che , in vista della definizione di implicazione, p e q sono (logicamente) equivalenti esattamente quando p e q sono entrambe vere , oppure sono entrambe false 5 E’ assai utile , a questo punto , acquisire il seguente risultato : Proposizione 1.1) . Date due proposizioni qualsiansi p q e vale la seguente equivalenza logica q ⇒ p p ⇒q ∼ Dimostrazione. Per dimostrare questo importante fatto , si costruisce la tabella logica relativa alle due proposizioni p ⇒ q q ⇒ p e per constatare che esse hanno lo stesso valore logico per ogni scelta di p e q Vediamo: p q p q p ⇒ q q ⇒ p 1 0 0 1 1 1 0 0 0 1 1 0 0 0 1 1 1 1 1 0 1 1 1 0 La situazione posta in rilievo dalla tabella precedente è che l’implicazione (p ⇒ q ) ⇒ ( q ⇒ p ) è sempre vera e che l’implicazione ( q ⇒ p ) ⇒ ( p ⇒ q ) è sempre vera 6 donde la conclusione (v. def. di proposizioni equivalenti) . C.V.D. Osservazione importante 1.1) . L’equivalenza logica delle due implicazioni p ⇒q e q ⇒ p è alla base delle cosiddette dimostrazioni per assurdo che in Matematica ricorrono molto spesso . Precisamente : se ci si propone di dimostrare la verità dell’ implicazione p ⇒ q , si può ottenere lo scopo provando la verità dell’ implicazione q ⇒ p : infatti , come sopra si è visto , essendo l’implicazione ( q ⇒ p ) ⇒ (p ⇒ q ) sempre vera la verità dell’implicazione q ⇒ p comporta la verità della p ⇒ q . C.V.D. 7 CAPITOLO II ELEMENTI DI TEORIA DEGLI INSIEMI La nozione di insieme e’ considerata come primitiva , così come quella , ad essa direttamente collegata , di elemento appartenente ad un insieme. Se x è un elemento dell’insieme E , per significare tale fatto si usa il simbolo x∈E In generale un insieme E viene definito assegnando una certa proprietà che sia soddisfatta da tutti e soli i suoi elementi : tale proprietà sarà formulata tramite una opportuna proposizione p la quale , se riferita ad un oggetto x , si suole indicare con il simbolo p(x) sicchè varrà l’equivalenza logica seguente x ∈ E ⇔ p(x) risulta vera : usualmente una proposizione di questo tipo viene essa stessa denominata proprietà caratteristica dell’insieme E 8 essendo ovvio che due proprietà logicamente equivalenti risulteranno proprietà caratteristiche dello stesso insieme. Esempio 1.2). Se p è la proprietà di essere un numero intero positivo pari allora si ha che p(2) , p(112) , p(23478) risultano vere , mentre p(−4) , p(7) , p( 2 ) , p( 2 ) , p(π) risultano false . 3 Esempio 2.2). Se p è la proprietà di essere un quadrilatero piano convesso con le diagonali fra loro ortogonali allora p(x) è vera per ogni rombo , in particolare per un quadrato , mentre p(x) è falsa per ogni rettangolo che non sia un quadrato. E’ ovvio che l’affermazione p(x) è vera per ogni rombo , in particolare per un quadrato , non esclude affatto che p(x) possa essere vera anche per infiniti altri quadrilateri come il dimostra l’esempio grafico n° 1 . 9 Definizione 1.2). Dati gli insiemi A , B si dice che A è un sottoinsieme di B , o che A è incluso in B , oppure anche che B è sopransieme di A , o che B include A , e si usa per indicare in breve tale circostanza il simbolo A ⊆ B se vale la seguente implicazione x∈A ⇒ x∈B a parole : A è sottoinsieme di B se ogni elemento di A è anche elemento di B Può ben darsi , con tale definizione, che risulti A = B : perciò , se si ha , invece, che A è sottoinsieme di B , ma che A ≠ B , si si dirà che A è sottoinsieme proprio di B e si adotterà in tal caso il simbolo A⊂B E’ evidente che varrà l’importante implicazione 10 A ⊆ B ∧ B ⊆ A ⇒ A=B Se, poi, essendo p è una proprietà caratteristica dell’insieme A e q è una proprietà caratteristica dell’insieme B si avrà ovviamente l’equivalenza logica A ⊆ B ⇔ ( p(x) ⇒ q(x) ) La relazione fra gli insiemi A , B , espressa da A ⊆ B , prende il nome di relazione di inclusione Nel caso in cui si abbia A ⊂ B l’inclusione si dice stretta Definizione 1.2). Dati gli insiemi A , B , di proprietà caratteristiche rispettive p , q si definisce l’insieme indicato con il simbolo A∪B e detto unione di A e B assumendo come sua proprietà caratteristica quella espressa dalla proposizione p∨q avremo quindi 11 x ∈ A ∪ B ⇔ p (x) ∨ q (x) risulta vera in pratica , diremo che gli elementi di A ∪ B sono tutti gli elementi di A e tutti gli elementi di B ma nessun altro elemento che non appartenga né ad A , né a B Definizione 2.2). Dati gli insiemi A , B , di proprietà caratteristiche rispettive p , q si definisce l’insieme indicato con il simbolo A∩B e detto intersezione di A e B assumendo come sua proprietà caratteristica quella espressa dalla proposizione p∧q: avremo quindi x ∈ A∩B ⇔ p (x) ∧ q (x) risulta vera in pratica , diremo che gli elementi di A ∩ B sono esattamente gli elementi che appartengono sia ad A che a B In teoria degli insiemi è uso comune indicare un insieme con un sottoinsieme di 12 punti del piano : si tratta ovviamente di una convenzione , poiché , in generale , gli elementi di un insieme non sono affat to dei “punti”, anche se a volte si chiamano così per brevità : si introducono perciò i cosiddetti diagrammi di Venn : in Figura n°2 , ad esempio , è rappresentato A ∩ B intersezione dei due insiemi A e B D’altra parte , quando ciò risulta opportuno ed efficace , è altrettanto comune asse gnare un insieme elencando esplicitamente i suoi elementi : ad esempio A = {a,b,c} , B = {1,−5 , 37 , −21} , C = { √2 , −π, ε, δ} , ecc. Alle volte però gli elementi di un insieme risultano troppo numerosi , o addirittura in numero infinito , sicché non è praticabile il metodo sopra indicato : si procede allora usando un simbolismo illustrato dai seguenti esempi A = {x | x è un numero intero positivo multiplo di 3}; B = { x | x è un numero intero relativo divisore di 18 e di −700}; C = { x | x è una frazione positiva avente la somma del numeratore e del denominatore minore o uguale a 21}; ecc… Il simbolo | si legge “tale che” , e sarà già ben noto al lettore , ed è spesso sostitutito dal simbolo : . Se gli insiemi A e B sono sottoinsiemi di uno stesso insieme E , si indica con il simbolo A–B il sottoinsieme di E definito nel seguente modo : 13 A – B = { x | x∈E ∧ x∈A ∧ x ∉ B } questo sottoinsieme di E è evidenziato in Figuran°3 mediante diagrammi di Venn L’insieme A – B sopra definito prende il nome di differenza di A e B Segnaliamo infine un altro importante tipo di sottoinsieme di un dato insieme E . Dato l’insieme E , sia A un suo sottoinsieme : si definisce allora il complementare di A rispetto ad E nel seguente modo : Ac = { x | x ∈ E ∧ x ∉ A } E’ immediato riconoscere che vale la formula (Ac)c = A E’ uso comune introdurre il concetto di insieme vuoto che si indica con il simbolo ∅ questo insieme non contiene alcun elemento , e , se si vuole associarlo a una pro prietà si può scegliere , ad esempio , quella che , per ogni x∈E (l’insieme nel quale si svolge la teoria che si sta sviluppando) , afferma che x ≠ x 14 la quale risulta falsa per ogni x ∈ E : è infatti assiomatico che per ogni ogni elemento x che si consideri è sempre vero che x=x Se E è insieme nel quale si svolge una certa teoria , allora è facile verificare le se guenti circostanze : Ec = ∅ ; ∅c = E ; A ∩ Ac = ∅ ; A ∪ Ac = E 15 CAPITOLO III RICHIAMI SUI NUMERI INTERI POSITIVI Il lettore conosce certamente l’insieme N dei numeri interi positivi e le due operazioni binarie interne di addizione e moltiplicazione che intercedono fra loro , con le relative proprietà formali che sono , prima di tutto , la commutatività e l’associatività precisamente valgono le seguenti regole : 1.1) n1 + n2 = n2 + n1 , ∀ n1 , n2 ∈ N ; 2.1) ( n1 + n2 ) + n3 = n1 + ( n2 + n3 ) , ∀ n1 , n2 , n3 ∈ N ; 3.1) n1 n2 = n2 n1 , ∀ n1 , n2 ∈ N ; 4.1) ( n1 n2 ) n3 = n1 ( n2 n3 ) , ∀ n1 , n2 , n3 ∈ N . Si osservi che il simbolo n1 + n2 denota il risultato dell’operazione di addizione eseguita sui due numeri n1 ed n2 : 16 tale risultato prende il nome di somma di n1 ed n2 ; similmente , il simbolo n1 n2 (che a volte diventa n1×n2 , o anche n1∗n2) denota il risultato dell’operazione di moltiplicazione eseguita sui due numeri n1 e n2: tale risultato prende il nome di prodotto di n1 ed n2 . Le due operazioni di addizione e moltiplicazione ( ma molto spesso si transige con il linguaggio e si dice somma e prodotto ) sono legate da una importante proprietà formale : precisamente si ha che vale la regola seguente 5.1) n1 ( n2 + n3 ) = n1 n2 + n1 n3 , ∀ n1 , n2 , n3 ∈ N , che prende il nome di distributività del prodotto rispetto alla somma Osservazione 1.1) . Dati tre numeri interi n1 , n2 , n3 , l’associatività della somma e quella del prodotto consente di interpretare in modo univoco i simboli n1+n2+n3 e n1 n2 n3 nonché di estendere analoghi simboli ad un numero qualunque di addendi o di fattori , in quanto i risultati non dipendono affatto da come addendi o fattori vengono associati fra loro : ad esempio n1 + n2 + n3 + n4 + n5 17 può essere calcolato in uno qualunque dei seguenti modi , n1 + ( n2 + n3 + n4 + n5 ) = ( n1 + n2 )+( n3 + n4 + n5) = = ( n1 + n2 + n3 )+ ( n4 + n5 ) = ( n1 + n2 + n3 + n4) + n5 = = n1 + ( n2 + n3 )+ ( n4 + n5 ) = n1 + ( n2 + n3 + n4 ) + n5 = = ( n1 + n2 ) + n3 + ( n4 + n5) = ( n1 + n2 ) +( n3 + n4 ) + n5 = = ( n1 + n2 + n3 )+ n4 + n5 = n1 + n2 +( n3 + n4 + n5 ) : il lettore si eserciti a dimostrare le uguaglianze sopra esposte , come pure le ana loghe uguaglianze relative al prodotto . Per la somma e il prodotto di numeri interi valgono inoltre due altre assai notevoli proprietà , che si riassumono nei seguenti due enunciati : permutando comunque l’ordine degli addendi di una somma la somma non cambia e permutando comunque l’ordine dei fattori di un prodotto il prodotto non cambia a tale riguardo bisogna sottolineare il fatto , di solito trascurato , che il sussistere di queste due fondamentali proprietà delle due operazioni vigenti in N è dovuto ad entrambe le proprietà associativa e commutativa di cui esse godono , come sopra si è stabilito , e non alla sola proprietà commutativa . 18 Per illustrare questo punto essenziale vediamo un caso particolare , sufficiente però a persuadere di quanto sopra avvertito : supponiamo di dover provare che , dati 4 numeri di N , n1 , n2 , n3 , n4 sussiste l’uguaglianza n1 + n2 + n3 + n4 = n4 + n2 + n3 + n1 Ecco come si deve , pazientemente , ma con rigore logico , procedere: n1 + n2 + n3 + n4 = (n1 + n2 + n3) + n4 = (n1 + (n2 + n3)) + n4 = = (n1 + (n3 + n2)) + n4 = ((n1 + n3)+n2) + n4 = (n1 + n3)+(n2 + n4) = = (n1 + n3) + (n4 + n2) = (n4 + n2) + (n1 + n3) = (n4 + n2) + (n3 + n1) = = n4 + n2 + n3 + n1 precisi il lettore , ad ogni passaggio , quale delle due proprietà , associativa o commutativa , è stata applicata . E’ ovvio che in modo del tutto analogo si procede con il prodotto. Nell’insieme dei numeri interi positivi N vige una relazione di ordine totale secondo la quale due numeri n1 , n2 , si dicono , nell’ordine , uno minore dell’altro , e si indica tale fatto con il simbolo n1 < n2 19 quando esiste un numero d ∈ N tale che risulti n1 + d = n2 L’espressione n2 è maggiore di n1 è ritenuta equivalente alla n1 è minore di n2 Il termine totale si riferisce al fatto ben noto che dati due numeri interi positivi distinti ne esiste uno (e uno solo) dei due che risulta minore dell’altro E’ chiaro che la relazione d’ordine risulta transitiva cioè che vale la seguente implicazione , di dimostrazione agevole , n1 < n2 ∧ n2 < n3 ⇒ n1 < n3 La relazione d’ordine di N interferisce con l’addizione e con la moltiplicazione e precisamente nel seguente modo : ∀ n ∈ N valgono le seguenti doppie implicazioni e n1 < n2 ⇔ n + n1 < n + n2 n1 < n2 ⇔ n n1 < n n2 20 e tali proprietà si enunciano dicendo che le due operazioni di N “ rispettano la relazione d’ordine” Risulta poi evidente che , valendo , in particolare , “ da destra a sinistra “ le due formule sopra stabilite costituiscono , per entrambe le operazioni , le cosiddette regole di semplificazione che certamente il lettore avrà applicato innumerevoli volte. Il più piccolo di tutti i numeri interi positivi è il numero 1 ; per di più per ogni numero n , l’insieme dei numeri maggiori di n ha un elemento che risulta il suo minimo , rispetto all’ordine : esso è precisamente il numero n+1 Osservazione 2.1). Sarà ben noto al lettore che la moltiplicazione vigente in N si costruisce “tramite” l’addizione : precisamente risulta , per definizione , che n × 1 = n , e che (n × (m + 1)) = n × m + n Definizione 1.1). Si dice che un numero n è un multiplo del numero m se esiste un numero q tale che risulti n =mq si dice in tal caso anche che n è divisibile per m , e che q è il quoziente di n per m Definizione 2.1). Un numero p si dice un numero primo se risulta 21 maggiore di 1 e divisibile soltanto per sé stesso e per 1 Il lettore individui tutti i numeri primi minori di 100. Osservazione 3.1). In N si possono considerare altre due operazioni , che non sono operazioni binarie complete , nel senso che non si possono applicare a coppie arbitrarie di numeri , come avviene per l’addizione e la moltiplicazione : si tratta della sottrazione e della divisione La sottrazione di due numeri n1 , n2 , nell’ordine , si può eseguire solo nel caso che risulti n2 < n 1 e , precisamente , il risultato di tale sottrazione , che prende il nome di differenza , nell’ordine , di n1 e n2 , e si denota con il simbolo n1− n2 , altro non è che quel numero d per cui risulta n2 + d = n1 : va da sé che tale numero risulta univocamente determinato Quanto alla divisione di due numeri n1 , n2 , nell’ordine , essa si può eseguire solo nel caso in cui si ha che n1 è multiplo di n2 cioè quando esiste q tale da aversi 22 n1 = n2 q q , considerato il risultato della divisione di n1 per n2 , prende il nome di quoziente di n1 e n2 e si indica con il simbolo n1 : n2 o anche con n1 n2 preludendo con questo la notazione ben nota per i numeri razionali come frazioni di cui parleremo fra poco. Determini il lettore per quali coppie (n1, n2) di numeri di N , sotto assegnate esiste il quoziente di n1 per n2 , calcolandolo nei casi trovati: (252 , 9) , (37 , 1) , (97 , 97) , (615 , 41) , (100 , 1000) , (51 , 17) , (1, 2) , (355 , 71) , (901 , 17) , (n +1 , n) ,(n + 2 , n) , (n + 20 , n). Definizione . Dati due qualsiasi numeri di N n e r si dice potenza di base n ed esponente r il numero uguale al prodotto di r fattori tutti uguali a n : tale numero si denota con il simbolo ben noto nr 23 che si legge “ n elevato alla r”, o anche solo “ n alla r” . Ricordiamo le più comuni proprietà delle potenze : (6.1) (7.1) (8.3) nr ns = nr+s nr mr = (n m) r (nr)s = nr s Osservazione importante. Bisogna fare attenzione a non confondere potenze del tipo n (r s ) e (n r ) s poiché , in generale , esse hanno valori diversi : provi il lettore , ad esempio , a calcolare 3 ( 32 ) e (33 ) 2 : troverà due numeri assai diversi . A proposito di numeri primi è senz’altro il caso,per le considerazioni che verranno, di ricordare il Teorema fondamentale dell’Aritmetica ( Euclide , IV sec. a.C.) Dati due numeri interi positivi m e n 24 se p è un numero primo che divide il prodotto di m ed n (in simboli si suole indicare tale fatto con la scrittura p | m n ) , allora si ha che p|m ∨ p|n vale a dire che p deve dividere almeno uno dei due numeri m , n potendo eventualmente dividere entrambi . Provi il lettore ad organizzare una dimostrazione di questo famoso risultato del grande Euclide nel caso in cui sia p = 2 , 3 , 5 . Conseguenza ben nota del Teorema di Euclide sopra enunciato, è il seguente Corollario 1.1). Ogni numero intero positivo n maggiore di 1 , se non è già un numero primo , o una potenza di un numero primo, è il prodotto di potenze di numeri primi , cioè del tipo n = (p1) s 1 (p2) s 2 . . . (pr) s r per di più i numeri primi che intervengono in tale rappresetazione di n , e i relativi esponenti sono univocamente determinati da n ovviamente a meno dell’ordine. Questo fatto fondamentale interverrà a suo tempo , quando ci si renderà conto dell’ insufficienza dei numeri razionali , anche soltanto 25 per istituire una soddisfacente teoria della misura delle lunghezze assolutamente necessaria per la Geometria Analitica e per l’Analisi Infinitesimale . I numeri di N che sono multipli del numero 2 , che è il successivo di 1 nella serie naturale , ed uguale quindi a 1+1, ovvero, il che è lo stesso , i numeri di N che sono divisibili per 2 , sono detti numeri pari : è ovvio che nessuno di essi può essere un numero primo , e che , dunque , i numeri primi si trovano tutti nel complementare, rispetto a N , dell’insieme dei numeri pari , insieme che prende il nome ben noto di insieme dei numeri dispari Si badi bene però al fatto che varranno le seguenti relazioni fra insiemi : insieme dei numeri primi ⊂ insieme dei numeri dispari ; insieme dei numeri dispari ∩ insieme dei numeri pari = ∅ ; insieme dei numeri dispari ∪ insieme dei numeri pari = N ; Si noti che la prima inclusione è inclusione stretta , la cosa è ovvia , ma va sottolineato il fatto che i numeri primi , che pure sono in numero infinito , sono in realtà una estrema minoranza fra i numeri dispari anzi , più si procede nella successione naturale , e più rari diventano i numeri primi : 26 se tra 1 e un numero con 7 cifre (cioè qualche milione) si incontra in media un numero primo ogni 12 , tra 1 e un numero di 70 cifre ( questo è l’ordine di grandezza che i Fisici stimano essere il numero di tutte le particelle di cui è costituito l’Universo conosciuto ) si incontra invece un numero primo , sempre mediamente , ogni 160 numeri , per cui scrivendo un tale numero a caso , si è pressoché certi di scrivere un numero non primo , cioè , come si dice , un numero composto Infine ricordiamo una importante proprietà dell’insieme N dei numeri interi positivi : essa va sotto il nome di principio di induzione completa e nei trattati appare addirittura come uno degli assiomi fondanti dell’Aritmetica . Il suo enunciato è il seguente : se A è un sottoinsieme di N con entrambe le seguenti proprietà 1a) 1∈A , 2a) se A contiene un numero n , contiene anche il successivo n+1 di n , allora risulta che A=N Su questa proprietà si basano molte dimostrazioni e definizioni di ogni ramo della Matematica 27 CAPITOLO IV RICHIAMI SUI NUMERI INTERI RELATIVI Chiunque sia versato anche nelle più semplici fra le questioni dell’economia , come tenere un registro di entrate ed uscite , avrà già compreso che la struttura numerica dei numeri interi positivi, cioè l’insieme N con le sue operazioni , e la relazione d’ordine , detta anche l’ordinamento , risulti troppo povera per con sentire un computo efficace e tempestivo , oltreché , s’intende, esatto . In altri campi , come la Fisica e l’Ingegneria , la necessità di considerare quantità “ con segno”, è avvertita con ancor maggiore urgenza. Per questo i matematici hanno proceduto ad un ampliamento dell’algebra dei bra dei numeri , costruendo l’insieme Z dei numeri interi relativi Z contiene N , ne è cioè un soprainsieme . Oltre ai numeri interi positivi , Z con tiene lo 0 che in N non esisteva , e poi esattamente quelli che vengono detti gli opposti dei numeri interi positivi sicché si suole rappresentarlo come segue Z = {… , −3 , −2 , −1 , 0 , 1 , 2 , 3 , … } In Z vigono tre operazioni binarie interne 1) l’addizione 28 la quale , applicata ai numeri di N , dà gli stessi risultati dell’addizione di N ; per questa addizione lo 0 risulta elemento neutro il che significa che z+0=0+z = z,∀z∈Z; per le rimanenti coppie di numeri di Z l’addizione viene costruita secondo le regole ben note, e che sono succintamente esemplificate dai seguenti esempi 7 + (−12) = − (12−7) = −5 ; −128 + 37 = − (128 − 37) = − 91 ; 5041+ (−2378) = 2663 ; − 35721 + (−25000) = − (35721 + 25000) = = −60721 , ecc… Si noti come il sommarsi di due uscite , o perdite , equivalga ad una perdita pari alla somma degli ammontari perduti : e questo aderisce perfettamente alla realtà dei fatti . Senza entrare nei dettagli della costruzione matematicamente rigorosa della somma di Z , ricordiamo semplicemente che per essa valgono le stesse proprietà formali dell’addizione di N cioè l’associatività e la commutatività con tutte le loro ben note conseguenze nel calcolo algebrico. Ogni numero z ∈ Z viene ad avere un ben preciso opposto , il quale , sommato con esso dà lo zero : 29 l’opposto di z viene denotato con −z per cui si avrà z + (−z) = (−z) + (z) = 0 , ∀ z ∈ Z ; I numeri negativi , detti anche “ minori di 0 “ sono esattamente gli opposti dei numeri interi positivi di N sono quindi rappresentabili come segue −n , ∀ n ∈ N , ed è quindi ovvio che −n avrà proprio n come suo opposto : −(−n) = n , ∀ n ∈ N ; ma è anche elementare il fatto che risulta −(−z) = z , ∀ z ∈ Z : questo viene incontro al fatto di buon senso che l’opposto di una perdita è un profitto e viceversa La seconda operazione di Z è 2) la moltiplicazione la quale , anch’essa , applicata ai numeri di N , dà gli stessi risultati della moltiplicazione di N ; per le restanti coppie di numeri di Z si ha che 0z=z0=0, ∀z∈Z, 30 mentre quando sono coinvolti fattori negativi , si seguono le ben note “ regole dei segni “ illustrate dai seguenti esempi ( in molti casi si fa ricorso al segno “ cross” per indicare il risultato della moltiplicazione di numeri , detto anche il loro prodotto, 78 × (−31) = (−31) × 78 = − (78 × 31) = −2418 ; si osservi ancora l’aderenza di questo algoritmo alla realtà dei fatti : se si hanno 78 perdite di 31 euro l’una il fatto equivale a una perdita il cui ammontare è 78 volte 31 Le proprietà formali della moltiplicazione sono completate dalla regola del prodotto fra numeri negativi ad esempio: (−45) × (−128) = 45 × 128 = 5760 Anche nel caso della moltiplicazione , o “prodotto” , ci limitiamo a ricordare che per essa valgono le stesse proprietà formali della moltiplicazione di N cioè l’associatività e la commutatività con tutte le loro ben note conseguenze nel calcolo algebrico. Inoltre va anche ricordato che , come in N , il prodotto è distributivo rispetto alla somma : z ( z’ + z”) = z z’ + z z” , ∀ z , z’ , z” ∈ Z . 31 La terza operazione binaria di Z è 3) la sottrazione In effetti , la costruzione di Z , con l’introduzione degli opposti dei numeri di N , è stata realizzata anzitutto con lo scopo di completare l’operazione di sottrazione di N la quale , come sappiamo , era possibile solo se il diminuendo era maggiore del sottraendo : in Z , invece , la sottrazione di due interi relativi risulta sempre possibile secondo la seguente regola definitoria z’− z” = z’ + (− z”) , ∀ z’ , z” ∈ Z . Non è allora difficile riconoscere che il prodotto è distributivo anche rispetto alla differenza ciè che si ha z ( z’− z”) = z z’− z z” , ∀ z , z’ , z” ∈ Z . Essendo N ⊂ Z , l’ordinamento vigente in N si estende a Z in modo del tutto Naturale : se infatti un numero positivo interpreta l’ ammontare di un profitto , lo 0 sarà ovviamente da considerarsi come un pareggio , situazione “da svalutare” certo rispetto al profitto , cioè 32 da considerare “minore” di quest’ultimo ; quanto a un numero opposto ad un numero considerato “positivo” sarà ben da svalutare rispetto non solo ad esso , ma anche rispetto allo 0 ; di due numeri “negativi” , sarà da svalutare ,come quello che interpreta una perdita più ingente , quello il cui opposto risulta invece più grande , sicchè , per esempio , riterremo a buona ragione −570 < −290 leggendo il segno < come “minore di” , ritenendo il primo numero , in quanto sigla di un passivo più pesante del secondo , come “non preferibile” rispetto a quest’ultimo , sicchè , in questa scala di valori sarà logico collocarlo “a sinistra” , così come si colloca 170 “a sinistra” di 500. Riassumiamo il tutto con la serie ordinata dei numeri interi relativi : … −5 < −4 < −3 < −2 < −1 < 0 < 1 < 2 < 3 < 4 < 5 < … E’ possibile estendere anche l’operazione di divisione che si era considerata in N : 1)° 2)° per numeri positivi si procede esattamente come in N ; la divisione di qualunque numero per 0 non è possibile in alcun caso ; 3)° la divisione , in Z , di un numero negativo per uno positivo si può eseguire solo nel caso in cui l’opposto del dividendo è un numero positivo divisibile , in N , per il divisore , che è in N, essendo positivo , 33 esemplificando : (−63) : 9 = −(63 : 9) = −7 −319 : 11 =−(319 : 11) = −29 ecc… Analogamente si può dividere un numero positivo per uno negativo quando l’opposto di quest’ultimo è un numero positivo che sia , in N , un divisore esatto del dividendo : 8551 : (−17) = −(8551 : 17) = −503 In Z , invece , non si può dividere , ad esempio , −125 per 7 , perché , in N , 125 non è divisibile per 7 , ecc… Passando alla divisione fra numeri negativi , essa è eseguibile solo se i due opposti rispettivi sono divisibili in N per esempio : −1651 : (−127) =1651 : 127 = 13 non si può invece eseguire la divisione di −347 per −23 , perché , in N , in N , 347 non è divisibile per 23 , ecc… Osservazione 1.4). Dalle considerazioni appena svolte sulla operazione di divisione fra numeri interi si comprende subito come , rispetto all’esigenza ovvia di poterla effettuare in ogni caso ( tranne la divisione per 0 , s’intende ) , 34 l’insieme dei numeri interi relativi Z si rivela non soddisfacente sicché si impone la necessità di un suo ampliamento del quale ci occuperemo fra poco. Quanto al comportamento delle operazioni vigenti in Z rispetto alla relazione di ordine va osservato che la somma e la differenza rispettano l’ordinamento per esempio −348 < 35 ⇒ −348 + 73 < 35 + 73 oppure −348 < 35 ⇒ −348 −113 < 35 −113 Per il prodotto , invece , si devono distinguere rigorosamente due casi : 1°) caso : se il numero che moltiplica i due membri della disuguaglianza è positivo la disuguaglianza viene rispettata per esempio −5 < 11 ⇒ (−5) × 21 < 11 × 21 : il prodotto per il moltiplicatore positivo 21 conserva l’ordinamento ; 2°) caso : se il numero che moltiplica i due membri della disuguaglianza è negativo 35 la disuguaglianza non viene rispettata ad esempio −352 < 67 ⇒ (−352 ) × (−43) =15136 > 67 × (−43) = −288 oppure − 83 > −134 ⇒ (− 83 ) × (−29) = 2407 < (−134) × (−29) = 3886 il prodotto per i moltiplicatori negativi −43 e −29 ha causato capovolgimento dell’ordine Quanto alla possibilità di definire potenze di base intera relativa , esse possono es sere definite in modo del tutto analogo alle potenze di base intera positiva , però bisogna tener presente le seguenti condizioni : 1) gli esponenti non possono essere negativi ; 2) l’esponente può essere 0 , ma la base deve essere positiva : queste potenze val gono tutte 1 : 10 = 1 ; 30 = 1 ; 9310 = 1 ; 56410 = 1 ; ecc… e il motivo di ciò verrà a suo tempo chiarito . In tali condizioni le regole per il calcolo delle potenze sono le stesse di quelle as segnate in N ( v. Cap. III ) 36 CAPITOLO V RICHIAMI SUI NUMERI RAZIONALI L’algebra dei numeri interi , cioè Z con le sue strutture operative e di ordine , consente di trattare quantità di oggetti ciascuno dei quali è uno e indiviso Questo fatto è chiaramente una limitazione : in qualsiasi campo della Scienza , pura o applicata , accade di dover considerare parti di un intero o di poter esprimere numericamente rapporti di grandezze che sono parti di un tutto omogeneo Per venire incontro a queste esigenze è stato costruito l’insieme Q dei numeri razionali l’attributo razionali rimanda al termine latino ratio , nell’accezione di porzione , razione , frazione , intesa , quest’ultima , come parte di un tutto suddiviso (fractio da frango = spezzo). L’insieme Q , lettera iniziale della parola quoziente ( il motivo lo capiremo fra fra poco ) risulta un soprainsieme dell’insieme Z e le operazioni che vengono introdotte in Q , se ristrette a Z , daranno logicamente 37 gli stessi risultati che davano come operazioni interne di Z e naturalmente mantenendone tutte le proprietà . Per di più l’ordinamento dei numeri interi relativi si conserva in Q nel senso che Q viene dotato di un ordinamento totale il quale , ristretto a Z , coincide con l’ordinamento di Z Il procedimento di ampliamento comincia con l’estensione dei numeri interi positivi con l’introduzione dei numeri frazionari positivi Si comprende meglio questa nozione pensando alla suddivisione di un segmento in parti uguali : mediante una ben nota costruzione un segmento può essere suddiviso in un numero prefissato n qualunque di parti di uguale lunghezza : ciascuna delle quali viene detta parte n–esima del segmento o anche un n–esimo del segmento convenendo di indicarne la misura rispetto all’intero segmento con la frazione 1 n 38 Naturalmente di queste frazioni se ne possono unire, a formare una parte del seg mento , più di una : due , tre , … , n –1 , e introdurre quindi le frazioni 2 3 n −1 n , n , ... , n ciascuna interpretando numericamente la misura della relativa parte rispetto al segmento E’ ovvio che un procedimento analogo può essere messo in atto per ottenere , più in generale , misure di porzioni di qualsiasi altro intero divisibile in parti uguali questo intero potendo essere unità di moneta , di massa , di forza, ecc., e le me desime frazioni servendo ad formulare numericamente la misura di ciascuna por zione rispetto all’intero considerato . Si costruiscono così le frazioni proprie a proposito delle quali va subito osservato che due frazioni possono rappresentare la stessa parte dell’intero pur essendo “costruite” con numeri diversi : è un fatto del tutto elementare , ad esempio , che 2 4 6 i 3 di un intero sono la stessa quantità dei suoi 6 , o 9 , ecc… e, più in generale , dei suoi 2× n − esimi 3× n 39 sicché si giunge alla nozione di frazioni equivalenti le quali sono tutte quelle riconducibili ad una stessa frazione irriducibile con il procedimento ben noto della semplificazione ottenuta via , via , dividendo numeratore e denominatore per uno stesso loro divisore comune , finché ciò sia possibile. Senza entrare troppo nei dettagli costruttivi dell’algebra razionale , ricordiamo solo che , limitandoci al momento ai numeri razionali positivi, e , inoltre , sem pre per adesso , minori di 1, un numero razionale , cioè un elemento di Q , va concepito come un’intera classe di frazioni fra loro a due a due equivalenti : ad esempio , bisognerebbe usare un simbolo come 2 { } 3 2 per indicare l’insieme di tutte le frazioni equivalenti alla frazione 3 e pensare che tutta questa classe si debba chiamare numero razionale 40 Naturalmente si transige , per non appesantire troppo le notazioni , e di conse guenza i calcoli , sicché si parla alla breve del 15 56 2 numero razionale , o 3 23 , o 27 , ecc… 2 4 18 il numero razionale essendo identico a , a , ecc… 3 27 6 Finora si è parlato di frazioni con il numeratore più piccolo del denominatore : m cioè del tipo n , con m < n , le quali interpretano , nei vari contesti possibili , quantità minori dell’intero , che è naturalmente rappresentato dal numero 1 : queste frazioni si riterranno i (rappresentanti dei) numeri razionali minori di 1. Restano disponibili allora tutte le frazioni rimanenti, sempre limitando ci per il momento a quelle con numeratore e denominatore entrambi positivi : come saranno efficacemente adoperate ? Basta pensare , allo scopo , alla necessità di considerare quantità consistenti di un numero intero positivo di interi più una parte propria di intero serviranno perfettamente allo scopo (il lettore certamente se lo ricorderà) frazioni del tipo , per esemplificare , 8 39 205 5 , 23 , 100 , ecc… 41 8 5 ad esempio , corrisponderà chiaramente quella quantità che consiste 5 3 in un intero , rappresentato da = 1 , più i suoi … 5 5 Anche per queste frazioni , dette improprie , si presenta la circostanza di risultare equivalenti ad altre , e riducibili a frazioni con numeratore e denominatore numeri interi primi fra loro senza quindi divisori propri in comune : ad esempio , e usando direttamente il segno di uguaglianza , in modo analogo a quanto fatto sopra , si avrà 41 123 41× 3 533 41×13 27 = 81 (= 27 × 3 ) = 351 = 27 ×13 = ecc… Restano infine le cosiddette frazioni apparenti per il semplice motivo che non richiamano la necessità di suddividere l’intero di turno , ma ne rappresentano in effetti un numero intero positivo di esemplari : ad esempio 12 238 122171 3 = 4 , 7 = 34 , 217 = 563 , ecc… E’certamente il caso di soffermarsi ad esaminare come i numeri razionali si compongano fra loro in somma e in prodotto . Quanto alla somma viene , in fase elementare (Scuola media inferiore), proposto in genere del tutto acriticamente , il procedimento qui di seguito esemplificato : 42 133 274 133× 7 + 274 × 41 12165 + = 41 7 = 287 41× 7 Il punto è : per quale motivo non si spiega la ragione di questa procedura ? Perché costringere a imparare questa arida formula algebrica senza cognizione di causa ? Vediamo allora di farcene noi una ragione . Supponiamo , ad esempio , di dover sommare le quantità frazionarie rappresentate appunto da 274 133 41 e 7 ebbene , noi sappiamo che tali frazioni possono essere sostituite da frazioni equivalenti pertanto è come se ci fosse richiesto di sommare 133 × 7 41× 7 con 274 × 41 7 × 41 : ripensati in tal modo i due addendi , la somma si impone da sola : è come se dovessimo mettere assieme i 133×7 (41×7=287)-esimi di un certo intero con i 274 × 41 (sempre) (41×7=287)-esimi del medesimo intero : ma allora ognuno comprende che il risultato sarà 43 133 × 7 + 274 × 41 133 × 7 + 274 × 41 12165 = = 41× 7 287 287 Sussiste però , nella mente di persone attente , la questione dell’indipendenza del risultato della somma dalle particolari frazioni rappresentanti usate allo scopo . Per chiarire fino in fondo : se , per ottenere la somma di due numeri razionali , si ricorre a una certa coppia di frazioni , che siano loro rappresentanti rispettivi , usandone altre due ,che siano equivalenti , nell’ordine , a quelle , si ottiene lo stesso risultato, o , meglio , è certo che le due frazioni che ne risultano saranno sempre fra loro equivalenti , fornendo così lo stesso numero razionale ? Ognuno converrà che questa è una ben giustificata domanda : ebbene la risposta ad essa è affermativa e lo verifichiamo in un caso numericamente esplicito: supponiamo di dover sommare i due numeri razionali rappresentati dalle due frazioni 6 8 e 20 45 : il procedimento assegnato sopra porta alla somma rappresentata dalla frazione 6 × 45 + 8 × 20 8 × 45 D’altra parte , gli stessi due numeri razionali sono rappresentati , come è immediato verificare , dalle due frazioni 44 12 16 4 9 e e , partendo da queste due , si ottiene la somma rappresentata dalla frazione seguente 12 × 9 + 16 × 4 ; 16 × 9 ebbene , le due frazioni ottenute sono in effetti equivalenti : per rendersene conto basta ridurle per equivalenza a una stessa frazione : questo si ottiene moltiplicando numeratore e denominatore della prima , e della seconda , rispettivamente , per 2 e per 5 : si ottengono così le frazioni 2 × (6 × 45 + 8 × 20) 2 × (8 × 45) e 5 × (12 × 9 + 16 × 4) 5 × (16 × 9) che sono in effetti la stessa , e cioè 860 720 equivalente a sua volta alla frazione irriducibile 43 36 Si può quindi affermare che 6 20 12 4 43 8 + 45 = 16 + 9 = 36 45 e questo conclude questa (ovviamente parziale) dimostrazione : nei trattati si può trovare una giustificazione teoricamente completa . Possiamo stabilire a questo punto la formula che definisce l’operazione di addizione , o “somma” , fra numeri razionali positivi : m1 n1 m1 × n2 + n1 × m2 + = m2 n2 m2 × n2 Non è difficile allora constatare che la somma è associativa e commutativa ; Si assimilano quindi i numeri interi positivi ai numeri razionali del tipo n 1 al variare di n nell’insieme ei numeri interi positivi , cioè in N , e non è difficile verificare che la somma di numeri razionali positivi , ristretta a N , coincide con la somma considerata a suo tempo in N. Passiamo a qualche considerazione sul prodotto di numeri razionali positivi La formula assegnata nei testi di algebra elementare è la seguente : m1 n1 m1 × n1 × = m2 n2 m2 × n2 In particolare si avrà che 46 n× n1 n n1 n × n1 n× n1 × n2 = 1 n2 = 1× n2 = n2 Si osservi che moltiplicare un numero razionale per un numero intero positivo n equivale a considerare una quantità n volte più grande della quantità razionale considerata : quindi si ha esattamente lo stesso effetto della moltiplicazione in N . Ora , la moltiplicazione fra numeri razionali ha un significato analogo. Supponiamo di avere un numero razionale , ad esempio 4 5 e chiediamoci : 2 4 ? qual è la quantità razionale corrispondente ai di 3 5 E’ ovvio che , per rispondere a questo quesito , dobbiamo prima sapere 1 4 qual è la quantità razionale corrispondente a di 3 5 2 4 . infatti , conoscendo quest’ultima , basterà raddoppiarla, per ottenere i di 3 5 Ora , per ottenere 1 4 4 di , rappresentiamo nel seguente modo 3 5 5 4×3 12 4 = = : 5× 3 15 5 è ovvio che 4 12 è data da la terza parte di 15 15 47 e ne segue quindi che il doppio di 4 , che è 15 8 15 corrisponde esattamente ai 2 4 di ; si osservi allora come 3 5 la stessa quantità si ottiene moltiplicando , con la regola data sopra , 2 3 per 4 : 5 8 2 4 2× 4 × = 3 5 3 × 5 = 15 Verificato , anche solo su un esempio , l’effetto della moltiplicazione fra numeri razionali , accettiamo senz’altro la formula generale che la definisce . Non è poi difficile verificare che , come già la somma , anche il prodotto è associativo e commutativo con le ben note conseguenze per il calcolo . Ora , qualche considerazione su l’estensione dell’algebra razionale ai numeri minori o uguali a zero. Si è già detto che Q è un soprainsieme di Z : poiché in Z esiste lo 0 , questo esisterà anche in Q , rappresentato da ogni frazione del tipo 48 0 n al variare di n in N , ma , quasi sempre nel seguito , denotato semplicemente con 0 ; si osservi che , ponendo in atto le definizioni di somma e di prodotto poste sopra , estendendole anche allo 0 si ottiene , rispettivamente 0+ m1 0 m1 0 × n1 + m1 × n m1 × n m1 + = n×n = n n1 = n n1 = n × n1 1 1 e 0 m1 0 × m1 0 × n n1 = n × n1 = n× n1 = 0 : questi risultati ci dicono che lo 0 è elemento neutro per la somma e anche elemento annichilatore per il prodotto comportandosi anche in Q (per il momento nei confronti dei numeri razionali non negativi) esattamente come si comportava in Z . Un’altra verifica , riguardante la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma che , come sappiamo , già valeva in Z : m m1 m2 m m × n + m2 × n1 m × (m1 × n2 + m2 × n1 ) ×( + ) = ×( 1 2 ) = = n n1 n2 n n1 × n2 m × (n1 × n2 ) 49 m × m1 × n2 m × m1 × n2 + m × m2 × n1 m × m2 × n1 + = m × ( n × n ) m × (n × n ) = m × (n1 × n2 ) 1 2 1 2 m m1 m m2 m × m1 × n2 m × m2 × n1 × + × + = n n1 n n2 (m × n1 ) × n2 ) (m × n2 ) × n1 ) C.V.D. Ora si tratta di introdurre i numeri razionali negativi e il motivo è chiaro : anche per quantità negative ( perdite , o uscite , nel caso eco nomico ) devono potersi considerare frazioni dell’unità negativa : per esempio tre euro e tre quarti “in rosso”. Tali quantità razionali sono interpretate da frazioni con numeratore negativo e denominatore positivo per esempio : − 42 − 9672 −7 11 , 29 , 527 , ecc. ma è uso comune denotarle con frazioni positive precedute dal segno − : − 7 42 9672 − − 11 , 29 , 527 , ecc. e questo è ben giustificato , per il ruolo che esse svolgono di quantità opposte delle relative quantità positive , 50 una volta che , per numeri razionali di segno qualunque , si definiscano la somma e il prodotto mediante le medesime formule poste per quelli positivi ad esempio : − − 7 ×11 + 7 ×11 7 7 −7 7 0 + = 11 11 = 11 + 11 = 11×11 11×11 = 0 Senza addentrarci più a fondo nei dettagli , conviene riassumere la situazione con un prontuario dell’algebra razionale che possa servire da punto di riferimento in fase di calcolo. 1)° L’insieme Q dei numeri razionali è un soprainsieme dell’ insieme Z dei numeri interi relativi . 2)° Ogni numero razionale è rappresentato da una intera classe di frazioni equivalenti del tipo m n con m intero relativo ed n intero positivo ma , in generale, per denotarlo si fa ricorso a una qualunque di esse . Va comunque ricordato che in ogni tale classe esiste una e una sola frazione che risulta ridotta ai minimi termini cioè con il numeratore e il denominatore che sono interi primi fra loro. 51 3)° Q è dotato di due operazioni binarie interne l’addizione e la moltiplicazione L’addizione viene detta spesso somma , benché la somma , a rigori , sia il risultato dell’addizione ,e la moltiplicazione viene spesso detta prodotto , benché questo sia il risultato della moltiplicazione . La somma di due numeri razionali si definisce con la seguente formula n1 × m2 + m1 × n2 n2 × m2 n1 m1 + n2 m2 = che si rivela valida perché , come si dimostra , il risultato non dipende dalle particolari frazioni scelte come rappresentanti dei due addendi ; la somma è associativa e commutativa sicchè , come avveniva in N e in Z , si può affermare che permutando comunque l’ordine degli addendi di una somma la somma non cambia Il prodotto di due numeri razionali si definisce con la seguente formula n1 m1 × n2 m2 = n1 × m1 n2 × m2 E , anche in questo caso , 52 il risultato non dipende dalle particolari frazioni scelte come rappresentanti rappresentanti dei due fattori ; il prodotto è associativo e commutativo dunque , permutando comunque l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Il prodotto è distributivo rispetto alla somma cioè , denotando per brevità un numero razionale con una sola lettera , vale la vale la formula q × (q1 + q2) = q × q1 + q × q2 Il numero 0 è elemento neutro per la somma e elemento annichilatore per il prodotto il significato dei termini essendo ormai chiaro . 4)° Come in Z , anche in Q si può costruire una terza operazione binaria interna : la sottrazione , o differenza , mediante la definizione seguente q1 − q2 = q1 + (−q2) ove −q2 denota l’opposto di q2; non è difficile riconoscere allora che il prodotto è distributivo anche rispetto alla differenza 53 cioè che vale la seguente uguaglianza q × (q1 − q2) = q × q1 − q × q2 5)° Parliamo ora della nozione di reciproco di un numero razionale In qualunque struttura algebrica , vigente in un insieme A , nel quale sia definita una operazione binaria interna , con notazione “moltiplicativa”, la quale consiste nell’apporre fra due elementi composti fra loro un segno come un punto (dot) , una croce greca (cross) , ecc. , o anche nessun segno (normalmente è escluso il comune segno + della notazione “additiva”) se esiste un elemento , denotato di solito con il simbolo 1, e denominato unità moltiplicativa per il quale risulta a 1 = 1 a = a, ∀ a ∈ A , in altre parole se questo elemento svolge il ruolo di elemento neutro per l’operazione agente in A sorge subito la questione , per ogni elemento a di A , dell’esistenza , o meno , di un elemento a’ di A per cui si abbia a a’ = a’a = 1 : se tale elemento esiste , prende il nome di reciproco di a 54 Non è difficile verificare che se l’operazione in questione risulta associativa allora se a ammette un reciproco , ne ammette uno solo ed è quindi giustificato chiamarlo “ il “ reciproco di a il quale viene normalmente denotato con il simbolo a−1 E’ immediato constatare che , in Z , dotato dell’usuale prodotto , l’ 1 risulta unità moltiplicativa , ma che esistono solo due elementi dotati di reciproco : e sono 1 e −1 . Questa “povertà di reciproci” è un notevole inconveniente , poiché uno dei primi problemi algebrici , in qualunque campo in cui si fa uso di numeri , è quello della ricerca delle eventuali soluzioni dell’equazione (∗) ax = b vale a dire della ricerca di eventuali elementi s di A per i quali valga l’uguaglianza as = b ogni tale elemento prendendo il nome di soluzione dell’equazione data. Ora , finché si rimane in una struttura come Z , il problema non ha risposta , se non nei casi banali in cui a = 1 , oppure a = −1. 55 Quando invece il problema viene posto in Q , la situazione cambia in meglio radicalmente . Vediamo perché . La novità circa la moltiplicazione in Q , rispetto a quella in Z , consiste nel fatto che ogni numero razionale , diverso da 0 , ha uno (e un solo) reciproco : rendiamoci conto di questo fatto la con precisione. m , con m ≠ 0 , sia un qualunque numero di Q diverso da 0 , Posto che n n il numero , anch’esso ovviamente diverso da 0 , è il suo reciproco : m infatti risulta m n m× n m× n × = = =1 n m n× m m× n perché tutte le frazioni con il numeratore uguale al denominatore sono a due a due equivalenti e rappresentanti dello stesso numero razionale 1. Se sopra abbiamo detto “ il “ suo reciproco , è perché il prodotto , in Q , è associativo , donde l’unicità del reciproco . Stabilita l’esistenza del reciproco per ogni numero razionale non nullo , ne segue facilmente che l’equazione 56 (∗) ax = b è risolubile in ogni caso in cui sia a ≠ 0 : infatti risulta a × (a −1 × b) = (a × a −1 ) × b = 1× b = b e, quindi , il numero razionale s = a−1 b è soluzione dell’equazione (∗) quanto all’unicità di tale soluzione , essa si dimostra subito : supposto infatti che s1 e s2 siano entrambe soluzioni della (∗) , vale la seguen te catena di implicazioni a s1 = b ∧ a s2 = b ⇒ a s1 = a s2 ⇒ a−1(a s1) = a−1(a s2) ⇒ ⇒ (a−1a) s1 = (a−1a) s2 ⇒ 1 s1 = 1 s2 ⇒ s1 = s2 C.V.D. 6)° Un’osservazione importante sull’algebra razionale Q : ogni numero razionale si può esprimere come il quoziente di due numeri interi Ricordato che Z è identificato all’insieme dei numeri razionali del tipo z 1 con z variabile in Z , sia 57 z1 z2 q= un numero razionale qualsiasi : si osservi allora che q= z1 z1 1 z1 z2 = × = : z2 1 z2 1 1 e l’enunciato è così dimostrato . 7)° Poniamo ora in rilievo un’altra assai notevole proprietà del corpo razionale Q per la quale esso si distingue nettamente dall’algebra intera Z La relazione d’ordine che viene introdotta in Q , comincia con il porre , per due numeri razionali positivi m1 n1 m2 n2 e che risulta m1 n1 m2 < n 2 quando sussiste la disuguaglianza (∗∗) m2 m1 − n2 n1 > 0 ma , essendo 58 −m m2 m1 m2 m m − = + (− 1 ) = 2 + ( 1 ) = n2 n1 n2 n1 n2 n1 = m2 n1 + (−m1 )n2 m2 n1 − m1n2 = n2 n1 n2 n1 la (∗∗) vale precisamente quando vale la disuguaglianza fra numeri interi positivi m2n1 − m1n2 > 0 riassumendo , per numeri razionali positivi , si può porre m2 m1 − n2 n1 > 0 ⇔ m2n1 − m1n2 > 0 dopo aver assunto ovviamente che 0 è minore di ogni numero razionale posi tivo , e , altrettanto ovviamente , che ogni numero razionale negativo è minore è minore dello zero , e di ogni numero razionale positivo , fra due numeri negativi si riterrà minore quello il cui opposto ( positivo ) sarà maggiore dell’opposto dell’altro ( anch’esso positivo ) : ad esempio si avrà che fra i due numeri − 157 94 e − 311 117 il minore dei due sarà il secondo , poiché risulta 311 117 > 157 94 infatti così risulta in base alla definizione data sopra , essendo 59 29234 = 94× 311 > 157 × 117 = 18369 La relazione d’ordine così introdotta in Q , è una relazione d’ordine totale che viene rispettata dalla somma e dal prodotto per numeri positivi , mentre il prodotto per numeri negativi , come già visto in Z , capovolge una qualsiasi disuguaglianza Tutta questa (necessaria) introduzione serve ora a mettere in luce la proprietà del corpo razionale Q preannunciata sopra . Conviene partire dalla successione dei numeri interi relativi , cioè dalla struttura ordinata di Z , … , −3 , −2 , −1 , 0 , 1 , 2 , 3 , … questa struttura , rispetto all’ordinamento in essa vigente , viene de finita come discreta (in latino il verbo discernere , il cui participio passato fa discretum, ha fra le sue accezioni quella di “ tenere lontano “ , o “ tenere discosto “ ) , e questo per il fatto che , partendo da un numero intero relativo qualsiasi non se ne trova un altro , né precedente , né seguente , che sia , per così dire , a distanza minore di 1 da esso : ogni numero z si trova , ad esso “ prossimi “ , solo z + 1 e z− 1 La situazione in Q è completamente diversa , e , precisamente : dati due numeri razionali qualsiansi 60 q1 e q2 , con q1 < q2 , ne esiste sempre almeno uno q strettamente compreso fra loro , cioè tale che risulti q1 < q < q2 e questo per quanto piccola risulti la differenza q2 − q1 Questo fatto del tutto nuovo si dimostra senza difficoltà : infatti , scelti q1 e q2 come sopra detto , si consideri q= il numero razionale q1 q2 q1 + q2 + = 2 2 2 e , ricordato che il prodotto per un numero positivo e la somma rispettano l’ordine si osservi che si ha 1 1 q q q q q q q1 < q2 ⇒ × q1 < × q2 ⇒ 1 < 2 ⇒ q1 = 1 + 1 < 1 + 2 = q 2 2 2 2 2 2 2 2 e che , d’altra parte , si ha anche q= q1 q2 q2 q2 + < + = q2 : 2 2 2 2 ne segue dunque che q1 < q < q2 61 e questo prova la tesi . C.V.D. Ma c’è di più : infatti si può dire addirittura che fra due numeri razionali qualsiansi ne cadono addirittura infiniti e questo , ripetiamolo , per quanto vicini essi siano fra loro , e la prova di tale fatto è del tutto elementare. Esprimendoci in modo informale , potremmo dire che , a differenza dei numeri interi relativi i numeri razionali sono estremamente “ fitti “ : questa loro particolarità viene espressa dicendo che il corpo razionale Q , rispetto all’ordinamento in esso introdotto, è un insieme denso in sé. Riprenderemo nel prossimo capitolo questo argomento. Nel corpo razionale Q , per quanto concerne le potenze vi sono impotanti novità rispetto a Z . Possiamo iniziare l’argomento riproponendo , analogamente a quanto fatto in Z , le potenze di base razionale ed esponente intero positivo : dato un qualunque numero razionale a ≠ 0 , e un qualunque n ∈ N , 62 si pone n a = prodotto di n fattori tutti uguali ad a Per queste potenze valgono le stesse regole formali già evidenziate per quelle di base intera positiva ( e relativa ) che riproponiamo , designando con a e b due generici numeri razionali , e con r e s due generici numeri interi positivi : (6.5) ar as = a r + s (7.5) ar br = (a b) r (8.5) (ar)s = ar s Per quello che riguarda invece le novità di cui abbimo detto sopra , si può comin ciare con il ricordare che si è introdotto con notazione esponenziale il reciproco di un numero razionale a denotandolo a−1 e preludendo in tal modo all’introduzione delle potenze ad esponente negativo . Osserviamo intanto che , per ogni numero razionale a ≠ 0 , vale la formula seguente (∗) ( a−1)2 = ( a2 ) −1 cioè si ha che il reciproco del quadrato di un numero è il quadrato del suo reciproco e dimostriamo esplicitamente questo fatto : a2 ∗ ( a−1)2 = ( a ∗ a−1) 2 = 12 = 1 come volevasi. Ma la formula (∗) si generalizza subito senza difficoltà alla 63 n n ( a−1) ) = ( a ) −1 , ∀ n ∈ N . (∗∗) La simmetria della formula (∗∗) induce ad introdurre le potenze di base razionale a ≠ 0 ed esponente intero negativo ponendo , per definizione , a −n n −1 = (a ) 1 =(a ) =1:a = n , ∀n∈N : a −1 n n si può quindi dire che è stata acquisita la nozione di potenza di base razionale a ≠ 0 ed esponente intero relativo a z e anche per queste potenze valgono le stesse proprietà sopra riportate la cui verifica è lasciata alla diligenza del Lettore . Si estende la nozione di potenza ammettendo che l’esponente possa essere 0 , a condizione però che la base sia rigorosamente un numero razionale a > 0 , e ponendo in tal caso 0 a = 1 la ragione di tale definizione apparirà chiara più avanti . Le tre proprietà formali sopra stabilite valgono anche nel caso che gli esponenti , uno o entrambi , possano essere uguali a 0 , con la condizione che le basi che li sopportano siano numeri positivi . 64 CAPITOLO VI IL CORPO DEI NUMERI REALI Paragrafo 1.6). Insufficienza del corpo razionale. Si consideri una retta orientata r , sulla quale sia fissato un punto O ; si scelga quindi una unità di misura delle lunghezze u . Associamo allora ad ogni numero razionale q > 0 quel (ben preciso) punto P della semiretta positiva di r tale che la misura del segmento OP sia uguale a q : si procederà , per la costruzione del segmento OP , nel seguente modo . Supposto che il segmento AB sia un rappresentante dell’unità di misura u , e che il numero razionale q sia rappresentato dalla frazione m n si suddividerà , nel modo noto (v.Figura 1.6) , il segmento AB in n parti di uguale lunghezza , e di queste parti se ne sommeranno assieme m , ottenendo così m un segmento la cui misura rispetto a u sarà precisamente q = ; n quindi si riporta su r , con l’origine in O , e l’estremo P sulla semiretta positiva di r , il segmento OP equiesteso a quello così costruito . 65 Si assocerà, naturalmente lo 0 al punto O , e si completerà la corrispondenza associando ad ogni numero razionale negativo q < 0 quel punto P della semiretta negativa di r tale che la sua misura rispetto a u risulti il valore assoluto di q , cioè | q | . A questo punto , data la “fittezza” dei numeri razionali ( si è visto nel Cap.IV che il corpo dei numeri razionali risulta denso in sé ) , si avrà l’impressione visiva che la retta r venga, per così dire , “completamente invasa” dai punti P che si sono fatti corrispondere nel modo sopra descritto a tutti i numeri del corpo razionale Q . Ebbene questa è un’impressione completamente falsa e per due motivi , come ora vedremo . 1)° MOTIVO . Se si conviene di chiamare “ coordinata di P “ il numero razionale cui esso è stato associato , resta ancora sulla retta r una infinità di punti privi di coordinata , e vediamone un esempio (v. Figura 2.6). Sia U il punto della semiretta positiva di r tale che il segmento OU sia un rappresentante dell’unità di misura u : U avrà naturalmente coordinata uguale a 1 Si consideri allora un quadrato di lato OU , e OD ne sia il segmento diagona le di origine O . Si riporti ora sulla retta r il punto D’ tale che OD’ sia equi esteso a OD : dimostriamo allora che il punto D’ non è fra i punti associati a un numero razionale 66 cioè che D’, per il momento , è privo di coordinata La dimostrazione di questo fondamentale fatto avviene per assurdo : supposto cioè vero il contrario , si proverà che ciò implica contraddizione. Supporre il contrario equivale a sostenere il fatto che il segmento OD’ , e quindi anche il segmento OD che gli è equiesteso , ha misura razionale rispetto all’unità u : potremo così porre , per opportuni interi positivi m ed n , che possiamo supporre primi fra loro l’uguaglianza (1.6) mis (OD ) = m n Ma il triangolo ODU è rettangolo in U e isoscele sull’ipotenusa OD , con entrambi i cateti di misura 1. Per il Teorema di Pitagora , allora , il quadrato Q costruito sull’ipotenusa OD risulta avere area doppia di quelli costruiti su entrambi i suoi cateti ciascuno dei quali ha area di misura 1 dunque avremmo l’uguaglianza (2.6) misQ = 1+1 = 2 D’altra parte , se vale la (1.6) , per la misura dell’area del quadrato Q , di lato lato OD , si potrà porre anche l’uguaglianza 67 2 misQ (3.6) m2 ⎛m⎞ = ⎜n⎟ = 2 n ⎝ ⎠ Ora , da (2.6) e (3.6) segue l’uguaglianza numerica in Q m2 =2 n2 e , da questa , l’uguaglianza numerica in N m2 = 2 × n2 (4.6) A questo punto entra in gioco il Teorema fondamentale dell’Aritmetica di Euclide secondo il quale dalla (4.6) segue che il numero intero positivo m è divisibile per 2 e si può dunque porre l’uguaglianza m = 2 × m1 inserendo la quale nella (4.5) si ottiene la (5.6) (2 × m1 ) 2 = 2 2 × (m1 ) 2 = 2 × n 2 dalla quale segue , semplificando per 2 , la (6.6) 2 × (m1 ) 2 = n 2 e , riapplicando Euclide , si conclude che anche il numero intero positivo n è divisibile per 2 68 ma questa è una inaccettabile contraddizione perché i due numeri m ed n sono , per ipotesi , primi fra loro , e non possono quindi essere entrambi divisibili per 2 come sopra , invece , è risultato : dunque l’affermazione il punto D’ non è fra i punti associati a un numero razionale risulta vera per il fatto che l’affermazione contraria , cioè il punto D’ è fra i punti associati a un numero razionale è risultata falsa Ma i punti che risultano privi di coordinata razionale sono addirittura infiniti perché , con un ragionamento analogo a quello effettuato sopra , si dimostra che non esiste un numero razionale il cui quadrato sia qualunque altro numero primo : 3, 5 , 7 , … , p , … anzi , qualunque altro numero che non sia un quadrato perfetto e , più in generale ancora , non esiste un numero razionale la cui n−esima potenza sia un numero intero che non sia una esatta n−esima potenza 69 per esempio , poiché tra 1 e 100 gli unici numeri che sono dei cubi esatti sono 1 , 8 , 27 , 64 in Q non esistono quelle che chiameremo fra poco le radici cubiche di 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 9 , … , 26 , 28 , … , 63 , 65 , … , 100 E veniamo al 2)° MOTIVO . In effetti , la carenza rilevata del corpo Q relativa al problema di esprimere numericamente le misure di tutte le lunghezze ris petto ad una data unità di misura , è ancora più grave . Ricordiamo qui una nozione di solito impartita alle Scuole medie : due segmenti , o anche le rispettive lunghezze , si dicono fra loro incommensurabili quando uno di essi non ha misura razionale rispetto all’altro ad esempio il lato di un quadrato e la sua diagonale sono fra loro incommensurabili come sopra si è visto . Il fatto è che , come si dimostra , fissata una unità di misura u , la maggior parte delle lunghezze risultano incommensurabili con u e questo , rispetto al problema , direttamente collegato a quello della misura 70 delle lunghezze , di associare a ogni punto di una retta cartesiana una coordinata numerica si traduce nel fatto che finché si dispone solo di numeri razionali la maggior parte dei punti della retta resta senza una sua coordinata Questa è la principale ragione che ha indotto i Matematici a costruire il corpo numerico reale R Paragrafo 2.6). La costruzione del corpo numerico reale R . I limiti di tempo imposti dalla durata di questo Corso non permettono di essere rigorosamente formali nella costruzione del corpo R dei numeri reali e quindi si procederà soprattutto a porre in luce quelle sue proprietà che lo distinguono dal corpo dei numeri razionali Q , in virtù delle quali esso as solve perfettamente all’esigenza posta di assegnare a ogni punto di una retta cartesiana una coordinata numerica e se si dice perfettamente è perché i numeri reali di cui si disporrà sono tutti e soli i numeri che occorrono a questo scopo detto altrimenti a R non fa difetto alcun numero , ma anche 71 non ne contiene alcuno che sia in sovrappiù sempre rispetto al fine di poter stabilire quella corrispondenza biunivoca fra i punti di una retta cartesiana r e i numeri di R che prende il nome di sistema di coordinate rispetto al riferimento cartesiano fissato su r che consiste , come è noto , in 1)° un punto O , scelto su r , detto origine ; 2)° un orientamento , o verso positivo , della retta stessa ; 3)° una unità di misura delle lunghezze u , o , il che è lo stesso , un punto U , sulla semiretta positiva , tale che mis(OU) = 1 . Abbiamo constatato che la misura della diagonale di un quadrato rispetto al suo lato non è esprimibile mediante un numero razionale tuttavia resta la possibilità di approssimare con precisione sempre migliore questa misura servendosi di una successione di numeri razionali : vediamo proprio l’esempio della misura della diagonale di un quadrato rispet to al lato : si constata subito che , i due numeri della coppia 1 , 2 forniscono , della misura in questione , il primo una approssimazione per difetto 72 il secondo una approssimazione per eccesso ; esaminando allora i numeri con una cifra decimale , che sono ovviamente numeri razionali , compresi fra 1 e 2 , si trova che i due numeri della coppia 1,4 , 1,5 forniscono , della misura in questione , il primo una approssimazione per difetto il secondo una approssimazione per eccesso : si osservi infatti che risulta (1,4)2 = 1,96 < 2 (1,5)2 = 2,25 > 2 ; e si procede allora all’esame dei decimali compresi fra 1,4 e 1,5 , e si trova che i due numeri della coppia 1,41 , 1,42 forniscono , della misura in questione , il primo una approssimazione per difetto il secondo una approssimazione per eccesso : infatti risulta (1,41)2 = 1,9881 < 2 e (1,42)2 = 2,0164 > 2 ; procedendo in modo analogo si trovano le seguenti due successioni , che riprendiamo dall’inizio , di misure per difetto , a sinistra , e per eccesso , a destra , della misura in questione 73 1 , 2 1,4 , 1,5 1,41 , 1,42 1,414 , 1,415 1,4142 , 1,4143 1, 41421 , 1,41422 1,414213 , 1,414214 1,4142135 , 1,4142136 1, 41421356 , 1,41421357 1,414213562 ... , , 1,414213563 ... il procedimento , teoricamente , può continuare all’infinito : si osservi che a ogni stadio le due misure per difetto e per eccesso differiscono di meno rispetto allo stadio precedente anzi , la loro differenza diminuisce al di sotto di qualunque quantità positiva essendo , allo stadio n − esimo , esattamente 1 10 n Con ciò , si apre la possibilità di considerare come indicazione numerica della misura della diagonale di un quadrato rispetto al suo lato , ad esempio, l’intera successione delle sue misure razionali per difetto 74 simbolicamente indicata con il numero decimale illimitato 1,414213562… e quindi dire che questo nuovo ente numerico è il numero reale che fornisce la misura richiesta e poiché ci si aspetta , del tutto ragionevolmente , che il quadrato di tale misura risulti uguale a 2 , brevemente la si suole indicare con il simbolo 2 che denota quindi un numero reale non razionale , detto perciò , irrazionale Si avrà quindi , per costruzione , che ( 2 )2 = 2 Si dimostra , ma vi facciamo solo cenno , che in tal modo 1)° ogni lunghezza ha una sua misura reale ; 2)° ogni numero reale positivo, pensato come decimale illimitato, è la misura di una ben precisa lunghezza ; Resta da precisare come tale insieme di numeri reali , per il momento solo positivi , ricomprenda l’insieme dei numeri razionali : in proposito ci limi teremo a ricordare come , nell’ambito dei numeri decimali , i numeri razionali sono caratterizzati dall’essere decimali periodici , 75 considerando tali anche quelli di periodo 0 , che vengono denominati numeri decimali finiti . Alle Scuole medie , di solito questo argomento è trattato in modo abbastanza esauriente . Costruito in tal modo l’insieme dei numeri reali positivi , che si indica di solito con il simbolo R+ si deve dotarlo delle operazioni binarie interne di somma e prodotto riservandosi in seguito di estenderle a tutto l’insieme R , che comprenderà lo 0 e tutti i numeri negativi , ciascuno opposto di un numero positivo . Le operazioni dovranno essere , è ovvio , estensioni di quelle già in atto per i numeri razionali . Inoltre bisogna anche introdurre un criterio di ordine per i nuovi numeri , che sia naturalmente una estensione di quello vigente per i numeri razionali. Cominciamo dalla somma . Poiché abbiamo enunciato il fatto che , fissata una unità di misura delle lun ghezze u , ogni numero reale positivo è la misura di una ben precisa lunghezza dati due numeri di R+ , diciamoli a e b , per individuare loro somma a+b basta costruire un segmento che sia la somma , nel senso geometrico ben noto, 76 di due segmenti , uno di misura a , l’altro di misura b : e quindi assumere la misura della sua lunghezza come il numero a+b E’ facile riconoscere che questa somma , ristretta a Q+ , dà la somma che già conosciamo ; come non è difficile provare per la somma in R+ le proprietà formali di associatività e commutatività Veniamo al prodotto . Siano sempre a e b due numeri di R+ . La semplice costruzione in Figura 3.6 , basa sul teorema di Talete , dimostra il modo di determinare un segmento la misura della cui lunghezza sia da assumere , per definizione , come il numero ab Anche in questo caso , non è difficile provare associatività e commutatività di questo prodotto , come pure la distributività del prodotto rispetto alla somma Il fatto poi che , operando con numeri razionali , i risultati coincidano con quelli che già si ottenevano in Q+ , è del tutto scontato . Fin da ora si può notare che , come in Q+ , 77 anche in R+ 1 risulta elemento neutro per il prodotto Ancora con una costruzione basata sul teorema di Talete ( v. Figura 4.6) si riconosce che ogni numero di R+ ha un reciproco rispetto a 1 se il numero in questione è a , il suo reciproco si denota con a−1 , e ha la seguente proprietà caratteristica : a a−1= a−1a = 1 . Veniamo a l’ordinamento di R+ Il criterio per introdurvi una relazione d’ordine è , almeno teoricamente , ab bastanza semplice . Dati due numeri reali distinti di R+ , e siano sempre a e b , si disporrà per entrambi della espressione decimale , per cui si potrà porre a = no , n1 n2 n3 … nh … , b = mo , m1 m2 m3 … mh … dove le parti intere no ed mo sono numeri interi positivi o nulli ( i numeri de cimali che esprimono misure di lunghezze minori di quella unitaria avranno necessariamente come parte intera lo 0 ) , e tali possono essere anche i decimali dopo la virgola . Ebbene , il criterio consiste nel definire , per esempio , a minore di b 1)° quando si ha no < mo ; oppure 2)° quando esiste un indice k , tale da aversi 78 no = mo , n1= m1 , … , nk−1= mk−1 ma nk < mk Questo criterio stabilisce un ordinamento totale per R+ , il quale , inoltre , se ristretto a Q+ , coincide con l’ordinamento che già vi esisteva . L’ ordinamento introdotto viene rispettato , nel senso ormai acquisito , sia dalla somma che dal prodotto ma per il prodotto usandosi per il momento solo numeri positivi , cioè di R+ . A questo punto , su di una retta (orientata) cartesiana r , di origine O , e unità di misura u , ad ogni punto P della semiretta positiva di origine O , detta anche r+, è associato il numero reale positivo misura del segmento OP rispetto a u detto la coordinata di P , o anche l’ascissa di P , su r e , viceversa , ad ogni numero reale positivo , cioè di R+, resta associato il punto P ∈ r+ tale che quel numero reale sia la misura di OP rispetto a u essendo evidente che a punti distinti sono associati numeri distinti e viceversa sicché si è realizzata una corrispondenza biunivoca r+ → R+ che ora bisogna estendere a tutta la retta : è evidente che occorre anzitutto 79 ampliare l’insieme dei numeri reali con l’introduzione dello 0 e dei nemeri negativi che saranno i numeri decimali (infiniti) , periodici e non periodici , ai quali viene preposto il segno “ meno” : così : 1)° l’origine O avrà per coordinata 0 ; mentre 2)° ad un punto P che appartenga alla semiretta negativa r− di r , verrà associato il numero costruito premettendo il segno − a quel numero reale positivo che è la misura del segmento PO . In tal modo si realizza lo scopo che ci si era proposto , cioè quello di realiz zare una corrispondenza biunivoca tra la retta cartesiana e l’insieme dei nu ri reali R , completato come sopra si è visto : r → R Le operazioni di somma e prodotto si estendono senza difficoltà anche ai numeri negativi : in particolare ricordia mo che per il prodotto vale anche in R la regola dei segni secondo la quale il prodotto di due numeri positivi è positivo il prodotto di due numeri negativi è positivo il prodotto di due numeri di segno opposto è negativo 80 per fare qualche esempio , ( ) (− 2 ) × 3 = −( 2 × 3 ) = − 2 × 3 = − 6 (− 3 ) × (− 12 ) = ( 3 × 12 ) = 36 = 6 (−π ) × (π ) = −(π × π ) = −π 2 2 2 2 (−π ) × (− ) = (π × ) = π 3 3 3 ecc… Paragrafo 3.6). La continuità del corpo reale R . Il corpo reale R ha una proprietà fondamentale di grande importanza per l’Analisi matematica la cosiddetta continuità proprietà che , invece , il corpo razionale Q non possiede . Introduciamo l’argomento con il porre alcune definizioni. Definizione 1.6). Dati due insiemi non vuoti di numeri reali A e B , essi si dicono separati quando risulta che a∈A ∧ b∈B ⇒ a < b Visualizzando i numeri reali come i punti di una retta cartesiana r , si può 81 dire , informalmente , che A sta completamente a sinistra di B Gli insiemi A e B sono separati nei seguenti esempi : 1) A è l’insieme dei numeri negativi , B è l’insieme dei numeri positivi ; 2) A = {a : a > 0 ∧ a2 < 2} , B = {b : b > 0 ∧ b2 > 2} ; 3) A = { a : a3 < 4} , B = {b : b3 > 4 } . Gli insiemi A e B, invece , non sono separati nei seguenti esempi : 1’) A è l’insieme dei n.i razionali , B è l’insieme dei n.i irrazionali ; 2’) A = {a : a2 < 2} 3’) A = { q − , B = {b : b2 > 2} ; 3 ,∀q∈Q} , B={ q + 3 ,∀q∈Q} Definizione 2.6). Dati due insiemi non vuoti di numeri reali A e B , essi si dicono contigui quando per qualunque numero reale ε > 0 che venga fissato esistono sempre un numero a ∈ A e un numero b ∈ B tali da aversi b−a<ε Sempre ricorrendo alla rappresentazione geometrica dei numeri reali , si può dire che si possono trovare “ punti ” di A e di B “ vicini quanto si vuole ” 82 Si osservi però che , se A e B dovessero avere un elemento in comune , cioè se dovesse risultare A… B ∫« la contiguità di A e B sarebbe soddisfatta in modo banale : ma questo non è certo il caso se A e B sono anche separati . Ed è proprio delle coppie di insiemi di numeri reali che siano al tempo stesso separati e contigui che ora ci occuperemo . Vale in proposito il seguente risultato fondamentale Proposizione 1.6). Siano A e B due insiemi di numeri reali che siano separati e contigui : esiste allora sempre uno e un solo numero reale s tale che risulti a < s < b , ∀ a ∈ A Ÿ ∀ b ∈ B, e questo numero s viene detto l’elemento separatore di A e B DIMOSTRAZIONE . Si ragiona molto semplicemente per via geometrica. Se A e B sono visti , al solito , come insiemi di punti di una retta cartesiana r , questi due insiemi di punti sono precisamente due insiemi che in Geometria vengono detti insiemi separati e contigui di punti della retta per i quali vale il cosiddetto 83 postulato di Dedekind o della continuità della retta il quale afferma che due tale insiemi sono sempre separati da uno e un solo punto S detto il loro punto separatore Se allora s è il numero reale associato al punto S , cioè la sua coordinata sulla retta r , è chiaro che s è precisamente il numero di cui nella tesi . C.V.D. Poniamo allora subito una definizione , per porre nel maggior risalto possibile la proprietà sopra stabilita. Definizione 3.6). In ragione della proprietà del corpo dei numeri reali R sta bilita dalla Prop. 1.6) , si dice che il corpo R dei numeri reali è un continuo o , anche , semplicemente , che R è un corpo continuo . A questo punto viene spontaneo chiedersi perché si dia tanta importanza a Tale proprietà , come pure perché la stessa non è condivisa dal corpo dei numeri razionali Q . Cominciamo da quest’ultima questione : il corpo razionale Q , in effetti , non è continuo e questo significa che in Q esistono esempi di sottoinsiemi separati e contigui per i quali non esiste in Q un elemento separatore 84 si faccia molta attenzione , perché è stato detto in Q : il fatto è che , se due sottoinsiemi di Q sono separati e contigui in Q lo sono certamente anche come sottoinsiemi di R , e avranno quindi un numero reale s come loro elemento separatore , solo che ci sono esempi , e ne vedremo subito uno , per i quali risulta che questo s è un numero irrazionale , cioè s œ Q . Prima di considerare l’esempio che rende Q non continuo , diciamo che la continuità del corpo R è talmente importante che senza di essa l’Analisi Matematica letteralmente non esisterebbe E veniamo all’esempio annunciato. Si considerino i due sottoinsiemi di Q così definiti : A = { a : a ∈ Q+ Ÿ a2 < 2 } , B = { b : b ∈ Q+ Ÿ b2 > 2 } Ora dimostreremo che , in Q ( e quindi anche in R ) , A e B risultano separati e contigui ma che non esiste alcun numero razionale che sia loro elemento separatore DIMOSTRAZIONE. Che A e B siano non vuoti e separati è immediato . Ricordiamo , prima di dimostrare che sono contigui , ciò che si è provato nel Par. 1.5) ( 1)° MOTIVO ) , e cioè che non esiste alcun numero razionale il cui quadrato sia 2 . 85 Scegliamo allora un qualsiasi numero razionale q > 0 , e un numero a1 ∈ A . Consideriamo ora la seguente successione di numeri razionali a1 , 1 1 1 1 a1 + q , a1 + 2 × q , a1 + 3 × q , … , a1 + h × q , … 3 3 3 3 con h che descrive la successione dei numeri interi positivi . Scegliamo ora un numero b ∈ B : certamente , purché h venga scelto abbas tanza grande , si avrà che 1 a1 + h × q ≥ b 3 a ciò bastando che risulti 3 h ≥ (b − a1 ) × q e l’ intero h , può diventare ovviamente maggiore di qualsiasi numero razionale fissato Se dunque si ha 1 a1 + h × q ≥ b 3 certamente il numero 1 a1 + h × q 3 apparterrà anch’esso a B , e potremo così considerare il primo intero h1 tale che il numero 1 a1 + h1 × q 3 appartenga a B ; consideriamo allora il numero , diciamolo r , che precede 86 1 a1 + h1 × e 3 nella successione costruita sopra , cioè 1 r = a1 + (h1 − 1) × q : 3 cosa ne possiamo dire ? Certamente possiamo dire a suo proposito tre cose : 1) r non appartiene più a B ; 2) r è un numero razionale positivo ; 3) r2 ∫ 2 ; ne deriva immediatamente che r∈A Ma allora abbiamo trovato i due numeri 1 1 a1 + h1 × q a + ( h − 1 ) × q 1 1 e 3 3 che stanno , rispettivamente , in A e in B , la cui differenza è 1 1 ⎞ 1 ⎛ a1 + h1 × q − ⎜ a1 + (h1 − 1) × q ⎟ = q 3 3 ⎠ 3 ⎝ che è un numero minore del prefissato q donde si conclude che i due sottoinsiemi A e B di Q sono contigui Dunque 87 A e B sono sottoinsiemi di Q separati e contigui ma fra di essi non esiste alcun numero razionale che sia loro separatore fatto che si dimostra , per assurdo , così : se s fosse un numero razionale separatore di A e B allora 1) poiché s non sta in A , deve essere s2 £ 2 ; 2) poiché s non sta in B , deve essere s2 ≥ 2 : ne seguirebbe che non può che risultare s2 = 2 ma questo non può essere vero perché s ∈ Q , e in Q non esiste alcun numero il cui quadrato sia 2 donde la conclusione. C.V.D. Paragrafo 4.6). Proprietà topologiche del corpo reale R . La corrispondenza biunivoca r ↔ R tra una retta cartesiana r e il corpo dei numeri reali R , di cui si è trattato nel Par. 3.6) , induce , ogni volta che si considera qualche questione che lo riguarda , a visualizzare i numeri reali come “ punti della retta r “ , identifi cando cioè un numero reale con il punto di r di cui esso è “coordinata” , e ad adottare quindi un linguaggio geometrico che è nella natura delle cose : per esempio , tutto R viene spesso denominato come “ l’asse reale “ . 88 Ora tratteremo le principali proprietà del corpo R , specialmente quelle che intervengono nell’ambito della teoria delle funzioni , oggetto primario del Corso di Matematica Generale . Poniamo alcune definizioni . Definizione 4.6). Dato un insieme A di numeri reali , si dice che A è superormente limitato quando esiste un numero reale M tale che si abbia x ≤ M , ∀ x ∈ A ; se , invece , si ha che , fissato un qualunque numero reale M , ∃ x : x ∈ A ∧ x > M , si dice che A è superormente illimitato Simmetricamente , si dice che A è inferiormente limitato quando esiste un numero reale N tale che si abbia x ≥ N , ∀ x ∈ A ; mentre , se si ha che , fissato un qualunque numero reale N , ∃ x : x ∈ A ∧ x < N , si dice che A è inferiormente illimitato 89 Si dice , infine , che A è limitato se , al tempo stesso , si ha che A è superiormente e inferiormente limitato Definizione 5.6). Un insieme A di numeri reali si dice finito quando ha un numero finito di elementi in caso contrario si dice che A è un insieme infinito Osservazione 1.6). E’ necessario porre attenzione nell’uso della terminologia : un insieme limitato può essere infinito : ad esempio , l’insieme dei numeri reali compresi fra 0 e 1 è chiaramente limitato , ma è anche infinito , poiché contiene infiniti elementi ; ma certamente ,come si dimostra subito , ogni insieme che sia illimitato è infinito e ogni insieme che sia finito è limitato Definizione 6.6). Siano dati due numeri reali a e b , con a < b . Allora : 1) l’insieme [ a , b ] = { x : x ∈R ∧ a ≤ x ≤ b } 90 prende il nome di intervallo chiuso di estremi a e b ; 2) l’insieme ]a,b[={x: x∈R ∧ a<x<b} prende il nome di intervallo aperto di estremi a e b ; 3) l’insieme ] a , b ] = { x : x∈ R ∧ a < x ≤ b } prende il nome di intervallo di estremi a e b semiaperto a sinistra ; 4) l’insieme [ a , b [ = { x : x ∈R ∧ a ≤ x < b } prende il nome di intervallo di estremi a e b semiaperto a destra : tutti questi intervalli si chiamano intervalli limitati di numeri reali Definizione 7.6). Sia a un numero reale qualsiasi . Allora 1) l’insieme [ a , +∞ [ = { x : x ∈ R ∧ x ≥ a } prende il nome di semiretta destra chiusa di origine a 91 2) l’insieme ] a , +∞ [ = { x : x ∈ R ∧ x > a } prende il nome di semiretta destra aperta di origine a 3) l’insieme ] −∞ , a ] = { x : x ∈ R ∧ x ≤ a } prende il nome di semiretta sinistra chiusa di origine a 4) l’insieme ] −∞ , a [ = { x : x ∈ R ∧ x < a } prende il nome di semiretta sinistra aperta di origine a : assieme a tutto R , che in questo contesto si designa come “ l’asse reale” , ricorrendo anche con il simbolismo R = ] −∞ , +∞ [ tutti questi insiemi si chiamano intervalli infiniti di numeri reali Osservazione 1.6). E’ evidente che , adottando il linguaggio geometrico di cui sopra si è detto , gli intervalli finiti corrispondono a dei segmenti eventualmente privi di uno , o di entrambi gli estremi , mentre 92 gli intervalli infiniti corrispondono a semirette destre o sinistre anch’ esse eventualmente prive dell’origine , salvo il caso di tutto R , che cor risponde all’intera retta r ( l’asse reale ) . Definizione 7.6). Sia x0 un numero reale , o , se si vuole , un punto dell’asse reale . Dato allora un qualsiasi numero reale ε > 0 , l’intervallo aperto ] x0 − ε , x0 + ε [ prende il nome di intorno circolare ( aperto ) di centro x0 e raggio ε e viene denotato con il simbolo I( x0 ; ε ) Definizione 8.6). Dato un qualunque x0 ∈ R , si dice intorno di x0 qualsiasi insieme che contenga un intorno circolare di x0 Definizione 9.6). Sia A un insieme di numeri reali , e c sia un punto dell’as se reale appartenente o non appartente ad A : ebbene il punto c si dice un punto di accumulazione per l’insieme A se , fissato ad arbitrio un numero ε > 0 nell ’intorno I( c ; ε ) di x0 esiste (almeno) un punto x di A diverso da c e questo per quanto piccolo venga scelto il numero positivo ε . 93 Osservazione importante 2.6). In base alla precedente fondamentale definizione è agevole verificare che dato un qualunque intervallo finito I di estremi a e b , i punti di accumulazione per I sono tutti e soli i punti dell’intervallo chiuso [ a , b ] ; data una qualunque semiretta S di numeri reali , di origine a , i punti di accumulazione per S sono tutti e soli i punti di S più il punto a (che appartenga o no a S ) ; è infine ovvio che per l’intero asse reale R , ogni suo punto è per esso un punto di accumulazione Meno facili da dimostrare , ma importanti da ricordare , sono i seguenti fatti: 1) Il sottoinsieme Q del corpo reale R ha come suoi punti di accumulazione tutti i punti di R 2) Il sottoinsieme R − Q dei numeri irrazionali , complementare di Q ris petto a R , ha come suoi punti di accumulazione tutti i punti di R E’ invece immediato constatare che per Z , e quindi anche per N , non esiste alcun punto di accumulazione Trovi , per esercizio , il lettore i punti di accumulazione degli insiemi A = { n−1 , ∀ n ∈ N} ; B = { r−1 , ∀ r ∈ Q } 94 Definizione 10.6). Dato un qualunque insieme ( non vuoto ) di numeri reali A un numero E si dice estremo superiore per A ( o anche di A ) se si verificano entrambe le seguenti circostanze : 1) vale l’implicazione x∈A ⇒ x≤E ; 2) comunque si fissi un numero reale ε > 0 esiste sempre almeno un elemento x appartenente ad A tale che sia E−ε < x ≤ E e questo per quanto piccolo venga scelto il numero positivo ε . Simmetricamente , un numero e si dice estremo inferiore per A ( o anche di A ) se si verificano entrambe le seguenti circostanze 1) vale l’implicazione x∈A ⇒ x ≥ e ; 2) comunque si fissi un numero reale ε > 0 esiste sempre almeno un elemento x appartenente ad A tale che sia 95 e ≤ x <e+ε e questo per quanto piccolo venga scelto il numero positivo ε . A proposito delle nozioni appena definite vale una importante circostanza stabilita dalla seguente Proposizione 1.6). Se l’insieme A ammette un estremo superiore E ( un es tremo inferiore e ) esso ne ammette uno solo DIM. Vediamo il caso dell’estremo superiore : per l’estremo inferiore si ra giona in modo del tutto analogo. La dimostrazione si ottiene riducendo all’assurdo l’ipotesi contraria , cioè che A possa ammettere due estremi su periori distinti E’ ed E’’. Supponiamo , ad esempio , che sia E’ < E’’ . Se , dunque , così fosse , nell’intervallo ] E’ , E’’] non potrebbe cadere alcun punto x di A in quanto cadrebbe a destra di E’ , cosa impossibile , per la prima proprietà di E’ , supposto estremo superiore di A ; ma questo fatto contraddice , d’altra parte , la seconda proprietà di E’’, sup posto anch’esso estremo superiore di A , in quanto , posto E’’ − E’ = ε > 0 , non esisterebbe alcun punto x di A tale che E’’− ε = E’’− (E’’ − E’) = E’ < x ≤ E’’ donde la conclusione . C.V.D. A seguito della Prop.1.6) si pone la seguente Definizione 11.6). Dato l’insieme A , se esso ammette come estremo superio re il numero E , si dirà che 96 E è l’estremo superiore di A e , per denotarlo , si userà il simbolo sup( A ) Simmetricamente , se A ammette il numero e come estremo inferiore , si dirà che e è l’estremo inferiore di A e , per denotarlo , si userà il simbolo inf( A ) Si completa poi la nomenclatura dicendo che se A è superiormente illimitato il suo estremo superiore è +∞ e ponendo sup( A ) = +∞ e, se A è inferiormente illimitato il suo estremo superiore è −∞ ponendo inf( A ) = −∞ Il corpo reale R ha una assai notevole proprietà , per la quale si distingue net tamente dal corpo razionale Q , precisamente a proposito delle nozioni sopra poste di estremo superiore ed estremo inferiore di un insieme . Proposizione 2.6). Sia A un insieme non vuoto di numeri reali . Allora si ha che se A è superiormente limitato , esso ha estremo superiore finito sup(A) 97 e che se A è inferiormente limitato , esso ha estremo inferiore finito inf(A) DIM. La dimostrazione di tale fatto è fondata sulla proprietà della continuità del corpo reale R ed è proprio per questo che il corpo razionale Q non la condivide . Invece di inoltrarci in una dimostrazione dell’enunciato , vediamo un esempio che pone in rilievo questa profonda differenza fra le due strutture di Q e di R . ESEMPIO. Sia A = { a : a ∈ Q+ ∧ a2 < 2 } Già sappiamo che A è il primo di una coppia di insiemi di numeri razionali separati e contigui il secondo insieme essendo B = { b : b ∈ Q+ ∧ b2 > 2 } Sappiamo anche che , essendo anche insiemi di numeri reali , esiste in R un elemento separatore s fra A e B e che questo s non è un numero razionale , perché s2 = 2 , ma in Q non esiste alcun numero il cui quadrato sia uguale a 2 : ebbene , questo numero s , reale irrazionale , è quello che si è convenuto di indicare con 2 98 e risulta essere chiaramente l’estremo superiore dell’insieme A avendone entrambe le proprietà : 1) risulta certamente s > a , ∀ a ∈ A ; 2) a sinistra di s vi sono numeri a di A vicini a s quanto si vuole : si pen si all’approssimazione per difetto di s mediante numeri decimali a suo tempo illustrata . L’esistenza di estremo superiore ed inferiore per gli insiemi di numeri reali è di estrema importanza , e verrà in seguito posta sempre meglio in evidenza. Paragrafo 5.6). Le potenze di base reale ed esponente razionale . La generalizzazione della nozione di potenza , che fino ad ora prevedeva soltanto potenze di esponente intero relativo , si può effettuare : si introducono , per il momento , potenze di esponente razionale ma , già per queste , ci si deve limitare a potenze di base non negativa e questo per non andare incontro a insanabili contraddizioni , come si vedrà su espliciti esempi . Inizieremo con potenze di esponenti razionali del tipo r= Già si è preso in considerazione il caso 1 n r= 1 , parlando della radice qua 2 99 drata del numero 2 : in quel caso si erano costruite due successioni separate e contigue di numeri razionali il cui elemento separatore si era assunto come il numero 2 numero che verrà fra poco denotato con il simbolo 2 1 2 Si era messo in luce , in quell’occasione , che con analoga procedura si poteva definire n , ∀ n∈N, sicché i numeri del tipo n 1 2 possono darsi per acquisiti. Consideremo però almeno un esempio , analogo a quello di si voglia : vediamo la costruzione del numero reale 3 4 o 4 1 2 2 , o 2 che dir 1 3 Si verifica con una calcolatrice scientifica che le due successioni dei valori approssimati per difetto ( colonna a sinistra ) e quella dei valori approssimati per eccesso ( colonna a destra ) di questo numero reale sono 1 1.5 1.58 1.587 1.5874 1.58740 1.587401 , , , , , , , 2 1.6 1.59 1.588 1.5875 1.58741 1.587402 100 1.5874010 1.58740105 1.587401051 … , , , , 1.5874011 1.58740106 1.587401052 … Ribadiamo a questo punto il concetto che il numero reale di cui parliamo consiste esattamente nello sviluppo decimale illimitato dei valori per difetto ( colonna di sinistra ) il quale , teoricamente , e’ rigorosamente definito , benche’ praticamente non si richiede la conoscenza esatta delle sue cifre molto lontane ( nella Scienza applicata , del resto , a cosa servirebbero ?) Ora si deve generalizzare la costruzione delle potenze di esponente razionale sempre del tipo 1 r= n assumendo come base un numero razionale positivo s= h k Con h>0 e k > 0 La definizione e’ del tutto logica : si pone 1 n sr = s = h k 1 n 1 n e tale definizione e’ lecita , perché , come non e’ difficile verificare , il valore a secondo membro non dipende affatto dalla particolare rappresentazione del numero razionale 101 s= h k vale a dire , scegliendo per s un’altra espressione frazionaria , la formula definitoria per la potenza fornisce sempre lo stesso valore . Passiamo alla definizione di potenza di base razionale ed esponente razionale per il momento positivo qualsiasi , non più solo del tipo più semplice 1 n r= Consideriamo dunque due qualsiansi numeri razionali positivi s= h k r= m n e ove si suppone h>0 , k>0 m>0 , , n>0 : si definisce la potenza sr ponendo 1 n s = (s ) m r ancora osservando che la definizione e’ ben posta , vista la sua indipendenza 102 dalla particolare rappresentazione del numero razionale esponente r= m n di verifica agevole . Si completa la definizione di potenza di base razionale negativa ed esponente razionale non negativo definendo 1°) s0 = 1 , ∀ s ∈ Q+ ; 2°) 0r = 0 , ∀ r ∈ Q+ ; La prima definizione apparirà chiara più avanti , con la teoria dei limiti ; la se conda e’ del tutto ovvia . E’ possibile definire la nozione di potenza di base razionale positiva ed esponente razionale negativo : dato un qualsiasi numero razionale positivo s , e un qualsiasi numero razionale negativo r si definisce la potenza di base s ed esponente r ponendo sr = che ha senso , poiché 1 s −r − r ∈ Q+ 103 e quindi ci si rifà alle definizioni precedenti . Ora bisogna acquisire la nozione di potenza di base reale non negativa . Cominciamo con il caso della potenza di base reale maggiore di 1 e di esponente razionale positivo Definizione 12.6). Consideriamo un qualsiasi numero reale a > 1 e un qualsiasi numero razionale positivo q Sia no , n1 n2 n3 . . . la rappresentazione decimale approssimante a per difetto , e mo , m1 m2 m3 . . . la rappresentazione decimale approssimante a per eccesso . Per ogni intero non negativo k i due numeri e rk = no , n1 n2 n3 . . . nk s k = mo , m1 m2 m3 . . mk sono numeri razionali maggiori di 1 104 e , per le due successioni di numeri r1 , r2 , r3 , . . . , rk , . . . e risulta s1 , s2 , s3 , . . . , sk , . . . (1<) r1 < r2 < r3 < . . . < rk < . . . sk < . . . < s3 < s2 < s1 per cui si avrà (r1) q < (r2) q < (r2) q < . . . < (rk) q < . . . < (sk ) q < . . . < (s3 ) q < (s2 ) q < (s1) q e questo consente di affermare che i due insiemi di numeri reali aventi per elementi (r1) q , (r2) q , (r2) q , . . . , (rk) q , . . . e , rispettivamente , (s1) q , (s2 ) q, (s3) q , . . . , (sk ) q , . . . sono insiemi separati ma la cosa più importante , che puntualmente si dimostra , ma che noi solo enunciamo , è che questi due insiemi sono anche contigui poiché si prova precisamente che la differenza (sk ) q − (rk) q può diventare minoredi qualunque numero reale positivo ε > 0 assegnato , purchè k sia abbastanza grande : 105 ne segue che esiste un esiste un ben preciso numero reale σ che è l’elemento separatore dei due insiemi sopra costruiti , risultando così (r1)q < (r2)q< (r2)q < . . . < (rk)q < . . . < σ < . . .< (sk )q < . . . < (s3 )q < (s2 )q < (s1)q sarà quindi perfettamente adeguato assumere , per definizione , aq =σ e questo perché r1 , r2 , r3 , . . . , rk , . . . e s1 , s2 , s3 , . . . , sk , . . . approssimano sempre meglio a , al crescere di k , e , d’altra parte , (r1) q , (r2) q , (r2) q , . . . , (rk) q , . . . e (s1) q , (s2 ) q, (s3) q , . . . , (sk ) q , . . . approssimano sempre meglio σ , sempre al crescere di k . Acquisita così la nozione di potenza di base reale a > 1 e di esponente razionale positivo si completa la definizione assumendo 1°) se è q < 0 , e a > 1 , 106 aq = 1 a−q 2°) se è 0 < a < 1 , e q ≠ 0 , a q = (a −1 ) − q (si osservi che 0 < a < 1 ⇒ a−1 > 1, per cui si torna a Def. 12.6 , o a 1°) ) 3°) a 0 = 1 , ∀ a ∈ R+ ; 4°) 0 q = 0 , ∀ q ∈ Q+ ; Riassumiamo la situazione : è stata definita finora la nozione di potenza di base reale positiva qualunque ed esponente razionale qualunque cioè a questo punto si conosce il significato del simbolo a q , ∀ a ∈ R+ ∧ ∀q∈Q ; inoltre , è stata definita la potenza di base reale 0 ed esponente razionale positivo qualunque e precisamente si è posto a 0 = 1 , ∀ a ∈ R+ , preannunciando che 107 la ragione di questa definizione si comprenderà nel seguito Resta dunque da acquisire la nozione di potenza di base reale positiva ed esponente reale irrazionale qualunque cioè bisogna dare significato al simbolo ∧ ∀α ∈R−Q ; a α , ∀ a ∈ R+ Cominceremo con il caso in cui è a >1 α >0 e Consideriamo allora gli sviluppi decimali ( illimitati non periodici) del numero irrazionale α rispettivamente per difetto , e per eccesso , r1 , r2 , r3 , . . . , rk , . . . e s1 , s2 , s3 , . . . , sk , . . . Poiché rk ∈ Q ∧ sk ∈ Q , ∀ k ∈ N , sono ormai ben definite le potenze a rk e a sk per ogni k ∈ N : si dimostra quindi che i due insiemi ( di numeri reali positivi ) r {a k , ∀ k ∈ N } e s {a k , ∀ k ∈ N } 108 risultano separati e contigui nel caso attuale , cioè con a > 1 , essendo r {a k , ∀ k ∈ N } se , allora a sinistra di s {a k , ∀ k ∈ N } : σ è il loro elemento di separazione del tutto logicamente si assume , per definizione , aα = σ Se è a =1 si pone ovviamente 1α = 1 ; mentre si estende la nozione di potenza con base a positiva , ma minore di 1 , ponendo a α = (a−1) α si osservi che 0 < a < 1 ⇒ a−1 > 1 sicché , per quanto precede , il secondo membro ha un ben preciso significato . Il caso dell’esponente ( irrazionale ) negativo si risolve facilmente ponendo aα = 1 a −α 109 Restano , infine , da verificare le proprietà formali delle potenze , già menzio nate in precedenza per le potenze in N , Z , Q . Tale verifica viene lasciata , come utile esercizio , alla diligenza del Lettore ; ci limitiamo perciò ad elen care queste proprietà nella versione più semplice del prodotto di due potenze …ecc. (1) a α × a β = a α +β ; (2) a α × b α = ( a × b) α ; α β a×β (3) (a ) = a 110 CAPITOLO VII LE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE Paragrafo 1.8). La nozione di funzione reale di una variabile reale . Definizione 1.8). Dati due sottoinsiemi non vuoti di numeri reali D e C , qualsiasi corrispondenza f la quale associa a ogni elemento di D uno e uno solo elemento di C prende il nome di funzione reale univoca di una variabile reale di dominio D e codominio C e si usa , per denotarla in breve , il simbolo f : D→C Di norma l’attributo univoca è sottointeso , poiché la considerazione di fun zioni plurivoche sarà a puro titolo di esempio . Se x è un qualsiasi elemento di D , l’elemento che f associa a x si denota con il simbolo f (x) 111 e si dice il valore di f in x o anche l’immagine di x tramite f Il sottoinsieme di C ∀ { f (x) , ∀ x ∈ D} cioè l’insieme dei valori che f assume in D , prende il nome di Immagine di f e viene denotato con uno dei simboli seguenti Im ( f ) Se risulta o f (D) f (D) = C la funzione f si dice suriettiva Se f soddisfa alla proprietà seguente ∀ x1∈ D Ÿ ∀ x2 ∈ D Ÿ x1 ∫ x2 fl f (x1) ∫ f (x2) la funzione f viene detta iniettiva Se , poi , f risulta al tempo stesso iniettiva e suriettiva , f viene detta biiettiva o biunivoca Se D’ è un sottoinsieme non vuoto di D , la funzione , di dominio D’ e codo minio C , che ad ogni elemento x’ di D’ associa il valore f (x’) di f in x’, prende il nome di restrizione di f a D’ e si denota con il simbolo 112 nel contempo f |D’ : D’ → C f viene detta un prolungamento di f |D’ a D La nozione di funzione comprende quelle di dominio , codominio , e legge di corrispondenza : si osservi che se f : D→C non è suriettiva , il codominio può essere ristretto , fino a ridursi anche solo a Im( f ) senza che la legge di corrispondenza venga minimamente alterata ; teoricamen te , tuttavia , due funzioni che abbiano uguale dominio , valori coincidenti in ogni elemento di esso , ma codomini diversi , andrebbero considerate come og getti distinti . E’ usuale denominare l’elemento generico x che descrive il dominio D della funzione f : D→C con il termine di variabile indipendente mentre il valore f (x) , che f associa a x , e che varia in genere al variare di x , viene detto la variabile dipendente Le leggi di corrispondenza che instaurano funzioni possono essere della più svariata natura . Quelle che si incontrano più spesso , tuttavia , consistono in genere in una successione di calcoli analiticamente formulati che conducono da x a f (x) : ad esempio f ( x) = 2 x 2 − 3 x + 1 113 o f ( x) = oppure f ( x) = x2 − 2x + 3 21+x − 1 log( x + 3) 4 x2 − 1 Non bisogna però pensare che la regola per il calcolo di f (x) sia affidata ad una formula unica valida per ogni x : sono infatti abbastanza frequenti le così dette definizioni composite o definizioni a tratti di una funzione , come nel seguente esempio : f (x) = x − 1 , per x < 0 , e f (x) = x + 1 , per x > 0 ; si definisce in tal modo una funzione il cui dominio risulta R − {0} , ma con una formula vigente in R+ , e un’altra , diversa , vigente in R− Quando viene assegnata una formula per il calcolo del valore di una funzione , normalmente la prima indagine che si esegue è quella di individuare l’insieme degli x a partire dai quali il computo da effettuare può essere condotto a buon fine , senza incontrare ostacoli oltre i quali non è possibile procedere : prendendo il primo degli esempi sopra proposti f ( x) = 2 x 2 − 3x + 1 e ricordando che non esiste la radice quadrata di alcun numero reale negativo bisognerà limitarsi a considerare solo quegli x per cui risulta 114 2 x2 − 3 x + 1 ¥ 0 : ecco come sorge in modo assai naturale il problema di risolvere una disequazione ; nel nostro caso le soluzioni della disequazioni costituiscono l’insieme D = ] −∞ , 1] ∪ ] 2 , +∞ [ : si osservi che si tratta del complementare , rispetto a R , dell’ intervallo aperto ]1 , 2[ Si può dunque affermare che , stando alla formula assegnata , il dominio massimale della funzione è D Questo non esclude affatto la possibilità di contrarre questo insieme a un suo sottoinsieme proprio : per qualche ragione possono non interessare , ad esempio, i numeri minori di 3 2 e quindi assegnare la stessa formula per il calcolo , ma restringendo la funzione a 3 D’ = [ 2 , 2] 3 pur restando eseguibile il calcolo anche per valori minori di , e maggiori di 2 1. 115 Paragrafo 2.8). La rappresentazione grafica di una funzione Definizione 2.8). Sia data una funzione f : D→C e si consideri un piano nel quale sia stato fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxy Allora l’insieme dei punti del piano cartesiano {P (x , f (x)) , ∀ x ∈ D } Prende il nome di grafico , o diagramma , della funzione f e si indica il più delle volte con il simbolo G( f ) Osservazione importante . La disponibilità del grafico di una funzione è , di norma , conseguente ad un accurato studio della funzione stessa : si deve determinare il suo dominio , i sottodomini di positività e di negatività , quelli di crescenza e di decrescenza , ecc… Comunque , anche se il grafico di una funzione viene fornito assieme alla fun zione stessa , esso è di grande utilità , in quanto permette una visione complessiva dell’andamento della funzione mettendo in evidenza le sue proprietà sia globali che locali come , ad esempio , se si tratta di una funzione limitata o no , gli eventuali com portamenti asintotici , sia al finito che all’infinito , i suoi eventuali massimi e 116 minimi relativi , o assoluti , ecc… Si può certamente affermare che , a livello undergraduate , l’abilità più importante da acquisire è quella di saper disegnare con precisione il grafico di una data funzione Paragrafo 3.8). Estremi di una funzione . Funzioni limitate . Definizione 3.8). Sia data una funzione f : D→C Si dice estremo superiore di f in D l’estremo superiore dell’insieme f (D) dei valori che f assume in D e , per denotarlo , si usano simboli del tipo sup {f (x) , ∀ x ∈ D} , sup f ( x) , sup f (D) , sup( f ) x∈D Simmetricamente , si dice estremo inferiore di f in D l’estremo inferiore dell’insieme f (D) dei valori che f assume in D e , per denotarlo , si usano simboli del tipo inf {f (x) , ∀ x ∈ D} f ( x) , , inf x∈D inf f (D) , inf( f ) Osservazione importante . In base alle definizioni di 117 estremo superiore ed estremo inferiore ( vedi Cap.VI ) , ad esempio , dire che il numero E è l’estremo superiore della funzione f : D → C significa precisamente che si verificano al tempo stesso i due fatti seguenti : 1)° risulta f (x) ≤ E , ∀ x ∈ D ; 2)° fissato un qualunque numero ε > 0 , esiste in D almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza E−ε < f (x) ( ≤ E ) (1) Simmetricamente dire che il numero e è l’estremo inferiore della funzione f : D → C significa precisamente che si verificano al tempo stesso i due fatti seguenti : 1)° risulta e ≤ f (x) , ∀ x ∈ D ; 2)° fissato un qualunque numero ε > 0 , esiste in D almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza (2) ( e ≤ ) f (x) < e + ε Si osservi che , se E ( risp. e ) non appartiene a f (D), allora di punti x soddis facenti la (1) ( risp. (2)) , per ogni ε fissato , ne esisteranno addirittura infiniti A completamento dell’ osservazione , prendiamo in considerazione anche il ca so in cui l’estr. sup. di f in D è +∞ , e quello in cui l’estr. inf. di f in D è −∞. 118 Si dirà , precisamente , che +∞ è l’estremo superiore di f : D → C quando fissato un qualunque numero M esiste sempre almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza f (x) > M (3) Mentre si dirà che −∞ è l’estremo inferiore di f : D → C quando fissato un qualunque numero M esiste sempre almeno un punto x che soddisfa la disuguaglianza f (x) < M (4) Notiamo che , nei casi in cui l’estr. sup. (rispettivamente , estr. inf.) di f in D è un numero reale che non appartiene a f (D) oppure nei casi in cui l’estr. sup. di f in D è +∞ oppure l’estr. inf. di f in D è −∞ in effetti di punti x che soddisfano , rispettivamente , alle (1) , (2) , (3) , (4) ne esistono , per ogni ε > 0 fissato , nei primi due casi , e per ogni M fissato , nei secondi due , addirittura infiniti 119 Si pongono allora le seguenti definizioni. Definizione 4.8). La funzione f : D → C si dice superiormente ( inferiormenete ) limitata quando l’insieme Im( f ) = f (D) è superiormente ( inferiormente ) limitato La funzione f : D → C si dice poi limitata quando l’insieme Im( f ) = f (D) è limitato Osservazione . E’ chiaro , in base alle definizioni sopra poste , che una funzione è sup. limitata se e solo se sup( f ) è un numero reale ; una funzione è inf. limitata se e solo se inf( f ) è un numero reale ; una funzione è limitata se e solo se sia sup( f ) che inf( f ) sono numeri reali Nel caso in cui f : D → C è limitata si ha che , posto sup( f ) = E ∈ R e inf( f ) = e ∈ R si avrà che e ≤ f (x) ≤ E , ∀ x ∈ D , 120 detto altrimenti Im( f ) = f (D) è porzione dell’intervallo finito [ e , E ] e , ovviamnte , se ciò accade , f : D → C è limitata . Definizione 5.8). Se la funzione f : D → C è limitata posto sup( f ) = E ∈ R e inf( f ) = e ∈ R il numero reale ω = E−e prende il nome di oscillazione di f in D Definizione 6.8). Si dice che la funzione f : D → C ammette ( in D) minimo assoluto se f è inferiormente limitata e il numero inf( f ) = e ∈ Im( f ) = f (D) cioè se esiste in D ( almeno ) un numero xo tale che f (xo) = e e si pone in tal caso min( f ) = e Simmetricamente si dirà che la funzione f : D → C ammette ( in D) massimo assoluto se f è superiormente limitata e il numero sup( f ) = E ∈ Im( f ) = f (D) 121 cioè se esiste in D ( almeno ) un numero xo tale che f (xo) = E e si pone in tal caso max( f ) = E Paragrafo 4.8). Funzioni notevoli . Funzioni somma , prodotto , differenza e quoziente . Funzioni composte La prima , e più importante , funzione reale ( di una variabile reale , precisazione che verrà omessa nel seguito se risulta chiara dal contesto) è la cosiddetta funzione identica , o funzione - identità definita ponendo f (x) = x , ∀ x ∈ R , e denotata spesso con il simbolo idR : R ↔ R la doppia freccia essendo dovuta al fatto che tale funzione è ovviamente una funzione iniettiva e suriettiva , cioè biunivoca Quando tale funzione viene ristretta a un sottoinsieme D di R , la si indica con il simbolo idD : D ↔ D Alcuni Autori denotano la funzione identica con il simbolo X per cui si avrà X(x) = x ,∀x∈R, Questa funzione prende spesso il nome di 122 variabile indipendente Date due funzioni f:D→C e g : D → C’ si possono costruire altre funzioni , con lo stesso dominio D ( e codominio di volta in volta adatto ) : 1) la funzione , indicata con il simbolo f+g definita ponendo (f + g) (x) = f (x) + g(x) , ∀ x ∈ D prende il nome di funzione somma di f e di g 2) la funzione , indicata con il simbolo f−g definita ponendo (f − g) (x) = f (x) − g(x) , ∀ x ∈ D prende il nome di funzione differenza di f e di g 3) la funzione , indicata con il simbolo f g definita ponendo 123 (f g) (x) = f (x) g(x) , ∀ x ∈ D prende il nome di funzione prodotto di f e di g 4) se , in D la funzione g non acquista mai il valore 0 , si puòdefinire la funzio ne , indicata con il simbolo f g definita ponendo f f ( x) ( x) = g g ( x) , ∀x∈D, prende il nome di funzione quoziente di f e di g Naturalmente , in quest’ultimo caso , restringendo il dominio delle funzioni al sottoinsieme D’ di D nel quale la funzione g non si annulla , si può defi nirvi la funzione quoziente di f e di g . Un’altra nozione , di fondamentale importanza , è quella di funzione composta di due funzioni f e g Dedicheremo a questo concetto una apposita Definizione 7.8). Siano f:D→C e g : D’ → C’ due funzioni , e si abbia l’inclusione insiemistica 124 Im( f ) ⊆ D’ In tali ipotesi si può costruire una nuova funzione , indicata con il simbolo gof e denominata funzione composta di prima componente f e seconda componente g definita come segue : (g o f ) (x) = g ( f (x)) , ∀ x ∈ D , Si osservi che la correttezza di questa definizione è essenzialmente dovuta al l’ipotesi Im( f ) ⊆ D’ senza la quale non si potrebbe calcolare g in corrispondenza al valore f (x) , che appartiene ad Im( f ) . Paragrafo 5.8). Funzioni invertibili e loro funzioni inverse. Definizione 8.8). Una funzione f:D→C si dice funzione invertibile precisamente quando f è una funzione biunivoca , cioè iniettiva e suriettiva . In tale ipotesi si può costruire una funzione , denotata con il simbolo 125 f −1 e detta la funzione inversa di f avente per dominio C e per codominio D ponendo f −1( y ) = x : x ∈ D ∧ f (x) = y E’ importante rendersi conto dei due seguenti fatti : 1°) l’elemento x che la definizione associa a un dato y ∈ C certamente esiste , perché f è per ipotesi suriettiva 2°) l’elemento x di cui sopra è anche univocamente determinato da y perché , essendo f iniettiva , non possono esistere 2 diversi elementi x’ e x’’ appartenenti a D con f (x’) = f (x’’) = y in tal modo la funzione inversa di f f −1 : C → D risulta perfettamente definita . Vediamo ora le proprietà della funzione inversa di una funzione invertibile . Proposizione 1.8). Sia f :D→C una funzione invertibile , e 126 f −1 : C → D la funzione inversa di f . Allora esistono entrambe le funzioni f −1 o f : D → D f o f −1 : C → C e e si hanno le seguenti importanti identità funzionali f −1 o f = idD : D ↔ D f o f −1 = idC : C ↔ C e DIM. Infatti , come è immediato verificare , risulta ( f −1 o f ) (x) = f −1 (f (x)) = x , ∀ x ∈ D , e ( f o f −1) (y) = f ( f −1(y) ) = y , ∀ y ∈ C . Osservazione. Si è visto sopra che la funzione f −1 inversa di una funzione invertibile f :D→C composta nei due modi possibili con la f stessa dà le funzioni identiche f −1 o f = idD : D ↔ D e f o f −1 = idC : C ↔ C Ebbene , si può verificare , viceversa , che una funzione che si comporti allo stesso modo necessariamente coincide con f −1 : C → D . 127 Osservazione importante . Posta la nozione di funzione composta , si può accedere a una importante notazione di una qualsiasi funzione reale f :D→C Se , infatti X denota la funzione identica ristetta a D , cioè X = idD : D ↔ D allora è chiaramente possibile comporre , nell’ordine , le due funzioni X e f costruendo la funzione foX: D→C : è immediato verificare quindi che si ha l’identità foX=f in base alla quale , con un lieve adattamento simbolico , si giunge alla nota zione f (X) per indicare la funzione f e questa notazione sarà ripresa trattando delle funzioni di due variabili. 128 CAPITOLO VIII LE FUNZIONI REALI DI PIU’ VARIABILI REALI Paragrafo 1.8). Le funzioni reali di due variabili reali . L’introduzione di questo concetto segue un procedimento analogo a quello seguito per porre la nozione di funzione di una variabile reale . Avvertiamo subito che , come nel caso di una variabile , ci si interesserà quasi unicamente di funzioni univoche , cioè ad un solo valore , per cui l’attributo univoca(o,ci,che) sarà di norma sottointeso . Definizione 1,7). Dato un qualsiasi (sotto) insieme D dell’insieme delle coppie ordinate di numeri reali R R × R = R2 e un qualsiasi (sotto) insieme C di numeri reali R qualunque corrispondenza F la quale associa a ogni elemento di D uno e uno solo elemento di C prende il nome di funzione reale (univoca) di due variabili reali di dominio D e codominio C 129 e si usa , per denotarla in breve , il simbolo F : D→C Se (x , y) è un qualsiasi elemento di D , l’elemento che F associa a (x , y) si denota con il simbolo F (x , y) e si dice il valore di F in (x , y) o anche l’immagine di (x , y) tramite F Il sottoinsieme di C { F(x , y) , ∀ (x , y) ∈ D} cioè l’insieme dei valori che F assume in D , prende il nome di Immagine di F e viene denotato con uno dei simboli seguenti Im(F) o F(D) Tra le funzioni (reali) di 2 variabili (reali) segnaliamone subito due : 1a) . E’ la funzione denotata molto spesso con il simbolo X detta la prima variabile fondamentale : si tratta della funzione , di dominio R2 , definita ponendo X( x, y ) = x , ∀ ( x, y ) ∈ R . 2 130 E’ evidente che risulta Im(X) = R 2a) . E’ la funzione denotata molto spesso con il simbolo Y detta la seconda variabile fondamentale : si tratta della funzione , di dominio R2 , definita ponendo Y( x, y ) = y , ∀ ( x, y ) ∈ R . 2 E’ evidente che risulta ancora Im(Y) = R Paragrafo 1.8). Le funzioni composte con una o due componenti funzioni di due variabili . La nozione di funzione composta quando fra le componenti ci sono funzioni di 2 variabili , risulta più articolata rispetto al caso delle sole funzioni di 1 variabile . I casi possibili sono i seguenti. 1°) CASO . Sono date due funzioni , la prima F : D → C di 2 variabili la seconda f : D’→ C’ di 1 variabile 131 con l’ipotesi che risulti Im(F) ⊆ D’ In tale situazione , si può costruire una funzione H di 2 variabili, di dominio D , e codominio C’ H : D → C’ ponendo H (x , y) = f ( F(x , y)) , ∀ (x , y) ∈ D tale definizione essendo lecita in vista dell’ipotesi Im(F) ⊆ D’ La funzione così costruita prende il nome di funzione composta di prima componente F e seconda componente f 2°) CASO . Sono date tre funzioni , tutte di 2 variabili , le prime due con lo stesso dominio D F1 : D → C’ , F2 : D → C’’ la terza G : D’→ C con l’ipotesi che risulti ( F1(x , y) , F2(x , y) ) ∈ D’ , ∀ ( x, y ) ∈ D . In tale situazione , si può costruire una funzione H di 2 variabili, di dominio D , e codominio C , ponendo H (x , y) = G (( F1(x , y) , F2(x , y)) , ∀ (x , y) ∈ D 132 tale definizione essendo lecita in vista dell’ipotesi ( F1(x , y) , F2(x , y) ) ∈ D’ , ∀ ( x, y ) ∈ D . La funzione così costruita prende il nome di funzione composta di prime componenti F1 ed F2 e seconda componente G e viene in breve indicata con il simbolo G(F1 , F2 ) Vediamo subito un’importante applicazione di questo tipo di composizio ne di funzioni . Data una qualunque funzione di 2 variabili F : D→C si possono considerare le restrizioni a D delle due variabili fondamentali XD : D → R YD : D → R e e considerare la funzione composta F( XD ,YD ) di prime componenti XD e YD e di seconda componente F Ebbene , la funzione F( XD ,YD ) coincide con la funzione F stessa : 133 infatti , calcolando tale funzione in un punto qualunque (x , y) di D , si ottiene F( XD ,YD )( x , y) = F(XD(x , y) ,YD(x , y)) = F( x , y) donde la conclusione . Naturalmente la notazione si semplifica , scrivendo semplicemente F(X ,Y) se il dominio risulta chiaro dal contesto . Questa notazione per una funzione di 2 variabili è importante quando viene usata nel trattare di equazioni , di disequazioni , e di sistemi di equazioni e di disequazioni in 2 variabili , che intervengono nella rappresentazione di luoghi e di regioni di un piano cartesiano , fra i quali troviamo il grafico di una funzione di 1 variabile reale e le regioni delimitate da due o più di tali grafici . 3°) CASO . Sono date tre funzioni , le prime 2 di una variabile , con lo stesso dominio D ( ⊆ R ) f1 : D → C1 , f2 : D → C2 la terza di due variabili , G : D’ → C con l’ipotesi che risulti (f1(t) , f2(t)) ∈ D’ , ∀ t ∈ D . 134 In tale situazione , si può costruire una funzione h di 1 variabile, di dominio D , e codominio C , ponendo h (t) = G(f1(t) , f2(t)) , ∀ t ∈ D tale definizione essendo lecita in vista dell’ipotesi (f1(t) , f2(t)) ∈ D’ , ∀ t ∈ D : la funzione così costruita prende il nome di funzione composta di prime componenti f1 ed f2 e seconda componente G e viene in breve indicata con il simbolo G(f1 , f2 ) 135 CAPITOLO IX ELEMENTI DI GEOMETRIA ANALITICA Paragrafo 1.7). La Geometria analitica piana. Si è visto , nel capitolo sui numeri reali , che la costruzione del corpo numerico R aveva come scopo principale quello di costruire la corrispondenza biunivoca fra l’insieme dei punti di una retta cartesiana r l’insieme dei numeri reali R detta sistema di coordinate cartesiane su r Questa proprietà fondamentale dell’insieme R si può ora sfruttare più a fondo con la costruzione di una corrispondenza molto importante fra l’insieme dei punti di un piano α e l’insieme delle coppie ordinate di numeri reali α ↔ R × R = R2 e poi fra l’insieme dei punti dell’intero spazio S e l’insieme delle terne ordinate di numeri reali S ↔ R × R × R = R3 Il fine e l’utilità di queste estensioni del concetto di coordinate apparirà in tutta evidenza al lettore con lo studio dei grafici delle lo studio dei grafici delle funzioni di una e di due variabili di cui ci interesseremo in seguito Ci occuperemo ora dei sistemi di coordinate cartesiane in un piano , e delle principali formule di Geometria analitica connesse . Un sistema di riferimento cartesiano ortogonale 136 è costituito da ( v. Figura 1.9) 1) un punto O , detto l’origine del sistema ; 2) una coppia ordinata di rette orientate per O fra loro ortogonali , dette , rispettivamente , il primo asse cartesiano denominato usualmente asse delle ascisse , o asse delle x , e indicato col simbolo Ox , e il secondo asse cartesiano denominato usualmente asse delle ordinate , o asse delle y , e indicato col simbolo Oy ; 3) due unità di misura associate una al primo , e l’altra al secondo asse cartesia no , o , il che è equivalente , due “ punti unità ” il primo U sulla semiretta positiva del primo asse e il secondo V sulla semiretta positiva del secondo asse Se le due unità di misura sono uguali , e in tal caso i due segmenti OU e OV saranno congruenti il sistema cartesiano si dice monometrico e normalmente sarà così nel seguito 137 salvo esplicito avviso contrario : in tal caso il sistema cartesiano si dirà polimetrico E’ importante porre in evidenza il fatto che l’uso dei sistemi polimetrici , sia nel piano , che nello spazio , si rende alle volte indispensabile nella rappresen tazuione grafica di alcune funzioni : riprenderemo a suo tempo la questione. Fissato che sia in un piano α un sistema cartesiano con assi Ox e Oy , o , come in breve si dice , un sistema di riferimento cartesiano Oxy si procede alla costruzione della corrispondenza biunivoca α ↔ R × R = R2 nel seguente modo ( v. Figura 2.9). Scelto un qualsiasi punto P appartenente ad α , si considerano le sue proiezioni ortogonali Px , sull’asse Ox , e Py , sull’asse Oy ; il punto Px , rispetto al sistema di coordinate {O ;U } sull’asse Ox , ha una ben precisa coordinata xP ; il punto Py , rispetto al sistema di coordinate {O ;V } sull’asse Oy , ha una ben precisa coordinata yP : ebbene al punto P viene associata la coppia ordinata di numeri reali ( xP , yP ) detta 138 la coppia delle sue coordinate rispetto al sistema Oxy xP viene detta la prima coordinata di P , o l’ascissa di P , yP viene detta la seconda coordinata di P , o l’ordinata di P . In tal modo si è costruita una corrispondenza univoca di dominio α e codominio R×R = R2 Σ : α → R × R = R2 che ora dobbiamo riconoscere essere in effetti biunivoca , cioè suriettiva e iniettiva 1) Σ è suriettiva : scegliamo una qualsiasi coppia ordinata di nuimeri reali ( x, y ) : sull’asse Ox ( v. Figura 3.9) , rispetto al sistema cartesiano {O ;U }, esiste un ben preciso punto Px , avente coordinata x ; sull’asse Oy , rispetto al sistema cartesiano {O ;V}, esiste un ben preciso esiste un ben preciso punto Py , avente coordinata y ; se , ora , si conducono le rette per Px e per Py , ortogonali rispettivamente a Ox e a Oy , queste due rette si intersecheranno in un punto P il quale , in base alla definizione precedente , avrà come coppia delle sue coordinate rispetto al sistema Oxy , esattamente la coppia prescelta ( x, y ) 139 in simboli si può porre Σ( P ) = ( x, y ) sicché la corrispondenza Σ : α → R × R = R2 risulta suriettiva ; 2) Σ è iniettiva : si deve provare che vale l’implicazione P1 ≠ P2 ⇒ Σ( P1) ≠ Σ( P2) e la cosa si vede subito ragionando “ per assurdo “ : se , infatti fosse Σ( P1) = Σ( P2) P1 e P2 avrebbero le medesime proiezioni ortogonali su Ox e su Oy , il che è chiaramente impossibile . C.V.D. Per esprimere il fatto che P è il punto di coppia di coordinate ( x, y ) , si si usa il simbolismo P( x, y ) Questo metodo , introdotto da Cartesio , permette di individuare un punto mediante l’ente numerico costituito da una coppia ordinata di numeri , e di avviare lo studio dei luoghi di punti del piano mediante relazioni caratteris tiche che intercedono fra le ascisse e le ordinate di tali punti : in ciò consis te , in sostanza , la Geometria analitica Certamente il lettore avrà avuto occasione di usare tale metodo , per cui qui ci limiteremo a ricordare i fatti principali di questo ramo della Matematica , e , soprattutto , a riproporre quelle sue applicazioni che risultano di certo in 140 teresse per gli argomenti del Corso di Matematica Generale per l’Economia. 1) Gli assi coordinati Ox e Oy dividono il resto del piano(v. F.4.9) in 4 quadranti : 1.1) nel primo quadrante si trovano i punti con ascissa > 0 e ordinata > 0 1.2) nel secondo quadrante si trovano i punti con ascissa < 0 e ordinata > 0 1.3) nel terzo quadrante si trovano i punti con ascissa < 0 e ordinata < 0 1.4) nel quarto quadrante si trovano i punti con ascissa > 0 e ordinata < 0 Per quanto riguarda i punti appartenenti agli assi del sistema di riferimento , si può dire che 1.5) i punti dell’asse Ox sono caratterizzati dal fatto che le loro seconde coordinate (ordinate) , sono uguali a zero in breve risulta che P ( x, y ) ∈ Ox ⇔ y = 0 1.6) i punti dell’asse Oy sono caratterizzati dal fatto che 141 le loro prime coordinate (ascisse) , sono uguali a zero in breve risulta che P ( x, y ) ∈ Oy ⇔ x = 0 2) La (misura della) distanza fra due punti ( v. F. 5.9) P1 ( x1, y1 ) P2 ( x2, y2 ) e è data dalla formula d (P1( x1, y1 ) , P2( x2, y2 )) = ( x 2 − x1 ) 2 + ( y 2 − y1 ) 2 naturalmente se il sistema di riferimento è monometrico altrimenti tale formula risulta gravemente errata ( ma sopra si è detto che , se il sistema di riferimanto non fosse monometrico la cosa verrebbe, ogni volta , esplicitamente dichiarata) . 3) Dati due punti P1( x1, y1 ) e P2( x2, y2 ) Il punto medio del segmento che li ha per estremi è ( v. F. 6.9) M( x1 + x 2 y1 + y 2 , ) 2 2 Di grande importanza è il concetto di rappresentazione cartesiana di un luogo di punti Poniamo perciò , per il momento , la seguente Definizione 1.7). Dato un sottoinsieme L di punti del piano , riferito al sistema 142 cartesiano Oxy , si dice che L è rappresentato , rispetto a Oxy , dall’equazione F (X ,Y) = 0 ove F (X ,Y) è una certa funzione di 2 variabili , se vale la seguente doppia implicazione : P ( x, y ) ∈ L ⇔ F(x, y) = 0 a parole diciamo che un punto P ( x, y ) appartiene ad L se e solo se la sua coppia di coordinate ( x, y ) è soluzione dell’equazione F(X ,Y) = 0 Si dice anche che F (X ,Y) = 0 è un’equazione del luogo L rispetto al sistema Oxy Osservazione 1.7). Si è sottolineato , nell’enunciato precedente , il se e solo se per il buon motivo che , per dichiarare che F(X ,Y) = 0 è un’equazione di L bisogna provare entrambe le implicazioni P ( x, y ) ∈ L ⇒ F (x, y) = 0 F (x, y) = 0 ⇒ P ( x, y ) ∈ L : e non basta , si badi bene , limitarsi a dimostrare una sola di esse : 143 (v. F. 7.9) . Le figure più semplici del piano sono le rette : Ricordiamo la loro rappresentazione cartesiana. 4). Nel piano cartesiano Oxy ogni retta r è rappresentata da una equazione algebrica lineare , cioè di primo grado , del tipo a X + b Y + c = 0 , con ( a , b ) ≠ ( 0 , 0 ) Se la stessa retta r ammette un’altra rappresentazione del tipo detto a’ X + b’ Y + c’ = 0 , con ( a’ , b’ ) ≠ ( 0 , 0 ) risulta che vale la proporzione a : a’ = b : b’ = c : c’ la qualcosa va intesa come il fatto che esiste un numero reale ρ ≠ 0 tale che si abbia a’ = ρ a , b’ = ρ b , c’ = ρ c : si dice in tal caso che le due equazioni aX+bY+c=0 a’ X + b’ Y + c’ = 0 e risultano proporzionali 5). Date due rette r: aX+bY+c=0 e r’ : a’ X + b’ Y + c’ = 0 144 come si traduce , in termini delle loro equazioni , il fatto che sono fra loro parallele ? La condizione di parallelismo fra r ed r’ è precisamente la seguente : r || r’ ⇔ ∃ ρ ≠ 0 : a’ = ρ a ∧ b’ = ρ b condizione equivalente a quest’altra r || r’ ⇔ a b’– a’b = 0 come non è difficile riconoscere (v . F.8.9) . E’ chiaro che la condizione di parallelismo ricomprende in sé quella di coincidenza 6). La rappresentazione dei due assi cartesiani è la seguente Ox : Y = 0 e Oy : X = 0 precisamente si ha che l’equazione dell’asse Ox è 0X+1Y+0=0 l’equazione dell’asse Oy è 1X+0Y+0=0 Ne segue che le rette parallele all’asse Ox , dette rette orizzontali , sono caratterizzate dall’avere equazioni del tipo 0 X + b Y + c = b Y + c = 0 , con b ≠ 0 , mentre 145 le rette parallele all’asse Oy , dette rette verticali , sono caratterizzate dall’avere equazioni del tipo a X + 0 Y + c = a X + c = 0 , con a ≠ 0 . 7). Ogni retta r che non sia verticale ha quindi equazione del tipo a X + b Y + c = 0 , con b ≠ 0 : ne segue l’importante circostanza che la retta in questione ha come sua equazione , equivalente alla aX+bY+c=0 la seguente : Y=mX +q , con m=− a b q=− ∧ c b questa equazione di una retta non verticale prende il nome di equazione di r esplicita rispetto a Y I due numeri m e q che intervengono nell’equazione esplicita suddetta hanno importanti significati geometrici Precisamente , 1) per quanto riguarda m , si può dire che 146 se è m = 0 , la retta r risulta orizzontale , e si può dire che forma con l’asse delle ascisse Ox angolo α nullo ( o anche , volendo , piatto) ; se , invece , è m ≠ 0 , allora la retta r interseca in un ben preciso punto l’asse Ox : detto P tale punto , restano individuate ( v. Figura 8.9 ) la semiretta positiva dell’asse Ox di origine P , e la semiretta superiore della retta r di origine P : queste due semirette uscenti da P formano un angolo convesso α di am piezza compresa fra 0° e 180° ( estremi esclusi ) , e risulta precisamente che vale l’uguaglianza (v. F. 9.9) m = tg α per cui m è detto anche , giustamente , coefficiente angolare di r : si può osservare che se è m > 0 , la retta è inclinata verso destra , se è m < 0 , la retta è inclinata verso sinistra , mentre il valore assoluto di m informa sulla consistenza dell’inclinazione della retta r sull’asse delle ascisse Ox ; 2) per quanto riguarda q , risulta che esso è l’ordinata del punto Q di intersezione fra la retta r e l’ asse Oy : infatti la coppia delle coordinate del punto Q , deve soddisfare le equazioni di r e dell’asse Oy , quindi deve soddisfare il seguente sistema lineare 147 {Y=mX+q ∧ X=0} che ha ovviamente la sola soluzione (0,q) donde la conclusione . 8). Date due rette non verticali r ed r’ , r : Y=mX+q r’ : Y = m’ X + q’ ed si ha la seguente condizione di parallelismo r || r’ ⇔ m = m’ ; mentre la condizione di ortogonalità è r ⊥ r’ ⇔ m m’ = –1 (v. F. 10.9) 9). Dati due punti distinti P1( x1, y1) e P2( x2, y2) la retta r (P1 , P2) che li congiunge ha la seguente rappresentazione r (P1 , P2) : (y2 – y1) (X – x1) + ( x2 – x1) (Y– y1) = 0 infatti : la condizione P1 ≠ P2 equivale evidentemente alla (y2 – y1 , x2 – x1) ≠ ( 0 , 0) per cui l’equazione fornita sopra rappresenta una retta del piano ; 148 quanto al fatto che essa passi per i due punti P1( x1, y1) e P2( x2, y2) si constata subito con un la semplice verifica che le due coppie di coordinate dei due punti P1 e P2 ( x1, y1) e ( x2, y2) sono entrambe soluzioni dell’equazione in questione . 10). Se i due punti P1( x1, y1) e P2( x2, y2) sono tali che la retta per essi non risulta verticale , il che è equivalente al fatto che risulta x1 ≠ x 2 ovvero x2 – x1 ≠ 0 per la retta r (P1 , P2) si può ottenere la seguente equazione esplicita y2 − y1 r (P1 , P2) : Y = y1 + x − x ( X – x1) 2 1 come si verifica facilmente . Si osservi che il coefficiente angolare della retta r (P1 , P2) risulta y2 − y1 m = x −x 2 1 Se , in particolare , si ha che il punto P1 è l’origine O del sistema di riferi mento, cioè se si ha x1 = y1 = 0 l’equazione della retta r (P1 , P2) si semplifica nella 149 Y= y2 − y1 x2 − x1 X 11). Dati nel piano cartesiano Oxy un punto P1( x1, y1) e una retta r:aX+bY+c=0 la (misura della) distanza del punto P1 da r è fornita dalla formula d (P1 , r) = ax1 + by1 + c a2 + b2 (v. F. 11.9) 12). Dati un punto Po(xo , yo) e un numero reale R > 0 la circonferenza , o circolo , C (Po , R) , di centro Po(xo , yo) e raggio R si rappresenta mediante l’equazione (X− xo) 2 + (Y− yo)2 = R2 che , sviluppata , e ridotta a forma normale , diventa X2 + Y2 − 2xo X − 2yoY + xo2 + yo2 − R2 = 0 cioè del tipo [∗] X2 + Y2 + 2a X + 2b Y + c = 0 avendo posto chiaramente 150 a = − xo , b = − yo , c = xo2 + yo2 − R2 : bisogna , però , considerare attentamente il fatto che se è vero che ogni circonferenza ha una equazione del tipo [∗] non ogni equazione di questo tipo rappresenta una circonferenza come apparirà chiaro in sede di esercitazione . Di particolare importanza risulta la circonferenza C (O , 1) di centro O( 0 , 0) e raggio R = 1 e questo per il fatto , certo ben noto al lettore , che se P( x , y ) appartiene a C (O , 1) , si ha , per definizione , x = cos α e y = sin α ove α è ( v. F. 12.9) l’angolo di vertice O e lati le due semirette s(O ; A) e s(O ; P) descritto nel verso positivo associato al sistema di riferimento ( che , di solito , per l’osservatore è antiorario ) e l’angolo in questione è compreso fra l’angolo nullo e quello giro . Quando il circolo suddetto svolge questa funzione , prende il nome di circolo goniometrico Osservazione importante . Bisogna porre la dovuta attenzione al fatto che quasi sempre si suole assegnare le due quantità coseno e seno 151 come cos(t) e sin(t) ove t è un numero e non un angolo , come sopra si è detto : l’interpretazione corretta dei due simboli cos(t) e sin(t) si ottiene ricordando la convenzione degli Analisti , che consiste nell’assumere cos(t) e sin(t) come il coseno e il seno dell’angolo la cui misura è t rispetto all’unità di misura degli angoli detta angolo radiante ( v. F. 13.9). Adeguati commenti in proposito in corso di esercitazioni . 152 CAPITOLO X LIMITI DELLE FUNZIONI DI UNA VARIABILE Paragrafo 1.7). Limite finito di una funzione in un punto. Avvertenza 1.7). In virtù della corrispondenza biunivoca fra l’ insieme dei numeri reali R e i punti di una retta cartesiana , un numero reale viene molto spesso denominato un “ punto” : il contesto renderà chia ro quando questo termine indicherà un numero , o quando , invece , denote rà l’ente geometrico conosciuto con lo stesso nome . Definizione 1.7). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di accumulazione per l’insieme D , dominio di f . Si dice che la funzione f , per x che tende a c , ha per limite il numero L e si scrive lim f ( x) = L x→c o anche x→c f (x) → L quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre determinare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ 153 I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatto il seguente sistema di disuguaglianze L− ε < f (x) < L + ε riassumibile nell’unica disuguaglianza ⏐f (x) − L⏐ < ε (1.7) in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : ∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ ⏐f (x) − L⏐ < ε Si dice in questo caso anche che il valore f (x) della funzione f “converge” a L per x tendente a c ma spesso si abbrevia l’enunciato dicendo che f (x) “converge” a L per x tendente a c oppure anche la funzione f “converge” a L per x tendente a c Osservazione importante 1.7). Non c’è alcun dubbio che la definizione di limite di una funzione , data sopra , risulti articolata e complessa : d’altra parte nessuno degli elementi che la costituiscono può essere eliminato, senza compromettere gravemente la nozione che sta , si noti , 154 al fondamento stesso di tutta l’Analisi Infinitesimale. Perciò , sarà necessario qualche commento . 1)° Il fatto di richiedere che c sia un punto d’accumulazione per D , è dovu to alla necessità che la cosiddetta variabile x possa assumere valori arbi trariamente vicini a c , ma distinti da c stesso ; l’Analisi infatti indaga la possibilità che , durante questo processo di avvicinamento di x a c , si evi denzi un valore di tendenza di f (x) , cioè il progressivo accostarsi del va lore della funzione a un determinato limite numerico L : è evidente che le espressioni appena usate sono certamente di ausilio suggestivo, ma sono sprovviste di rigore matematico ; inoltre si è detto limite numerico L : più avanti vedremo che tale limite potrà anche essere infinito . 2) Nella definizione si è anche richiesto che la variabile x , al fine di verifica re la disuguaglianza (1.7) , non debba affatto assumere il valore c , an che nel caso che lo possa assumere , cioè che la funzione f sia definita in c : ciò è collegato a quanto detto sopra : anzi , può benissimo accadere che la funzione f ammetta limite L per x tendente al c , ma che tale limite risulti diverso dall’eventuale valore che f assume in c , cioè che si abbia ( come numerosi esempi confermeranno) f (c) ≠ L Qualche Autore esprime questa situazione dicendo che il limite di una funzione f è del tutto indipendente dal comportamentodi f in c questo “comportamento” prevedendo sia che la funzione f non risulti nemmeno definita in c sia che , pur essendo in c definita , il suo valore f (c) sia diverso dal lim f ( x) = L x →c 155 potendo però , s’intende , anche essergli uguale . Paragrafo 2.7). Limite infinito di una funzione in un punto. Definizione 2.7). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di accumulazione per l’insieme D , dominio di f . Si dice che la funzione f , per x che tende a c , ha per limite più infinito, e si scrive lim f ( x) = +∞ x→c quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter minare un numero positivo δ , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : ∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ f (x) > M Si dice in tal caso anche che la funzione f “diverge” a +∞ per x tendente a c 156 Definizione 3.7). ). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di accumulazione per l’insieme D , dominio di f . Si dice che la funzione f , per x che tende a c , ha per limite meno infinito, e si scrive lim f ( x) = −∞ x→c quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter minare un numero positivo δ , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) < M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : ∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ f (x) < M Si dice in tal caso anche che la funzione f “diverge” a −∞ per x tendente a c Definizione 4.7). Data la funzione f : D → C , sia c un punto di 157 accumulazione per l’insieme D , dominio di f . Si dice che la funzione f , per x che tende a c , ha per limite l’ infinito , e si scrive lim f ( x) = ∞ x→c quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre determinare un numero positivo δ , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno aperto di centro c e raggio δ I (c ; δ) = ] c− δ , c + δ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (c ; δ) ∩ D , ma , si badi be ne , diverso da c , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x)⏐ > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : ∀ ε > 0 , ∃ δ > 0 : x ∈ I (c ; δ) ∩ D − {c} ⇒ ⏐f (x)⏐ > M ed è poi ovvio che la condizione ⏐f (x)⏐ > M risulta equivalente alla f (x) < − M ∨ f (x) > M Si dice in tal caso anche che la funzione f “diverge” all’ ∞ per x tendente a c 158 Paragrafo 3.7). Limite destro o sinistro di una funzione in un punto. Le definizioni di limite in un punto date nel Par. 2.7) non precisano un mo do specifico secondo il quale la variabile x debba accostarsi al punto c , se , ad esempio “da destra”, cioè mantenendosi comunque maggiore di c , oppure “da sinistra” , avvicinandosi a c per valori minori di c : perciò , se c risultasse punto di accumulazione sia destra , che sinistra , per il dominio D della funzione f , l’avvicinamento di x a c potrebbe attuarsi anche in modo discontinuo , assumendo posizioni sia a destra di c che alla sua sini stra , sempre più vicine comunque a c stesso , il che si può riassumere di cendo che ⏐x − c⏐ deve “tendere a zero”. Per questo motivo i limiti definiti fino ad ora prendono il nome di limiti bilateri e , sotto questo profilo , essendo la definizione congegnata in tal modo , non ci si occupa dell’eventualità , ben possibile , che sia , ad esempio , impedito a x di assumere valori sempre più vicini a c e minori di c , per il semplice fatto che c non risulta punto di accumulazione sinistra per D. Giustamente , gli Analisti hanno voluto affinare la definizione di limite con l’introdurre i concetti di limite destro e di limite sinistro , denominati con il termine di limiti unilateri Daremo , le definizioni di limiti unilateri , distinguendo il caso dei limiti finiti da quello dei limiti infiniti . 159 Definizione 5.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di accumulazione destra per l’insieme D , dominio di f . Il numero L si dice limite destro della funzione f per x che tende a c , o anche limite della funzione f per x che tende a c da destra , e si scri ve lim+ f ( x) = L x →c quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre tro vare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , consi derato l’intorno destro di c raggio δ I + (c ; δ) = [ c , c + δ [ si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x) − L⏐ < ε Simmetricamente , il numero L si dice limite sinistro della funzione f per x che tende a c , o anche limite della funzione f per x che tende a c da sinistra , e si scri ve lim− f ( x) = L x →c quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre tro vare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , consi derato l’intorno sinistro di c raggio δ I − (c ; δ) = ] c − δ , c ] si abbia che , per ogni x ∈ I − (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x) − L⏐ < ε 160 Definizione 6.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di accumulazione destra per l’insieme D , dominio di f. Si dice che il il limite destro della funzione f per x che tende a c è più infinito o anche che il limite della funzione f per x che tende a c da destra è più infinito e si scrive lim f ( x) = +∞ x →c + quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno destro di c raggio δ I + (c ; δ) = [ c , c + δ [ si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza f (x) > M Simmetricamente , si dice che il limite destro della funzione f per x che tende a c è meno infinito o anche che il limite della funzione f per x che tende a c da destra è meno infinito e si scrive lim f ( x) = −∞ x →c + quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un 161 numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno destro di c raggio δ I + (c ; δ) = [ c , c + δ [ si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza f (x) < M Definizione 7.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di accumulazione sinistra per l’insieme D , dominio di f. Si dice che il il limite sinistro della funzione f per x che tende a c è più infinito o anche che il limite della funzione f per x che tende a c da sinistra è più infinito e si scrive lim f ( x) = +∞ x →c − quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno sinistro di c raggio δ I − (c ; δ) = ] c + δ , c ] si abbia che , per ogni x ∈ I − (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza f (x) > M 162 Simmetricamente , si dice che il limite sinistro della funzione f per x che tende a c è meno infinito o anche che il limite della funzione f per x che tende a c da sinistra è meno infinito e si scrive lim f ( x) = −∞ x →c − quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno sinistro di c raggio δ I − (c ; δ) = ] c + δ , c ] si abbia che , per ogni x ∈ I − (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza f (x) < M Per completezza , anche se il caso dell’∞ come limite unilatero non è molto frequente , ne forniamo le relative definizioni in Definizione 8.7). Sia data la funzione f : D → C , e sia c un punto di accumulazione destra per l’insieme D , dominio di f. Si dice che il il limite destro della funzione f per x che tende a c è l’infinito o anche che il limite della funzione f per x che tende a c da destra è l’infinito 163 e si scrive lim f ( x) = ∞ x →c + quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno destro di c raggio δ I + (c ; δ) = [ c , c + δ [ si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x)⏐ > M Simmetricamente , si dice che il limite sinistro della funzione f per x che tende a c è l’ infinito o anche che il limite della funzione f per x che tende a c da sinistra è l’infinito e si scrive lim f ( x) = ∞ x →c − quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre trovare un numero positivo δ , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno sinistro di c raggio δ I − (c ; δ) = ]c −δ , c ] si abbia che , per ogni x ∈ I + (c ; δ) ∩ D , che sia diverso da c , risulti soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x)⏐ > M 164 Paragrafo 4.7). Limiti di una funzione all’infinito. Fino a questo punto si sono presi in considerazione i limiti di una funzione i limiti di una funzione “ in un punto “ vale a dire con la “variabile” x che tende a un valore finito c , nei vari mo di possibili , e i limiti potendo essere , a loro volta , finiti o infiniti . Ora , quando il dominio D della funzione f è illimitato , o anche superior mente , o inferiormente illimitato , la variabile x può “tendere all’infinito”, nel senso che , nel primo caso , può assumere determinazioni che in valore assoluto sono indefinitamente crescenti , oppure , negli altri due , rispettiva mente di valore indefinitamente crescente o decrescente : in questi due ulti mi casi il “punto” x si allontana indefinitamente verso destra , o , rispettiva mente , verso sinistra , sulla retta cartesiana che visualizza l’insieme dei nu ri reali R nel modo ben noto . Ebbene , anche in questi casi può accadere che il valore f (x) della funzione manifesti una tendenza a “convergere” a un certo valore finito L , oppure a “divergere” all’∞ , a +∞ , o a −∞ , per cui è necessario porre definizioni ri rigorose , che prendano in considerazione questi comportamenti “liminali” di una funzione all’infinito. Definizione 9.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f superiormente illimitato ( si può dire anche che D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ ) . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite il numero L e si scrive lim f ( x) = L x→+∞ 165 quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre determinare un numero positivo N , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno di +∞ I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza L − ε < f (x) < L + ε riassumibile nell’unica disuguaglianza ⏐f (x) − L⏐ < ε (1.7) in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : ∀ ε > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒⏐f (x) − L⏐ < ε Si dice in questo caso che la funzione f “ converge” a L per x tendente a +∞ Osservazione 2.7). Si noti che nella definizione data sopra non si trovi più la locuzione analoga alla “ qualunque sia x diverso da c “ e questo è ben comprensibile , poiché ora x tende a +∞ , e, se x è un nu mero reale qualunque reale , dire “ x diverso da +∞ ” è ovviamente un inutile pleonasmo , e anche passabilmente risibile … comunque , è meglio ribadirlo : 166 ∞ , +∞ e −∞ non sono affatto numeri , ma solo comode locuzioni Definizione 11.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , dominio di f inferiormente illimitato ( si può dire anche dire che D si accumula a −∞ , o che presenta accumulazione in −∞ ) . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a −∞ , ha per limite il numero L e si scrive lim f ( x) = L x→−∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre determinare un numero positivo N , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno di −∞ I (−∞ ; N ) = ] −∞ , N [ avviene che , per ogni x appartenente a I (−∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza L − ε < f (x) < L + ε riassumibile nell’unica disuguaglianza (1.7) ⏐f (x) − L⏐ < ε in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : ∀ ε > 0 , ∃ N : x ∈ I (−∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x) − L⏐ < ε Si dice in questo caso che 167 la funzione f “ converge” a L per x tendente a −∞ Definizione 11.7). Sia data la funzione f : D → C , con l’insieme D , dominio di f , illimitato , sia superiormente che inferior mente , ( si può dire anche dire che D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ ) . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende all’∞ , ha per limite il numero L e si scrive lim f ( x) = L x→∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε , si può sempre determinare un numero positivo N , dipendente in generale da ε , tale che , considerato l’intorno dell’∞ I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatto il sistema di disuguaglianze L − ε < f (x) < L + ε riassumibile nell’unica disuguaglianza (1.7) ⏐f (x) − L⏐ < ε in breve , la condizione sopra descritta si esprime come segue : 168 ∀ ε > 0 , ∃ N : x∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x) − L⏐ < ε Si dice anche in questo caso che la funzione f “ converge” a L per x tendente all’ ∞ E’ ora la volta delle funzioni “divergenti ” all’infinito . Definizione 12.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f superiormente illimitato , si può dire anche che D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ ). . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite +∞ e si scrive lim f ( x) = +∞ x→+∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre determi nare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno di +∞ I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come 169 ∀ M > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) > M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente a +∞ Definizione 13.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f superiormente illimitato , si può dire anche che D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite −∞ e si scrive lim f ( x) = −∞ x→+∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre determi nare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno di +∞ I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) < M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) < M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a −∞ per x tendente a +∞ 170 Definizione 13.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f superiormente illimitato , si può dire anche che D si accumula a +∞ , o che presenta accumulazione in +∞ . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a +∞ , ha per limite ∞ e si scrive lim f ( x) = ∞ x→+∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre determinare un numero N , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno di +∞ I (+∞ ; N ) = ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (+∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x) − L⏐ > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M > 0 , ∃ N : x ∈ I (+∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐ f (x) − L⏐ > M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a ∞ per x tendente a +∞ Definizione 14.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f inferiormente illimitato , si può dire anche che 171 D si accumula a −∞ , o che presenta accumulazione in −∞ . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a −∞ , ha per limite +∞ e si scrive lim f ( x) = +∞ x→−∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter minare un numero N , dipendente in generale da M , tale che , con siderato l’intorno di −∞ I (−∞ ; N ) = ] −∞ , N [ avviene che , per ogni x appartenente a I (−∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M ∈ R , ∃ N : x ∈ I (−∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) > M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente a −∞ Definizione 15.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f inferiormente illimitato , si può dire anche che D si accumula a −∞ , o che presenta accumulazione in −∞ . . Si dice in tal caso che 172 la funzione f , per x che tende a −∞ , ha per limite ∞ e si scrive lim f ( x) = ∞ x→−∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre determinare un numero N , dipendente in generale da M , tale che , con siderato l’intorno di −∞ I (−∞ ; N ) = ] −∞ , N [ avviene che , per ogni x appartenente a I (−∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x)⏐ > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M ∈ R , ∃ N : x ∈ I (−∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x)⏐ > M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a ∞ per x tendente a −∞ Definizione 16.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f illimitato , sia superiormente che inferiormente illimitato ,si può dire anche che D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende all’ ∞ , ha per limite +∞ 173 e si scrive lim f ( x) = +∞ x →∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre deter minare un numero N , dipendente in generale da M , tale che , con siderato l’intorno di ∞ I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M > 0 , ∃ N > 0 : x ∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) > M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente all’ ∞ Definizione 17.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f illimitato , sia superiormente che inferiormente illimitato , si può dire anche che D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende a ∞ , ha per limite −∞ e si scrive lim f ( x) = −∞ x→∞ 174 quando in corrispondenza ad un arbitrario numero M , si può sempre determi nare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno di ∞ I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza f (x) < M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M > 0 , ∃ N > 0 : x ∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ f (x) < M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” a −∞ per x tendente all’ ∞ la funzione f “ diverge” a +∞ per x tendente all’ ∞ Definizione 18.7). Data la funzione f : D → C , con l’insieme D , domi nio di f illimitato , sia superiormente che inferiormente illimitato ,si può dire anche che D si accumula all’∞ , o che presenta accumulazione all’ ∞ . . Si dice in tal caso che la funzione f , per x che tende all’ ∞ , ha per limite ∞ e si scrive 175 lim f ( x) = ∞ x→∞ quando in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo M , si può sempre determinare un numero positivo N , dipendente in generale da M , tale che , considerato l’intorno di ∞ I (∞ ; N ) = ]−∞ , N [ ∪ ] N , +∞ [ avviene che , per ogni x appartenente a I (∞ ; N ) ∩ D , si ha che risulta soddisfatta la disuguaglianza ⏐f (x)⏐ > M in breve , la condizione sopra descritta si esprime come ∀ M > 0 , ∃ N > 0 : x ∈ I (∞ ; N ) ∩ D ⇒ ⏐f (x)⏐ > M Si dice in questo caso anche che la funzione f “ diverge” all’ ∞ per x tendente all’ ∞ 176 CAPITOLO XI PROPRIETA’ DEI LIMITI DI UNA FUNZIONE DI UNA VARIABILE Paragrafo 1.11) . Definizione unitaria di limite di una funzione . Per giungere a una formulazione comprensiva di tutte le definizioni di limite fornite nel Cap.X , occorre anzitutto porre una defi nizione unitaria della nozione di intorno Così si conviene di assumere 1) per intorno di un numero reale c un qualunque intorno circolare di c 2) per intorno di +∞ una qualunque semiretta destra aperta di numeri reali 3) per intorno di − ∞ una qualunque semiretta sinistra aperta di numeri reali 4) per intorno di ∞ l’unione di qualunque semiretta destra aperta con la sua simmetrica Bisogna poi convenire che i simboli c e L 177 possano prendere il posto dei simboli +∞ , − ∞ , ∞ , ammettendo inoltre che il termine “punto” possa applicarsi anche a questi casi Con queste convenzioni si può formulare una definizione di limite assai notevole per la sua generalità : Definizione 1.11) . Data la funzione f : D→C sia c un punto di accumulazione per D Si dice allora che f ha per limite L al tendere di x a c e si scrive lim f ( x ) = L x→c o anche x→c f ( x) → L quando , scelto un qualunque intorno I(L) di L esiste sempre ( almeno) un intorno I(c) di c tale da aversi x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L) ( va da sé che l’esclusione di c nell’enunciato precedente risulta di fratto superflua nel caso c sia +∞ , − ∞ , ∞ ) . 178 Si lascia al Lettore il compito di riconoscere , nel caso di limiti bilateri , il fatto che questa definizione li riassume tutti nella sintesi di un unico enunciato Paragrafo 2.11) . Teoremi fondamentali sui limiti . Teorema 1.11) . ( dell’unicità del limite) Se esiste un limite della funzione f per x tendente a c allora tale limite è unico pur di convenire che , quando il limite è +∞ o − ∞ , non sia permesso affermare che tale limite può essere anche ∞ (come , a rigor di termini , sarebbe consentito ). DIM. Escludendo per il momento il caso del limite ∞ , è facile constatare che se la funzione f ammettesse per x→c i limiti L1 ed L2 , con L1 ≠ L2 sarebbe possibile scegliere due intorni uno I(L1) di L1 , l’altro I(L2) di L2 , fra loro disgiunti cioè tali che sia I(L1) ∩ I(L2) = ∅ Ma allora , da un lato , in corrispondenza a I(L1) , esisterebbe un intorno di c I1(c) 179 tale da aversi 1.11) x ∈ I1(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L1) ; dall’altro , in corrispondenza ad I(L2) , esisterebbe un intorno di c I2(c) tale da aversi 2 .11) x ∈ I2(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L2) : ora , poiché , come è facile riconoscere ( vedi F. 1.11) , l’intersezione di due intorni di c è ancora un intorno di c e sia I1(c) ∩ I2(c) = I(c) da 1.11) e 2 .11) deriva che vale l’implicazione x ∈ (I1(c) ∩ I2(c) = I(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L1) ∩ I(L2) = ∅ ma questa è una inaccettabile contraddizione , perché l’insieme vuoto non può contenere alcun elemento mentre si è appena concluso che f (x) ∈ I(L1) ∩ I(L2) = ∅ non appena sia x ∈ (I1(c) ∩ I2(c) = I(c)) ∩ D −{c} : l’ipotesi L1 ≠ L2 è quindi assurda donde la conclusione. C.V.D. Il Lettore completi il ragionamento nel caso in cui uno dei due limiti risulta ∞. 180 A seguito del Teorema dell’unicità del limite è opportuno porre in luce alcuni fatti di rilievo , che si rivelano utili in molte sitazioni . Proposizione 1.11) . Se per una funzione f risulta lim f ( x ) = L x →c e D’ è un sottoinsieme di D( f ) avente anch’esso c come punto di accu mulazione , allora se fD’ è la restrizione di f a D’ , risulta ancora x→c fD’(x) → L DIM. Facile : è lasciata per esercizio al Lettore. Assai importanti sono le seguenti due conseguenze della Prop.1.11) . Proposizione 2.11) . Sia f una funzione di dominio D , c sia un punto di accumulazione per D e per il suo sottoinsieme D’ : allora vale la seguente implicazione fD’ e non ha limite per x→c ⇒ f non ha limite per x→c DIM. Infatti , in base a Prop. 1.11) , se f avesse limite L f per x→c , anche f|D’ avrebbe limite L per x→c . Proposizione 3.11) . Sia f una funzione di dominio D , c sia un punto di accumulazione per D e per i suoi sottoinsiemi D’ e D’’. se allora fD’ e ha limite L’ per x→c ∧ fD’’ ha limite L’’ per x→c e risulta 181 L’ ≠ L’’ ( tranne il caso in cui uno dei due sia ∞ , e l’altro +∞ , o −∞) sicuramente f non ha limite per x→c DIM. Infatti , se sistesse il lim f ( x ) = L x →c per Prop.1.11) fD’ ed fD’ dovrebbero avere entrambe L come limite per x→c contro l’ipotesi L’ ≠ L’’ donde la conclusione. E’ infine chiaro che , nel caso di limiti unilateri , gli enunciati vanno integrati con i termini intorno destro o intorno sinistro e anche in tal caso il Lettore può procedere ad analoghe verifiche . Teorema 2.11) . ( della permanenza del segno) Se risulta lim f ( x ) = L x→c con L >0 oppure L < 0 convenendo di assumere +∞ > 0 e −∞ < 0 allora esiste un intorno I(c) di c tale che 182 i valori che la funzione assume in ogni x ∈ (I1(c) ∩ I2(c) = I(c)) ∩ D −{c} hanno tutti lo stesso segno del limite DIM. Ci limiteremo al caso L > 0 : al Lettore il compito di trattare l’altro caso. Se è L > 0 ( vedi F. 2.11) è sempre possibile scegliere un intorno I(L) di L tutto contenuto in R+ Scelto in tal modo I(L) , per definizione di limite , esiste un intorno I(c) di c tale da aversi x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L) ⊆ R+ donde la facile conclusione. C.V.D. Teorema 3.11) . ( 1° teorema del confronto) . Siano date tre funzioni f , h , g di domini rispettivi D(f ) , D(h) , D(g) con un medesimo punto di accumulazione c , e con f e g ammettenti lo stesso limite L per x → c . Allora , se esiste 183 un intorno I∗(c) di c tale che si abbia 3.11) I∗(c) ∩ D(f ) −{c} = I∗(c) ∩ D(h ) −{c} = I∗(c) ∩ D(g) −{c} = D∗ e inoltre valga la catena di disuguaglianze f (x) ≤ h (x) ≤ g(x) , ∀ x ∈ D∗ , 4.11) anche la funzione h ammette L come limite per x → c DIM. Limitiamoci , per semplicità , al caso in cui L è un numero reale , cioè supponiamo f e g convergenti per x → c . Si tratta di provare , deducendolo dalle ipotesi , il fatto che si ha lim h( x ) = L x →c Scegliamo quindi un arbitrario numero ε > 0 , definente l’intorno I( L ; ε) di L : per l’ipotesi lim f ( x ) = L x →c lim g ( x ) = L ∧ x →c esistono due intorni di c If (c) e Ig(c) siffatti che valgano le implicazioni 5.11) x ∈ If (c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ∈ I( L ; ε) 6.11) x ∈ Ig(c) ∩ D(g) −{c} ⇒ g (x) ∈ I( L ; ε) ; e 184 Posto allora I(c) = I∗(c) ∩ If (c) ∩ Ig(c) si ha che I(c) è un intorno di c , e che qualunque sia x appartenente a I(c) ∩ D(h) e diverso da c per la 3.11) x appartiene a D∗ quindi vale la 4.11) f (x) ≤ h (x) ≤ g(x) ; d’altra parte , per le 5.11) e 6.11) , per ogni tale x si hanno le 7.11) L−ε < f (x) < L+ε 8.11) L−ε < g (x) < L+ε : e ora , assieme , 4.11) , 7.11) e 8.11) rendono valida l’implicazione x ∈ I(c) ∩ D(h) −{c} ⇒ L−ε < f (x) ≤ h (x) ≤ g(x) < L+ε e dunque la x ∈ I(c) ∩ D(h) −{c} ⇒ L−ε < h (x) < L+ε ⇔ h (x) ∈ I( L ; ε) ed è quanto basta per concludere che vale la tesi lim h( x ) = L x →c C.V.D. Il Lettore può ora completare la dimostrazione anche nel caso in cui L sia infinito , o limite unilatero . 185 Enunciamo gli altri due Teoremi del confronto , lasciando la loro semplice dimostrazione al Lettore . Teorema 4.11) . ( 2° teorema del confronto) . Siano date due funzioni f e g di domini rispettivi D(f ) , D(g) con un medesimo punto di accumulazione c , e si abbia che lim f ( x ) = +∞ x →c Allora , se esiste un intorno I∗(c) di c tale che si abbia 9.11) I∗(c) ∩ D(f ) −{c} = I∗(c) ∩ D(g) −{c} = D∗ e inoltre valga la disuguaglianaza f (x) ≤ g(x) , ∀ x ∈ D∗ , 10.11) risulta pure che lim g ( x ) = +∞ x →c Teorema 5.11) . ( 3° teorema del confronto) . Siano date due funzioni 186 f e g di domini rispettivi D(f ) , D(g) con un medesimo punto di accumulazione c , e si abbia che lim f ( x ) = −∞ x →c Allora , se esiste un intorno I∗(c) di c tale che si abbia I∗(c) ∩ D(f ) −{c} = I∗(c) ∩ D(g) −{c} = D∗ 9.11) e inoltre valga la disuguaglianaza 10.11) g (x) ≤ f (x) , ∀ x ∈ D∗ , risulta pure che lim g ( x ) = −∞ x →c Chiudiamo questo paragrafo con un importante risultato sulle funzioni convergenti Teorema 6.11) . Se una funzione f è convergente per x → c , allora esiste un opportuno intorno di c nel quale f risulta limitata DIM. Per ipotesi si ha che esiste L ∈ R tale che lim f ( x ) = L x →c 187 Scegliamo allora un numero ε > 0 , che fissa l’intorno I(L; ε) di L : per definizione di limite , esiste un intorno I(c) di c ( c , si noti , può anche essere +∞ , −∞ o ∞) tale da aversi x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ∈ I(L; ε) ⇔ L − ε < f (x) < L + ε questo significa che la funzione f ristretta a I(c) ∩ D(f ) ha l’Immagine contenuta nell’insieme ] L − ε , L + ε[ ∪ {f (c)} o , addirittura , se f non fosse definita in c , o c fosse +∞ , −∞ o ∞ , contenuta nell’intervallo ] L − ε , L + ε[ donde la facile conclusione .C.V.D. Paragrafo 3.11) . Infinitesimi e loro proprietà principali. Definizione 2.11) . Se una funzione f è tale che lim f ( x ) = 0 x →c si dice che f è un infinitesimo per x → c Proposizione 5.11) . Data una funzione f si ha che 188 f è un infinitesimo per x → c se e solo se è un infinitesimo per x → c la funzione | f | , detta valore assoluto di f DIM. La funzione | f | si definisce ponendo | f | (x) = | f (x) | , ∀ x ∈ D( f ) . Allora la dimostrazione è una semplice reinterpretazione della Def 1.7). Altrettanto elementare è la dimostrazione della seguente Proposizione 4.11) . Una funzione f è convergente per x → c , avendosi lim f ( x ) = L x →c con L ∈ R se e solo se la funzione f − L è un infinitesimo per x → c come pure se e solo se la funzione | f − L| è un infinitesimo per x → c Proposizione 5.11) . Se una funzione f è convergente per x → c , avendosi lim f ( x ) = L x →c con L ∈ R esiste un infinitesimo α , di dominio uguale a quello di f , tale che f (x) = L + α (x) , ∀ x ∈ D( f ) , a parole diremo che una funzione convergente a L per x → c si può pensare come somma 189 della funzione costante L e di un infinitesimo per x → c DIM. Facile : l’infinitesimo di cui nell’enunciato è ( vedi Prop.4.11)) α = f (x) − L Proposizione 5.11) . Se la funzione f è un infinitesimo per x → c , ed esis te un intorno I∗(c) di c tale che valga l’implicazione 11.11) x ∈ I∗(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ≠ 0 allora risulta che lim x →c 1 =∞ f ( x) ove qui chiaramente per f si intende la f ristretta a I∗(c) ∩ D(f ) −{c}. Se , poi , la 11.11) si può precisare nella forma 12.11) x ∈ I∗(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) > 0 allora risulta che lim x →c 1 = +∞ f ( x) e se , invece , si ha 13.11) x ∈ I∗(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) < 0 allora risulta che 190 lim x →c 1 = −∞ f ( x) DIM. L’ipotesi è che lim f ( x ) = 0 x →c la tesi è che lim x →c 1 =∞ f ( x) e , per dimostrare quest’ultima , si scelga un qualunque numero M > 0 , che determina l’intorno di ∞ I(∞ ; M ) = ] −∞ , M [ ∪ ]M,+∞[ Considerato allora il numero positivo ε = M −1 (= per l’ipotesi 1 ) >0 M lim f ( x ) = 0 x →c esiste un intorno I’(c) di c tale da aversi x ∈ I’(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ | f (x) | < ε ; se , allora , si pone I(c) = I∗(c) ∩ I’(c) I(c) è un intorno di c , contenuto in particolare in I∗(c) , sicché si avrà 191 14.11) x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ f (x) ≠ 0 : d’altra parte I(c) è contenuto anche in I’(c) , per cui si avrà 15.11) x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ | f (x) | < ε : dalle 14.11) e 15.11) deriva che 1 f ( x) x ∈ I(c) ∩ D(f ) −{c} ⇒ > 1 ε =M e questo equivale chiaramente a dire che 1 f ( x) ∈ I(∞ ; M ) = ] −∞ , M [ ∪ ] M , + ∞ [ : tanto basta per avvalorare la tesi . C.V.D. Il Lettore completi la dimostrazione negli altri due casi contemplati nell’enun ciato . Proposizione 6.11) . Se una funzione f è somma di un numero finito di infinitesimi per x → c allora anche f è un infinitesimo x → c DIM. Ci limiteremo al caso in cui f è somma di due infinitesimi per x → c : f =α +β Per provare che α + β è un infinitesimo , si scelga un qualunque numero ε > 0 e sia ε’= ε 2 > 0: 192 avendosi lim α ( x ) = 0 x →c e lim β ( x ) = 0 x →c esisteranno due intorni di c Iα(c) e Iβ (c) tali da aversi , rispettivamente , se D è il comune dominio di α e di β , 16.11) x ∈ Iα (c) ∩ D −{c} ⇒ | α (x) | < ε ’ 17.11) x ∈ Iβ (c) ∩ D −{c} ⇒ | β (x) | < ε ’ : e posto allora I(c) = Iα (c) ∩ Iβ (c) I(c) è un intorno di c , e , per le 16.11) e 17.11) , valide entrambe in I(c) , si avrà x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ | α (x) + β (x) | ≤ | α (x) | + | β (x) | < 2 ε ’ = ε e tanto basta per validare la tesi . C.V.D. Il caso di più funzioni−addendi è una semplice estensione , lasciata al Lettore . Proposizione 7.11) . Siano g ed α funzioni di dominio D ; c sia un pun to di accumulazione per D , e si abbia che 18.11) α è un infinitesimo per x→c , 193 e 19.11) g risulta limitata in un intorno I’(c) di c : in tali condizioni la funzione prodotto f = α g è un infinitesimo per x→c . DIM. L’ipotesi sulla funzione g garantisce l’esistenza di un intorno e di I’(c) di c un numero M > 0 tali che sussista la 20.11) x ∈ I’(c) ∩ D −{c} ⇒ | f (x) | < M Per dimostrare la tesi lim α ( x ) f ( x ) = 0 x →c sia ε > 0 un qualunque numero positivo , e si ponga ε’= ε M >0 In corrispondenza a ε ’ > 0 , per l’ipotesi lim α ( x ) = 0 x →c esiste un intorno I’’(c) di c tale da aversi 21.11) Si ponga allora x ∈ I’’(c) ∩ D −{c} ⇒ |α (x) | < ε ’ I(c) = I’(c) ∩ I’’(c) : 194 I(c) è anch’esso un intorno di c , nel quale , per le 20.11) e 21.11) , risulta , per moltiplicazione membro a membro delle due disuguaglianze , x ∈ I(c) ∩ D −{c} ⇒ |α (x) f (x) | = |α (x) | | f (x) | < ε ’M = ε donde la conclusione , ormai agevole . C.V.D. Una facile , ma importante conseguenza della Prop.7.11) , è la seguente Proposizione 8.11). Siano g ed α funzioni di dominio D ; c sia un punto di accumulazione per D , e si abbia che 18.11) α è un infinitesimo per x→c , e 19.11) g risulta convergente per x→c : in tali condizioni la funzione prodotto f = α g è un infinitesimo per x→c . DIM. Basta infatti applicare alla funzione g il Teor. 6.11) , secondo il quale g in un opportuno intorno di c risulta limitata : ad α e g si può quindi applicare la Prop. 7.11) , e ottenere la tesi . Paragrafo 3.11) . Comportamenti al limite delle funzioni somma, differenza , prodotto e quoziente di funzioni , e del valore assoluto di una funzione . Proposizione 9.11) . Siano f1 , f2 , . . . , fn 195 funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione di D . Allora , se f1 , f2 , . . . , fn sono tutte convergenti per x→c , avendosi lim f h ( x ) = Lh x →c con Lh ∈ R , ∀ h ∈{ 1 , 2 , … , n} , risulta che anche la funzione somma delle funzioni in questione f1 + f2 + ⋅ ⋅ ⋅ + fn è convergente per x→c , avendosi inoltre che lim f1 ( x ) + f 2 ( x ) + ⋅ ⋅ ⋅ + f n ( x ) = L1 + L2 + ⋅ ⋅ ⋅ + Ln x →c formula che si può rendere in forma più compatta come segue n n 1 1 lim ∑ h f h ( x ) = ∑ h lim f h ( x ) x →c x →c e dà luogo all’enunciato ben noto il limite della somma di funzioni convergenti è la somma dei limiti DIM. Vediamo il caso di due funzioni : la generalizzazione al caso di n funzioni è facile . Per provare che risulta lim f1 ( x ) + f 2 ( x ) = L1 + L2 x →c basta provare che 196 x→c ( f1 (x) + f2(x) ) − (L1 + L2) → 0 ma ciò è immediato appena si pensi che è ( f1 (x) + f2(x) ) − (L1 + L2) = ( f1 (x) −L1) + ( f2(x) − L2) che risulta x→c f1 (x) − L1 → 0 x→c e f2 (x) − L2 → 0 e che la somma di due finitesimi è un in finitesimo ( v. Prop. 6.11)) . Proposizione 9.11) . Siano f1 , f2 , . . . , fn funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione di D . Allora , se f1 , f2 , . . . , fn sono tutte convergenti per x→c , avendosi lim f h ( x ) = Lh x →c con Lh ∈ R , ∀ h ∈{ 1 , 2 , … , n} , risulta che anche la funzione prodotto delle funzioni in questione f1 f2 . . . fn è convergente per x→c , avendosi inoltre che lim f1 ( x ) f 2 ( x )... f n ( x ) = L1 L2 ...Ln x →c formula che si può rendere in forma più compatta come segue 197 n n 1 1 lim ∏ h f h ( x ) = ∏ h lim f h ( x ) x →c x →c e dà luogo all’enunciato ben noto il limite del prodotto di funzioni convergenti è il prodotto dei limiti DIM. Anche qui consideriamo il caso di due funzioni : il Lettore potrà facil mente generalizzare . Per provare che risulta lim f1 ( x ) f 2 ( x ) = L1 L2 x →c basta dimostrare che si ha x→c ( f1(x) f2(x) − L1 L2) → 0 : si pensi allora che valgono le uguaglianze f1(x) f2(x) − L1 L2 = f1(x) f2(x) − f1(x) L2 + f1(x) L2 − L1 L2 = = f1(x) ( f2(x) − L2) + ( f1(x) − L1 ) L2 , e che per le ipotesi risulta , da un lato , che x→c x→c f1(x) − L1 → 0 f2(x) − L2 → 0 , e e , dall’altro , che f1 ed L2 ( questa seconda pensata come funzione costante ) risultano entrambe convergenti per x → c , la prima ad L1 , la seconda a L2 : 198 si può quindi applicare alle funzioni prodotto f1(X) ( f2(X) − L2) e ( f1(X) − L1 ) L2 la Prop. 8.11) , la quale assicura che sono entrambe infinitesimi per x → c : infinitesimo per x→c sarà dunque anche la loro somma sicché risulterà lim f 1 ( x ) f 2 ( x ) − L1 L2 = 0 x →c donde la conclusione .C.V.D. Conseguenza immediata della Prop 9.11) è la seguente Proposizione 10.11) Se f è una funzione convergente per x → c avendosi lim f ( x ) = L x →c e h è un qualsiasi numero reale , allora per la funzione hf detta prodotto di h per f definita ponendo ( h f ) (x) = h f (x) , ∀ x ∈ D( f ) , si ha che h f è convergente per x → c , e che risulta 199 lim ( hf )( x ) = hL = h lim f ( x ) x →c x →c DIM. Basta pensare h come una funzione costante , convergente ad h per x→c , e applicare appunto Prop. 9.11) . Proposizione 11.11) . Siano f1 e f2 funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione di D . Allora , se f1 e f2 sono entrambe convergenti per x → c , con lim f1 ( x ) = L1 x →c ∧ lim f 2 ( x ) = L2 x →c anche la loro differenza f1 − f2 è convergente per x → c , avendosi inoltre lim f1 ( x ) − f 2 ( x ) = L1 − L2 = lim f1 ( x ) − lim f 2 ( x ) x →c x →c x →c formula tradotta in parole con il limite della differenza di funzioni convergenti è la differenza dei limiti DIM. Si pensi f1 − f2 come somma di f1 e di (−1) f2 : al Lettore i particolari. Proposizione 12.11) . Sia f una funzione convergente per x → c avendosi lim f ( x ) = L ≠ 0 x →c vale a dire che f converge per x→c , ma non è un infinitesimo per x → c , 200 allora esiste un intorno I(c) di c tale da aversi x ∈ I(c) ∩ D( f ) − {c} ⇒ f (x) ≠ 0 sicché si può considerare nell’insieme D’ = I(c) ∩ D( f ) − {c} la funzione reciproca della f 1 f e tale , inoltre , che 1 questa funzione f risulti limitata in D’ = I(c) ∩ D( f ) − {c} DIM. Poiché L≠0 supponiamo , per fissar le idee , che sia L>0 si scelga allora per intorno circolare di L un intervallo I(L; ε) = ] L−ε , L+ε [ in modo che risulti 0 < L−ε < L < L+ε ; per l’ipotesi lim f ( x ) = L x →c 201 in corrispondenza ad I(L; ε) esiste un intorno I(c) di c tale da aversi x ∈ I(c) ∩ D( f ) − {c} ⇒ L−ε < f (x) < L+ε : ora , essendo 0 < L−ε < f (x) < L+ε passando ai reciproci dei membri delle due ultime disuguaglianze , si ottiene la seguente , valida per ogni x ∈ I(c) ∩ D( f ) − {c} , 1 1 1 < < L+ε f ( x) L − ε donde la facile conclusione . C.V.D. Proposizione 13.11) . Sia f una funzione convergente per x → c avendosi lim f ( x ) = L ≠ 0 x →c vale a dire che f converge per x→c , ma non è un infinitesimo per x → c , allora , se I(c) è un intorno di c tale da aversi che in D’= I(c) ∩ D( f ) − {c} la funzione reciproca della f 1 f esiste e risulta limitata (v. Prop.12.11)) si può dire che tale funzione è convergente per x → c , e per di più che si ha 202 lim x →c 1 1 1 = = f ( x ) L lim 1 x →c f ( x ) DIM. Basta provare che 1 1 x →c − →0 f ( x) L Allo scopo osserviamo che vale l’uguaglianza , per ogni x ∈ D’ , 1 1 1 −1 − = ( ( f ( x ) − L )) f ( x) L f ( x) L e, per cose già viste , che il Lettore può precisare , si ha che x →c −1 ( f ( x) − L) → 0 L mentre in D’ 1 f si mantiene limitata : applicando allora Prop. 7.11) si ottiene subito la conclu sione voluta. C.V.D. Proposizione 14.11) . Siano f1 e f2 funzioni aventi lo stesso dominio D , e c sia un punto di accumulazione di D . Allora , se f1 e f2 sono entrambe convergenti per x → c , con lim f1 ( x ) = L1 x →c ∧ lim f 2 ( x ) = L2 x →c 203 e inoltre si ha che L2 ≠ 0 ristretta a un opportuno intorno di c si può considerare la funzione f1 f2 la quale risulta convergente per x → c , avendosi inoltre f1 ( x ) f1 ( x ) L1 lim x →c = = lim x →c f ( x ) L lim f 2 ( x ) 2 2 x →c formula tradotta in parole con il limite del quoziente di funzioni convergenti è il quoziente dei limiti naturalmente essendo sottointeso che il funzione denominatore del quoziente non deve essere un infinitesimo vale a dire che si ha lim f 2 ( x ) ≠ 0 x →c DIM. Basta provare che f1 ( x ) L1 x→c − →0 f 2 ( x ) L2 e questo si ottiene considerando le uguaglianze , valide in un opportuno intorno di c ( v. Prop.13.11)) , f1 ( x ) L1 f ( x ) L2 − f 2 ( x ) L1 f ( x ) L2 − L1 L2 + L1 L2 − f 2 ( x ) L1 − = 1 = 1 = f 2 ( x ) L2 f 2 ( x ) L2 f 2 ( x ) L2 204 = ( f1 ( x ) − L1 ) L2 + L1 ( L2 − f 2 ( x )) 1 1 = ( ( f1 ( x ) − L1 ) L2 + L1 ( L2 − f 2 ( x )))) f 2 ( x ) L2 f 2 ( x ) L2 e tener presente ( il Lettore precisi) che 1 f 2 ( x ) si mantiene limitato nell’intorno considerato di c e che x →c 1 ( f1 ( x ) − L1 ) L2 + L1 ( L2 − f 2 ( x )) → 0 L2 da cui la conclusione . Proposizione 15.11) . Sia f una funzione , di dominio D , e c sia un punto di accumulazione di D . Allora , se f è convergente per x → c , avendosi lim f ( x ) = L x →c con L∈R anche la funzione ⎢f ⎢, valore assoluto di f , è convergente per x → c è risulta inoltre che x→c ⎢f ⎢(x) = ⎢f (x) ⎢ → ⎢L ⎢ a parole si dice che il limite del valore assoluto di una funzione convergente è il valore assoluto del suo limite DIM. E’ lasciata per esercizio al Lettore . 205 Osservazione importante 1.11) . In base ai teoremi sui limiti sopra considerati se esistono finiti i limiti di due funzioni f e g esistono finiti anche i limiti delle funzioni f+g , f−g , fg , f g nel caso del quoziente , come precisato in Prop. 12.11) , dovendosi supporre che la funzione g non sia un infinitesimo ; si deve però , a questo proposito , sottolineare il fatto che non valgono affatto i teoremi inversi di quelli sopra enunciati : e precisamente , può benissimo darsi , ad esempio , che esista finito il limite di f + g senza che esistano finiti i limiti di f e di g e così pure per gli altri casi della differenza , del prodotto e del quoziente . Si aggiunge a questo il fatto che può darsi che esista finito il limite del valore assoluto | f (x) | di f senza che esista finito il limite di f Tutte questi casi saranno presi in considerazione in sede di esercitazione . Paragrafo 3.11) . Limite di una funzione composta . Poiché la maggior parte delle funzioni oggetto dell’Analisi sono 206 funzioni composte risulta molto importante il loro comportamento di fronte all’operazione di limite . Ne trattiamo quindi in una proposizione dedicata . Proposizione 16.11) . Sia data la funzione composta h=gof di prima componente la funzione f e seconda componente la funzione g ; sia poi c un punto di accumulazione ( eventualmente anche infinito) di D( h ) = D( f ) . Supponiamo soddisfatte le condizioni seguenti : 1) esiste il limite di f per x → c , avendosi lim f ( x ) = l x→c ove l può essere finito o infinito ; 2) esiste il limite di g per y → l , avendosi lim g ( y ) = L y →l ( l’elemento corrente in D( g) è qui denotato con y per maggior chia rezza ; va detto inoltre che L può essere anche infinito ) ; 3) esiste un intorno I di c tale da aversi x ∈ D( f ) ∩ I − {c} ⇒ f (x) ≠ l ; 207 in tali ipotesi si ha che la funzione composta h = g o f ha per limite L per x → c : lim h( x ) = lim g ( f ( x )) = L x→c x→c DIM. Per provare la tesi si scelga un intorno qualsiasi I(L) di L : si tratta di provare che , in corrispondenza a I(L) , esiste un intorno I(c) di c tale da aversi x ∈ D(h) ∩ I(c) − {c} ⇒ h (x) = g( f (x)) ∈ I(L) Ora , per l’ipotesi lim g ( y ) = L y →l in corrispondenza ad I(L) esiste un intorno I(l) di l tale da aversi y∈ D(g) ∩ I(l) − {l} } ⇒ g( y) ∈ I(L) ; ma per l’ipotesi lim f ( x ) = l x→c in corrispondenza all’intorno I(l) di l esiste un intorno 208 I′(c) di c tale da aversi x ∈ D(f ) ∩ I′(c) − {c} ⇒ f (x) ∈ I(l) : posto allora I(c) = I′(c) ∩ I I(c) è ancora un intorno di c , contenuto però in I sicché la funzione f , calcolata in un punto qualunque x di D(f ) ∩ I(c) − {c} non assumerà mai il valore l , e questo per la condizione assunta 3) ; si è così trovato l’intorno cercato di c , ed è proprio l’ I(c) = I′(c) ∩ I , per il quale , tenuto conto di tutto quanto detto , del fatto che risulta ovvia mente D(h ) = D(f ) , e infine che certo si ha Im( f ) ⊆ D(g) , sussistono le implicazioni x ∈ D(f ) ∩ I(c) − {c} ⇒ f (x) ∈ D(g) ∩ I(l) − {l} ⇒ ⇒ g( f (x)) = h (x) ∈ I(L) , donde la facile conclusione . C.V.D. 209 Paragrafo 4.11) . Limiti delle funzioni monotòne . Definizione 2.11) . Una funzione , definita in un insieme A , sottoinsieme del suo dominio D , si dice monotòna crescente in A se vale l’implicazione x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) ≤ f (x2) ; si dice monotòna crescente in senso stretto in A se vale l’implicazione x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) < f (x2) ; si dice monotòna decrescente in A se vale l’implicazione x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) ≥ f (x2) ; si dice monotòna decrescente in senso stretto in A se vale l’implicazione x1∈A ∧ x2∈A ∧ x1 < x2 ⇒ f (x1) > f (x2) ; Le funzioni monotòne dei vari tipi hanno notevoli proprietà per quanto riguarda i loro limiti delle quali tratteremo qui di seguito . Teorema 7.11) . Il dominio D della funzione f abbia il punto c ( eventual mente anche +∞ ) come punto di accumulazione sinistra ; in tal caso se esiste un intorno sinistro di c Is(c) tale che in A = Is(c) ∩ D − {c} f risulta monotòna crescente (decrescente) 210 allora si può affermare che certamente esiste il lim f ( x ) = L x →c − e precisamente risulta che L è l’estremo superiore (inferiore) dell’insieme Im( fA) DIM. Prendiamo il caso di f crescente : l’altro caso si tratta in modo del tutto analogo . Sia E = sup( fA ) (= sup(Im( fA)) : si tratta di dimostrare che risulta lim f ( x ) = E x →c − A tale scopo si scelga un qualunque intorno I(E) di E : si deve trovare in corris pondenza un intorno sinistro I(c) di c tale da aversi x ∈ I(c) ∩ D − {c} ⇒ f (x) ∈ I(E) Se , ad esempio , E è un numero reale , si può scegliere I(E) = ] E − ε , E + ε ] Essendo E−ε < E per la seconda proprietà dell’estremo superiore esiste un elemento dell’insieme Im( fA)) , e sia y1 , tale che risulti E − ε < y1 ≤ E ; 211 se x1 è un elemento di A tale che f (x1) = y1 , certamente risulta x1 < c ; posto allora δ = c − x1 ( > 0 ) , sia I(c) = Is(c) ∩ ] c − δ = x1 , c ] : I(c) è un intorno sinistro di c , per il quale vale la seguente catena di implica zioni x ∈ I(c) ∩ D − {c} ⇒ y1 = f (x1) ≤ f (x) ⇒ ⇒ E − ε < y1 = f (x1) ≤ f (x) ≤ E ⇒ f (x) ∈ I(E) la disuguaglianza f (x1) ≤ f (x) essendo dovuta al fatto che fA è monotona crescente in A , mentre la f (x) ≤ E è dovuta alla prima proprietà dell’estremo superiore E di Im( fA) , donde la conclusione , ormai facile . C.V.D. Il Lettore prenda in considerazione anche il caso in cui sia E = +∞ , oltre al ca so della decrescenza di f . Si ha naturalmente un enunciato simmetrico al precedente in Teorema 8.11) . Il dominio D della funzione f abbia il punto c ( eventual mente anche −∞ ) come punto di accumulazione destra ; in tal caso se esiste un intorno destro di c Id(c) tale che in A = Id(c) ∩ D − {c} f risulta monotòna crescente (decrescente) 212 allora si può affermare che certamente esiste il lim f ( x ) = L x →c − e precisamente risulta che L è l’estremo inferiore (superiore) dell’insieme Im( fA) Non ci addentreremo nella dimostrazione di quest’altro risultato : gli esempi in sede di esercitazione lo illustreranno ampiamente , come del resto anche que sta conseguenza dei due teoremi precedenti sulle funzioni monotòne . Proposizione 17.11). Se f è una funzione definita in un intervallo I , limitato o illimitato , ed f è in I monotòna allora , per ogni punto c ∈ I , si ha che f ammette finiti sia il limite sinistro che quello destro per x → c e precisamente si ha che f ( x ) ≤ f (c) ≤ lim f ( x ) f crescente in I ⇒ xlim →c x →c − + e che f ( x ) ≥ f (c) ≥ lim f ( x) f decrescente in I ⇒ xlim →c x →c − + il numero lim f ( x ) − lim− f ( x ) x →c + x →c 213 prende il nome di salto di f in c ed è non negativo se f è crescente , non positivo se f è decrescente Adeguate esemplificazioni in sede di esercitazione . Paragrafo 5.11) . Due limiti fondamentali . Di grande importanza per l’Analisi delle funzioni è il calcolo dei seguenti due limiti : sin x x→0 x 1°) lim 2°) 1 lim (1 + ) x x →∞ x e sicché affideremo il loro calcolo a due specifiche Preoposizioni . Proposizione 18.11). Se sin x significa il seno dell’angolo la cui misura in radianti è x allora risulta sin x =1 x →0 x lim 214 DIM. Dimostriamo prima che si ha la [∗] lim+ x →0 sin x =1 x il Lettore si riferisca in proposito alla F. 3.11) . In un intorno destro abbastanza piccolo dello 0 , 0 escluso , valgono le seguenti disuguaglianze sin x < x < tg x dividendo le quali per sin x , che è positivo , si ottengono queste altre x 1 1< < sin x cos x : passando ai reciproci di questi numeri positivi si ottengono infine le cos x < sin x < 1; x come dimostrato a suo tempo per la funzione coseno si ha che lim cos x = 1 x →0 sicché per ottenere la [∗] basta applicare il Teorema del confronto , inter pretando 1 come funzione costante , avente quindi 1 come limite per x→ 0 . La dimostrazione poi che vale anche la [∗∗] lim− x →0 sin x =1 x è ottenuta considerando che , nell’intorno sinistro dello 0 , 0 escluso la funzione h il cui valore è dato , per x < 0 , da 215 sin x x si può interpretare come funzione composta : precisamente di prima componente la funzione f definita ponendo , per ogni x > 0 , f (x) = − x e di seconda componente la funzione g definita ponendo , per ogni y>0, sin y g (y) = y infatti , per definizione di funzione composta , si ha , per ogni x < 0 , h (x) = (g o f )(x) = g(f (x)) = − sin( x ) sin x sin( − x ) = (− x) − ( x) = x : poiché , se x tende a 0 da sinistra , f tende a 0 da destra , e g tende a 1 da destra per la [∗] sopra ottenuta , la [∗∗] può dirsi dimostrata applican il teorema del limite di una funzione composta . Donde la conclusione .C.V.D. Osservazione 2.11). Il limite sin x =1 x →0 x lim risulterà essenziale per il calcolo delle derivate delle funzioni goniometriche e delle loro inverse , le funzioni circolari . E’ opportuno premettere alla Prop. nella quale si calcolerà il limite 216 1 lim (1 + ) x x →∞ x il seguente Lemma 1.11). La successione di termine generale 1 (1 + ) n n risulta strettamente crescente e (superiormente) limitata : ne segue che essa converge all’estremo superiore dell ’insieme dei suoi valori , che un numero compreso tra 2 e 3 , detto il “ numero e “ . DIM. Il termine generale della successione è suscettibile di una interpreta di tipo finanziario , dalla quale apparirà chiaro il suo carattere stret mente crescente ; il fatto che sia anche superiormente limitata è più laborioso da ottenere , e non ce ne occuperemo in dettaglio . La rappresentazione decimale del numero e , per le prime cifre ,è la se guente e = 2 , 7182818284590352 ... : si tratta di un numero irrazionale ( prima dimostrazione di Eulero , del cui nome il numero e è l’iniziale) . Conseguenza del Lemma precedente è la Proposizione 19.11). Risulta 1 lim (1 + ) x = e x →∞ x 217 DIM. Per ogni numero x ≥ 1 , sia Floor(x) =[x] la sua parte intera ( il più grande intero minore o uguale a x ) : allora , per ogni x tale che risulti n ≤ x < n+1 , con n ∈ N , si hanno le eguaglianze seguenti (1 + 1 n 1 [x ] ) = (1 + ) [x ] + 1 n +1 e 1 1 (1 + ) n +1 = (1 + )[ x ]+1 [x ] n mentre dalla n ≤ x < n+1 stessa derivano successivamente le 1 1 1 < < n +1 x n 1+ (1 + , 1 1 1 < 1+ < 1+ n +1 x n , 1 n 1 1 ) < (1 + ) x < (1 + ) n+1 n +1 x n ; quindi , per le uguaglinze sopra stabilite , si hanno le disuguaglianze (1 + 1 [x ] 1 1 ) < (1 + ) x < (1 + )[ x ]+1 [x ] + 1 [x ] x valide per ogni x ≥ 1 : tenuto conto del Lemma 1.11) , del Teorema del confronto , e del fatto , di dimostrazione agevole , che risulta lim (1 + n→+∞ 1 n 1 1 ) = lim (1 + ) n+1 = lim (1 + ) n n→+∞ n→+∞ n +1 n n si può affermare intanto che è provata la 218 1 lim (1 + ) x = e x → +∞ x Per concludere resta da provare che risulta pure 1 lim (1 + ) x = e x →−∞ x e questo è lasciato per esercizio al Lettore . Osservazione 3.11). Il limite 1 lim (1 + ) x = e x→∞ x si rivelerà essenziale per il calcolo delle derivate delle funzioni esponenziali e delle loro inverse , le funzioni logaritmiche . Osservazione importante 4.11). I due limiti sin x x→0 x lim e 1 lim (1 + ) x = e x →∞ x appartengono a quei limiti che vengono detti di forma indeterminata : nel caso del primo , si tratta del limite di una funzione quoziente di due infinitesimi simultanei ; nel caso del secondo , si tratta del limite di una funzione di tipo esponenziale in cui la base tende a 1, mentre l’esponente tende a ∞ ; è costume diffuso indicare il primo tipo di limite con il simbolo 0 0 e il secondo con il simbolo 1∞ 219 ma con questo non si intende attribuire a questi simboli nessun significato di operazioni algebriche si tratta cioè di comode convenzioni per indicare in breve problemi di limiti di forma indeterminata questo attributo applicandosi a quei limiti che non possono essere calcolati applicando qualcuno dei teoremi dimostrati a loro proposito , ma richiedono per il loro calcolo accorgimenti appositi e diversi di volta in volta , come si è chiaramente visto nei due casi esaminati sopra . Elenchiamo qui di seguito i tipi di limiti di forma indeterminata , o di indecisione : 0 ∞ ; ; 0 ⋅ ∞ ; +∞ − (+∞) ; −∞ − (−∞) ; ∞0 ; 1∞ ; 00 ; 0 ∞ log0 ∞ ; log0 0 ; log∞0 ; log11 . Il motivo dell’attributo “ di forma indeterminata “ è conseguenza del fatto che , a priori , nulla può essere detto circa questi tipi di limiti : può cioè darsi che un tale limite esista , oppure non esista , e , nel caso che esista , può essere finito , come infinito (dei vari tipi) : ognuno deve essere tratta to a parte , con accorgimenti che solo l’esperienza può suggerire . La casistica è molto ampia , e sarà naturalmente oggetto di dettagliate esem plificazioni in sede di esercitazione . 220 CAPITOLO XII LE FUNZIONI CONTINUE Paragrafo 1.12). Nozione generale di continuità . Definizione 1.12). Sia data una funzione f:D→C e x0 sia un punto del suo dominio D : f si dice continua in x0 nei due casi seguenti : 1) x0 è un punto isolato di D ; 2) x0 è un punto di accumulazione per D e si ha che lim f ( x) = f ( x0 ) x → x0 vale a dire se f risulta convergente per x→ x0 e il suo limite coincide con il suo valore f (x0) in x0 : nel secondo caso la definizione equivale ad affermare che risulta lim f ( x) − f ( x0 ) = 0 x→ x0 221 ovvero che si ha x → x0 f ( x ) − f ( x0 ) → 0 Se A è un sottoinsieme del dominio D di f tale che f risulta continua in ogni punto di A , si dirà che f è continua in A in particolare f può essere continua in ogni punto del suo dominio D . Nel caso in cui x0 è punto di accumulazione destra per D e risulta inoltre che lim f ( x) = f ( x0 ) x→ x0+ si dice che f è continua da destra in x0 e , simmetricamente , se si ha che x0 è punto di accumulazione sinistra per D e risulta inoltre che lim f ( x) = f ( x0 ) x→ x0− si dice che f è continua da sinistra in x0 Osservazione importante 1.12). Poiché la continuità di una funzione consiste nel fatto che si ha 222 lim f ( x) = f ( x0 ) x → x0 basandosi sulla definizione di limite , tale fatto consiste in quanto segue : fissato un qualunque numero ε > 0 , esiste un numero δ > 0 tale da aversi x∈ I(x0 , δ) ∩ D − {x0} ⇒ f (x) ∈ I(f (x0) , δ) Ora , poiché in ogni caso certamente f (x0) ∈ I(f (x0) , δ) , l’esclusione di x0 nel caso della continità non è più necessaria Paragrafo 2.12). Proprietà principali delle funzioni continue . Semplici applicazioni dei teoremi sui limiti , di cui si è ampiamente trattato nel Cap. XI , consentono di formulare la seguente Proposizione 1.11). La somma e il prodotto di un numero finito qualsiasi di funzioni continue risultano funzioni continue ; la differenza e il quoziente di due funzioni continue risultano funzioni continue con l’unica condizione , nel caso del quoziente , è che la funzione divisore non sia nulla in alcuno dei punti considerati Il Lettore può verificare facilmente tutto l’enunciato . Avvertenza 1.12). La continuità delle cosiddette funzioni elementari , come le funzioni costanti , la variabile indipendente X , le funzioni razionali intere dette anche “ polinomi ” , le funzioni razionali fratte (ovunque non si annul 223 li il denominatore) , le funzioni goniometriche , esponenziali , logaritmiche , le funzioni “ potenza ” , tra le quali i “ radicali ”, ecc . . . saranno oggetto di verifica in sede di esercitazione Ci occuperemo invece esplicitamente della continuità delle funzioni composte Proposizione 2.12). Siano date due funzioni f:D→C e g : D’→ C’ con la condizione di componibilità f (D) ⊆ D’ Se , allora , x0 è un punto di D nel quale la funzione f è continua , e la funzione g è continua nel punto f (x0) , ne segue che la funzione composta gof è continua nel punto x0 . DIM. Si tratta di dimostrare che risulta lim g ( f ( x)) = g ( f ( x0 )) x→ x0 partendo dalle ipotesi lim f ( x) = f ( x0 ) e x → x0 lim g ( f ( x)) = g ( f ( x0 )) x→ x0 A questo scopo scegliamo un qualsiasi numero ε > 0 , che definisce l’intorno I(g( f (x0)) , ε) di g( f (x0)) : poiché risulta lim g ( f ( x)) = g ( f ( x0 )) x→ x0 224 esiste un numero γ > 0 tale da aversi ( v. Oss. 1.11)) 1.12) y ∈ I(f (x0) , γ) ∩ D’ ⇒ g(y) ∈ I(g( f (x0)) , ε) ; d’altra parte , in corrispondenza al numero γ > 0 , che determina l’ intorno I(f (x0) , γ) di f (x0) poiché si ha anche lim f ( x) = f ( x0 ) , x → x0 esiste un numero δ > 0 tale da aversi ( v. sempre Oss.1.11)) x∈ I(x0 , δ) ∩ D ⇒ f (x) ∈ I(f (x0) , γ) : ma , allora , tenendo presente la 1.12) , risulta valere la catena di implicazioni x∈ I(x0 , δ) ∩ D ⇒ f (x) ∈ I(f (x0) , γ) ⇒ g(f (x)) ∈ I(g( f (x0)) , ε) donde la conclusione , ormai facile . C.V.D. Per trattare ora delle proprietà di una funzione continua definita in un intervallo I che può essere aperto , chiuso , o semiaperto , limitato , o illimitato , si devono premettere alcuni risultati a proposito della “ topologia del corpo reale R “ . Teorema 1.12). (Teorema di Cantor) Se I1 = [ a1 , b1] , I2 = [ a2 , b2] , . . . , In = [ an , bn] , . . . 225 è una famiglia ( “ successione ” ) di intervalli chiusi e limitati , ciascuno dei quali contiene il successivo ( intervalli “inscatolati “) , allora si ha che l’insieme intersezione di tutti questi intervalli è non vuoto, si ha cioè +∞ ℑ = I1 ∩ I2 ∩ I3 ∩ . . . ∩ In ∩ . . . = I n In ≠ ∅ ; 1 per di più si hanno due possibilità : 1a) ℑ è un intervallo chiuso e limitato [ a , b ] ; 2a) ℑ è un insieme costituito da un solo punto−numero , questa seconda situazione verificandosi esattamente quando la successione delle misure degli intervalli della successione b1 − a1 , b2 − a2 , . . . , bn − an , . . . risulta infinitesima DIM. Basta considerare le due successioni 2.12 a1 , a2 , . . . , an , . . . 3.12 b1 , b2 , . . . , bn , . . . : e la 2.12 risulta non decrescente e superiormente limitata , quindi 2.12 è convergente , e sia lim a n = a n → +∞ con ( v. proprietà delle funzioni monotòne) 226 an ≤ a , ∀ n ∈ N ; la 3.12 risulta non crescente e inferiormente limitata , quindi 3.12 è convergente , e sia lim bn = b n→+∞ con ( v. proprietà delle funzioni monotòne) b ≤ bn , ∀ n ∈ N ; ne segue facilmente che si avrà an ≤ a ≤ b ≤ bn , ∀ n ∈ N , e di qui l’ovvia conclusione . Il Lettore implementi e precisi . Dal teorema di Cantor discende il seguente risultato molto importante Teorema 2.12). (Teorema di Bolzano) Ogni insieme A di numeri reali che sia limitato e infinito ammette almeno un punto di accumulazione DIM. Sia A ⊆ I= [ a , b ] , con a , b ∈ R . Si divida I1 in due intervalli di uguale lunghezza I1,1 = [a , risulta a+b ] 2 e I1,2 = [ a+b , ponendo 2 a+b , b] 2 I1 = I1,1 ∪ I1,2 : 227 almeno uno dei due intervalli I1,1 , I1,2 deve contenere un numero infinito di elementi di A , e si ponga allora I1 = [ a1 , b1] quello dei due , ad esempio , che si trova “ più a sinistra “ ; la lunghezza di la lunghezza di I1 è uguale a b1− a1 = b−a b−a = 1 2 2 e I1 e contiene infiniti elementi di A A questo punto il procedimento si ripete , suddividendo I1 in due intervalli di uguale lunghezza e ponendo I2 = [ a2 , b2] quello dei due che contiene infiniti elementi di A e si trova “ più a sinistra dei due” : la lunghezza di I2 è uguale a b2− a2 = b−a b−a = 2 4 2 ecc... : si costruisce così la successione di intervalli chiusi e inscatolati I1 , I2 , . . . , In , . . . b−a ; 2n ci troviamo nelle ipotesi del teorema di Cantor , e precisamente nella seconda delle due possibilità , essendo ovviamente la lunghezza dell’ n−esimo dei quali , In , è bn− an = b−a =0 n→ +∞ 2 n lim quindi l’intersezione 228 +∞ ℑ = I1 ∩ I2 ∩ I3 ∩ . . . ∩ In ∩ . . . = I n In = {c} 1 ove c è un opportuno punto dell’intervallo I che risulta un punto di accumulazione per l’insieme A : infatti , ogni suo intorno circolare ( v. F. 1.12) I(c, ε) contiene ogni In della successione sopra costruita , non appena risulti mis(In) = b−a <ε 2n il che accade per n > N , ove N è un opportuno intero positivo , atteso che b−a =0 n→ +∞ 2 n lim per la precisione basta che sia b−a ) +1 ε ove Floor è la funzione “parte intera di ” : stabilito ciò è chiaro che n > Floor( log 2 I(c, ε) contiene infiniti punti di A , poiché ogni In ne contiene infiniti donde la conclusione , ormai facile. L’importanza del teorema di Bolzano si rivela per la sua conseguenza di fondamentale rilievo costituita dal seguente Teorema 3.12). (Teorema di Weierstrass) . Se f è una funzione definita e continua in un insieme D , chiuso e limitato , 229 in D f è limitata e assume in D minimo e massimo assoluti In particolare D può essere un intervallo chiuso e limitato I = [ a , b ]. DIM. Supposto , per semplicità , che sia D = I = [ a , b ] , si dimostra per prima cosa che f risulta in D ( superiormente e inferiormente ) limitata . Quindi , posto , ad esempio , E = sup( f ) si costruisce ( v. F. 2.12) una successione di punti di I = [ a , b ] , a due a due distinti , x1 , x2 , . . . , xn , . . . tale che risulti 4.12) lim f ( xn ) = E n → +∞ Il sottoinsieme di I = [ a , b ] , infinito e limitato , per il Teorema di Bolzano , A = { xn , ∀ n ∈ N} per il Teorema di Bolzano , ammette un punto di accumulazione c : facilmente allora si costruisce una sottosuccessione di A = { xn , ∀ n ∈ N} xh1 , xh2 ,..., xhm ,... tale che m → +∞ xh1 , xh2 ,..., xhm ,... → c Per la continuità di f si avrà , da un lato , 230 m→ +∞ f ( xh1 ), f ( xh2 ),..., f ( xhm ),... → f (c ) dall’altro , per la 4.12 , si ha però anche m→+∞ f ( xh1 ), f ( xh2 ),..., f ( xhm ),... → E : quindi risulta , per l’unicità del limite , f (c) = E sicché E è il massimo assoluto di f in I = [ a , b ] . Per il minimo assoluto il ragionamento è del tutto analogo . Sussiste un risultato fondamentale a proposito di funzioni continue , che pe rò ci limiteremo ad enunciare e a commentare in sede di esercitazione, data la ristrettezza del tempo a disposizione del corso : Teorema 4.12). (Teorema dei valori intermedi). Se f è una funzione definita e continua in un intervallo I ( limitato o illimi tato , chiuso , aperto , o semiaperto ) f assume in I tutti i valori compresi fra inf( f ) e sup( f ) in particolare , se I è chiuso e limitato , si ha che , detti m = min( f ) e M = max( f ) il minimo assoluto e il massimo assoluto di f in I risulta Im( f ) = [ m , M ] : così una funzione continua 231 trasforma un intervallo chiuso e limitato in un intervallo chiuso e limitato assumendo almeno una volta ogni valore compreso fra m e M Di un’ altra notevole proprietà delle funzioni continue tratta il seguente Teorema 5.12) . Se f è una funzione definita e continua in un intervallo chiuso e limitato I=[a,b] ed è in I invertibile , la sua funzione inversa f −1 risulta anch’essa continua in Im( f ) Osservazione 2.12). E’ importante notare come l’inversa di una funzione f continua e invertibile può non risultare continua se il dominio di f non è un intervallo Paragrafo 3.12). Classificazione dei punti di discontinuità . Definizione 2.12) . Se f : D → C è una funzione e , c è un punto di accumu lazione per D , e si verifica uno o l’altro dei seguenti casi A) c ∈ D , ma f non è continua in c , vale a dire quando è falso affermare che f converge a f (c) per x → c ( potendo esistere o non esistere il limite di f per x → c ) ; B) f non è definita in c . 232 I punti di discontinuità di una funzione vengono classificati secondo il seguente schema (ogni caso sarà adeguatamente illustrato in sede di eser citazione) . 1°) Punti di discontinuità di prima specie . Si dice che nel punto c la funzione f ha una discontinuità di prima specie se esistono finiti in il limite destro e quello sinistro di f per x → c e questi due limiti risultano diversi fra loro e , in tal caso , se si ha lim f ( x ) ≠ lim− f ( x ) x →c + x →c il numero s = lim+ f ( x ) − lim− f ( x ) x →c x →c prende il nome di salto di f in c e può essere chiaramente sia positivo che negativo ; 2°) Punti di discontinuità di seconda specie . Si dice che nel punto c la funzione f ha una discontinuità di seconda specie se in c uno almeno dei due limiti lim f ( x ) x →c + , lim f ( x ) x →c − 233 risulta infinito , oppure non esiste : per la precisione , con la locuzione , per esempio , “ non esiste “ il lim f ( x ) x →c + si deve intendere qui che c è punto di accumulazione destra per D ma la funzione f non ammette limite per x → c+ 3°) Punti di discontinuità di terza specie , detta anche “ eliminabile “ . Si dice che nel punto c la funzione f ha un punto di discontinuità di terza specie , oppure di discontinuità “ eliminabile “ , se esiste finito il limite lim f ( x ) x→c ma , o la funzione f non è definita nel punto c , pur esistendo f (c) , risulta però lim f ( x ) ≠ f (c ) x →c Osservazione 3.12). L’attributo “ eliminabile “ , nel 3°) caso , è dovuto al fatto che è sufficiente modificare la funzione semplicemente attribuendole in c per definizione il valore lim f ( x ) x→c 234 per ottenere una funzione continua in c : la funzione così ottenuta differisce dalla f di partenza solo in c , o essendovi definita , mentre f non lo era , oppure avendo solo in c un valore diverso da quello di f , ed essendole identica ovunque altrove . 235 CAPITOLO XIII DERIVATE DELLE FUNZIONI DI UNA VARIABILE Paragrafo1.13). Il concetto di derivata prima di una funzione . Definizione 1.13). Sia f : D → C una funzione , e x0 un punto del suo dominio D che sia anche punto di accumulazione per D : la funzione R[ x0] : D − { x0} → R definita ponendo f (x) − f (x0 ) R[ x0](x) = x − x0 prende il nome di rapporto incrementale della funzione f nel punto x0 , o in x0 . Se risulta che cioè il rapporto incrementale di f in x0 converge per x → x0 se esiste finito il limite si pone lim x→ x0 lim x→x0 f (x) − f (x0 ) , x − x0 f ( x) − f ( x0 ) = f ' ( x0 ) x − x0 236 e tale numero prende il nome di derivata prima , o 1a , della funzione f nel punto x0 , o in x0 : si dice in tal caso che la funzione f è derivabile in x0 . L’attributo “ prima “ viene di norma sottointeso se il contesto non richie de altrimenti ( per distinguere derivate di vari ordini ) . Osservazione 1.13). Se , per ogni x appartenente al dominio di f e tale che sia x ≠ x0 , si pone h = x − x0 il rapporto incrementale di f in x0 si può esprimere nella forma f (x0 +h) − f (x0 ) h e, poiché , se x → x0 , h = x − x0 → 0 , il limite del rapporto incrementale si può calcolare anche come lim h→0 f ( x0 + h) − f ( x0 ) h Dimostriamo subito un risultato assai importante in Teorema 1.13). Se una funzione f è derivabile in x0 , allora si ha che di conseguenza f è continua in x0 , vale cioè l’implicazione f è derivabile in x0 ⇒ f è continua in x0 ; ma , si badi bene , 237 non vale in generale l ’implicazione inversa vale a dire che una funzione può essere continua in un punto ma non essere in quel punto derivabile come gli esempi in proposito confermeranno . DIM. f è per ipotesi derivabile in x0 , quindi risulta 1.13) lim x→ x0 f ( x) − f ( x0 ) = f ' ( x0 ) x − x0 Costruiamo allora la funzione H : D −{ x0} → R , ponendo 2.13) h( x) = f ( x) − f ( x0 ) − f ' ( x0 ) x − x0 che , per l’ipotesi 1.13) , è un infinitesimo per x → x0 : da 2.13) segue che vale in tutto D −{x0} l’uguaglianza 3.13) f (x) − f (x0) = ( h(x) + f ′( x0)) ( x− x0) e questa basta per concludere che risulta 4.13) in quanto si ha che lim f ( x) − f ( x0 )) = 0 x→ x0 lim x − x0 = 0 x→ x0 e anche che 238 lim h( x) + f ' ( x0 ) = f ' ( x0 ) x→ x0 sicché il secondo membro della 3.13) è un infinitesimo per x → x0 perché prodotto della funzione h(X) + f ′( x0) , convergente a f ′( x0) per x → x0 , e della funzione (X − x0) , infinitesima per x → x0 : ma la 4.13) equivale alla lim f ( x) = f ( x0 ) x→ x0 cioè alla continuità della f in x0 . Quanto al fatto che una funzione può essere continua in un punto , ma non essere ivi derivabile , basti per il momento il seguente esempio : la funzione ⏐X⏐ è continua ovunque , e in particolare , è continua in 0 : in 0 però essa non è derivabile poiché si ha lim+ x→0 x−0 x = lim+ = 1 x − 0 x→0 x ma lim− x→0 x−0 −x = lim− = −1 x − 0 x→0 x e pertanto non esiste il lim x→0 x−0 x−0 sicché la funzione ⏐X⏐ non è derivabile in 0 239 Osservazione 2.13). Vedremo fra poco che , se è vero che la funzione ⏐X⏐ non è derivabile in 0 , essa ammette però in 0 derivata destra uguale a 1 e derivata sinistra uguale a −1 : vi sono tuttavia esempi di funzioni che, pur essendo continue in un punto non ammettono nemmeno derivate unilatere : ne prenderemo in conside razione alcuni in sede di esercitazione . Va comunque osservato che questi esempi dimostrano come per una fun zione la condizione di derivabilità risulta più forte di quella di continuità Osservazione importante 3.13). Come illustra chiaramente la F.1.13) , nel le varie configurazioni della curva−grafico di una funzione , la derivabilità di una funzione f in un punto x0 corrisponde al fatto che la curva−grafico G( f ) è dotata di tangente non verticale nel suo punto P0(x0 , f (x0)) Questo fatto va precisato con cura . Anzitutto la retta che congiunge il punto P0(x0 , f (x0)) con il punto P(x , f (x)) , con x ≠ x0 , prende il nome di “ corda “ di G( f ) relativa al punto P0(x0 , f (x0)) e la sua rappresentazione cartesiana è r (P0 , P) : Y = f (x) − f (x0 ) (X − x0) ; x − x0 dunque , intanto , il coefficiente angolare della corda r (P0 , P) di G( f ) relativa a P0(x0 , f (x0)) 240 coincide con il rapporto incrementale della funzione f in x0 : poiché la funzione f è derivabile in x0 , il rapporto incrementale , e quindi il coefficiente angolare di r (P0 , P) , tendono , per x → x0 , allo stesso limite lim x→ x0 f ( x) − f ( x0 ) = f ' ( x0 ) x − x0 quindi la corda r (P0 , P) tende ad identificarsi ,” al limite “ , con la retta r0 : Y = f ′( x0) (X − x0) che per questo prende il nome di tangente alla curva G( f ) in P0(x0 , f (x0)) il cui coefficiente angolare , o “ pendenza “ , è la derivata 1a di f in x0 f ′( x0) ; si osservi che , in ogni caso , la retta r0 : Y = f ′( x0) (X − x0) risulta una retta non verticale del piano cartesiano . Poiché è chiaro che , fra tutte le rette per P0(x0 , f (x0)) , la tangente a G( f ) è quella che meglio approssima G( f ) nell’intorno del punto P0(x0 , f (x0)) , risulta del tutto naturale assumere f ′( x0) come “pendenza “ della curva−grafico G( f ) nel punto P0(x0 , f (x0)) : 241 è cosi che f ′( x0) , la derivata 1a di f in x0 , fornisce , in x0 una interpretazione numericamente quantificata della rapidità della variazione , o “ velocità ”, di f (x) rispetto a quella di x , e questo sia in valore assoluto , che in segno , poichè , al crescere di x , f (x) può , in corrispondenza a x0 , essere in fase crescente o decrescente . Si è parlato per il momento di derivata di una funzione f in un singolo punto. E’ chiaro che , data l’importanza della derivata , sarà di sicuro interesse deter minarla in ogni punto in cui la funzione risulta derivabile : viene così costruita una nuova funzione , definita in un sottoinsieme del dominio D( f ) di f , la quale prende il nome di ( funzione ) derivata 1a della funzione f e viene denotata con i simboli f ′ , o f ′(X) , o D( f ) in quest’ultimo caso D prende il nome di operatore derivata gli operatori essendo concepiti come corrispondenze che a funzioni associano funzioni Va da sé che il dominio della derivata di una funzione f va determinato e indicato di volta in volta , perché può essere strettamente contenuto nel dominio della funzione . Paragrafo 2.13). Derivate di alcune funzioni elementari . 1) Se la funzione f , in un intorno I di x0 , è costante , si ha che 242 f è derivabile in x0 , e inoltre che f ′( x0) = 0 . Infatti , per calcolare il limite per x→ x0 del rapporto incrementale di f in x0 , si può calcolare il limite del rapporto incrementale della restrizione di f a D( f ) ∩ I , e in questo insieme essendo f costante per ipotesi , ne segue facilmente che il relativo rapporto incrementale risulta identicamente nullo , donde la facile conclusione . Da quanto sopra provato discende subito che se la funzione f è costante in un qualsiasi intervallo I , si ha che in tutto I f risulta derivabile , e che la sua derivata D( f ) = 0 , intendendosi con ciò che D( f ) è la funzione nulla in tutto I . 2) La derivata della funzione − identità X è la costante 1 . Infatti , in qualunque punto x0 in cui si costruisca il rapporto incrementale di X , lo si trova uguale a x − x0 =1 x − x0 da cui segue subito l’enunciato . 3) Considerate le due funzioni goniometriche fondamentali sin X e cos X esse sono ovunque derivabili , e si ha che D( sin X ) = cos X e D( cos X ) = sin X Premettiamo l’avvertenza essenziale che ogni funzione goniometrica del l’Analisi è calcolata supponendo che , per ogni numero x che sia il suo argomento , x sia la misura in radianti dell’angolo nel quale la funzio 243 goniomatrica va valutata : questa è la convenzione sotto la quale si è cal colato il limite fondamentale sin( x ) =1 x→0 x lim (v. Par.4.11)) : gli altri limiti che coinvolgono funzioni goniometriche so no più o meno direttamente connessi a questo . Esaminiamo il caso della funzione sin X . Il suo rapporto incrementale in un punto x qualsiasi si può esprimere successivamente come segue sin( x + h ) − f ( x ) sin( x ) cos( h ) + cos( x ) sin( h ) − sin( x ) = = h h = sin( x ) cos( h ) − 1 sin( h ) + cos( x ) h h e di questo va calcolato il limite per h → 0 : tenendo presenti i limiti già calcolati altrove sin( h ) =1 h→0 h lim e cos( h ) − 1 =0 h→ 0 h lim ( x in questo caso va pensato fissato e costante al variare di h ) si ottiene lim h→ 0 sin( x + h ) − f ( x ) cos( h ) − 1 sin( h ) = lim sin( x ) + cos( x ) = h→ 0 h h h = sin(x) ⋅ 0 + cos(x) ⋅1 = cos x : si è così provata la formula D( sin X ) = cos X La dimostrazione della seconda formula è analoga , basata sulla formula del “ coseno di una somma “ : è lasciata per esercizio al Lettore . 244 4) Consideriamo la funzione esponenziale eX : si ha che eX è derivabile ovunque , e la sua derivata è D (eX) = eX vale a dire che la derivata di eX coincide con la funzione eX stessa In un qualunque punto x esprimiamo il rapporto incrementale di eX nella forma h e x+h − e x x e −1 =e h h ricordando che risulta ( v. Par.4.11)) eh −1 lim =1 h→0 h si ottiene h e x+h − e x x e −1 lim = lim e = e x ⋅1 = e x h→0 h→0 h h da cui la conclusione . Paragrafo 3.13). Derivate unilatere . La nozione di derivata si può affinare con l’acquisire il concetto di derivata unilatera : questo perché , anche se la derivata bilatera non dovesse , per qual che motivo , esistere , l’esistenza , ad esempio , della derivata destra , fornisce una buona informazione sul “attacco” della funzione a partire da un certo pun to x0 in avanti , che si traduce graficamente in un comportamento ben preci so del grafico della funzione stessa “ in uscita “ dal punto P0(x0 , f (x0)) verso destra . Porremo quindi la seguente 245 Definizione 2.13). Sia x0 é un punto del dominio D della funzione f , di accumulazione destra ( sinistra) per D. Se allora risulta che il rapporto incrementale di f in x0 converge per x → x0+, [ x → x0−] , cioè se esiste finito il limite lim+ x→x0 f (x) − f (x0 ) ⎡ f (x) − f (x0 ) ⎤ lim ⎢x→x0 − ⎥ x − x0 x − x0 ⎦ , ⎣ si pone lim+ x→ x0 ⎡ ⎤ f ( x) − f ( x0 ) f ( x) − f ( x0 ) = f '+ ( x0 ) ⎢ lim− = f '− ( x0 )⎥ x − x0 x − x0 ⎣ x→x0 ⎦ si dice che e che f è derivabile a destra ( a sinistra ) in x0 f ′+(x0) [f ′−(x0)] è la derivata destra [sinistra] di f in x0 Osservazione 4.13). Sulla scorta della dimostrazione che , se f e derivabile in un punto x0 , f risulta anche continua in x0 , si può agevolmente provare che se f ammette derivata destra [ sinistra ] in x0 f risulta anche continua da destra [da sinistra ] in x0 . Paragrafo 5.13). Derivata di una somma , di una differenza , di un prodotto e di un quoziente di funzioni . Proposizione 1.13). Se x è il generico punto nel quale le funzioni in og getto risultano derivabili , valgono le formule seguenti : 246 1) D( f + g ) (x) = D( f ) (x) + D (g) (x) ; 2) D( f − g ) (x) = D( f ) (x) − D (g) (x) ; 3) D( f g) (x) = D( f ) (x) ⋅ g(x) + f (x) ⋅ D (g) (x) ; D( f )( x) ⋅ g ( x) − f ( x) ⋅ D( g )( x) f ( )( x ) = D 4) ; g g ( x) 2 nell’ultimo caso è chiaro che si deve supporre che sia g(x) ≠ 0 . Le prime tre formule sono abbastanza semplici da provare , sicché si può lasciare al Lettore il compito . Per la quarta , è opportuno supporre in un primo momento che f sia la cos tante 1 , con il che essa diventa la 1 D( g )( x) g ' ( x) 4′) D( g )( x) = − g ( x) 2 = − g ( x) 2 f dimostrata la quale ( sarà oggetto di esercitazione ) si può interpretare g come 1 f⋅ g e ricorrere alla formula 3) . Al Lettore i dettagli . Osservazione 6.13). La prima e la terza formula di Prop. 3.13) sono suscetti bili di generalizzazione per via induttiva : saranno ogget to di esercitazione. Paragrafo 4.13). Derivata di una funzione composta . 247 Questo è un argomento di grande rilievo , in quanto attraverso il procedi di composizione di funzioni si costruiscono la gran parte delle funzioni che interessano l’Analisi . Ne tratteremo quindi dedicando alla questione un Teorema specifico con qualche semplificazione delle ipotesi , in quanto le funzioni che si studiano in Economia rientrano in genere in queste ipotesi stesse . Teorema 2.13). Siano f e g due funzioni , rispettivamente prima e secon da componente di una funzione composta ( v. Def.7.8)) h= gof inoltre si fanno le seguenti supposizioni 1) f è derivabile in un punto x0 ; 2) g è derivabile nel punto f (x0) ; 3) esiste un intorno I del punto x0 tale da aversi x ∈ D( f ) ∩ I − { x0} ⇒ f (x) ≠ f (x0) : in tali condizioni si ha che la funzione composta h= gof risulta derivabile nel punto x0 , e che vale la seguente formula 5.13) h ′(x0) = g ′(f (x0)) ⋅ f ′(x0) DIM. Come al solito , per calcolare il limite del rapporto incrementale della funzione h= gof relativo al punto x0 , ci si può limitare alla funzione restrizione di essa all’in 248 insieme D( h ) ∩ I − { x0} = D( f ) ∩ I − { x0}: questo consente di redigere tale rapporto incrementale nel seguente modo 6.13) h(x) − h(x0 ) g( f (x)) − g( f (x0 )) g( f (x)) − g( f (x0 )) f (x) − f (x0 ) = = ⋅ x − x0 x − x0 f (x) − f (x0 ) x − x0 si può allora tener presente che a) la funzione primo fattore dell’ultima espressione g( f (x)) − g( f (x0 )) f (x) − f (x0 ) è pensabile come funzione composta , di dominio D( h ) ∩ I − { x0} = D( f ) ∩ I − { x0} di prima componente la restrizione di f a quest’ultimo e di seconda componente il rapporto incrementale della funzione g nel punto f (x0) rapporto incrementale che è , ricordiamo , la funzione definita ponendo g( y) − g( f (x0 )) y − f (x0 ) per ogni y ∈ D( g ) − { f ( x0)} e , già che ci siamo , ricordiamo anche che essendo g derivabile nel punto f (x0) risulta che g( y) − g( f (x0 )) = g' ( f (x0 )) y→f ( x0 ) y − f (x0 ) lim 249 Per il risultato sul limite di una funzione composta ( v. Prop.16.11) si ha dun que intanto che tale fattore è convergente per x→ x0 , avendosi g( f ( x)) − g( f ( x0 )) g( y) − g( f ( x0 )) = lim = g' ( f ( x0 )) x→x0 y→ f ( x0 ) f ( x) − f ( x0 ) f ( y) − f ( x0 ) lim b) il secondo fattore dell’ultimo membro della 6.13) risulta anch’esso convergente per x→ x0 , e precisamente a f ′(x0) naturalmente questa volta per il fatto che f è derivabile nel punto x0 poiché il limite del prodotto di due funzioni convergenti è il prodotto dei loro limite , il risultato può dirsi raggiunto . C.V.D. Un altro risultato di grande rilievo , collegato con Teor.2.13) , riguarda la derivabilità della funzione inversa di una funzione derivabile ne forniamo qui di seguito l’enunciato Proposizione 2.13). Sia f una funzione derivabile nel suo dominio, l’inter vallo I ( di qualunque specie ) . Se , inoltre , f è anche f è anche invertibile , e g = f −1, è la sua inversa , allora , per ogni punto x0 di I per il quale si abbia f ′(x0) ≠ 0 250 risulta che la funzione g , inversa di f , è derivabile nel punto f (x0) , e risulta anzi DIM. Di questo assai importante risultato daremo una giustificazione di ca rattere prevalentemente geometrico : dovrà essere inserita quindi fra le Figure . Osservazione 7.13). E’ chiaro che le due formule che forniscono le derivate di una funzione composta e di una funzione inversa , valgono in ogni punto x in cui le rispettive ipotesi sono soddisfatte , dando così luogo alle più generali h ′(x) = g ′(f (x)) ⋅ f ′(x) e g ' ( f ( x)) = 1 f ' ( x) Paragrafo 5.13). Comportamento della derivata nei punti estremanti di una funzione . Definizione 2.13). Sia f : D → C una , e x0 un punto di D . Allora 1) se esiste un intorno I(x0) di x0 tale che risulti x ∈ I(x0) ∩ D ⇒ f (x) ≤ f (x0) x0 si dice un punto di massimo relativo per la funzione f , e se risulta addirittura 251 x ∈ I(x0) ∩ D −{ x0} ⇒ f (x) < f (x0) x0 si dice un punto di massimo relativo proprio per la funzione f ; 2) se esiste un intorno I(x0) di x0 tale che risulti x ∈ I(x0) ∩ D ⇒ f (x) ≥ f (x0) x0 si dice un punto di minimo relativo per la funzione f , e se risulta addirittura x ∈ I(x0) ∩ D −{ x0} ⇒ f (x) > f (x0) x0 si dice un punto di minimo relativo proprio per la funzione f ; 3) i punti di massimo e di minimo relativo vengono collettivamente designati con il termine estremanti di f ; 4) se x0 è un punto di massimo relativo per f e inoltre si ha che f (x0) = max(Im( f )) x0 si dice un punto di massimo assoluto per la funzione f ; 5) se x0 è un punto di minimo relativo per f e inoltre si ha che f (x0) = min(Im( f )) x0 si dice un punto di minimo assoluto per la funzione f ; 6) se x0 è un estremante di f che sia punto di accumulazione sia destra che sinistra per il dominio D di f , 252 x0 si dice un estremante bilatero di f . Assai notevole è il comportamento della derivata di una funzione in un punto che sia per essa un estremante bilatero , come risulta dal prossimo Teorema 2.13). Se x0 è un estremante bilatero della funzione f , e in x0 f è derivabile , allora si ha che f ′( x0) = 0 DIM. Sia , ad esempio , x0 un punto di massimo relativo per f . Per ipotesi esiste il lim f ( x ) = f ' ( x 0 ) x → x0 e poichè è stato supposto che x0 lè punto di accumulazione sia destra che sinistra per D , ne segue che esistono , entrambi uguali a f ′( x0) , i limiti unilateri lim f ( x ) = f ' ( x 0 ) x → x0 + lim f ( x ) = f ' ( x 0 ) x → x0 − D’altra parte , essendo x0 un punto di massimo relativo per f , esiste intan to un intorno I(x0) di x0 tale da aversi x ∈ I(x0) ∩ D ⇒ f (x) ≤ f (x0) ; costruiamo allora il rapporto incrementale destro di f in x0 f ( x) − f ( x0 ) x − x0 e osserviamo che a) essendo x > x0 , si ha x − x0 > 0 ; b) per calcolare il limite del rapporto incrementale in questione ci si può li mitare ai valori x ( situati a destra di x0) e tali che 253 x∈ I(x0) ∩ D sicché il numeratore del rapporto incrementale risulta f (x) − f (x0) ≤ 0 ; quindi , tenendo conto di a) e di b) , si può affermare che per il rapporto incrementale destro di f , “ in prossimità di x0” , risulta f ( x) − f ( x0 ) ≤0 x − x0 [∗] Applicando a questo punto il Teorema della permanenza del segno , si può concludere che non è possibile che risulti lim + x → x0 f ( x) − f ( x0 ) = f '( x0 ) > 0 x − x0 in quanto , a norma di quel Teorema , esisterebbe un intorno destro I+( x0) di x0 tale da aversi x ∈ I+(x0) ∩ D ⇒ f ( x) − f ( x0 ) >0 x − x0 il che contrasta evidentemente con la [∗] sopra stabilita : non resta quindi che concludere con la disuguaglianza (1) f ′( x0) ≤ 0 Ragionando in modo analogo con il limite sinistro ( al Lettore i particolari) 254 lim f ( x ) = f ' ( x 0 ) x → x0 − si conclude con la disuguaglianza (2) f ′( x0) ≥ 0 : (1) e (2) implicano la tesi f ′( x0) = 0 E’ infine chiaro che il risultato vale anche nel caso in cui x0 è un punto di minimo relativo (bilatero) e anche in tal caso il Lettore è invitato a costruire il relativo ragionamento . C.V.D. Osservazione importante 8.13). L’ipotesi che x0 sia un estremante bilatero per f è assolutamente essenziale per poter concludere che , se f è derivabile in x0 , si ha f ′( x0) = 0 : lo dimostreranno ampiamente gli esempi in sede di esercitazione . Va inoltre osservato come , nella dimostrazione del Teorema 2.13) , è im plicito che , se la funzione f è , ad esempio , monotona crescente [ decrescente] a destra di x0 quindi se x0 è punto di minimo [ massimo ] relativo per la funzione restrizione di f a D ∩ [x0 , +∞ [ , e f ammette derivata destra in x0 , 255 allora si avrà , rispettivamente , f ′+(x0) ≥ 0 [ f ′−(x0) ≤ 0 ] Paragrafo 6.13). Derivate successive di una funzione . Data una funzione f , di dominio l’insieme D , la funzione f ’ , sua derivata 1a , risulta una nuova funzione , definita in un sottoinsieme D1 di D , eventual mente coincidente con D. Posto g=f’ si può indagare g per quanto riguarda la sua derivabilità : può quindi restare definita un’ulteriore funzione g’ , derivata 1a di g , il cui dominio sarà , a sua volta , un sottoinsieme D2 di D1 , e quindi di D : tale funzione prende il nome di derivata seconda , o 2a , di f e viene indicata con il simbolo f ’’ ma anche , e specie in vista di derivate di ordini più elevati , f (2) Procedendo ulteriormente si può considerare , naturalmente sotto opportune ipotesi di esistenza , la derivata n − esima , o d’ordine n , di f f (n) Ciascuna derivata successiva di una funzione f dà un contrtibuto specifico che serve a migliorare sempre più la comprensione dell’andamento della fun zione stessa : ad esempio , il valore in un punto x0 della derivata 2a, f (2) (x0), 256 è in relazione , sia per il suo valore , che per il suo segno , con quella che può essere intuitivamente chiamata la curvatura del grafico G( f ) nel suo punto P0( x0 , f (x0)) 257 CAPITOLO XIV I TEOREMI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Paragrafo 1.14). Teoremi di Rolle , Lagrange , Cauchy . Teorema 1.14). (Teorema di Rolle). Sia f una funzione definita in un intervallo chiuso e limitato I=[a,b] ed f soddisfi inoltre alle seguenti condizioni : (1) f (a) = f (b) ; (2) f è continua in tutto I = [ a , b ] ; (3) f è derivabile in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ : allora si ha che esiste almeno un punto c interno ad I = [ a , b ] , cioè c ∈ ] a , b [ , tale che in c la derivata di f si annulla : f ′(c) = 0 DIM. f è , per ipotesi continua nell’intervallo chiuso e limitato I = [ a , b ] : come tale , per il Teor. di Weierstrass , f è dotata in [ a , b ] di 258 minimo e massimo assoluti e siano essi m = min( f ) e M = max( f ) Ora si danno due casi : 1°) m = M ; 2°) m ≠ M . Nel primo caso si ha , ovviamente , per ogni x ∈ [ a , b ] , m ≤ f (x) ≤ M = m ⇒ f (x) = m = M quindi f è una funzione costante in tutto [ a , b ] : ne segue che f è derivabile in tutto [ a , b ] (compresi gli estremi ) e anzi risulta f ′ (x) = 0 , ∀ x ∈ [ a , b ] , per cui la tesi è soddisfatta “ad abundanziam” . Nel secondo caso , siano c e d due punti in cui f assume , rispettivamente, il suo minimo m e il suo massimo M : f (c) = m < f (d) = M ; poichè , per ipotesi , risulta f (a) = f (b) almeno uno dei due punti c e d deve cadere internamente ad [ a , b ] , e sia , ad esempio , c : essendo allora c un estremante bilatero per f , ed essendo f derivabile in c 259 ne segue che ( v, Teor. 2.13)) f ′ (c) = 0 donde la conclusione. C.V.D. Teorema 2.14).(Teorema di Lagrange , o del valor medio) Sia f una funzione definita in un intervallo chiuso e limitato I=[a,b] ed f soddisfi inoltre alle seguenti condizioni (1) f è continua in tutto I = [ a , b ] ; (2) f è derivabile in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ : allora si ha che esiste almeno un punto c interno ad I = [ a , b ] , cioè c ∈ ] a , b [ , tale da aversi f (b ) − f ( a ) = f ' (c ) b−a DIM. Si consideri la funzione g definita ponendo g ( x) = f ( x) − f (b ) − f ( a ) x b−a A proposito di questa funzione g si può dire che (1) g (a) = g (b) ; 260 (2) g è continua in tutto I = [ a , b ] ; (3) g è derivabile in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ : (1) si ottiene subito con un calcolo elementare ; (2) è dovuta al fatto che g è differenza delle funzioni continue in tutto [a,b] f (b ) − f ( a ) f (X) e X b−a (3) è dovuta al fatto che g è differenza delle funzioni derivabili in tutto ]a,b[ f (b ) − f ( a ) X f (X) e b−a dunque la funzione g verifica in [ a , b ] alle ipotesi del teorema di Rolle : esiste perciò (almeno) un punto c interno ad [ a , b ] tale da aversi g′ (c) = 0 , ma , essendo , per ogni x ∈ ] a , b [ g ' ( x) = f ' ( x) − f (b ) − f ( a ) b−a ne segue che risulta 0 = g ' (c ) = f ' (c ) − f (b ) − f ( a ) b−a donde f (b ) − f ( a ) = f ' (c ) b−a e la conclusione. C.V.D. 261 Osservazione 1.14). La denominazione di Teorema del valor medio è chiaramente dovuta al fatto che il membro di sinistra dell’uguaglianza sta bilita da Lagrange , nel caso che x sia la misura del tempo , ed f (x) quella dello spazio percorso lungo una certa traiettoria nel lasso di tempo di durata x , essendo il rapporto fra l’incremento dello spazio e quello del tempo , ha il significato di velocità media del moto : in tal caso l’uguaglianza di Lagrange stabilisce un fatto del tutto verosimile, e cioè che , almeno in un certo istante c , situato dopo l’inizio e prima della fine del moto in questione , la velocità istantanea del moto coicide con la sua velocità media complessiva Interpretazioni analoghe nel caso che le variabili abbiano significati diversi. Di solito , nei trattati , al Teorema del valor medio di Lagrange si fanno segui re alcune sue importanti conseguenze , che vanno sotto il nome di Corollari del Teorema stesso : anche qui vengono proposti. Corollario 1.14). ( 1° Corollario del Teorema di Lagrange ) Data una una funzione f definita in un intervallo I , che può essere limitato o illimitato , chiuso , aperto , o semiaperto , se sono soddisfatte le due condizioni seguenti (a) f è continua in tutto I , (b) se x è un qualsiasi punto interno di I , si ha che f è derivabile in x e risulta f ’(x) = 0 , 262 allora si ha che la funzione f è costante in tutto I DIM. Sia x1 un qualunque punto interno di I , e x un qualunque altro punto di I (anche non interno , cioè di frontiera) : supponiamo , per fissar le idee , che sia x1 < x La funzione g restrizione di f all’intervallo chiuso e limitato [ x1 , x] risulta continua in tutto [ x1 , x] , che è contenuto in I , dove f è conti nua ; inoltre è derivabile in ogni punto ξ interno a [ x1 , x] , perché ξ è interno anche a I , f vi è quindi derivabile , e dunque anche g , che di f è la restrizione a [ x1 , x] , anzi , è ovvio che si ha (∗) g’(ξ ) = f ’(ξ ) = 0 Pertanto g verifica in [ x1 , x] le ipotesi del Teorema di Lagrange e quindi esiste un punto c interno a [ x1 , x] , tale da aversi g( x) − g( x1 ) = g' (c) = 0 x − x1 l’ultima uguaglianza essendo dovuta alla ( ∗ ) : ne segue che risulta g (x) = g (x1) , ∀ x ∈ I ∧ x > x1 , e dunque , poiché g è la restrizione di f , f (x) = f (x1) , ∀ x ∈ I ∧ x > x1 , Ragionando in modo analogo ( il Lettore precisi) per ogni punto x di I e x < x1 , si ottiene che risulta 263 f (x) = f (x1) , ∀ x ∈ I , donde la conclusione . C.V.D. Corollario 2.14). ( 2° Corollario del Teorema di Lagrange ) Date due funzioni f e g definite in un intervallo I , che può essere limitato o illimitato , chiuso , aperto , o semiaperto , se sono soddisfatte le due condizioni seguenti (a) f e g sono continue in tutto I , (b) se x è un qualsiasi punto interno di I , si ha che f e g sono etrambe derivabili in x , e risulta f ’(x) = g’(x) , allora si ha che in tutto I f e g differiscono per una ( funzione ) costante vale a dire che , esiste un numero k tale che f (x) − g (x) = k , ∀ x ∈ I . DIM. La funzione f − g è continua in tutto I , perché è differenza delle due funzioni f e g , continue in tutto I ; inoltre f − g è derivabile in tutti i punti interni a I , perché differenza delle due funzioni f e g , derivabili in tutti i punti interni a I ; infine , in ogni punto x interno a I si ha , per la (b) , D( f − g ) (x) = D( f )(x) − D(g) (x) = f ’(x)− g’(x) = 0 : pertanto la funzione f − g verifica le ipotesi del 2° Cor. del Teor. di La 264 grange , e risulta dunque una funzione costante in tutto I , donde la con sione . C.V.D Corollario 3.14). ( 3° Corollario del Teorema di Lagrange ) Data una una funzione f definita in un intervallo I , che può essere limitato o illimitato , chiuso , aperto , o semiaperto , se sono soddisfatte le due condizioni seguenti (a) f è continua in tutto I , (b) se x è un qualsiasi punto interno di I , si ha che f è derivabile in x e risulta f ’(x) > 0 ( f ’(x) < 0 ) allora si ha che f è strettamente crescente ( decrescente ) in tutto I DIM. Consideriamo il caso in cui è f ’(x) > 0 ( l’altro caso si tratta in mo do analogo , ed è lasciato come esercizio al Lettore ) . Siano dunque x1 e x2 due punti di I tali che sia x1 < x2 , e del resto arbitrari : dobbiamo provare che risulta sempre f (x1) < f (x2) Ragionando come nel caso del 1° Cor. del Teor. di Lagrange , si conclu de che la funzione g restrizione di f all’intervallo chiuso e limitato [ x1 , x2] soddisfa in [ x1 , x2] alle ipotesi del Teorema di Lagrange 265 per cui esiste un punto c interno a [ x1 , x2] tale da aversi g ( x2 ) − g ( x1 ) = g ' (c) : x2 − x1 poiché si ha g (x2) = f (x2) , g (x1) = f (x1) , g′(c) = f ′(c) ne segue che risulta f ( x2 ) − f ( x1 ) = f ' (c) x2 − x1 ma , essendo x2 − x1 > 0 e f ′(c) > 0 se ne deduce subito che sussiste la f (x2) − f (x1) > 0 ossia la f (x1) < f (x2) donde la conclusione .C.V.D. Osservazione importante 2.14). Il Cor. 3.14) , 3° Corollario del Teorema di Lagrange non si inverte nel senso che una funzione f può essere strettamente crescente in un intervallo I ma la sua derivata può annullarsi in qualche punto interno di I ; 266 un semplice esempio in tal senso è la funzione f definita ponendo f (x) = x3 , ∀ x ∈ R ,: f è strettamente crescente in tutto (l’intervallo infinito) R , eppure la sua derivata f ’ , per la quale si ha f ’(x) = 3 x2 , ∀ x ∈ R , si annulla in 0 . Tuttavia si può provare che , ferme le altre ipotesi del 3°Corollario del Teo rema di Lagrange , se risulta che f ’(x) > 0 ( f ’(x) < 0 ) , tranne in un numero finito di punti di I x1 , x2 , . . . , xn nei quali si ha f ’(x1) = f ’(x2) = ⋅⋅⋅ = f ’(xn) = 0 , risulta ancora che in tutto I la funzione f è strettamente crescente (decrescente) Questo risultato verrà provato come esercizio . Un’altra notevole conseguenza del Teorema di Lagrange è il Corollario 4.14). ( 4° Corollario del Teorema di Lagrange ) Se f è una funzione definita e continua nel solito intervallo I ; x0 è un punto interno ad I e ad un intervallo I’ contenuto in I ; inoltre f è derivabile nei punti interni di I , tranne eventualmente in x0 , 267 avendosi , da un lato x < x0 ∧ x interno ad I’ ⇒ f ’(x) > 0 [ f ’(x) < 0] e dall’altro , invece , x > x0 ∧ x interno ad I’ ⇒ f ’(x) < 0 [ f ’(x) > 0] allora si ha che x0 è un punto di massimo (minimo) relativo proprio per f DIM. E’ un facile esercizio di applicazione del Teorema di Lagrange : verrà considerato in sede di esercitazione . Teorema 3.14). (Teorema di Cauchy , o degli incrementi finiti ) Siano f e g due funzioni definite nell’intervallo chiuso e limitato I=[a,b] e soddisfino alle seguenti condizioni (1) f e g siano continue in tutto I = [ a , b ] ; (2) f e g siano derivabili in tutto l’intervallo aperto ] a , b [ ; (3) g′(x) ≠ 0 in ogni x ∈ ] a , b [ , cioè in ogni x interno ad I = [ a , b ] : in tali ipotesi si ha allora che (a) g(a) ≠ g(b) ; (b) esiste almeno un punto c ∈ ] a , b [ , cioè interno ad I = [ a , b ] , tale da aversi 268 f (b) − f (a) f ' (c) = g (b) − g (a) g ' (c) DIM. Si consideri la funzione F definita in I ponendo F (x) = g(x) ( f (b) − f (a) ) − f (x) ( g(b) − g(a) ) ; a proposito di F si può dire che sussistono i seguenti fatti : (1°) F (a) = F (b) = g(a) f (b) − g(b) f(a) ( il Lettore verifichi) ; (2°) F è continua in tutto [ a , b ] , perché differenza di due funzioni continue in tutto [ a , b ] essendo prodotti di g e di f , rispetti vamente , per le costanti f (b) − f (a) e g(b) − g(a) ; (3°) F è derivabile in tutto ] a , b [ , perché differenza di due funzioni derivabili in tutto ] a , b [ essendo prodotti di g e di f , rispettiva mente , per le costanti f (b) − f (a) e g(b) − g(a) : si può dunque affermare che F verifica in [ a , b ] le ipotesi del Teorema di Rolle e pertanto esiste (almeno) un punto c interno ad [ a , b ] , cioè c ∈ ] a , b [ , tale da aversi F’(c) = 0 : la derivata di F calcolata per ogni x di ] a , b [ , vale F’(x) = g’(x) ( f (b) − f (a) ) − f ’(x) ( g(b) − g(a) ) , e , calcolata in c dà luogo all’uguaglianza (∗) 0 = F’(c) = g’(c) ( f (b) − f (a) ) − f ’(c) ( g(b) − g(a) : 269 a questo punto entra in gioco l’ipotesi (3) dell’enunciato , per cui risul ta g’(c) ≠ 0 ma anche , si noti , g(b) − g(a) ≠ 0 e questo perché , in caso contrario , si avrebbe g(b) − g(a) = 0 ⇒ g(a) = g(b) , ma così la funzione g soddisferebbe alle ipotesi del Teor. di Rolle , e quindi esisterebbe (almeno) un punto c1 ∈] a , b [ in cui si avrebbe g’(c1) = 0 il che va contro proprio all’ipotesi (3) dell’enunciato : e quindi dalla (∗) con facile calcolo si può ottenere la tesi f (b) − f (a) f ' (c) = g (b) − g (a) g ' (c) C.V.D. Paragrafo 2.14). Regola di De l’Hospital . Si è trattato in precedenza (v. Oss.4.11) dei cosiddetti limiti di forma indeterminata Ebbene , la Regola di De l’Hospital 270 permette , in molti casi , naturalmente sotto precise ipotesi , di calcolare limiti della forma 0 0 o ∞ ∞ e , quello che è particolarmente interessante , non poche delle altre forme indeterminate si possono ricondurre a queste due , ed essere quindi affron tate con la Regola di De l’Hospital . Questa “ Regola ” segue da due Teoremi di De l’Hospital , dei quali ora ci interesseremo . Teorema 4.14). ( Primo Teorema di De l’Hospital) f e g siano due funzioni definite in uno stesso dominio D. Sia poi x0 un punto di accumulazione , anche solo sinistra , o solo destra, per D , ivi compresi i casi in cui x0 possa essere ∞ , +∞ ,−∞ . Inoltre , siano soddisfatte le seguenti condizioni : (1) f e g siano infinitesimi simultanei per x → x0 , si abbia cioè lim f ( x) = lim g ( x) = 0 x→x0 x→x0 (2) esista un intorno I(x0) di x0 , rispettivamente bilatero , sinistro aperto o destro aperto , tale da aversi I(x0) ⊆ D , che in I(x0) f e g siano derivabili , e che valga l’implicazione x ∈ I(x0) − {x0} ⇒ g′(x) ≠ 0 ; (3) esista , finito o infinito , il limite 271 lim x→x0 f ' ( x) = L: g ' ( x) in tali ipotesi si ha allora che (a) (b) x ∈ I(x0) ⇒ g (x) ≠ 0 ; esiste anche il limite del quoziente di f e g per x → x0 , e anzi risulta f ( x) f ' ( x) = lim =L lim x→x0 g ( x) x→x0 g ' ( x) DIM. Supponiamo x0 ∈R e punto di accumulazione destra per D . Se f e / o g non sono definite in x0 , oppure vi hanno un valore diver so da 0 , esse vengono prolungate per continuità(destra) in x0 , ponendo f (x0) = g (x0) = 0 e le due funzioni , così eventualmente modificate , continueranno ad essere denotate con f e g : per definizione queste due funzioni risultano continue da destra in x0 , e quindi continue in tutto l’intervallo {x0}∪ I(x0) . Dimostreremo ora che risulta lim+ x→x0 f ( x) =L g ( x) osservando subito come l’ipotesi f ' ( x) =L x→x0 g ' ( x) implica senz’altro che si ha anche f ' ( x) =L lim+ x→x0 g ' ( x) lim Scelto ora un qualunque punto x ∈ I(x0) , nell’intervallo chiuso e limitato 272 [x0 , x] le due funzioni f e g verificano le ipotesi del Teorema 3.14) di Cauchy , per cui esiste (almeno) un punto , che indicheremo con c(x) , perché dipen de in generale dall ’ x prescelto , tale da aversi x0 < c(x) < x [∗] e [∗∗] f ( x) f ( x) − 0 f ( x) − f ( x0 ) f ' (c( x)) = = = g ( x) g ( x) − 0 g ( x) − g ( x0 ) g ' (c( x)) l’ultima uguaglianza essendo dovuta al Teor. 3.14) di Cauchy . Acquisita la [∗∗] , per ogni x ∈ I(x0) , si osserva che , quando x → x0+, per la [∗] anche c(x) → x0+, e quindi , per il Teorema sul limite di una funzione composta , applicato all’ultimo rapporto della [∗∗] , si avrà lim+ x→x0 f ( x) f ' (c( x)) = lim+ =L g ( x) x→x0 g ' (c( x)) donde la conclusione . Si ragiona in modo analogo per il caso in cui x0 sia punto di accumulazio ne sinistra per D (il Lettore precisi) : sicché si può dire che la tesi è prova ta anche per il limite bilatero . Con adattamenti opportuni si trattano anche i casi in cui x0 sia ∞ , + ∞ ,− ∞ . Teorema 5.14). ( Secondo teorema di De l’Hospital ) f e g siano due funzioni definite in uno stesso dominio D. Sia poi x0 un punto di accumulazione , anche solo sinistra , o solo destra, per D , ivi compresi i casi in cui x0 possa essere ∞ , +∞ ,−∞ . Siano inoltre soddisfatte le seguenti condizioni : (1) f e g siano infiniti simultanei per x → x0, si abbia cioè 273 lim f ( x) = lim g ( x) = L x→x0 con x→x0 L = ∞ o +∞ o −∞ (2) esista un intorno I(x0) di x0 , rispettivamente bilatero , sinistro aperto o destro aperto , tale da aversi I(x0) ⊆ D , che in I(x0) f e g siano derivabili , e che valga l’implicazione x ∈ I(x0) − {x0} ⇒ g′(x) ≠ 0 ; (3) esista , finito o infinito , il limite lim x→x0 f ' ( x) =L: g ' ( x) in tali ipotesi si ha allora che esiste anche il limite del quoziente di f e g per x → x0 , e anzi risulta lim x→x0 f ( x) f ' ( x) = lim =L g ( x) x→x0 g ' ( x) DIM. La dimostrazione di questo Teorema non è semplice : data la portata del Corso , ci limitiamo a fornirne l’enunciato , perché l’Allievo se ne pos sa servire all’occorrenza . La dimostrazione può comunque essere trovata in qualunque buon testo di Analisi . I due teoremi di De l’Hospital si riassumono nel seguente Teorema 6.14). ( Regola di De l’Hospital ) f e g siano due funzioni definite in uno stesso dominio D. 274 Sia poi x0 un punto di accumulazione , anche solo sinistra , o solo destra, per D , ivi compresi i casi in cui x0 possa essere ∞ , +∞ ,−∞ . Siano inoltre soddisfatte le seguenti condizioni : (1) f e g siano o infinitesimi simultanei o infiniti simultanei per x → x0 si abbia cioè lim f ( x) = lim g ( x) = L x→x0 con x→x0 L = 0 o ∞ o +∞ o −∞ (2) esista un intorno I(x0) di x0 , rispettivamente bilatero , sinistro aperto , o destro aperto , tale da aversi I(x0) ⊆ D che in I(x0) f e g siano derivabili , e che valga l’implicazione x ∈ I(x0) − { x0} ⇒ g′(x) ≠ 0 ; (3) esista , finito o infinito , il limite lim x→x0 f ' ( x) =L: g ' ( x) in tali ipotesi si ha che esiste anche il limite del quoziente di f e g per x → x0 , e anzi risulta lim x→x0 f ( x) f ' ( x) = lim =L x → x 0 g ( x) g ' ( x) 275 Osservazione molto importante 3.14). Riconsiderando in breve l’enunciato della Regola di De l’Hospital si noti con la dovuta attenzione che essa , soto le dovute ipotesi , afferma che l’esistenza del limite del rapporto delle derivate delle due funzioni infinitesimi o infiniti simultanei implica l’esistenza del limite del rapporto delle due funzioni e niente affatto il viceversa come gli esempi che saranno addotti dimostreranno : può dunque darsi che esista il limite del rapporto delle due funzioni mentre non esiste il limite del rapporto delle loro derivate Per sottolineare questo fatto , molti autori , nell’applicare la Regola di De l’Hospital usano il seguente simbolismo ← f ( x) H f ' ( x) = lim =L lim x→x0 g ( x) x→x0 g ' ( x) con l’ ← H 276 inserito sul segno di uguaglianza si vuole così ricordare che l’implicazione va “da destra a sinistra” Osservazione molto importante 2.14). E’ subito il caso di porre in luce come l’applicazione della regola di De l’Hospital può essere iterata nel senso che se il rapporto delle derivate risulta ancora di forma indeterminata si può passare alla considerazione del rapporto delle loro derivate cioè del rapporto delle derivate seconde delle funzioni di partenza naturalmente sotto le dovute ipotesi , fra le quali la prima è che queste deri vate seconde esistano : la circostanza è molto interessante , e ovviamente si possono considerare , se occorre , anche i rapporti di derivate di ordini via via crescenti . Ma vi sono casi nei quali questo ricorso alle derivate successive risulta ineffi cace , e per calcolare il limite bisogna allora ingegnarsi diversamente . . . come nel seguente caso di rapporto fra infiniti simultanei , che sarà oggetto di esercitazione , 3x + 4 x lim x→+∞ 4 x + 5 x Paragrafo 3.14). La Formula di Taylor. La Formula di Taylor è un efficace modo di approssimare una funzione me diante funzioni razionali intere , o funzioni − polinomio , che sono le più sem plici e più regolari funzioni . Ci interesseremo di questa formula non nella sua generalità , ma nei limiti in cui risulta interessante per lo studio di una funzione , e il tracciamento del 277 suo grafico , o diagramma , sufficientemente aderente alla realtà . Definizione 1.14). La funzione f risulti derivabile n − 1 volte nell’intervallo I , dove si suppone n ≥ 2 , e x0 sia un punto di I : in tali ipotesi il polinomio Pn−1(X) di grado n − 1 che , nel generico punto x di I , vale f (2) (x0 ) f (n−1) (x0 ) 2 Pn (x) = f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 ) +⋅⋅⋅ + (x − x0 )n−1 2! (n −1)! (1) prende il nome di polinomio di Taylor di f d ’ordine n−1 e di punto iniziale x0 ; in forma compatta il polinomio di Taylor in questione , calcolato nel generico punto x di I , si rende con la sommatoria n −1 ∑ 0 k f ( k ) ( x0 ) ( x − x0 ) k k! Avvertenza : è ovvio che nel polinomio di Taylor , per uniformità di linguaggio, i simboli f (1)(x0) e f (2)(x0) stanno , rispettivamente , per f ′(x0) e f ′′(x0) Va detto poi che , nella sommatoria sopra considerata , il termine f ( 0) ( x0 ) ( x − x0 )0 0! sta semplicemente per f (x0) 278 Al polinomio di Taylor è connesso uno dei più importanti risultati del Calcolo differenziale sia dal punto di vista teorico che applicativo : la Formula di Taylor , nelle sue varie redazioni . Teorema 7.14). (Formula di Taylor − Lagrange) La funzione f , definita nell’intervallo I , sia derivabile n volte in I : allora , per ogni x appartenente a I sussiste l’uguaglianza f (n) (cn (x)) f (2) (x0 ) f (n−1) (x0 ) 2 n−1 f (x) = f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 )n (x − x0 ) + (x − x0 ) + ⋅ ⋅ ⋅ + (n)! (n −1)! 2! ove cn(x) è un opportuno punto interno all’intrvallo di estremi x0 e x ; precisiamo meglio questa espressione (anche per il seguito) : se è x0 < x sarà x0 < cn(x) < x ; se , invece , è x < x0 sarà x < cn(x) < x0 (1) essendo chiaro che la notazione cn(x) sottointende che tale punto dipende in generale dal punto x . DIM. Noi daremo qui la dimostrazione di questa Formula nel caso n = 3 : l’enunciato può essere comunque utilizzato per n > 3 nelle applica zioni. Sia quindi f derivabile 3 volte in I . 279 DIM. Si considerino le due funzioni F e G , definite ponendo f (2) (x0 ) F(x) = f (x) − f (x0 ) − f (x0 ) ⋅ (x − x0 ) − (x − x0 )2 2! (1) e G ( x ) = ( x − x0 )3 E’ ovvio che F (x0) = G (x0) Poiché F è differenza di f e del polinomio di Taylor di f d’ordine 2 e di punto iniziale x0 , certamente F sarà derivabile 3 volte in tutto I , e in x0 ammetterà derivata 3a e questo per le ipotesi su f e per il fatto che ogni polinomio è addirittura ovun que infinite volte derivabile (anche se con le derivate d’ordine superiore al suo grado che sono tutte funzioni nulle) : le due funzioni derivate 1a , 2a e 3a di F , sempre calcolate nel generico punto di I , sono F(1) (x) = f (1) (x) − f (1) (x0 ) − f (2) (x0 )(x − x0 ) F(2) (x) = f (2) (x) − f (2) (x0 ) F(3) (x) = f (3) (x) ne segue che si hanno le uguaglianze F (1)( x0) = f (1)( x0) − f (1)(x0) = 0 e F (2) ( x0) = f (2) ( x0) − f (2)(x0) = 0 : cioè F ha la derivata 1a e la derivata 2a entrambe nulle in x0 , e inoltre risulta anche 280 F (3)( x0) = f (3) (x0) Osserviamo che anche la funzione G sopra definita ha le prime due derivate che , calcolate nel generico punto x , sono G (1) ( x) = 3( x − x0 ) 2 e G (2)(x) = 6 ( x− x0) dunque anche G ha la derivata 1a e la derivata 2a entrambe nulle in x0 mentre risulta costante la sua derivata 3a G (3)(x) = 6 = 3! ricordiamo , per riassumere , che la funzione F è nulla in x0 assieme alle sue derivate 1a e 2a e che , parimenti , la funzione G è nulla in x0 assieme alle sue derivate 1a e 2a Per ogni x ∈ I −{x0} si può dunque considerare il rapporto [i] F ( x) F ( x) − F ( x0 ) = G( x) G( x) − G( x0 ) Per le considerazioni svolte sopra , al secondo membro è applicabile il Teorema di Cauchy degli incrementi finiti in base al quale esiste un opportuno punto , ovviamente dipendente da x , e interno all ’intervallo di estremi x0 e x , 281 c1(x) tale da aversi F ( x) − F ( x0 ) F (1) (c1 ( x)) F (1) (c1 ( x)) − F (1) ( x0 ) = = G( x) − G( x0 ) G(1) (c1 ( x)) G(1) (c1 ( x)) − G(1) ( x0 ) [ ii ] (1) (1) (si ricordi ,per l’ultima uguaglianza , che F ( x0 ) = G ( x0 ) = 0 ) ; ma anche al rapporto F ' (c1 ( x)) − F ' ( x0 ) G' (c1 ( x)) − G' ( x0 ) è applicabile il Teorema di Cauchy , per cui esiste un opportuno punto c2(x) anche questo dipendente da x , e interno all ’intervallo di estremi x0 e c1(x) , dunque anche interno all ’intervallo di estremi x0 e x , tale da aversi F (1) (c1 ( x )) − F (1) ( x0 ) F ( 2 ) (c2 ( x )) F ( 2 ) (c2 ( x )) − F ( 2 ) ( x0 ) = = G (1) (c1 ( x )) − G (1) ( x0 ) G ( 2 ) (c2 ( x )) G ( 2 ) (c2 ( x )) − G ( 2 ) ( x0 ) [ iii ] (2) ( 2) (si ricordi , per l’ultima uguaglianza , che F ( x0 ) = G ( x0 ) = 0 ) ; infine , applicando il Teorema di Cauchy al rapporto a terzo membro delle uguaglianze appena ottenute , si ottiene [iv] F ( 2 ) (c2 ( x )) − F ( 2 ) ( x0 ) F ( 3) (c3 ( x )) = ( 3) (2) ( 2) G (c2 ( x )) − G ( x0 ) G (c3 ( x )) 282 ove c3(x) è un opportuno punto interno all ’intervallo di estremi x0 e c2(x) , e quindi anche interno all ’intervallo di estremi x0 e x . Seguendo la successione di uguaglianze ottenute a partire dalla [ i ] fino alla [ iv ] si conclude con l’uguaglianza [v] F ( x) F (3) (c3 ( x)) = G( x) G(3) (c3 ( x)) Ricordando allora le definizioni di F e di G ( v. sopra) , e che per ogni x ∈ I si ha ( v. , anche per questo , sopra) F (3)( x) = f (3) (x) e G (3)(x) = 6 = 3! , dalla [v] si ottiene f (2) ( x0 ) ( x − x0 )2 f (x) − f ( x0 ) − f ( x0 ) ⋅ ( x − x0 ) − f (3) (c3 ( x)) F ( x) 2 ! = = (x − x0 )3 3! G( x) (1) [ vi ] da cui discende subito la Formula di Taylor −Lagrange per n = 3 f (2) ( x0 ) f (3) (c3 ( x)) 2 f ( x) = f ( x0 ) + f ( x0 ) ⋅ ( x − x0 ) + ( x − x0 ) + ( x − x0 )3 2! 3! (1) ove c3(x) è un opportuno punto interno all ’intervallo di estremi x0 e x : donde la conclusione . La formula generale si ottiene in modo concettualmente identico , iterando più a lungo l’applicazione del 283 Teorema di Cauchy degli incrementi finiti Teorema 7.14). (Formula di Taylor − Peano) La funzione f , definita nell’intervallo I , sia derivabile n volte in I , e la sua derivata n − esima f (n) risulti continua nel punto x0 : allora per ogni x appartenente a I sussiste l’uguaglianza f (2) (x0 ) f (n−1) (x0 ) f (n) (x0 ) + ω(x) n−1 2 f (x) = f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 ) + ⋅ ⋅ ⋅ + (x − x0 ) + (x − x0 )n 2! (n −1)! (n)! ove ω è una opportuna funzione infinitesima per x → x0 . (1) DIM. Questa Formula discende direttamente dalla precedente di Taylor − Lagran ge che le attuali ipotesi consentono evidentemente di redigere , e della qua le interessa ora solo l’ultimo addendo f (n) (cn (x)) R(n,L) (x) = (x − x0 )n (n)! che prende il nome di resto n − esimo della Formula di Formula di Taylor −Lagrange di ordine n Attualmente abbiamo l’ipotesi che risulti lim f (n) (x) = f (n) (x0 ) x→x0 che equivale alla lim f (n) (x) − f (n) (x0 ) = 0 x→x0 Ora , basta definire la funzione σ , infinitesima per x → x0 , ponendo (n) (n) σ (x) = f (x) − f (x0 ) 284 e quindi osservare che , per essere il punto cn(x) interno all’intervallo di es tremi x0 e x , si avrà che limcn (x) = x0 x→x0 il che consente di applicare alla funzione ω definita ponendo (n) (n) ω (x) = f (cn (x)) − f (x0 ) il Teorema sul limite di una funzione composta , di prima componente cn(X) e di seconda componente σ (X) ottenendo così che ω è un infinitesimo per x → x0 : poiché risulta , per definizione di ω , f (n) (cn ( x)) = f (n) ( x0 ) + ω( x) sostituendo nella Formula di Taylor −Lagrange ( v. sopra ) il termine f (n) (cn ( x)) con f ( n ) ( x0 ) + ω ( x ) si ottiene la tesi , cioè la Formula di Taylor −Peano il cui ultimo addendo f ( n ) ( x0 ) + ω ( x) R( n ,P ) ( x) = ( x − x0 ) n (n)! prende il nome di 285 resto n − esimo della Formula di Formula di Taylor −Peano di ordine n 286 CAPITOLO XVI ELEMENTI DI TEORIA DELL’ INTEGRAZIONE Paragrafo 1.15). Il problema della misura delle regioni piane. Definizione 1.15). Sia f una funzione definita e continua in un intervallo chiuso e limitato I=[a,b] e inoltre f sia in tutto I = [ a , b ] non negativa si abbia cioè f (x) ≥ 0 , ∀ x ∈ I = [ a , b ] . In tali ipotesi la regione di punti del piano cartesiano , nel quale è rappresen tato il grafico G ( f ) di f , definito nel modo seguente T( f ) = {P( x , y) : 0 ≤ y ≤ f (x) , ∀ x ∈ I = [ a , b ] } prende il nome di trapezoide (sottostante al grafico) della funzione f o anche trapezoide relativo ad f ( o di f ) 287 con linguaggio meno formale , e più utile all’intuizione ( v. F. 1.15)) , si può dire che il trapezoide relativo ad f è la regione del piano cartesiano delimitata verso il basso dall’asse Ox , verso l’alto dal grafico G ( f ) di f , e compresa fra le due rette verticali di equazioni X = a e X = b . Il primo tipo di regioni piane di cui si cerca di calcolare l’area , vale a dire la loro misura rispetto all’unità di misura delle aree che , come è noto , è il quadrato di lato unitario sono appunto i trapezoidi relativi a funzioni continue : una volta risolto questo problema , si passa a regioni del piano disposte in mo do più generale . Definizione 2.15). Dato un intervallo chiuso e limitato di numeri reali I=[a,b] ogni (n +1) − upla di punti (nel senso di numeri) σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn-1 , xn ) con a = x0 < x1 < ⋅⋅⋅ < xn-1 < xn = b prende il nome di 288 suddivisione dell’intervallo [ a , b ] e gli elementi dell’ (n +1) − upla σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn-1 , xn ) si dicono i punti suddividenti Date due suddivisioni di [ a , b ] σ′ = ( x0′ , x1′, ⋅⋅⋅ , xn-1′ , xn′) e σ′′ = ( x0′′ , x1′′, ⋅⋅⋅ , xm-1′′ , xm′′) si dice che σ′′ è un raffinamento , o un infittimento di σ′ se si ha che tutti gli elementi di σ′ sono anche elementi di σ′′ e inoltre è m > n in pratica si può dire che σ′′ è ottenuta da σ′ “inserendovi qualche altro punto suddividente” Di solito , per denotare una suddivisione (di [ a , b ]), si usa il simbolo σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) è ciò per il fatto che ogni suddivisione ha una sua precisa “lunghezza” n(σ) Data una suddivisione σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) l’intervallo (chiuso e limitato) [ xi−1 , xi ] , con 1 ≤ i ≤ n(σ) , 289 si dice l’ i− esimo subintervallo della suddivisione σ : σ perciò ha n(σ) subintervalli Poiché f è supposta continua in [ a , b ] , risultano continue tutte le sue re strizioni ai vari subintervalli di una qualsiasi suddivisione σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) ed essendo ciascuno dei subintervalli [ xi−1 , xi ] chiuso e limitato , (la restri zione di) f , per il Teor. di Weierstrass , assumerà in [ xi−1 , xi ] minimo assoluto mi e massimo assoluto Mi Definizione 3.15). Con le nozioni e le notazioni poste sopra , data un suddivi sione di [ a , b ] σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) la somma n(σ ) (x1 − x0 ) ⋅ m1 +(x2 − x1)m2 +⋅⋅⋅ +(xn(σ)−1 − xn(σ)−2 )mn(σ)−1 +(xn(σ) − xn(σ)−1)mn(σ) = ∑i (xi − xi−1)mi 1 prende il nome di somma inferiore s(σ) relativa alla suddivisione σ ; la somma n(σ ) (x1 − x0 ) ⋅ M1 +(x2 − x1)M2 +⋅⋅⋅ +(xn(σ)−1 − xn(σ)−2 )Mn(σ)−1 +(xn(σ) − xn(σ)−1)Mn(σ) = ∑i (xi − xi−1)Mi 1 290 prende il nome di somma superiore S(σ) relativa alla suddivisione σ . A questo proposito , per porre in evidenza il significato geometrico delle som me inferiori e di quelle superiori , è bene effettuare la seguente Osservazione importante 1.15). Per ciascuna suddivisione di [ a , b ] σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) consideriamo un generico addendo della relativa somma inferiore ( xi − xi−1) mi qual è il suo significato ? Riferendoci alla F.2.15) possiamo dire che ( xi − xi−1) mi è la misura dell’area di un rettangolo avente la base di misura ( xi − xi−1) e l’altezza di misura mi rettangolo che risulta completamente contenuto nel trapezoide T(f ) Poiché è ovvio che due qualsiansi di questi rettangoli non hanno punti interni in comune , ne segue che n(σ ) l’intera somma inferiore s(σ) = ∑ (x − x i i i−1 )mi 1 risulta essere la misura dell’area complessiva di un plurirettangolo completamente contenuto nel trapezoide T(f ) e perciò detto plurirettangolo inscritto in T(f ) 291 Passando al significato dell’addendo generico della somma superiore relative alla suddivisione σ , e riferendoci alla F. 3.14) , si conclude che , per ogni i compreso fra 1 e n(σ) , ( xi − xi−1) Mi è la misura dell’area di un rettangolo contenente la porzione Ti (f ) del trapezoide T(f ) definita ponendo Ti (f )= {P( x , y) : 0 ≤ y ≤ f (x) , ∀ x ∈ [xi-1 , xi]} : ne segue , questa volta , che n(σ ) l’intera somma superiore S(σ) = ∑ (x − x i i i−1 )Mi 1 risulta essere la misura dell’area complessiva di un plurirettangolo che contiene completamente il trapezoide T(f ) e perciò detto plurirettangolo circoscritto a T(f ) Le considerazioni svolte nell’Osservazione 1.14) precedente consentono di stabilire la seguente Proposizione 1.15). Date due qualsiansi suddivisioni di [ a , b ] σ′ = ( x′0 , x′1, ⋅⋅⋅ , x′n(σ)−1, x′n(σ) ) e σ″ = ( x″0 , x″1, ⋅⋅⋅ , x″n(σ)−1, x″n(σ) ) la somma inferiore di ciascuna è sempre minore o uguale alla somma superiore dell’altra DIM. Infatti , ad esempio , risulta s(σ′) ≤ S(σ″) e questo perché 292 s(σ′) è (la misura del) l’area di un plurirettangolo inscritto in T(f ) S(σ″) è (la misura del) l’area di un plurirettangolo circoscritto a T(f ) Poiché risulta plurirettangolo inscritto in T(f ) ⊆ T(f ) ⊆ plurirettangolo circoscritto a T(f ) ne segue che plurirettangolo inscritto in T(f ) ⊆ plurirettangolo circoscritto a T(f ) e questo implica ovviamente che l’area del primo è minore o uguale a quella del secondo donde la conclusione . Osservazione importante 2.15). Quanto stabilito nella precedente Prop. 1.14) consente di affermare intanto che posto s = insieme di tutte le somme inferiori e S = insieme di tutte le somme superiori relative ad una stessa funzione f i due insiemi s ed S risultano due insiemi separati di numeri reali Un’altra circostanza che occorre mettere in luce è oggetto della seguente Proposizione 2.15). Date due suddivisioni di [ a , b ] σ′ e σ″ con 293 σ″ che sia un infittimento di σ′ per le somme inferiori e superiori relative si ha che s(σ′) ≤ s(σ″) mentre S(σ′) ≥ S(σ″) a parole : infittendo una suddivisione la somma inferiore non diminuisce (anzi , in genere , aumenta) e nel contempo la somma superiore non aumenta (anzi , in genere , diminuisce) DIM. Poichè un infittimento si può realizzare inserendo uno ad uno un certo numero di punti , basta provare l’asserto per un infittimento ottenuto inserendo un solo punto : il ragionamento è allora affidato alla conside attenta della F. 4.14) . Si è visto in Oss. 2.15) che i due insiemi s delle somme inferiori ed S delle somme superiori sono due insiemi separati di numeri reali : poiché risulta chiaro che 294 ogni somma inferiore è una misura per difetto dell ’area del trapezoide T( f ) e ogni somma superiore è una misura per eccesso dell ’area del trapezoide T( f ) si comprende appieno l’importanza di stabilire che i due insiemi s e S sono insiemi contigui perché questa circostanza consentirebbe di assumere logicamente il loro elemento separatore α come misura dell’area del trapezoide T( f ) Ora , la dimostrazione circostanziata che s e S sono insiemi contigui non è cosa da poco , per cui citeremo il fatto fondamentale concernente una funzio ne continua in un intervallo chiuso e limitato , che permette di giungere poi alla dimostrazione della contiguità di s ed S : Teorema 1.15) .(di Heine o dell’uniforme continuità di una funzione continua in un insieme chiuso e limitato) Data una funzione f continua in un insieme D chiuso e limitato (in particola re D può essere un intervallo chiuso e limitato) sussiste il seguente fatto : scelto un arbitrario numero ε > 0 esiste un numero δ (ε) > 0 (dipendente in generale da ε ) tale che valga la seguente implicazione x1 ∈ D ∧ x2∈ D ∧ ⎢x1 − x2 ⎢< δ (ε) ⇒ ⎢f (x1)− f (x2) ⎢< ε a parole : la differenza dei valori della funzione in due punti x1 e x2 di D risulta minore di un prefissato numero positivo ε purché la distanza fra i due punti sia ″abbastanza piccola ″ ( ⎢x1 − x2 ⎢< δ (ε)) e questo , si noti bene , dovunque siano situati i due punti x1 e x2 in D che devono solo differire fra loro in valore assoluto meno di δ (ε) 295 è proprio l’ ″ubiquità ″ della posizione dei due punti x1 e x2 in D purché distanti fra loro meno di δ (ε ) che ha determinato la scelta di denominare il Teorema di Heine Teorema dell’″uniforme continuità ″ Come gli esempi che verranno forniti confermeranno , si ha che ciascuna delle ipotesi del Teorema di Heine è essenziale per la sua validità cioè 1) sia la continuità della funzione , 2) sia che D deve essere chiuso , 3) sia che D deve essere limitato . Acquisito il Teorema di Heine , si può dimostrare la contiguità dei due insiemi s ed S delle somme inferiori e superiori relative ad una funzione f continua in un intervallo chiuso e limitato con il seguente Teorema 2.15). Data una funzione f continua in un intervallo chiuso e limitato [ a , b ] i due insiemi s ed S delle somme inferiori e superiori relative ad f sono insiemi contigui DIM. La dimostrazione si ottiene provando che scelto un arbitrario numero ε > 0 296 esistono (almeno) una somma superiore S ed una somma inferiore s che differiscono fra loro meno di ε Vediamo . Si scelga dunque un qualunque numero ε > 0 , e poniamo ε '= ε b − a >0 La funzione f essendo uniformemente continua in [ a , b ] , per il Teor. di Heine , esiste δ (ε ′) > 0 tale che valga l’implicazione x1 ∈ D ∧ x2∈ D ∧ ⎢x1 − x2 ⎢< δ (ε ′) ⇒ ⎢f (x1)− f (x2) ⎢< ε ′ Scegliamo allora una suddivisione di [ a , b ] σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) tale che la massima ampiezza dei subintervalli ad essa relativi sia minore di δ (ε ′) cioè che risulti max[ xi − xi−1 , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] < δ (ε ′) Nel generico subintervallo [xi−1 , xi] siano , rispettivamente , ci e di un punto di minimo e uno di massimo assoluto di f : avremo quindi f (ci) = mi e f (di) = Mi e , poiché si ha xi−1 ≤ ci ≤ xi e xi−1 ≤ di ≤ xi , si vede facilmente che risulta 297 ⎢di − ci ⎢ ≤ ⎢xi − xi−1 ⎢ ≤ max[ xi − xi−1 , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] < δ (ε ′) e questa disuguaglianza vale ovviamenete per ogni i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)} ; ne segue , per l’uniforme continuità di f , che si avrà ⎢f (di)− f (ci) ⎢< ε ′ , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] ossia ⎢ Mi− mi ⎢= Mi− mi < ε ′ , ∀ i ∈{1 , 2 ,⋅⋅⋅ , n(σ)}] ; consideriamo allora la somma superiore e la somma inferiore relative a σ n(σ ) S(σ) = ∑ (x − x i i−1 i n(σ ) )Mi s(σ) = e 1 ∑ (x − x i i i−1 )mi 1 la cui differenza risulta n(σ ) n(σ ) S(σ) − s(σ) = ∑ (x − x i i i −1 )Mi − 1 n(σ ) ∑ (x − x i 1 = i ε b−a i−1 )(Mi − mi ) < ⋅ (b − a) = ε ∑ (x − x i i i −1 )mi = 1 n (σ ) ∑ (x − x i 1 i i −1 n (σ ) ) ⋅ ε ' = ε '⋅ ∑ i ( x i − x i −1 ) = ε′ ⋅ (b − a) = 1 ⇒ S(σ) − s(σ) < ε : abbiamo così trovato una somma superiore ed una inferiore che differiscono meno di ε donde la conclusione . C.V.D. La contiguità dell’insieme delle somme inferiori s e di quello delle somme superiori S relative alla funzione f consentono quindi di porre la seguente Definizione 4.15). Data una funzione f continua e non negativa nell’interval lo chiuso e limitato [ a , b ] , sia T( f ) il trapezoide relativo a f : 298 si definisce misura di T( f ) il numero α elemento di separazione dei due insiemi separati e contigui s insieme delle somme inferiori e S insieme delle somme superiori relative alla funzione f in simboli si pone mis(T( f )) = α A questo punto si deve trovare un modo per calcolare effettivamente questo numero mis(T( f )) la cui esistenza è stata provata in sede teorica . Per giungere a questo scopo si osserva che , come è implicito nelle conside razioni del Teor. 2.15) , e come si dimostra con il dovuto rigore , se la massima ampiezza μ dei subintervalli di una suddivisione tende a 0 risulta che n(σ ) lims(σ ) = lim∑ i mi (xi − xi−1) = α μ→0 μ→0 1 e che n(σ ) limS(σ ) = lim∑ i Mi (xi − xi−1) = α μ→0 μ→0 1 e poiché , se nel generico subintervallo di una suddivisione di [ a , b ] si sce glie ad arbitrio un numero ξi , avendosi così xi−1 ≤ ξi ≤ xi e quindi anche mi ≤ f (ξi ) ≤ Mi risulterà 299 n(σ ) ∑ m (x − x i i i 1 i−1 n(σ ) n(σ ) 1 1 ) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ ∑ i Mi (xi − xi−1) Per il Teorema del confronto , opportunamente riformulato , si avrà anche che n (σ ) lim ∑ i f (ξ i ) ⋅ ( xi − xi −1 ) = α μ →0 1 Ora , poiché la sommatoria sotto segno di limite , che prende il nome di somma intermedia quando μ → 0 , vede nel contempo aumentare indefinitamente il numero dei suoi addendi e questi stessi addendi decrescere al di sotto di qualunque quantità positiva il limite finito cui tende questa sommatoria viene denotato con il simbolo b ∫ f ( x ) dx a e prende il nome di integrale definito della funzione f esteso all’intervallo [ a , b ] Si osservi che la ∫ richiama il simbolo di sommatoria ( vorrebbe significare una somma di infiniti termini ) ; mentre f (x) è , per così dire , il valore di f nel generico punto dell’intervallo [ a , b ] ( si pensi al fatto che , quando μ → 0 , i subintervalli diventano piccolissimi , e , praticamente , ξi si piazza un po’ dovunque ) ; infine il dx , associato ad ogni x di [ a , b ] , richiama la misura ″ infinitesima ″ del generico subintervallo di una suddivisione ″infini tamente fitta″ di [ a , b ] : si prendano queste considerazioni per quello che 300 sono , cioè un aiuto all’intuizione , in mancanza di deduzioni rigorose ma ec cessivamente lunghe . Va poi detto che il procedimento della costruzione delle somme inferiori e superiori e il loro convergere per μ → 0 ad un limite finito vale anche nel caso che la funzione continua f assuma valori di segno qualunque : naturalmente il significato geometrico di questo limite va riconsiderato e sarà quindi oggetto di commento in sede di esercitazione . Passiamo ora a ottenere qualche risultato matematicamente giustificato sull’ b ∫ f ( x ) dx a Teorema 3.15). ( Teorema della media integrale) Data la funzione f continua nell’intervallo chiuso e limitato [ a , b ] , sussiste la seguente formula b ∫ f ( x)dx = f (c) ⋅ (b − a) a ove c è un opportuno punto dell’intervallo [ a , b ] DIM. f , continua in [ a , b ] , vi assume minimo assoluto m e massimo asso luto M . Consideriamo allora una generica somma intermedia relativa ad una suddivisione σ = ( x0 , x1, ⋅⋅⋅ , xn(σ)−1, x n(σ) ) n(σ ) ∑ f (ξ )(x − x i i i i−1 ) 1 poiché risulta (v. sopra) 301 n(σ ) ∑ m (x − x i i i i−1 1 n(σ ) n(σ ) 1 1 ) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ ∑ i Mi (xi − xi−1) e , d’altra parte , valgono le seguenti disuguaglianze m ≤ mi e Mi ≤ M , ∀ i ∈ {1 , 2 , ⋅⋅⋅ , n(σ )} si ottiene subito , dalle disuguaglianze sopra riportate , le seguenti n(σ ) n(σ ) n(σ ) 1 1 1 m(b − a) ≤ ∑ i mi ( xi − xi−1) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ ∑ i Mi ( xi − xi−1) ≤ M (b − a) e , da queste si ottengono le n(σ ) m(b − a) ≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) ≤ M (b − a) 1 e , infine , le n(σ ) m≤ ∑ i f (ξi )(xi − xi−1) 1 b−a ≤M Da queste , passando al limite per μ → 0 , e per il Teor. del confronto , si ottiene b m≤ ∫ f (x)dx a b−a ≤M Poiché f , continua in [ a , b ] , assume tutti i valori compresi fra m e M , assumerà anche il termine intermedio delle disuguaglinze di sopra dunque esiste (almeno) un valore c ∈ [ a , b ] tale da aversi 302 b ∫ f ( x)dx a b−a = f (c ) e quindi b ∫ f ( x)dx = f ( c ) ⋅ (b − a ) a donde la conclusione. C.V.D. In possesso del Teorema della media integrale , si può ottenere il risultato principale della teoria e dell’integrazione : Teorema 4.15). (PrimoTeorema fondamentale del Calcolo integrale) Sia f una funzione continua in un intervallo I , limitato o illimitato , aperto , chiuso o semiaperto , e sia a un punto qualunque di I . Definiamo in I una funzione F ponendo x F ( x ) = ∫ f (t ) dt a se è a ≤ x , e a F ( x) = ∫ f (t )dt x se è , invece , x ≤ a : la definizione è lecita perché f , continua in tutto I , lo è nei suoi sottointervalli [a , x] e [x , a] quindi gli integrali sopra indicati esistono per ogni x ∈ I . Ebbene la funzione F sopra definita per ogni x ∈ I è derivabile in tutto I 303 e , per di più , si ha che , in tutto I , risulta F′ = f : si suol dire per questo che F è in tutto I una primitiva di f cioè F è una funzione che ha f come sua derivata 1a in tutto I . DIM. Fissiamo un qualunque x0 ∈ I e x0 ≥ a . Dobbiamo provare che lim x → x0 F ( x ) − F ( x0 ) = f ( x0 ) x − x0 Per la definizione di F risulta x F (x) = ∫ f ( t ) dt a e F ( x0 ) = x0 ∫ f ( t ) dt a Supposto , per fissar le idee , x > x0 , si ha F ( x ) − F ( x0 ) = x − x0 x x0 a a ∫ f (t ) dt − ∫ f (t ) dt x − x0 = x0 x x0 a x0 a ∫ f (t ) dt + ∫ f (t ) dt − ∫ f (t ) dt x − x0 = x = ∫ f (t ) dt x0 x − x0 = f ( c ( x ))( x − x0 ) = f ( c ( x )) x − x0 304 dove c(x) è , per il Teorema della media integrale , un opportuno punto del l’intervallo [x0 , x] , ed è denotato così perché ovviamente dipende , in genera le , dal punto x : comunque certamente risulta x0 ≤ c(x) ≤ x e , quando x→ x0 , per il Teor. del confronto , si avrà che c(x) → x0 . Ora , poiché si è visto che F ( x ) − F ( x0 ) = f ( c ( x )) x − x0 si può interpretare il secondo membro come una funzione composta di prima componente la funzione c(X) e di seconda componente la funzione f (X) : applicando il Teor. sul limite di una funzione composta si ottiene allora lim x → x0 F ( x ) − F ( x0 ) = lim f ( c ( x )) = f ( x0 ) x → x0 x − x0 donde la conclusione , nel caso considerato . Se fosse x < x0 facilmente adattando il ragionamento precedente si ottiene lo stesso risultato , e così anche se si fosse nel caso x0 < a . C.V.D. Si era posto , più , sopra il problema del calcolo esplicito di un integrale definito b ∫ f ( x ) dx a Ora siamo in grado di rispondere a questa esigenza mediante una conseguen za assai notevole del 1° Teor. fondamentale del Calcolo integrale : 305 Teorema 5.15). (Secondo Teorema fondamentale del Calcolo integrale) Sia f una funzione continua in un intervallo I , limitato , o illimitato , aperto , chiuso o semiaperto , e sia [ a , b ] un qualunque intervallo chiuso e limitato contenuto in I . Se , allora , se F è una qualsiasi primitiva di f in I risulta b ∫ f ( x ) dx = F ( b ) − F ( a ) a a parole diremo che l’integrale definito di f esteso all’intervallo [ a , b ] è uguale alla differenza dei valori assunti da una qualunque primitiva di f rispettivamente in b e in a DIM. Consideriamo la funzione integrale relativa ad f di punto iniziale a de finita ponendo , per ogni x ∈ I , x ∫ Fa ( x ) = f ( t ) dt a Posto in questa formula x = b , si ottiene b Fa (b ) = ∫ f ( t ) dt a e poiché è a Fa ( a ) = ∫ f ( t ) dt = 0 a risulta in effetti b ∫ f ( t ) dt = F a ( b ) − F a ( a ) a 306 e , a questo punto , l’uso cautelativo del simbolo t per la ″ variabile di in tegrazione ″ non avendo più scopo , si può redigere la formula ottenuta sos tituendo t con x : b ∫ f ( x ) dx = F a ( b ) − F a ( a ) a e si può affermare intanto che l’enunciato vale per la primitiva di f in I fornita dalla funzione integrale Fa . Ma è stato dimostrato ( v. Cor.4.14)) che in un intervallo qualsiasi due primitive di una stessa funzione differiscono per una costante se , perciò , F è una qualunque primitiva di f in I , esisterà una costante k tale da aversi F(x) − Fa(x) = k , ∀ x ∈ I : quindi si avrà , in particolare , F(b) − Fa(b) = k e F(a) − Fa(a) = k e , sottraendo membro a membro , si ottiene F(b) − Fa(b) −( F(a) − Fa(a) ) = k − k = 0 da cui segue b F(b) − F(a) = Fa (b) − Fa (a) = ∫ f (x)dx a cioè la tesi. C.V.D. 307