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Spirale di dolcezza + serpe di fascino

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Spirale di dolcezza + serpe di fascino
IN CORSO DI PUBBLICAZIONE SU BULLETTINO SENESE DI STORIA PATRIA, 116, 2009
Spirale di dolcezza + serpe di fascino. Scrittrici futuriste, Antologia a c. di C. Bello Minciacchi,
Napoli, Bibliopolis, 2007. pp. 486.
È uscita nel 2007, due anni prima del corrente centenario del Manifesto del Futurismo, l’antologia
di Cecilia Bello Minciacchi che raccoglie i testi delle scrittrici legate al movimento. Il futurismo fu
infatti luogo di espressione di artiste poliedriche (“danzatrici, scultrici, pittrici, ricamatrici,
arredatrici, fotografe, trasvolatrici”) ma soprattutto di instancabili sperimentatrici, ognuna in modi e
tempi assolutamente personali, dell’espressione letteraria: poesie, romanzi, novelle, sintesi teatrali e
tavole parolibere.
Due sono i meriti principali dell’antologia della Minciacchi. Il primo è quello di salvare da una
indebita cancellazione un considerevole numero di testi (l’elenco delle autrici è consistente:
Valentine de Saint-Point, Maria d’Arezzo, Marietta Angelini, Maria Ginanni, Fulvia Giuliani,
Emma Marpillero, Enrica Piubellini, Magamal, Rosa Rosà, Irma Valeria, Enif Robert, Mina Della
Pergola, Fanny Dini, Marj Carbonaro, Elda Norchi, Benedetta, Nenè Centonze, Elisa Pezzani,
Laetitia Boschi Huber, Pina Bocci, Adele Gloria, Laura Serra, Bianca Càfaro, Annaviva, Maria
Goretti, Franca Maria Corneli, Dina Cucini, Gladia Angeli, Immacolata Corona, Maria Ferrero
Gussago).
L’altro è quello di riportare sotto luce critica lo stretto e complicato rapporto che lega futurismo e
questioni di genere. La dichiarazione esemplare e sempre citata del “disprezzo della donna” («Noi
vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto
distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo
distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il
femminismo e contro ogni viltà opportunistica o ereditaria», Marinetti, Manifesto del futurismo,
1909) è in realtà declinata in due aspetti: il totale e rabbioso disprezzo della donna come inetto e
debole animale borghese, oggetto di lusso, ammalato di toilettite, docile nella sua schiavitù
intellettuale ed erotica; l’ammissione che un’educazione diversa, di stampo “futurista”, avrebbe
potuto renderla pari all’uomo. In questo secondo aspetto hanno potuto energicamente riconoscersi
donne che, come Valentine de Saint-Point, rivendicavano un ruolo più attivo e desiderante per la
donna in questa società come in quella futurista a venire. «Bisogna imporre a tutti, agli uomini e
alle donne ugualmente deboli, un dogma nuovo di energia, per arrivare ad un periodo di umanità
superiore […] Non più donne, piovre dei focolari, dai tentacoli che esauriscono il sangue degli
uomini e anemizzano i fanciulli» (V. de Saint-Point, Manifesto della donna futurista, 1912).
Posizioni ben diverse - e nonostante le oltremodo note e più che tangenziali sovrapposizioni fra
futurismo e fascismo, in specie degli esordi - dal ruolo che sarà previsto per la donna fascista, con
l’unica eccezione della ginnastica, fino ai canti di Salò (“la nostra arma non è il cannone/ ma è
piuttosto lo spazzolone”); indubbiamente più vicine alle analisi di Anna Kuliscioff sul “parassitismo
morale” della donna (Il monopolio dell’uomo, 1890). Come ci ricorda la curatrice Bello Minciacchi,
«dopo la controversa fase lacerbiana del futurismo, sotto molti aspetti francamente misogina, la
partecipazione al movimento si sviluppò invece con grande vivacità e frequenza», soprattutto sul
periodico «L’Italia Futurista» (p.29), i cui testi letterari a firma femminile sono per intero compresi
in questa antologia.
Da parte delle donne vi è dunque un tentativo cosciente e attivo, seppur pieno di contraddizioni, di
esplorare la possibile identità di una “donna nuova”. Pur con posizioni diverse nei riguardi del
movimento, esse intrattengono in genere ottimi rapporti con Filippo Tommaso, che nonostante le
affermazioni provocatorie poi ha sempre lasciato alle futuriste molto spazio. Nella loro grande
varietà stilistica, nella maggiore o minore riuscita artistica o teorica, condividono il senso di un
ribellione profonda («un’anima da preda in un nido di passeri» dice Maria d’Arezzo in Certe serate
borghesi) , la volontà di ricerca di un’identità propria e il senso del proprio diritto a pretendere e
desiderare: la donna futurista, come dichiara Enif Robert, è CORAGGIO + VERITÀ. Il filo rosso
che unisce le varia scritture è, non a caso, la necessità di restituire l’esperienza del corpo e il
sospetto verso le posizioni cerebrali e intellettualistiche.
Tra le esperienze più interessanti e complesse vi sono quelle di Benedetta (Benedetta Cappa),
instancabile sperimentatrice che alterna la produzione letteraria a quella grafica e pittorica - e di cui
è a dir poco riduttivo parlare come la compagna e poi moglie di Marinetti – e di Rosa Rosà, pittrice
e illustratrice, paroliberista, autrice di novelle e romanzi. Una menzione va anche alla presenza, con
un congruo numero di testi (tra cui il famoso Palio vampa del dinamismo senese), della futurista
senese Dina Cucini.
Concludendo: Cecilia Bello Minciacchi prosegue la strada iniziata da Claudia Salaris e altre autrici
negli anni Ottanta, ma con un consistentissimo e prezioso apporto documentario. È un’offerta di
materiale, più che un’operazione ermeneutica. E tuttavia, come in tutte le operazioni di recupero
della produzione letteraria a firma femminile, stupisce il forte impatto critico del “testo nudo”, che
sorge dalla pagina vivo, ricco, non neutralizzato: e ciò basta a rivestire la storia letteraria di una luce
più sfaccettata e complessa, a sottoporla in qualche modo a revisione, a una prova di resistenza.
VALENTINA TINACCI
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