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Macbeth o Lady Macbeth? (Valentina Calamusa)

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Macbeth o Lady Macbeth? (Valentina Calamusa)
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
Laurea specialistica in Tecnologie e Didattica delle Lingue
Letteratura inglese Prof .Marcello Cappuzzo
Macbeth o Lady Macbeth?
Ambiguità e femminilità nella tragedia di Shakespeare
Valentina Calamusa
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
Johann Heinrich Fussli
Macbeth and Lady Macbeth (1812)
Shakespeare: Cenni biografici
Della vita di Shakespeare possediamo così scarse notizie
che qualcuno ha perfino negato l'esistenza dello scrittore,
attribuendo le sue opere al filosofo Francis Bacon, o ad altri
e ancor più improbabili personaggi. La critica di oggi,
tuttavia, è unanime nel riconoscere l'esistenza storica di
Shakespeare e l'autenticità delle notizie che abbiamo di lui.
Nasce nel 1564 a Stratford-on-Avon, probabilmente il 23
Aprile, da una famiglia di mercanti; quasi certamente si
formò alla Strastford Grammar School e lì studiò latino e greco. Si sposa nel
Novembre 1582 all’età di appena diciotto anni, con Anne Hathaway e avranno tre
figli: Susan e i due gemelli Hamnet e Judith. Presto dovette trasferirsi a Londra a
causa delle cattive condizioni economiche della famiglia. Del suo primo anno nella
capitale non sappiamo molto: secondo la leggenda, dopo aver fatto il sorvegliante
dei cavalli lasciati dai signori fuori dai teatri durante le rappresentazioni, trovò
lavoro(nel 1595) in una delle molte compagnie drammatiche attive nelle grande
città, quella di Lord Chamberlain (una della più importanti compagnie teatrali che
si esibiva anche a corte), prima come attore poi come autore. Rapidamente crebbe
la sua fama e migliorata la situazione finanziaria, svolse anche attività di
impresario acquistando un teatro, il Globe, dove metteva in scena i suoi drammi.
Nel 1597 tornò a stabilirsi nella cittadina natale di Stratford, restandovi fino alla
morte avvenuta nel 1616.
Introduzione alla tragedia
Il testo di Macbeth ha da fondarsi esclusivamente sull’in-folio del 1623, perché
non si posseggono, né si ha ragione di credere che siano mai esistite, stampe
precedenti in-quarto. È la tragedia che più delle altre compendia in sé i problemi
di datazione e composizione (alcuni luoghi sono ritenuti dubbi o spuri e
sicuramente ci sono stati dei tagli). Inoltre, è la tragedia più breve mai scritta dal
drammaturgo inglese e per questo motivo è stata da molti ritenuta opera mutila.
Come la maggior parte delle trame delle tragedie shakespeariane, la storia non è
originale. L’autore, infatti, prese a modello le Chronicles of Scotland di Raphael
Holinshed, adattandole al suo scopo: mostrare ciò che sarebbe successo in
Inghilterra, dopo che Elisabetta I era morta senza lasciare eredi, se Giacomo I non
fosse diventato re (nella tragedia, infatti, Giacomo I viene mostrato come diretto
discendente di Banquo, uno dei personaggi). Il Macbeth di cui favoleggia la
cronaca regnò effettivamente in Scozia: le narrazioni dell’XI secolo parlano di un
re scozzese generoso nei confronti dei poveri e rispettoso verso l’autorità
ecclesiastica per tutto il corso dei diciassette anni del suo regno, ossia a partire
dal 1040, a seguito della vittoria sul cugino Duncan assassinato.1
1
Dover Wilson sostiene che l’assassinio di Duncan per mano di Macbeth non era che un comune e necessario incidente
quasi sancito dalla legge, con cui si provvedeva, nei secoli X e XI, a eleggere ogni volta il nuovo sovrano: egli rileva,
infatti, che dal 943 al 1040, ben sette re su nove dovettero l’accessione al trono a quel mezzo spiccio e affatto
Temi fondamentali che ritornano spesso durante tutta l’opera sono: il potere,
l’ambizione e l’ambiguità. L’ambiguità, in particolare, non è solo presente nei
personaggi principali (Macbeth, Lady Macbeth, le Sorelle Fatali), ma perfino nello
stile; le due figure retoriche più utilizzate sono infatti l’ossimoro (che mette in
risalto i contrasti inseparabili di bene/male, luce/oscurità, ordine/disordine su
cui si muove l’opera) e l’ironia (soprattutto tra ciò che Macbeth e sua moglie si
aspettano dagli eventi e ciò che in realtà accade). In questa tragedia, infatti,
spesso ciò che appare in realtà non è come sembra.
Personaggi
Duncan, re di Scozia
Malcom
,suoi figli
Donalbain
Macbeth, dapprima generale e poi re di Scozia
Banquo, generale
Macduff
Lennox
Ross
Menteith
nobili scozzesi
Angus
Caithness
Fleance, figlio di Banquo
Siward, conte di Northumberland e generale dell’esercito inglese
Il giovane Siward, suo figlio
Seyton, uffiziale al servizio di Macbeth
Un ragazzo, figlio di Macduff
Un capitano
Un portiere
Un vecchio
Un medico inglese
Un medico scozzese
Tre sicari
Lady Macbeth
Lady Mcduff
Una dama al seguito di Lady Macbeth
Le fatidiche sorelle
Ecate
Apparizioni
Signori, nobili, ufficiali, soldati, persone al seguito e messaggeri
Scena: Scozia e, in IV e III, Inghilterra.
previsto, perché la successione per via di progenitura non era praticata e vigeva quella invece cui si è
accennato.
Trama
Si è appena conclusa una battaglia. Duncan, re di Scozia, saputo che il generale
Macbeth signore di Glamis, suo cugino, ha combattuto valorosamente, lo nomina
signore di Cawdor. Prima però che i messi del re gli portino la notizia, mentre
cavalca insieme con Banquo, altro valoroso generale, s’imbatte in tre streghe che
lo salutano come signore di Glamis, signore di Cawdor e futuro re; ma nello
stesso tempo salutano Banquo come genitore di re. Macbeth rimane molto
sorpreso, ma quando poco dopo i messi del re gli confermano la sua nuova
signoria, comincia a credere alla profezia delle tre streghe. Scrive alla moglie,
Lady Macbeth, una lettera per informarla dettagliatamente di tutto, mentre la sua
ambizione cresce a dismisura. Quando di lì a poco saprà che il re in persona si
fermerà nel castello dei Macbeth per una notte, fa in modo di giungere alla sua
dimora prima del sovrano, e con la moglie prepara un piano per uccidere il re.
Duncan viene ucciso e Macbeth ne prende il posto. Poco dopo verrà ucciso
Banquo, mentre suo figlio Fleance riesce a scappare. Poi toccherà alla moglie e ai
figli di Macduff. Durante un banchetto lo spettro di Banquo tormenterà Macbeth,
ma la moglie riesce in qualche modo a giustificare agli occhi degli invitati il
comportamento del re. Intanto Macduff si rifugia in Inghilterra e insieme con
Malcom, figlio di Duncan organizza la ribellione. Macbeth si reca dalle streghe per
sapere qualcosa di più sul suo regno, e gli viene detto che nessun uomo nato di
donna potrà ucciderlo, e che rimarrà al trono finché la foresta di Birnam non si
muoverà verso la collina di Dunsinane. Macbeth, convinto di essere invincibile,
affronta i ribelli. Ma questi, coperti ciascuno da un ramo d’albero del bosco di
Birnam si avvicinano verso Dunsinane. Inoltre Macduff, prima del duello finale
dice a Macbeth di essere nato da un parto prematuro con taglio cesareo. Ė la fine:
Macduff decapita Macbeth, e come da copione delle streghe, il trono spetta alla
discendenza di Banquo.
Questo lavoro mira all’analisi del protagonista del dramma, Macbeth, analisi che
sarà condotta attraverso la figura della moglie; è proprio soffermandoci sul
personaggio di Lady Macbeth e sulle sue apparizioni, che capiremo quanto Macbeth
non sia un uomo del tutto malvagio, ma un uomo che interpreta un ruolo, un ruolo
che egli non ha liberamente e amleticamente inventato, ma un ruolo che gli è stato
imposto. Macbeth non è solo strumento involontario, <<costretto>> dalla volontà
della donna, ma è condotto alla sanguinaria catena di delitti anche dalla
ineluttabilità del Fato, da una volontà ultraterrena . Per questo motivo, e perché
fondamentali per capire l’essenza della tragedia, qui di seguito, una breve
introduzione sulle <<Weird Sisters>>.
Le Streghe
La tragedia si apre con tuoni , lampi e l’inquietante presenza delle Fatidiche
Sorelle; la scelta di presentarle per prime ha la funzione di mostrare
immediatamente l’importanza del ruolo che esse rivestono nello svolgimento della
tragedia e ci introducono in quell’atmosfera di cupezza e tensione in cui il
dramma è immerso:
Fair is foul, and foul is fair:
Hover through the fog and filthy air. (I,1; vv.11-12)
(Bello è il brutto e brutto il bello:
Voliamo per la nebbia e l’aria lurida.)
Questa frase, apparentemente insensata,
con la quale le streghe si congedano dalla
prima, brevissima scena del Macbeth,
riflette i contenuti della tragedia:
stravolgimento dei valori, deformazione
della realtà, caos e perdita di ogni certezza.
La rima persistente del loro balletto infernale ci introduce in un mondo
estremamente ambiguo, un mondo in cui le cose ed i personaggi sono talmente
indistinti che è impossibile capire cosa è buono e cosa non lo è.2
Il clima mitico e di tempesta, dominato da forze demoniache è creato dalle prime
parole di una strega:
When shall we three meet again
In thunder, lighting, or in rain?
(vv.1-2)
( Quando ci incontreremo di nuovo tutt’e tre,
nel tuono, nel lampo o nella pioggia?)
Ed ecco la risposta:
When the hurlyburly’s done,
When the battle’s lost and won.
(vv.3-4)
( Quando il tumulto e la confusione saran cessati,
quando la battaglia sarà perduta e vinta.)
La portata problematica dell’opera è stata delineata: quel <<hurlyburly>> con le
sue implicazioni, anche onomatopeiche di disordine, di confusione fisica e
mentale, suggerisce il caos di cui la tragedia sarà rappresentazione e in cui
s’esprimono sia il turbamento politico degli anni, all’inizio del Seicento, che
vedono il passaggio dal regno di Elisabetta a quello di Giacomo I, sia l’atmosfera
d’inquietudine provocata dalla cospirazione cattolica contro il sovrano,sia una
nuova visione dell’uomo e del mondo che si andava concretizzando proprio a
cavallo dei due secoli.
2
L’ambiguità è sottolineata anche dopo: le Fatidiche sorelle incontrano Macbeth e Banquo; quest’ultimo
viene immediatamente colpito dal loro strano aspetto; egli ne nota subito l’essenza di donna ma anche le
barbe sul viso:<<you should be women, And yet your beards forbid me to interpret That you are so>> (I, III,
vv.45-47) <<dovreste esser donne, e nondimeno le vostre barbe m’impediscono di credervi tali>>.
Il tumulto di questi anni si concretizza anche dal punto di vista simbolico; il
castello e la foresta rappresentano gli antitetici poli del conflitto sociale: la chiusa
roccaforte dell’oppressione, contro la vastità non circoscrivibile del dissenso
popolare. Nell’immaginaria rielaborazione che domina le tradizioni folkloriche del
basso medioevo, la foresta costituisce uno spazio reale e ideale, libero e
inespugnabile, dominato da forze arcane, forze demoniache, non nel significato
che può darsi alla parola in un contesto cristiano, non diaboliche ma piuttosto
forze ultraterrene. Ed è proprio nella brughiera e in una caverna che si formulano
i vaticini delle streghe. The instrument of darkness, strumenti delle tenebre, le
Fatidiche Sorelle sono i demoni tentatori che hanno intercettato una vittima
predisposta a far sì che si realizzino le profezie: da tale momento in poi il libero
arbitrio di Macbeth potrebbe coincidere con la scelta di non commettere il male,
ma l’ambizione ha il sopravvento e l’inizio dell’ascesa dello stesso coincide con
l’inizio della sua caduta.
La scena non è un’interpolazione, e nemmeno un tributo a Giacomo I, il quale era
interessato alla stregoneria, ma è parte integrante dell’opera e le streghe sono le
cupe note che ci annunciano il male del mondo che è al centro del Macbeth.
Analizziamo ora la figura di Lady Macbeth, attraverso le sue apparizioni (I, III; II, II;
III, IV; V, I) per comprendere il conflitto spirituale di Macbeth e la sua progressiva
caratterizzazione.
Lady Macbeth
Lady Macbeth ha un ruolo preminente nella tragedia. Ella si
presenta come l'incarnazione stessa del male; è una figura
contraddittoria, la cui sete di potere che non ha confini diventa
ossessione, forza di natura, passione selvaggia.
Appare per la prima volta nella terza scena del primo atto: sta
leggendo una lettera inviatale dal marito, il quale la informa
sull’accaduto (la profezia delle streghe e i messaggeri del re che
lo salutano come signore di Cawdor).
Oltre allo scopo puramente informativo che non è urgente, dato
che Macbeth sta per giungere al castello, la lettera è indicativa
sia della tensione da cui è agitato (e a cui cerca conforto
confidandosi con lei) sia del conforto, della partecipazione, che
sa di poter trovare in lei. D’altra parte, quale sia il luogo che la
moglie occupa nel suo cuore ce lo indica chiaramente la parte
finale della lettera:
…This have I thought good deliver thee (my dearest partner of greatness) that
thou might’st not lose the dues of rejoicing, by being ignorant of what
greatness is promis’d thee. Lay it to thy heart, and farwell. (vv.10-14)
(..Di tutto questo ho pensato che fosse bene informarti, diletta compagna della mia grandezza,
affinché tu non perdessi quel che t’è dovuto di felicità, ignorando l’augusto destino che t’è
promesso. Custodisci tutto questo nel tuo cuore, e addio.)
Il termine <<partner>>, anche solo dal punto di vista denotativo ci suggerisce
l’idea di Lady Macbeth come socia, compagna di Macbeth; ella sarà infatti
complice del delitto. Complice ma soprattutto istigatrice e vedremo come.
Macbeth parla sì della grandezza ma non accenna ai mezzi con cui ottenerla. Egli
svolge il “tema imperiale”, il tema della speranza, ma tace sul male, sul sangue,
sulla lotta che la realizzazione di esso comporta. L’assassinio di Duncan è nel suo
pensiero ma ancora vive di tormenti e con questa lettera lascia, implicitamente
che sia sua moglie a prendere una decisione.
Lady Macbeth legge lucidamente nei suoi pensieri e afferra immediatamente il
senso vero della situazione e decide quelle conseguenze di fronte alle quali il
marito si è arrestato: Macbeth è Glamis, è Cadwor, e sarà anche re. L’unico
ostacolo è la sua natura:
Yet to do I fear thy nature:
It is too full o’th’milk of human kindness,
To catch the nearest way. Thou wouldst be great;
Art not without ambition, but without
The illness should attend it: what thou wouldst highly,
That wouldst thou holily; wouldst not play false,
And yet wouldst wrongly win;…
(vv.16-22)
(Nondimeno temo la tua natura:
è troppo piena del latte dell’umana dolcezza,
per tener la via più breve. Vorresti esser grande;
non ti manca l’ambizione, ma ti manca
il malvolere che dovrebbe accompagnarlesi: quel che tu ardentemente desideri,
vorresti ottenerlo santamente; non vorresti agire in modo sleale,
eppure vorresti ottenere a torto;…)
Questo è Macbeth come appare alla moglie anche come appare a noi: vi sono in
lui le premesse del male ma vi sono anche qualità che rendono arduo lo sviluppo
del male stesso. Ė un uomo privo di una salda coscienza morale, ma in lui c’è
anche un’innata tendenza al bene. Il suo punto debole sta nell’inclinazione a
subire l’influsso delle passioni, nella facilità con cui può abbandonarsi ad un
irrazionale sogno di grandezza: e Lady Macbeth è proprio qui che farà leva e
l’arma di cui si serve per scavare nell’irrazionalità di suo marito sarà <<la
lingua>>, il suo linguaggio privo di retorica, concitato, essenziale. Ė una donna
che usa metodi femminili – manipolazione, scaltrezza – per raggiungere obiettivi
prettamente maschili.
Ciò che la spinge al male non è il male in sé: il male è un mezzo, non il fine. Il fine
della sua azione è il potere, la gloria che vuole raggiungere non per se stessa, ma
per la felicità di suo marito. Il rapporto che lega i due è un rapporto d’amore e il
suo inaridirsi fino a scomparire è una delle prime conseguenze del male. Lady
Macbeth non è rappresentata da Shakespeare come una donna priva di
femminilità, anzi è una donna che deve lottare per dominare proprio quella
natura femminile che se da un lato la spinge a cercare la felicità dell’uomo che
ama, dall’altro può esserle d’ostacolo per il suo scopo. L’autore, non senza ironia,
le nega una precisa identificazione (attribuendole il nome generico di Lady) per
rappresentare quelle qualità umane femminili - grazia fisica, sensitività,
emotività… - che si oppongono alle qualità e facoltà maschili (razionalità,
intelligenza, forza fisica, ardimento…). Quando la ragione è debole e vacilla,
queste qualità femminili tendono a spegnerla del tutto; ed è questo che accade a
Macbeth, perchè Lady M. darà corpo alla parte più irrazionale del suo uomo.
Irrazionale e femminile, perché d’ora in poi saranno gli istinti e le passioni a
governare Macbeth.
Che è una donna risoluta, per la quale il delitto, l’inganno, il tradimento non sono
ostacoli alla sua volontà di potenza, lo vediamo soprattutto nel monologo dove si
lascia andare a una distorta “preghiera”, nella quale invoca gli spiriti del male:
Come, you Spirits
That tend on mortal thought, unsex me here,
And fill me, from the crown to the toe, top-full
Of direst cruelty! make thick my blood,
Stop up th’access and passage to remorse;
That no compunctious visitings of Nature
Shake my fell purpose, nor keep peace between
Th’effect and it!
(vv.40-47)
(Venite, o Spiriti
che v’accompagnate ai pensieri di morte, e in questo punto snaturate in me il sesso,
e colmatemi da capo a piedi, fino a traboccarne,
della più spietata crudeltà! Rendete più denso il mio sangue,
sbarrate ogni accesso o passaggio alla compassione;
così che nessuna visita contrita dei sentimenti naturali
scuota il mio feroce proposito, e venga a metter pace fra
questo e la sua esecuzione!)
Come Macbeth, anche Lady M. ha una coscienza morale, è consapevole che il suo
proposito è peccaminoso, che il delitto è contrario all’ordine naturale, alla sua
stessa natura femminile. Di questa, ella soprattutto ha timore, ed è per ciò che
chiede di venir privata del proprio sesso, quasi ne derivasse quel <<latte
dell’umana dolcezza>> la cui presenza aveva rimproverato nel marito. Anche nella
seconda delle tre orribili invocazioni di cui è composto il monologo, i termini legati
alla femminilità vengono collocati in primo piano, per poi essere esorcizzati:
Come to my woman’s breast,
And take my milk for gall, you murth’ring ministers,
Wherever in your sightless substances
You wait on Nature’s mischief!
(vv.47-50)
(Venite ai miei seni di donna,
e prendetevi il mio latte in cambio del fiele, voi o ministri d’assassinio,
dovunque andiate, con le vostre sostanze invisibili,
ai misfatti di natura!)
Ora che si è strappata di dosso i segni del proprio sesso, che ha rinunciato al
seno e al latte, simboli della maternità, può pronunciare la parola fatidica,
<<assassinio>>, alla quale fin qui aveva solo accennato. Ora la parola viene detta
perchè il travaglio morale, l’umana debolezza, la femminilità di Lady Macbeth
vengono dominati e risolti nella decisione di uccidere; il delitto prende tangibile
forma nell’ultima invocazione del monologo:
Come, thick Night,
And pall thee in the dunnest smoke of Hell,
That my keen knife see not the wound it makes,
Nor Heaven peep through the blanket of the dark,
To cry, ‘Hold, hold!’
(vv.50-54)
(Vieni, o fitta oscurità notturna,
e ammantati del più buio fumo dell’inferno,
così che il mio coltello affilato non veda la ferita che apre,
e i cieli non si porgano fuor dalla coltre di tenebra,
per gridare:<<ferma, ferma!>>.
Qui sono maggiormente evidenti le contrapposizioni fondamentali di tutta la
tragedia, Inferno/Paradiso, luce/oscurità.
La lucidità con la quale Lady Macbeth affronta la decisione di uccidere Duncan
(che sta per giungere al castello) e l’astuzia nel mascherare al marito la malvagità
dell’atto, sono visibili sempre in questa scena:
To beguile the time,
Look like the time; bear welcome in your eye,
Your hand, your tongue; look like th’innocent flower,
But be the serpent under’t.
(vv. 62-65)
(Per frodare il tempo,
togli l’aspetto del tempo; reca il benvenuto nel tuo occhio,
nella tua mano, nella tua lingua: prendi il sembiante di un casto fiore,
ma sii la serpe che vi si nasconde sotto.)
Il tema dell’inganno si fa qui del tutto esplicito; lo strumento al quale Macbeth,
nella lettera, non ha avuto il coraggio di accennare gli viene ora descritto dalla
moglie, anche se ella, ben conoscendo la sua natura, non nomina il fine ultimo
dell’inganno, cioè l’assassinio, ma si affida all’allusione del serpente3. Inoltre
Macbeth non dovrà occuparsi di niente, Lady M. intuendo pienamente le
esitazioni del marito, chiude la scena con <<Leave all the rest to me>> (v.73)
<<Lascia a me tutto il resto>>.
Il tema della maternità di cui abbiamo accennato sopra è un simbolo su cui Lady
Macbeth insiste diverse volte. L’immagine dell’allattamento ritorna in alcuni versi
della settima scena, durante la quale Lady Macbeth rimprovera al marito di non
mantenere la parola data; l’immagine proposta per convincerlo ad agire fa
inorridire, ma alla fine raggiunge il suo scopo:
I have given suck, and know
How tender ‘tis to love the babe that milks me:
I would, while it was smiling in my face,
Have pluck’d my nipple from his boneless gums,
And dash’d the brains out, had I sworn
As you have done to this.
(vv.54-59)
(Ho allattato, e so quanta tenerezza
si provi nell'amare il bambino che succhia il latte:
e tuttavia, proprio mentr'egli si fosse rivolto in su a sorridermi,
avrei strappato il mio capezzolo
dalle sue gengive senza denti,
3
Richiamo inevitabile al peccato originale e alla tentazione di Eva.
e gli avrei fatto schizzare fuori il cervello,
se l’avessi giurato,
così come tu hai giurato di far questo!)
I critici su questi versi hanno scritto pagine e pagine sostenendo una moltitudine
di teorie. Si potrebbe ipotizzare che Lady Macbeth abbia effettivamente avuto un
bambino, che poi deve probabilmente essere morto; ma non è questo che
interessa a Shakespeare. Incisive, invece, sono le parole utilizzate e l’immagine
presentata, che la donna adopera, con successo, per convincere il marito.
Ritroviamo Lady Macbeth, nella seconda scena del secondo atto. C’è stato un
passaggio brusco, non sappiamo cosa è successo in questo intercorrere di tempo,
ma non è la durata materiale che conta qui, ma è la durata psicologica e morale;
la vera azione è quella che si è svolta nell’animo dei protagonisti, sono le
indecisioni, le ambizioni , i pentimenti e i terrori di Macbeth e della stessa Lady
Macbeth. Esso si apre con le sue parole che ci informano che ella ha eseguito la
sua parte, ha fatto ubriacare la guardie e sgombrato così il terreno a Macbeth,
che è ora intento al delitto:
That which hath made them drunk hath made me bold:
What hath quench’d them hath given me fire.
(vv.1-2)
(Quel che li ha resi ebbri, m’ha dato coraggio.
Quel che li ha spenti, m’ha acceso.)
Il linguaggio di Lady Macbeth è carico di sgomento e apprensione. Apprensione
che il lettore (o spettatore) prova sapendo che Macbeth sta per compiere il delitto.
L’atmosfera è carica di tensione, di suspense; nonostante Macbeth , riapparso
sulla scena, abbia detto alla moglie <<I have done the deed>> (v.14) <<L’atto è
stato compiuto>>, non riescono a trovare la via della serenità. Lady Macbeth
sembra svelare la sua natura femminile, debole. Ma, mentre il marito rievoca il
delitto e da sfogo ai suoi sentimenti, dicendo <<This is a sorry sight>> (segno
della crisi di Macbeth), <<Ė uno spettacolo pietoso>>, Lady Macbeth lo
ammonisce <<A foolish thought to say a sorry sight>>, <<Ė sciocco dire:
spettacolo pietoso>> (vv.20-21). Nei versi successivi fino alla fine della scena, il
discorso è ripetutamente interrotto da osservazioni, domande, interventi di Lady
Macbeth che si sforza di calmare il marito, di restituirgli, freddezza e lucidità, di
infondergli coraggio. Questi interventi hanno la funzione sia di contrapporre la
forza di Lady Macbeth all’evidente debolezza del marito, sia di sottolineare la
solitudine di ciascuno dei due. Gli interventi infatti sono vani; Macbeth non vi
presta nemmeno ascolto e la stessa Lady M. sembra non aspettarsi risposta, i due
personaggi seguono linee che non s’incontrano. Ecco una delle prime
conseguenze del delitto: il rapporto d’amore, di confidenza tra i due coniugi si è
irrimediabilmente spezzato; i due sono ormai soli con la propria colpa.
Alla chiusura dell’atto un altro dialogo tra i due conferma la forza di Lady
Macbeth che trae alimento dalla debolezza del marito:
Lady Macbeth:
Go, get some water,
And wash this filthy witness from your hand.
Why did you bring these daggers from the place?
They must lie there: go, carry them, and smear
The sleepy grooms with blood.
(vv.51-55)
(Va’, prendi un po’ d’acqua,
e lava questo sudicio testimone della tua mano.4
Perché hai tolto questi pugnali dal luogo dov’erano?
Debbono restar lì. Va’, riportali dove li hai trovati, e imbratta
i servi addormentati con il sangue.)
Macbeth:
I’ll go no more:
I’m afraid to think what I have done;
Look on’t again I dare not.
(vv.56-58)
(Non ci vado più.
Ho paura anche soltanto di pensare a quel che ho fatto.
Non ho il coraggio di rivedere quello spettacolo.)
David Garrick and
Mrs. Prichard
in Macbeth di
Johann Zoffany
(1968)
Per capire ancor meglio la natura e il ruolo di questa Lady Nera, esaminiamo la
scena del banchetto regale (che è la quarta del terzo atto): siamo al castello dei
Macbeth, mentre il nuovo <<Maestà>>5 e la sua corte si accingono a sedersi,
arriva l’assassino a cui Macbeth aveva ordinato di uccidere Banquo e suo figlio.
Egli lo informa che l’impresa è riuscita solo a metà, perché Banquo è stato
sgozzato, ma Fleance è riuscito a fuggire. Macbeth cerca di confortarsi col
pensiero che almeno <<the grown serpent>> (v.28) è morto e che <<the worm>>,
la piccola serpe, produrrà veleno ma non ha ancora denti.
Congedato l’assassino, Macbeth torna dai suoi ospiti sì che il banchetto possa
cominciare; per tenere fede il più possibile alla maschera che si è imposto, nel
4
L’ansia di Lady Macbeth di lavare la prova del delitto si riallaccia alla speranza, all’illusione della Donna (Eva) di poter nascondere
il ‘fatto’ agli occhi del cielo.
5
I cortigiani lo chiamano “Majesty”(v.2), ed è la prima volta.
brindisi di benvenuto non può non lamentarsi del fatto che Banquo non sia
presente :
Here had we now our country’s honour roof’d,
Were the grac’d person of Banquo present;
Who may I rather challenge for unkindness,
That pity for mischance!
(vv. 39-42)
(Qui sotto il nostro tetto avremmo tutt’intera la più onorata accolta di persone del nostro paese,
se anche l’amico nostro Banquo, dispensatore di grazie, fosse presente;
ma preferirei doverlo accusare d’inciviltà per non essere venuto,
anziché compiangerlo per una qualche sventura che gli fosse occorsa!)
Ma proprio mentre egli pronuncia queste parole, lo spettro di Banquo entra in
scena e occupa, alla tavola ancora vuota, il posto assegnato a Macbeth. In un
primo momento è solo il pubblico ad essere consapevole della presenza dello
spettro, poi lo vedrà anche Macbeth, ma gli altri non lo vedranno mai. In tal modo
Shakespeare ottiene il risultato sia di poter giocare costantemente sull’ironia
tragica (il pubblico e Macbeth sanno ciò che è ignoto agli altri personaggi), sia e
soprattutto, di porre in risalto la solitudine di Macbeth di fronte allo spettro; se
prima era stata fisicamente sottolineata, con il suo appartarsi a parlare con il
sicario, ora la solitudine di Macbeth prende la sua forma più evidente e si
trasforma in delirio:
Thou can’t not say, I did it: never shake
Thy gory locks at me.
(vv. 50 51)
(Non puoi dire che sono stati io. Non scuotere
verso di me le tue chiome insanguinate!)
La presenza dello spettro è importante; la sua funzione è quella di sottolineare lo
stato d’animo, i sentimenti, l’angoscia spirituale da cui il protagonista è
tormentato.
Macbeth continua a delirare, è così rapito dall’incontro con lo spettro da far
temere alla moglie che si possa tradire; Lady Macbeth pur non sapendo
esattamente cosa sta accadendo al marito, esorta gli astanti a rimanere
attribuendo le sue parole a una malattia a cui fin da giovane è soggetto.6 I suoi
interventi riescono a sviare l’attenzione dei convitati, a dare spiegazioni plausibili,
ma basterebbe un errore, una risposta incauta perché la scenografia regale, già
così illusoria, crolli del tutto. Di qui, l’invito agli ospiti di andarsene. Ed è ora che
i due coniugi rimangono soli che prende corpo il sentimento di Macbeth, il timore
che i delitti commessi vengano scoperti:
It will have blood, they say: blood will have blood:
Stones have been known to move, and trees to speak;
Augures, and understood relations, have
By magot-pies, and choughs, and rooks, brought forth
The secret’st man of blood.
(vv.121-125)
(Tutto questo vuole aver sangue. Dicono che il sangue chiama sangue.
Si è saputo che le pietre possono muoversi, e che gli alberi possono parlare.
6
Il motivo della malattia isola ulteriormente Macbeth. Le parole di Lady Macbeth sono:<<...Se gli darete eccessivamente conto, lo
offenderete e accrescerete il suo delirio; mangiate e non curatevi di lui.>> (vv.55-57)
E auguri e contrassegni che mostravano la connessione delle cause con gli effetti,
han parlato con la voce di piche, di corvi e di cornacchie, e han
denunziato e scovato fin l’assassino meglio nascosto.)
Macbeth si affida al mondo non umano per trovare rifugio e complicità. L’uomo
non può essere abolito (Banquo), come egli si illudeva, l’uomo ha impresso il suo
segno, è riuscito a dominare tutto ciò con cui è venuto in contatto: ha dato voce
al silenzio, vita alle cose inanimate, significato al caos, forma all’informe. Ė la
forza dell’uomo, la sua grandezza e l’immortalità che Macbeth ha riconosciuto
durante l’incontro con lo spettro, per questo motivo, per abolire l’umano deve
inoltrarsi in un mondo dove l’uomo non può agire, un mondo anteriore all’ordine,
alla forma, alla storia, un mondo che rappresenta la sua sola speranza di salvezza.
Di qui la decisione di affidarsi alle streghe:
I will to-tomorrow
(And betimes I will) to the Weird Sisters:
More shall they speak; for now I am bent to know
By the worst means, the worst.
(vv.131-134)
(Domani voglio recarmi
per tempo dalle fatidiche sorelle.
Mi diranno dell’altro. Perché adesso son pronto anche a sapere
il peggio e con i mezzi peggiori.)
In questi versi e in quelli successivi è importante l’uso della prima persona;
queste parole sono materialmente rivolte a Lady Macbeth, in realtà Macbeth non
può che rivolgerle che a se stesso. Il legame con la moglie, che prima abbiamo
visto intaccato, ora si è definitivamente spezzato: i due escono insieme, Macbeth
torna per un istante ad usare il “noi”, come per riaccogliere la moglie nel proprio
mondo, ma di fatto il rapporto non è più possibile, nemmeno sul piano di una
complicità nel male. Macbeth deve lottare contro l’umano,e devo farlo in
solitudine: non a caso questa è l’ultima volta in cui marito e moglie appaiono
insieme.
Johann Heinrich Fussli
Lady Macbeth sonnambula (1784)
Il legame dei due coniugi si è interrotto e la fragilità di Lady
Macbeth che è venuta fuori man mano che il rapporto
s’indeboliva, esplode nell’ultima scena in cui la ritroviamo, la
scena del sonnambulismo (V, I). Ė caduta in un sonno, che non
è un sonno ristoratore, e neanche il sonno della morte, perché lo
stato in cui vive ora non è né vita, né morte. È una sorta di
spazio eterno in cui il tempo non esiste. È diventata ormai un oggetto da
osservare ed ha perso ogni connotazione umana. Si aggira per il castello come un
fantasma allucinato e nulla di lei ci fa più pensare alla donna risoluta e volitiva
che abbiamo incontrato nei primi atti; nulla rimane della donna che avevamo
visto intonare per sé e per il marito, il “tema imperiale” e lucidamente indagare
nella mente di lui, e freddamente sfruttarne le debolezze; che aveva esorcizzato,
strappato da sé, ogni femminile mitezza, e progettato l’uccisione di Duncan,
spingendo il marito ad attuarla; che aveva saputo affrontarne, poi, le conseguenze,
soffocando le proprie ansie e paure per sostenere Macbeth nei momenti di più
grave crisi, fino a quella, cruciale, dell’apparizione di Banquo. Ora la sua
debolezza è mostrata senza pietà e tutto ciò che ha detto precedentemente al
marito per incoraggiarlo ora torna a tormentarla.
La scena è completamente dominata dal continuo strofinio delle sue mani con il
quale cerca di mandar via una macchia di sangue. Questo atto così semplice è in
realtà una sorta di contrappasso al quale la donna è costretta; essa stessa, infatti,
aveva detto a suo marito che tornava dall’omicidio di Duncan con le mani rosse di
sangue: <<A little water clears us of this deed: How is it easy then!>>7 ed ora
quella macchia continua a rimanere sulle sue mani, come un marchio a fuoco dei
misfatti commessi. Il sangue rimane e le fa rivivere l’esperienze, di quel sangue
che non si cancella ne sente anche l’odore, quale non riusciranno <<tutti i
profumi d’Arabia>> a far svanire da <<questa piccola mano>> (vv.45-46). E
davvero piccola, e femminile appare la donna un tempo coraggiosa e passionale; il
peso con cui ha gravato la propria coscienza e il proprio corpo è ormai
intollerabile, la sofferenza estrema. La morte verrà, come apprenderemo da altri,
ma sarà lei a chiamarla, concludendo con un ultimo gesto contro natura
un’esistenza innaturale.
Da suo marito, che tanto amava e da cui era ricambiata, riceverà un ultimo
pensiero prima che egli esca sul campo di battaglia, dove è impegnato e dove
anche lui incontrerà la morte:
Out, out brief candle!
Life’s but a walking shadow; a poor player,
That struts and frets his hour upon the stage,
And then is heard no more: it is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.
(V, V, vv.23-28)
(Spegniti, spegniti, breve candela!
La vita non è che un'ombra in cammino,
un povero attore
che s’agita e si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico
per il tempo assegnato alla sua parte,
e del quale poi non si sa più nulla.
Ė un racconto narrato da un idiota,
pieno di strepito e di furore
e senza alcun significato.)
Citando San Paolo, queste parole risultano essere taglienti come una spada
perché hanno, sul piano psicologico, la medesima valenza del delitto: possono
uccidere la mente, mettendo in dubbio il senso ultimo della vita stessa.
Conclusioni
Questo stesso monologo ci offre gli spunti per dare le giuste conclusioni. Molti
studiosi affermano che Shakespeare aveva della vita una tale opinione, ma penso
che a pronunciare quelle parole è Macbeth, Shakespeare è solo il fotografo di
7
<<Un po’ d’acqua basterà a mondarci di quest’azione. Non vedi com’è facile!>>(II, II, vv.66-67)
un’anima persa, il pittore di un triste paesaggio, il fedele registratore di un
demonio scatenato. Shakespeare, profondissimo conoscitore dell’animo umano, ci
conduce lungo il sentiero dell’ambizione sfrenata, per farci osservare la sua genesi,
la sua crescita, la sua fine. In Macbeth non scorre solo sangue, ma anche poesia e
profonde riflessioni, psicologia, teatralità, genialità. Shakespeare ha solo cantato,
non ha definito niente. A lui giustifichiamo i fiumi di sangue, ogni volgare doppio
senso, ogni orrore, perché la sua poesia, alla fine riesce ad uccidere le trame e i
significati. Il suo magnifico canto spesso, indossando il manto della pietà, ci tiene
per mano per ammonirci, per dirigerci, per allontanarci o avvicinarsi, a seconda
che si tratti di male o bene. Le parole dei suoi personaggi sono le parole che
ognuno di noi pronuncia, ora quando è innamorato, ora quando è ambizioso,
oppure quando è filosofo, giusto, cattivo, buono, matto, savio... Con la sua poesia
ci rivolta come calzini, mette a nudo le nostre anime, pone ciascuno di noi di
fronte a se stesso, fa conoscere l’uomo all’uomo.
Tutte le tragedie di Shakespeare possono essere trasposte in termini di
contemporanea vita quotidiana, e anche Macbeth appare vicina all’esperienza
comune. In piccolo e in modo relativamente innocuo, tutti si sono comportati
talvolta, e con conseguenze simili, in modo abbastanza analogo a quello di
Macbeth. Se volete, Macbeth è la storia di Hitler o di Napoleone. Ma è anche la
storia di un qualsiasi impiegato di banca che falsifichi un assegno, di un
qualunque funzionario che accetti una tangente, di qualunque essere umano, in
realtà, che colga qualche meschina convenienza per sentirsi più importante e
avvantaggiarsi un po' sui propri colleghi. Ciò si fonda sull'illusoria convinzione
umana che un'azione possa restare isolata - che si possa dire a se stessi:
«Commetterò solo questo crimine per raggiungere il mio scopo, e subito dopo
diventerò rispettabile». Ma in pratica, come scopre Macbeth, da un crimine ne
nasce un altro, anche se non aumenta la malvagità di chi lo compie. Il suo primo
assassinio è compiuto per migliorare il proprio status; quelli anche peggiori che
seguono sono compiuti per autodifesa; benché la maggior parte di noi non
commetta effettivamente delitti, la situazione di Macbeth è più vicina alla vita
quotidiana.8
Shakespeare ci rimanda a noi stessi, mette a nudo la nostra anima, e la tragedia
del Macbeth, come ogni suo capolavoro è un ammonimento, un invito implicito ad
usare sempre la ragione ed il buon senso, ad usare sempre la nostra testa. Il
destino di Macbteh sembra essere stato designato dalle tre streghe fin dall’inizio ,
ma non ci dimentichiamo della forza di tutte le forze che caratterizza l’uomo: la
volontà. Essere forti non viene dal vincere gli altri, ma se stessi. Shakespeare sta
parlando sempre e solo di noi, dell’uomo, di sé.
8
Gorge Orwell, contributo letterario apparso sul “Corriere della Sera” il 16 Febbraio 2003 (traduzione a cura di Giuseppe Brescia).
BIBLIOGRAFIA
William Shakespeare “Macbeth”. Introduzione, traduzione e note di Gabriele
Baldini. Fabbri Editori
Rosa Marinoni Mingazzi, Luciana Salmoiraghi “A mirror of the times. A historical,
social and literary survey of Great Britain and the U.S.A. ” Morano Editore. Napoli
“The new Encyclopædia Britannica, volume XXV” William Benton,
Publisher,1943-1973
Agostino Lombardo “Lettura del Macbteh” Neri Pozza Editore.1969
Marcello Cappuzzo “ Da Duncan a Malcom: La tragedia di Macbeth” Peloritana
Editrice. Messina. 1972
Maria Luisa Zazo “Introduzione a Shakespeare” Laterza
William Shakespeare “Total study Edition” Sidney Loneb. Coles
Sitografia:
www.wikipedia.it
www.geocities.com
www.homolaicus.com
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