Actio interrogatoria e legittimazione attiva all`azione, in Famiglia
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Actio interrogatoria e legittimazione attiva all`azione, in Famiglia
{a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 95 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO » Successione ereditaria Actio interrogatoria e legittimazione attiva all’azione Vincenzo Barba Professore associato di Istituzioni di Diritto privato » SOMMARIO 1. Introduzione – 2. L’actio interrogatoria nel procedimento successorio – 3. Il potere di accettare l’eredità e la c.d. qualità di chiamato – 4. La perdita tra estinzione e modificazione soggettiva – 5. Sulla decadenza – 6. Legittimazione attiva e interesse all’azione – 7. L’esecutore testamentario e il curatore dell’eredità giacente – 8. I creditori personali del chiamato – 9. I creditori ereditari, i legatari e i beneficiari di un onere 1. Introduzione Sebbene l’ultima formulazione linguistica non sia certamente nuova nel linguaggio del legislatore e, anzi, essa stessa sia alla base di una fondamentale norma di rito civile, nella riduzione dall’indefinito «chiunque» alle determinate tipologie di soggetti che la prima, selettivamente, ha funzione di evocare, ci pare che il processo di concretizzazione abbia scontato e continui a scontare una palese noncuranza del fondamentale riferimento teorico processuale. La norma ha sempre funzione di sintesi; è frutto di un processo di astrazione, che la conduce verso l’indefinito. La sua applicazione, per contro, si svolge secondo un processo esattamente inverso: il quale, movendo dal criterio selettivo o de-selettivo che ne ha consentito la formulazione, ne determina la concretizzazione, ossia – e non è un caso che i termini abbiano un medesimo valore significazionale – l’applicazione. La regola contenuta alla norma di cui all’art. 481 c.c. sembra svolgere, in modo esemplare, il ragionamento astrattamente ipotizzato. È, infatti, frequente nella letteratura e anche nella pur modesta, numericamente, giurisprudenza(1) raccoltasi intorno a questa disposizione di legge, una generica e poco condivisibile concretizzazione del «chiunque». La quale è condotta spesso prescindendo dal riferimento teorico processuale che la disposizione, invece, parrebbe evocare e, soprattutto, ragionando come se la norma fosse slegata ed esterna a un complesso procedimento successorio(2). All’interno del quale il meccanismo da essa descritto vi si inserisce con carattere di mera eventualità e non necessità, affiancato da altri e numerosi congegni tecnici e istituti procedimentali. Tutti idonei a realizzare interessi soltanto procedurali e mai sostanziali, ma pur sempre prospetticamente orientati verso l’effetto ultimo: l’acquisto dell’eredità. Movendo da queste premesse è, dunque, ricorrente la conclusione che nell’indefinita messe del «chiunque» debbano ricomprendersi i chiamati ulteriori, i legatari, i chiamati sotto condizione sospensiva, l’esecutore testamentario, il curatore dell’eredità giacente e anche i beneficiari di un onere testamentario, i creditori ereditari e i creditori personali del chiamato(3). (1) Le poche decisioni in materia raramente toccano il tema della legittimazione. Cosı̀, si è precisato che il provvedimento del presidente del tribunale non deve essere trascritto (Trib. Roma, 19.1.2000, in Arch. civ., 2001, 435), che l’azione può essere diretta anche contro una persona giuridica (Trib. Roma, 5.4.1994, in Gius, 1994, 16, 73) o un ente ecclesiastico (Cass., 27.8.1991, n. 9151, in Riv. notariato, 1992, 240) o una persona incapace (App. Napoli, 25.5.1990, in Vita notarile, 1991, 709 e già Cass., 6.7.1973, n. 1922, in Giust. civ., 1973, I, 1670). Quanto al tema della legittimazione Cass., S.U., 25.10.2004, n. 20644, in Vita notarile, 2005, 855, ha precisato che legittimato attivo è anche il legittimario leso, dal momento che la sua lesione potrà essere accertata soltanto in seguito alla accettazione o rinunzia del chiamato. Trib. Cagliari, 23.11.2000, in Riv. giur. sarda, 2001, 805, ha precisato che l’azione può esser promossa da un coerede nei confronti dell’altro. (2) Sull’idea di procedimento successorio e sulle conseguenze che da esso derivano sia consentito rinviare al nostro La rinunzia all’eredità, Milano, 2008, cap. I e spec. 10-29. (3) Cosı̀, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, Roma – Bologna, 1965, 257; PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni, a cura di Calvo e Perlingieri, Napoli, 2008, I, 321; CAPOZZI, Successioni e donazioni, I, Milano, 1983, 171 s.; MEZZASETTE, Art. 481 Fissazione di un termine per l’accettazione, in AA.VV., Comm. Gabrielli, Delle successioni, I, Artt. 456-564 a cura di Cuffaro e Delfini, Torino, 2009, 244-246. Ma, diversa, la prospettiva di BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, 106, secondo il quale si tratterebbe di un’azione prevista a favore dei creditori dell’eredità, e di GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, in Commentario del codice civile, II, 1, cit., 116, secondo il quale sembrerebbe ammessa soltanto a tutela dei chiamati ulteriori. Secondo BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile. «Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia l’eredità». Con questa disposizione di legge, non soltanto viene segnato il contenuto della c.d. actio interrogatoria, ossia di quella azione mercé la quale si appone al potere di accettare l’eredità un c.d. termine di decadenza, ma si regola, altresı̀, attraverso il singolare rinvio all’indefinita classe segnata dal chiunque vi abbia interesse, il confine tra coloro che sono e coloro che non sono legittimati a esperire l’azione. Annodando in un vizioso circolo ermeneutico interesse e legittimazione. Le quali sembra che smarriscano il loro essere autonome condizioni dell’azione, confondendosi l’un l’altra, al punto che la legittimatio ad causam sembra spettare a colui che abbia interesse ad agire. Famiglia, Persone e Successioni 2 95 febbraio 2011 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 96 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO Un’ampissima tipologia di soggetti, in cui il solo tratto che pare accomunarli e raccoglierli insieme è di essere, a qualche titolo, interessati alla chiusura del procedimento successorio. Come se fosse assolutamente irrilevante che il soggetto sia parte del procedimento successorio o estraneo a esso e toccato da quello soltanto in via mediata e indiretta e come se la sola circostanza che possa esistere in capo al soggetto un interesse, più o meno patrimoniale, più o meno strumentale alla chiusura del procedimento successorio, fosse di per sé garanzia e conferma di un interesse giuridicamente qualificato capace di legittimare il soggetto alla proposizione dell’azione(4). Certo non può escludersi a priori né l’una né l’altra ipotesi di lavoro. Ma si deve contestare il metodo, quando esse prescindano dal processo di selezione della norma e quando non tengano conto della effettiva funzione dello strumento e del suo ruolo all’interno del procedimento successorio. Perché soltanto all’esito di questa indagine crediamo che il tema possa trovare una più coerente risposta. La quale non prescinda, neppure, dal riferimento teorico offerto dalla analoga norma sul rito civile. 2. L’actio interrogatoria nel procedimento successorio C omprendere il senso dell’actio interrogatoria presuppone chiarezza intorno alla sua funzione e soprattutto rispetto alle situazioni giuridiche soggettive sulle quali essa incide e si incardina. L’indagine è, quindi, costretta, secondo la prospettiva che abbiamo creduta più convincente, a muovere dal procedimento successorio. Il cui padrone è, essenzialmente, il chiamato all’eredità, ossia il soggetto al quale, per legge o per testamento, viene offerta l’eredità e la cui essenza sta nel suo constare di una complessa sequenza di atti o di fatti tra loro collegati, che muovono dalla morte del de cuius e attendono sino all’accettazione dell’eredità. Concepire quello successorio siccome procedimento significa, per un verso, avvertire la necessità di due soli atti o fatti, quello iniziale (la morte del de cuius) e quello finale (l’accettazione dell’eredità), degradando tutti gli altri al rango di fatti o atti eventuali, mai necessari, per altro verso, riconoscere agli atti del procedimento valore ed effetti meramente strumentali e assegnare soltanto all’atto o fatto conclusivo del procedimento medesimo l’idoneità a produrre l’effetto finale e sostantivo consistente nell’acquisto dell’eredità(5). Il chiamato all’eredità è vero signore del procedimento successorio sol perché egli ha potere di orientarne l’andamento e, addirittura, di finirne lo svolgimento. 4.2, Le successioni a causa di morte, Torino, 1996, 40, la legittimazione spetterebbe, soltanto, a chiamati in ordine successivo, legatari e creditori ereditari. Non tocca il tema GIU. AZZARITI, L’accettazione dell’eredità, in AA.VV., Tratt. Rescigno, V, Successioni, 2ª ed., Torino, 1997, 151. (4) FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 257, risolve il problema generale, osservando che «si tratterà pertanto, in ogni singolo caso, di vedere se sussiste un interesse a proporre tale domanda». (5) Cfr. il nostro La rinunzia all’eredità, cit., cap. I. (6) Cfr. il nostro La rinunzia all’eredità, cit., 29-82. (7) In questo senso, il nostro La rinunzia all’eredità, cit., 113 ss. (8) Anche per questa ragione, PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, 320, legge questa norma come sanzionatoria. (9) Non condivisibile la linea di MEZZASETTE, Art. 481 Fissazione di un termine per l’accettazione, in AA.VV., Comm. Gabrielli, Delle successioni, I, febbraio 2011 96 Famiglia, Persone e Successioni 2 In capo al chiamato, infatti, nell’istante logico e cronologico in cui s’apre la successione, si radicano, cosı̀ riempiendo di contenuto l’espressione con la quale si designa tale sovrano, non soltanto i poteri di cui all’art. 460 c.c., bensı̀ anche quello di rinunziare o di accettare l’eredità. Quest’ultimo, benché, prima facie, possa apparire riducibile, anche in ragione dell’esistenza di norme giuridiche che ne segnano tempo di vitalità, al genere del diritto soggettivo e, in specie, del diritto potestativo, pare più efficacemente riconducibile alla categoria del potere(6). Il chiamato, infatti, si trova in una posizione giuridica tale per cui gli è consentito di compiere efficacemente un atto: quello di rinunzia o quello di accettazione. Con conseguenze radicalmente diverse, perché, se rinunzia, trasferisce al soggetto in favore del quale si compie la delazione il potere di accettare l’eredità(7), mentre, se accetta, consuma il potere, chiude il procedimento e acquista l’eredità. L’actio interrogatoria, pur inserendosi all’interno del procedimento successorio con cifra di mera eventualità, ne rompe con forza l’ordinario svolgimento. Essa genera, infatti, una vera e propria sincope al potere del chiamato, il quale patisce un’irrimediabile compressione temporale. Il tempo concessogli per dichiarare se accetta o rinunzia smarrisce la distesa ordinaria prospettiva decennale e si traduce in un angusto ed eccezionale breve orizzonte temporale fissato dal giudice. Con l’ulteriore aggravante che il mero silenzio, ossia l’omissione della dichiarazione, importa una vera e propria sanzione (8): la perdita del potere (9). Ossia una conseguenza che pare collocare il chiamato in una condizione giuridica anche peggiore rispetto a quella nella quale quegli si potrebbe trovare in caso di rinunzia(10). Se non altro, per l’ovvia considerazione che al chiamato parrebbe non essere più riconosciuto il potere di revocare la propria rinunzia(11), altrimenti consentito. La perdita del diritto per estinzione pare diversa dalla dismissione per rinunzia all’eredità(12). Se non par dubbio che l’actio interrogatoria reagisce proprio sul potere di accettare l’eredità, comprimendone, significativamente, il tempo di esercizio, di lı̀ occorre prender le mosse, al fine di verificare la portata e l’effettiva conseguenza della sanzione. 3. Il potere di accettare l’eredità e la c.d. qualità di chiamato L o spatium deliberandi concesso al chiamato per accettare l’eredità è quello ordinario di dieci anni(13). Artt. 456-564 a cura di Cuffaro e Delfini, cit., 248, secondo la quale all’interrogato possono profilarsi «due alternative». Ci pare, piuttosto, che l’alternativa sia una soltanto: dichiarare, nella forma dell’accettazione o rinunzia, da un lato, tacere, dall’altro. (10) V. anche il nostro La posizione giuridica del chiamato rinunciante, in Fam. pers. succ., 2009, 869 – 877. (11) F.S. AZZARITI, MARTINEZ, GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, 6ª ed., cit., 75; GIU. AZZARITI, L’accettazione dell’eredità, in AA.VV., Tratt. Rescigno, V, Successioni, 2ª ed., cit., 151. (12) In tale senso pare condivisibile la diversa scelta del legislatore del 1942 rispetto a quella del legislatore precedente. Il quale aveva collocata la disciplina dell’actio interrogatoria (art. 951) nell’ambito della rinunzia all’eredità, avvalorando l’idea che voleva equiparare la rinunzia espressa all’eredità al comportamento dell’interrogato che non compiva nel termine la dichiarazione di accettazione o rinunzia. (13) Un efficace e completo quadro delle posizioni dottrinali che con- {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 97 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO Tempo che la maggior parte della dottrina(14) e la stessa legge, all’art. 480 c.c., considera di prescrizione, benché esista un’evidente difficoltà a ipotizzarne l’interruzione. Dal momento che non sembrerebbe logicamente concepibile un atto di esercizio del potere che non ne importi anche la sua definitiva consumazione. Ragione per la quale, altra parte della dottrina preferisce considerare tale tempo di decadenza(15). La differenza tra le due soluzioni è evidente: per la dottrina maggioritaria dovrebbero ammettersi le cause di sospensione di cui agli artt. 2941 e 2942 c.c. (16) e di interruzione di cui agli artt. 2943 ss. c.c.(17), rimanendo sempre dubbia l’ammissibilità di un riconoscimento ex art. 2944 c.c.(18), mentre, per quella minoritaria, il termine non soltanto non potrebbe essere interrotto, ma non potrebbe neppure essere sospeso(19). Di là di questa difficile questione che indiscutibilmente oltrepassa la misura di queste riflessioni, meno dubbia parrebbe essere, invece, la riducibilità al genere della decadenza del termine fissato dal giudice e assegnato al chiamato in caso di actio interrogatoria. Benché non sia certamente concesso alla brevità di queste considerazioni un’analisi su ardui temi di prescrizione e decadenza, in via di prima approssimazione, agli angusti fini che ci occupano, ci pare si possa dire che i due istituti appaiono identici quanto all’effetto e vicini quanto alla fattispecie(20). Si tratta, infatti, di regole giuridiche che sembrano trovar collocata nella loro apodosi una vicenda di estinzione, mentre nelle rispettive protasi fatti non esattamente corrispondenti. Da un lato, il mancato esercizio della situazione giuridica sog- gettiva per un certo tempo, dall’altro, il mancato esercizio della situazione giuridica entro un dato termine. Nell’un caso rileva un’inerzia del titolare distesa su un lungo arco temporale, mentre nell’altro il mancato esercizio nel breve termine. Sicché, a meno di non voler fondare la distinzione sulla espressa scelta compiuta dal legislatore o sulla durata del tempo concesso nell’uno o nell’altro caso, difficile è marcare i confini tra le due ipotesi(21). Ma v’è di più. tendono la scena in tema di natura del termine e di conseguenze connesse alla scelta predetta è in BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 5ª ed., Torino, 2010, 86 s. (14) F.S. AZZARITI, MARTINEZ, GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, 6 ª ed., Padova, 1973, 72, GIU. AZZARITI, L’accettazione dell’eredità, in AA.VV., Tratt. Rescigno, V, Successioni, 2 ª ed., cit., 149, GIU. AZZARITI, Prescrizione del diritto alla accettazione dell’eredità di cui all’art. 480 c.c. ed imprescrittibilità della «petitio hereditatis» di cui all’art. 533 c.c., in Giur. it., 1993, I, 1, cc. 1893 ss. e spec. c. 1895, secondo i quali la questione non ha più ragione di porsi con la nuova formulazione della norma; SCHLESINGER, Successioni (diritto civile): parte generale, in Noviss. Dig. It., XVIII, Torino, 1971, 758, secondo cui non si può dubitare anche avuto riguardo alla disciplina applicabile; GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, in Commentario del codice civile, II, 1, Torino, 1959, 116; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, 9 ª ed., VI, Diritto delle successioni per causa di morte, Milano, 1962, 382; CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte. I. Parte generale. 1, Principii. Problemi fondamentali, Napoli, 1955, 435; BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile. 4.2, Le successioni a causa di morte, cit., 39; C.M. BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia e le successioni, 4ª ed., Milano, 2005, 612 s. (15) CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, in Tratt. Cicu e Messineo, XLII, 1, Milano, 1954, 162 s., il quale parrebbe di questa opinione, almeno nel passaggio in cui, dopo aver precisato che la norma di cui all’art. 481 c.c. consente di escludere che esista un diritto del chiamato al termine dei dieci anni e che il termine in esso previsto è di decadenza e non di prescrizione, conclude cosı̀: «il che implicherebbe che egual natura avesse il termine legale». FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 246 ss., precisa che non si tratta di mancato esercizio di un diritto per un certo tempo, bensı̀ di mancata esplicazione dell’atto di accettazione nel termine fissato dal legislatore. Per altro, nella prospettiva dell’A., questa soluzione sarebbe la più coerente con l’idea che quello di accettare l’eredità non è un diritto soggettivo, bensı̀ un potere giuridico, ossia un diritto potestativo. Al riguardo scrive l’A., a 249: «D’altro canto la soluzione da noi accolta è una logica conseguenza della natura di potere giuridico riconosciuto al ‘‘diritto’’ di accettare l’eredità». (16) GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, in Commentario del codice civile, II, 1, cit., 116. (17) Ma, la dottrina tende a escluderlo. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, in Commentario del codice civile, II, 1, cit., 116, «interruzione per atto del chiamato è una contraddizione in termini», perché ogni forma di interruzione coinciderebbe con esercizio del diritto, che importerebbe accettazione. PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni a cura di Calvo e Perlingieri, cit., 319, il quale par considerare il termine di prescrizione, esclude, op- portunamente, che possano trovare applicazione le norme in materia di interruzione della prescrizione «in quanto l’esercizio del diritto determina, in questo caso, la sua consumazione e, quindi, l’acquisto dell’eredità». PIRAS, La successione per causa di morte. Parte generale. La successione necessaria, in Tratt. Grosso e Santoro-Passarelli, II, 3, Milano, 1965, 105 e s., il quale, pur considerando quella di accettare l’eredità una facoltà, riconduce al genere della prescrizione il termine entro il quale essa può essere esercitata. BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile. 4.2, Le successioni a causa di morte, cit., 39. (18) PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni a cura di Calvo e Perlingieri, 319, alimenta il dubbio scrivendo: «il riconoscimento, espresso da un coerede, del diritto di accettare l’eredità spettante ad altro coerede, costituisce tacita rinunzia alla prescrizione ex art. 2937, 3º co., c.c.». (19) FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 248, il quale sostiene e argomenta la tesi della decadenza, movendo dall’idea che la prescrizione presuppone l’esistenza di un rapporto giuridico e che tale disciplina è dettata esclusivamente nell’interesse del soggetto titolare della situazione di svantaggio, scrive: «L’art. 2941 riguardante la sospensione della prescrizione per rapporti fra le parti, non potrebbe certo essere applicato al ‘‘diritto’’ di accettare l’eredità, rispetto al quale non esistono parti. Cosı̀ pure l’art. 2944, che prevede l’interruzione della prescrizione per effetto del riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto può essere fatto valere». (20) Sulla distinzione tra prescrizione e decadenza, proprio nelle pagine dedicate al tema dell’actio interrogatoria, CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, in Tratt. Cicu e Messineo, XLII, 1, cit., 162, scrive: «la nuova legge ha attenuato la distinzione: ha ammesso che nella decadenza non operano normalmente le cause di interruzione o di sospensione; ma ha pure ammesso che la decadenza possa essere impedita dal riconoscimento del diritto, e che possa aversi sospensione; inoltre che non possa essere rilevata d’ufficio dal giudice. Soltanto nelle materie sottratte alla disponibilità delle parti essa può essere rilevata d’ufficio e non può essere impedita dal riconoscimento». (21) MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, 9ª ed., VI, Diritto delle successioni per causa di morte, Milano, 1962, 382, nel pensiero del quale è noto il collegamento tra diritto di accettare l’eredità e diritto all’eredità, al fine di dimostrare e argomentare la trasformazione, a seguito dell’azione interrogatoria, del termine prescrizionale in termine di decadenza si richiama alla conseguenza prevista dalla legge in caso di mancata dichiarazione. «Trascorso [il termine per dichiarare se accettare o rinunziare], al silenzio del chiamato la legge riconnette la perdita del diritto di accettare e, quindi, la perdita dell’eredità. Nel che, è da ravvisare la trasformazione del termine prescrizionale in termine di decadenza». Se è vero, come non crediamo che si possa dubitare, che l’actio interrogatoria si inserisce nel procedimento successorio con carattere di eventualità, ciò importa che l’effetto a essa connesso non può che essere strumentale. Bisognerebbe, allora, chiarire se il termine di decadenza entro il quale è domandato al chiamato di dichiarare se accetta o rinunzia all’eredità determini una vera e propria vicenda di estinzione o una diversa vicenda di rapporto giuridico e, ancora, se tale vicenda tocchi il solo potere di accettare l’eredità o una diversa e più ampia posizione giuridica. Il dato letterale della disposizione di legge parrebbe abbastanza chiaro: «trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare l’eredità». La sanzione che la legge collega alla mancata dichiarazione è la perdita del potere. Famiglia, Persone e Successioni 2 97 febbraio 2011 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 98 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO Rimane, però, da precisare cosa significhi esattamente perdita e, soprattutto, se essa riguardi esclusivamente il potere di accettare l’eredità o se, invece, non sia plausibile ipotizzare che il legislatore abbia fatto ricorso a una metonimia. La formula linguistica perdita non descrive mai una precisa vicenda di rapporto giuridico, né essa può dirsi coincidente con l’estinzione(22). Traccia, piuttosto, il rapporto tra il soggetto e la situazione giuridica, al fine di valutare l’appartenenza della seconda al patrimonio del primo. Si discorre, infatti, di perdita tanto nella vicenda di estinzione che in quella di modificazione soggettiva, perché, in entrambi i casi, un soggetto resta privo di una situazione giuridica. Non v’ha, dunque, dubbio che la mancata dichiarazione importa per il chiamato esposto all’actio interrogatoria una perdita. La quale, stante il tenore letterale usato dalla disposizione di legge, parrebbe limitata al solo potere di accettare l’eredità. Questa soluzione, fedele al dato testuale, deve, però, lasciare perplessi. L’insicurezza del risultato si coglie ragionando a contrario o ad absurdum. Se si ipotizzasse, in linea di strenua fedeltà al dato letterale, che la perdita è limitata al solo potere di accettare l’eredità, si dovrebbe, altresı̀, concludere nel senso che il decaduto, di là di quest’ultimo, conserva tutti gli altri poteri propri del chiamato. Quegli conserverebbe, dunque, i poteri di cui all’art. 460 c.c., ossia di esercitare le azioni possessorie, di compiere gli atti conservativi di vigilanza e amministrazione temporanea e, addirittura, di farsi autorizzare alla vendita di beni ereditari difficili da conservare o la cui conservazione importi grave dispendio. Ciò starebbe a significare che il soggetto, per un verso, parrebbe espulso dal procedimento successorio, essendo a quegli precluso il compimento dell’atto procedimentale più importante, ma, d’altra parte, parrebbe ancora pienamente calato nel procedimento medesimo, perché conserverebbe altri fondamentali poteri strumentali capaci di orientarne l’andamento. Pur non potendo accettare l’eredità, potrebbe, nondimeno, esperire un’azione possessoria o compiere un atto di conservazione del patrimonio ereditario. Pur non residuando in capo a lui alcun interesse giuridicamente qualificato alla gestione, conservazione e controllo del patrimonio ereditario, conserverebbe, nondimeno, tutti gli ordinari e strumentali poteri di amministrazione. La bizzarria di un tale risultato ermeneutico, in uno con la valutazione delle fondamentali norme sulla devoluzione, le quali individuano il nuovo soggetto chiamato all’eredità, al quale dovrebbero spettare, come quello di accettare, anche tutti gli altri poteri, induce a considerare criticamente la premessa del ragionamento. La quale, poiché era una fedele riproposizione del dato letterale della disposizione di legge, non può che sospingere verso una lettura di più ampio respiro, capace di considerare l’espressione usata dal legislatore nell’art. 481 c.c. una metonimia. La conseguenza della mancata dichiarazione di accettazione o rinunzia importa non già la perdita (22) Per tutti, ALLARA, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, Rist. con prefazione di Irti, Torino, 1999, 24 s. febbraio 2011 98 Famiglia, Persone e Successioni 2 del solo potere di accettare l’eredità, ma, più rigorosamente, la perdita della qualità di chiamato, ossia la perdita di tutti i poteri strumentali che conferiscono significato a tale qualità. Con l’ulteriore corollario che la sanzione legata alla mancata dichiarazione ha un carattere ben più ampio di quello angusto localizzato nella sua sola formulazione letterale. L’espressione «perdita del potere di accettare l’eredità» non è, allora, referenziale di se stessa, ma della complessa posizione giuridica di chiamato, rispetto alla quale il singolo potere di accettare l’eredità, in ragione della sua capacità di esaurire il procedimento successorio, ha valore soltanto sintomatico e sintetico. 4. La perdita tra estinzione e modificazione soggettiva C hiarito che la perdita non riguarda il solo potere di accettare l’eredità, ma la posizione stessa di chiamato, si tratta di verificare che cosa accada di tutti i poteri connessi. Indagando se il distacco di essi dal chiamato che non abbia compiuta la richiesta dichiarazione sia tale da smarrirne la vitalità nell’universo giuridico, estinguendoli, o se, invece, sia tale da conservarne l’identità in capo al nuovo chiamato, al quale, per legge, i medesimi vengono trasferiti. Poiché il subentrare del nuovo chiamato è segnato dalla devoluzione, ossia dalle norme in tema di sostituzione, rappresentazione, accrescimento e devoluzione in senso stretto, si impone una riflessione sulla continuità e identità o sulla frattura e diversità esistente tra i poteri del chiamato sanzionato e quelli del chiamato a favore del quale si matura la devoluzione. Dal momento che una vicenda modificativo soggettiva impone, per antonomasia, che la situazione giuridica soggettiva, nel passaggio di soggetto in soggetto, rimanga eguale a se stessa, mentre le vicende di estinzione e costituzione presuppongono che la situazione perduta sia diversa e autosufficiente rispetto a quella acquisita. Tale scelta di metodo segna i termini del problema: se la disciplina della situazione giuridica soggettiva esistente nel patrimonio di chi la perde è la medesima di quella che in avanti si ritrova nel patrimonio di colui che la acquista, allora la vicenda deve ascriversi al genere della modifica soggettiva. Diversamente, se la situazione giuridica soggettiva che si trova nel patrimonio di colui che la acquista è discrepante rispetto a quella esistente nel patrimonio di chi la perde, allora le due vicende, quand’anche legate e dipendenti da un medesimo fatto giuridico, sono separate tra loro e riconducibili l’una alla estinzione e l’altra alla costituzione(23). Assumendo come paradigmatico il potere di accettare l’eredità, intorno al quale ruota l’essenza del procedimento successorio e il senso dell’actio interrogatoria, sembra facile scorgere nella (23) Cfr. il nostro La rinunzia all’eredità, cit., cap. II, sezz. I e II. {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 99 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO disciplina un’evidente soluzione di continuità. Militano in questa direzione non soltanto la disciplina della prescrizione, ma anche le discipline dei meccanismi devolutori. La prima, lasciando intendere che il termine di prescrizione gravante sul potere di accettare l’eredità, quando esso venga acquistato dal nuovo chiamato, non inizia un nuovo corso, ma continua il suo precedente svolgimento cronologico; le seconde, lasciando intendere che la posizione giuridica nella quale viene a trovarsi il soggetto a favore del quale si compie la devoluzione sia esattamente la medesima di quella nella quale si trovava il precedente chiamato, al punto che il legislatore discorre di successione del secondo al primo. La regola posta all’art. 480 c.c., nel distinguere i chiamati sotto condizione(24), equipara i chiamati e i vocati in subordine. Per costoro il termine di prescrizione decorre dal momento dell’apertura della successione. Nell’ipotesi in cui a una successione vengano chiamati Tizio, in via principale, e Caio, in subordine, il termine di prescrizione decorre per entrambi dal tempo dell’apertura della successione. Cosı̀, se dopo quattro anni dall’apertura della successione Tizio decade dal potere di accettare l’eredità, subentra Caio, per il quale, però, il termine di prescri- zione del potere di accettare non avvia un nuovo corso, ma continua nel suo decorso. Non meno efficaci le norme sulla devoluzione. Le quali prevedono, tutte, un’autentica successione. Il sostituto(25), infatti, subentra nella medesima posizione giuridica del sostituito(26) e il contenuto dei poteri riconosciuti al secondo pare il medesimo di quello esistente in capo al primo(27), al punto che l’art. 690 c.c., stabilisce che i sostituiti debbono adempiere gli obblighi imposti agli istituiti, salvo che non risulti una diversa volontà del testatore o che non si tratti di obbligazioni di carattere personale(28). Indicazioni di segno non diverso possono togliersi dalla disciplina sulla rappresentazione e, in particolare, dalla regola posta nel 2º co. dell’art. 468 c.c. La quale, nel consentire la rappresentazione anche nel caso in cui i discendenti abbiano rinunziato all’eredità della persona in luogo della quale subentrano o siano incapaci o indegni di succedere rispetto a questa(29), rompe ogni continuità tra rappresentanti e rappresentato(30). Non diverse considerazioni valgono per l’accrescimento: il coerede a favore del quale si consuma l’accrescimento(31) non subentra negli obblighi imposti al precedente chiamato(32). Infine, l’efficacia di indirizzo soggettivo della norma de- (24) Al riguardo si consideri la posizione di CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, I, Parte generale, 2, Le specie – I soggetti, cit., 109, il quale spiega il meccanismo in ragione della differenza tra delazione e vocazione. Intanto valga l’osservazione che secondo la ricostruzione offerta ciò che è suscettibile di condizione è soltanto la vocazione, ma non la delazione, la quale è l’effetto della vocazione e indica l’attribuzione di un diritto a succedere. La vocazione sotto condizione sospensiva non può, allora, dare luogo alla immediata o attuale delazione che si verifica soltanto in un momento successivo e all’avveramento del fatto dedotto in condizione. La norma che fa decorrere il termine di prescrizione dal momento del verificarsi della condizione è, quindi, per l’A. un’applicazione del principio generale. (25) Sul tema delle sostituzioni si rinvia a LUMINOSO, Sostituzione (diritto vigente), in Enc. dir., XLIII; Milano, 1990, 141 ss. e ivi riferimenti di dottrina. L’A. spiega il meccanismo di funzionamento della sostituzione avvertendo che esso sovverte il criterio legale di preferenza tra due disposizioni testamentarie, in quanto la disposizione che prevede la sostituzione, pur avendo il medesimo contenuto di quella che prevede l’istituzione, è destinata a operare soltanto se la prima non può produrre effetti, perché il soggetto istituito non vuole o non può accettare. Merita di essere ricordata l’idea di ALLARA, La successione familiare suppletiva, cit., 61, il quale considera il fenomeno della sostituzione, al pari di quello della rappresentazione, caratterizzato dalla esistenza di una vocazione indiretta e tale per cui la chiamata di colui che subentra al primo non è autonoma, ma determinata per relationem alla chiamata di colui che non può o non vuole accettare. Nota, infine, la teoria più classica, secondo cui si tratterebbe di una vocazione subordinata alla condizione sospensiva della non accettazione da parte del primo chiamato. Per tutti si veda F.S. AZZARITI, MARTINEZ, GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, cit., 556 ss. (26) Una conclusione in termini di vicenda modificativo soggettiva potrebbe conseguirsi ove pure si raccogliesse l’idea di chi, come BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 288, vede nel fenomeno una ipotesi di istituzione condizionale, subordinata cioè alla condizione che l’istituito non succeda. Naturalmente l’adesione a questa raffinata ricostruzione, che pure è contestata in dottrina, renderebbe più complesso collegare l’acquisto del potere in capo al sostituto per effetto dell’atto di rinunzia. In quanto quest’ultimo varrebbe come verificazione del fatto dedotto in condizione dal quale dipenderebbe l’efficacia della sostituzione. Mentre essa non osta all’idea dell’identità del potere, osterebbe a quella della circolazione ordinaria. La quale, tuttavia, non può essere esclusa a priori, perché, se la rinunzia fosse avvenuta in un tempo successivo all’apertura della successione, non potrebbe negarsi che sino a quel momento il potere di accettare si sarebbe appuntato in capo all’istituito e che esso si sarebbe trasferito in capo al sostituito solo successivamente e per effetto della rinunzia. (27) Sebbene non giunga a questa conclusione, ci pare che risulti davvero utile, al fine che ci siamo proposti, una osservazione svolta da FERRI, Successioni in generale, cit., 107, quando si interroga della sorte degli oneri posti a carico di colui che, istituito per testamento, rinunzi all’eredità. «È interessante poi rilevare come la caduta della delazione testamentaria non implichi caduta degli oneri gravanti il chiamato, i quali invece permarranno in vita andando a gravare l’erede legittimo (art. 677, 2º co.). La rinunzia quindi fa cadere la delazione testamentaria, ma non le determinazioni accessorie di volontà ad essa collegate, come i legati e gli oneri posti a carico del rinunciante». Il fenomeno ci pare che poteva più razionalmente spiegarsi proprio facendo riferimento alla vicenda modificativo soggettiva del potere e, quindi assumendo che il potere perduto dal rinunziate sia il medesimo acquisto dal soggetto nel cui favore si è compiuta la devoluzione. La identità del potere, senza necessità di ricorrere ad altri artifizı̂, consente la conservazione delle determinazioni accessorie, in quanto le medesime, ab origine, erano legate al potere dismesso. (28) LUMINOSO, Sostituzione (diritto vigente), cit., 153 s., considera la norma in parola non già come norma di interpretazione speciale, ma come regola di natura dispositiva, la quale può essere intesa soltanto avendo riguardo alla «[...] funzione vicaria o sussidiaria della seconda istituzione, considerato pure che una regola analoga viene posta dalla legge per tutte le chiamate in subordine». L’acuta osservazione dell’A. potrebbe, quindi, confortare l’idea che nelle cc.dd. chiamate in subordine si verifica sempre, almeno nei casi in cui dipendano dalla rinunzia del primo chiamato, una vicenda traslativa del potere di accettare l’eredità. La identità di disciplina stabilita per tutte le ipotesi di chiamata in subordine fonderebbe l’idea della identità della vicenda di rapporto giuridico che esse sottendono, facendo propendere non tanto per la doppia vicenda estintivo-costitutivo, ma per la vicenda modificativo soggettiva. (29) Sul punto le osservazioni di C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia - Le successioni, cit., 445, il quale osserva che la rappresentazione è «Un’ipotesi di surrogazione legale del rappresentante nel diritto successorio destinato al rappresentato». Da ciò l’A. ricava l’identità del diritto e afferma che «Il diritto di successione fatto valere dal rappresentante è lo stesso diritto (sia pure pro quota) destinato all’ascendente». (30) Con riferimento alla rappresentazione a seguito di rinunzia all’eredità le osservazioni di FERRI, Successioni in generale, cit., 102. (31) La disposizione in parola viene spiegata diversamente da GAZZARA, Accrescimento, c) Diritto civile, cit., 327, il quale, movendo dall’idea che ciascuno venga chiamato per l’intero e che l’accrescimento è in realtà un diritto di non decrescimento, osserva che in difetto della regola in parola colui il cui diritto si è accresciuto «[...] si avvantaggerebbe, per la vacanza, di un plus rispetto a quanto non avesse conseguito con l’iniziale attribuzione del diritto all’intero, e cioè conseguirebbe il diritto iniziale epurato persino delle passività, rappresentate dagli obblighi originariamente imposti al destinatario mancante». Nonostante l’acuta e suggestiva ricostruzione, non ci pare che essa possa essere conservata, perché non spiega come sia possibile l’attribuzione dell’intero «diritto» a ciascuno. Il richiamo all’unicità della delazione, infatti, non può fungere a tale scopo, dal momento che l’unicità può cogliersi soltanto con riferimento a una medesima persona e non già con riferimento al complesso dei soggetti che possano eventualmente concorrere a una successione in forza di una medesima disposizione testamentaria. Ci pare che ciascuno sia parte del procedimento successorio in forza di una chiamata e, quindi, in ragione di un certo potere, che è definito non soltanto quantitativamente, ma anche qualitativamente. Ciò risulta ancora più evidente se si riflette sull’autonomia del potere riconosciuto in capo a ciascuno che, come ben potrebbe rinunciarvi, ben può autonomamente disporne. (32) In questa stessa direzione e per la loro capacità a essere estesi anche alla ipotesi della rappresentazione, che insieme all’accrescimento sono per l’A. ipotesi di vocazione indiretta, sembrano le considerazioni di CARRARO, La vocazione legittima alla successione, cit., 54, il quale scrive: «La singolarità sta, invece, nella circostanza che questi ultimi subentrino negli ob- Famiglia, Persone e Successioni 2 99 febbraio 2011 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 100 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO volutoria, in uno con la regola contenuta nell’art. 677 c.c., a mente della quale gli «eredi legittimi subentrano negli obblighi che gravano sull’erede mancante», sembrano confermare l’idea di una identità. Perdita del potere di accettare l’eredità non significa, allora, estinzione, ma modificazione soggettiva, perché i medesimi poteri perduti dal decaduto vengono acquistati dal soggetto che prende il suo luogo. La posizione giuridica di quest’ultimo non è autosufficiente, bensı̀ connessa e dipendente da quella del decaduto, suo formale dante causa. 5. Sulla decadenza L e considerazioni che precedono aprono la via all’idea che tra la perdita dei poteri del chiamato decaduto e l’acquisto dei poteri in capo a colui che subentra al primo esista una contiguità. La quale si risolve, in termini tecnici, nella negazione di una doppia vicenda di estinzione e costituzione e nell’affermazione di un’unitaria vicenda di modificazione soggettiva. Il che, però, ha una ricaduta concettuale assai rilevante in termini di fattispecie. Perché, se è possibile in caso di doppia vicenda di estinzione e costituzione legare ognuna di tali vicende a uno specifico e individuo atto o fatto, non lo stesso parrebbe potersi fare in caso di vicenda di modificazione soggettiva. L’unità effettuale dell’ultima sembrerebbe, infatti, reclamare una fattispecie, sia pure complessa, bensı̀ unica. Per quanto l’indiscussa e capricciosa sovranità della norma possa legare a una fattispecie la produzione di una vicenda sia di estinzione che di costituzione, per contro, non pare che essa possa spingersi fino ad annodare un’unica vicenda di rapporto giuridico, qual è quella di modificazione soggettiva, a più d’una fattispecie. Il criterio normativo di collegamento tra fattispecie ed effetto, mentre consente che la prima possa essere fonte di uno o più effetti, non tollera, per un principio di non contraddizione, che un solo effetto possa necessariamente dover dipendere da più di una fattispecie. Questa considerazione ha conseguenze di non breve momento nella riflessione che stiamo conducendo intorno alla regola sull’actio interrogatoria. La norma può essere tradotta nel seguente giudizio ipotetico: «se taluno che vi abbia interesse chiede al Giudice di fissare un termine entro il quale il chiamato deve dichiarare se accetta o rinunzia all’eredità e nel termine assegnato costui omette di compiere la dichiarazione, allora v’è una modificazione soggettiva, dal decaduto al devoluto, della posizione di chiamato». Essa consta, da un lato, di una fattispecie, complessa, a formazione progressiva, bensı̀ unica e, dall’altro, di un unitario effetto giuridico descrivibile in termini di modificazione soggettiva. blighi che il testatore aveva imposto ai primi, sicché la legge conserva, nel suo contenuto obbiettivo, la volontà testamentaria, indicando per altro un destinatario diverso da quello voluto dal testatore e che non può o non vuole accettare o che determina, col suo comportamento, la risoluzione della vocazione stessa». Le parole dell’A., nonostante siano mosse da una logica diversa, possono suggerire e confortare l’idea che vi sia una identità del potere di accettare, quando questo si appuntava sul primo chiamato e quando viene ad appuntarsi sul nuovo chiamato. febbraio 2011 100 Famiglia, Persone e Successioni 2 Al verificarsi di tutti fatti descritti nella fattispecie, segue non soltanto la perdita, ma anche l’acquisto della qualità di chiamato. Questa considerazione affaccia, però, il tema d’indagine su due complesse aree tematiche: l’efficacia delle norme devolutorie e la decadenza. Affermare che il legislatore collega alla fattispecie descritta all’art. 481 c.c. non soltanto la perdita della qualità di chiamato, bensı̀ anche l’acquisto della medesima, significa riconoscere alle norme devolutorie una mera funzione di indirizzo soggettivo(33). Esse assolverebbero il solo ufficio di individuare il soggetto a favore del quale si compie la devoluzione, allorquando il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità, ma non potrebbero, per contro, generare esse stesse l’effetto acquisitivo. Il quale, nel caso di rinunzia all’eredità, dipenderebbe proprio dall’atto di rinunzia, nel caso di impossibilità per morte, morte presunta o indegnità dall’apertura della successione e, nel caso di c.d. decadenza, dalla complessa fattispecie descritta nell’art. 481 c.c. Questo risultato, indiscutibile nel caso di morte, morte presunta e indegnità, condivisibile e variamente argomentato nel caso di rinunzia all’eredità(34), nel sembrare plausibile e ragionevole anche nel caso di decadenza, finisce con il sancire, a livello più generale di teoria del procedimento successorio, il convincimento che in tutti i casi in cui il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità la vicenda di rapporto giuridico collegata a tale non volere o potere non è la sola estinzione, bensı̀ la modificazione soggettiva. Questa considerazione, calata all’actio interrogatoria, solletica il dubbio che il tempo di cui all’art. 481 c.c. possa, davvero, essere considerato un termine di decadenza(35). Delle due l’una: o si ammette, in via generale, che la decadenza comporta una perdita non necessariamente estintiva della situazione giuridica soggettiva, ovvero si postula che la decadenza importa sempre una vicenda di estinzione della situazione giuridica soggettiva. Nel primo caso, sarebbe possibile conservare l’idea che il tempo descritto nell’art. 481 c.c. sia di decadenza, mentre, nel secondo, ciò parrebbe precluso in premessa. La differenza ha conseguenze rilevanti in termini di applicabilità diretta della disciplina sulla decadenza, da ammettere nel primo caso e negare nel secondo. Benché, a differenza della prescrizione (cfr. art. 2934 c.c.), il legislatore non stabilisca esplicitamente che per decadenza il diritto si estingue, la tradizione giuridica non par lasciar dubbi sulla idoneità della medesima a generare una vicenda di estinzione del rapporto giuridico(36). Questa considerazione, in uno con l’idea che la norma sull’actio interrogatoria non determina estinzione, bensı̀ modificazione soggettiva, potrebbe lasciar accarezzare l’idea che il tempo (33) Cosı̀, il nostro La rinunzia all’eredità, cit., 122 ss. (34) Cfr. il nostro La rinunzia all’eredità, cit., 165 ss. (35) La dottrina maggioritaria considera il termine in parola di decadenza. Per tutti, almeno, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 256. (36) Almeno, TEDESCHI, Decadenza (dir e proc. civ.), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 780 s., ivi riferimenti di dottrina. {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 101 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO dell’art. 481 c.c. non possa essere considerato di decadenza. Questa ipotesi, benché di evidente rottura rispetto alla tradizione, non sembra priva di rilievo. L’esclusione della riconducibilità alla decadenza, sebbene apra il tempo entro il quale il chiamato debba dichiarare se accetta o rinunzia all’eredità alla ricerca di una disciplina, lo sottrae a quella altrimenti inevitabile. La quale, per poco che se ne tracci anche il solo contorno, non sempre risulta pienamente coerente e compatibile con l’ipotesi in esame. Soprattutto nella prospettiva, pure plausibile e per larghi versi condivisibile, che reputa il tempo descritto nella norma sull’actio interrogatoria incidente su un diritto disponibile(37) e, quindi, la relativa decadenza soggetta a impedimento per riconoscimento, rinunziabile dalle parti e non rilevabile d’ufficio(38). D’altro canto, poi, non deve neppure trascurarsi che il procedimento civile per la fissazione di un termine entro il quale una persona deve emettere una dichiarazione o compiere un determinato atto non sempre è legato a ipotesi di decadenza. Certamente non parrebbero esserlo il caso descritto all’art. 620 c.c., in tema di pubblicazione del testamento olografo, o quello di cui all’art. 645 c.c., in tema di condizione sospensiva potestativa senza termine. Né può essere determinante la circostanza che il legislatore nel caso dell’art. 481 c.c. non abbia, al pari di quanto ha fatto all’art. 702 c.c. in materia di esecutore testamentario, descritto l’effetto conseguente alla mancata dichiarazione, equiparando l’omissione alla rinunzia. Perché se ciò è senza conseguenze rilevanti nel caso dell’esecutore testamentario, non può esserlo, nel caso di decadenza, dal momento che il chiamato c.d. decaduto versa in una situazione giuridica molto diversa da quella del chiamato rinunziante (cfr. art. 525 c.c.). Né, infine, può esser accomunato il caso in parola a quello descritto nell’art. 650 c.c., se non altro per l’ovvia conseguenza che lı̀ v’è la definitiva chiusura del procedimento successorio e la consolidazione dell’acquisto in capo al legatario, mentre qui non soltanto non c’è chiusura del procedimento, ma, au contraire, apertura del medesimo a un nuovo e problematico scenario. (37) In senso contrario, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 250, «il testatore può imprimervi una certa direzione, ma non alterarne la disciplina, mentre, d’altro canto, il chiamato si viene a trovare di fronte all’alternativa accettazione o rifiuto, senza possibilità alcun a di poter influire sulla delazione, deferendo l’eredità ad altri soggetti». (38) Indispensabile, sul tema, il riferimento al contributo di NICOLÒ, La vocazione ereditaria diretta e indiretta, Messina, 1934. (39) Unanime e condivisa l’idea che i vocati ulteriori siano legittimati all’azione. Almeno, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 257. (40) Il legame tra vocato ulteriore e rinunzia del primo chiamato è, però, irrinunciabile, di guisa che è possibile discorrere di vocato ulteriore in quanto esista un effettivo chiamato. Qualora il soggetto designato dalla legge o dal testamento sia tolto ai vivi prima dell’apertura della successione, non sarebbe tecnicamente possibile considerarlo chiamato. Ciò impedirebbe di considerare mero vocato ulteriore colui che, secondo la disciplina devolutoria, lo segue. L’incapacità del primo esclude che, in capo a quegli, anche soltanto per un istante, si possa radicare la posizione di chiamato; sin dall’apertura della successione risulta effettivamente chiamato colui che, altrimenti, sarebbe un mero vocato ulteriore. Né, in senso contrario, rileva il caso di chiamato che venga tolto ai vivi successivamente all’apertura della successione, dal momento che in tale ipotesi la sostituzione del chiamato tolto ai vivi avviene non già secondo i noti meccanismi devolutori, bensı̀ secondo la norma sulla trasmissione mortis causa di cui all’art. 479 c.c. Prende il luogo del chiamato mancato, non colui a favore del quale la successione sarebbe devoluta secondo la disciplina ordinaria (sostituzione, rappresentazione, accrescimento e devoluzione), bensı̀ gli eredi del chiamato mancato ai vivi. 6. Legittimazione attiva e interesse all’azione C ollocata l’actio interrogatoria all’interno del processo successorio ed esaminate la fattispecie e la vicenda di rapporto giuridico, movendo dalla posizione del vocato ulteriore ci pare possibile svolgere qualche riflessione sul tema della legittimazione attiva, provandoci in una chiarificazione intorno al contenuto della formula legislativa «chiunque vi abbia interesse». Non certamente discutibile, non soltanto avuto riguardo alla tecnica di costruzione della fattispecie, ma anche alla genesi e alla funzione della norma indagata, che tra i legittimati all’azione vi siano i vocati ulteriori, ossia i soggetti la cui attualità della chiamata dipende esclusivamente dalla rinunzia del primo chiamato, ossia dalla deliberata decisione dell’ultimo di trarsi fuori, nei noti limiti, dal procedimento successorio(39). La posizione giuridica del vocato ulteriore e la sua intima relazione con il primo chiamato(40), non può seriamente revocar in dubbio la legittimazione del primo a esperire l’actio interrogatoria. La quale, nella prospettiva procedimentale del vocato ulteriore, assolve due distinte e fondamentali funzioni che, al contempo, giustificano e qualificano il suo interesse all’azione, legittimandolo attivamente alla proposizione(41). Da un lato, infatti, l’actio interrogatoria consente al vocato ulteriore di porre fine a un perdurante stato di incertezza giuridica astrattamente destinato a durare anche 10 anni, ossia tutto il tempo che colui che, procedimentalmente, lo precede, ha a propria disposizione per decidere se accettare o rinunziare all’eredità. Dall’altro lato, costituisce l’unico strumento giuridico che consente al vocato ulteriore, nelle more dell’irrimediabile e implacabile trascorrere del termine prescrizionale, di avocare a sé il potere di accettare l’eredità(42). Benché, infatti, il chiamato ulteriore, dacché il potere non si trova nel suo patrimonio, non può efficacemente accettare l’eredità, nondimeno il termine di prescrizione del potere egualmente decorre anche a suo danno(43). Per poco che si indugi sulla posizione del vocato, il lettore non stenta un istante ad avvedersi della sua legittimazione a promuovere l’azione interrogatoria. Legittimazione intrinseca- (41) Il tema dell’azione interrogatoria costituisce per RADAELLI, L’eredità giacente, Milano, 1948, 130 ss. uno degli indici per contestare l’idea che la vocazione del chiamato ulteriore possa essere considerata condizionale. Nella prospettiva dell’A., i chiamati ulteriori sarebbero, infatti, titolari di una situazione di aspettativa in senso tecnico. Indici di tale aspettativa sarebbero non soltanto la trasmissibilità della delazione agli eredi, ma anche la sua prescrittibilità. A proposito della legittimazione all’actio interrogatoria, alla 132, precisa che ai chiamati ulteriori, ancorché non espressamente menzionati, non può certo negarsi l’esistenza di un interesse che li legittima attivamente a promuovere l’azione «perché in loro favore vi è qualche cosa di più che una mera speranza, come potrebbe essere, prima della morte del testatore, quella di chi sia istituito erede in un testamento; vi è ormai un’effettiva e concreta possibilità di diventare erede, che la legge tutela e preserva e fa dipendere solo dall’esercizio del diritto potiore del primo chiamato, e la cui incertezza è destinata a cessare, sia col decorso del periodo prescrizionale, sia con quello del termine fissato dall’autorità giudiziaria». (42) Ma SCHLESINGER, Successioni (diritto civile): parte generale, in Noviss. Dig. It., XVIII, cit., 758, anche al fine di sostenere e argomentare la tesi secondo cui il chiamato in subordine può accettare l’eredità sin dal momento dell’apertura della successione, ancorché la sua accettazione sia destinata a restare inefficace soltanto quando si estingue il potere di accettare del primo chiamato, esclude che l’actio interrogatoria costituisce una condizione necessaria per l’accettazione dei chiamati in subordine. Rispetto ai quali l’azione è una mera facoltà e il suo esercizio un onere. (43) GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, in Commentario del codice civile, II, 1, cit., 117. Famiglia, Persone e Successioni 2 101 febbraio 2011 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 102 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO mente dipendente dalla posizione del vocato ulteriore nel procedimento successorio e dal suo interesse alla chiusura del medesimo(44). In un breve torno di tempo, quello fissato dal giudice, si definisce la posizione del vocato rispetto al procedimento successorio, sancendone, risolutivamente, la sua partecipazione o estraneità. dimento successorio prescrivono che l’ordine prenda il luogo dell’incertezza. Il risultato utile del provvedimento non è l’accertamento di una situazione giuridica controversa o la condanna di taluno a fare alcunché, ma, più semplicemente, la sicura definizione di una situazione di incertezza. La quale, si badi, non è vaghezza circa la titolarità di una situazione soggettiva, ma dubbiosità rispetto a possibili esiti, tutti legittimi, possibili e plausibili, del procedimento successorio. Un’azione, dunque, che parrebbe ricondursi a quelle costitutive, bensı̀ non necessarie. L’interesse del vocato ulteriore non è, dunque, un interesse generico o qualunque, ma un interesse attuale e concreto, ossia un interesse il cui grado di rilevanza si apprezza in funzione del risultato atteso dall’azione; l’interesse ad agire è non altro dall’interesse all’azione nel suo passaggio dal piano obiettivo a quello subiettivo e nel suo tradursi in sintetico rapporto tra posizione giuridica e provvedimento invocato. La legittimazione all’actio interrogatoria spetta, dunque, a colui che vi abbia interesse. Ma non un generico e obiettivo interesse all’azione, ossia l’interesse a inserirsi, a qualsiasi titolo, in un certo procedimento successorio, indipendentemente dalla capacità di orientarne lo svolgimento e definirne l’esito, bensı̀ un interesse concreto e subiettivo, proprio di colui che abbia una potenziale idoneità a divenire, ove pure ciò accada all’esito di più azioni, parte del procedimento successorio in ragione del risultato connesso al provvedimento giudiziario(45). Un interesse che non è un mero e semplice interesse di spirito o materia, ma quello giuridicamente qualificato sul quale si fonda e regge l’intero sistema processual-civilistico italiano(46). Gli è, però, che l’interesse all’azione pare, nel caso che ci occupa, complicato dalla natura e dalla funzione del provvedimento giurisdizionale. Il quale non accerta il diritto di taluno né condanna altri a far alcunché. Non definisce la titolarità di una situazione giuridica soggettiva incerta, stabilendo a chi, tra più pretendenti in contestazione tra loro, essa spetti; non accerta se un certo soggetto abbia adeguato o no il proprio contegno a una descrizione normativa invocata da altri, né, in conseguenza, impone a taluno di tenere quel certo comportamento. Esso si limita a segnare un breve orizzonte temporale entro il quale il diritto attende una certa dichiarazione. La quale non è né chiesta né, tantomeno, imposta. La cifra del provvedimento è soltanto l’attesa. Né è possibile pensare, sol perché la legge collega alla mancata dichiarazione la vicenda di modificazione soggettiva, che l’attesa si traduca in imposizione. Al diritto non importa che la dichiarazione venga resa. Nondimeno, esigenze connesse alla circolazione giuridica della posizione di chiamato e alla più rapida chiusura del proce- e considerazioni che abbiamo svolte, mentre parrebbero consentire la sicura affermazione che legittimato all’azione in parola è il vocato ulteriore, il quale acquista, mercé il provvedimento giudiziario, la giuridica certezza che, scaduto il tempo fissato dal giudice, si definisce, in termini di partecipazione o di estraneità, la sua posizione rispetto al procedimento successorio, lasciano aperti i problemi rispetto ad altre categorie di soggetti, a cui la tradizione non manca di riconoscere la legittimazione attiva all’azione. È il caso dell’esecutore testamentario(48). Si potrebbe, infatti, pensare a una sua legittimazione all’azione, dal momento che, in difetto della chiusura del procedimento successorio, difficilmente quegli potrebbe curare l’esatta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del defunto. Difficilmente, cioè, potrebbe onorare l’ufficio al quale è preposto. Il dubbio, tuttavia, si pone se, in luogo di pensare a un testamento che pone una istituzione semplice, si ipotizza una successione testamentaria in cui il de cuius, oltre a nominare un esecutore testamentario e istituire l’erede, preveda una o più d’una sostituzione. (44) MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, 9ª ed., VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 381, pur riconoscendo la diversità di natura tra il termine legale di estinzione del potere di accettare l’eredità e quello fissato dall’autorità giudiziaria, ne ravvisa una medesima ragione: «gli ulteriori chiamati hanno interesse a sapere se il precedente chiamato intenda, o meno, acquistare l’eredità, poiché in caso negativo, passa a loro la possibilità di acquistarla». (45) FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 257 considera legittimato anche lo Stato. Il quale nella nostra prospettiva, trattandosi di chiamato ulteriore, ossia di persona chiamata alla successione se altri non possano o non vogliano accettare, è certamente legittimato all’azione. (46) Diversamente, PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni a cura di Calvo e Perlingieri, cit., 321, ammette all’azione un’amplissima categoria di soggetti, nella quale sono compresi anche curatore dell’eredità giacente, creditori dell’eredità, legatari, in quanto «tutti questi soggetti sono titolari di un interesse giuridicamente rilevante poiché dall’accettazione di altri potrebbero conseguire un beneficio, o quanto meno, una conseguenza meritevole di tutela. Sı̀ che possono essere considerati terzi rispetto all’atto di accettazione, ma al contempo, destinatari di un effetto favorevole o sfavorevole». (47) Non convince la soluzione di MEZZASETTE, Art. 481 Fissazione di un termine per l’accettazione, in AA.VV., Comm. Gabrielli, Delle Successioni, 1, Artt. 456-564 a cura di Cuffaro e Delfini, cit., 246, la quale, senza preoccuparsi di indicare uno o più criteri, si limita a rimettere alla decisione del giudice la decisione sulla legittimazione attiva all’azione. (48) Sembra che escludano la sua legittimazione BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile. 4.2, Le successioni a causa di morte, cit., 40. febbraio 2011 102 Famiglia, Persone e Successioni 2 In conseguenza, la legittimazione all’actio interrogatoria presuppone che il provvedimento giudiziario abbia, nei confronti di chi lo domanda e in relazione agli interessi giuridicamente qualificati di cui quegli sia titolare, la sicura e definitiva capacità di rimuovere una situazione di incertezza, mentre va esclusa nei casi in cui non possa assolvere tale ufficio. La legittimazione all’azione attende, dunque, di essere misurata dalla forza e dalla capacità del provvedimento giudiziario di porre in chiarezza la condizione giuridica di colui che il provvedimento invoca, sancendo, in termini definitivi, l’interesse alla partecipazione o l’estraneità di quel soggetto al procedimento successorio(47). 7. L’esecutore testamentario e il curatore dell’eredità giacente L {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 103 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO In un caso di tal sorta, mentre non v’ha dubbio che l’actio interrogatoria possa essere esperita dal primo sostituto, non facile, sulla base del criterio di massima che abbiamo segnato, stabilire se possa essere esperita anche da parte dell’esecutore testamentario. tario, chiamato a curare, in un breve arco temporale, l’esatta attuazione delle disposizioni testamentarie del defunto. La prospettiva cronologica dei chiamati, i quali possono dichiarare se intendono accettare o rinunziare all’eredità nel termine di prescrizione decennale, pare difficilmente conciliabile con la funzione dell’esecutore testamentario. Il tempo dell’ultimo è incompatibile con il tempo dei primi. Questa incompatibilità giustifica e fonda l’interesse dell’esecutore testamentario a promuovere l’azione interrogatoria. Un interesse qualificato non già dalla sua partecipazione al procedimento successorio, bensı̀ dalla sua funzione di governatore del medesimo(49). Ove pure una sola azione interrogatoria possa essere astrattamente insufficiente a chiudere il procedimento successorio e ove pure debba essere necessario, per il risultato programmato, esperire, consecutivamente, più d’una actio interrogatoria, nondimeno la legittimazione dell’esecutore testamentario non crediamo possa essere messa in discussione. Rappresentando l’unico strumento giuridico a disposizione dell’esecutore per condurre il procedimento successorio alla sua conclusione. Presupposto indefettibile per onorare il suo ufficio, ossia per curare, nel serrato termine concessogli dalla legge, l’esatta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del defunto. La prospettiva normativa che consente di riconoscere all’esecutore testamentario la legittimazione attiva all’azione non pare possa essere comune alla posizione del curatore dell’eredità giacente. Rispetto al quale, per un verso, deve rilevarsi come quegli non ha, necessariamente, interesse giuridico all’immediata chiusura del procedimento successorio(50) e, per altro verso, che la legge non stringe i suoi doveri e uffici in un breve orizzonte temporale. Il curatore dell’eredità giacente è tenuto, compiuto l’inventario, ad amministrare l’eredità, esercitandone e promuovendone le ragioni, replicando alle istanze indirizzate contro la medesima, pagando i debiti ereditari e i legati, rendendo il conto della propria attività. Mentre per il primo e nella sua singolare prospettiva l’azione par avere una capacità risolutiva del procedimento, non lo stesso sembra potersi affermare con riguardo al secondo. I due non hanno un medesimo orizzonte di domande e problemi. Qualora l’istituito interrogato non dichiarasse nel termine se accetta o rinunzia, il procedimento successorio rimarrebbe ancora aperto, in balia della decisione del primo sostituto. Né la interrogazione di quest’ultimo ha, a sua volta, una sicura capacità di chiudere il procedimento successorio, perché, ancora una volta, se l’interrogato non dichiara nel termine se accetta o rinunzia, il procedimento si apre alle decisioni dell’ultimo sostituto. Soltanto l’interrogazione di costui ha, infatti, la capacità di chiudere il procedimento, determinando, per il caso di mancata dichiarazione, l’acquisto dell’eredità in capo allo Stato. Potrebbe, allora, ipotizzarsi che l’esecutore testamentario ha un interesse qualificato a promuovere l’actio interrogatoria soltanto nel momento in cui si giunge all’ultimo gradino, ossia quello in cui il tempo giudiziale del provvedimento è capace di segnare, anche in assenza della dichiarazione resa da parte dell’interrogato, la conclusione del procedimento successorio e, cosı̀, la identificazione dei soggetti a favore dei quali matura la successione. Diversamente, nelle altre ipotesi, o meglio sarebbe dire negli altri frammenti del procedimento successorio, la legittimazione dell’esecutore testamentario a promuovere l’azione potrebbe essere messa in discussione, perché il numero dei soggetti che, successivamente, sono chiamati l’uno in sostituzione dell’altro, impedisce, nella prospettiva dell’esecutore testamentario, di attribuire al provvedimento giudiziario una efficacia risolutiva del procedimento successorio. Il dubbio, tuttavia, pare che debba e possa risolversi in senso negativo se solo si tenga conto delle funzioni che, a norma dell’art. 703 c.c., competono all’esecutore testamentario. Dovendo curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto, l’esecutore è tenuto ad amministrare la massa ereditaria, compiendo tutti gli atti di gestione occorrenti e prendendo possesso dei beni ereditari. Gli è, però, che il possesso e, dunque, l’ufficio non può durare oltre un anno dalla dichiarazione di accettazione della nomina, salvo che l’autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, ne prolunghi la durata. Il tempo è, dunque, indomito sovrano dell’esecutore testamen- Al curatore deve importare soltanto di amministrare un’eredità, quando essa non sia ancora accettata(51). Di là del caso delle dimissioni, il limite temporale dell’ufficio del curatore dell’eredità giacente non è preventivamente stabilito, ma rimesso, per relationem, al tempo della chiusura del procedimento successorio: il curatore, infatti, cessa dalle sue funzioni quando l’eredità è stata accettata. E non potrebbe essere altrimenti, essendo il procedimentale personaggio (49) Più genericamente, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 257, riconosce nell’esecutore testamentario la legittimazione attiva, in quanto quegli può aver interesse a liberarsi dai doveri ai quali è tenuto nei confronti degli eredi. Diversamente nella nostra prospettiva è proprio la sua situazione giuridica soggettiva a legittimarlo attivamente all’azione, prescindendo, come si dovrebbe convenire nei casi di Ufficio, dal suo rapporto con i chiamati-eredi. (50) In senso contrario, PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni a cura di Calvo e Perlingieri, 321, che, sotto questo punto di vista equipara il ruolo dell’esecutore testamentario a quello del curatore dell’eredità giacente, assumendo che entrambi possono avere interesse a «liberarsi dai doveri inerenti il proprio ufficio». Già FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, cit., 257, il quale argomenta questa inclusione, precisando che «oggi non è più presupposto della giacenza dell’eredità, che il chiamato abbia rinunziato all’eredità o sia ignoto». (51) Almeno NATOLI, L’amministrazione dei beni ereditari. I. L’amministrazione durante il periodo antecedente all’accettazione dell’eredità, 2ª ed., Milano, 1968, 245 ss., RADAELLI, L’eredità giacente, cit., 152 ss. e TRIMARCHI, L’eredità giacente, 2ª ed., Milano, 1954, 65 ss. Il suo ufficio, stretto tra l’amministrazione e la resa dei conti, prescinde dall’esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del defunto e, più genericamente, dalla conclusione e definizione del procedimento. Famiglia, Persone e Successioni 2 103 febbraio 2011 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 104 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO del curatore dell’eredità giacente non soltanto servile, ma anche antagonista rispetto a colui che sarà erede. Il curatore reclama, infatti, un’eredità giacente la quale è compatibile soltanto con lo stato di pendenza del procedimento. La considerazione complessiva dei doveri e uffici del curatore, in uno con la constatazione dell’inesistenza di un breve e circoscritto lasso temporale di durata del proprio ufficio, parrebbero escludere la esistenza in capo al curatore di un interesse giuridicamente qualificato da legittimarlo attivamente alla proposizione dell’azione interrogatoria. Il provvedimento giudiziario che fissa un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità non reca alcun vantaggio al curatore dell’eredità giacente e, all’esatto opposto, avrebbe il potenziale precipitato di determinare la chiusura del procedimento successorio e, in conseguenza, la cessazione dell’ufficio del curatore medesimo. Il quale, per quanto ciò possa apparire prima facie paradossale, non soltanto non ha un interesse giuridicamente qualificato a proporre l’azione, ma, addirittura, par avere un contro-interesse a non promuoverla, dal momento che essa, seppure astrattamente, ha la capacità di determinare la cessazione dell’ufficio. La conservazione del quale costituisce interesse giuridicamente qualificato del curatore. Neppure la considerazione che possa esistere un interesse del curatore dell’eredità giacente alla chiusura del procedimento, par cogliere nel segno. Infatti, ove pure esistesse un tale interesse, non v’ha dubbio che si tratterebbe di un mero interesse individuale, non presidiato, diversamente da quanto accade per l’esecutore testamentario, da alcuna norma giuridica. Sotto un diverso profilo, poi, non convince neppure la considerazione che il curatore possa aver interesse alla cessazione della carica. Perché non soltanto tale interesse sarebbe del tutto configgente con lo stesso ufficio, ma soprattutto perché la tutela del medesimo non potrebbe certamente essere affidata all’actio interrogatoria. L’ufficio non reclama, invero, accettazione, né par tollerare una rinuncia. 8. I creditori personali del chiamato I l criterio normativo per selezionare i soggetti portatori di un interesse giuridicamente qualificato che, in funzione del provvedimento atteso e della sua singolare natura, risultano legittimati alla proposizione dell’actio interrogatoria parrebbe capace di risolvere positivamente il caso del creditore personale del chiamato. Il quale, proprio in ragione del suo essere titolare di un diritto di credito nei confronti del chiamato, ha un evidente interesse giuridico a verificare, con tratto di breve certezza giuridica, la partecipazione o l’estraneità del proprio debitore al procedimento successorio. Il principio generale della responsabilità patrimoniale e il suo estendersi non soltanto ai beni presenti, bensı̀ anche a quelli futuri fonda l’interesse all’azione del creditore personale del chiamato. Il provvedimento giudiziario, infatti, non ha l’idoneità di porre in chiarezza la condizione giuridica del curatore dell’eredità giacente, sancendo, in termini definitivi, la partecipazione o l’estraneità di quel soggetto al procedimento successorio. Né sussiste un interesse giuridicamente qualificato, ossia protetto e garantito da una norma, alla chiusura del procedimento successorio, sussistendo, piuttosto, un interesse giuridicamente tutelato, se non proprio antagonista, quanto meno concorrente con esso. Il quale attende con esigenza di indiscutibile obiettività giuridica di conoscere se gli è consentito di soddisfarsi anche sui beni ereditari, da ciò derivando, come è ovvio, un potenziale vantaggio per l’accrescersi della garanzia patrimoniale del proprio debitore(52). Garanzia che non potrebbe, altrimenti, tutelare e conservare, dal momento che, nelle more del procedimento successorio e in difetto di un atto o di un fatto del proprio debitore che possa valere accettazione o rinunzia all’eredità, non potrebbe, rispetto ai beni che formano la potenziale eredità del proprio debitore, agitare alcuno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. Non può, per il carattere personale, accettare in via surrogatoria l’eredità devoluta al proprio debitore, non può, in assenza di atti o fatti di rinunzia agire in revocatoria, non può neppure domandare il sequestro dei beni ereditari, trattandosi di beni non ancora del debitore. L’interesse ad agire del creditore personale del chiamato sta, dunque, nell’esigenza di tutelare il proprio credito, imprimendo al procedimento successorio, limitatamente alla persona del suo debitore, una evidente accelerazione. Al creditore personale del chiamato, infatti, non interessa la sorte del procedimento successorio tout court, ma soltanto le vicende che, all’interno di quel certo procedimento, riguardano o possono riguardare il proprio debitore. Un interesse non euristicamente orientato al procedimento in sé, bensı̀ alle vicende procedimentali del proprio debitore. Una prospettiva, se vogliamo, ristretta e miope che non può andar oltre ciò che accade al debitore chiamato, una volta che costui sia definitivamente e irrevocabilmente uscito dal procedimento successorio(53). Ma il tema, per il caso del debitore personale del chiamato, non crediamo sia tanto nella sola giuridica esistenza di un interesse all’azione che fonda la sua legittimazione, la quale non par, alla (52) Osserva CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, in Tratt. Cicu e Messineo, XLII, 1, cit., 159, che l’accettazione dell’eredità non è atto personale, sicché potrebbe farsi anche a mezzo di rappresentante. Non sarebbe, però, consentito ai creditori del chiamato, nonostante la norma di cui all’art. 524 c.c., di accettare l’eredità in via surrogatoria. L’A. motiva questa sua posizione non soltanto osservando che l’azione di cui all’art. 524 c.c. appartiene al genere dell’azione revocatoria e non surrogatoria, ma soprattutto facendo leva sulla norma di cui all’art. 481 c.c. (53) Sul tema le considerazioni di MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, XLIII, 2, 4ª ed., Milano, 2000, 242 s., il quale ammette i creditori personali all’actio interrogatoria. Precisando che, qualora il chiamato all’eredità sia anche legittimario ammette che l’art. 524 c.c., possa essere applicato, analogicamente, anche per la impugnazione della azione di riduzione. «Poiché l’intenzione del legislatore, rivolta ad assicurare ‘‘un’efficace tutela dei creditori anteriori alla rinunzia’’ [...], implica che essi possano soddisfarsi su tutti i beni che il legittimario avrebbe acquistato o potuto acquistare se non avesse rinunziato all’eredità (o perduto nell’altro modo il diritto di accettarla)». Non par, dunque, che si debba riconoscere al curatore dell’eredità giacente la legittimazione attiva alla proposizione dell’azione interrogatoria, mancando in lui un interesse giuridicamente qualificato. febbraio 2011 104 Famiglia, Persone e Successioni 2 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 105 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO luce delle considerazioni svolte, revocabile in dubbio, essendo il provvedimento giudiziario l’unico strumento capace di ridurre in giuridica e irrevocabile certezza l’estensione della garanzia patrimoniale ai cc.dd. beni ereditari, quanto piuttosto nella verifica dell’utilità e del danno connessi a una scelta processuale orientata in tal verso. Non è, cioè, questione di ammissibilità e accesso al mezzo giuridico, quanto di opportunità e merito. L’indagine trascende dall’analisi teorica alla valutazione pragmatica. Da quella del giurista della cattedra a quella dell’avvocato del foro. Nella prospettiva teorica non par revocabile in dubbio la legittimazione all’azione del creditore personale del chiamato, perché non v’ha dubbio che esiste un interesse giuridicamente qualificato ad assumere la giuridica certezza della partecipazione attiva o estraneità del proprio debitore al procedimento successorio e perché soltanto il provvedimento giudiziario chiesto è capace di far chiarezza su quale dei possibili esiti abbia il procedimento successorio rispetto all’interrogato. Nella prospettiva pragmatica, però, se l’interesse non è, come sovente accade in casi di tal genere, la tregua del dubbio sull’esito del procedimento, almeno limitatamente al debitore chiamato, la scelta processuale par la meno opportuna. Perché essa, pur potendosi concludere con la dichiarazione di accettazione o rinunzia, unici esiti possibili fuori da tale schema procedimentale, potrebbe concludersi con l’ostinato silenzio dell’interrogato. La quale importerebbe la definitiva, irrevocabile e irrimediabile fuoriuscita del debitore dal procedimento successorio e travolgerebbe inesorabilmente con sé ogni vana possibilità del creditore di poter contare su quei beni ereditari. Tralasciando il caso della accettazione, la quale importerebbe la soddisfazione del creditore, il caso della rinunzia sarebbe, nell’ottica del creditore del chiamato, probabilmente da preferire al silenzio che importa la perdita del potere di accettare. Perché avverso la rinunzia il creditore del chiamato avrebbe la possibilità di agire con la speciale azione di cui all’art. 524 c.c. Azione preclusa, secondo quanto siamo venuti dicendo, nel caso di chiamato che abbia perduto per la mancata dichiarazione resa nel termine assegnato dal giudice il potere di accettare l’eredità e, più in generale, la posizione di chiamato. Definitivamente trasferitasi in capo al soggetto a favore del quale si compie la devoluzione. (54) Con la esclusione dei beneficiari di un onere, BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile. 4.2, Le successioni a causa di morte, cit., 40, riconoscono a tali creditori la legittimazione ad agire. (55) BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 106, riconosce la legittimazione attiva ai creditori dell’eredità, anche se par di intuire dalla pagina dell’A. che quegli si riferisca, esclusivamente, ai creditori ereditari in senso stretto. (56) Da avvertire la non semplicità della ipotesi. Seguendo la dottrina maggioritaria che distingue il legato dalla disposizione testamentaria modale in ragione della determinatezza del beneficiario, risulta evidente che il beneficiario di un modo dovrebbe essere sempre un soggetto indeterminato (BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle successioni, Milano, 4ª ed., 2006, 249). Ma in senso contrario, BIONDI, Le donazioni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, XII, 4, Torino, 1961, 648, BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile, I, 2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1987, 778, non escludono che il modo possa riferirsi a una persona determinata; occorre, però, che il beneficio sia indiretto o riflesso o meramente strumentale al soddisfacimento dell’interesse del testatore e che esso non consista nel subentrare del soggetto, a titolo particolare, in un rapporto di cui era titolare il de cuius. Il modo, a differenza del legato, non costituisce una passività ereditaria cui l’erede è tenuto ultra vires, ma un peso di natura personale F.S. AZZARITI, MARTINEZ, GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, 6ª ed., Padova, 1973, 557. Di là di questa problematica, non si dubita circa la natura obbligatoria del rapporto giuridico nascente dal modo. Secondo la dottrina ciò sarebbe rica- 9. I creditori ereditari, i legatari e i beneficiari di un onere I l criterio per individuare coloro che vi abbiano interesse, e, pur non senza qualche corruzione logica, i soggetti legittimati a esperire l’azione interrogatoria deve, infine, essere impiegato per affermare o negare tale legittimazione rispetto ai creditori ereditari, ai legatari e ai beneficiari di un onere(54). I quali, pur potendo risultare, a una prima impressione, lontani gli uni dagli altri, non soltanto per posizione nel procedimento successorio, ma anche e soprattutto per ruolo interpretato all’interno del medesimo, risultano, a un’indagine più severa, più vicini di quanto una prima impressione non possa restituire e capaci di vestire, nella prospettiva che qui ci occupa e interessa, un abito che pare eguagliarli. Creditori ereditari, legatari e beneficiari di un onere possono essere accomunati in ragione della posizione giuridica soggettiva che costoro hanno rispetto alla eredità o, meglio sarebbe dire, rispetto agli eredi. Senza cancellare le ricchezze della posizione di ciascuno, costoro risultano accomunati dall’essere, nel senso più generico ma non descrittivo, di cui l’espressione è capace, creditori. Ossia titolari di un diritto soggettivo relativo(55). Tale è il diritto del creditore ereditario, il quale attende dall’erede che costui faccia, dia o non faccia qualcosa, ossia attende che venga esattamente eseguita la prestazione dovutagli che, sola, consente di realizzare e soddisfare il suo interesse. Tale è il diritto del beneficiario di un onere(56), il quale attende che l’onerato, chiunque esso sia, erede o legatario, adempia la prestazione portata nella clausola modale. Tale, infine, è il diritto del legatario, il quale, benché il legato si acquista automaticamente, non per questo non è o non può essere creditore dell’onerato. E ciò non vale soltanto per il caso più semplice che si possa immaginare, ossia del legato obbligatorio, il quale, per definizione, è fonte di un rapporto giuridico obbligatorio, in cui il legatario è creditore e l’onerato debitore, ma anche pel caso del legato c.d. reale. Perché se è vero che l’effetto del legato può consistere in un c.d. effetto reale, non è men vero che il legatario, a’ sensi del 3º co. dell’art. 649 vabile proprio dalla disciplina CARNEVALI, Modo, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, 686 s. Il principale corollario che deriva da tale affermazione è che possono essere dedotte nel modo soltanto prestazioni patrimoniali (arg. ex art. 1174 c.c.), sebbene non sia necessario che esse rispondano a un interesse patrimoniale del creditore (TORRENTE, La donazione, in Tratt. Cicu e Messineo, XXII, Milano, 1956, 2293). Non possono, invece, essere dedotti nel modo i comportamenti non patrimoniali quali, a esempio, il prendere un certo nome, il compiere certi studi, l’assistere una persona, il continuare ad abitare la cosa donata, ove pure questi comportamenti siano presidiati da una clausola penale (BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle successioni, 4ª ed., Milano, 2006, 399; CARNEVALI, La donazione modale, Milano, 1969, 122 ss.; CARNEVALI, Modo, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, 687; TORRENTE, La donazione, in Tratt. Cicu e Messineo, XXII, Milano, 1956, 294 s. Ma, in senso contrario, BIONDI, Le donazioni, in Tratt. Vassalli, XII, 4, Torino, 1961, 647, secondo cui una clausola che impone al donatario un comportamento morale, essendo incoercibile, non può valere quale onere, a meno che il donante non la presidi con una clausola penale o non colleghi all’inadempimento di essa la risoluzione del contratto). In tali ultimi casi, l’apparente modo si risolve o in mero consiglio dato al donatario o in un desiderio espresso dal donante, ovvero in una condizione potestativa, il cui mancato avveramento determina l’inefficacia successiva della donazione (CARNEVALI, La donazione modale, in Tratt. dir. successioni e donazioni, diretto da Bonilini, VI, La donazione Milano, 2009, 846; CARNEVALI, Le donazioni, in Tratt. Rescigno, 6, 2ª ed., Torino, 1997, 554). Famiglia, Persone e Successioni 2 105 febbraio 2011 {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 106 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO c.c., deve domandare all’onerato il possesso della cosa legata, anche quando ne è stato espressamente dispensato dal testatore. Ma v’è, perfino di più. Genera, infatti, una obbligazione anche quel legato che parrebbe, per definizione, dover escludere ogni rapporto obbligatorio: ossia il legato di liberazione da debito. Il quale produce, sı̀, come effetto la estinzione del rapporto giuridico obbligatorio, liberando il legatario debitore dal proprio obbligo, ma, paradossalmente e nel contempo, costituisce un nuovo rapporto obbligatorio, avendo il legatario il diritto di conseguire da parte dell’onerato i titoli del credito legato che si trovavano presso il testatore. Creditori ereditari, legatari e beneficiari di un onere, sono accomunati dal loro essere titolari di un diritto di credito vantato verso la massa ereditaria. Il loro essere accomunati è anche la ragione che consente, nella esclusiva prospettiva che stiamo indagando, di trattare il tema della loro legittimazione all’actio interrogatoria in modo unitario. Non v’ha dubbio, infatti, che il creditore ha sempre necessità di individuare il proprio debitore e, anzi, secondo una nota e per taluni versi condivisa prospettiva, non vi sarebbe altro dall’obbligo giuridico, risolvendosi il diritto soggettivo nella mera designazione dei soggetti beneficiari della prestazione dovuta. Non v’ha, dunque, dubbio che creditori ereditari, legatari e beneficiari di un onere aspirino sempre a poter conoscere il loro debitore, al fine di poter volgere al suo indirizzo la pretesa creditoria e, quindi, l’attesa di prestazione e, in difetto, la pretesa di soddisfazione. Questa sola considerazione con carattere quasi assoluto, parrebbe dover risolvere in senso positivo il tema della loro legittimazione a esperire l’azione interrogatoria. Nelle more del possibile e non rado lento decisionismo dei chiamati, l’unico strumento per stringere il tempo del procedimento successorio e individuare, cosı̀, il loro debitore, parrebbe l’azione interrogatoria. Mercé il provvedimento giudiziario, in un breve torno di tempo, si dovrebbe definire il procedimento successorio, di modo che il creditore, il legatario, il creditore dell’eredità o il beneficiario del modo, possa conoscere il soggetto all’indirizzo del quale svolgere la propria pretesa. Gli è, però, che tale considerazione parrebbe cedere quando l’indagine venga indirizzata, al fine di indagare circa la sussistenza di un interesse qualificato capace di legittimare all’azione in parola i predetti i soggetti, sulla effettiva e concreta capacità del provvedimento giudiziario di attuare tale interesse. Esso sarebbe, senz’altro, garantito qualora nel breve lasso di tempo il chiamato dichiarasse di accettare l’eredità, mentre, difficilmente, troverebbe compimento nelle altre due ipotesi, ossia nel caso in cui il chiamato dichiarasse di rinunziare o omettesse qualsiasi dichiarazione. Perché in tali due ultime ipotesi, pur con le note differenze, il procedimento, in luogo di chiudersi e definirsi, individuando, cosı̀, l’erede e, nella prospettiva dei nostri soggetti, il debitore, si aprirebbe a nuovi e possibili esiti. La posizione di chiamato perduta da colui che è stato esposto all’actio interrogatoria verrebbe a trasferirsi, se- (57) Sul tema dell’amministrazione liquidazione compiuta dal curatore dell’eredità giacente, almeno, NATOLI, L’amministrazione dei beni ereditari. febbraio 2011 106 Famiglia, Persone e Successioni 2 condo i consueti e noti meccanismi devolutori, in capo ad altro soggetto. Ciò significa che il provvedimento giudiziale non avrebbe recato alcun effetto utile a colui che lo ha chiesto. Perché non gli avrebbe consentito di conoscere il proprio debitore e, quindi, di poter individuare il soggetto all’indirizzo del quale esercitare la pretesa creditoria, rinviando a un’ulteriore actio interrogatoria l’esito atteso. I creditori ereditari, i legatari e i beneficiari di un onere, perché il loro credito è della massa ereditaria, ossia di colui che risulterà erede, non hanno, né possono nutrire interesse a un certo o altro erede, ma solo all’impersonale erede. L’actio interrogatoria, poiché potenzialmente incapace di definire il procedimento successorio rispetto all’indistinto e opaco chiamato, e capace di definirlo soltanto rispetto al soggetto, mano a mano, interrogato, per il quale, di volta in volta, viene sancita la sua partecipazione o estraneità, non pare svolgere un utile effetto nei confronti di coloro che sono creditori. Perché costoro, stante la situazione giuridica soggettiva di cui sono titolari, non attendono di conoscere la sorte del procedimento rispetto a uno o altro chiamato, bensı̀ la sorte e la chiusura del procedimento tout court. In conseguenza, tali soggetti avrebbero un interesse giuridicamente qualificato a esperire l’actio interrogatoria, soltanto nell’ipotesi in cui si accertasse che per costoro essa rappresenta l’unico strumento, ove pure fosse necessario agitare più azioni interrogatorie, l’una dopo l’altra, capace di consentir loro la realizzazione e attuazione del proprio interesse creditorio. Non esiste però questa relazione nella forma né della continenza né della necessità. E, all’esatto contrario, il nostro sistema successorio, che pure è attento e sensibile alle esigenze dei creditori, sembra disegnare un percorso molto diverso. Il creditore che intenda immediatamente realizzare il proprio interesse non ha, infatti, necessità di rivolgersi all’erede, ben potendo trovare soddisfazione rivolgendosi al curatore dell’eredità giacente. Ossia colui che, pel caso di tempi di riflessione dei chiamati in merito all’accettazione o rinunzia dell’eredità piuttosto lunghi, vengono officiati del compito di amministrare l’eredità giacente, ossia l’eredità in attesa dell’erede. Né può sembrar un caso che la legge, nel fissare i compiti del curatore dell’eredità giacente, dedichi al tema dei pagamenti dei debiti ereditari una norma specifica, la quale rinvia, recettiziamente, all’articolata e complessa disciplina della liquidazione dei debiti ereditari(57) compiuta dall’erede beneficiato. Disciplina alla quale è affidata la composizione dei conflitti, mediante poziorità e regresso, tra i vari e diversi creditori ereditari. Ne consegue, pertanto, che i creditori ereditari, laddove non abbiano, altrimenti, un interesse giuridicamente qualificato a conoscere l’esito del procedimento successorio rispetto a un certo e determinato chiamato, ma abbiano soltanto il loro tipico e specifico interesse di creditori dell’eredità, ossia di vedere soddisfatta la propria pretesa creditoria, nell’ipotesi in cui il chiamato non decida in un ragionevole lasso di tempo se accetta o rinunzia, non potrebbero agire con l’actio interrogatoria, bensı̀ con la istanza di nomina del curatore dell’eredità giacente. I. L’amministrazione durante il periodo antecedente all’accettazione dell’eredità, 2ª ed., cit., 290 ss. {a}Fps_2011/0014_11_FPS_02_2011/Definitivo/FPS_095_107.3d na 107 27/1/ 11:21 pagi- IL COMMENTO Perché, rispetto all’interesse giuridicamente qualificato di cui sono portatori, mentre la prima azione non è necessariamente autosufficiente, lo è, invece, la seconda. Il chiamato interrogato, infatti, ove non accettasse, lascerebbe ancora aperto il procedimento successorio e, quindi, imporrebbe al creditore, per consentirgli di conseguire il risultato atteso, di promuovere tante altre successive azioni interrogatorie, quanti sono i chiamati fino a che taluno non decida di accettare. Per contro, l’istanza di nomina di un curatore dell’eredità giacente, pur lasciando aperto il procedimento successorio, individuerebbe immediatamente il soggetto istituzionalmente officiato, previa autorizzazione del Tribunale, di pagare i debiti ereditari. Rispetto ai creditori ereditari, titolari dell’interesse giuridicamente qualificato alla pretesa di soddisfazione, l’actio interrogatoria si presenta, allora, potenzialmente inadeguata. Ben essendo possibile che il provvedimento giudiziale non consenta a colui che l’ha ottenuto di realizzare l’interesse che, solo, giustifica e fonda la legittimazione all’azione. Una rigorosa interpretazione che giustifichi il senso del «chiunque vi abbia interesse» e induca dall’indefinita classe del chiunque alla finita classe dei soggetti portatori di un interesse giuridicamente qualificato, non può dunque tralasciare di considerare l’evidente liaison che corre tra la formula usata nell’art. 481 c.c. e il principio sancito all’art. 100 c.p.c. La legittimazione attiva all’actio interrogatoria dovrebbe escludersi in tutti i casi, e tra essi quello dei creditori dell’eredità, in cui il risultato del procedimento giudiziario non costituisce il mezzo necessario per ottenere il bene, materia del diritto soggettivo, che gli strumenti sostanziali non hanno fornito o mantenuto. Perché sussista un interesse ad agire non occorre, allora, un mero interesse alla chiusura del procedimento successorio, prescindendo dalla circostanza che l’istante sia parte del procedimento o estraneo a esso e toccato da quello soltanto in via mediata e indiretta o dalla circostanza che esista in capo all’istante un interesse preciso alla chiusura del procedimento successorio rispetto all’interrogato, ma necessita che il singolare provvedimento invocato abbia l’idoneità a essere il mezzo necessario, ossia l’unico mezzo concreto e attuale, capace di consentire al soggetto di ottenere il bene che sia materia del diritto soggettivo. Considerata la particolare natura del provvedimento invocato, il quale né accerta né condanna, esso è da reputare strumento necessario soltanto quando l’istante, mercé il provvedimento, attua l’interesse sotteso a quella situazione giuridica soggettiva rispetto alla quale la stessa definizione del procedimento tout court o del procedimento rispetto a un certo chiamato, è meramente procedimentale e strumentale. & Famiglia, Persone e Successioni 2 107 febbraio 2011