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Fisica dell Fisica dell`oceano e dell`atmosfera
N. 145
Rapporti OM
Franco Stravisi
Fisica dell’
dell’oceano
e dell’
dell’atmosfera
Trieste 2011
11/6
Revisione 6 (6/10/2011)
INDICE
IDROLOGIA
L'acqua sulla Terra
I bacini oceanici
L'acqua di mare
Le grandezze fisiche convenzionali
L'equazione di stato
Caratteristiche termoaline medie degli oceani
Variazioni termoaline con la profondità
Tipi d’acqua e diagrammi ϑ -S
Gas disciolti nel mare
La propagazione del suono nel mare
5
5
7
10
11
13
15
19
20
22
24
IDRODINAMICA
Introduzione
Campi scalari e vettoriali.
Variabili euleriane, lagrangiane e derivata totale
Le equazioni del moto
L'equazione di continuità
La conservazione della quantità di moto ed il
campo di forza
7. I fluidi geofisici
8. Approssimazioni delle equazioni del moto
28
28
28
30
30
31
32
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
CORRENTI
Introduzione
L'equilibrio geostrofico
La corrente inerziale
La corrente di gradiente
La corrente ciclostrofica
Decadimento della corrente per effetto dell'attrito
La corrente di deriva
Esempi
38
38
38
39
39
40
40
41
41
1.
2.
3.
4.
5.
6.
ONDE
Onde gravitazionali
Onde progressive e onde stazionarie
Onde all’interfaccia mare-aria
Onde corte
Onde lunghe
Esempi
43
43
43
44
46
48
48
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
ONDE LUNGHE
Dinamica a scala di bacino
Sistema di riferimento ed equazioni del moto
Integrazione verticale
Le equazioni di “storm surge”
Oscillazioni libere o sesse
Effetti di una forza esterna
Esempi
49
49
49
50
51
53
55
57
1.
2.
3.
4.
5.
LA MAREA ASTRONOMICA
La forza di marea
Analisi armonica della forza di marea
Metodo armonico per il calcolo della marea
Marea autonoma e marea indotta
Le previsioni di marea
59
59
64
67
68
70
1.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
2.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
3.
4.
5.
6.
34
36
3
1.
2.
3.
4.
5.
6.
L’ARIA
Il modello cinetico dei gas perfetti: la pressione
L’equazione di stato dei gas perfetti
Significato fisico della temperatura
Miscuglio di gas
L’aria
L’equazione di stato per l’aria umida
72
72
73
74
74
75
78
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA
L’energia radiante
Il corpo nero
L’attività solare
L’irradianza solare
Il bilancio radiativo della Terra
Il ruolo dell’atmosfera terrestre
L’effetto “serra”
81
81
81
83
85
86
87
89
Il sistema internazionale (SI) di unità di misura
Bibliografia
91
7.
8.
4
1. IDROLOGIA
1. L'acqua sulla Terra
Fig. 1.1.- La Terra fotografata dall'Apollo 17
(7 dicembre 1972; NASA id. AS17-148-22727).
Fig. 1.2.- Distribuzione zonale della
percentuale di superficie terrestre occupata
dall'oceano e dalle terre emerse.
La Terra è un pianeta particolarmente
ricco d'acqua (fig. 1.1), per un volume
totale di 1410×1015 m3 quasi interamente
(97.2%) contenuto negli oceani. Il restante
2.8% si trova per 3/4 sotto forma di
ghiaccio nelle calotte polari e nei ghiacciai
continentali, e per 1/4 come acque
sotterranee, nei laghi, nei fiumi e nei suoli;
una minima parte risiede nell' atmosfera
sotto forma di vapore (13×1012 m3, pari a
2.5 cm di acqua precipitata su tutta la
superficie terrestre), ed una parte ancora
minore (0.6×1012 m3) è contenuta nella
biosfera.
La superficie terrestre è coperta per il
70.8% (361×1012 m2 ) dagli oceani, e per il
29.2% (149×1012 m2 ) dalle terre emerse. La
distribuzione percentuale della superficie
terrestre tra oceano e terre emerse per
zone di 5° di latitudine è rappresentata
nella fig. 1.2: al polo nord e lungo una
fascia attorno ai 60° di latitudine sud vi è
solo mare, mentre il polo sud è occupato
dal continente antartico. Il resto delle
masse
continentali
si
trovano
in
prevalenza nell'emisfero settentrionale.
Una descrizione globale del rilievo della
superficie terrestre (fig. 1.3) è data dalla
fig. 1.4: l'istogramma rappresenta la
percentuale di superficie per classi di
elevazione di 1000 m, riferite al livello
medio del mare. La distribuzione è
bimodale: sono frequenti i fondali oceanici
tra 4 km e 5 km di profondità e le terre
emerse al di sotto di 1 km di altezza. La
profondità media degli oceani e di 3795 m,
l'altitudine media delle terre emerse di 245
m; l'elevazione media globale è di −2440 m.
L'istogramma cumulativo (fig. 1.5) della
distribuzione precedente, noto come curva
ipsografica
globale,
rappresenta
la
percentuale di superficie terrestre situata
al di sopra di una certa quota ed ha
l'aspetto di un profilo medio dal monte più
alto (Everest, 8850 m) al punto più
profondo dell'oceano (fossa delle Marianne,
−11033 m).
5
Fig. 1.3.- Rilievo della superficie terrestre (immagine NOAA).
Fig. 1.4.- Distribuzione percentuale dell'elevazione della
superficie terrestre sul livello medio del mare per classi di 1 km.
Fig. 1.5.- Distribuzione percentuale cumulativa dell'elevazione
della superficie terrestre sul livello medio del mare per classi di 1
km (curva ipsografica globale).
6
Gli aspetti fondamentali
del ciclo dell'acqua sulla
Terra sono illustrati nella
fig. 1.6. Le principali riserve
sono l'oceano (1370×1015
m3 ), le acque continentali
(40×1015 m3 ) ed il vapore
acqueo atmosferico (13×1012
m3 ). Gli scambi principali
sono quelli con l'atmosfera:
precipitazioni sugli oceani
(360×1012 m3/a) e
sui
continenti (105×1012 m3/a),
evaporazione dagli oceani
(400×1012 m3/a) ed evapotraspirazione continentale
(65×1012 m3/a); l'eccesso di
precipitazione sulle terre
emerse è convogliato al
mare da fiumi e risorgive,
in modo da bilanciare il
flusso
atmosferico
di
umidità di origine marina e
mantenere in equilibrio i
diversi ambienti.
Esistono
altri
flussi
d'acqua, non ben quantificati ma comunque di alcuni
ordini di grandezza inferiori a quelli indicati in
questo schema, il cui effetto
è però determinante, a
scale
di
tempo
geologiche,
per
la
comprensione
della
formazione stessa degli
oceani terrestri. Scambi
“interni” al sistema Terra
avvengono
con
il
mantello, con uscita di
acqua per degassazione
(stimabile in 1 km3/a).
Gli scambi con l’esterno
sono rappresentati dalla
Fig. 1.6.- Riserve d'acqua (unità: 1015 m3) nell'oceano, nelle masse
perdita di vapore acqueo
continentali e nell'atmosfera
atmosferico nello spazio
e flussi (unità: 1012 m3/anno).
e, viceversa, dall’arrivo
d’acqua soprattutto ad opera di “comete” di piccole
dimensioni. Le “piccole comete ”, (small comets),
scoperte negli anni ’80 come macchie di
assorbimento
nelle
immagini
della
Terra
nell’ultravioletto
(fig.
1.7),
sono
formate
prevalentemente d’acqua ed hanno una massa
media di 30 t. Si calcola che circa 10 milioni di
questi oggetti colpiscono la Terra ogni anno: si
vaporizzano nell’atmosfera depositando un volume
d’acqua totale di 3.5×108 m3, pari ad un aumento del
livello degli oceani di 1 cm in 10,000 anni. Il flusso è
minimo, ma potenzialmente capace di accumulare
Fig. 1.7.- Le “piccole comete”,
composte d’acqua, assorbono la
l’attuale volume dell’idrosfera durante la vita della
radiazione terrestre ultravioletta.
Terra (4 miliardi di anni).
2. I bacini oceanici
La geografia divide tradizionalmente l’oceano terrestre in tre bacini principali, le
cui caratteristiche fondamentali sono riportate nella tab. 1.1.
Oceano
area
volume
Atlantico
Indiano
Pacifico
globale
29 %
21 %
50 %
100 %
26 %
21 %
53 %
100 %
profondità
media /m
3329
3897
4028
3795
salinità
/psu
34.90
34.76
34.62
34.72
temperatura
potenziale /°C
3.73
3.72
3.36
3.52
Tab. 1.1.- Caratteristiche dei principali bacini oceanici.
Gli oceani sono percorsi da dorsali: sono lunghe catene montuose,
occasionalmente emergenti, che percorrono il globo terrestre dall’Antartide al
bacino Artico. Sede di intensa attività geologica, le dorsali costituiscono una
sorgente di crosta oceanica che da esse si espande lateralmente mostrando un’età
crescente con la distanza (fig. 1.9). L’intera crosta oceanica ha meno di 200 milioni
di anni, e per la maggior parte non supera i 130 Ma. Lungo le dorsali si trovano
disseminate particolari strutture di dimensioni contenute (“hydrothermal vents”,
7
Fig. 1.8.- Età dei fondali oceanici (fonte: NOAA-NDCC).
“black smokers”) che emettono vapori ad alta temperatura (200-300 °C), ricchi di
elementi chimici che permettono la formazione locale in profondità di ecosistemi
molto particolari; il flusso di calore fornito all’oceano dalle dorsali può essere
quantificato in 2.1 terawatt (1 TW = 1012 W). La tab. 1.2 riporta i flussi totali di
calore emessi dalla Terra attraverso i fondali oceanici, dalle sole dorsali e dalle terre
emerse; la fascia dorsale termicamente più attiva è quella del Pacifico equatoriale
orientale.
Oceano Atlantico
Oceano Indiano
Oceano Pacifico
Oceano
terre emerse
Terra
Sole
flusso totale flusso dorsali
rapporto
/TW
/TW
dorsale/totale
10.6
0.5
4.3 %
7.7
0.3
4.2 %
18.2
1.3
7.1 %
36.5
2.1
5.7 %
9.7
46.2
122,000
Tab. 1.2.- Flussi di calore dal fondo degli oceani e dalle sole dorsali oceaniche, dalle terre emerse,
dalla superficie totale della Terra in terawatt (1 TW = 1012 W); irradianza solare globale intercettata
dalla Terra (albedo 30 %).
Una conseguenza della giovane età degli attuali bacini oceanici è che le masse
continentali si trovavano riunite in un unico blocco, la “Pangea”, sino a a circa 200
milioni di anni fa. Per spiegare la trasformazione della Terra dalla Pangea alla
situazione attuale sono stati proposti due modelli di base, che potremmo chiamare
(a) “a volume costante” e (b) “a volume variabile”.
Il modello (a), che sinora ha avuto maggior successo tra i geologi tradizionali,
considera una ripartizione della superficie terrestre in grandi frammenti o placche,
8
soggette a spostamenti orizzontali senza variazioni dell’area totale; ci doveva quindi
essere un unico grande oceano (Panthalassa) complementare alla Pangea. Con la
formazione dei nuovi fondali oceanici e la deriva dei continenti deve essere
necessariamente sparita di pari passo la crosta oceanica della Panthalassa: l’ipotesi
è che sia stata tutta (si tratta di 3/4 della superficie terrestre) assorbita per
subduzione in corrispondenza delle grandi fosse oceaniche. Questo modello è stato
proposto da Alfred Wegener nel 1915.
Il modello (b), originalmente proposto da S. Warren Carey (1976), considera la
Pangea ricoprente, con qualche piccolo mare interno, l’intera superficie della Terra
che doveva avere di conseguenza un raggio pari a circa il 55 % di quello attuale. Un
processo di espansione con rottura della crosta in “domini” di dimensioni variabili
sino alle placche continentali, l’apertura e la formazione dei grandi bacini con la
contemporanea distillazione dell’acqua marina dalla litosfera avrebbero quindi
portato alla situazione attuale.
Il modello espansivo (b) ha indubbiamente una maggiore coerenza geometrica,
nel senso che il “puzzle” dei continenti si combina molto meglio, e con maggior
simmetria, senza la Panthalassa; inoltre studi recenti sulla paleodiffusione di un
gran numero di specie vegetali ed animali dimostrano senza dubbio che questa è
avvenuta in assenza di divisioni tra tutte le coste continentali ora separate.
Ovviamente il processo di espansione della Terra richiede una spiegazione
convincente; al riguardo
sono state considerate
diverse possibilità con o
senza aumento della
massa, le conseguenze
della variazione della
gravità superficiale, e
persino questioni di tipo
cosmologico. Comunque
sia, un’eventuale espansione globale può essere
facilmente individuata
accumulando una serie
sufficientemente lunga
ed accurata di dati
geodetici. Il modello (a)
di pura deriva non
richiede revisioni fondamentali di pensiero;
d’altra parte non riesce
a spiegare del tutto la
diffusione delle specie, e
lo stesso meccanismo di
subduzione della crosta
oceanica è alquanto
controverso.
Fig. 1.9.- La Terra 250 milioni di anni fa: (a) disposizione della
Pangea e della Pantalassa, modello della deriva dei continenti;
(b) sola Pangea, modello della terra in espansione.
9
3. L’acqua di mare
L’oceano è un sistema aperto, che scambia continuamente elementi con
l’ambiente circostante (litosfera, atmosfera, biosfera) in un ciclo di lavaggio,
trasporto e sedimentazione dei materiali. Attualmente possiamo osservare una
situazione di sostanziale equilibrio: l’acqua di mare è una soluzione di acqua pura e
di diversi elementi, praticamente tutti quelli conosciuti.
La molecola dell’acqua (H2O) è
relativamente piccola (circa 0.6 nm),
ha una struttura asimmetrica ed un
elevato momento di dipolo elettrico;
queste
proprietà
conferiscono
all’acqua
pura
una
costante
dielettrica che è la più alta di tutti i
liquidi, e la rendono un ottimo
solvente. Le molecole di H2O hanno
una
spiccata
tendenza
a
polimerizzare, ovvero a legarsi tra
loro, per mezzo di deboli legami
idrogeno, a gruppi di due, tre o più.
Fig. 1.10.- Massa frazionaria dei principali
Il grado di polimerizzazione decresce
componenti dell’acqua di mare.
con la temperatura, ed influisce
notevolmente
sulla
tensione
superficiale e sulla viscosità dell’acqua, sul suo calore specifico, sui suoi elevati
punti di fusione e di ebollizione e sul calore latente di evaporazione. L’asimmetria
della molecola d’acqua rende inoltre possibili strutture di aggregazione di diversa
densità. Il passaggio da una struttura all’altra, combinato con il processo termico di
depolarizzazione, ha come conseguenza il fatto che l’acqua pura ha un massimo di
densità a 4 °C circa; il ghiaccio ha la struttura meno densa, a forma di tetraedro.
L’acqua pura in conclusione è un solvente complesso e potente, che raccoglie e
porta nell’oceano praticamente tutti gli elementi presenti nel terreno e
nell’atmosfera. Altre sorgenti importanti di materiali disciolti sono i vulcani
sottomarini e gli sfiati idrotermali (“hydrothermal vents”) presenti soprattutto lungo
le grandi dorsali oceaniche.
La concentrazione di ogni singolo elemento nell’oceano è una funzione del tempo
e dello spazio; a causa però del lungo tempo medio di permanenza di ogni specie, ed
escludendo le zone marginali a contatto di sorgenti/pozzi di particolari elementi (foci
dei fiumi, sfiati, …), le concentrazioni stesse si possono ritenere in prima
approssimazione stazionarie, soprattutto per quanto riguarda gli elementi
principali. Questo dato di fatto giustifica l’usuale ipotesi di lavoro della costanza dei
rapporti delle concentrazioni dei costituenti principali dell’acqua di mare, che
vengono pertanto considerati conservativi. I principali componenti sono sei (fig.
1.10): oltre metà della massa totale del soluto è costituita dal cloro, quasi 1/3 dal
sodio, 8% da solfato, 4% dal magnesio, 1% dal calcio; gli altri elementi totalizzano
appena lo 0.1% . In effetti, i rapporti tra gli elementi presenti nell’acqua di mare
non corrisponde alla loro abbondanza relativa nella crosta terrestre dove, per
esempio, prevale il silicio (28% della massa). Il problema principale è proprio
l’origine dell’abbondanza di cloro nel mare: o la riserva originaria della Terra è già
passata per la gran parte in soluzione, oppure bisogna ipotizzare l’esistenza di una
sorgente esterna al pianeta.
10
4. Le grandezze fisiche convenzionali
Le grandezze fisiche usualmente considerate per caratterizzare l’acqua di mare
sono la densità, la temperatura, la pressione e la salinità, legate tra loro mediante
un’equazione di stato. L’uso di queste grandezze richiede che il fluido venga
considerato come un mezzo continuo, ad una scala sufficientemente più grande di
quella molecolare. Le unità di misura adottate sono quelle del sistema
internazionale (SI) descritte in appendice.
La densità. Il termine “densità” (lineare, superficiale o di volume) indica la
derivata di una grandezza fisica rispetto ad una lunghezza, superficie o volume
rispettivamente. La densità di volume della massa m dell’acqua di mare, detta
semplicemente densità , è quindi definita da
dm
ρ=
= α −1 ,
(1.1)
dV
unità di misura: chilogrammi diviso metro cubo (simbolo: kg/m3); l’inverso della
densità è il volume specifico α (il termine “specifico” è sinonimo di “per unità di
massa). Dal momento che la densità del mare è generalmente maggiore di 1000
kg/m3 , si usa definire, per economia di scrittura, l’eccesso di densità
γ = ρ − 1000 kg/m3 ;
(1.2)
generalmente il termine “eccesso di” viene tralasciato, senza pericolo di confusione.
La temperatura. La temperatura è uno scalare (un numero) che esprime, secondo
una scala arbitraria, lo “stato di agitazione termica” di una sostanza. Lo studio del
comportamento dei gas e la teoria termodinamica permettono collegamenti fisici più
precisi. Nella fisica ambientale si usa normalmente la temperatura Celsius, indicata
con il simbolo ϑ ; unità di misura è il grado Celsius (simbolo: °C).
La pressione. La pressione è data dal rapporto tra l’intensità della componente Fn
della forza perpendicolare ad una superficie e l’area S di questa; localmente:
d Fn
p=
.
(1.3)
dS
Se S è una superficie orizzontale alla profondità h nell’oceano, la forza verticale che
insiste su di essa è rappresentata, nel caso idrostatico, dal peso della colonna
d’acqua e dell’atmosfera sovrastante. La pressione totale è quindi data da:
p =ρgh ,
(1.4)
ptot = po + p ,
dove po è la pressione atmosferica e p è la pressione del mare espressa mediante il
peso della colonna d’acqua di densità media ρ e di spessore h nel campo di gravità
terrestre g (formula di Stevino). Per il principio di Pascal, p(h) è indipendente
dall’orientamento della superficie elementare di riferimento in h; per abbandonare
l’idea di direzione è sufficiente moltiplicare numeratore e denominatore della (3) per
una lunghezza, e considerare quindi la pressione, piuttosto che come una forza per
unità di superficie, come una densità di volume di energia (unità: pascal; 1 Pa = 1
N/m2 = 1 J/m3).
Nell’oceano il prodotto ρ g ≅ 104 kg.m−2.s−2, per cui i valori numerici della
pressione espressa in 104 Pa e della profondità espressa in metri si equivalgono. In
altre parole, la pressione di un’atmosfera standard è circa uguale a quella esercitata
da uno strato d’acqua di 10 m; ad 1 MPa corrispondono circa 100 m.
La salinità. I sali presenti nell’acqua di mare (il 3.5 % circa della massa) vengono
usualmente considerati nell’oceanografia fisica come un insieme unico, nel quale si
assume che i rapporti tra le concentrazioni degli elementi principali (fig. 1.10) siano
11
costanti. La massa specifica di soluto, ovvero il rapporto tra la massa mS di “sali” e
la massa m del campione (sali più acqua)
dmS
SA =
(1.5)
dm
è detta salinità assoluta; è un numero puro, in media prossimo a 35×10−3.
La misura della salinità assoluta di un campione di acqua di mare richiede la
determinazione separata della massa del soluto, e richiede quindi la separazione
fisica delle due fasi. Questa operazione può essere ottenuta in laboratorio solo in
maniera approssimata; ad esempio, l'eliminazione dell’acqua con un processo di
riscaldamento ed evaporazione non avviene mai in maniera completa, ed è
accompagnata da reazioni chimiche tra gli elementi disciolti. In conclusione, la
definizione (5) è teorica più che operativa. Nella pratica sono stati pertanto adottati
dei metodi indiretti per la determinazione della salinità, calcolandola in base alle
dipendenze funzionali esistenti tra questa ed altre proprietà dell’acqua marina,
quali la clorinità, la conducibilità elettrica o l’indice di rifrazione della luce.
La salinità pratica. Una convenzione internazionale (UNESCO, 1981a) ha
definito ed adottato la scala di salinità pratica PSS-1978, con lo scopo di stabilire
una grandezza che sia rappresentativa della salinità assoluta e facilmente
misurabile in situ od in laboratorio. La salinità pratica (simbolo: S ) è una
grandezza adimensionale; l’espressione originale “salinità pratica = 35” o “S = 35
unità di salinità pratica” (practical salinity units) è stata presto abbreviata in
S = 35 psu, introducendo di fatto nella letteratura scientifica il “psu” come simbolo
di una corrispondente unità di misura.
La salinità pratica è ottenuta correntemente (a) in funzione della concentrazione
del cloro presente in un campione di acqua di mare, o clorinità (simbolo: Cl ), (b) in
funzione della conduttività elettrica, della temperatura e della pressione.
(a) Il primo metodo è impiegato per avere misure precise di riferimento, e prevede
la titolazione del cloro in laboratorio con metodi chimici (metodo di Mohr-Knudsen).
In base all’ipotesi della costanza dei rapporti tra gli elementi principali, salinità e
clorinità sono grandezze proporzionali e, per definizione,
S = 1.806 55.(Cl /(g/kg)) psu .
(1.6)
(b) La salinità pratica S(C,ϑ ,p) è calcolata in funzione della conducibilità elettrica
specifica (o conduttività) C, della temperatura e della pressione dell’acqua di mare,
parametri che vengono misurati normalmente “in situ” da apposite sonde (CTD); la
conduttività può anche essere misurata a posteriori, con salinometri da laboratorio.
L'unità di misura SI della conduttività, che dipende dalla resistenza R, dalla
lunghezza l e dalla sezione S del conduttore (C = R−1l/S), è il siemens diviso metro
(simbolo: S/m). La PSS-1978 è data dalle seguenti relazioni empiriche:
R
Rp
rϑ
Rϑ
∆S
S
=
=
=
=
=
=
C(S,ϑ ,p) / Co ,
1 + p(e1 + e2 p + e3 p2)/(1 + d1ϑ + d2ϑ 2 + (d3 + d4ϑ)R) ,
c0 + c 1 ϑ + c 2 ϑ 2 + c3 ϑ 3 + c4 ϑ 4 ,
R /( Rp rϑ) ,
(b0 + b1 Rϑ 1/2 + b2 Rϑ + b3 Rϑ 3/2 + b4 Rϑ 2 + b5 Rϑ 5/2) (ϑ −15)/(1 + 0.0162 (ϑ −15)) ,
a0 + a1 Rϑ 1/2 + a2 Rϑ + a3 Rϑ 3/2 + a4 Rϑ 2 + a5 Rϑ 5/2 + ∆S .
(1.7)
I coefficienti sono riportati nella tab. 1.2; la pressione del mare p è espressa in
megapascal (MPa). Come conduttività di riferimento (a 35 psu, 15 °C, in superficie)
noi consideriamo Co = C(35,15,0) = 4.2909 S/m .
12
0
1
2
3
4
5
somma
a
b
0.0080
−0.1692
25.3851
14.0941
−7.0261
2.7081
35.0000
0.0005
−0.0056
−0.0066
−0.0375
0.0636
−0.0144
0.0000
c
0.6766097
2.00564 ×10−2
1.104259×10−4
−6.9698 ×10−7
1.0031 ×10−9
d
e
3.426×10−2
4.464×10−4
4.215×10−1
−3.107×10−3
2.070×10−3
−6.370×10−6
3.989×10−10
Tab. 1.2.- Coefficienti della PSS-1978.
La (1.7) è valida per temperatura,
salinità e pressione comprese negli
intervalli (da −2 a 35) °C , (da 2 a
42) psu e (da 0 a 100) MPa
rispettivamente.
La fig. 1.11 riporta l’andamento
della salinità pratica in funzione
della conducibilità alla superficie
del mare (p = 0) per diverse
temperature.
Tra la salinità assoluta e quella
pratica si assume una relazione
lineare del tipo
Fig. 1.11.- Salinità pratica in funzione della
conducibilità a temperature diverse (in superficie).
SA = a S + b ;
(1.8)
se necessario, i coefficienti a (≈10−3)
e b (≈0) possono essere determinati
in laboratorio con buona approssimazione: variano da una zona all’altra nell’oceano,
soprattutto nei mari adiacenti e nelle aree costiere.
La salinità diminuisce la temperatura di congelamento dell’acqua (–0.055
°C/psu): a 36.5 psu in superficie il mare congela a –2.0 °C.
5. L’equazione di stato
Dal punto di vista fisico possiamo definire “stato” del sistema oceano quello
determinato dalle grandezze appena descritte: salinità e temperatura (dette anche
parametri termoalini), pressione e densità. Queste quattro variabili di stato non
sono indipendenti, ma sono legate tra loro da una relazione funzionale detta
equazione di stato. Dal momento che S, ϑ e p sono direttamente misurabili, conviene
esplicitare la densità e definire l’equazione di stato nella forma
ρ = ρ (S, ϑ , p)
(1.9)
A differenza di quanto avviene per i gas, non è nota una espressione teorica per la
(1.9), che deve essere pertanto ricavata per via sperimentale. E’ stata così definita
l’equazione di stato internazionale per l’acqua di mare (IESS-1980)
ρ (S, ϑ , p) = ρ (S, ϑ , 0) / (1 − p / K(S, ϑ , p)) ;
ρ (S, ϑ , 0) = ρw + (b0 + b1ϑ + b2ϑ 2 + b3ϑ 3 + b4ϑ 4)S + (c0 + c1ϑ + c2ϑ 2 )S3/2 + d0S2 ,
ρw(ϑ ) = a0 + a1ϑ + a2ϑ 2 + a3ϑ 3 + a4ϑ 4 + a5ϑ 5 ,
Κ (S, ϑ , p) = Κ(S, ϑ , 0) + A p + B p2 ,
Κ(S, ϑ , 0) = Kw + (f0 + f1ϑ + f2ϑ 2 + f3ϑ 3)S + (g0 + g1ϑ + g2ϑ 2 )S3/2 ,
A(ϑ ) = Aw + (i0 + i1ϑ + i2ϑ 2)S + j0 S3/2 ,
B(ϑ ) = Bw + (m0 + m1ϑ + m2ϑ 2)S ,
K w( ϑ ) = e 0 + e 1 ϑ + e 2 ϑ 2 + e 3 ϑ 3 + e 4 ϑ 4 ,
A w( ϑ ) = h 0 + h 1 ϑ + h 2 ϑ 2 + h 3 ϑ 3 ,
Bw(ϑ ) = k0 + k1ϑ + k2ϑ 2 .
(1.10)
13
a
b
c
d
e
f
g
h
i
j
k
m
0
999.842 594
8.244 93×10−1
−5.724 66×10−3
4.8314×10−4
19 652.21
54.6746
7.944×10−2
3.239 908
2.2838×10−3
1.910 75×10−4
8.509 35×10−5
−9.9348×10−7
1
6.793 952×10−2
−4.0899×10−3
1.0227×10−4
2
−9.095 290×10−3
7.6438×10−5
−1.6546×10−6
3
1.001 685×10−4
−8.2467×10−7
4
−1.120 083×10−6
5.3875×10−9
148.4206
−0.603 459
1.6483×10−2
1.437 13×10−3
−1.0981×10−5
−2.327 105
1.099 87×10−2
−5.3009×10−4
1.160 92×10−4
−1.6078×10−6
1.360 477×10−2
−6.1670×10−5
−5.155 288×10−5
−6.122 93×10−6
2.0816×10−8
5.2787×10−8
9.1697×10−10
5
6.536 332×10−9
−5.779 05×10−7
Tab. 1.3.- Coefficienti della IESS-1980.
I coefficienti sono riportati nella tab. 1.3, p è espressa in megapascal (MPa) e gli
intervalli di validità dei parametri S, ϑ e p sono quelli già definiti per la (1.7). La
densità è definita in funzione del suo valore in superficie (p = 0) e del coefficiente di
compressibilità K; la funzione che esprime la densità dell’acqua pura ρw può
eventualmente essere migliorata senza cambiare il resto (UNESCO, 1981b).
Fig. 1.12.- Densità dell’acqua di mare in funzione della salinità e della temperatura per p = 0.
La densità dell’acqua di mare è una funzione non lineare di S, ϑ e p; le
dipendenze dalla sola salinità e dalla sola temperatura alla pressione atmosferica
(p = 0) sono illustrate nella fig. 1.12 .
L’eccesso di densità (1.2) di un campione portato in superficie, tolto quindi
l’effetto di compressione, è usualmente indicato con
γ t = γ (S, ϑ , 0) .
(1.11)
Analogamente, considerata l'equazione di stato, se un campione viene portato
14
adiabaticamente dalla profondità h in superficie la sua temperatura originale (in
situ) diminuisce per decompressione e diventa
0
∂ϑ
ϑo = ϑ + ∫
dp ,
(1.12)
p(h ) ∂ p
detta temperatura potenziale. Se una particella cambia profondità senza scambi di
calore, la sua temperatura muta ma la temperatura potenziale ϑo rimane costante.
L’effetto della pressione è piccolo, dell’ordine di 10−4 °C/m, ma non è trascurabile a
grandi profondità; per un campione situato alla profondità media degli oceani e di
caratteristiche termoaline medie (3795 m, 34.72 psu, 3.52 °C; tab. 1) risulta ϑ −ϑo =
0.35 °C.
Il cosiddetto parametro di Knudsen
 ρ

(1.13)
σ =  − 1  × 103 ,
 ρ0

adimensionale, definito in funzione del rapporto tra la densità dell’acqua di mare e
la densità dell’acqua pura a 4 °C e p = 0 (1.10; tab. 1.3; ρ0 = 999.975 kg/m3), non è
più usato in oceanografia. Esso è legato alla densità da
γ = ρw (1 + σ /103) − 1000 kg/m3 = (0.999975 σ − 0.025) kg/m3 ;
(1.13)
con buona approssimazione, nelle acque oceaniche, i vecchi dati possono essere
convertiti con:
γ = (σ − 0.026) kg/m3 .
(1.14)
Lo stesso discorso vale anche per
il vecchio parametro σ t (“sigmati”), equivalente all’eccesso di
densità ridotto alla superficie γ t
(1.11).
Fig. 1.13.- Distribuzione della salinità e della
temperatura potenziale negli oceani.
6. Caratteristiche termoaline
medie degli oceani
I dati medi dei singoli oceani
ed i valori medi globali sono
riportati nella Tab. 1.1; le
distribuzioni
globali
della
salinità e della temperatura
potenziale sono rappresentate
nella
fig. 1.13. I tre bacini
principali (Pacifico, Indiano ed
Atlantico)
hanno
valori
termoalini crescenti. La salinità
dell’oceano è quasi totalmente
compresa tra 34.0 psu e 35.5 psu,
con una media di 34.72 psu.
Metà dell’acqua oceanica ha una
temperatura potenziale inferiore
a 2.1 °C; la media è di 3.52 °C,
pari ad una temperatura media
in situ di 3.87 °C.
La fig. 1.14 e 1.15 mostrano le
isoaline e le isoterme medie
annuali in superficie ed alla
15
Fig. 1.14.- Isoaline (unità: psu) medie annuali in superficie (sopra) e a 2000 m di profondità (sotto).
(Da: NODC World Ocean Atlas 2001)
16
Fig. 1.15.- Isoterme (unità: °C) medie annuali in superficie (sopra) e a 2000 m di profondità (sotto).
(Da: NODC World Ocean Atlas 2001)
17
S
Fig. 1.16.- Sezioni verticali (medie annuali) di salinità /psu (sopra) e temperatura /°C (sotto)
nell’oceano Atlantico lungo il meridiano 25° W (NODC World Ocean Atlas 2001).
18
N
profondità di 2000 m, dove si nota ad esempio il flusso di acqua più calda e salata
uscente dal Mar Mediterraneo.
7. Variazioni termoaline con la profondità
La fig. 1.16 riporta delle sezioni termoaline meridiane medie nell’Oceano
Atlantico: si evidenzia una massa di acqua fredda e dolce di origine antartica che si
spinge sino all’equatore, con un cuneo particolarmente evidente attorno ai 1000 m
di profondità. I gradienti verticali sono molto più intensi nello strato compreso tra
500 e 1000 m circa, che perciò prende il nome di termoclino, aloclino o picnoclino
permanente, a seconda che si faccia riferimento alla temperatura, alla salinità
oppure alla densità. Al di sotto di questo strato di transizione le condizioni variano
molto poco nel tempo; al di sopra si cominciano a sentire le variazioni di periodo
stagionale e, man mano che ci si avvicina alla superficie, anche quelle di periodo
diurno.
Fig. 1.17.- Profili verticali della temperatura
e della salinità minima e massima globale;
della temperatura, della salinità, dell’eccesso
di densità γ, γt e del volume specifico α
nel nord Atlantico (NA).
Fig. 1.18.- Profili verticali medi della
temperatura, della salinità e dell’eccesso
di densità nel Golfo di Trieste: mesi di
febbraio, luglio e media annuale.
19
Nella fig. 1.17 sono riportati i profili verticali medi della temperatura, della salinità,
dell’eccesso di densità in situ γ e ridotta alla superficie γ t e del corrispondente
volume specifico α, tipici di una stazione dell’Oceano Atlantico settentrionale (NA:
circa 30°N, 30°W). Sono anche indicati i profili dei valori termoalini estremi tipici
dell’Oceano globale: si nota l’andamento a gradini delle temperature massime e
delle salinità minime; al di sotto dei 1500 m la densità cresce quasi esclusivamente
per effetto della pressione. La fig. 1.18 si riferisce ad un bacino costiero di bassa
profondità (Golfo di Trieste): riporta i profili medi verticali termoalini e della
densità relativi al mese di febbraio (bassa temperatura ed omogeneità verticale
invernale) e di luglio (forte stratificazione estiva) ed i profili medi annuali.
8. Tipi d’acqua e diagrammi ϑ -S
L’acqua marina viene spesso caratterizzata e classificata in base ai soli parametri
termoalini. Una maggiore definizione può essere ovviamente ottenuta, se
necessario, aggiungendo altri parametri, come ad esempio ossigeno, pH, carbonio,
silicio e così via. La disposizione delle principali masse d’acqua negli oceani è
illustrata nella fig. 1.19.
Conveniamo di definire “tipo” d’acqua
una particolare coppia temperaturasalinità, e “massa” d’acqua un insieme di
tipi vicini. Su di un piano (ϑ, S) un tipo
d’acqua è rappresentato da un punto, una
massa d’acqua da un insieme di punti
contenuti in una curva chiusa. L’uso di
questo genere di rappresentazione, noto
con il nome di “diagramma ϑ -S”, è
tradizionale in oceanografia. Come
esempi consideriamo la fig. 1.20, che
rappresenta le masse d’acqua dell’Oceano
Atlantico, e la fig. 1.21 che rappresenta
un insieme di misure termoaline
effettuate nel Golfo di Trieste dalla
superficie al fondo nel corso di più anni.
Ulteriori informazioni sull’insieme di
punti rappresentati su di un diagramma
NAC
SAC
AI
AAI
NAD
NAB
MI
AAD
AAB
NPC
SPC
NPI
PS
Co
EC
SIC
RSI
nord atlantica centrale
sud atlantica centrale
artica intermedia
antartica intermedia
nord atlantica profonda
nord atlantica di fondo
intermedia mediterranea
antartica profonda
antartica di fondo
nord pacifica centrale
sud pacifica centrale
nord pacifica intermedia
pacifica subartica
comune (AAI + NAD)
equatoriale centrale
sud indiana centrale
intermedia del Mar Rosso
Fig. 1.19.- Distribuzione meridiana verticale
delle masse d’acqua oceaniche.
20
Fig. 1.20.- Masse d’acqua dell’Oceano Atlantico
sul diagramma ϑ -S. Iso- γ t in kg/m3.
ϑ S devono essere di volta in volta
-
specificate: un profilo verticale in una
data stazione, una serie temporale in
un punto fisso (come l’esempio della
fig. 1.22) o altro.
L’uso più comune di questi diagrammi
riguarda la rappresentazione di profili
termoalini verticali, effettuati cioè in
uno o più punti di stazione dalla
superficie al fondo; è bene che le
profondità lungo la curva siano
indicate, anche se normalmente il
punto di superficie corrisponde al tipo
d’acqua più calda e dolce. Spesso tali
curve ϑ -S hanno una tipica forma ad
“esse”, o presentano comunque una o
Fig. 1.21.- Diagramma ϑ-S di un insieme di misure più curvature; è possibile risalire da
effettuate nel Golfo di Trieste.
tali forme ai tipi d’acqua originali che,
per successivo mescolamento, hanno
originato la situazione osservata. Per
chiarire
quanto
detto
conviene
esaminare il processo inverso.
Consideriamo tre strati d’acqua di
caratteristiche
termoaline
diverse
sovrapposti (fig. 1.23): i profili verticali
della temperatura e della salinità sono
discontinui (a “gradini”), ed il
ϑ -S
corrispondente
diagramma
consiste in tre punti (1,2,3) distinti.
Questa situazione non può durare, in
quanto gli strati a contatto cominciano
immediatamente a mescolarsi tra di
loro mediante processi molecolari o
turbolenti, che portano alla formazione
di tutti i tipi d’acqua di caratteristiche
intermedie 1-2 e 2-3: questi tipi sono
Fig. 1.22.- Diagrammi ϑ-S nel Golfo di Trieste:
rappresentati sul diagramma dai
evoluzione termoalina media nel corso dell’anno in
corrispondenti segmenti di retta (a).
superficie ed in prossimità del fondo (20 m); i punti
1-12 rappresentano le medie mensili.
Proseguendo il mescolamento (b,c), ad
un certo punto lo strato intermedio originale sparisce, e gli strati 1 e 2 cominciano a
mescolarsi tra di loro; alla fine del processo rimarrà un unico tipo d’acqua (f) con
temperatura e salinità uguali alle medie, pesate con i volumi, dei tre strati di
partenza. La curva evolve quindi da tre punti, ad una spezzata, a curve sempre più
“dolci” e corte sino ad un solo punto finale. Inversamente, partendo da una curva
ϑ -S (fig. 1.24), i limiti dei punti estremi e le intersezioni delle tangenti ai rami
principali individuano con buona approssimazione i tipi d’acqua presenti prima del
mescolamento.
L’eccesso di densità ridotto alla superficie (1.11) è funzione dei soli parametri
termoalini: sul piano ϑ -S è quindi possibile tracciare le linee di ugual γ t o isopicne
(qui sottinteso: per p=0). La densità cresce verso i tipi d’acqua fredda e salata; data
21
Fig. 1.23.- Mescolamento verticale di tre strati.
Fig. 1.24.- Riconoscimento dei tipi d’acqua
all’origine del mescolamento.
Fig. 1.25.- Stabilità verticale e “caballing”.
22
la non linearità dell’equazione di stato
(1.10), le isopicne presentano una
curvatura con centro verso la densità
maggiore. La sovrapposizione di una
curva ϑ -S rappresentante un profilo
verticale permette di decidere all’istante
le condizioni di stabilità della colonna
d’acqua (fig. 1.25), a seconda che ad un
incremento di profondità corrisponda
una densità crescente (0>z>zo: equilibrio
stabile) o costante (z=zo: equilibrio
indifferente) o decrescente (zo>z>–h:
equilibrio instabile).
La non linearità dell’equazione di
stato dell’acqua di mare ha un’altra
conseguenza: il mescolamento di due
tipi d’acqua di uguale densità ma di
caratteristiche
termoaline
diverse
(punti 1 e 2 nella fig. 1.25) origina tipi
d’acqua aventi temperatura e salinità
intermedie (a seconda dei volumi in
gioco), cioè collocati sulla corda 1-2, e
quindi di densità maggiore di quella di
partenza. Il “fenomeno”, noto con il
termine inglese di caballing (oppure
cabbeling), è osservabile per esempio
negli estuari durante la stagione fredda,
quando l’acqua fluviale si mescola con
l’acqua marina più salata e calda,
aumenta di densità ed affonda.
9. Gas disciolti nel mare
Molecole di gas atmosferici passano
continuamente in soluzione nel mare,
con un flusso proporzionale alla pressione parziale di ciascuna specie; un flusso
proporzionale alla concentrazione del gas nell’acqua è contemporaneamente diretto
dal mare all’aria. Dalla superficie marina il gas diffonde in profondità per trasporto
molecolare o turbolento. Ogni specie di gas ha nel mare una concentrazione di
saturazione o solubilità, funzione decrescente della temperatura e della salinità
(tab. 1.4). Si possono distinguere gas conservativi, che mantengono la loro
individualità anche in soluzione, come l’azoto e con buona approssimazione
l’ossigeno in prossimità della superficie, e gas non conservativi o soggetti ad
interazioni chimiche, come l’anidride carbonica.
volume
volume frazionario ×103 di saturazione nel mare
frazionario
S = 0 psu
S = 35 psu
nell’atmosfera 0 °C 10 °C 20 °C 30 °C 0 °C 10 °C 20 °C 30 °C
N2 0.7808 18.42 14.51 11.90 10.06 14.19 11.40 9.51 8.16
O2 0.2095 10.22 7.89 6.35 5.28 8.05 6.32 5.17 4.35
CO2 0.0003 0.51 0.35 0.25 0.20
~ 0.2 (non conservativo)
“guadagno”
medio
mare/aria
0.8
1.6
40
Tab. 1.4.- Solubilità dei principali gas nell’acqua di mare rispetto ad un’atmosfera satura di vapor
d’acqua alla pressione standard (1013.25 hPa). Rapporto tra il volume frazionario (rispetto al totale
dei gas disciolti) in soluzione e quello in atmosfera (“guadagno”).
Come si vede dalla tab. 1.4, le acque più fredde e dolci sono più ricche di gas; in
natura si assiste quindi ad un ciclo di trasporto meridiano per cui l’ossigeno e
l’anidride carbonica sono assorbiti dal mare nelle zone polari e rilasciati
nell’atmosfera nella zona equatoriale. Per quanto riguarda la distribuzione
verticale, la concentrazione di gas è maggiore alla superficie e verso il fondo degli
oceani, sede delle acque di origine polare (fig. 1.19). L’anidride carbonica è
fortemente solubile nel mare: circa 50 volte più dell’azoto e 25 volte più
dell’ossigeno.
La concentrazione superficiale dell’ossigeno disciolto è quasi ovunque prossima al
valore di saturazione. Nel mare l’ossigeno è consumato nei processi di respirazione
ed ossidativi in generale, e prodotto dalle piante marine e dal fitoplancton con la
fotosintesi. Il bilancio complessivo vede normalmente una concentrazione di O2
maggiore della solubilità nello strato eufotico (“bene illuminato” - con luce
sufficiente ma non eccessiva, compreso tra circa 10 e 60 m), una graduale
diminuzione verso 1 km di profondità ed un successivo aumento verso il fondo degli
oceani. Nei bacini minori, in condizioni di scarso ricambio (circolazione assente,
forte stratificazione verticale), la disponibilità di ossigeno al di sotto della zona
eufotica può diventare scarsa (ipossia) o nulla (anossia), con le prevedibili
conseguenze per la vita animale.
Le fonti principali di carbonio nel mare sono principalmente l’anidride carbonica
atmosferica e le acque fluviali. L’anidride carbonica con l’acqua dà acido carbonico,
che si dissocia in carbonati e ioni idrogeno:
+
–
+
––
CO2 (gas) + H2O H2CO3 H + HCO3 2 H + CO3 .
(1.15)
Le acque fluviali disciolgono, ad esempio, il carbonato di calcio ed immettono nel
mare calcio ed acido carbonico:
–
CaCO3 + H2O + CO2 Ca++ + 2 HCO3 ;
(1.16)
–
– –
l’effetto complessivo della presenza di anioni HCO3 e CO3 è di rendere alcalina
l’acqua di mare, il cui pH varia normalmente tra 7.7 e 8.2. Le variazioni del pH sono
associate soprattutto alle variazioni della concentrazione di CO2 libera in soluzione
collegate all’equilibrio superficiale, alla sua produzione nei processi di respirazione
23
ed al suo consumo nella fotosintesi; un aumento dell’alcalinità è pure causato da
una maggiore immissione di carbonati con il dilavamento costiero. Quando è
superato il prodotto di solubilità del carbonato di calcio, esso precipita:
––
Ca++ + CO3 → CaCO3 ,
(1.17)
esercitando un effetto tampone contro l’aumento del pH. L’oceano ha una grande
capacità di assorbire gli eccessi dell’anidride carbonica atmosferica, a spese però di
una diminuzione dell’alcalinità dell’acqua.
10. La propagazione del suono nel mare
Le onde sonore si propagano sfruttando le proprietà elastiche dei mezzi materiali,
che sono tipiche dei solidi ma, alle frequenze acustiche, anche dei fluidi e dei gas.
Un’onda sonora consiste in una serie di
variazioni di pressione longitudinali, cioè
parallele alla direzione di propagazione x:
porzioni materiali allineate subiscono e
trasmettono
successive
compressioni
e
decompressioni (fig. 1.26). L’acqua di mare è
un buon conduttore di onde sonore, cosicchè il
mondo acustico subacqueo è importante e
viene sfruttato come quello aereo.
La velocità di propagazione
(1.18)
c = L/T = L f
di un’onda sonora di lunghezza L, periodo T e
frequenza f dipende dalle caratteristiche
Fig. 1.26.- Onda sonora.
elastiche del mezzo (densità, compressibilità,
…); nel mare può essere ridotta ad una
funzione dei parametri termoalini e della pressione idrostatica (UNESCO,1983):
c (S,ϑ, p) = C + A S + B S 3/2 + D S 2
A = ao + a1P + a2 P 2 + a3 P 3
B=bo+b1 P
C = co + c1 P + c2 P 2 + c 3 P 3
D=1.727×10–3 – 7.9836×10–7 P
P = p/10
ao=(((–3.21×10–8 ϑ + 2.006×10–6) ϑ + 7.164×10–5) ϑ – 1.262×10–2) ϑ + 1.389
a1=(((–2.0122×10–10 ϑ +1.0507×10–8) ϑ – 6.4885×10–8) ϑ – 1.2580×10–5) ϑ + 9.4742×10–5
a2=((7.988×10–12 ϑ – 1.6002×10–10) ϑ + 9.1041×10–9) ϑ – 3.9064×10–7
a3=(–3.389×10–13 ϑ + 6.649×10–12) ϑ + 1.100×10–10
bo= –1.922×10–2 – 4.42×10–5 ϑ
b1=7.3637×10–5 + 1.7945×10–7 ϑ
co=((((3.1464×10–9 ϑ – 1.47800×10–6) ϑ + 3.3420×10–4) ϑ – 5.80852×10–2) ϑ + 5.03711) ϑ + 1402.388
c1=(((–6.1185×10–10 ϑ + 1.3621×10–7) ϑ – 8.1788×10–6) ϑ + 6.8982×10–4) ϑ + 0.153563
c2=(((1.0405×10–12 ϑ – 2.5335×10–10) ϑ + 2.5974×10–8) ϑ – 1.7107×10–6) ϑ + 3.1260×10–5
c3=(–2.3643×10–12 ϑ + 3.8504×10–10) ϑ – 9.7729×10–9
(1.19)
dove S è la salinità pratica (1.7), ϑ la temperatura Celsius, p la pressione del mare
(1.4) espressa in megapascal (MPa). La fig. 1.27 mostra la variazione della velocità
del suono in funzione dei tre parametri, mantenendo gli altri due costanti a 35 psu,
0 °C e 0 Pa; si ha che c(35,15,0) = 1402.388 m/s (nell’aria, c ≈ 1/3 km/s). La velocità
del suono varia in maniera praticamente lineare con la pressione e con la salinità, e
anche con la temperatura se questa si mantiene in un intervallo limitato.
Assumendo, per comodità di interpretazione, un gradiente verticale di pressione di
1 MPa/m, le variazioni unitarie tipiche sono:
24
∆ϑ = + 1 °C
∆S = + 1 psu
∆h = + 100 m
→
→
→
∆c
+3
± 1 m/s
+ 1.16 ± 0.1 m/s
+ 1.66
m/s
Tab. 1.5.- Incremento tipico della velocità del suono nel
mare con la temperatura, la salinità e la profondità.
Fig. 1.27.- Variazione della velocità del
suono nel mare con la temperatura, la
salinità e la profondità ( h/hm = p/MPa).
L’intensità di un’onda sonora è definita
come la varianza del campo di pressione
sonora:
I = p2
(1.20)
La viscosità dell’acqua fa sì che l’energia
acustica che si propaga nella direzione x venga
progressivamente dissipata in calore; il
decremento dell’ampiezza dell’onda sonora è
proporzionale all’ampiezza,
∂p
= −α p
(1.21)
∂x
con un coefficiente di assorbimento α( f ;S, ϑ,p),
funzione della caratteristiche del mezzo e della
frequenza sonora f. Ampiezza ed intensità
sonore decadono perciò esponenzialmente (fig.
1.26):
p( x ) = po e −αx ,
I ( x ) = I o e −2αx ;
(1.22)
La distanza teorica di assorbimento xe = 1/2α è
diversa da quella reale, molto maggiore per le
basse frequenze (tab. 1.6); si deve quindi
ritenere che nel mare agiscano, oltre alla
viscosità, altri meccanismi chimico-fisici di
assorbimento dell’energia sonora.
Fig. 1.28.- Rifrazione dell’onda sonora e
canale sonoro.
f /Hz
10
100
1,000
10,000
100,000
L /m
150
15
1.5
0.15
0.015
xe
400,000 km
4,000 km
40 km
400 m
4 m
Tab. 1.6.- Frequenza sonora, lunghezza d’onda e
distanza di estinzione viscosa nel mare.
Fig. 1.29.- Tipica profilo verticale della
velocità del suono nell’oceano.
Dal momento che le onde sonore si propagano
in un mezzo a velocità variabile, la direzione di
propagazione è soggetta a variarzioni per
rifrazione. Ad esempio, passando da uno strato
a velocità c1 ad uno con velocità c2 < c1, la
direzione si avvicina alla normale (fig. 1.28)
secondo la legge di Snell:
sen(ϑ1 ) c1
=
.
(1.23)
sen(ϑ2 ) c2
25
Un segnale sonoro emesso orizzontalmente nel mare si disperde con la distanza
dalla sorgente in modi diversi, a seconda del profilo verticale della velocità c(z) (fig.
1.28). Se c(z) è uniforme la propagazione è rettilinea, l’angolo di apertura del fascio
sonoro in uscita dall’emettitore si conserva e la densità di energia decresce con il
quadrato della distanza. Se l’emettitore è collocato ad una profondità di massima
velocità i raggi non orizzontali divergono, l’angolo di apertura aumenta
progressivamente e la densità di energia diminuisce molto rapidamente. Viceversa,
ad una profondità di minima velocità, i raggi divergenti all’origine vengono
richiamati per rifrazione e rimangono
confinati entro un fascio ristretto; uno
strato a velocità minima prende pertanto il
nome di “canale sonoro”, in quanto
l’energia acustica rimane confinata entro
tale struttura e l’onda può viaggiare per la
massima distanza consentita dalla sua
Fig. 1.30.- Intervalli di frequenze acustiche
frequenza. Negli oceani esiste un canale
emesse dall’uomo e dai cetacei.
sonoro permanente, collocato all’incirca tra
1 e 2 km di profondità: il minimo della
velocità del suono in tale strato è una
conseguenza del tipico profilo oceanico
termoalino; la fig. 1.29 ne riporta un
esempio, riferito alla stazione del nord
Atlantico (NA) già considerata nella fig.
1.17. Il canale sonoro permanente,
Fig. 1.31.- Ecoscandaglio del fondo marino.
scoperto durante la seconda guerra
mondiale, è stato sfruttato per fini bellici e
di ricerca.
Le applicazioni delle onde sonore nel
mare riguardano due aspetti principali: la
possibilità di trasmettere segnali e
l’individuazione di bersagli riflettenti e
della loro distanza. L’intensità dell’energia
emessa e la frequenza usata devono essere
dosate in funzione del risultato da
raggiungere. Frequenze alte, aventi
Fig. 1.32.- Penetrazione delle onde acustiche
nel fondo marino a diverse frequenze.
lunghezze d’onda corte, hanno un potere di
risoluzione maggiore e possono quindi
“vedere” oggetti più piccoli; l’assorbimento
da parte dell’acqua è però maggiore che
per le basse frequenze. Gli animali marini
sfruttano il suono nella maniera descritta,
sia a scopo relazionale che per visualizzare
l’ambiente circostante, per localizzare le
prede e per individuare le rotte migratorie
in funzione della topografia; la fig. 1.30
mostra le frequenze di vocalizzazione
usate da alcuni tipi di balene, e quelle
umane per confronto. Da parte nostra, le
prime applicazioni hanno riguardato la
Fig. 1.33.- Immagine di un sonar a scansione
misura della profondità del mare,
laterale a 500 kHz.
26
mediante la misura del tempo di ritorno di un’onda sonora emessa verticalmente
dalla superficie (ecoscandaglio, fig. 1.31); per una batimetria esatta è necessario
conoscere al meglio la velocità del suono lungo la colonna e quindi i profili
termoalini verticali. Variando la frequenza acustica e la potenza impiegata è
possibile ricevere l’eco non solo dalla superficie di discontinuità mare-fondo, ma
anche da discontinuità all’interno della massa d’acqua (termoclino, banchi di pesci,
…) o dalle strutture sottostanti (fig. 1.32); a questo scopo si possono impiegare
impulsi a frequenza fissa (modo “pinger”) o segnali modulati a frequenze diverse
(modo “chirp”). Tecniche e potenze particolari, con l’impiego di numerosi sorgenti e
sensori, vengono usate nella geologia marina per l’esplorazione della crosta
oceanica: l’elaborazione a posteriore dei dati è qui essenziale per migliorare il
rapporto segnale/disturbo e per l’interpretazione dei profili sismici. L’impiego di
fasci sonori in direzioni diverse dalla verticale ha portato alla costruzione del sonar,
usato nei sommergibili, ed in tempi recenti alla possibilità di effettuare scansioni
multidirezionali che, unite alle attuali possibilità di localizzazione (GPS) e di
visualizzazione tramite computer, permettono di ottenere rapidamente ottime
topografie del fondale marino in un’ampia zona al di sotto della nave. Il sonar a
scansione laterale, trascinato a breve distanza dal fondo, permette di “vedere”
lateralmente con buona risoluzione alle alte frequenze (fig. 1.33).
La trasmissione di segnali acustici subacquei è impiegata per le comunicazioni
con gli strumenti immersi, per il posizionamento, il controllo o la ricezione dei dati,
e per il recupero delle catene di sensori, mantenute verticali da una boa immersa,
tramite lo sgancio telecomandato della zavorra che le maniene ancorate al fondo.
27
2. IDRODINAMICA
1. Introduzione
L'oceano e l'atmosfera sono considerati, nella dinamica classica dei fluidi, come
strutture continue: vale a dire che un elemento fluido, per quanto piccolo, contiene
comunque un gran numero di molecole. Le grandezze fisiche (temperatura,
pressione, densità, velocità, …) descrivono quindi proprietà medie ad una scala
spaziotemporale superiore a quella molecolare, e possono quindi essere
rappresentate da funzioni analiticamente continue.
Il numero di grandezze necessario per definire lo stato del sistema (oceano o
atmosfera) deve essere stabilito in funzione del particolare problema da affrontare.
L'evoluzione di tale sistema è determinabile a condizione di avere tante leggi del
moto quante sono le variabili di stato. Aumentandone il numero, la descrizione del
sistema diventa più completa, ma aumentano le difficoltà di calcolo; è quindi
necessario trovare, di volta in volta, il giusto compromesso tra queste due opposte
esigenze.
2. Campi scalari e vettoriali
Le grandezze fisiche possono essere di tipo scalare (temperatura, densità,
pressione …), rappresentate cioè da un numero reale in un sistema di unità di
misura, e di tipo vettoriale (posizione, velocità, accelerazione, forza, …); un vettore è
individuato da tre scalari in un opportuno sistema di riferimento. In un sistema di
coordinate cartesiane ortogonale (fig.
2.1) i tre assi x,y,z (oppure x1, x2, x3)
formano una terna destra. Il punto P è
individuato dal vettore posizione
x = {x , y, z} = {x i ; i = 1,3} con origine in O.
Gli assi possono essere individuati da
tre vettori di lunghezza unitaria o
versori e1, e2, e3 .
Le grandezze fisiche sono rappresentate
da campi spazio temporali
ϕ (x, t ) = ϕ (x , y, z , t ) ;
(2.1)
i simboli che le rappresentano sono
scritti di norma in corsivo, ed in
grassetto se di tipo vettoriale.
Vettori e numeri reali possono essere
combinati tra loro da operazioni
algebriche. Considerati due vettori
Fig. 2.1.- Coordinate cartesiane.
a = {ai }, b = {bi } (è sottinteso che l'indice
i assume i valori 1,2,3), si definisce il vettore somma
a + b = {ai + bi } = b + a ;
(2.2)
le componenti del vettore somma sono la somma delle corrispondenti componenti
dei due vettori; la somma tra vettori è quindi commutativa. Si definisce il vettore
nullo 0, tale che a+0 = a, ed il vettore opposto –a, tale che a + (–a) = a – a = 0.
Il prodotto di un numero reale per un vettore ne moltiplica ciascuna componente:
α a = {α ai } .
(2.3)
E' quindi possibile rappresentare un vettore come somma di tre vettori paralleli agli
assi coordinati:
28
3
a = a1e1 + a2e2 + a3e3 = ∑ aiei ≡ aiei
.
(2.4)
i =1
Il prodotto scalare opera tra due vettori e produce, come dice il nome, un numero:
3
a ⋅ b = a1b1 + a2b2 + a3b3 = ∑ aibi = aibi = b ⋅ a
;
(2.5)
i =1
come il prodotto tra numeri reali, è commutativo. Il modulo o intensità di un vettore
è perciò definito da
a ≡a=
a⋅a =
a12 + a22 + a32
.
(2.6)
Il prodotto vettoriale, anticommutativo, opera tra due vettori e produce un
vettore:
e1 e2 e3
a × b = det a1
b1
a2
b2
a3 = (a2b3 − a3b2 ) e1 + (a3b1 − a1b3 ) e2 + (a1b2 − a2b1 ) e3 = −b × a . (2.7)
b3
Due vettori a, b con origine comune individuano un
piano e due angoli; detto ϑ l'angolo minore, si ha:
a + b = a 2 + b2 − 2ab cos ϑ
,
(2.8)
ottenuta usando il teorema di Pitagora generalizzato, e
a ⋅ b = ab cos ϑ ,
(2.9)
a × b = ab sen ϑ
.
(2.10)
Il prodotto scalare è il prodotto di un vettore per la
componente dell'altro nella sua direzione. Il prodotto
vettoriale (fig. 2.2) è perpendicolare al piano individuato
Fig. 2.2.- Operazioni tra
da a e b e segue la regola della terna destra: vede il
vettori.
primo vettore ruotare verso il secondo percorrendo ϑ in
senso positivo (antiorario). Ne consegue che, se a ⋅ b = 0 i
due vettori sono tra loro perpendicolari; se a×b = 0 sono paralleli.
L'operatore vettoriale gradiente
∂ ∂ ∂
∇= , , 
(2.11)
 ∂x ∂y ∂z 
si applica ad un campo scalare ϕ e produce un
vettore:
  ∂ϕ ∂ϕ ∂ϕ 
 ∂ϕ
gradϕ = ∇ϕ = 
; i = 1,3 =  ,
,  . (2.12)
∂
x
∂
x
∂
y
∂z 

 i

Il gradiente di un campo scalare ne indica, in ogni
punto, direzione, verso e intensità di massimo
aumento. Il vettore gradiente è perpendicolare alla
locale superficie di ugual valore del corrispondente campo scalare (iso-ϕ ) , ed il suo
modulo è inversamente proporzionale alla distanza tra le isosuperfici tracciate per
una variazione ∆ϕ costante (fig. 2.3, esempio in due dimensioni). Dato un campo
scalare, il suo campo gradiente è univocamente determinato; viceversa, dato un
campo gradiente, il campo scalare risulta determinato a meno di una costante.
Applicando formalmente il prodotto scalare tra l'operatore gradiente ed un
vettore a si definisce la divergenza del vettore stesso:
∂a
∂a
∂a
∂a
diva = ∇ ⋅ a = x + y + z = i ;
(2.13)
∂x
∂y
∂z
∂xi
Fig. 2.3.- Isolinee del campo scalare
ϕ e relativo gradiente.
29
questo numero rappresenta localmente la "variazione complessiva" dell'intensità del
campo nelle tre direzioni. Un campo vettoriale a divergenza nulla si dice
solenoidale.
3. Variabili euleriane, lagrangiane e derivata totale
Le grandezze fisiche che descrivono l'oceano e l'atmosfera sono rappresentate da
campi, per lo più scalari o vettoriali, che sono funzioni continue (2.1) dello spazio e
del tempo. Variabili siffatte vengono anche dette euleriane; una descrizione
alternativa, detta lagrangiana, considera invece le grandezze fisiche legate agli
elementi fluidi, individuati da un'opportuna "etichetta" quale ad esempio la loro
posizione iniziale x0 .
Quando si deve determinare la variazione di una grandezza fisica nel tempo in
un particolare punto dell'oceano o dell'atmosfera, bisogna quindi pensare al punto
stesso come alla posizione momentaneamente occupata da un particolare elemento
fluido: x = x(x0,t) . Derivando, si ha:
d
∂ϕ
∂ϕ ∂x i (x0 , t ) ∂ϕ
∂x ∂ϕ
ϕ (x(x0 , t ), t ) =
+∑
=
+ ∇ϕ ⋅
=
+ u ⋅ ∇ϕ .
(2.14)
dt
∂t
∂t
∂t
∂t
∂t
i ∂x i
Perciò la variazione temporale complessiva è data dalla derivata totale o sostanziale
d
∂
= +u⋅∇ ;
(2.15)
dt ∂t
il primo termine a destra rappresenta
la variazione locale, il secondo, detto
termine
convettivo
(o
advettivo),
rappresenta la variazione dovuta al
ricambio locale (advezione) del fluido. Il
termine convettivo è dato dal prodotto
scalare tra il campo di velocità ed il
gradiente: perchè il ricambio del fluido
produca variazioni temporali in un
punto è necessario che ci sia una
corrente e che il fluido in arrivo abbia
Fig. 2.4.- Derivata totale: termine locale e termine
caratteristiche diverse da quello
advettivo.
sostituito. Infatti il termine convettivo
è nullo se è nulla la velocità oppure se il gradiente è costante o perpendicolare ad u.
La fig. 2.4 illustra, a titolo di esempio, un caso relativo alla temperatura del mare:
la variazione locale potrebbe essere dovuta a differenti condizioni di irraggiamento
solare, la variazione convettiva all'arrivo di una corrente a temperatura diversa.
4. Le equazioni del moto
Le equazioni del moto sono l'espressione in forma matematica delle leggi che
regolano l'evoluzione spaziotemporale di un sistema fisico; permettono di calcolare
lo stato del sistema a partire da condizioni iniziali note, assegnate che siano le
condizioni al contorno. Per poter stabilire quali siano queste equazioni, bisogna:
a)
b)
c)
d)
definire le variabili di stato,
definire le leggi di conservazione in un sistema di riferimento inerziale,
definire un'equazione di stato,
passare ad un sistema di riferimento solidale con la Terra in rotazione.
Esaminiamo ora in particolare il caso dell'oceano.
30
Definizione
delle
variabili.
Le
grandezze
usualmente
considerate
nell'oceanografia fisica sono sette: la velocità u (tre componenti), la temperatura ϑ,
la salinità S , la densità ρ e la pressione p; sono rappresentate da campi euleriani
funzione di x, t. Si usa parlare di parametri termoalini (S e ϑ ) e di campo di massa
(ρ ).
La dinamica dell'oceano è quindi regolata da sette equazioni. Sei esprimono leggi
di conservazione: della massa (equazione di continuità), del sale, del calore e della
quantità di moto (equazione del momento, tre componenti); la settima è
un'equazione di stato del tipo ρ = ρ (S, ϑ, p) come la (1.10).
Ai fini puramente dinamici i parametri termoalini interessano solo in quanto
contribuiscono al calcolo del campo di massa tramite l'equazione di stato. Le
equazioni fondamentali sono l'equazione di continuità e l'equazione del momento.
5. L'equazione di continuità
La legge che esprime la conservazione della massa in un punto è facilmente
ricavata considerando un volume fisso nell'oceano, le eventuali sorgenti di massa
(positive o negative) in esso contenute ed il flusso di massa attraverso la sua
superficie, e riducendo poi il volume a zero con un passaggio al limite. L'intensità
del flusso di massa, ovvero la massa che attraversa nell'unità di tempo una
superficie normale alla velocità è rappresentato da
∆m
∆m ∆l
∆m ∆l
=
=
= ρ u ; (2.16)
∆S ∆t ∆S ∆l ∆t ∆V ∆t
dove ∆l è un incremento di lunghezza
parallelo alla corrente; il vettore flusso di
massa è quindi ρ u .
Se ci limitiamo a considerare un
volume interno all'oceano le sorgenti
positive (precipitazioni, fiumi, apporti
d'acqua costieri) e quelle negative
(evaporazione) sono assenti. Il passaggio
al limite può inoltre essere evitato
Fig. 2.5.- Volume elementare per il calcolo della
considerando direttamente un volume
conservazione della massa.
elementare, ad esempio un cubo di lati
dx, dy, dz paralleli agli assi cartesiani (fig. 2.5). Il flusso totale di massa attraverso
la superficie del cubo è la somma dei flussi lungo le tre direzioni; calcolato quello
lungo x, gli altri due risultano identici, una volta cambiate le variabili. L'incremento
di massa all'interno del cubo elementare nel tempo dt dovuto al moto lungo x si
ottiene considerando il bilancio tra la faccia 1 e la 2, di area dydz
∂ρ u
 ∂ρ u 
dmx = {ρ (x )u(x ) − ρ (x + dx )u(x + dx )}dt dy dz = −
dx  dt dy dz = −
dt dV . (2.17)
∂x
 ∂x

L'incremento totale di massa, sommando le tre direzioni, è
 ∂ρ u ∂ρ v ∂ρ w 
dm = −
+
+
(2.18)
 dtdV ;
∂y
∂z 
 ∂x
derivando rispetto al volume e al tempo, si ottiene che la variazione temporale
locale della densità è uguale all'opposto della divergenza del flusso di massa:
∂ρ
= −∇ ⋅ ρ u .
(2.19)
∂t
Una forma alternativa dell'equazione (2.19) si ottiene derivando il prodotto a destra
31
∂
(ρ ui ) = − ρ ∑ ∂ui − ∑ ui ∂ρ = − ρ ∇ ⋅ u − u ⋅ ∇ρ ,
(2.20)
∂x i
∂x i
i ∂x i
applicando la definizione
(2.15) della derivata totale
e dividendo per la densità:
1 dρ
= −∇ ⋅ u ; (2.21)
ρ dt
il rapporto tra la variazione
temporale
totale
della
densità e la densità stessa
risulta uguale all'opposto
della divergenza del campo
di velocità. La legge di
conservazione della massa
è quindi espressa (fig. 2.6)
Fig. 2.6.- Equazione di continuità: relazione tra la variazione
dall'equazione di continuità
temporale locale della densità ed il flusso di massa
nella forma (2.19) o (2.21).
(sinistra, eq. 2.19) o la corrente (destra, eq. 2.21).
−∑
6. La conservazione della quantità di moto ed il campo di forza
La variazione temporale della quantità di moto mu di una particella di massa m,
in un sistema di riferimento inerziale, uguaglia il campo F delle forze applicate
(seconda legge di Newton):
d mu
=F .
(2.22)
dt
Se la particella è un elemento fluido di massa unitaria, l'equazione del moto (2.22),
tenendo conto della derivata totale (2.15), diventa
du ∂u
≡
+ (u ⋅ ∇ ) u = f ,
(2.23)
dt
∂t
dove f = dF/dm rappresenta la forza specifica. I termini della (2.23) hanno le
dimensioni di un'accelerazione. In inglese la (2.23) è nota come momentum equation
(linear momentum è la quantità di moto); in italiano possiamo chiamarla equazione
del “momento” o meglio equazione di Newton.
La legge di conservazione della quantità di moto la troviamo quindi già pronta
nella dinamica classica; il problema consiste nella definizione del campo di forza
agente in un fluido. Se consideriamo
una massa fluida in un sistema
inerziale SI ed una particella fluida P
al suo interno, possiamo definire due
tipi di forze in azione: forze FV agenti
"a distanza", ad esempio forze
gravitazionali
o elettromagnetiche
esercitate da altre particelle Pi interne
o Pe esterne al fluido, e forze FS a corto
raggio d'azione presenti sulla superficie
di P:
F = FV + FS .
(2.24)
Le forze a lungo raggio FV sono dette di
Fig. 2.7.- Forze agenti su una particella fluida in
volume, perchè agiscono su ogni singola
un sistema inerziale.
particella indipendentemente da ciò
32
che la circonda; le forze FS sono dette di superficie, perchè agiscono solamente sulla
superficie che racchiude l'elemento fluido, per contatto molecolare.
Forze di volume. Escludendo ai fini dinamici, nel caso dell'oceano, forze di tipo
elettromagnetico, le uniche forze rilevanti agenti a distanza sono quelle dovute ad
interazioni gravitazionali; indichiamo il campo totale delle forze gravitazionali
specifiche agenti su una particella con
dFV
Γ=
.
(2.25)
dm
Forze di superficie. Una superficie di separazione fissa immersa nel fluido
(giacitura, orientamento ed area della quale sono definite dal vettore dS ), è
continuamente attraversata nei due sensi da molecole che scambiano la loro energia
cinetica con le molecole presenti nella zona di arrivo. L'effetto integrato, su di una
scala maggiore di quella molecolare come previsto dalla fluidodinamica classica, è
quello rappresentato dalla forza di contatto dFS. Tale
forza è proporzionale all'intensità del flusso
molecolare, e quindi all'area sulla quale agisce; il
coefficiente di proporzionalità ha le dimensioni di una
pressione. La forza di contatto è di norma la
risultante di due componenti (fig. 2.8):
dFS = − p dS + A dS .
(2.26)
Il primo termine a destra rappresenta la componente
perpendicolare alla superficie (cioè parallela a dS ): il
coefficiente di proporzionalità è definito come –p, in
modo che, se il fluido si trova, come usualmente
avviene, in uno stato di compressione e dS è diretto
verso l'esterno della particella, p (>0) rappresenta la
pressione idrostatica. Nel secondo termine, parallelo
Fig. 2.8.- Forze di contatto sulla
alla superficie, la direzione è data dal vettore A, il cui
superficie di un elemento fluido.
modulo rappresenta la pressione di attrito.
Per calcolare il campo della forza di contatto in un punto bisogna sommare le
forze dFS agenti su ogni elemento di superficie di un volume finito di fluido e
passare al limite per il volume che tende a zero; ovvero sommare le forze agenti
sulle sei facce di un cubetto elementare di fluido normali agli assi coordinati.
Analogamente a quanto è stato fatto per l'equazione di continuità, conviene
calcolare una componente della forza:
dFS x = {p( x ) − p( x + dx )} dy dz + {A x ( z + dz ) − A x ( z )} dx dy =
 ∂p 
 ∂A

 ∂p ∂Ax 
(2.27)
= −
dx  dy dz +  x dz  dx dy =  −
+
 dV ;
 ∂x

 ∂z

 ∂x ∂z 
le altre due componenti sono analoghe, e la forza specifica di superficie è:
dFS dV
1
1 ∂A
fS =
= − ∇p +
.
(2.28)
dV dm
ρ
ρ ∂z
Il primo termine a destra è la forza (specifica) di gradiente, diretta in senso opposto
al gradiente di pressione. Il secondo termine rappresenta l'effetto dell'attrito sulle
facce perpendicolari ad una direzione privilegiata z. In effetti abbiamo trascurato,
nella (2.27), quelle componenti dell'attrito che non sono essenziali al fine delle
successive applicazioni, evitando così di introdurre grandezze di tipo tensoriale.
L'equazione di Newton (2.23), specificando il campo di forza specifica con le (2.25,
2.28), diventa quindi:
33
du
1
1 ∂A
= − ∇p +
+Γ .
(2.29)
dt
ρ
ρ ∂z
Il campo della forza agente nel fluido, in un sistema inerziale, è costituito dalla
forza di gradiente, dall'attrito e da forze gravitazionali.
7. I fluidi geofisici
Oceano ed atmosfera sono anche detti fluidi geofisici perchè sono solidali con la
Terra che ruota rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, dove vale
l'equazione del moto (2.29). E' quindi necessario eseguire una semplice
trasformazione di coordinate, secondo quanto preannunciato nel punto (d) del § 4.
Una grandezza scalare ovviamente è indipendente dal sistema di riferimento. La
posizione di un punto P individuata dal vettore posizione r si modifica invece nella
maniera illustrata nella fig. 2.9. Il sistema di riferimento "fisso" xyz e quello
"rotante" hanno la stessa origine O; la rotazione è rappresentata dal vettore Ω che
ne individua l'asse (z), il verso (positivo o antiorario visto da Ω ) e la velocità
angolare Ω = ∂ω/∂t . Nel tempo dt il punto P, solidale al sistema rotante, passa nel
sistema fisso in P1; lo spostamento è dato
dal vettore
dr = r1 – r
(2.30)
perpendicolare al piano individuato da Ω
ed r ed avente come modulo
dr = (r senϑ ) dω . (2.31)
Risulta perciò che
∂r
∂ω
= (r sen ϑ )
;
(2.32)
∂t
∂t
la variazione temporale della posizione di
P, dovuta alla rotazione, è quindi:
 ∂r 
 
= Ω× r .
(2.33)
 ∂t Oxyz
Fig. 2.9.- Trasformazione di un vettore per
una rotazione relativa.
La (2.33) si somma alla variazione
temporale nel sistema rotante, in modo
che, nel sistema "fisso":
∂r  ∂r 
=   + Ω× r .
(2.34)
∂t  ∂t  Ω
Per passare da un sistema di riferimento
ad un sistema SΩ rotante con Ω rispetto al primo, basta quindi sostituire il termine
locale nella derivata temporale (2.15) di un vettore con la (2.34); il termine
convettivo è invariante. Si ottiene quindi
u = uΩ + Ω× r ,
(2.35)
e, applicando nuovamente la (2.34),
du  duΩ 
=
(2.36)
 + 2 Ω × uΩ + Ω × (Ω × r ) .
dt  dt Ω
Il termine
a = − Ω× (Ω× r ) ,
(2.37)
2
di modulo Ω (r senϑ ) rappresenta la forza centrifuga dovuta alla rotazione Ω ; il
termine
C = −2Ω× u = u × 2 Ω
(2.38)
34
rappresenta una forza deviatrice, il cui modulo è al massimo 2Ω u.
Per passare dal sistema inerziale ad un sistema di riferimento terrestre,
dobbiamo considerare tre passaggi:
(1) da un sistema centrato nel Sole, supposto inerziale, ad uno centrato nel
baricentro Terra-Luna: vettore di rotazione S, periodo un anno tropico (365.2422 d);
(2) dal baricentro Terra-Luna al baricentro terrestre: vettore di rotazione L,
periodo un mese sinodico (29.530588 d);
(3) dal baricentro terrestre ad un sistema solidale con la Terra: vettore di
rotazione Λ, periodo un giorno lunare (1.035050 d = 24.84120 h = 1 d + 50 min 24 s).
Applicando quindi le (2.36, 2.37, 2.38) il termine inerziale della (2.29) diventa
du  duΩ 
=
(2.39)
 − C S − C L − CΛ − aS − aL − aΛ .
dt  dt  Ω
Definiamo la forza deviatrice totale
C = CS + CL + CΛ ;
(2.40)
in un sistema terrestre, rotante, l'equazione di Newton (2.29) diventa quindi
(tralasciando di scrivere l'indice Ω ):
du
1
1 ∂A
− C − aS − aL − a = − ∇p +
+ γS + γL + γ ,
(2.41)
dt
ρ
ρ ∂z
dove i soli campi gravitazionali Γ
considerati sono quelli del Sole (γ S), della
Luna (γ L) e della Terra (γ ). Nella (2.41), i
termini del tipo (2.37, 2.38), originati
dalle trasformazioni di coordinate, sono
usualmente portati al secondo membro e
considerati come forze (specifiche) fittizie;
le accelerazioni centrifughe, funzione
della sola posizione, possono essere
sommate alle corrispondenti accelerazioni
gravitazionali:
= γ S + aS ,
(2.42)
fS
fL
= γ L + aL ,
(2.43)
g
= γ
+ a .
(2.44)
Le (2.42, 2.43) sono rispettivamente le
forze specifiche di marea solare e lunare;
Fig. 2.10.- Sistemi di riferimento locali sulla
la somma dei due campi è la marea
terra in rotazione.
lunisolare
fM = fL + fS .
(2.45)
La (2.44) definisce il campo terrestre di gravità g, somma dell'attrazione
gravitazionale newtoniana della Terra γ e dell'accelerazione centrifuga a dovuta
alla rotazione diurna del pianeta (fig. 2.10). Riassumendo, possiamo scrivere
l'equazione di Newton per un fluido terrestre nella forma:
du
1
1 ∂A
= − ∇p +
+ C + g + fM .
(2.46)
dt
ρ
ρ ∂z
La forza specifica deviatrice C (2.40) dipende in ultima analisi dalla rotazione
diurna della Terra rispetto ad un sistema inerziale, che si compie in un giorno
sidereo ds = 0.997270 d = 23.93448 h; è detta accelerazione di Coriolis ed è
rappresentata dalla (2.38). La forza di Coriolis è perpendicolare sia all'asse terrestre
che al vettore velocità, per cui non compie lavoro: altera la direzione della velocità
35
ma non la sua intensità. Le forze agenti su una particella fluida sulla Terra sono
dunque la forza di gradiente, l'attrito, la forza di Coriolis, la gravità terrestre e la
forza di marea. La forza di marea sarà studiata nel cap. 6.
La rotazione della Terra è individuata nel sistema inerziale dal vettore Ω,
parallelo all'asse di rotazione terrestre, con verso tale (dal polo sud al polo nord) da
vedere la sottostante rotazione in senso positivo (antiorario, verso est) e modulo pari
alla velocità angolare (fig. 2.10) Ω = 2π/ds = 7.29211×10-5 rad/s.
Il campo della gravità terrestre g definisce localmente la direzione verticale;
essendo la risultante dell'attrazione gravitazionale e dell'accelerazione centrifuga
(2.44), non è diretto esattamente verso il baricentro della Terra. Dato che
a/γ < 3.2×10–3, la deviazione è comunque un angolo molto piccolo. Quando la scala
spaziale del moto è limitata rispetto al raggio terrestre, si usa adottare per comodità
un sistema di riferimento cartesiano locale, il cui piano x,y è tangente alla superficie
orizzontale e l'asse z è verticale, positivo verso lo zenith. Considerando l'asse x
positivo ad est lungo il parallelo e l'asse y positivo a nord lungo il meridiano,
definiamo le componenti dei vettori:
u = { u, v, w} ,
(2.47)
g = { 0, 0, − g} ,
(2.48)
2Ω = { 0, 2 Ω cos ϕ , 2Ωsen ϕ } ≡ {0, e, f } ,
(2.49)
e1 e2 e3
C = u × 2 Ω = det u
0
v
e
w = {fv − ew, − fu, eu} .
f
(2.50)
Il parametro di Coriolis f = 2Ω senϕ = 1.45842×10−4 senϕ rad/s, funzione della
latitudine ϕ , è la componente verticale del vettore 2Ω
(2.49): è positivo
−4
nell'emisfero nord (f(45°) = 1.0313×10 rad/s), negativo nell'emisfero sud e nullo
all'equatore (fig. 2.10). La (2.50) deriva dalla (2.7).
Scritta per componenti, in un sistema di riferimento terrestre locale, l'equazione
(2.46) diventa:
du
1 ∂ p 1 ∂Ax
=−
+
+ fv − ew + fM x ,
ρ ∂x ρ ∂z
dt
dv
1 ∂ p 1 ∂A y
=−
+
− fu
+ fM y ,
(2.51)
dt
ρ ∂y ρ ∂z
dw
1 ∂ p 1 ∂Az
=−
+
+ eu − g + fM z .
dt
ρ ∂z ρ ∂z
8. Approssimazioni delle equazioni del moto
Riassumendo: le equazioni del moto, in un sistema terrestre locale, sono
rappresentate dall'equazione di Newton (2.46, 2.51), dall'equazione di continuità
(2.21) e dall'equazione di stato. E' comparsa inoltre una nuova variabile, la
pressione di attrito: sarà quindi necessario introdurre un'ulteriore equazione, che di
norma la definisce in funzione della velocità: A = A(u).
In un bacino marino, il rapporto tra la scala verticale e quella orizzontale è
tipicamente di 1/1000. Di conseguenza una particella d'acqua in moto percorre nei
suoi spostamenti un percorso orizzontale molto maggiore di quello verticale, per cui
w << u ≈ v .
(2.52)
Se il moto avviene alle medie latitudini, f ≈ e nella (2.49) e quindi il termine ew <<
fv può essere trascurato nella componente x della (2.51).
36
L'equazione (2.51) verticale del moto può essere approssimata dall'equazione
idrostatica, in quanto la gravità, di gran lunga maggiore del termine inerziale, di
attrito, di Coriolis e di marea, è in pratica bilanciata dal solo gradiente verticale
della pressione.
Nell'oceano si può inoltre assumere, ai fini inerziali, che la densità rimanga
costante nel tempo: ρ = ρ 0. L'equazione di continuità (2.21) impone allora
semplicemente che il campo di velocità abbia divergenza nulla (sia solenoidale;
2.55). Applicando le approssimazioni descritte, le equazioni del moto alle medie
latitudini diventano:
ρ = ρ0 ,
du
1 ∂ p 1 ∂Ax
=−
+
+ fv + fM x
ρ ∂x ρ ∂z
dt
dv
1 ∂ p 1 ∂A y
=−
+
− fu + fM y
dt
ρ ∂ y ρ ∂z
∂p
= −ρ g ,
∂z
∂w
∂u ∂v
,
=−
−
∂z
∂x ∂ y
,
(2.53)
,
(2.54)
(2.55)


∂uk
(2.56)
Ai = Ai  u, v,
, ...  .
∂
x
j


Si può notare che i termini di Coriolis nelle equazioni orizzontali (2.53) dipendono
ora dal solo parametro verticale f : quindi gli assi x, y del sistema locale non sono
più vincolati alle direzioni est, nord precedentemente assunte e possono essere
orientati a piacere sul piano orizzontale. La (2.56) ricorda che l'attrito deve essere
definito in funzione della velocità e del suo
gradiente.
Definiamo per comodità:
q = {u, v} ,
(2.57)
f = {0, 0, f } ,
(2.58)
C = q × f = {fv, − fu} ,
(2.59)
A = {Ax , A y } ,
(2.60)
fM = {fM x , fM y } ,
(2.61)
∂ ∂
∇= ,  ,
(2.62)
 ∂x ∂y 
ovvero la velocità orizzontale, la componente
Fig. 2.11.- Velocità orizzontale e
vettoriale verticale di 2Ω, l’accelerazione di
accelerazione di Coriolis in un sistema
Coriolis,
l'attrito orizzontale, la forza
locale alle medie latitudini.
orizzontale specifica di marea, il gradiente
orizzontale. L'equazione del moto orizzontale (2.53) scritta in forma vettoriale
diventa:
dq ∂q
1
1 ∂A
≡
+ (q ⋅ ∇ ) q = − ∇p + C +
+ fM .
(2.63)
dt
∂t
ρ
ρ ∂z
L'accelerazione di Coriolis, di modulo C = fq , è diretta verso destra rispetto alla
velocità (sul piano orizzontale) nell'emisfero settentrionale (fig. 2.11), verso sinistra
nell'emisfero meridionale dove f è negativo.
37
3. CORRENTI
1. Introduzione
Nel capitolo precedente sono state ricavate le equazioni del moto in un bacino
marino di dimensioni piccole rispetto al raggio terrestre, situato alle medie
latitudini, riferito ad un sistema locale di coordinate cartesiane con il piano x,y
orizzontale e l'asse verticale z positivo verso l'alto. Il campo della velocità
orizzontale, o corrente, q(x,t) = q(x,y,z,t) è legato alle forze orizzontali in gioco
nell'oceano dall'equazione di Newton (2.63). La velocità verticale, piccola rispetto a
quella orizzontale, può essere all'occorrenza calcolata con l'equazione di continuità
(2.52). Si assume un equilibrio verticale idrostatico (2.51), che mette in relazione
p(x) e ρ(x); integrando:
p(z ) = p(0 ) − ∫ ρ g dz
z
0
,
(3.1)
si ottiene, in funzione del valor medio verticale della densità (la gravità può essere
approssimata con il suo valore standard gS = 9.80665 m/s2), la legge di Stevino:
p(z ) = p(0 ) − ρ 0 g S z .
(3.2)
Nei paragrafi seguenti esamineremo alcune classiche soluzioni dell'equazione del
moto (2.63).
2. L'equilibrio geostrofico
Cerchiamo la soluzione non
accelerata dell'equazione (2.63) in
assenza della forza di marea.
Posto
dq
=0 ,
(3.3)
dt
restano le forze specifiche di
gradiente, di Coriolis (2.56) e di
attrito che si sommano a zero. E'
conveniente esprimere il termine
Fig. 3.1.- Isobare su un piano orizzontale nell'oceano e
di attrito con una semplice
corrente geostrofica (emisfero settentrionale), con attrito
funzione lineare:
lineare (a sinistra) ed in assenza di attrito (a destra).
1 ∂A
= − kq .
(3.4)
ρ ∂z
Nota anche come ipotesi di Guldberg-Mohn, la (3.4) stabilisce che l'accelerazione di
attrito agisce nella direzione della velocità, è ad essa opposta e proporzionale con un
coefficiente di attrito k. L'equazione del moto
1
0 = − ∇ p + C − kq
(3.5)
ρ
si risolve facilmente per via grafica. Consideriamo le isobare tracciate su un piano
orizzontale immerso nell'oceano: la somma vettoriale C–kq deve essere uguale ed
opposta alla forza specifica di gradiente (fig. 3.1); di conseguenza il vettore velocità,
opposto all'attrito e normale a Coriolis, forma con le isobare un angolo α ed ha
un'intensità dati da:
− kq kq k
tan α =
=
=
,
(3.6)
q× f
fq f
38
(kq )2 + (fq )2
=
1
ρ
∇p
,
q=
1
ρ
k2 + f 2
∇p
.
(3.7)
Normalmente α < 45° e k < f ; in assenza di attrito k = 0, α = 0, e la corrente, detta
geostrofica, procede parallela alle isobare, lasciando l'alta pressione alla sua destra
(nell'emisfero nord), con un'intensità proporzionale al gradiente di pressione ed
inversamente proporzionale alla densità ed al parametro di Coriolis:
1
q=
∇p .
(3.8)
ρf
3. La corrente inerziale
Fig. 3.2.- Corrente inerziale
nell'emisfero settentrionale.
Fig. 3.3.- Corrente di gradiente
attorno ad un centro di alta (A)
e di bassa pressione (B)
nell'emisfero nord.
Consideriamo la soluzione stazionaria della (2.63) in
un oceano omogeneo in assenza di forze: gradiente
di pressione, attrito e marea sono assenti,
∂q
=0 ,
(3.9)
∂t
e l'equazione del moto si riduce a
(q ⋅ ∇ ) q ≡ −a = C .
(3.10)
L'accelerazione di Coriolis uguaglia l'accelerazione
centripeta rappresentata dal termine convettivo,
ovvero bilancia l'accelerazione centrifuga a (fig. 3.2).
La situazione di equilibrio è rappresentata da un
moto circolare uniforme di raggio r, con velocità
angolare ω , velocità tangenziale q = ω r . Il modulo
dell'accelerazione centrifuga è
a = q2 /r = ω2 r =ω q ;
(3.11)
dalla (4.10) si ottiene:
a = C = fq → ω = f .
(3.12)
La corrente, detta inerziale, descrive in senso orario
(nell'emisfero nord) un circolo di raggio r = q/f
(circolo d'inerzia) con una velocità angolare pari al
parametro di Coriolis e periodo
2π
π
12 h
T =
=
≅
(3.13)
f
Ω senϕ sen ϕ
funzione della latitudine. Alla latitudine di 45° il
periodo inerziale è di 17 h, il raggio d'inerzia è di 10
km per velocità di 1 m/s, 1 km per 10 cm/s.
4. La corrente di gradiente
Introducendo nella (3.10) il gradiente di pressione
(q ⋅ ∇ ) q = − 1 ∇p + C
(3.14)
ρ
otteniamo una corrente stazionaria, detta di
gradiente, che segue, per effetto geostrofico ed in
assenza di attrito, delle isobare a curvatura variabile ed è pertanto sottoposta
all'azione centrifuga. In una traiettoria circolare sul piano orizzontale attorno ad un
centro di alta pressione (fig. 3.3, A), la forza specifica di gradiente e l'accelerazione
centrifuga agiscono radialmente nello stesso verso, e la loro somma è bilanciata
dall'accelerazione di Coriolis; la circolazione avviene in senso orario, negativo o
39
anticiclonico. In un centro di bassa pressione (fig. 3.3, B) la forza di gradiente è
attenuata dalla forza centrifuga, la forza di Coriolis e di conseguenza la velocità di
rotazione risulta ridotta; la circolazione avviene in senso antiorario, positivo o
ciclonico. A parità di intensità di gradiente, un anticiclone risulta dunque più
efficace di un ciclone ai fini della circolazione.
Nel caso generale la corrente percorre le isobare con l'alta pressione alla sua
destra (nell'emisfero nord); nei tratti rettilinei l'intensità della velocità è data dalla
formula geostrofica (3.8), aumenta quando curva a destra e diminuisce quando
curva a sinistra per effetto dell'accelerazione centrifuga. In un fluido ideale il flusso
è confinato tra le isobare: l'eventuale attrito produce un rallentamento delle velocità
ed introduce una componente che attraversa le isobare diretta verso la bassa
pressione.
5. La corrente ciclostrofica
Consideriamo nuovamente un moto circolare
stazionario attorno ad un centro di bassa pressione,
descritto dalla (3.14), nel quale (3.11, 3.12):
1
∇p = a ± C = (ω ± f ) q .
(3.15)
ρ
Se il gradiente di pressione è intenso ed il raggio di
rotazione piccolo, le velocità tangenziale ed angolare
sono elevate, e
ω = q/r >> f ,
a >> C .
(3.16)
Fig. 3.4.- Corrente ciclostrofica.
In questo caso l'accelerazione di Coriolis è
trascurabile rispetto a quella centrifuga, che da sola
bilancia la forza specifica di gradiente. Mancando C, il verso della velocità
tangenziale non è definito: la rapida rotazione può avvenire in senso orario od
antiorario, a seconda delle condizioni che hanno avviato questo tipo di moto, che
viene detto ciclostrofico (fig. 3.4).
6. Decadimento della corrente per effetto dell'attrito
Consideriamo l'equazione del moto (2.57) in
assenza di forze di gradiente e di marea, con un
attrito lineare (3.4):
dq
= C − kq .
(3.17)
dt
Moltiplicando scalarmente i due termini per la
velocità ed essendo C ⋅ q = 0 si ha
2
dq 1 d
≡
(q ⋅ q ) = 1 dq = −kq 2 ,
dt 2 dt
2 dt
1
dq 2 = −2k dt ,
(3.18)
2
q
Fig. 3.5.- Decadimento nel tempo della
che ha per soluzione
velocità della corrente per effetto di
una forza di attrito lineare.
q 2 (t ) = q 2 (0 ) e −2 k t
L'intensità della velocità diminuisce quindi esponenzialmente nel tempo
q (t ) = q (0 ) e− k t ;
(3.19)
con un tipico tempo di estinzione te = 1/k, tale che q(te) = q(0)/e ≅ 0.37 q(0) (fig. 3.5).
Dato che tipicamente k ≈ 10–5 s–1, si deduce che dopo un tempo dell'ordine di 100 h
q⋅
40
(alcuni giorni) la velocità è praticamente annullata dalle forza di attrito.
7. La corrente di deriva
Il vento genera sulla superficie del mare una pressione di attrito A(0); questa si
propaga in profondità, strato dopo strato, generando un campo di corrente detta di
deriva. Consideriamo la soluzione stazionaria, in assenza di forze di gradiente e di
marea, in una zona di mare aperto e profondo: le coste ed il fondale sono cioè
sufficientemente distanti da non influire sul campo di velocità. L'equazione del moto
(2.63) si riduce a
1 ∂A
q× f = −
;
(3.20)
ρ ∂z
la pressione orizzontale di attrito è
normalmente considerata proporzionale al
gradiente verticale della velocità:
∂q
A=µ
,
(3.21)
∂z
dove µ è il coefficiente di viscosità. Un fluido
che soddisfa all'ipotesi (3.21) è detto
newtoniano; definito il coefficiente di viscosità
cinematica ν = µ / ρ , la (3.20) con la (3.21),
scritta per componenti e usando le (2.56),
diventa:
∂ 2v
fu = ν 2
∂z
.
(3.22)
∂ 2u
f v = −ν 2
∂z
La soluzione q(z) della (3.22) è stata proposta
da Ekman. Se l'attrito superficiale del vento è
diretto lungo y, si ha
u( z ) = q( z ) cos(ϑ )
;
(3.23)
v( z ) = q( z ) sen(ϑ )
intensità e direzione della corrente in funzione
di z (positivo verso lo zenith) sono date da:
Fig. 3.6.- "Spirale di Ekman": rotazione
q( z ) = q0 e π z / d ,
(3.24)
lineare della direzione ed attenuazione
ϑ = π/4 + πz/d ;
(3.25)
esponenziale dell'intensità della corrente
d = π 2 ν /f .
(3.26)
In superficie la corrente è diretta alla destra
(nell'emisfero nord) del vento con un angolo ϑ0 = π / 4 rad = 45° . L'intensità della
velocità diminuisce esponenzialmente con la profondità (3.24) e l'angolo (3.25) con il
vento aumenta linearmente in senso negativo (orario); alla profondità z = –d
l'intensità della corrente, parallela a quella superficiale ma di verso opposto, è
ridotta del fattore 1/eπ. La (3.26), detta profondità di Ekman, stabilisce quindi la
scala verticale della corrente di deriva; tipicamente d ≈ 100 m.
di deriva con la profondità.
8. Esempi
Il modello geostrofico è di primaria importanza sia in oceanografia che in
meteorologia. In oceanografia è consuetudine effettuare i cosiddetti calcoli dinamici:
41
la corrente geostrofica è ricavata in base alle
isobare
calcolate
ad
una
profondità
determinata partendo dai profili verticali
termoalini e di densità. In meteorologia si
calcola il vento geostrofico in base alle carte
isobariche osservate o previste al livello del
mare o a quote superiori; l'attrito produce un
effetto sensibile in prossimità del suolo, dove
l'angolo tra il vento e le isobare è tipicamente
di 20°-30°, a seconda della rugosità del
terreno. La componente di vento normale alle
Fig. 3.7.- Circolazione atmosferica
isobare produce una convergenza al suolo nei
verticale nei centri ciclonici (B) ed
centri di bassa pressione, una divergenza nei
anticiclonici (A).
centri di alta pressione (fig. 3.7); per la
continuità, si forma al centro una corrente
verticale ascendente (ciclone) che favorisce la
formazione di nubi, e rispettivamente
discendente (anticiclone) che mantiene il cielo
sereno e favorisce il ristagno al suolo.
Circoli d'inerzia nel mare sono stati rilevati
per mezzo di traccianti lagrangiani; il periodo
inerziale, funzione della latitudine, si può a
volte riconoscere negli spettri delle serie
temporali dei parametri oceanografici. Per
effetto dell'attrito, una corrente inerziale
rallenta e di conseguenza, per completare il
giro nel periodo fissato, percorre circoli di
raggio via via decrescente, con un moto a
spirale diretto asintoticamente verso il centro.
La teoria di Ekman mostra che l'effetto del
vento si esaurisce in pratica alla profondità d;
Fig. 3.8.- Iceberg alla deriva.
spirali di Ekman possono essere quindi
osservate in mari a profondità maggiore di
circa cento metri, lontani dalle coste e
naturalmente in presenza di venti costanti e
permanenti. Il moto di deriva degli icebergs,
che galleggiano nello strato di Ekman (fig.
3.8), avviene normalmente a destra del vento
dominante nei mari artici, a sinistra in quelli
antartici. In un mare poco profondo e
racchiuso da coste che pilotano la circolazione,
come il Golfo di Trieste, il modello di Ekman
Fig. 3.9.- Gorgo di Naruto (Giappone).
non è applicabile.
I moti ciclostrofici si ritrovano nel mare
come mulinelli e gorghi di dimensioni limitate; normalmente nascono in seguito allo
scontro di correnti intense ed opposte, più frequenti sui bassi fondali, negli stretti e
negli estuari. Se dovuti a correnti di marea, hanno carattere ricorrente (Maelstrom
in Norvegia, Old Sow nel Maine-New Brunswick, Naruto Whirlpool in Giappone,
fig. 3.9, ecc.). Nell'atmosfera troviamo, con scale ed intensità diverse, "diavoletti di
sabbia", trombe d'aria, tornadoes.
42
4. ONDE
1. Onde gravitazionali
Un punto materiale soggetto ad uno spostamento e ad una forza di ripristino ad
esso proporzionale ed opposta compie delle oscillazioni attorno al punto di
equilibrio. Il pendolo è un classico esempio: la forza di ripristino è la componente del
peso lungo l’arco di traiettoria. L’oceano, o
l’atmosfera, stratificati nel campo della
gravità ed in equilibrio idrostatico possono
sostenere onde interne gravitazionali; infatti
una particella fluida se innalzata ricade, e se
depressa galleggia: essa non si arresta alla
quota di partenza, ma la supera finchè il
peso non subentra al galleggiamento o
viceversa:
nasce
così
un’oscillazione,
smorzata per effetto dell’attrito (fig. 4.1). La
frequenza di oscillazione dipende dal
gradiente verticale della densità, ed è nota
Fig. 4.1.- Onda interna gravitazionale
come frequenza di Brunt-Väisälä :
generata da uno spostamento verso l’alto.
g ∂ρ
N= −
.
(4.1)
ρ ∂z
Se la colonna fluida è in equilibrio stabile (la densità diminuisce verso l’alto) N è
reale ed aumenta con la stabilità; se l’equilibrio è indifferente N=0, se instabile N è
immaginario e lo spostamento innescato continua senza oscillazioni. Il periodo
T=2π/N diminuisce con l’aumento del modulo del gradiente verticale della densità:
nel mare sono tipici periodi di pochi minuti, nell’atmosfera di ore. All’interfaccia
mare-aria, dove la densità si riduce di tre ordini di grandezza, i periodi tipici delle
onde corte sono di pochi secondi.
2. Onde progressive e onde stazionarie
Una generica funzione univoca ϕ (α ) dell’argomento (adimensionale)
α (x , t ) = κ x m σ t (σ, κ > 0) assume per definizione lo stesso valore per ogni
combinazione di (x,t) tale che
κ x m σ t = α0 ,
(4.5)
e ciò avviene per
x=±
σ
α
t+ 0
κ
κ
= x0 ± c t
,
(4.6)
ovvero in x0 ed in tutti i punti lungo l’asse x “raggiunti” dopo un tempo t con la
velocità di fase (>0)
c=
σ
κ
.
(4.7)
E’ possibile rappresentare ϕ con una somma di onde sinusoidali di ampiezza ε (>0)
opportuna
η (x , t ) = ε cos (κ x m σ t ) ,
(4.8)
2π
2π
dove
κ=
,
σ =
(4.9)
L
T
rappresentano le relazioni tra il numero d’onde κ e la lunghezza d’onda L, e tra la
velocità angolare σ ed il periodo T. La (4.8) rappresenta quindi un’onda sinusoidale
piana che procede nella direzione x (onda progressiva): il verso di avanzamento è
verso le x positive o negative a seconda del segno (− o +). La velocità dell’onda (4.7) è
detta di fase perchè è quella con cui procede la cresta (massimo η = ε ; α = 0, 2π) o il
43
cavo (η = −ε ; a = π) o un punto della sinusoide corrispondente ad un angolo α di
fase qualsiasi; per la (4.7) si ha anche che c = L/T. L’escursione totale del livello H
= 2ε è detta altezza dell’onda. In oceanografia si usa anche definire l’altezza
significativa H1/3 come la media del sottinsieme delle altezze maggiori in numero
pari ad 1/3 di quelle osservate.
Due onde progressive uguali procedenti in versi opposti nello stesso segmento x
si sommano e, per le formule trigonometriche di addizione
cos(κ x − σ t ) + cos (κ x + σ t ) = 2 cos(κ x ) cos(σ t ) ;
(4.10)
la somma a destra nella (4.10) rappresenta un’onda stazionaria di lunghezza d’onda
L (4.9) per t=cost e di periodo T in ogni punto fisso. Un’onda stazionaria può
dunque essere considerata come la sovrapposizione di due onde progressive della
stessa lunghezza d’onda e periodo, di metà ampiezza, che viaggiano in verso
opposto.
E’ interessante anche il caso di due onde progressive di uguale ampiezza che
avanzano nello stesso verso; utilizzando le formule di prostaferesi:
σ − σ2 
σ + σ2 
 κ − κ2
 κ + κ2
cos (κ1 x − σ1 t ) + cos (κ 2 x − σ 2 t ) = 2 cos  1
x− 1
t  cos  1
x− 1
t  ; (4.11)
2
2
 2

 2

quando le due onde non sono molto
diverse, la (4.11) rappresenta i
cosiddetti battimenti (fig. 4.2):
appare cioè un’onda portante di
caratteristiche L, T intermedie e
di
ampiezza
modulata
con
lunghezza d’onda e periodo:
4π
4π
Lg =
, Tg =
. (4.12)
κ1 − κ 2
σ1 − σ 2
Fig. 4.2.- Battimenti, velocità di fase c e di gruppo cg.
La modulazione dell’ ampiezza
procede
nello
stesso
verso
dell’onda portante con una velocità di fase sua propria, detta velocità di gruppo:
L
σ −σ2
dσ
cg = g = 1

→
.
(4.13)
1→2
Tg κ 1 − κ 2
dκ
3. Onde all’interfaccia mare-aria
La tensione superficiale presente sulla superficie libera orizzontale del mare può
agire come forza di ripristino tendente a spianare ogni stiramento o corrugamento
originalmente causato dall’atmosfera, dando origine ad una serie di onde capillari
con periodi tipici di decimi di secondo. Le onde capillari, pur di ampiezza molto
piccola, possono essere importanti in quanto
aumentano la rugosità della superficie marina
e di conseguenza il coefficiente di attrito con
l’aria e la possibilità di innesco delle onde
gravitazionali da parte del vento. Un’onda
gravitazionale sinusoidale piana progressiva
nella direzione x nel verso positivo/negativo
produce sulla superficie del mare un dislivello
rappresentato dalla (4.8); alcune interessanti
proprietà
possono
essere
ricavate
Fig. 4.3.- Onda progressiva all’interfaccia considerando la teoria lineare di Airy. Le
ipotesi sono: (i) le onde sono di piccola
mare-aria (sezione verticale).
44
Fig. 4.4.- Funzioni iperboliche.
ampiezza (ε <<L), (ii) il fluido è ideale (senza
attrito) e (iii) irrotazionale (senza vortici), (iv)
la tensione superficiale è trascurabile, (v)
l’accelerazione di Coriolis è trascurabile, (vi) la
profondità h del bacino, la densità ρ dell’acqua
e la pressione atmosferica p0 sono costanti. Al
dislivello η(x,t) è associato sul piano verticale
per x il campo di velocità
V (x , z , t ) = (u, w ) ,
(4.14)
che deve soddisfare alle condizioni al contorno
∂η
,
w (x , − h, t ) = 0 .
(4.15)
w (x , 0, t ) =
∂t
Le equazioni del moto considerate sono quindi:
∂u ∂w
∂u ∂w
∂u
1 ∂p
−
=0 ,
+
=0 ,
=−
,
∂z ∂x
∂x ∂z
∂t
ρ ∂x
(4.16)
che ammettono come soluzione:
η (x , t )
= ε cos (κ x − σ t ) ,
(4.17)
cosh (κ (h + z ))
u (x , z , t ) = εσ
cos (κ x − σ t ) , (4.18)
senh (κ h )
senh (κ (h + z ))
w (x , z , t ) = εσ
sen (κ x − σ t ) ;(4.19)
senh (κ h )
σ = gκ tanh(κ h) .
Fig. 4.5.- Velocità di fase.
(4.20)
Sia il livello che le componenti orizzontale e
verticale della velocità sono onde progressive:
la velocità orizzontale dell’acqua è in fase con
il livello, la velocità verticale è sfasata di π/2.
L’ampiezza della velocità, per entrambe le
componenti, dipende dalla profondità z e dalla
profondità h del bacino tramite le funzioni
iperboliche (fig. 4.4) definite come
ex + e−x
ex − e−x
,
,
(4.21)
cosh x =
senh x =
2
2
senh x e x − e − x
;
(4.22)
tanh x =
=
cosh x e x + e − x
il coseno iperbolico è una funzione pari, seno e
tangente sono dispari e cosh 2 x − senh 2 x = 1 .
I limiti sono:
x →0
x →0
tanh x 
→ senh x 
→ x ,
(4.23)
x → ±∞
tanh x 
→ ± 1 .
(4.24)
Dalla (4.20) risulta che la velocità di fase (4.7)
g
tanh(κ h)
c=
tanh(κ h) = g h
=
κ
κh
Fig. 4.6.- Ampiezze della velocità in
funzione della profondità per diversi
rapporti L/h.
tanh(2πh / L )
(4.25)
2πh / L
è una funzione crescente della lunghezza
= gh
45
d’onda (fig. 4.5) che ha come limite la velocità dell’onda lunga
co = g h .
(4.26)
Onde di lunghezza diversa, inizialmente sovrapposte, dopo un certo percorso
risulteranno separate; avvicinandosi al centro di una perturbazione, dove il vento
genera un moto ondoso ad ampio spettro, si incontreranno per prime le onde di
lunghezza maggiore, alle quali si andranno sovrapponendo quelle via via più corte.
Per tale motivo la (4.20) si chiama relazione di dispersione. I profili verticali della
velocità dell’acqua, descritti dai rapporti tra funzioni iperboliche nelle (4.18, 4.19),
non sono facilmente interpretabili; la fig. 4.6 riporta, per diversi rapporti L/h = 0.1,
1, 5, 10, 100, l’ampiezza della velocità orizzontale in funzione della posizione z/h
lungo la colonna, dalla superficie al fondo z = −h, in rapporto al suo valore in
superficie. L’ampiezza della velocità verticale è riportata, lungo la colonna, in
rapporto a quella orizzontale: per L<h le due ampiezze sono uguali quasi sino al
fondo; per L/h>10 l’ampiezza della velocità verticale è una frazione di quella
orizzontale in superficie, e si riduce linearmente a zero sul fondo, come richiesto
dalla (4.15).
La velocità di fase (4.25) delle
onde progressive, fissata la loro
lunghezza, dipende dalla profondità
del bacino: profondità quindi velocità
di propagazione variabile implica
rifrazione. Il fronte d’onda rallenta
quando viene a trovarsi in acque più
basse, e la direzione di propagazione
ad esso normale viene deviata di
conseguenza. Ad esempio, onde
incidenti su una spiaggia, verso la
quale la profondità tende a zero,
tendono ad allinearsi con il fronte
parallelo alla riva; onde incidenti su
di una costa frastagliata tendono a
concentrarsi sulle punte, dove
rilasciano la maggior parte della loro
energia, con il conseguente trasporto
di materiale eroso verso le baie (fig.
4.7).
Le caratteristiche delle onde
progressive diventano più chiare nei
Fig. 4.7.- Rifrazione delle onde (c diminuisce con la
casi limite L<<h ed L>>h.
profondità).
4. Onde corte
Consideriamo le onde progressive di lunghezza molto inferiore alla profondità del
bacino:
L << h ,
κ h >> 1 .
(4.27)
In questo caso
e κ ( h + z ) ± e −κ ( h + z )
eκ ( h + z )
κ h→∞




→
= eκ z
(4.28)
eκ h − e −κ h
eκ h
ed il profilo verticale delle velocità (4.18, 4.19) si semplifica:
46
Fig. 4.8.- Onda corta: le particelle d’acqua percorrono orbite circolari con una velocità V che si
estingue esponenzialmente con la profondità.
u = εσ eκ z cos (κ x − σ t ) ,
w = εσ eκ z sen (κ x − σ t ) .
(4.29)
(4.30)
Le ampiezze delle componenti orizzontale e verticale risultano uguali tra loro;
l’intensità e la direzione del vettore velocità sono date da
V = u 2 + w 2 = ε σ e κ z = ε σ e 2π z / L ,
w
tan ϑ = = tan (κ x − σ t ) ,
ϑ = κx −σt
u
(4.31)
.
(4.32)
la velocità V dell’acqua (4.31) è εσ in superficie e si smorza esponenzialmente con
la profondità: a z = −L è ridotta del fattore 1/e2π = 0.0019 . Per tale motivo le onde
corte sono anche dette di superficie, in quanto coinvolgono solamente lo strato
superficiale del mare di spessore pari ad una lunghezza d’onda. L’angolo ϑ (4.32)
che il vettore V forma con l’orizzontale (fig. 4.3) nel punto x diminuisce linearmente
nel tempo, ovvero ruota in senso orario con periodo T . Le particelle d’acqua si
muovono dunque lungo orbite verticali circolari il cui raggio è massimo in superficie
e praticamente nullo alla profondità L. La velocità dell’acqua in superficie è
concorde alla velocità di propagazione c dell’onda. Lo spostamento medio dell’acqua
nel periodo T è nullo.
Per le (4.20, 4.24, 4.7, 4.13), la relazione di dispersione, la velocità di fase e la
velocità di gruppo diventano:
g
1 g
1
σ = gκ ;
c=
;
cg =
=
c .
(4.33)
κ
2 κ
2
In particolare possiamo ricavare le seguenti relazioni:
c=
g
g
L, c=
T,
2π
2π
c = 1.25 L ,
c = 1.56 T ,
L=
g 2
T ,
2π
(4.34)
L = 1.56 T 2 ;
i coefficienti numerici delle (4.34) concordano con quelli ricavabili dalle osservazioni
dirette delle onde marine.
47
5. Onde lunghe
Consideriamo ora le onde progressive di lunghezza molto superiore alla
profondità del bacino:
L >> h ,
κ h << 1 .
(4.35)
Relazione di dispersione (4.25, 4.24), velocità di fase e di gruppo (4.7, 4.13)
diventano
σ =κ gh ,
c = cg = g h ≡ co ;
(4.36)
le ultime due in particolare sono uguali tra loro ed alla “velocità dell’onda lunga”
(4.26).
Tenendo presente che cosh(0)=1 ed i limiti
(4.23), la velocità dell’onda lunga diventa
u=
εσ
ε
cos (κ x − σ t ) = co cos (κ x − σ t ) ,
κh
h
(4.37)
h+z
sen (κ x − σ t ) .
(4.38)
h
Notiamo che la velocità orizzontale è
indipendente dalla profondità; il rapporto tra
Fig. 4.9.- Onda lunga: le particelle d’acqua
le intensità della velocità verticale ed
percorrono orbite ellittiche con una
orizzontale, molto piccolo in superficie,
componente verticale piccola in superficie e
w( x ,0, t )
nulla sul fondo.
= κ h << 1 ,
(4.39)
u( x ,0, t )
si riduce linearmente a zero con w sul fondo (fig 4.9). Al limite, la velocità dell’acqua
si riduce ad una corrente orizzontale alternata di periodo T .
w = εσ
6. Esempi
profondità /m co /(m/s) co /(km/h)
Sia h = 200 m la profondità del bacino.
1
3.1
11
Un’onda corta di lunghezza L =10 m ed
10
9.9
36
ampiezza ε = 1 m ha una velocità di fase (4.34) c
100
31.3
113
1000
99.0
357
= 3.95 m/s = 14.2 km/h ed un periodo T = 2.53 s;
2000
140.0
504
la velocità dell’acqua è di 2.47 m/s in superficie
3000
171.5
617
e di 5 mm/s a 10 m di profondità. Un
4000
198.1
713
galleggiante raggiunto dall’onda viene spinto in
5000
221.4
797
alto, in avanti, in basso ed all’indietro con uno
6000
242.6
873
spostamento totale nullo nel periodo T. Un’onda
Tab. 4.1.- Velocità dell’onda lunga co
lunga con L = 100 km, ε = 1 m, ha una velocità
per diverse profondità del bacino.
di fase (4.36) co = 44.29 m/s = 159.4 km/h ed un
periodo T = 37.6 min; la velocità orizzontale è 22.1 cm/s a tutte le profondità, la
velocità verticale in superficie è di 3 mm/s. La colonna d’acqua si sposta di 250 m
nel verso di propagazione dell’onda, con versi alternati ogni mezzo periodo.
La velocità dell’onda lunga (4.36) è riportata, per diverse profondità, nella tab.
4.1; questa è la velocità alla quale viaggiano le onde di marea, le oscillazioni libere
dei bacini e gli tsunami. La marea avanza a bassa velocità negli estuari, nei canali e
nelle lagune dove l’acqua è bassa; un’onda solitaria attraversa un oceano in poche
ore.
48
5. ONDE LUNGHE
1. Dinamica a scala di bacino
Gli oceani, i mari, i laghi ed i bacini d'acqua in genere presentano uno sviluppo
prevalentemente orizzontale; se indichiamo con H l’ordine di grandezza
dell’estensione orizzontale e con Z quello della profondità, il rapporto H/Z è
normalmente dell'ordine di 103. Una corrente a scala di bacino, che sposti una
massa d’acqua da un'estremità all'altra in un tempo T pur con qualche variazione di
profondità, mantiene lo stesso rapporto tra le corrispondenti velocità (fig. 5.1):
Uh/Uz = UhT/UzT = H/Z = 1000/1.
(5.1)
Fig. 5.1.- Scala tipica dei bacini marini (sezione verticale).
Nel capitolo precedente è stato dimostrato che le onde lunghe (definite tali in
rapporto alla profondità del bacino), cioè con lunghezze d’onda Λ ≈ H » Z , sono
caratterizzate dal fatto che la velocità dell’acqua ha una componente verticale Uz
trascurabile ed una componente orizzontale Uh che è indipendente dalla profondità,
ovvero che si mantiene costante dalla superficie al fondo. La velocità orizzontale
periodica delle onde lunghe, quando lunghezza d’onda e periodo tendono all’infinito,
tende a diventare una corrente aperiodica.
2. Sistema di riferimento ed equazioni del moto
Lo studio della dinamica globale dei bacini oceanici richiederebbe l'uso di un
sistema di coordinate polari; il caso più interessante (per noi), e più semplice da
trattare, è quello di un bacino di piccole dimensioni (relativamente al raggio
terrestre R) collocato alle medie latitudini. Il fatto che il bacino sia “piccolo”
permette di adottare un sistema locale di coordinate cartesiane (fig. 2.11) nel quale
il piano (x,y) approssima la superficie orizzontale del mare a riposo e l'asse z
(positivo verso lo zenith) è verticale. Il limite alle medie latitudini permette di
semplificare il termine di Coriolis; le equazioni del moto sono descritte nel § 2.8.
Una variabile di interesse fondamentale è
il livello del mare, ovvero lo scostamento tra
la superficie del mare ed il piano orizzontale
di riferimento (fig. 5.2); la variazione locale
nel tempo del livello è la velocità verticale in
superficie:
∂η ( x , y, t )
w ( x , y,0, t ) =
.
(5.2)
∂t
In un bacino così definito consideriamo
quindi onde lunghe di piccola ampiezza, ossia
di ampiezza trascurabile rispetto alla
profondità; riassumendo:
Fig. 5.2.- Sistema locale di coordinate per
un bacino di piccole dimensioni.
η « Z « H ≈ Λ « R .
(5.3)
49
Un’approssimazione usuale, in onde di questo tipo ed in bacini “regolari” (esclusi
stretti e zone costiere frastagliate, con isole, ecc.), consiste nel considerare
normalmente piccolo il gradiente orizzontale di velocità, e quindi di trascurare il
termine advettivo, non lineare, nella derivata totale della (2.60). Le equazioni del
moto sono dunque:
∂q
1
1 ∂A
= − ∇p + q × f +
+ fM ,
(5.4)
∂t
ρ
ρ ∂z
∂p
= −ρ g ,
(5.5)
∂z
∂w
= −∇ ⋅ q .
(5.6)
∂z
L’equazione di Newton orizzontale (5.4) lega la corrente q(x,y,z,t) = {u,v} alla forza di
gradiente ed alle forze esterne; l'attrito A deve essere definito in funzione di q.
L'equazione verticale (5.5) è quella idrostatica; l'equazione di continuità per un
mare a densità costante (5.6) esplicita il termine verticale della divergenza della
velocità in funzione della divergenza orizzontale.
3. Integrazione verticale
Un modo semplice per trasformare le equazioni del moto (5.4, 5.5, 5.6), valide per
qualsiasi profondità, in un sistema adatto alla descrizione delle onde lunghe nel
quale la variabile η sia opportunamente esplicitata, è quello di operare su di esse
una integrazione (o media) verticale, dal fondo z = − h alla superficie z = η. La
seconda variabile (vettoriale) del moto è la corrente orizzontale media U, definita da
η
η
1
1
U=
q
dz
≅
q dz ;
(5.7)
h + η −∫h
h −∫h
dove il livello può essere trascurato per la (5.3). Ricordiamo la relazione:
b( x )
b
∂
∂f
∂b
∂a
f
x
z
dz
=
dz + f ( x , b)
− f (x, a)
(
,
)
,
∫
∫
∂x a ( x )
dx
∂
x
∂
x
a
(5.8)
dalla quale risulta che derivata e integrale possono essere scambiati solo se gli
estremi di integrazione hanno derivata nulla. Nel nostro caso l’estremo superiore è
b = η (x,y,t); integrando su tutta la colonna potremo però trascurare per la (5.3),
quando necessario, il contributo dato dal tratto compreso tra il livello medio z = 0 e
la superficie:
η
∫ dz ≅
−h
0
∫ dz
.
(5.9)
−h
Per quanto riguarda l’estremo inferiore a = − h(x,y), possiamo considerare il fondo
del mare “quasi orizzontale”:
∇h ≅ 0 .
(5.10)
Con queste approssimazioni, integrando il termine inerziale dell’equazione
orizzontale (5.4) abbiamo:
η
0
0
∂q
∂q
∂
∂
∂U
(5.11)
∫−h ∂t dz ≅ −∫h ∂t dz = ∂t −∫hq dz = ∂t hU = h ∂t ;
Consideriamo ora la forza specifica di gradiente nella (5.4). Ricaviamo la pressione
dall’integrazione dell’equazione verticale idrostatica (5.5),
η
η
∂p
∫z ∂z dz = − ∫z ρg dz , p( x , y,η ,t ) − p( x , y, z,t ) = − ρg (η ( x , y,t ) − z ) , (5.12),
50
nella forma espressa dalla formula di Stevino
p = p0 + ρg (η − z ) ,
(5.13)
dove la pressione totale è espressa come somma della pressione atmosferica p0 e
della pressione esercitata dalla colonna d’acqua sovrastante, scissa nei due
contributi: dalla superficie al livello medio (piano (x,y)), e da questo alla profondità
− z. Il gradiente di p è quindi:
∇p = ∇p0 + ρg ∇η ,
(5.14)
1
ρ
η
h
∫ ∇p dz ≅ ρ ∇p
0
+ hg ∇η .
(5.15)
−h
L’integrazione dell’accelerazione di Coriolis, con la consueta approssimazione
(5.9), dà:
0
∫ q × f dz = hU × f
.
(5.16)
−h
Integrando il termine di attrito otteniamo:
η
1 ∂A
1
dz = (A(η ) − A( −h )) .
∫
ρ − h ∂z
ρ
(5.17)
L’attrito sulla superficie del mare è esercitato dal vento di velocità W, del quale
mantiene direzione e verso; il suo modulo è proporzionale all’intensità W=|W| del
vento con un coefficiente che, sperimentalmente, dipende dalla “rugosità” della
superficie (dall’altezza delle onde gravitazionali corte), a sua volta funzione di W:
1
A(η ) = γ W W ;
(5.18)
ρ
per il coefficiente di proporzionalità si assume un valore empirico γ = 3.2×10−6.
Analogo discorso vale per l’attrito che l’acqua, con la sua velocità U, esercita sul
fondo del mare; in questo caso conviene però usare, in prima approssimazione, un
coefficiente k = a|U| costante, in modo da mantenere il termine lineare:
1
A( −h) = hk U .
(5.19)
ρ
Consideriamo ora l’equazione di continuità (5.6), ed integriamo la componente
verticale della divergenza del campo solenoidale di velocità; in base alla (5.2) ed alle
condizioni al contorno dei fluidi viscosi per cui la velocità dell’aqua sul fondo e lungo
le coste del bacino è nulla, si ricava:
η
∂w
∂η
(5.20)
∫−h ∂z dz = w( x , y,η , t ) − w( x , y,−h, t ) = ∂t .
Inoltre, per le (5.8, 5.7) e per le condizioni al contorno (u=v=w=0) sul fondo:
η
η
∂u
∂
∂h
∂
∫−h ∂x dz = ∂x −∫hu dz − u( x ,−h) ∂x = ∂x hU ,
(5.21)
ed analogamente per la componente y.
4. Le equazioni di “storm surge”
Mettendo assieme i risultati ottenuti (5.20, 5.21; 5.11, 5.15, 5.16, 5.17-5.19,) e
dividendo per h, otteniamo le equazioni del moto (di continuità e di Newton)
verticalmente integrate (o meglio mediate dal fondo alla superficie del mare), dove
le incognite sono il livello ed il campo orizzontale di velocità, mentre sono date la
forza atmosferica e la marea astronomica:
51
∂η
= −∇ ⋅ hU ,
∂t
∂U
= − g ∇η + C − kU + F + FM
∂t
dove
η (x,y,t)
U(x,y,t) = {U,V }
C = U×f = {fV, −fU }
f = {0,0, f } ,
f = 2Ω senϕ
γ
1
F ( x , y, t ) = W W − ∇p0
h
ρ
W (x,y,t)
p0 (x,y,t)
FM(x,y,t)
∇ = { ∂ ∂x , ∂ ∂y }
h(x,y)
ρ
g
k
γ
(5.22)
,
(5.23)
elevazione sul livello del mare a riposo,
velocità orizzontale (media verticale),
accelerazione di Coriolis,
parametro di Coriolis
forza specifica aria-mare,
velocità del vento sul mare,
pressione atmosferica sul mare,
forza specifica di marea astronomica;
gradiente orizzontale,
profondità del bacino,
densità dell’acqua di mare,
accelerazione di gravità,
coefficiente di attrito (∼10−5 s−1),
coefficiente del vento (∼3.2 ×10−6).
Fig. 5.3.- Equazioni di storm surge: (a) equazione di continuità, (b) equazione di Newton.
L’equazione di continuità (5.22) per un mare incompressibile (dρ/dt=0), che
esprime la conservazione del volume, mette in relazione la variazione locale del
livello e la convergenza del campo del trasporto orizzontale hU (flusso di volume
attraverso una sezione di larghezza unitaria, dalla superficie al fondo): dato il
trasporto segue una corrispondente variazione di livello, e viceversa (fig. 5.3-a). In
altre parole: in ogni punto del bacino flusso convergente ed innalzamento della
superficie, così come flusso divergente ed abbassamento, sono fenomeni correlati.
Notiamo inoltre che, ai fini delle variazioni di livello, quello che interessa è il
trasporto complessivo sulla colonna, e non le sue eventuali variazioni verticali (che
sappiamo essere nulle per le onde lunghe).
L’equazione di Newton (5.23; fig. 5.3-b) descrive colonne fluide “rigide”, estese dal
fondo alla superficie del bacino, in moto con velocità U, deviate (a destra
52
nell’emisfero nord) dall’accelerazione di Coriolis C. Sulla faccia superiore della
colonna agisce la forza meteorologica
γ
1
F = W W − ∇p0 ,
(5.24)
h
ρ
risultante dall’azione del vento nella (5.18) e dal gradiente della pressione
atmosferica nella (5.15); sulla faccia inferiore agisce l’attrito di fondo −kU. Una
forza − g ∇η proporzionale a g ed alla pendenza della superficie marina
rappresenta l’azione livellatrice della gravità. FM è il valor medio sulla colonna della
componente orizzontale della forza specifica di marea astronomica fM (2.45).
Le (5.21, 5.22) sono note come equazioni “delle onde lunghe”, “di marea” o “per
l’acqua alta” (long wave, tidal, storm surge equations); in particolare l’ultimo
termine inglese denota l’innalzamento del livello (surge) causato dalle forze
meteorologiche associate a situazioni isobariche più (storm) o meno intense.
Le condizioni al contorno impongono che la velocità sia nulla (U=0) sui “confini
rigidi”, cioè sulle coste e sul fondo del bacino (no-slip conditions); lungo l’eventuale
confine aperto bisogna prescrivere η, od U, oppure una loro relazione. Per la
soluzione η (x,y,t), U(x,y,t) del sistema devono essere inoltre assegnate le condizioni
iniziali η (x,y,0) e U(x,y,0).
Le equazioni di “storm surge” sono lineari, e ciò in virtù delle approssimazioni
adottate. Linearità significa che, se alla forza Fn corrisponde le soluzione (ηn, Un),
allora alla forza ΣanFn corrisponde la soluzione (Σanηn, ΣanUn): l’effetto complessivo
di una combinazione lineare di cause è la stessa combinazione lineare dei
corrispondenti effetti.
5. Oscillazioni libere o sesse
Un fenomeno occasionale, consistente in un periodico innalzamento ed
abbassamento del livello dell’acqua lungo le rive, era noto nel lago di Ginevra
almeno dal XV secolo; chiamato “seiche” da de Duillier nel 1730, è stato ben
descritto da François-Alphonse Forel, pioniere della limnologia, nel suo lavoro “Le
Léman” del 1895. Le sesse in effetti si possono osservare in bacini d’acqua di ogni
dimensione e nei mari; l’innesco è dato di solito dalle forze atmosferiche, ma può
dipendere da perturbazioni di altro tipo (piene fluviali, terremoti, ecc,). Una
caratteristica delle sesse è che si manifestano con periodi fissi, compresi tra secondi
ed ore, che dipendono dalle dimensioni e dalla forma del bacino.
Matematicamente, le sesse sono le soluzioni delle equazioni delle onde lunghe
omogenee, nelle quali cioè le forze esterne sono poste uguali a zero; ovvero le
oscillazioni libere in vigore quando la causa che le aveva generate è cessata. La
soluzione è facile da trovare nel caso di un bacino chiuso, non rotante (C=0), del
quale consideriamo il moto nella sola sezione longitudinale (x,z) di lunghezza A e di
profondità h costante (fig. 5.4); le (5.22, 5.23) diventano:
∂η
∂U
= −h
,
(5.25)
∂t
∂x
∂U
∂η
= −g
− kU + X ; (5.26)
∂t
∂x
le condizioni al contorno sono:
U(0,t) = U(A,t) = 0 .
(5.27)
In assenza di forze (X=0) la
Fig. 5.4.- Sesse longitudinali in un bacino chiuso.
soluzione generale delle (5.25,
5.26) è data dalla combinazione lineare di onde stazionarie:
53
N
η0 = ∑ ηn ,
n =1
N
U 0 =∑U n
,
ηn ( x , t ) = ε n cos(κ n x ) cos(σ n t + τ n ) e − k t / 2 ,
Un ( x ,t ) =
le notazioni sono:
c0
ε n sen(κ n x ) sen(σ n t + τ n + δ n ) e − k t / 2 ;
h
(5.29)
(5.30)
εn
ampiezza,
c0 = gh
κ n = nπ / A
velocità di fase dell’onda lunga,
σ n = c02κ n2 − (k / 2)2
Ln = 2π / κ n = 2 A / n
Tn = 2π / σ n
τn
δ n = arctg (k 2σ n )
Fig. 5.5.- Evoluzione temporale del livello con e
senza smorzamento.
Fig. 5.6.- Sezione longitudinale delle
prime tre sesse.
54
(5.28)
n =1
numero d’onda,
frequenza angolare,
lunghezza d’onda,
periodo,
fase iniziale dell’onda n,
sfasamento.
(5.31)
La soluzione può essere verificata
sostituendo le (5.29, 5.30) nelle (5.25,
5.26). Considerata la linearità delle
equazioni, il moto più generale del bacino
in esame, in assenza di forze, consiste
quindi in una sovrapposizione di sesse di
periodo Tn (n=1,2,3, …) di diversa
ampiezza e fase. La possibilità per la
lunghezza d’onda e di conseguenza per il
periodo di assumere solamente valori
discreti è una conseguenza delle
condizioni al contorno (5.26): queste sono
soddisfatte per x=0, mentre all’estremità
x=A del bacino deve essere sen(κ n A ) = 0
ossia κ n A = nπ . La lunghezza d’onda
della sessa fondamentale (n=1) è quindi
pari al doppio della lunghezza del bacino.
L’attrito di fondo ha un duplice effetto: (a)
ridurre
l’ampiezza
della
sessa
esponenzialmente nel tempo con il
coefficiente di smorzamento k/2 (fig. 5.5),
e (b) sfasare di δ n la velocità, in modo che
il livello risulta un po’ ritardato rispetto
ad essa. Il numero N di sesse, infinito dal
punto di vista matematico, è limitato in
questo modello dalla necessità che l’onda
rimanga lunga (2A/N »h, N«2A/h); in
natura l’ampiezza decresce rapidamente
con n, in modo che sesse di ordine
superiore a tre non sono in genere
osservabili. Il profilo longitudinale del
livello e della corrente orizzontale
assunto dalle prime tre sesse in un bacino chiuso è illustrato nella fig. 5.6. La
velocità deve avere sempre un nodo agli estremi del bacino; in generale, la sessa di
ordine n presenta n nodi di livello ed n ventri di velocità, n+1 nodi di velocità ed n+1
ventri di livello. Per quanto riguarda l’evoluzione temporale, allo spostamento
massimo del livello corrisponde la minima corrente orizzontale (nulla se l’attrito è
nullo), mentre la corrente è prossima ai suoi valori massimi quando la superficie è
orizzontale; il trasporto orizzontale è sempre diretto concordemente all’aumento del
livello.
Una superficie piana può essere ottenuta, per il teorema di Fourier, con
un’opportuna combinazione di sesse: la conseguente oscillazione è paragonabile a
quella di una tavola che altalena attorno ad un perno centrale.
E’ interessante esaminare una caratteristica delle sesse nel caso di attrito nullo.
Per k = 0 la velocità angolare diventa σ n = c0κ n = nπ gh A ed il periodo
1 2A
.
(5.32)
Tn =
n gh
La (5.32), nota come formula di Merian, stabilisce che il periodo dell’onda
stazionaria fondamentale tra due sponde di un bacino è pari al tempo che impiega
un’onda (lunga) progressiva, che viaggia con la velocità di fase c0, a percorrere
andata e ritorno la distanza tra di esse. In effetti la formula di Merian può essere
ricavata direttamente, ricordando l’equivalenza tra onde progressive e stazionarie
(4.10).
In un mare adiacente la condizione al contorno normalmente imposta è che il
livello sia nullo lungo il confine aperto del bacino. La formula di Merian può essere
ancora usata in questo caso, considerando il bacino aperto come la metà di un
bacino chiuso, per cui il suo periodo fondamentale diventa T = 4A/c0 .
Le equazioni per le onde lunghe omogenee (forza esterna nulla) possono essere
risolte per via analitica anche nel caso di bacini dalla forma più complessa: bacini
unidimensionali con profondità variabile linearmente o a gradini; bacini
bidimensionali rettangolari, circolari, ellittici con profondità costante oppure a
conca sferica o parabolica. In tutti questi casi si trova che la soluzione rappresenta
una sovrapposizione di onde stazionarie, date da funzioni sinusoidali o da altre
funzioni periodiche (ad esempio di Bessel), e che i periodi sono sempre fissati dalla
geometria. Nel caso di un bacino reale, di geometria complessa ed in rotazione, non
è possibile trovare la soluzione per via analitica e bisogna fare ricorso a metodi di
calcolo numerico. Comunque, per analogia con i casi conosciuti, si può dedurre che
sesse di periodo fisso esistono per ogni bacino reale: cosa che è in acordo con
l’esperienza. Inoltre, fissate due sponde opposte e la profondità media tra di esse, la
formula di Merian (5.32) costituisce sempre un’ottima approssimazione per il calcolo
del periodo di oscillazione.
6. Effetti di una forza esterna
Per studiare gli effetti di una forza esterna su di un bacino bisogna considerare le
equazioni di “storm surge” (5.22, 5.23). L’effetto sarà indipendente dal “tipo” della
forza orizzontale, sia essa dovuta al vento o alle differenze della pressione
atmosferica sulla superficie (5.24), oppure all’azione lunisolare sull’intera colonna
d’acqua.
La soluzione completa è del tipo:
η = η0 + η X ,
U = U0 + UX ,
(5.33)
consistente nella combinazione (η0, U0) delle sesse proprie del bacino più una
55
soluzione (integrale particolare)
(η X, UX) caratteristica della forza
agente. Nel caso di una forza
stazionaria, dopo un certo tempo si
instaura nel bacino una situazione
di equilibrio, anch’essa stazionaria.
Se ci limitiamo al caso precedente
unidimensionale
(5.25,
5.26),
ponendo ( ∂ ∂t = 0) , le equazioni di
storm surge si riducono a
∂U
=0 ,
(5.34)
∂x
∂η
g
= X − kU .
(5.35)
Fig. 5.7.- Ingorgo (“surge”) in un bacino chiuso
∂x
(sopra) e aperto (sotto).
La (5.34) indica che la velocità
U(x)=cost=U(A)=0 deve essere uniforme, ed in particolare nulla per le condizioni al
contorno. Dalla (5.35) segue dunque che, sotto l’azione di una forza costante X0, la
superficie del bacino assume, all’equilibrio, la forma di un piano inclinato con una
pendenza uguale al rapporto tra la forza specifica e la gravità:
x
1
X
η ( x ) = ∫ X 0 dx = 0 x + η (0) .
(5.36)
g0
g
Nel caso di un bacino chiuso (fig. 5.7) il valore di η(0) è definito dalla conservazione
del volume, per cui al centro del bacino η(A/2)=0 e η(0)=−AX0/2g. Nel caso di un
bacino aperto si può definire η(0)=0, nell’ipotesi che il bacino esterno abbia una
“capacità infinita”, ovvero che sia capace di scambiare acqua senza subire variazioni
di livello.
Secondo la (5.24) l’azione della pressione atmosferica sul bacino è indipendente
dalla profondità, mentre l’azione del vento è inversamente proporzionale ad essa.
Per comprendere meglio gli effetti della batimetria, consideriamo un caso tipico: il
fondale sale (per semplicità, linearmente) dalla profondità h0 del confine aperto ad
un valore basso (hA) presso
l’estremità chiusa
h(x) = h0 − m x ,
m = (h0 − hΑ)/A ,
(5.37)
ed il vento spira con velocità
costante W0 verso la costa (fig.
5.8),
X0 =
γ
W02 .
(5.38)
h
Per la (5.36) avremo dunque
h
γ
; (5.39)
W02 ln 0
η(x ) =
mg
h( x )
Fig. 5.8.- Accumulo prodotto da un vento costante in un
bacino aperto con profondità decrescente.
l’innalzamento η(A) presso la costa
sottovento risulta amplificato in
funzione del rapporto h0/hA, ovvero lo stesso accumulo costiero è ottenuto con un
minor apporto di acqua nel bacino. Questo “effetto amplificatore dell’acqua bassa”
agisce anche dinamicamente nella propagazione delle onde lunghe, quali le sesse e
le onde di marea.
56
Il caso stazionario rappresenta un limite teorico: in presenza di una forza
costante, il bacino raggiunge l’equilibrio dopo un tempo infinito. Da un punto di
vista pratico, tempo “infinito” vuol dire lungo abbastanza perchè l’ampiezza delle
sesse si sia ridotta, per attrito, ad un valore trascurabile. Se la forza varia nel
tempo, il bacino cerca continuamente di adeguarsi alla nuova condizione di
equilibrio, alla quale si avvicina tanto più quanto la variazione, riferita al periodo
fondamentale di oscillazione, è “lenta”. Il passaggio da una condizione di equilibrio
ad un’altra avviene attraverso una combinazione di sesse smorzate; l’ampiezza di
queste è tanto maggiore quanto più è brusco il cambiamento della forza applicata
sul bacino.
7. Esempi
Proviamo ad usare la formula di Merian per stimare i periodi di oscillazione di
alcuni bacini (a,b,c).
(a) Mare Adriatico. Il periodo fondamentale è quello della prima sessa
longitudinale: il bacino è aperto ad Otranto, sede di una linea nodale di livello.
Approssimando la lunghezza con A=800 km e la profondità media con h=200 m, la
velocità dell’onda lunga è c0=44.3 m/s e T = 4A/c0= 20.1 h; le sesse successive
hanno i periodi T/2=10.0 h e T/3 = 6.7 h. I corrispondenti periodi effettivamente
osservati sono di 21.5, 11.0 e 7.1 h: L’approssimazione è buona, soprattutto
considerando che la batimetria dell’Adriatico è estremamente differenziata.
Supponendo che la sessa abbia un’ampiezza ε = 50 cm, con la (5.30) possiamo
calcolare per la velocità un’ampiezza pari a ε c0/h = 11 cm/s: questo valore
rappresenta una stima dell’intensità massima della corrente.
(b) Golfo di Trieste. Il periodo di oscillazione trasversale (5.32; n=1) del Golfo tra
la costa SE (da Punta Salvore a Trieste) e la costa NW (da Grado a Monfalcone)
distanti 22 km, con una profondità media di 17 m e c0=12.9 m/s è di 57 min,
praticamente uguale a quello osservato.
(c) Oceano. Ad una profondità di 5000 m
corrisponde una velocità dell’onda lunga (per
inciso, la velocità alla quale viaggiano gli
“tsunami”) di 220 m/s = 800 km/h; una
eventuale sessa tra due sponde distanti 5000
km avrebbe un periodo di 12.5 h.
Effetti del vento e della pressione
atmosferica. Calcoliamo ora l’accumulo η(A)
prodotto nell’Adriatico settentrionale da un
vento meridionale. Sia il bacino aperto in x =
0, con A=800 km; consideriamo due modelli di
profondità: (a) costante, h=200 m e (b)
linearmente variabile da h(0)=1000 m a
h(A)=20 m. L’accumulo risulta proporzionale a
W 2 (5.36; 5.38, 5.39); il fondale decrescente
produce effetti molto più vistosi (fig. 5.9).
La forza atmosferica (5.24) sul bacino è
originata dalle perturbazioni in transito; sono
evidenziati due termini, di intensità
Fig. 5.9.- Elevazione all’estremità chiusa
γ
1
FW = W 2 ,
Fp = ∇p0 .
(5.40)
in funzione della velocità del vento con
ρ
h
profondità costante (a) e lineare (b).
Normalmente la velocità del vento si calcola
57
con la formula geostrofica (3.8)
W=
1
ρa f
∇p0 , in funzione del gradiente della
pressione atmosferica, della densità dell’aria (ρa ≈1.2 kg/m3) e del parametro di
Coriolis; con f(45°) = 1.031×10−4 s−1 il rapporto
∇p0
γρ
FW
=
∇p0 = α
,
(5.41)
2
F p h( ρ a f )
h
con α = 2.14×105 m3s2/kg, dipende dalla profondità del bacino, oltre che
dall’intensità della perturbazione. Ad esempio se ∇p0 = 2 hPa /(100 km ) = 2×10−3
Pa/m
FW
=
Fp
428 m
h
;
(5.42)
in questo caso la profondità di circa 400 m segna un limite: in acque più basse
prevale l’effetto del vento, a profondità maggiori quello della pressione atmosferica.
58
6. LA MAREA ASTRONOMICA
1. La forza di marea
Durante la trasformazione dell’equazione di Newton da un sistema di riferimento
inerziale ad uno terrestre, passando per successive rotazioni di periodo annuale,
mensile e diurno, è stato individuato un campo di forza, detto marea lunisolare,
definito come la somma del campo gravitazionale del Sole e della Luna con le forze
centrifughe proprie dei corrispondenti moti orbitali (2.42, 2.43). Un corpo celeste è
soggetto quindi ad una forza di
marea causata da altri corpi
presenti nello spazio; vediamo di
dedurne le proprietà.
Per semplificare il problema
consideriamo due soli corpi
celesti, di massa M (e baricentro
O) ed m, tali da costituire un
sistema legato: sia cioè costante
la distanza d tra i rispettivi
baricentri. In un sistema di
riferimento inerziale, d può
rimanere invariata a condizione
che la forza di attrazione
gravitazionale
mM
FG = G 2
(6.1)
d
Fig. 6.1.- Rivoluzione di due corpi celesti attorno al
sia bilanciata, nel centro di
baricentro del sistema O’.
massa di ciascun corpo, da una
forza uguale e contraria: ne consegue che i due corpi devono necessariamente
ruotare attorno al comune baricentro O’ (che assimiliamo ad un punto fisso in un
sistema inerziale), con i raggi di rotazione definiti da
MR = m (d−R) ,
(6.2)
dove R = OO' , e la velocità angolare ω è tale da sviluppare una forza centrifuga
FC = M ω2R = m ω2(d−R) = FG .
(6.3)
Ai fini della dinamica celeste il corpo di volume V e di massa M si comporta come se
questa fosse tutta concentrata nel suo baricentro, dove vale l’equilibrio (6.3); nei
punti di V diversi da O la somma FM della forza gravitazionale FG e di quella
centrifuga FC risulta però non nulla, e viene chiamata forza di marea astronomica.
Il volume V mantiene inalterato il suo orientamento nello spazio inerziale, vale a
dire che ogni vettore da O ad un generico punto P si mantiene parallelo nel corso
della rotazione del sistema, che per tale motivo è detta rivoluzione (fig. 6.1).
L’eventuale rotazione del corpo immerso nello spazio V attorno ad un suo proprio
asse comunque orientato non è rilevante ai fini di questo modello.
Nel moto di rivoluzione ogni punto P ha un suo proprio centro di rotazione P’, tale
che OO’P’P è un parallelogramma, e quindi ha un raggio di rotazione R parallelo ed
uguale a quello del baricentro O. Il campo della forza centrifuga specifica è quindi
rappresentato da un vettore costante (fig. 6.2) di modulo (6.3, 6.1):
fC = ω 2R = Gm/d2 .
(6.4)
59
Il
campo
della
forza
gravitazionale specifica è invece
funzione del punto P : è sempre
diretto verso l’astro di massa m,
dal quale dista a, ed il suo
modulo fG = Gm/a2 (fig. 6.3).
Il compito a questo punto è di
Fig. 6.2.- Il campo della forza centrifuga del moto di
calcolare il campo vettoriale della
rivoluzione è costante.
forza di marea specifica
(6.5)
fM = fC + fG
nello spazio V in funzione delle
caratteristiche (massa e posizione
relativa) del secondo astro. E’
conveniente adottare un sistema
di coordinate con origine nel
centro di massa O, l’asse x che
Fig. 6.3.- Il campo della forza gravitazionale dipende
punta verso l’astro m e l’asse y
dalla posizione.
sul piano della rivoluzione (fig.
6.4). Nel punto P = (x,y)= (r cos ϑ ,
r sen ϑ ) la posizione di m è
individuata dalla distanza d e
dall’ angolo zenitale baricentrico
ϑ ; è quindi opportuno esprimere
la forza di marea come fM(d, ϑ ).
Scrivendo pertanto i vettori per
componenti, abbiamo:
 Gm 
fC = − 2 , 0 ,
 d

Gm
Gm

fG =  2 cos α , − 2 sen α  ,
a
a

Fig. 6.4.- Sistema di riferimento (O,x,y) sul piano della
rivoluzione per il calcolo della forza di marea.
sen α 
 cos α 1
fM = Gm 2 − 2 , −
 .(6.6)
d
a2 
 a
Il raggio r è molto minore di d, per cui l’angolo di parallasse α ≅ 0 e possiamo
approssimare cos a ≅ 1; inoltre sen a = y/a . Per il teorema di Euclide
a2 = d2 + r2 − 2dx = d2 (1 − 2x/d + (r/d)2 ) ≅ d2 (1 − 2x/d) ,
(6.7)
−2
−2
−1
−2
a ≅ d (1 − 2x/d)
≅ d (1 + 2x/d) ,
−2
−2
a − d = 2 x/d3 .
(6.8)
La forza di marea (6.6), usando la (6.8) e ponendo a = d nella componente y diventa:
1
y
y
1
 2x
fM ≅ Gm  2 − 2 , − 3  ≅ Gm  3 , − 3  = {2C cos ϑ , − C sen ϑ} , (6.9)
d
d 
d 
a
d
m
dove si è posto
C =G r 3 .
(6.10)
d
La forza di marea fM(r, ϑ ;m,d) dipende quindi dalla posizione del punto P(r, ϑ ) nel
volume V relativa alla direzione dell’astro (ovvero dalla sua altezza z sul piano di
riferimento r0, r = r0+z, e dall’angolo zenitale ϑ ) e dalle caratteristiche (massa e
distanza) dell’astro stesso. Per r = 0, si ha che C = 0: la forza di marea è nulla nel
centro di massa O, come richiesto dall’ipotesi di partenza. Da notare che fM ~m/d3,
60
Fig. 6.5.- Deformazione di una sfera omogenea in un ellissoide di rotazione attorno all’asse x per
azione del campo di forza della marea astronomica (sezione sul piano meridiano di M).
ovvero decresce molto più rapidamente con la distanza rispetto all’attrazione
gravitazionale fG ~m/d2. La costante di gravitazione universale è
G = (6.67259 ± 0.00085) ×10−11 N.m2.kg−2 .
(6.11)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Terra
Luna
Sole
Venere
Giove
Marte
Mercurio
Saturno
Urano
Nettuno
m /kg
d /m
C/CL
5.9742×1024
7.3477×1022
1.9891×1030
4.8685×1024
1.8990×1027
6.4185×1023
3.3020×1023
5.6846×1026
8.6832×1025
1.0243×1026
3.844×108
1.496×1011
4.139×1010
6.288×1011
7.834×1010
9.169×1010
1.277×1012
2.721×1012
4.349×1012
1
4.59×10−1
5.31×10−5
5.90×10−6
1.03×10−6
3.31×10−7
2.11×10−7
3.33×10−9
9.63×10−10
Tab. 6.1.- Forze di marea sulla Terra
(CL =5.50×10−7 m/s2).
d /(109 m)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Giove
Venere
Terra
Mercurio
Saturno
Marte
Luna
Urano
Nettuno
778
108
150
58
1427
228
150
2871
4498
fM /(m/s2)
1.8698×10−10
1.7845×10−10
8.2872×10−11
7.8966×10−11
9.0904×10−12
2.5171×10−12
1.0192×10−12
1.7041×10−13
5.2264×10−14
Tab. 6.2.- Forze di marea sul Sole.
periodo /a
11.86
0.62
1.00
0.24
29.45
1.88
1.00
84.07
164.88
Le componenti della forza di
marea (6.9) sul piano (O,x,y)
soddisfano
all’equazione
di
un’ellisse di semiassi 2C, C:
2
2
fMy
fMx
+
=1
(6.12)
4C 2 C 2
Il campo tridimensionale della
forza specifica di marea si ottiene
ruotando l’ellisse di forza (6.12)
attorno all’asse x congiungente i
due astri. Il vettore fM (6.9) forma
con x un angolo ϕ tale che
f
1
tan ϕ = My = − tan ϑ . (6.13)
fMx
2
La forza di marea deformerebbe
un corpo celeste sferico elastico
ed omogeneo in un ellissoide di
rotazione con l’asse maggiore
diretto verso l’astro m (fig. 6.5).
Il campo è simmetrico rispetto al
piano per O normale ad x : vale a
dire che l’effetto su M è il
medesimo sia che m abbia
ascissa d oppure −d.
61
Supponiamo ora che M
rappresenti il pianeta Terra:
cerchiamo di valutare con la
(6.10) l’intensità della forza di
marea associata agli altri
corpi del sistema solare. Le
masse e le distanze medie
dalla Terra per il Sole, la Luna
ed i sette pianeti sono
riportate nella tab. 6.1.
Prevale la marea lunare, per
la quale CL = 5.50×10−7 m/s2 al
livello del mare (r = 6373 km);
segue la marea solare con
un’intensità pari al 46% della
Fig. 6.6.- Forza di marea esercitata dai corpi del sistema
precedente. Gli altri pianeti
solare sulla Terra (in rapporto alla Luna) e sul Sole.
esercitano una forza specifica
di marea inferiore di 4 ordini
di grandezza o più, per cui il loro effetto sulla Terra è trascurabile (fig. 6.6): è quindi
corretto, per il nostro pianeta, parlare di marea astronomica o lunisolare
indifferentemente. Per curiosità, la forza specifica di marea esercitata dalla Terra
sulla superficie lunare (r = 1737 km) è CT = GrM/d3 = 1.22×10−5 m/s2 = 22.2 CL: la
Luna è sollecitata dalla Terra in maniera di gran lunga maggiore di quanto essa
non solleciti il nostro pianeta. Il baricentro Terra-Luna dista dal centro della Terra
da 0.692 a 0.773 raggi terrestri; il baricentro Terra-Sole dista dal centro del Sole
(6.46 ± 0.22)×10−4 raggi solari. Possiamo anche calcolare la forza specifica di marea
sulla superficie del Sole (r = 6.96×105 km) ad opera dei pianeti: i risultati sono
riportati nella tab. 6.2 e nella fig. 6.6. Le sollecitazioni più importanti sono quelle
del pianeta gigante Giove e di Venere, seguite dalla Terra e Mercurio, circa la metà
dei precedenti; gli altri pianeti si collocano due o più ordini di grandezza al di sotto;
notiamo che il periodo principale del campo di forza di marea sul Sole è quello
orbitale di Giove (11.86 a), prossimo al periodo delle “macchie solari”.
La formulazione del campo di forza mareale (6.9) è anche nota come teoria statica
della marea. Anche se questa è stata derivata considerando la distanza Terra-astro
costante, possiamo poi permettere alla posizione relativa (d, ϑ ) della Luna e del
Sole di variare lentamente nel tempo, con i corrispondenti periodi mensile ed
annuale. Inoltre, il campo di forza è definito sul volume in rivoluzione V, rispetto al
quale la Terra reale ruota attorno al suo asse, inclinato rispetto al piano orbitale (ad
esempio, di 23.5° sull’eclittica): la fig. 6.5 rappresenta la situazione in sezione sul
piano assiale (meridiano). Perciò il punto terrestre fisso P, ruotando, viene a
trovarsi una volta al giorno lunare nella stesso punto dell’ellissoide di forza della
marea lunare, una volta al giorno solare nella stesso punto dell’ellissoide di forza
della marea solare: le corrispondenti forze di marea hanno quindi una componente
quasi diurna; per la simmetria degli ellissoidi si hanno inoltre anche delle
componenti di tipo semidiurno. Gli assi principali dei campi di forza puntano
sempre uno verso la Luna, l’altro verso il Sole, e quindi ruotano nello spazio
inerziale con periodo mensile ed annuale. La forza specifica lunisolare di marea fM =
fL + fS (2.45) è la somma dei due campi; le intensità maggiori si avranno quando
Terra, Luna e Sole sono comunque allineati (sizigie: fasi di Luna nuova o Luna
Piena), quelle minori quando le congiungenti Terra-Luna e Terra-Sole sono
62
Fig. 6.7.- Fasi della Luna; gli ellissoidi delle
forza di marea lunare e solare puntano l’asse
maggiore sul loro astro.
Fig. 6.8.- Componenti locali orizzontale e
verticale della marea astronomica in funzione
dell’angolo zenitale geocentrico.
perpendicolari (quadrature: primo ed
ultimo quarto di Luna; fig. 6.7).
L’allineamento sizigiale “esatto” avviene
solamente durante le eclissi, quando la
Luna si trova sul piano dell’eclittica.
La forza di marea lunisolare è una
forza di volume che permea tutta la
Terra:
nucleo,
mantello, litosfera,
oceano, atmosfera. La parte solida
subisce delle periodiche deformazioni,
quella fluida risponde secondo le leggi
del moto sue proprie, descritte dalle
equazioni per le onde lunghe (o tidal
equations, 5.22, 5.23). Ricordiamo che
l’equazione di Newton verticalmente
integrata (5.23) si riferisce al moto sul
piano orizzontale, che le variazioni
spaziali del livello del mare η sono
associate alle forze orizzontali e quelle
nel tempo alla divergenza del trasporto
orizzontale (5.22); l’equazione verticale
del moto è stata ridotta all’equazione
idrostatica (5.5), nella quale il gradiente
verticale
della
pressione
bilancia
l’accelerazione di gravità, alla quale
possiamo ora sommare la componente
verticale di fM.
Le componenti orizzontale e verticale
della forza (specifica) di marea in P (assi
h e z nella fig. 6.4), si ricavano dalle
componenti x,y con una rotazione degli
assi pari all’angolo ϑ :
fMh = fMx sen ϑ − fMy cos ϑ ,
(6.14)
fMz = fMx cos ϑ + fMy sen ϑ
.
(6.15)
sostituendo le (6.9) si ottengono:
3
fMh =
C sen 2ϑ ,
(6.16)
2
1

fMz = 3 C  cos2 ϑ −  , (6.17)
3

rappresentate nella fig. 6.8 in funzione
dell’angolo zenitale geocentrico, da
ϑ = 0° (astro allo zenith) a ϑ = 90°
(astro all’orizzonte). Il coefficiente C
(6.10) nelle (6.16, 6.17) dipende dalla
profondità z (≤ 0) tramite r = r0+z. La
componente orizzontale (6.16) raggiunge
il suo valore massimo di 1.5 C (8.25×10−7
e 3.79×10−7 m/s2 per la Luna e per il Sole
rispettivamente) quando l’astro è a 45°;
63
di debole intensità, risulta comunque efficace nel moto orizzontale: l’effetto
lunisolare complessivo al massimo uguaglia quello di un vento di 9 m/s su di un
fondale di 200 m. Il vettore FM nella (5.23) ha come modulo la media verticale di fMh .
La componente verticale (6.17) è massima (2C ) con l’astro allo zenith, minima (−C )
con l’astro sull’orizzonte: l’effetto lunisolare complessivo ha quindi un’intensità
minore di 1.64×10−7 g, quanto basta per dover essere considerato nelle misure
gravimetriche di precisione, ma insufficiente ad alterare l’equilibrio verticale
idrostatico.
Possiamo stimare gli effetti della forza specifica orizzontale della marea lunare
sul livello del mare con l’equilibrio stazionario (5.36), usando un valore medio (6.16)
FL ≅ CL . La superficie marina assumerà quindi una pendenza ∂η ∂x = CL/g =
5.5×10−8 che corrisponde, per esempio, ad un dislivello di 5.5 cm su 1000 km. La
marea solare causa, nelle stesse condizioni e sulla medesima distanza, un dislivello
di 2.5 cm. Questi valori ci fanno capire che la marea astronomica è di norma
osservabile solo nei bacini di grandi dimensioni. Le ampie escursioni di marea,
dell’ordine di metri, che si verificano in particolari zone degli oceani, non possono
essere spiegate con una semplice teoria stazionaria: bisogna integrare le equazioni
del moto considerando la reale geometria del bacino. La convergenza delle coste e la
diminuzione del fondale in particolare, e condizioni di risonanza, possono
amplificare di molto l’ampiezza delle onde lunghe di marea.
2. Analisi armonica della forza marea
La marea astronomica negli oceani è un’onda lunga associata ai campi di forza
orizzontale della Luna e del Sole (6.16); i coefficienti C (6.10) dipendono dalla massa
m e dalla posizione (distanza d(t) e angolo zenitale ϑ (t)) del corrispondente astro
rispetto al centro della Terra. E’ necessario descrivere i moti del Sole e della Luna
relativamente al punto P in rotazione sulla Terra: l’intero procedimento è ben
riportato, ad esempio, da Schureman (1958), il quale mostra come le componenti
(6.16, 6.17) della forza specifica di marea astronomica possono essere rappresentate
mediante sviluppi in serie di m onde sinusoidali del tipo
m
FM ( P , t ) = ∑ fi Ai ( P ) cos (Vi (t ) + ui (t ))
(6.18)
i =1
dette maree costituenti o componenti (armoniche) di marea. L’ampiezza media Ai di
ciascuna componente armonica è modulata dal cosiddetto fattore nodale fi.
L’argomento della
funzione coseno è per
comodità diviso in due
parti, V ed u. V(t;s,h,p)
è funzione del tempo t
sia direttamente che
tramite la longitudine
media s della Luna, h
del Sole, e p del
perigeo solare; u(ξ,ν)
varia lentamente nel
tempo con il periodo
nodale. La longitudine
di un astro è l’angolo
Fig. 6.9.- Orbite della Luna e del Sole riferite al sistema geocentrico
geocentrico sul piano
equatoriale. I nodi ascendenti solare (punto γ “di Ariete”, origine della
longitudine sull’eclittica) ed il nodo lunare Ω hanno moto retrogrado.
64
dell’eclittica dal punto “di Ariete” γ (equinozio di primavera), positivo ad est (fig.
6.9). Luna e Sole ruotano in senso antiorario; i rispettivi nodi si spostano
sull’eclittica in senso orario: i nodi lunari “regrediscono” con un periodo pari a 18.61
a (periodo nodale), i nodi solari “precedono” con un periodo di 209 secoli. Alla
precessione degli equinozi corrisponde una rotazione dell’asse terrestre, che spazza
in senso orario la superficie di un cono geocentrico di apertura ± ω attorno all’asse
dell’eclittica; il polo nord celeste, visto dalla Terra, percorre in senso antiorario un
circolo di raggio ω che passa in prossimità dell’attuale “stella polare” (α Ursae
Minoris). I periodi astronomici di principale interesse sono riportati nella tab. 6.3.
giorno
sidereo
comune
lunare
mese lunare
riferimento
nodico
nodo lunare ascendente
tropico
nodo solare ascendente
anomalistico
perigeo lunare
sinodico
Sole
evezionale
(eccentricità)
anno solare
riferimento
delle eclissi
nodo lunare ascendente
tropico
nodo solare ascendente
sidereo
anomalistico
perigeo solare
comune
medio Gregoriano
medio Giuliano
simbolo SI: a
altri periodi
periodo evezionale della parallasse lunare
rivoluzione del perigeo lunare
rivoluzione del nodo lunare
rivoluzione del perigeo solare
Ω
γ
Ω
γ
periodo
360°/(360°+h)
simbolo SI: d
360°/(360°+h−s)
periodo
360°/(s−N)
360°/s
360°/(s−p)
360°/(s−h)
360°/(s−2h+p)
periodo
360°/(h−N)
360°/h
360°/(h−p1)
periodo
360°/(h−p)
360°/p
360°/N
360°/p1
periodo /h
23.93448
24
24.84120
periodo /d
27.212220
27.321582
27.554550
29.530588
31.811939
periodo /d
346.6200
365.2421988
365.2563604
365.2596413
365
365.2425
365.25
periodo
411.7847 d
8.85
a
18.61 a
20900
a
Tab. 6.3.- Periodi astronomici rilevanti.
In generale
V(t) = is + jh + kp + nτ :
(6.19)
gli argomenti V sono cioè combinazioni lineari con coefficienti interi (i, j, k =0, ±1,
±2, ±3, ...) delle longitudini medie s, h, p (tab. 6.4) e dell’angolo orario del Sole τ =
15° t/h + 180°; (t è il tempo di Greenwich); n = 0 per le componenti a lungo periodo
ed n = 0, 1, 2, 3, ... per quelle di periodo prossimo a 24/n h (diurne, semidiurne,
terdiurne ecc.). Gli argomenti u sono funzione degli elementi dell’orbita lunare
ξ,ν, ... (tab. 6.4) e variano lentamente con il periodo nodale; u = 0 per le componenti
solari di marea. Per semplificare i calcoli dell’argomento (6.19) si usa la sua
approssimazione lineare
V(t) = V(0) + σ t ,
(6.20)
che parte da un valore iniziale calcolato per t = 0 e procede con la velocità angolare
ds
dh
dp
σ =i + j
+k
+ n × 15 ° / h .
(6.21)
dt
dt
dt
Gli incrementi orari delle longitudini nella (6.21) si ricavano dalla tab. 6.4; per il
2000 (T=1) risulta che ds/dt = 0.549 016 538, dh/dt = 0.041 068 640 e dp/dt =0.004 641 811
°/h. Le σ sono quasi costanti e caratteristiche di ciascuna componente (i,j,k,n) di
marea. Schureman (1958) elenca e definisce gli argomenti di 128 componenti
armoniche lunari e solari, diurne e semidiurne, e di 22 componenti di “acqua bassa”
65
(a) Costanti
c=
3.844 03 ×108 m
c1 = 1.495 042 01 ×1011 m
S/E = 332 488 ± 43
M/E = 12 289 ± 4 ×10−6 = 1/ 81.37
S/M = 2.705 455 ×107
S ’ = (c/c1)3 S/M = 0.459 875 64
e = 0.054 900 56
i = 5.145 376 28°
distanza media Terra-Luna
distanza media Terra-Sole
rapporto di massa Sole/Terra
rapporto di massa Luna/Terra
rapporto di massa Sole/Luna
fattore solare
eccentricità dell’orbita lunare
inclinazione dell’orbita lunare sull’eclittica
(1)
(1)
(2)
(2)
(2)
(3)
(b) Parametri dipendenti dal tempo
n
e1 = 0.016 751 04 − 4.180
×10−7n − 1.26 ×10−11n2
ω = 23.452 294° − 1.301 11°×10−4 n
tempo in anni dal 1900
eccentricità dell’orbita terrestre
obliquità dell’eclittica
(2)
(1)
(c) Coefficienti ausiliari funzione del tempo
A = S ’ (1+ 3/2 e12)/(1+3/2 e2)
A1 = cosi cosω
A2 = seni senω
A3 = cos[(ω − i)/2]/cos[(ω + i)/2]
A4 = sen[(ω − i)/2]/sen[(ω + i)/2]
A5 = A sen 2ω
A6 = A sen2 ω
B1 = [cos (ω/2) cos (i/2)]−4
B2 = [A5 + (1 − 3/2 sin2 i) sen 2ω]−2
B3 = [A6 + (1 − 3/2 sin2 i) sen2 ω]−2
B4 = [senω cos2 (ω/2) cos4 (i/2)]−1
B5 = 2 A5 B2
B6 = 2 A6 B3
B7 = [1 + (1 − 3/2 sin2 i)/A]−2 = A52 B2 = A62 B3
(c) Longitudini (3)
T tempo in secoli giuliani (36525 d) dal mezzogiorno di Greenwich del 31 dicembre 1899
h = 279.696 678° + 36 000.768 925° T + 3.025° ×10−4 T 2
longitudine media del Sole
longitudine media della Luna
s = 270.437 422° + 481 267.892 000° T + 2.525° ×10−3 T 2 + 1.89°×10−6 T 3
p = 334.328 019° + 4 069.032 206° T − 1.034 4° ×10−2 T 2 − 1.25°×10−5 T 3
longitudine del perigeo lunare
p1 = 281.220 833° +
1.719 175° T + 4.528° ×10−4 T 2 + 3.33°×10−6 T 3
longitudine del perigeo solare
N = 259.182 533° − 1 934.142 397° T + 2.106° ×10−3 T 2 + 2.22°×10−6 T 3
longitudine del nodo lunare
(e) Elementi dell’orbita lunare funzione del tempo (3)
I = arc cos(A1 − A2 cos N)
C = arc tan[A3 tan (N/2)]
ν = C − arc tan[A4 tan (N/2)]
ν ’ = arc tan[(sen 2I senν )/(A5 + sen 2I cosν )]
2ν ” = arc tan[(sen2 I sen 2ν )/(A6 + sen2 I cos 2ν )]
ξ=N+ν −2C
obliquità dell’orbita lunare rispetto all’equatore terrestre
ascensione retta dell’intersezione lunare
termine ausiliario per K1
termine ausiliario per K2
longitudine dell’intersezione lunare nell’orbita della Luna
(1) American Ephemeris and Nautical Almanac
(2) Smithsonian Physical Tables
(3) Schureman (1958)
Tab. 6.4.- Elementi per il calcolo delle componenti armoniche di marea.
componente
M2
S2
N2
K2
K1
O1
P1
lunare semidiurna
principale
solare semidiurna
principale
lunare semidiurna
ellittica maggiore
lunisolare declinazione
semidiurna
lunisolare declinazione
diurna
lunare diurna
principale
solare diurna
principale
(1)
(2)
f
B1 cos (I 2)
4
1
B1 cos4 (I 2)
V(t)
2τ
2τ − 3s + 2h + p
B3 sen 4 I + B6 sen 2 I cos 2ν + B7 2τ
B2 sen 2 2 I + B5 sen 2 I cosν + B7
B4 sen I cos 2 (I 2)
1
(1)
2τ − 2s + 2h
τ
+ 2h
+ h − 90°
τ − 2s + h + 90°
τ
− h + 90°
u
σ(T),
(periodo)
(2)
2ξ − 2ν 28.984 104 214 − 10.14 ×10−9T
(12.420 601 220 h)
30 °/h
0
(12 h)
2ξ − 2ν 28.439 729 516 −28.16 ×10−9T
(12.658 348 250 h)
−2ν ” 30.082 137 278 + 1.38 ×10−9T
(11.967 234 797 h)
15.041 068 639 + 0.69 ×10−9T
−ν ’
(23.934 469 592 h)
2ξ − ν 13.943 035 575 − 10.84 ×10−9T
(25.819 341 731 h)
14.958 931 361 − 0.69 ×10−9T
0
(24.065 890 225 h)
τ = 15° t/h + 180° angolo orario del Sole; t tempo di Greenwich
sono inclusi in σ i termini in T 2 calcolati per T = 1 (anno 2000); periodo nell’anno 2000.
Tab. 6.5.- Definizione del fattore nodale f, degli argomenti V, u e delle velocità angolari σ per le
principali componenti armoniche della marea astronomica.
66
°/h
°/h
°/h
°/h
°/h
°/h
(shallow-water constituents) con periodi corrispondenti ad n = 2, 3, 4, 6, 8; queste
ultime possono essere importanti, ad esempio, negli estuari.
Le maree costituenti sono indicate tradizionalmente con sigle (M, Moon; S, Sun; …)
che ne indicano l’origine, e con un indice n che si riferisce al periodo. Solitamente le
componenti significative non sono molte; le sette principali (quattro semidiurne e
tre diurne) sufficienti per ottenere in molti casi una buona approssimazione della
forza specifica di marea, sono riportate nella tab. 6.5 con i corrispondenti fattori
nodali f, gli argomenti V, u e le velocità angolari σ .
3. Metodo armonico per il calcolo della marea
La forza specifica di marea può dunque essere calcolata in ogni punto della Terra
mediante la sintesi di componenti armoniche del tipo (6.18), di periodo noto, in
numero sufficiente a soddisfare l’approssimazione richiesta. Nei modelli
idrodinamici per le onde lunghe si usano le componenti sul piano orizzontale; in
gravimetria basta conoscere la componente verticale, ed entrambe sono necessarie
per lo studio delle sollecitazioni lunisolari sulla litosfera.
Un analogo procedimento di sintesi armonica viene comunemente usato per
calcolare la marea astronomica ηM(P,t) in un punto P della superficie marina.
L’ipotesi è che nelle variazioni del livello siano presenti gli stessi periodi presenti
nelle variazioni della forza lunisolare; ogni componente armonica del livello ha però
una sua propria ampiezza H ed un ritardo g che sono funzione del punto P:
m
η M ( P , t ) = ∑ fi (t ) H i ( P ) cos (Vi (t ) + ui (t ) − gi (P )) ,
(6.22)
i =1
o, con l’approssimazione (6.20)
m
η M ( P , t ) = ∑ fi (t ) H i ( P ) cos (σ it + V0 + ui (t ) − gi (P )) .
(6.23)
i =1
In altre parole, ogni componente σ i di marea risponde alla corrispondente
componente della forza con una diversa amplificazione (si conserva la modulazione
nodale) e fase, a seconda del punto dell’oceano considerato. Le H, g, vengono
chiamate costanti armoniche del punto P; si ricavano dall’analisi di una serie
sufficientemente lunga di dati mareografici usando metodi di interpolazione di onde
sinusoidali aventi velocità angolare assegnata, oppure impiegando filtri numerici ad
alta risoluzione. H e g sono dette “costanti” in quanto sono legate solamente alla
forma ed alla batimetria (dalla quale dipende la velocità di propagazione dell’onda
lunga) del bacino; ovviamente i valori numerici ottenuti dall’analisi dei dati sono
influenzati dalla presenza, nella serie mareografica, di componenti non
astronomiche quali le sesse ed altre variazioni meteoclimatiche. Nella letteratura si
trovano pubblicate le costanti armoniche per i principali porti mondiali.
Le componenti di marea semidiurne e diurne sono quasi ovunque le più
significative; la marea risultante può essere definita di tipo semidiurno o diurno a
seconda che il rapporto (HK1 + HO1)/(HM2 + HS2) sia minore di 0.25 o maggiore di
1.25, di tipo misto nei casi
intermedi. Le velocità angolari
sono molto vicine tra loro, sia
nel gruppo semidiurno che in
quello diurno; di conseguenza
coppie di componenti dello
stesso gruppo daranno origine a
Fig. 6.10.- I battimenti tra le componenti M2 ed S2 (qui di
uguale ampiezza) seguono le fasi lunari.
battimenti, ovvero a onde di
67
velocità intermedia la cui ampiezza è modulata con il periodo 2×360°/(σ1−σ2). Con i
dati della tab. 6.5 possiamo calcolare ad esempio che il periodo di modulazione delle
componenti M2+S2 e di O1+P1 è pari al mese sinodico (o delle fasi lunari; fig. 6.10); il
periodo di K1+O1 è il mese tropico.
4. Marea autonoma e marea indotta.
Alla scala oceanica globale, la marea astronomica è puramente “autonoma”, cioè
prodotta dalla sola forza di marea lunisolare. Nel caso di un mare adiacente bisogna
considerare anche la propagazione in esso dell’onda di marea proveniente
dall’esterno attraverso il confine aperto (marea indotta, o cooscillazione di marea).
In riferimento alle equazioni del moto (5.22, 5.23), la marea autonoma corrisponde
all’effetto del termine forzante FM definito entro i confini del bacino, la cooscillazione
di marea trae origine dalla condizione al contorno η(xa,t) da definirsi lungo il confine
aperto xa. Nel § 1 è stato calcolato che la forza stazionaria della marea lunisolare è
in grado di sostenere una pendenza della superficie marina di 8×10−8 (8 cm su 1000
km): questo valore, alquanto modesto, ci fa pensare che la componente di marea
cooscillatoria diventa in molti casi prevalente su quella autonoma. Ad esempio per il
Mare Adriatico, avente una lunghezza di circa 800 km, otteniamo un dislivello
longitudinale massimo di circa 6 cm: se il bacino fosse chiuso, avrebbe maree
minime. Le osservazioni ci dicono invece che l’ampiezza della marea astronomica
supera gli 80 cm a Trieste: la differenza è dovuta proprio alla marea mediterranea
presente sullo stretto di Otranto con un’ampiezza massima di circa 20 cm. La marea
indotta risulta inoltre amplificata in quanto sollecita l’Adriatico con periodi (24 h e
12 h) non molto distanti da quelli suoi propri di oscillazione (sesse di 21.5 h e 11 h):
siamo quindi in condizioni prossime alla risonanza.
Una singola componente armonica dallo stretto di Otranto si propaga verso nord
nell’Adriatico con la velocità dell’onda lunga (4.26) variabile con la profondità (in
media 200 km/h), si riflette e ritorna a sud. L’ampiezza dell’onda tende ad
aumentare verso la costa destra, nel verso della propagazione, per effetto della forza
di Coriolis.
Brindisi
Vieste
Ancona
Pesaro
Porto Corsini
Chioggia Diga Sud
Malamocco
Venezia Lido
Porto Piave Vecchia
Falconera
TRIESTE
Rovigno
Pola
Fiume
Zara
Sebenico
Comissa
S. Andrea
Ragusa
Megline
Pelagosa
Antivari
S. Giovanni Medua
Durazzo
lat
long
N
E
40°
41°
43°
43°
44°
45°
45°
45°
45°
45°
45°
45°
44°
45°
44°
43°
43°
42°
42°
42°
42°
42°
41°
41°
39'
53'
37'
55'
30'
14'
20'
25'
29'
37'
39'
5'
52'
20'
8'
44'
3'
39'
40'
27'
24'
5'
49'
19'
17°
16°
13°
12°
12°
12°
12°
12°
12°
12°
13°
13°
13°
14°
15°
15°
16°
17°
18°
18°
16°
19°
19°
19°
18'
10'
30'
55'
17'
19'
21'
26'
35'
54'
46'
38'
51'
26'
12'
52'
5'
57'
5'
34'
15'
4'
35'
27'
ampiezza H / cm
fase g /gradi
M2
S2
N2
K2
K1
O1
P1
M2
S2
N2
K2
K1
O1
P1
8.7
9.4
6.6
12.8
15.6
23.3
23.5
23.4
22.3
24.0
26.7
19.3
15.1
10.4
6.4
6.3
7.4
6.8
9.3
9.1
10.0
9.2
9.3
9.3
4.8
6.0
3.5
6.8
9.2
14.1
14.0
13.8
13.5
14.1
15.9
11.2
8.7
5.7
3.4
4.4
5.2
4.4
5.8
5.9
5.9
5.6
5.1
5.5
1.6
1.6
1.2
3.2
3.1
3.7
4.1
3.8
4.1
4.7
4.5
3.5
2.3
1.9
1.2
1.3
1.6
1.0
1.8
2.5
3.7
4.0
5.3
3.7
3.8
4.8
3.0
2.5
1.7
1.0
1.4
1.4
1.2
1.7
2.1
3.0
1.7
1.4
1.5
4.7
5.1
13.2
15.4
15.9
18.2
18.3
16.0
20.1
18.3
18.0
16.1
15.5
14.0
12.7
9.3
7.8
7.2
5.1
5.0
6.0
4.8
5.3
5.0
1.7
1.6
4.1
4.2
5.0
6.0
5.3
5.2
3.3
5.5
5.3
4.9
5.0
4.0
4.7
3.0
2.5
2.5
2.1
1.8
3.0
1.4
0.4
1.4
1.7
1.7
4.4
5.1
5.3
6.0
5.8
4.3
6.6
6.1
6.0
5.3
4.9
4.2
4.2
108
105
332
311
303
287
296
288
286
289
277
27
265
249
239
135
108
122
103
99
103
105
108
102
116
115
347
313
310
295
305
293
294
297
285
277
273
250
236
132
119
125
108
103
115
110
106
104
102
104
326
279
295
274
295
299
291
287
276
266
272
240
249
87
115
347
313
310
295
299
281
294
297
280
277
271
243
236
127
116
125
104
107
103
108
106
104
73
91
88
84
81
74
82
79
75
79
71
71
69
65
65
57
57
69
59
52
71
57
42
27
51
66
74
56
67
70
65
70
65
72
61
56
62
54
60
42
40
50
44
39
58
33
352
48
60
91
88
84
81
74
70
56
75
79
67
71
70
64
65
1.3
0.9
1.5
3.0
1.3
1.5
0.6
2.4
2.3
1.7
3.0
1.9
1.7
1.6
109
61
90
104
114
144
123
51
70
55
48
63
42
105
Tab. 6.6.- Costanti armoniche per il Mare Adriatico (Polli, 1960; Trieste da Stravisi e Purga, 2006).
68
L’effetto risultante è una
anfidromia, cioè una rotazione
dell’onda di marea attorno ad
un punto singolare, nel quale
sono presenti tutte le fasi e
quindi l’ampiezza di marea è
nulla (centro di rotazione o
nodo anfidromico). Quanto
detto può essere facilmente
provato
esaminando
la
distribuzione spaziale delle
costanti armoniche H, g (6.22)
nell’Adriatico (tab. 6.6). La
situazione
è
comunemente
rappresentata da famiglie di
linee radiali di ugual fase g
(linee cotidali, o di ugual tempo
di arrivo della marea), staccate
dal nodo anfidromico, e da linee
concentriche
di
uguale
ampiezza H, come nella fig.
6.11.
Per
le
componenti
semidiurne il nodo anfidromico
è interno al bacino: l’alta marea
percorre le coste in senso
Fig. 6.11.- Linee cotidali e di uguale ampiezza tipiche delle
componenti astronomiche semidiurne e diurne (qui: M2 e K1) antiorario completando il giro
nel bacino Adriatico.
in circa 12 ore. Per le
componenti diurne si può
immaginare
un
nodo
anfidromico esterno, in modo
che le linee cotidali diventano
longitudinali e le linee di ugual
ampiezza trasversali: l’alta
marea
parte
dalla
costa
orientale, raggiunge la costa
italiana dopo circa due ore e
prosegue il suo giro fittizio per
ripresentarsi dopo 24 ore.
Lungo una sezione passante
per
il
nodo
anfidromico
l’elevazione
della
marea
Fig. 6.12.- Andamento dell’ampiezza della marea
segno. La marea
astronomica nel Mare Adriatico con la distanza da Otranto: cambia
componenti diurne (1), semidiurne (2) e marea totale (tot).
astronomica reale osservata in
Adriatico si comporta come una
componente semidiurna, con un periodo di circa 12.4 h. L’andamento dell’ampiezza
della marea costiera lungo l’asse del bacino Adriatico è rappresentato nella fig. 6.12;
la curva (1) si riferisce alla somma delle ampiezze delle tre componenti principali
diurne della tab. 6.6, la curva (2) alla somma delle quattro semidiurne, la curva (tot)
alla somma di tutte e sette le ampiezze (massima ampiezza astronomica). Come già
visto, le ampiezze diurne crescono in modo quasi lineare da Otranto, mentre quelle
69
semidiurne hanno un minimo all’altezza del nodo anfidromico; nella parte
settentrionale, di bassa profondità, le ampiezze aumentano rapidamente.
L’anfidromia dell’onda di marea astronomica è una caratteristica degli oceani e di
quasi tutti i mari; il numero (≥0) dei nodi dipende dalle dimensioni e dalla forma del
bacino e dal periodo della componente di marea.
5. Le “previsioni” di marea
In ogni località per la quale siano preventivamente note dall’analisi dei dati
mareografici le costanti armoniche, la marea astronomica può essere facilmente
calcolata in un qualsiasi istante passato o futuro. Il programma di calcolo messo a
punto al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Trieste usa il
metodo armonico “esatto” (6.22): una funzione Fortran avente per argomento il
tempo locale legge le costanti H, g, calcola i vari parametri astronomici delle tab. 6.4
e 6.5, valuta le longitudini medie solari e lunari, i fattori nodali, gli argomenti u e V,
sintetizza le componenti armoniche e restituisce l’altezza di marea. Sono calcolate
anche le fasi della Luna. Un file contenente un anno di dati ad intervalli di 1 min è
ottenuto in un tempo irrisorio con qualsiasi PC; non è necessario fare ricorso a
valori di f, u tabellati, che comunque riportiamo nella tab. 6.7 per comodità di chi
volesse cimentarsi con l’approssimazione lineare degli argomenti (6.23) usando le
velocità angolari fisse (tab. 6.5). Conviene forse notare che la marea astronomica
calcolata, in quanto sintesi di
fattore nodale f
(Vo + u) /gradi
anno M2 N2 K2 K1 O1 M2 N2 K2 K1 O1
P1
componenti sinusoidali, è a media
2001 1.004 1.004 0.986 1.003 1.004 210.7 340.5 183.6
1.8 212.9 349.3
nulla: in altre parole le oscillazioni
2002 0.992 0.992 1.084 1.040 1.064 311.5 352.5 184.0
2.2 312.9 349.5
2003 0.980 0.980 1.177 1.071 1.115 52.5
4.8 186.2
3.4 52.0 349.8
sono riferite al livello medio del
2004 0.971 0.971 1.252 1.094 1.153 153.8 17.4 189.8
5.1 150.6 350.0
2005 0.965 0.965 1.301 1.108 1.176 230.8 352.6 196.3
8.3 223.5 349.2
momento.
2006 0.963 0.963 1.317 1.113 1.183 332.2
5.3 201.2 10.6 321.6 349.5
2007 0.965 0.965 1.299 1.108 1.174 73.7 18.1 206.2 12.9 59.7 349.7
La
conoscenza
della
marea
2008 0.972 0.972 1.248 1.093 1.150 175.1 30.7 210.6 15.0 158.0 350.0
2009 0.981 0.981 1.171 1.069 1.112 251.9
5.8 216.1 17.8 231.2 349.2
astronomica
del
passato
serve
per
2010 0.992 0.992 1.077 1.038 1.060 352.9 18.1 218.2 18.9 330.4 349.5
2011 1.005 1.005 0.979 1.000 0.999 93.7 30.1 218.4 19.2 70.4 349.7
poter calcolare, mediante sottrazione
2012 1.017 1.017 0.889 0.960 0.935 194.2 41.9 216.6 18.5 171.6 349.9
2013 1.027 1.027 0.817 0.923 0.875 270.2 16.1 214.6 17.7 248.9 349.2
dalle
serie
mareografiche,
la
2014 1.034 1.034 0.769 0.895 0.829 10.4 27.5 209.0 14.9 353.2 349.4
2015 1.038 1.038 0.748 0.882 0.807 110.4 38.9 202.4 11.3 98.6 349.7
componente
meteoclimatica;
questa
è
2016 1.037 1.037 0.755 0.886 0.813 210.5 50.2 195.6
7.6 204.3 349.9
2017 1.032 1.032 0.788 0.907 0.847 286.2 24.1 191.3
5.2 283.9 349.2
composta da sesse, da variazioni
2018 1.023 1.023 0.847 0.939 0.901 26.4 35.6 186.4
2.9 27.5 349.4
2019 1.012 1.012 0.928 0.978 0.964 126.8 47.3 183.4
1.6 129.4 349.6
dovute ai campi di vento e di
2020 0.999 0.999 1.024 1.018 1.028 227.5 59.2 182.5
1.4 230.0 349.9
2021 0.987 0.987 1.121 1.053 1.085 304.0 34.0 185.6
3.1 304.3 349.1
pressione sul mare e da variazioni di
2022 0.976 0.976 1.209 1.081 1.131 45.1 46.4 188.4
4.5 43.1 349.4
2023 0.968 0.968 1.275 1.101 1.163 146.4 58.9 192.4
6.4 141.6 349.6
livello a lungo periodo, e contiene le
2024 0.964 0.964 1.312 1.111 1.180 247.8 71.6 197.1
8.7 239.8 349.8
2025 0.964 0.964 1.314 1.112 1.182 324.9 46.9 204.1 12.0 312.5 349.1
informazioni più interessanti dal
2026 0.967 0.967 1.283 1.103 1.167 66.4 59.7 208.9 14.3 50.6 349.3
2027 0.975 0.975 1.221 1.085 1.137 167.7 72.3 213.1 16.3 149.0 349.6
punto di vista teorico e statistico. Il
2028 0.985 0.985 1.136 1.058 1.093 268.8 84.7 216.1 17.8 247.8 349.8
2029 0.997 0.997 1.039 1.023 1.037 345.4 59.4 219.5 19.6 321.9 349.1
calcolo anticipato serve a scopi
2030 1.010 1.010 0.943 0.984 0.974 86.1 71.4 218.9 19.6 62.3 349.3
previsionali, e può essere di grande
2031 1.021 1.021 0.858 0.945 0.911 186.5 83.1 216.2 18.4 164.1 349.5
2032 1.030 1.030 0.795 0.911 0.855 286.8 94.7 211.6 16.2 267.4 349.8
importanza pratica nei porti dove le
2033 1.036 1.036 0.758 0.888 0.817
2.5 68.6 207.5 14.0 346.8 349.0
2034 1.038 1.038 0.748 0.882 0.806 102.5 79.9 200.7 10.3 92.4 349.3
escursioni
di
marea
sono
2035 1.035 1.035 0.764 0.892 0.824 202.6 91.3 194.1
6.7 198.0 349.5
2036 1.029 1.029 0.808 0.918 0.866 302.7 102.7 188.2
3.7 302.5 349.7
particolarmente ampie. Le cosiddette
2037 1.019 1.019 0.876 0.954 0.925 18.7 76.8 186.0
2.7 20.0 349.0
2038 1.007 1.007 0.964 0.994 0.989 119.2 88.6 183.8
1.9 121.4 349.2
“previsioni” o “tavole” di marea si
2039 0.994 0.994 1.062 1.032 1.051 219.9 100.6 183.7
2.0 221.6 349.5
2040 0.983 0.983 1.157 1.065 1.104 320.9 112.9 185.5
3.0 320.9 349.7
riferiscono
quindi
alla
sola
2041 0.973 0.973 1.237 1.090 1.145 37.7 87.9 190.8
5.7 34.2 349.0
2042 0.966 0.966 1.293 1.106 1.172 139.0 100.5 195.1
7.8 132.5 349.2
componente astronomica (es. tab. 6.8,
2043 0.963 0.963 1.317 1.113 1.183 240.5 113.3 200.0 10.1 230.6 349.4
2044 0.965 0.965 1.306 1.110 1.178 342.0 126.0 205.0 12.4 328.7 349.7
fig.
6.13).
La
componente
2045 0.970 0.970 1.262 1.097 1.157 59.0 101.2 211.6 15.6 41.6 348.9
2046 0.979 0.979 1.190 1.075 1.122 160.3 113.8 215.4 17.4 140.1 349.2
meteoclimatica
può
essere
2047 0.990 0.990 1.099 1.045 1.073 261.3 126.1 217.8 18.7 239.1 349.4
2048 1.002 1.002 1.001 1.009 1.014
2.1 138.2 218.5 19.2 338.9 349.7
attualmente anticipata, per mezzo di
2049 1.014 1.014 0.908 0.969 0.949 78.4 112.6 219.1 19.7 54.5 348.9
2050 1.025 1.025 0.831 0.931 0.887 178.7 124.3 215.6 18.2 156.8 349.1
opportuni modelli numerici, solo di
giorni
ed
in
maniera
Tab. 6.7.- Fattore nodale a metà anno e fase iniziale pochi
alle ore 0 del 1 gennaio; fS2 = fP1=1; (V0+u)S2 = 0.
approssimata; non può certo essere
70
TRIESTE
Alte e basse maree
SETTEMBRE 2007
ora cm ora cm ora cm ora cm
1
2
3
UQ 4
5
6
7
8
9
10
S 5:01 -41 11:28 51 17:58 -38 23:47 20
D 5:26 -30 11:57 44 18:47 -32
L 0:38 9 5:46 -17 12:30 35 20:01 -26
M 2:31 -2 5:38 -5 13:16 26 22:29 -26
M 15:37 18
G 0:13 -35 7:52 21 13:00 3 17:55 21
V 1:04 -44 8:07 31 13:41 -8 18:58 27
S 1:40 -51 8:27 39 14:12 -17 19:41 34
D 2:11 -56 8:49 45 14:40 -25 20:17 38
L 2:39 -57 9:09 49 15:06 -32 20:49 40
LN 11
12
13
14
15
16
17
18
PQ 19
20
M 3:04 -56
M 3:26 -52
G 3:46 -47
V 4:03 -40
S 4:18 -33
D 4:30 -26
L 4:37 -18
M 0:08 1
M 11:31 24
G 9:32 16
21
22
23
24
25
LP 26
27
28
29
30
V
S
D
L
M
M
G
V
S
D
0:04
0:43
1:15
1:44
2:13
2:41
3:10
3:38
4:05
4:32
9:29
9:48
10:05
10:22
10:38
10:54
11:10
4:30
22:28
51
51
51
49
46
43
38
-11
-21
15:31
15:55
16:19
16:44
17:10
17:40
18:17
11:25
-36
-39
-41
-40
-38
-34
-29
32
21:18
21:45
22:11
22:36
23:02
23:31
-29 7:48 21
-37 7:43 30
-44 7:56 39
-50 8:14 47
-53 8:36 53
-53 9:00 58
-51 9:26 60
-45 9:52 60
-38 10:18 56
-28 10:45 50
13:16
13:28
13:51
14:17
14:45
15:15
15:46
16:19
16:53
17:32
2
-10
-22
-33
-43
-50
-54
-55
-53
-47
17:46
18:45
19:27
20:03
20:38
21:12
21:47
22:23
23:02
23:46
40
37
32
26
19
10
19:18 -23
Tempo Medio Europa Centrale (GMT + 1h).
Altezze riferite al livello medio del mare.
Tab. 6.8.- Esempio di tavola mensile
con gli estremi relativi della marea
astronomica (“alte e basse maree”)
calcolate per Trieste.
14
23
31
38
42
43
41
36
29
19
prevista con l’anticipo di un anno o più. A tal
fine le previsioni di marea sono in genere
accompagnate da una serie di indicazioni di
massima che permettono di valutare le
variazioni del livello medio e del tempo di arrivo
della marea per un certo numero di situazioni di
pressione atmosferica e di vento tipiche del
bacino in esame.
La marea lunisolare, dal momento che viene
normalmente calcolata con approssimazioni
dell’ordine del centimetro per le altezze e del
minuto per i tempi, è ormai considerata un
problema risolto, anche se sono concepibili
metodi teorici diversi da quello armonico. Ci
riferiamo per esempio al metodo proposto da
Munk e Cartwright, che fa uso di uno sviluppo
del potenziale di marea in una serie di
armoniche sferiche. E’ un metodo elegante ed
accurato che richiede però la conoscenza, per
ogni località, dei coefficienti dello sviluppo, il
calcolo dei quali risulta forse più pesante, o
comunque meno conosciuto, di quello delle
costanti armoniche tradizionali; dal momento
poi che queste sono già note per tutti i principali
porti del mondo, gli addetti ai lavori non hanno
visto alcuna necessità o convenienza nel
cambiare procedimento.
Fig. 6.13.- Esempio di marea astronomica calcolata per Trieste. Tipo misto, prevalentemente
semidiurno: alle quadrature l’ampiezza si riduce e la marea tende a diventare diurna.
71
7. L’ARIA
1. Il modello cinetico dei gas perfetti: la pressione
Nella descrizione classica dei fluidi (liquidi e gas) si opera a priori un processo di
media spazio-temporale che supera la scala molecolare per considerare una
struttura continua, virtualmente divisibile a piacere e descrivibile con i metodi
usuali dell’analisi matematica. Questo principio è stato usato, per esempio, per
ricavare il campo di forza di contatto (2.26): un campo vettoriale “continuo” che è
però legato al moto molecolare.
Un ragionamento analogo può essere fatto per chiarire i concetti fisici di
pressione e di temperatura. Per comodità si esamina un gas, meglio ancora un “gas
ideale” o “perfetto”. Nel modello cinetico classico:
(a) il gas è costituito da particelle (molecole) uguali e in moto casuale isotropo;
(b) le forze a distanza sono trascurabili;
(c) il volume totale delle molecole è trascurabile;
(d) le uniche interazioni sono urti elastici.
In altre parole, il gas ideale è un
insieme di molecole puntiformi (c) di
ugual massa e con velocità media
uguale nelle tre direzioni (ux = uy = uz)
(a), senza campi esterni od interni di
forza (b); gli urti tra le molecole e con
le eventuali superfici di contenimento
sono elastici (d).
Consideriamo N molecole di gas
ideale di massa m confinate in un
parallelepipedo di lati a,b,c lungo i tre
assi coordinati. Una particella urta la
Fig. 7.1.- Modello cinetico dei gas.
parete di superficie S = bc normale ad
x in x = a ; essendo l’urto elastico,
l’intensità della velocità u
u = ux2 + u2y + uz2 = 3ux2
(7.1)
si mantiene costante, ma le componenti cambiano di segno. In particolare, la
componente normale ad S passa da ux a −ux, accelerazione ottenuta mediante
l’applicazione della forza impulsiva Ι esercitata dalla parete rigida nella direzione x:
du
m x = Ix .
(7.2)
dt
Se integriamo la (7.2) nel tempo τ = 2a/ux che intercorre tra due urti successivi e
sommiamo su tutte le molecole:
−u x
τ
m ∫ dux = ∫ I dt
ux
,
− 2Nm ux = τ NF
;
(7.3)
0
è definita la forza media nel tempo τ
ux
ux2
u2
u2
1
F = −2Nm
= − Nm
= − Nm
= − NmS
= −S ρu2 , (7.4)
τ
a
3a
3abc
3
dove ρ =Nm/(abc) è la densità del gas. Per reazione, il gas esercita sulla parete S
una forza “media” uguale e contraria alla (7.4), equivalente alla pressione
F 1
p = − = ρ u2 ≥ 0 .
(7.5)
S 3
72
Il risultato non dipende dalla parete (normale all’asse x, y o z) considerata. La (7.5)
è nota come equazione fondamentale dei gas perfetti, ed è legata ai nomi di Joule,
Krönig e Clausius: definisce la pressione come grandezza fisica macroscopica legata
all’energia cinetica media delle molecole. Nel caso limite di molecole “ferme” si ha
pressione nulla; altrimenti il gas si espande sino ad occupare tutto il volume
disponibile. Nei liquidi si può ritenere che l’origine fisica della pressione sia
analoga, come è stato ipotizzato nella derivazione delle forze di contatto (2.26). La
pressione (7.5) può essere anche vista come una densità di energia: in questo modo
essa appare logicalmente svincolata dall’idea di direzione implicita nella forza e
nella superficie normale.
2. L’equazione di stato dei gas perfetti
I lavori sperimentali condotti nel XVIII secolo hanno permesso di ricavare le ben
note leggi di trasformazione dei gas.
La legge della trasformazione isoterma di Boyle stabilisce che, a temperatura
costante,
pV = cost .
(7.6)
La legge della trasformazione isobara o di Charles (1781) stabilisce che, a
pressione costante, il volume del gas aumenta linearmente con la temperatura
Celsius:
1

(7.7)
V (ϑ ) = V (0 ) (1 + aϑ ) = V (0 ) a ϑ +  ;
a

il coefficiente a, determinato sperimentalmente, permette di definire la temperatura
termodinamica
T = ϑ + 1 a = ϑ + 273.15 °C ≥ 0 ,
(7.8)
e la (7.7) diventa
V
= cost .
(7.9)
T
La legge relativa ad una generica trasformazione si ottiene sottoponendo il gas a
due trasformazioni separate, isoterma ed isobara (l’ordine è indifferente); si passa
così da uno stato iniziale ad uno intermedio e quindi ad uno stato finale, ad esempio
( p0 ,V0 ,T0 ) 
→ ( p1 ,V1 , T0 ) 
→ ( p1 ,V2 , T2 ) .
(7.10)
T =T0
p = p1
Applicando la (6) e la (9) avremo:
p1V1 = p0V0
V2 p0V0
=
T2
p1T0
,
,
V2 V1
=
;
T2 T0
p0V0 p1V2
=
= cost = Rc
T0
T2
(7.11)
,
(7.12)
e quindi
pV = RcT .
(7.13)
La costante Rc può essere calcolata considerando uno stato qualsiasi del gas, per
esempio quello normale o standard (p0=1013.25 hPa, T0 = 273.15 K): la legge di
Avogadro stabilisce che in tale stato il volume molare del gas (il volume di una mole
di gas, vedi Appendice SI) è
VM (p0, T0) = 22.4136 m3/kmol ,
(7.14)
per cui la (7.12) da
p V ( p ,T )
R * = 0 M 0 0 = 8.31432 J ⋅ mol −1 ⋅ K −1 ,
(7.15)
Rc = n R* ,
T0
73
dove n è il numero di moli ed R* è la costante universale dei gas. Se M è la massa
molare del gas, la (13) diventa
nM R*
R*
p=
T =ρ
T ;
(7.16)
V M
M
conviene scrivere l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma:
p = ρ RT
,
(7.17)
mediante la costante del gas
R = R* M
.
(7.18)
3. Significato fisico della temperatura
La temperatura è stata introdotta come una grandezza fisica operativa legata
alla dilatazione dei corpi, basata sulla costruzione di un termometro e sulla
definizione di una scala convenzionale lineare tra due punti riproducibili e fissi. La
formula isobara (7.7) permette di definire un “termometro a gas”; si scopre così
l’esistenza di un limite inferiore, posto a T =0 K = −273.15 °C, detto zero assoluto,
dove il volume del gas (perfetto) si annulla. Confrontando ora l’equazione
fondamentale (7.5) con l’equazione di stato (7.17) si ottiene:
1 2
T =
u ;
(7.19)
3R
la temperatura termodinamica, come la pressione, dipende quindi dalla velocità
media delle molecole. Allo zero assoluto le molecole sono “congelate” in una
posizione fissa. Per analogia si può pensare che in ogni stato di aggregazione la
temperatura sia un indice dell’ “energia cinetica media” molecolare.
4. Miscuglio di gas
Un miscuglio di gas perfetti è ancora un gas perfetto: le molecole di ciascuna
specie occupano per definizione un volume totale trascurabile, e si comportano come
se gli altri gas non ci fossero. La pressione totale esercitata dal miscuglio è quindi la
somma delle pressioni parziali dei suoi componenti (principio di Dalton); lo stesso
ovviamente avviene per la densità.
Consideriamo un volume V contenente un miscuglio di gas di massa molare Mi
alla temperatura T e con una pressione totale
p = ∑ pi .
.
(7.20)
Fig. 7.2.- Miscuglio di gas,
volumi parziali.
74
Immaginiamo di separare i diversi gas confinandoli in
volumi parziali Vi, mantenendo costante la
temperatura (fig. 7.2); affinchè le superfici di
separazione siano fisse, la pressione su entrambe le
loro facce deve essere la stessa, e per la (7.6)
pi V = p Vi .
(7.21)
Ricordando le (7.13, 7.15), ricaviamo dunque che i
rapporti frazionari dei diversi gas
p V
n
fi = i = i = i
(7.22)
p V
n
espressi in termini di pressione, volume o numero di
moli sono gli stessi.
La densità del miscuglio è la somma delle densità
parziali ricavabili dalle equazioni di stato (7.17);
usando la (7.22):
ρ = ∑ ρi = ∑
pi
1
= *
RiT R T
∑M
i
pi =
1
R *T
∑fM
i
i
p
;
(7.23)
e quindi
specie di gas
N2
O2
Ar
CO2
Ne
He
CH4
Kr
H2
Xe
massa molare
frazione
/(kg/kmol)
azoto
28.0134
78.084 × 10−2
ossigeno
31.9988
20.9476 × 10−2
argon
39.948
9.34 × 10−3
anidride carbonica
44.00995
3.80 × 10−4
neon
20.183
1.818 × 10−5
elio
4.0026
5.24 × 10−6
metano
16.04303
2
× 10−6
kripton
83.90
1.10 × 10−6
idrogeno
2.01594
5
× 10−7
xeno
131.30
8.7
× 10−8
aria secca
28.9644
1
Tab. 7.1.- Composizione dell’aria secca.
con
1
p ,
RT
R = R* / M a ,
ρ=
(7.24)
M a = ∑ fi M i ,
(7.25)
che sono rispettivamente la
costante e la massa molare
media del miscuglio. L’equazione di stato (7.24) di un
miscuglio è quindi la stessa di
un gas avente una massa
molare uguale alla media delle
masse molari dei gas costituenti, pesata con i corrispondenti rapporti frazionari.
5. L’aria
L’aria dell’atmosfera terrestre è normalmente considerata come un miscuglio di
aria secca di composizione costante e di vapor d’acqua, fondamentale nei processi
meteorologici e presente in concentrazioni variabili dallo zero alla saturazione.
L’aria secca (tab. 7.1) è rappresentabile
a sua volta come un miscuglio di gas
perfetti di massa molare media (7.25)
Ma = 28.9644 kg/kmol.
L’equazione di stato per l’aria secca
(7.24) permette di calcolarne la densità
in funzione della pressione e della
temperatura.
L’aria può contenere un numero più o
meno grande di molecole d’acqua
isolate, ovvero sotto forma di vapore
(gas al di sotto della temperatura
critica, di ebollizione), che contribuisce
con una pressione parziale o tensione di
vapore e alla pressione atmosferica
totale. Con riferimento ad un campione
d’aria, si definisce umidità specifica
(adimensionale; simbolo: q) il rapporto
tra la massa del vapor d’acqua e la
massa del campione; umidità assoluta
(unità: g/m3 ; simbolo: ρv) la densità del
vapor d’acqua, ovvero la massa di
vapore per unità di volume. L’umidità
assoluta è limitata da un valore
massimo di saturazione ρw, al quale
Fig. 7.3.- Pressione di vapore, umidità assoluta e
corrisponde una tensione di vapore
acqua precipitabile alla saturazione in funzione
saturo ew, funzioni crescenti della
della temperatura dell’aria.
75
ϑ
ew
ρw
ϑ
ew
ρw
/°C
/hPa
/(g/m3)
/°C
/hPa
/(g/m3)
temperatura (fig. 7.3, tab. 7.2). Superato il
punto di saturazione le molecole d’acqua
-29
0.56
0.50
11
13.12
10.01
cominciano a legarsi tra di loro: si ha la
-28
0.61
0.54
12
14.02
10.66
-27
0.67
0.59
13
14.97
11.34
condensazione, cioè la formazione di una fase
-26
0.74
0.65
14
15.98
12.06
liquida in sospensione sotto forma di
-25
0.81
0.70
15
17.04
12.82
goccioline. La relazione ew(T ) tra la
-24
0.88
0.77
16
18.17
13.62
-23
0.96
0.84
17
19.37
14.47
pressione di vapore alla saturazione e la
-22
1.05
0.91
18
20.63
15.36
-21
1.15
0.99
19
21.96
16.30
temperatura deve essere determinata
-20
1.25
1.07
20
23.37
17.28
sperimentalmente: al riguardo non esistono
-19
1.37
1.17
21
24.86
18.32
ancora accordi internazionali precisi. Noi
-18
1.49
1.26
22
26.43
19.41
-17
1.62
1.37
23
28.08
20.56
usiamo la formula di Goff-Gratch (1946; cfr.
-16
1.76
1.48
24
29.83
21.76
Smithsonian Physical Tables), che vale in
-15
1.91
1.61
25
31.67
23.03
-14
2.08
1.74
26
33.61
24.35
presenza di acqua liquida per ϑ ≥ −60 °C, ed
-13
2.25
1.88
27
35.65
25.75
è riportata nella tab. 7.3 assieme ad altre
-12
2.44
2.03
28
37.79
27.21
-11
2.64
2.19
29
40.05
28.74
relazioni, grandezze e costanti usate nella
-10
2.86
2.36
30
42.43
30.34
descrizione dell’aria umida.
-9
3.10
2.54
31
44.92
32.02
-8
3.35
2.74
32
47.55
33.78
Le misure dirette del vapor d’acqua
-7
3.62
2.95
33
50.30
35.62
nell’atmosfera non sono comode nè usuali; il
-6
3.91
3.17
34
53.20
37.55
-5
4.21
3.41
35
56.23
39.56
metodo di riferimento convenzionale prevede
-4
4.54
3.66
36
59.42
41.67
la misura contemporanea della temperatura
-3
4.90
3.93
37
62.76
43.87
-2
5.27
4.22
38
66.26
46.17
dell’aria ϑ (detta anche del “bulbo asciutto”,
-1
5.68
4.52
39
69.93
48.57
dry bulb) e della temperatura del “bulbo
0
6.11
4.85
40
73.77
51.07
1
6.57
5.19
41
77.80
53.69
bagnato” ϑb (wet bulb) mediante due
2
7.05
5.56
42
82.01
56.41
termometri ventilati affiancati a formare il
3
7.57
5.95
43
86.42
59.26
4
8.13
6.36
44
91.03
62.22
cosiddetto psicrometro. Il bulbo bagnato
5
8.72
6.79
45
95.85
65.31
perde calore per evaporazione (ϑb ≤ ϑ : effetto
6
9.35
7.26
46
100.89 68.53
7
10.01
7.75
47
106.15 71.88
psicrometrico): l’aria a contatto che acquista
8
10.72
8.27
48
111.65 75.37
umidità deve essere costantemente rimossa
9
11.47
8.81
49
117.40 79.00
10
12.27
9.39
50
123.39 82.78
con un’opportuna ventilazione per garantire
la regolarità della misura. La differenza
Tab. 7.2.- Pressione di vapore e umidità
psicrometrica di temperatura (ϑ −ϑb) è tanto
assoluta alla saturazione in funzione della
temperatura dell’aria.
maggiore quanto più l’aria è asciutta, e
risulta legata alla tensione di vapore ed alla
pressione atmosferica dalla formula sperimentale di Sprung
e(ϑ ) = ew (ϑw ) − A p (ϑ − ϑw ) ;
(7.26)
il coefficiente di Ferrel:
A = 0.000660 (1 + 0.00115 ϑw / °C ) °C −1 .
(7.27)
è valido per una velocità di ventilazione tra 4 e 10 m/s. Nella tab. 7.3 sono definite le
masse dell’aria secca, del vapor d’acqua, del vapor d’acqua alla saturazione ed i
corrispondenti rapporti di mescolamento; il rapporto tra la densità del vapor
d’acqua presente ed il suo corrispondente valore di saturazione è noto come umidità
ρv mv
r
e p − ew
u =
=
=
=
.
(7.28)
relativa:
ρw mw rw
ew p − e
Dal momento che ew ≈ 20 hPa (tab. 7.2), il rapporto (p−ew)/(p−e) ≈1 nella (7.28)
viene talvolta trascurato. Nella meteorologia pratica si fa uso dell’umidità relativa
percentuale
U = 100 u % ;
(7.29)
l’umidità relativa indica quindi la densità del vapore acqueo presente come frazione
della densità di saturazione a quelle condizioni di temperatura e pressione.
76
costante
valore
nome
VM(0)
NA
22.4136
m3/kmol
6.022169 × 1026 kmol-1
volume molare standard
numero di Avogadro
R*
Ma
8.31432 × 103 J.kmol-1.K-1
28.9644
kg/kmol
costante universale dei gas
massa molare dell’aria secca
Mv
18.0153
massa molare del vapor d’acqua
ε = Mv /Ma
kg/kmol
0.62198
rapporto molare
287.053
J.kg-1.K-1
costante dell’aria secca
To
273.15
K
origine della scala Celsius
T1
C
273.16
0.9995
K
punto triplo dell’acqua
fattore di compressibilità dell’aria umida
R=
R*/Ma
simbolo unità SI grandezza fisica
m3
relazioni
mol
mol
volume
rapporto frazionario
numero di moli
numero di moli di aria secca
nv
mol
numero di moli di vapor d’acqua
ma
kg
massa dell’aria secca
mv
kg
massa del vapor d’acqua
mw
kg
massa del vapor d’acqua alla saturazione
M
p
e
kg/kmol massa molare
Pa
pressione atmosferica totale
Pa
pressione del vapor d’acqua
pr/(r+ε) = = ewu/(1− 1−u)ew/p)
ew
Pa
(*)
V
f
n
na
pressione del vapor d’acqua alla saturazione
m/n
Log10 (ew (T ) ) =
= 10.79574 (1 − T1 / T )
− 5.02800 Log10 (T / T1 )
(
(10
)
− 1)
+ 1.50475 × 10 −4 1 − 10 −8.2969 (T / T1 −1 )
ρ
+ 0.42873 × 10
+ 0.78614
densità dell’aria (umida)
(ma+mv)/V =
umidità specifica
mv/(ma+mv) = r/(1+r)
kg/m3
densità del vapor d’acqua (umidità assoluta)
mv/V = ρ q
kg/m3
umidità assoluta alla saturazione
mw/V
rapporto di mescolamento
mv /ma = q/(1−q) = εe/(p−e)
kg/m3
q
ρv
ρw
4.76955 (1−T1 / T )
(*) formula di Goff (1957)
r
−3
(
p RTv'
rw
rapporto di mescolamento alla saturazione
mw /ma
e/p
rapporto tensione vapore / pressione
nv /(na+nv) = r/(r+ε)
u
umidità relativa
mv /mw = r/rw=
(e/ew)(p− ew)/(p− e)
100 u
U
T
Tv
%
K
K
umidità relativa percentuale
temperatura termodinamica dell’aria
temperatura virtuale
Tv '
K
temperatura virtuale aggiustata
ϑ
°C
temperatura Celsius dell’aria
)
T/(1−(1−ε ) e/p) =
T (1−p/ew−u)/(1−p/ew−ε u) =
T (1 + r/ε )/(1 + r)
C Tv
Tab. 7.3.- Costanti e simboli relativi all’aria umida.
77
Nota la temperatura dell’aria si può calcolare la tensione di vapore saturo (tab. 7.3)
e quindi, con l’equazione di stato (7.16), la densità del vapore saturo (tab. 7.2):
M e
ew
;
(7.30)
ρw = *v w = 2.16678 × 10 −3
R T
ϑ + 273.15°C
nota l’umidità relativa, l’umidità assoluta è data da
ρ v = u ρw .
(7.31)
Si usa definire anche l’altezza dell’acqua precipitabile, ottenuta condensando al
suolo tutta l’umidità atmosferica; questo parametro è esprimibile con una funzione
empirica della temperatura assoluta al suolo, dell’umidità relativa e della tensione
di vapore saturo:
hw = α u ew(T) /T ,
(7.32)
−1
con α =4.93 mm.K.Pa . Il grafico di
hw per un’atmosfera satura è
°C
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
-10 3420 3419 3418 3416 3415 3413 3412 3410 3409 3408 3406
rappresentato
nella
fig.
7.3;
-9 3370 3368 3367 3365 3363 3362 3360 3359 3357 3356 3354
-8 3319 3318 3316 3314 3313 3311 3309 3308 3306 3304 3303
un’atmosfera satura con temperatura
-7 3269 3267 3266 3264 3262 3260 3258 3257 3255 3253 3251
al suolo di 15 °C contiene 127 mm di
-6 3220 3218 3216 3214 3212 3210 3208 3206 3204 3202 3200
3170
3168
3166
3164
3162
3160
3158
3156
3154
3152
3150
-5
acqua precipitabile.
-4
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
3121
3073
3025
2977
2929
2882
2835
2789
2743
2697
2651
2606
2561
2517
2473
2429
2385
2342
2299
2256
2214
2172
2130
2088
2047
2006
1965
1925
1885
1845
1805
1766
1727
1688
1650
1611
1573
1536
1498
1461
1424
1387
1350
1314
1278
3119
3070
3022
2974
2926
2879
2832
2785
2739
2693
2647
2601
2556
2511
2467
2422
2379
2335
2291
2248
2205
2163
2120
2078
2036
1995
1953
1912
1871
1831
1790
1750
1710
1670
1631
1591
1552
1513
1474
1435
1397
1359
1320
1282
1244
3117
3068
3019
2971
2923
2876
2828
2781
2735
2688
2642
2597
2551
2506
2461
2416
2372
2328
2284
2240
2197
2154
2111
2068
2026
1983
1941
1899
1858
1816
1775
1734
1693
1652
1612
1571
1531
1490
1450
1410
1370
1331
1291
1251
1212
3115
3066
3017
2968
2920
2872
2825
2778
2731
2684
2638
2592
2546
2501
2455
2410
2365
2321
2277
2232
2189
2145
2101
2058
2015
1972
1929
1887
1844
1802
1760
1718
1676
1634
1593
1551
1510
1468
1427
1386
1344
1303
1262
1221
1180
3112
3063
3014
2966
2917
2869
2822
2774
2727
2680
2634
2587
2541
2495
2450
2404
2359
2314
2269
2225
2180
2136
2092
2048
2004
1961
1918
1874
1831
1788
1745
1702
1659
1617
1574
1531
1489
1446
1404
1361
1319
1276
1233
1191
1148
3110
3061
3012
2963
2914
2866
2818
2771
2723
2676
2629
2582
2536
2490
2444
2398
2352
2307
2262
2217
2172
2127
2083
2038
1994
1950
1906
1862
1818
1774
1730
1686
1643
1599
1556
1512
1468
1425
1381
1337
1293
1249
1205
1161
1117
3108
3058
3009
2960
2911
2863
2815
2767
2719
2672
2625
2578
2531
2484
2438
2392
2346
2300
2255
2209
2164
2118
2073
2028
1983
1939
1894
1849
1805
1760
1715
1671
1626
1582
1537
1493
1448
1403
1358
1313
1268
1223
1177
1132
1086
3106
3056
3007
2957
2909
2860
2811
2763
2715
2668
2620
2573
2526
2479
2432
2386
2340
2293
2247
2201
2155
2110
2064
2019
1973
1928
1882
1837
1792
1746
1701
1655
1610
1565
1519
1473
1428
1382
1336
1290
1243
1197
1150
1103
1056
3104
3054
3004
2955
2906
2857
2808
2760
2712
2664
2616
2568
2521
2474
2427
2380
2333
2286
2240
2194
2147
2101
2055
2009
1963
1917
1871
1825
1778
1732
1686
1640
1594
1547
1501
1454
1408
1361
1313
1266
1219
1171
1123
1074
1026
3101
3051
3001
2952
2903
2854
2805
2756
2708
2660
2612
2564
2516
2468
2421
2374
2327
2280
2233
2186
2139
2092
2046
1999
1952
1906
1859
1812
1766
1719
1672
1625
1578
1530
1483
1435
1388
1340
1292
1243
1194
1145
1096
1046
996
3099
3049
2999
2949
2900
2850
2801
2753
2704
2655
2607
2559
2511
2463
2415
2368
2320
2273
2226
2178
2131
2084
2036
1989
1942
1895
1847
1800
1753
1705
1657
1610
1562
1514
1465
1417
1368
1319
1270
1220
1170
1120
1070
1019
967
Tab. 7.4.- Densità dell’aria (ρ/(kg/m3)−1)×104 a
1013.25 hPa in funzione della temperatura e
dell’umidità relativa.
A 15 °C, 50 %: ρ = 1.2217 kg/m3.
78
6. L’equazione di stato per l’aria
umida
L’aria umida è un miscuglio di aria
secca (massa molare Ma, frazione
(p− e)/p) e di vapor d’acqua (massa
molare Mv, frazione e/p): la sua massa
molare media M è quindi
p−e
e

e
M=
Ma + Mv = Ma 1 − (1 − ε )  . (7.33)
p
p
p

il rapporto molare
ε = Mv/Ma =
0.62198
per cui il valore della
parentesi nella (7.33) è inferiore ad
uno ed M < Ma : l’aria umida è “più
leggera” di quella secca. L’equazione di
stato dell’aria umida (7.24) diventa
quindi
M p
e
ρ = *a
(7.34)
1 − (1 − ε )  .
R T 
p
Il
contributo
dell’umidità
è
usualmente
abbinato
alla
temperatura; definendo infatti la
temperatura virtuale
T
Tv =
(7.35)
,
e
1 − (1 − ε )
p
e la temperatura virtuale aggiustata
Tv' = CTv ,
(7.36)
l’equazione di stato per l’aria umida
(7.34) diventa
1
p ,
(7.37)
RTv'
formalmente uguale a quella dell’aria secca. La costante R ed il fattore di
compressibilità dell’aria umida C sono riportati nella tab. 7.3; quest’ultimo è stato
introdotto per compensare il fatto che l’aria approssima molto bene (C ≅ 1), ma non
è, un gas perfetto.
Le tab. 7.4 e 7.5 e la fig. 7.4, calcolate con la (7.37), riportano la densità dell’aria
per diversi valori di temperatura, di umidità relativa e di pressione. La tab. 7.6
riporta le tipiche variazioni della densità corrispondenti a variazioni unitarie di
pressione, temperatura ed umidità relativa.
ρ=
∆ρ/∆ p = 1/(RT )
∆ρ/∆ ϑ = − p/(RT 2 )
∆ρ/∆U = −3.8 × 10−3 ew ∆ρ /∆p
0 °C
+1.3
−4.7
−0.03
20 °C
+1.2
(g.m−3)/hpa
−4.1
(g.m−3)/°C
−0.11 (g.m−3)/%
(a 1013.25 hPa)
(a 1013.25 hPa)
Tab. 7.6.- Variazioni tipiche della densità dell’aria.
Fig. 7.4.- Densità dell’aria in funzione della temperatura alla pressione standard
(1013.25 hPa) e ad umidità costante (60 %).
79
°C
950
955
960
965
970
975
980
985
990
995 1000 1005 1010 1015 1020 1025 1030 1035 1040 1045 1050
-10 2574 2640 2707 2773 2839 2905 2971 3038 3104 3170 3236 3303 3369 3435 3501 3568 3634 3700 3766 3832 3899
-9 2526 2592 2658 2724 2790 2856 2922 2988 3054 3120 3186 3252 3318 3383 3449 3515 3581 3647 3713 3779 3845
-8 2478 2544 2609 2675 2741 2806 2872 2938 3004 3069 3135 3201 3267 3332 3398 3464 3529 3595 3661 3727 3792
-7 2430 2496 2561 2627 2692 2758 2823 2889 2954 3019 3085 3150 3216 3281 3347 3412 3478 3543 3609 3674 3740
-6 2383 2448 2513 2578 2644 2709 2774 2839 2905 2970 3035 3100 3166 3231 3296 3361 3427 3492 3557 3622 3687
-5 2336 2401 2466 2531 2596 2661 2726 2791 2856 2921 2986 3051 3116 3181 3246 3311 3376 3441 3506 3570 3635
-4 2289 2354 2418 2483 2548 2613 2677 2742 2807 2872 2936 3001 3066 3131 3195 3260 3325 3390 3454 3519 3584
-3 2242 2307 2371 2436 2500 2565 2629 2694 2758 2823 2887 2952 3016 3081 3145 3210 3274 3339 3404 3468 3533
-2 2196 2260 2325 2389 2453 2517 2582 2646 2710 2775 2839 2903 2967 3032 3096 3160 3224 3289 3353 3417 3482
-1 2150 2214 2278 2342 2406 2470 2534 2598 2662 2726 2790 2854 2919 2983 3047 3111 3175 3239 3303 3367 3431
0
2104 2168 2232 2296 2360 2423 2487 2551 2615 2679 2742 2806 2870 2934 2998 3061 3125 3189 3253 3317 3380
1
2
2059 2122 2186 2250 2313 2377 2440 2504 2567 2631 2695 2758 2822 2885 2949 3012 3076 3140 3203 3267 3330
2014 2077 2140 2204 2267 2330 2394 2457 2520 2584 2647 2710 2774 2837 2900 2964 3027 3090 3154 3217 3280
3
1969 2032 2095 2158 2221 2284 2347 2410 2474 2537 2600 2663 2726 2789 2852 2915 2978 3041 3105 3168 3231
4
1924 1987 2050 2113 2175 2238 2301 2364 2427 2490 2553 2616 2678 2741 2804 2867 2930 2993 3056 3119 3181
5
1879 1942 2005 2067 2130 2193 2255 2318 2381 2443 2506 2569 2631 2694 2756 2819 2882 2944 3007 3070 3132
6
1835 1897 1960 2022 2085 2147 2210 2272 2334 2397 2459 2522 2584 2647 2709 2771 2834 2896 2959 3021 3084
7
1791 1853 1915 1977 2040 2102 2164 2226 2288 2351 2413 2475 2537 2600 2662 2724 2786 2848 2911 2973 3035
8
1747 1809 1871 1933 1995 2057 2119 2181 2243 2305 2367 2429 2491 2553 2615 2677 2739 2801 2863 2925 2987
9
1703 1765 1827 1888 1950 2012 2074 2135 2197 2259 2321 2383 2444 2506 2568 2630 2691 2753 2815 2877 2938
10 1660 1721 1783 1844 1906 1967 2029 2090 2152 2213 2275 2337 2398 2460 2521 2583 2644 2706 2767 2829 2890
11 1616 1677 1739 1800 1861 1923 1984 2045 2107 2168 2229 2291 2352 2413 2475 2536 2597 2659 2720 2781 2843
12 1573 1634 1695 1756 1817 1878 1940 2001 2062 2123 2184 2245 2306 2367 2429 2490 2551 2612 2673 2734 2795
13 1530 1591 1652 1712 1773 1834 1895 1956 2017 2078 2139 2200 2261 2322 2382 2443 2504 2565 2626 2687 2748
14 1487 1547 1608 1669 1730 1790 1851 1912 1972 2033 2094 2154 2215 2276 2336 2397 2458 2519 2579 2640 2701
15 1444 1504 1565 1625 1686 1746 1807 1867 1928 1988 2049 2109 2170 2230 2291 2351 2412 2472 2533 2593 2654
16 1401 1462 1522 1582 1642 1703 1763 1823 1883 1944 2004 2064 2125 2185 2245 2305 2366 2426 2486 2546 2607
17 1359 1419 1479 1539 1599 1659 1719 1779 1839 1899 1959 2019 2079 2139 2200 2260 2320 2380 2440 2500 2560
18 1316 1376 1436 1496 1556 1615 1675 1735 1795 1855 1915 1975 2034 2094 2154 2214 2274 2334 2394 2453 2513
19 1274 1333 1393 1453 1512 1572 1632 1691 1751 1811 1870 1930 1990 2049 2109 2169 2228 2288 2348 2407 2467
20 1231 1291 1350 1410 1469 1529 1588 1648 1707 1766 1826 1885 1945 2004 2064 2123 2183 2242 2302 2361 2420
21 1189 1248 1308 1367 1426 1485 1545 1604 1663 1722 1782 1841 1900 1959 2019 2078 2137 2196 2256 2315 2374
22 1147 1206 1265 1324 1383 1442 1501 1560 1619 1678 1737 1796 1856 1915 1974 2033 2092 2151 2210 2269 2328
23 1105 1164 1222 1281 1340 1399 1458 1517 1576 1634 1693 1752 1811 1870 1929 1988 2046 2105 2164 2223 2282
24 1063 1121 1180 1239 1297 1356 1415 1473 1532 1591 1649 1708 1766 1825 1884 1942 2001 2060 2118 2177 2236
25 1021 1079 1137 1196 1254 1313 1371 1430 1488 1547 1605 1664 1722 1780 1839 1897 1956 2014 2073 2131 2190
26
978 1037 1095 1153 1211 1270 1328 1386 1445 1503 1561 1619 1678 1736 1794 1852 1911 1969 2027 2085 2144
27
936
994 1052 1111 1169 1227 1285 1343 1401 1459 1517 1575 1633 1691 1749 1807 1865 1923 1982 2040 2098
28
894
952 1010 1068 1126 1184 1241 1299 1357 1415 1473 1531 1589 1647 1704 1762 1820 1878 1936 1994 2052
29
852
910
967 1025 1083 1140 1198 1256 1314 1371 1429 1487 1544 1602 1660 1717 1775 1833 1890 1948 2006
30
810
867
925
982 1040 1097 1155 1212 1270 1327 1385 1442 1500 1557 1615 1672 1730 1787 1845 1902 1960
31
32
768
725
825
782
882
839
939
897
997 1054 1111 1169 1226 1283 1341 1398 1455 1513 1570 1627 1684 1742 1799 1856 1914
954 1011 1068 1125 1182 1239 1296 1354 1411 1468 1525 1582 1639 1696 1753 1811 1868
33
683
740
797
854
910
967 1024 1081 1138 1195 1252 1309 1366 1423 1480 1537 1594 1651 1708 1765 1821
34
640
697
754
810
867
924
981 1037 1094 1151 1208 1264 1321 1378 1435 1491 1548 1605 1662 1718 1775
35
597
654
711
767
824
880
937
993 1050 1107 1163 1220 1276 1333 1389 1446 1503 1559 1616 1672 1729
36
555
611
667
724
780
837
893
949 1006 1062 1119 1175 1231 1288 1344 1401 1457 1513 1570 1626 1682
37
512
568
624
680
737
793
849
905
961 1018 1074 1130 1186 1242 1299 1355 1411 1467 1523 1580 1636
38
468
525
581
637
693
749
805
861
917
973 1029 1085 1141 1197 1253 1309 1365 1421 1477 1533 1589
39
425
481
537
593
649
704
760
816
872
928
984 1040 1095 1151 1207 1263 1319 1375 1430 1486 1542
40
381
437
493
549
604
660
716
771
827
883
938
994 1050 1105 1161 1217 1272 1328 1384 1439 1495
Tab. 7.5.- Densità dell’aria (ρ/(kg/m3)−1)×104 a 60% di umidità relativa in funzione della
temperatura e della pressione (950−1050 hPa). A 15 °C, 1015 hPa: ρ = 1.2230 kg/m3.
80
8. LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA
1. L’energia radiante
L’energia H può essere trasferita attraverso lo spazio per mezzo di onde
elettromagnetiche, caratterizzate da lunghezza d’onda λ, frequenza ν e velocità di
propagazione c = λν. Si assume che la velocità “della luce” nel vuoto sia una
costante universale co; nei mezzi densi c < co, per cui la direzione di propagazione
delle onde nella materia è soggetta alla rifrazione. Con riferimento ad un elemento
di superficie individuato dal vettore normale
dS, definiamo radiazione direzionale (Rr)
l’energia emessa nella direzione r per unità di
superficie e per unità di angolo solido dω =
(dA)/r2 = dϑ senϑ dϕ :
dH
Rr =
;
(8.1)
dS dω
definiamo radiazione (emisferica) R la
radiazione emessa in tutto il semispazio
indicato da dS positivo:
2π
π 2
dH
R=
= ∫ Rr dω = ∫ dϕ ∫ Rr sen ϑ dϑ . (8.2)
0
0
dS
Se la sorgente è isotropa, allora
Fig. 8.1.- Radianza.
Rr = Ro cos ϑ ,
(8.3)
dove Ro è la radiazione emessa nella direzione
normale alla superficie; integrando la (8.2), la radiazione emisferica diventa:
(8.4)
R = π Ro ,
La derivata rispetto al tempo della radiazione prende il nome di radianza,
rispettivamente direzionale ed emisferica, e le (8.1, 8.4) diventano:
dRr
dH
Lr =
=
;
L = π Lo .
(8.5)
dt
dS dω dt
L’energia e la potenza incidenti su di una superficie da un emisfero prendono il
nome rispettivamente di irradiazione (E) e di irradianza (I).
Possiamo infine definire le corrispondenti grandezze spettrali, cioè per unità di
lunghezza d’onda oppure per unità di frequenza:
dL
dL
Lλ ≡
,
Lν ≡
, , …. ecc.
(8.6)
dλ
dν
2. Il corpo nero
Fig. 8.2.- Il corpo nero è un perfetto
assorbitore ed emettitore di radiazione.
Un
oggetto
capace
di
assorbire
completamente l’energia elettromagnetica
incidente, quindi privo di riflessione (albedo
nulla), è detto corpo nero. Un corpo nero è
anche un “radiatore” perfetto. Per rendersene
conto
basta
considerare
uno
spazio
termicamente isolato: al suo interno la
temperatura si mantiene costante ed uguale a
quella di tutti gli oggetti presenti. Se uno di
questi è un corpo nero, assorbe per definizione
tutta la radiazione incidente, che deve
riemettere per non aumentare la sua
81
grandezza
temperatura termodinamica
lunghezza d’onda
frequenza
velocità delle onde e.m.
velocità della luce nel vuoto
radiazione (direzionale) normale
radiazione
irradiazione
radianza (direzionale) normale
radianza
irradianza
costante di Planck
costante di Boltzmann
costante di Stefan Boltzmann
costante di Wien
raggio solare medio
raggio terrestre medio
unità astronomica
distanza media Sole-Terra
valore numerico
T
λ
ν
c=λν
c
co
Ro
R
E
Lo
L
I
h
k
2.997 924 58 ×108
R=πRo
L=πLo
σ
b
rs
r
AU
d d=1 AU
6.626 069×10–34
1.380 651×10–23
5.670 40×10–8
2.897 769×10–3
6.960×108
6.373×103
1.495 978 706 91×1011
unità SI
K
m
Hz, s–1
m/s
m/s
J.m–2sr –1
J/m2
J/m2
W.m–2sr –1
W/m2
W/m2
J.s
J/K
W.m–2.K–4
m.K
m
m
m
Tab. 8.1.- Grandezze e costanti relative alla radiazione ed al corpo nero.
temperatura. In natura possono esistere solo approssimazioni del corpo nero; il
nerofumo, ad esempio, lo approssima al 99%.
L’emissione del corpo nero è isotropa e funzione della temperatura; la sua
radianza emisferica spettrale è espressa dalla funzione di Planck:
−1
ch

dH
hc 2 
Lλ (T ) ≡
= 2π 5  e kλT − 1  .
(8.7)
dS dt dλ
λ 

Le costanti sono elencate nella tab. 8.1. Integrando la (8.7) su tutto lo spettro si
ottiene la formula di Stefan-Boltzmann per la radianza emisferica:
L (T ) =
∫
∞
0
Lλ (T ) dλ = σ T 4 .
Fig. 8.3.- Irradianza solare spettrale di Planck sulla Terra: totale 1367 W/m2.
82
(8.8)
La funzione (8.7) di Planck ha una forma del tipo rappresentato nella fig. 8.3;
l’integrale sulla lunghezza d’onda (8.8) rappresenta la potenza complessiva
irradiata dall’unità di superficie del corpo nero, alla temperatura assoluta T, verso
un emisfero. Derivando la (8.7) si ottiene la lunghezza d’onda di massima radianza
spettrale, espressa dalla formula di Wien:
λx = b /T ;
(8.9)
aumentando la temperatura il massimo della radianza spettrale si sposta verso le
lunghezze d’onda minori.
3. L’attività solare
Il Sole rappresenta per lo spazio ordinario una sorgente di energia sotto forma di
onde elettromagnetiche, e di materia con un flusso di particelle detto “vento solare”.
Ruota attorno ad un asse inclinato di 7.25° sull’eclittica in senso antiorario (visto
dal nord), come un corpo semi-rigido e con un periodo di circa 26 giorni all’equatore,
che si allunga a circa 36 verso i poli.
Fig. 8.4.- Ciclo magnetico solare di 22 anni; il massimo delle macchie coincide con le fasi di
inversione del campo.
Fig. 8.5.- Andamento del numero annuale di macchie solari e numerazione dei cicli undecennali.
Le macchie si concentrano nella fascia di latitudine ±30°: con l’avanzare del ciclo si avvicinano
all’equatore solare. Il campo magnetico solare segue un ciclo di 22 anni.
83
Il Sole possiede un campo magnetico
che si inverte con un periodo di circa
22 anni (fig. 8.4). Le linee di forza,
inizialmente meridiane, cominciano a
deformarsi per la diversa rotazione
zonale e tendono ad allinearsi ai
paralleli; si formano dei “cappi” sul
piano verticale che, nei punti di
intersezione con la superficie, formano
macchie scure delle dimensioni di un
Fig. 8.6.- Macchie solari osservate il giorno 8
dicembre 1128 descritte nelle “Cronache” di John of pianeta, ben visibili da Terra. Le
Worcester.
macchie solari sono state notate sin
dall’antichità; in occidente la prima
segnalazione conosciuta è quella
riportata nelle “Cronache” di John of
Worcester (fig 8.4). Osservazioni
sistematiche sono iniziate nel XVII
secolo ad opera di Thomas Harriott (8
dicembre 1610: prima descrizione
documentata
di
osservazioni
di
macchie solari al telescopio), di Johann
Goldsmid (“Fabricius”) (De maculis in
sole observatis, 1611) e di Christoph
Scheiner, che fece le sue prime
osservazioni nel marzo 1611 (Tres
epistolae de maculis solaribus, 1612) e
le continuò per 15 anni (Rosa Ursina,
sive sol ex admirando facularum &
macularum
suarum
phaenomeno
varius, 1630; fig. 8.7). Galileo Galilei,
nella sua Istoria e dimostrazioni
intorno alle macchie solari (1613) le
interpretò correttamente come segni
Fig. 8.7.- Elioscopio di Scheiner (da: Rosa ursina,
sulla superficie solare. Poco dopo la
1630) per l’osservazione delle macchie solari.
loro scoperta, le macchie solari di fatto
scomparvero per un lungo periodo, dal
n
inizio
n
inizio
n
inizio
1
MAR 1755
9
LUG 1843
17
SET 1933
1645 al 1715, in seguito chiamato ed
2
GIU 1766
10
DEC 1855
18
FEB 1944
ora noto come “minimo di Maunder”;
3
GIU 1775
11
MAR 1867
19
APR 1954
l’attività è poi ripresa, e con essa le
4
SET 1784
12
DEC 1878
20
OTT 1964
5
MAG 1798
13
MAR 1890
21
GIU 1976
osservazioni, sempre più accurate. Nel
6
DEC 1810
14
FEB 1902
22
SET 1986
1843 Heinrich Schwabe mise in
7
MAG 1823
15
AGO 1913
23
MAG 1996
8
NOV 1833
16
AGO 1923
24
2007
evidenza la periodicità delle macchie;
nel 1858 Rudolf Wolf propose una
Tab. 8.2.- Numerazione ed inizio dei cicli solari.
formula per il conteggio del loro
numero giornaliero. Nel 1904 Maunder trovò la deriva in latitudine (diagramma a
farfalla, fig. 8.5): le macchie appaiono verso i 35° nord e sud e, con il progredire del
ciclo, si spostano verso l’equatore solare. Nel 1922 Hale (ed altri) scopersero il ciclo
magnetico di 22 anni; in fase con l’inversione magnetica, ogni 11 anni, si ha il
culmine dell’attività solare evidenziata dalle macchie. I cicli solari sono stati
numerati a partire da quello culminato nel 1761 (fig. 8.5, tab. 8.2).
84
Fig. 8.8.- Misure della “costante solare” TSI(1 AU) da satellite
(cicli solari 21-23).
4. L’irradianza solare
L’irradianza di onda corta
Is che il Sole invia sulla
superficie normale ai raggi
alla distanza media TerraSole (d=1 AU) è nota come
costante solare. Può essere
misurata
al
suolo
ed
estrapolata
al
di
fuori
dell’atmosfera terrestre (a
percorso ottico nullo); le
misure
effettuate
con
radiometri montati su diversi
satelliti a partire dal 1978
hanno permesso di ricavare
con maggior accuratezza e con
buona precisione il valor medio:
Is = 1367 ± 7 W/m2 ;
(8.10)
è stata inoltre evidenziata la variabilità ad alta frequenza di questa “costante” (fig.
8.8), e la presenza di un ciclo undecennale in fase con il ciclo delle macchie solari.
Attualmente Is è chiamata in maniera più appropriata irradianza solare totale
(TSI). Anche se le macchie, circa 1500 K più fredde della fotosfera, sono zone di
scarsa radianza, l’aumento di TSI è comunque garantito, durante i periodi di
massima attività, dalla presenza di brillamenti e di emissioni dalla corona solare; la
modulazione undecennale della TSI si mantiene comunque entro ± 1 W/m2.
L’irradianza solare sulla superficie terrestre
arriva dall’angolo solido sotteso dal disco
solare (componente diretta Io sulla superficie
normale ai raggi solari) e dal resto
dell’emisfero zenitale (componente diffusa Id);
si definisce l’irradianza solare globale:
Ig = Io senα + Id .
(8.11)
L’irradianza diretta Io dipende dalla lunghezza
del
percorso
ottico
dei
raggi
solari
nell’atmosfera, che si allunga al diminuire
Fig. 8.9.- Irradianza solare diretta e
dall’elevazione α del Sole sull’orizzonte, e
diffusa al suolo.
dalla trasparenza dell’aria. L’irradianza
diffusa dalla volta celeste cresce all’aumentare del contenuto di aerosol nell’aria.
Grazie alla teoria del corpo nero ed all’unica misura (8.10) possiamo ottenere
molte informazioni utili sulla radiazione solare. La potenza radiante emessa dalla
superficie del Sole, di raggio rs, si ritrova, in mancanza di assorbimento nello spazio
interposto, sulla superficie sferica di raggio d dove arriva dopo un tempo d/c = 499 s
=8.31 min:
4π rs2 Ls = 4π d2 Is ,
Ls = (d/rs)2 Is = 6.316×107 W/m2 .
(8.12)
Alla radianza superficiale della fotosfera solare (8.12) corrispondono, per le (8.8,
8.9), una temperatura di corpo nero Ts = 5777 K ed una lunghezza d’onda di picco di
502 nm, nella banda visibile (verde-blu). La distribuzione spettrale della radianza
solare, calcolata con la funzione di Planck per Ts, può essere nuovamente ridotta con
il rapporto (rs/d)2 all’irradianza solare spettrale incidente sulla Terra avente come
85
integrale la (8.10). La distribuzione spettrale della costante solare è rappresentata
nella fig. 8.3; la curva teorica di Planck è in effetti un’ottima interpolazione dello
spettro solare reale.
La radiazione solare è centrata nella banda visibile; meglio, gli organismi
terrestri hanno adattato la visione in modo da sfruttare lo spettro solare. La banda
compresa tra 400 e 700 nm, utilizzata per la fotosintesi, è detta banda PAR
(photosynthetically active radiation); l’irradianza PAR è pari a circa il 37% della
costante solare.
Fig. 8.10.- Bilancio radiativo della Terra.
5. Il bilancio radiativo della Terra
In condizioni di equilibrio termico la Terra deve emettere nello spazio l’energia
che riceve dal Sole. La potenza radiante solare intercettata dalla Terra è quella
compresa nel suo cono d’ombra di sezione π r2 (fig. 8.10); una parte della radianza
intercettata è immediatamente riflessa, rendendo la Terra visibile dallo spazio (fig.
1.1), e quindi non disponibile. La potenza totale uscente è pari alla radianza
terrestre Lt integrata su tutta la superficie del pianeta; all’equilibrio:
π r 2 I s (1 − α ) = 4 π r 2 Lt ,
(8.13)
1
Lt = (1 − α ) I s .
(8.14)
4
La radianza terrestre (8.14) è quindi uguale ad
un quarto (media notte-giorno sulla superficie
orizzontale) dell’irradianza solare trattenuta
dopo la riflessione, della quale tiene conto il
coefficiente α detto albedo planetaria. Il potere
riflettente o albedo di una superficie dipende
dalle sue caratteristiche ottiche e dall’angolo di
incidenza dei raggi solari: è compreso tra 0
(corpo nero) ed 1 (“bianco” perfetto). L’albedo
della superficie terrestre è estremamente
variabile, minore per il mare o per una foresta,
maggiore per un deserto, massima per un
suolo innevato. L’albedo planetaria, ovvero
riferita al disco terrestre nel suo complesso, è
Fig. 8.11.- Variazione della temperatura
variabile con le stagioni ed aumenta
terrestre di emissione con lo scostamento
dell’albedo planetaria dal valor medio
particolarmente con la copertura nuvolosa; si
α = 0.3.
può considerare un valore medio α = 0.3, in
86
corrispondenza del quale risulta (8.14) una radianza terrestre
Lt = 239 W/m2 ,
(8.15)
pari a quella di un corpo nero alla temperatura di 255 K (-18.3 °C) che emette nel
lontano infrarosso con il picco a 11.37 µm. Lo spettro di emissione della Terra è
quindi ben separato, sull’asse della lunghezza d’onda, da quello solare: il primo è
detto infatti di onda lunga, il secondo di onda corta.
E’ bene mettere in evidenza il ruolo dell’albedo planetaria nella regolazione della
temperatura terrestre. Dalle (8.8, 8.14) si ha:
1/ 4
 I

(8.16)
Tt =  s (1 − α )
;
 4σ

la variazione della temperatura “superficiale” per valori di α tra 0.1 e 0.5 è riportata
nella fig. 8.11. Si nota che una variazione dell’albedo pari a 0.01, che potrebbe
essere dovuta per esempio ad una variazione dell’ 1% della copertura nuvolosa,
sposta l’equilibrio termico di 1 °C.
6. Il ruolo dell’atmosfera terrestre
Nel paragrafo precedente si è visto che la Terra è in equilibrio termico con una
radianza di onda lunga in uscita verso lo spazio (8.14) uguale all’irradianza media
solare di onda corta in ingresso: 239 W/m2 per un valore medio dell’albedo
planetaria α = 30%. La variazione di un punto percentuale dell’albedo dalla media
cambia il flusso di 3.4 W/m2 e la temperatura efficace di emissione di 1 K. La
temperatura di radiazione di corpo nero (8.16) trovata per la Terra (255 K = −18 °C)
corrisponde alla temperatura media di una superficie collocata ad un’altezza di circa
5 km nella troposfera, dove il gradiente termico verticale è di −6.5 °C/km; la
temperatura media al suolo è stimata attorno a 15 °C (288 K), valore al quale
corrisponde una radianza (8.8) di 386 W/m2 con picco a 10.06 µm. La presenza di
un’atmosfera svolge perciò un ruolo fondamentale per quanto riguarda la
definizione della temperatura al suolo di un pianeta, per mezzo di scambi radiativi
funzione delle specie di gas costituenti.
pianeta
d /AU
Mercurio
Venere
Terra
Marte
0.387
0.723
1.000
1.524
vol.
H2O
−
2×10−5
~0.01
3×10−4
fraz.
CO2
−
0.965
4×10−4
0.957
p/
albedo Is /
L/
Tbb /°C
T /°C
∆T /°C
atm
(W/m2) (W/m2) (corpo nero) al suolo atmosfera
α
0
0.06 9123 2144
168
168
0
92
0.78 2613
144
464
513
−49
1
0.30 1367
239
15
33
−18
0.008 0.17
589
122
5
−58
−53
Tab. 8.3.- Effetto termico delle atmosfere planetarie: distanza media dal Sole d, principali gas serra e
pressione al suolo, albedo, costante solare Is, temperatura radiante di corpo nero Tbb, temperatura
osservata al suolo T, incremento termico atmosferico o “effetto serra” ∆T.
La tab. 8.3 confronta il ruolo termico dell’atmosfera dei primi quattro pianeti. Le
costanti solari Is sono funzione della distanza media d dal Sole, qui espressa in
unità astronomiche; l’equilibrio radiativo (8.14), con radianza uscente L funzione
dell’albedo planetaria α e la formula di Stefan-Boltzman (8.8) permettono di
calcolare la temperatura di corpo nero equivalente Tbb (8.16). La presenza
dell’atmosfera innalza la temperatura al suolo sino al valore osservato T = Tbb + ∆T.
Mercurio non ha atmosfera, e la sua temperatura al suolo è quella prevista
dall’equilibrio radiativo. Venere, con un’albedo del 78%, è in equilibrio a −49 °C: ha
però un’atmosfera estremamente densa (la pressione al suolo è 92 volte quella
terrestre) prevalentemente composta di anidride carbonica che incrementa la
87
temperatura al suolo di 513 °C. L’atmosfera di Marte, simile a quella di Venere ma
estremamente rarefatta, ha un effetto di soli 5 °C. L’effetto termico atmosferico è
tradizionalmente (e impropriamente) noto come “effetto serra”.
Fig. 8.12.- Trasparenza spettrale dell’atmosfera terrestre alle onde elettromagnetiche.
L’atmosfera terrestre si comporta, nei confronti delle onde elettromagnetiche che
l’attraversano, in maniera molto selettiva (fig. 8.12). Le onde più corte (raggi γ,
raggi x, ultravioletto) praticamente non arrivano al suolo; risulta bloccato pure
l’infrarosso
lontano
verso le microonde (30
µm − 5 mm) e le onde
radio oltre i 20 m. In
questi
intervalli,
i
segnali
provenienti
dallo spazio possono
essere osservati solo
dai satelliti.
La trasparenza dell’
atmosfera
è
invece
buona per lo spettro
solare,
per
alcune
“finestre” nell’infrarosso e per le onde radio
tra 2 cm e 20 m.
La fig. 8.13 (in alto)
illustra
lo
spettro
dell’irradianza
solare
Isλ al di fuori dell’
atmosfera (TSI = 1367
W/m2) e lo spettro di
Planck per 5777 K; le
curve
dell’irradianza
diretta,
diffusa
e
globale al suolo (Io, Id,
Ig; 8.11) sono calcolate
alla
latitudine
di
Fig. 8.13.- Distribuzione spettrale dell’irradianza solare calcolata per Trieste (45.6° 39’ N) e
si riferiscono alle ore 12
Trieste, con cielo sereno, al solstizio d’estate. Sopra: aria secca,
irradianza solare totale Is (TSI), irradianza diretta, diffusa e globale
del solstizio estivo (21
al suolo (Io, Id, Ig). Centro: confronto tra l’irradianza globale al suolo
giugno, Sole a 67.81°
per un’atmosfera secca e satura di vapor d’acqua. Sotto: trasmissione
sull’orizzonte),
in
percentuale dell’atmosfera satura: 0% corrisponde all’assorbimento
condizioni
di
cielo
totale da parte delle molecole di H2O.
88
Fig. 8.14.- Vibrazioni della molecola d’acqua.
Fig. 8.15.- Trasparenza spettrale del vapor d’acqua
e dell’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre.
gas serra
acqua
anidride carbonica
metano
clorofluorocarburi
ozono
protossido d'azoto
vol. fraz. contributo ∆T /°C
78%
26
~1 ×10−2
12%
4
3.8×10−4
4%
1.3
1.8×10−6
3%
1.0
3 ×10−10
−8
2%
0.7
3.4×10
1%
0.3
3.2×10−7
Tab. 8.4.- Gas serra nell’atmosfera terrestre: volumi
frazionari e contributo all’effetto complessivo.
Fig. 8.16.- Flussi medi di potenza sulla superficie
terrestre orizzontale (W/m2); scambi interni tra il
suolo e l’atmosfera (C convezione, EV
evapotraspirazione).
sereno, temperatura e pressione al
suolo 25 °C e 1015 hPa, visibilità 25
km, aria secca. Il grafico al centro
mette a confronto l’irradianza solare
globale al suolo, nelle stesse condizioni
di cui sopra (U=0%), con quella
calcolata per un’atmosfera satura di
umidità (U=100%, pari a 53 mm di
acqua precipitabile); il grafico in basso
rappresenta il rapporto Ig(0%)/Ig(100%)
ed evidenzia le bande di assorbimento
del vapor d’acqua.
Un gas atmosferico agisce come un
gas serra se ha la proprietà di
assorbire, e quindi di emettere, le onde
lunghe radiate dal suolo. Ad esempio
una molecola d’acqua interagisce con
le lunghezze d’onda infrarosse tramite
vibrazioni che interessano i legami
covalenti
H-O
(allungamento
simmetrico e asimmetrico, oscillazioni
angolari) ed oscillazioni attorno agli
assi molecolari x,y,z (fig. 8.14). Il caso
di Venere e Marte (tab. 8.3) mostra che
anche l’anidride carbonica è un gas
serra; la fig. 8.15 rappresenta la
trasmissione selettiva del vapore
acqueo e della CO2 nell’atmosfera
terrestre.
7. L’effetto “serra”
Le serre usate nelle colture
mantengono al loro interno una
temperatura
elevata,
anche
usufruendo della sola luce solare (serre
“fredde”). Il vetro trasmette bene le
lunghezze tra 300 e 2000 nm, ed è
alquanto più opaco al di fuori di questo
intervallo; l’ingresso delle onde corte è
perciò favorito rispetto all’uscita delle
onde lunghe, ed un po’ di energia resta
così intrappolata. L’effetto maggiore,
ai fini del riscaldamento interno, è
però dovuto a quello che il nome stesso
significa: l’aria interna è racchiusa,
separata dal resto dell’atmosfera, e
non può dissipare calore con la
ventilazione o la convezione naturale.
Nell’atmosfera invece esiste un efficace
trasporto turbolento di calore, sia
89
orizzontale che verticale; l’incremento di calore al suolo è dovuto al fatto che i gas
“serra” assorbono la radianza terrestre uscente e la riemettono in modo isotropo:
parte di essa ritorna quindi alla superficie. L’effetto serra dell’atmosfera terrestre
non è una trovata recente: è stato messo in evidenza, e così definito, nel 1807 da
Jean Baptiste Joseph, barone de Fourier. Nel 1858 John Tyndall studiò
sperimentalmente l’assorbimento degli infrarossi da parte del vapor d’acqua e della
CO2, e giudicò che fosse l’acqua il principale gas serra atmosferico; nel 1896 Svante
Arrhenius produsse un’ampia nota scientifica sulla radiazione atmosferica. In
conclusione, anche se l’analogia tra l’atmosfera e la serra del giardiniere è valida
più per l’effetto che per il meccanismo, la denominazione è ormai tradizionale e di
dominio pubblico e sarebbe illogico cambiarla.
I principali gas serra presenti nell’atmosfera terrestre sono elencati nella tab. 8.4:
sono riportati i corrispondenti volumi frazionari e la stima del relativo contributo, in
percentuale ed in gradi Celsius, all’effetto serra complessivo che, come si è visto
(tab. 8.3), produce un innalzamento termico al suolo di 33 °C.
La fig. 8.16 propone uno schema del bilancio radiativo mediato dall’atmosfera
terrestre, che riassume tutti i fatti sinora esposti.
Onde corte solari. L’irradianza media notte/giorno in arrivo (TSI/4 = 342 W/m2)
viene parzialmente riflessa dall’albedo planetaria: 68 W/m2 dalle nubi, 21 W/m2
dall’atmosfera e 14 W/m2 dal suolo. Rimangono 239 W/m2, dei quali 69 W/m2 sono
assorbiti dall’atmosfera e 170 W/m2 arrivano a riscaldare la superficie (mare e
terra).
Onde lunghe terrestri. Il suolo radia 386 W/m2: 40 W/m2 passano direttamente
nello spazio attraverso una finestra atmosferica nell’infrarosso e 346 W/m2
rimangono a riscaldare l’atmosfera, che riemette radianza sia verso lo spazio (199
W/m2) che verso il suolo (320 W/m2). Complessivamente il suolo riceve 490 W/m2:
l’eccesso di energia è ceduto all’atmosfera sotto forma di calore sensibile, per
convezione (24 W/m2) e tramite i processi di evapotraspirazione (80 W/m2).
L’equilibrio termico della Terra può subire variazioni essenzialmente per tre
cause: (i) variazioni dell’energia solare in ingresso, dovute a variazione della TSI o
dell’albedo (variazioni della copertura nuvolosa e variazioni dell’albedo del suolo:
copertura delle grandi foreste, dei deserti, delle superfici innevate, ecc.); (ii)
variazione dei gas serra (umidità, CO2, …) e ridistribuzione della radiazione
atmosferica; (iii) variazioni importanti del flusso di calore terrestre, normalmente
trascurabile (0.8 W/m2).
Naturalmente l’equilibrio energetico medio valido a scala planetaria non è più
soddisfatto a livello locale ed in funzione del tempo. In generale la Terra fluida
(oceano ed atmosfera) cerca di ridistribuire l’energia fornita dal motore termico
solare dalla zona equatoriale alle medie e alte latitudini tramite l’instaurazione ed
il mantenimento di una circolazione appropriata.
90
Il sistema internazionale (SI) di unità di misura
Definizioni
Una grandezza fisica è una proprietà attribuibile ad un fenomeno, corpo o
sostanza che può essere misurata ed usata nelle equazioni matematiche.
Una unità è una particolare grandezza fisica, definita ed adottata per
convenzione, che viene confrontata con grandezze dello stesso tipo per esprimerne il
valore.
Il valore di una grandezza fisica è l’espressione quantitativa data dal prodotto
dell’unità ad essa omogenea per un numero, detto il suo valore numerico.
Ad esempio, considerata la grandezza fisica lunghezza (simbolo: h) e la corrispondente unità
convenzionale “metro” (simbolo: m), scrivendo:
h = 3.1 m ,
il “valore” di h è 3.1 m, il suo “valore numerico”, funzione dell’unità di misura, è 3.1.
Unità SI fondamentali
Il sistema internazionale (SI), definito nel 1960 nel corso dell’11a Conferenza
Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM), si basa su sette grandezze fisiche
fondamentali, tra loro indipendenti per ipotesi, elencate nella tab. 1 con le
corrispondenti unità.
Unità SI fondamentali
grandezza
lunghezza
massa
tempo
corrente elettrica
temperatura termodinamica
quantità di sostanza
intensità luminosa
Tab. 1
unità
nome
simbolo
metro
m
chilogrammo
kg
secondo
s
ampere
A
kelvin
K
mole
mol
candela
cd
Le attuali definizioni delle unità di misura fondamentali sono le seguenti:
• il metro è la lunghezza del percorso effettuato dalla
luce nel vuoto nell’intervallo di tempo pari a
1/299 792 458 s;
• il chilogrammo è la massa del campione in platinoiridio conservato all’Ufficio Internazionale di Pesi e
Misure di Parigi (fig. 1);
• il secondo è la durata di 9 192 631 770 periodi della
radiazione corrispondente alla transizione tra due
livelli iperfini dello stato base dell’atomo di cesio
133;
• l’ampere è la corrente continua che, se mantenuta in
due conduttori paralleli di lunghezza infinita e di
sezione trascurabile, posti alla distanza di 1 m nel
vuoto, produce tra di essi una forza pari a 2×10−7
Fig. 1.- Il chilogrammo
newton per metro di lunghezza;
campione di Parigi.
• il kelvin è la frazione 1/273.16 della temperatura
termodinamica del punto triplo dell’acqua;
91
•
•
la mole è la quantità di sostanza di un sistema che contiene un numero di entità
elementari (da specificare di volta in volta) pari al numero di atomi presenti in
0.012 kg di carbonio 12 e pari a 10−3 NA (dove NA = 6.022 169×1026 kmol−1 è il
numero di Avogadro);
la candela è l’intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che
emette radiazione monocromatica alla frequenza di 540×1012 hertz con
un’intensità di 1/683 watt per steradiante.
Le grandezze fondamentali sono state mantenute per motivi storici, anche se le
attuali definizioni renderebbero più logiche scelte diverse.
Unità SI derivate
La tab. 2 elenca alcune delle grandezze SI, derivate da quelle fondamentali, di
maggiore importanza ed aventi nome e simbolo proprio.
grandezza
Unità SI derivate con nomi speciali
unità
nome
simbolo
frequenza
forza
pressione, sforzo
energia, lavoro, quantità di calore
potenza
quantità di elettricità, carica elettrica
potenziale elettrico
capacità
resistenza elettrica
conduttanza (conducibilità) elettrica
flusso magnetico
densità di flusso magnetico
induttanza
temperatura Celsius
angolo piano
angolo solido
hertz
newton
pascal
joule
watt
coulomb
volt
farad
ohm
siemens
weber
tesla
henry
grado Celsius
radiante
steradiante
Tab. 2
Hz
N
Pa
J
W
C
V
F
Ω
S
Wb
T
H
°C
rad
sr
espressione
in altre
in unità
unità fondamentali
s−1
m.kg.s−2
N/m2
m−1.kg.s−2
N.m
m2.kg.s−2
J/s
m2.kg.s−3
s.A
W/A
m2.kg.s−3.A−1
C/V
m−2.kg−1.s4.A2
V/A
m2.kg.s−3.A−2
1/Ω
m−2.kg−1.s3.A2
V.s
m2.kg.s−2.A−1
2
Wb/m
kg.s−2.A−1
Wb/A
m2.kg.s−2.A−2
K
m.m−1
m2.m−2
La temperatura termodinamica (unità: kelvin, simbolo K) è normalmente
indicata con T; la temperatura Celsius (unità: grado Celsius, simbolo °C),
normalmente indicata con ϑ (dal momento che t è usualmente riservato al tempo) è
data da:
ϑ = T − To ;
To = 273.15 K .
Un conduttore di elettricità è caratterizzato dalla resistenza elettrica R o dalla
proprietà inversa, detta conduttanza G = 1/R (tab. 2). La resistenza è proporzionale
alla lunghezza l del conduttore ed inversamente proporzionale alla sua sezione S
(R = ρ l/S); il coefficiente di proporzionalità ρ = R S/l è detto resistenza elettrica
specifica o resistività (unità di misura: ohm per metro, Ω.m). La conduttanza si può
dunque esprimere come G = C S/l, dove C = 1/ρ = G l/S è la conducibilità elettrica
specifica o conduttività (unità di misura: siemens al metro, S/m).
92
Unità in uso nel SI
grandezza
tempo
angolo piano
massa
Unità in uso con il SI
nome
simbolo espressione in unità SI
minuto
min
1 min = 60 s
ora
h
1 h = 60 min =3600 s
giorno
d
1 d = 24 h = 86400 s
anno (*)
a
1 a ≅ 365.25 d
grado
°
1° = (π/180) rad
minuto
'
1' = (1/60)° = (π/10800) rad
secondo
"
1" = (1/60)' = (π/648000) rad
tonnellata
t
1 t = 103 kg
Tab. 3
La tab. 3 elenca un insieme di unità, non facenti parte del SI, ma in uso con esso.
Per quanto riguarda il tempo, l’unità “mese”, di durata variabile, è usata solo in
termini colloquiali. (*) L’anno (simbolo: a, non y, yr ecc.) deve eventualmente essere
precisato come anno tropico (l’intervallo tra due ritorni del Sole allo stesso punto
equinoziale), sidereo (una rivoluzione della Terra attorno al Sole rispetto alle “stelle
fisse” o anomalistico (intervallo tra due ritorni del Sole al perigeo, o della Terra al
perielio), rispettivamente pari a:
1 at = 365.242 198 8 d = 31 556 925.98 s ,
1 as = 365.256 360 4 d = 31 558 149.54 s ,
1 aa = 365.259 641 3 d = 31 558 433.01 s .
Si definisce inoltre il secolo giuliano, pari a 36,525 d. La differenza tra l’anno
sidereo e quello tropico definisce la precessione degli equinozi, all’incirca 1° in 71.6
anni (periodo 25,791 at).
Unità obsolete
La tab. 4 riporta unità obsolete o da abbandonare. In particolare il "litro" è stato
abbandonato come unità di misura di volume in quanto legato alla densità
dell'acqua; vista la notorietà del nome può essere ancora usato, ma come sinonimo
di “decimetro cubo” e con simbolo scritto in maiuscolo per evitare confusioni con il
numero uno.
grandezza
lunghezza
velocità
volume
forza, peso
pressione
energia
Unità da abbandonare
nome
simbolo
miglio nautico
nodo
knot
litro
L
chilogrammo forza
kgf
bar
bar
atmosfera standard
atm
millimetro di mercurio convenzionale
mmHg
pound-force/square inch
psi
caloria a 15 °C
cal15
caloria internazionale
calIT
caloria termochimica
calth
Tab. 4
espressione in unità SI
1 miglio nautico = 1852 m
1 knot = 1852 m/h = 0.5144 m/s
1 L = 1 dm3 = 10−3 m3
1 kgf = 9.806 65 N
1 bar = 105 Pa
1 atm = 101 325 Pa
1 mmHg = 1.333 228 7 hPa
1 psi = 68.947 57 hPa
1 cal15 = 4.1855 J
1 calIT = 4.1868 J
1 calth = 4.184 J
Il chilogrammo forza è definito in funzione della gravità standard go = 9.80665
m/s2; il millimetro di mercurio convenzionale è definito dalla formula di Stevino in
base alla densità del mercurio (Hg) a 0 °C ρHg(0) = 13,595.1 kg/m3 ed alla gravità
standard: 1 mmHg = ρHg(0).go.(1 mm).
93
Prefissi
Le unità di misura possono essere accompagnate da prefissi che le moltiplicano
per una potenza di dieci, come indicato nella tab. 5. E’ opportuno che l’uso dei
prefissi meno noti sia accompagnato da una nota esplicativa.
fattore
10−1
10−2
10−3
10−6
10−9
10−12
10−15
10−18
10−21
10−24
nome
deci
centi
milli
micro
nano
pico
femto
atto
zepto
yocto
Prefissi SI
simbolo fattore
d
101
c
102
m
103
µ
106
n
109
p
1012
f
1015
a
1018
z
1021
y
1024
Tab. 5
nome
deca
etto
chilo
mega
giga
tera
peta
exa
zetta
yotta
simbolo
da
h
k
M
G
T
P
E
Z
Y
Per evitare confusione tra prefissi ed unità di misura, le unità derivate sono
combinate tra loro con i simboli di moltiplicazione, divisione, elevazione a potenza;
ad esempio m.s−1 = m/s (metro al secondo) è diverso da ms−1 (inverso di
millisecondo).
Conversioni
La conversione tra unità di misura viene effettuata semplicemente sostituendo
ad una unità la sua espressione in funzione di unità alternative:
1 m/s = (10−3 km)/((1/3600) h) = 3.6 km/h ,
1.96 calIT.cm min−1 = (1.96×4.1868 J)(0.01 m)−2/(60 s) = 1368 W/m2 ,
1 kgf/cm2 = (1 kg).(9.80665 m/s2)/(10−4 m2) = 98066.5 Pa = 0.967841 atm
−2.
Regole di stile
Alcune semplici regole di stile richiedono che le unità di misura vengano scritte
così come sono definite (senza abbreviazioni, segni di plurale tipo “s” in inglese,
punteggiature finali ecc.) in caratteri romani (“diritto”). I simboli che denotano
grandezze fisiche devono invece essere scritti in corsivo:
h = 3.1 m e non: h = 3.1 m, h = 3.1 m .
Per quanto riguarda le etichette nei grafici e nelle tabelle, bisogna tener presente
che vengono descritti valori numerici, e che questi derivano dal rapporto tra una
grandezza fisica e la corrispondente unità di misura; l’indicazione corretta è quindi:
temperatura /°C , velocità /(m/s) , profondità /m ,
ϑ /°C ,
v /(m/s),
z /m ,
ecc., e non:
temperatura (°C) , velocità (m/s) , profondità (m) ,
o altro.
94
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