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Fisica dell Fisica dell`oceano e dell`atmosfera
N. 145 Rapporti OM Franco Stravisi Fisica dell’ dell’oceano e dell’ dell’atmosfera Trieste 2011 11/6 Revisione 6 (6/10/2011) INDICE IDROLOGIA L'acqua sulla Terra I bacini oceanici L'acqua di mare Le grandezze fisiche convenzionali L'equazione di stato Caratteristiche termoaline medie degli oceani Variazioni termoaline con la profondità Tipi d’acqua e diagrammi ϑ -S Gas disciolti nel mare La propagazione del suono nel mare 5 5 7 10 11 13 15 19 20 22 24 IDRODINAMICA Introduzione Campi scalari e vettoriali. Variabili euleriane, lagrangiane e derivata totale Le equazioni del moto L'equazione di continuità La conservazione della quantità di moto ed il campo di forza 7. I fluidi geofisici 8. Approssimazioni delle equazioni del moto 28 28 28 30 30 31 32 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. CORRENTI Introduzione L'equilibrio geostrofico La corrente inerziale La corrente di gradiente La corrente ciclostrofica Decadimento della corrente per effetto dell'attrito La corrente di deriva Esempi 38 38 38 39 39 40 40 41 41 1. 2. 3. 4. 5. 6. ONDE Onde gravitazionali Onde progressive e onde stazionarie Onde all’interfaccia mare-aria Onde corte Onde lunghe Esempi 43 43 43 44 46 48 48 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. ONDE LUNGHE Dinamica a scala di bacino Sistema di riferimento ed equazioni del moto Integrazione verticale Le equazioni di “storm surge” Oscillazioni libere o sesse Effetti di una forza esterna Esempi 49 49 49 50 51 53 55 57 1. 2. 3. 4. 5. LA MAREA ASTRONOMICA La forza di marea Analisi armonica della forza di marea Metodo armonico per il calcolo della marea Marea autonoma e marea indotta Le previsioni di marea 59 59 64 67 68 70 1. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 2. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 3. 4. 5. 6. 34 36 3 1. 2. 3. 4. 5. 6. L’ARIA Il modello cinetico dei gas perfetti: la pressione L’equazione di stato dei gas perfetti Significato fisico della temperatura Miscuglio di gas L’aria L’equazione di stato per l’aria umida 72 72 73 74 74 75 78 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA L’energia radiante Il corpo nero L’attività solare L’irradianza solare Il bilancio radiativo della Terra Il ruolo dell’atmosfera terrestre L’effetto “serra” 81 81 81 83 85 86 87 89 Il sistema internazionale (SI) di unità di misura Bibliografia 91 7. 8. 4 1. IDROLOGIA 1. L'acqua sulla Terra Fig. 1.1.- La Terra fotografata dall'Apollo 17 (7 dicembre 1972; NASA id. AS17-148-22727). Fig. 1.2.- Distribuzione zonale della percentuale di superficie terrestre occupata dall'oceano e dalle terre emerse. La Terra è un pianeta particolarmente ricco d'acqua (fig. 1.1), per un volume totale di 1410×1015 m3 quasi interamente (97.2%) contenuto negli oceani. Il restante 2.8% si trova per 3/4 sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari e nei ghiacciai continentali, e per 1/4 come acque sotterranee, nei laghi, nei fiumi e nei suoli; una minima parte risiede nell' atmosfera sotto forma di vapore (13×1012 m3, pari a 2.5 cm di acqua precipitata su tutta la superficie terrestre), ed una parte ancora minore (0.6×1012 m3) è contenuta nella biosfera. La superficie terrestre è coperta per il 70.8% (361×1012 m2 ) dagli oceani, e per il 29.2% (149×1012 m2 ) dalle terre emerse. La distribuzione percentuale della superficie terrestre tra oceano e terre emerse per zone di 5° di latitudine è rappresentata nella fig. 1.2: al polo nord e lungo una fascia attorno ai 60° di latitudine sud vi è solo mare, mentre il polo sud è occupato dal continente antartico. Il resto delle masse continentali si trovano in prevalenza nell'emisfero settentrionale. Una descrizione globale del rilievo della superficie terrestre (fig. 1.3) è data dalla fig. 1.4: l'istogramma rappresenta la percentuale di superficie per classi di elevazione di 1000 m, riferite al livello medio del mare. La distribuzione è bimodale: sono frequenti i fondali oceanici tra 4 km e 5 km di profondità e le terre emerse al di sotto di 1 km di altezza. La profondità media degli oceani e di 3795 m, l'altitudine media delle terre emerse di 245 m; l'elevazione media globale è di −2440 m. L'istogramma cumulativo (fig. 1.5) della distribuzione precedente, noto come curva ipsografica globale, rappresenta la percentuale di superficie terrestre situata al di sopra di una certa quota ed ha l'aspetto di un profilo medio dal monte più alto (Everest, 8850 m) al punto più profondo dell'oceano (fossa delle Marianne, −11033 m). 5 Fig. 1.3.- Rilievo della superficie terrestre (immagine NOAA). Fig. 1.4.- Distribuzione percentuale dell'elevazione della superficie terrestre sul livello medio del mare per classi di 1 km. Fig. 1.5.- Distribuzione percentuale cumulativa dell'elevazione della superficie terrestre sul livello medio del mare per classi di 1 km (curva ipsografica globale). 6 Gli aspetti fondamentali del ciclo dell'acqua sulla Terra sono illustrati nella fig. 1.6. Le principali riserve sono l'oceano (1370×1015 m3 ), le acque continentali (40×1015 m3 ) ed il vapore acqueo atmosferico (13×1012 m3 ). Gli scambi principali sono quelli con l'atmosfera: precipitazioni sugli oceani (360×1012 m3/a) e sui continenti (105×1012 m3/a), evaporazione dagli oceani (400×1012 m3/a) ed evapotraspirazione continentale (65×1012 m3/a); l'eccesso di precipitazione sulle terre emerse è convogliato al mare da fiumi e risorgive, in modo da bilanciare il flusso atmosferico di umidità di origine marina e mantenere in equilibrio i diversi ambienti. Esistono altri flussi d'acqua, non ben quantificati ma comunque di alcuni ordini di grandezza inferiori a quelli indicati in questo schema, il cui effetto è però determinante, a scale di tempo geologiche, per la comprensione della formazione stessa degli oceani terrestri. Scambi “interni” al sistema Terra avvengono con il mantello, con uscita di acqua per degassazione (stimabile in 1 km3/a). Gli scambi con l’esterno sono rappresentati dalla Fig. 1.6.- Riserve d'acqua (unità: 1015 m3) nell'oceano, nelle masse perdita di vapore acqueo continentali e nell'atmosfera atmosferico nello spazio e flussi (unità: 1012 m3/anno). e, viceversa, dall’arrivo d’acqua soprattutto ad opera di “comete” di piccole dimensioni. Le “piccole comete ”, (small comets), scoperte negli anni ’80 come macchie di assorbimento nelle immagini della Terra nell’ultravioletto (fig. 1.7), sono formate prevalentemente d’acqua ed hanno una massa media di 30 t. Si calcola che circa 10 milioni di questi oggetti colpiscono la Terra ogni anno: si vaporizzano nell’atmosfera depositando un volume d’acqua totale di 3.5×108 m3, pari ad un aumento del livello degli oceani di 1 cm in 10,000 anni. Il flusso è minimo, ma potenzialmente capace di accumulare Fig. 1.7.- Le “piccole comete”, composte d’acqua, assorbono la l’attuale volume dell’idrosfera durante la vita della radiazione terrestre ultravioletta. Terra (4 miliardi di anni). 2. I bacini oceanici La geografia divide tradizionalmente l’oceano terrestre in tre bacini principali, le cui caratteristiche fondamentali sono riportate nella tab. 1.1. Oceano area volume Atlantico Indiano Pacifico globale 29 % 21 % 50 % 100 % 26 % 21 % 53 % 100 % profondità media /m 3329 3897 4028 3795 salinità /psu 34.90 34.76 34.62 34.72 temperatura potenziale /°C 3.73 3.72 3.36 3.52 Tab. 1.1.- Caratteristiche dei principali bacini oceanici. Gli oceani sono percorsi da dorsali: sono lunghe catene montuose, occasionalmente emergenti, che percorrono il globo terrestre dall’Antartide al bacino Artico. Sede di intensa attività geologica, le dorsali costituiscono una sorgente di crosta oceanica che da esse si espande lateralmente mostrando un’età crescente con la distanza (fig. 1.9). L’intera crosta oceanica ha meno di 200 milioni di anni, e per la maggior parte non supera i 130 Ma. Lungo le dorsali si trovano disseminate particolari strutture di dimensioni contenute (“hydrothermal vents”, 7 Fig. 1.8.- Età dei fondali oceanici (fonte: NOAA-NDCC). “black smokers”) che emettono vapori ad alta temperatura (200-300 °C), ricchi di elementi chimici che permettono la formazione locale in profondità di ecosistemi molto particolari; il flusso di calore fornito all’oceano dalle dorsali può essere quantificato in 2.1 terawatt (1 TW = 1012 W). La tab. 1.2 riporta i flussi totali di calore emessi dalla Terra attraverso i fondali oceanici, dalle sole dorsali e dalle terre emerse; la fascia dorsale termicamente più attiva è quella del Pacifico equatoriale orientale. Oceano Atlantico Oceano Indiano Oceano Pacifico Oceano terre emerse Terra Sole flusso totale flusso dorsali rapporto /TW /TW dorsale/totale 10.6 0.5 4.3 % 7.7 0.3 4.2 % 18.2 1.3 7.1 % 36.5 2.1 5.7 % 9.7 46.2 122,000 Tab. 1.2.- Flussi di calore dal fondo degli oceani e dalle sole dorsali oceaniche, dalle terre emerse, dalla superficie totale della Terra in terawatt (1 TW = 1012 W); irradianza solare globale intercettata dalla Terra (albedo 30 %). Una conseguenza della giovane età degli attuali bacini oceanici è che le masse continentali si trovavano riunite in un unico blocco, la “Pangea”, sino a a circa 200 milioni di anni fa. Per spiegare la trasformazione della Terra dalla Pangea alla situazione attuale sono stati proposti due modelli di base, che potremmo chiamare (a) “a volume costante” e (b) “a volume variabile”. Il modello (a), che sinora ha avuto maggior successo tra i geologi tradizionali, considera una ripartizione della superficie terrestre in grandi frammenti o placche, 8 soggette a spostamenti orizzontali senza variazioni dell’area totale; ci doveva quindi essere un unico grande oceano (Panthalassa) complementare alla Pangea. Con la formazione dei nuovi fondali oceanici e la deriva dei continenti deve essere necessariamente sparita di pari passo la crosta oceanica della Panthalassa: l’ipotesi è che sia stata tutta (si tratta di 3/4 della superficie terrestre) assorbita per subduzione in corrispondenza delle grandi fosse oceaniche. Questo modello è stato proposto da Alfred Wegener nel 1915. Il modello (b), originalmente proposto da S. Warren Carey (1976), considera la Pangea ricoprente, con qualche piccolo mare interno, l’intera superficie della Terra che doveva avere di conseguenza un raggio pari a circa il 55 % di quello attuale. Un processo di espansione con rottura della crosta in “domini” di dimensioni variabili sino alle placche continentali, l’apertura e la formazione dei grandi bacini con la contemporanea distillazione dell’acqua marina dalla litosfera avrebbero quindi portato alla situazione attuale. Il modello espansivo (b) ha indubbiamente una maggiore coerenza geometrica, nel senso che il “puzzle” dei continenti si combina molto meglio, e con maggior simmetria, senza la Panthalassa; inoltre studi recenti sulla paleodiffusione di un gran numero di specie vegetali ed animali dimostrano senza dubbio che questa è avvenuta in assenza di divisioni tra tutte le coste continentali ora separate. Ovviamente il processo di espansione della Terra richiede una spiegazione convincente; al riguardo sono state considerate diverse possibilità con o senza aumento della massa, le conseguenze della variazione della gravità superficiale, e persino questioni di tipo cosmologico. Comunque sia, un’eventuale espansione globale può essere facilmente individuata accumulando una serie sufficientemente lunga ed accurata di dati geodetici. Il modello (a) di pura deriva non richiede revisioni fondamentali di pensiero; d’altra parte non riesce a spiegare del tutto la diffusione delle specie, e lo stesso meccanismo di subduzione della crosta oceanica è alquanto controverso. Fig. 1.9.- La Terra 250 milioni di anni fa: (a) disposizione della Pangea e della Pantalassa, modello della deriva dei continenti; (b) sola Pangea, modello della terra in espansione. 9 3. L’acqua di mare L’oceano è un sistema aperto, che scambia continuamente elementi con l’ambiente circostante (litosfera, atmosfera, biosfera) in un ciclo di lavaggio, trasporto e sedimentazione dei materiali. Attualmente possiamo osservare una situazione di sostanziale equilibrio: l’acqua di mare è una soluzione di acqua pura e di diversi elementi, praticamente tutti quelli conosciuti. La molecola dell’acqua (H2O) è relativamente piccola (circa 0.6 nm), ha una struttura asimmetrica ed un elevato momento di dipolo elettrico; queste proprietà conferiscono all’acqua pura una costante dielettrica che è la più alta di tutti i liquidi, e la rendono un ottimo solvente. Le molecole di H2O hanno una spiccata tendenza a polimerizzare, ovvero a legarsi tra loro, per mezzo di deboli legami idrogeno, a gruppi di due, tre o più. Fig. 1.10.- Massa frazionaria dei principali Il grado di polimerizzazione decresce componenti dell’acqua di mare. con la temperatura, ed influisce notevolmente sulla tensione superficiale e sulla viscosità dell’acqua, sul suo calore specifico, sui suoi elevati punti di fusione e di ebollizione e sul calore latente di evaporazione. L’asimmetria della molecola d’acqua rende inoltre possibili strutture di aggregazione di diversa densità. Il passaggio da una struttura all’altra, combinato con il processo termico di depolarizzazione, ha come conseguenza il fatto che l’acqua pura ha un massimo di densità a 4 °C circa; il ghiaccio ha la struttura meno densa, a forma di tetraedro. L’acqua pura in conclusione è un solvente complesso e potente, che raccoglie e porta nell’oceano praticamente tutti gli elementi presenti nel terreno e nell’atmosfera. Altre sorgenti importanti di materiali disciolti sono i vulcani sottomarini e gli sfiati idrotermali (“hydrothermal vents”) presenti soprattutto lungo le grandi dorsali oceaniche. La concentrazione di ogni singolo elemento nell’oceano è una funzione del tempo e dello spazio; a causa però del lungo tempo medio di permanenza di ogni specie, ed escludendo le zone marginali a contatto di sorgenti/pozzi di particolari elementi (foci dei fiumi, sfiati, …), le concentrazioni stesse si possono ritenere in prima approssimazione stazionarie, soprattutto per quanto riguarda gli elementi principali. Questo dato di fatto giustifica l’usuale ipotesi di lavoro della costanza dei rapporti delle concentrazioni dei costituenti principali dell’acqua di mare, che vengono pertanto considerati conservativi. I principali componenti sono sei (fig. 1.10): oltre metà della massa totale del soluto è costituita dal cloro, quasi 1/3 dal sodio, 8% da solfato, 4% dal magnesio, 1% dal calcio; gli altri elementi totalizzano appena lo 0.1% . In effetti, i rapporti tra gli elementi presenti nell’acqua di mare non corrisponde alla loro abbondanza relativa nella crosta terrestre dove, per esempio, prevale il silicio (28% della massa). Il problema principale è proprio l’origine dell’abbondanza di cloro nel mare: o la riserva originaria della Terra è già passata per la gran parte in soluzione, oppure bisogna ipotizzare l’esistenza di una sorgente esterna al pianeta. 10 4. Le grandezze fisiche convenzionali Le grandezze fisiche usualmente considerate per caratterizzare l’acqua di mare sono la densità, la temperatura, la pressione e la salinità, legate tra loro mediante un’equazione di stato. L’uso di queste grandezze richiede che il fluido venga considerato come un mezzo continuo, ad una scala sufficientemente più grande di quella molecolare. Le unità di misura adottate sono quelle del sistema internazionale (SI) descritte in appendice. La densità. Il termine “densità” (lineare, superficiale o di volume) indica la derivata di una grandezza fisica rispetto ad una lunghezza, superficie o volume rispettivamente. La densità di volume della massa m dell’acqua di mare, detta semplicemente densità , è quindi definita da dm ρ= = α −1 , (1.1) dV unità di misura: chilogrammi diviso metro cubo (simbolo: kg/m3); l’inverso della densità è il volume specifico α (il termine “specifico” è sinonimo di “per unità di massa). Dal momento che la densità del mare è generalmente maggiore di 1000 kg/m3 , si usa definire, per economia di scrittura, l’eccesso di densità γ = ρ − 1000 kg/m3 ; (1.2) generalmente il termine “eccesso di” viene tralasciato, senza pericolo di confusione. La temperatura. La temperatura è uno scalare (un numero) che esprime, secondo una scala arbitraria, lo “stato di agitazione termica” di una sostanza. Lo studio del comportamento dei gas e la teoria termodinamica permettono collegamenti fisici più precisi. Nella fisica ambientale si usa normalmente la temperatura Celsius, indicata con il simbolo ϑ ; unità di misura è il grado Celsius (simbolo: °C). La pressione. La pressione è data dal rapporto tra l’intensità della componente Fn della forza perpendicolare ad una superficie e l’area S di questa; localmente: d Fn p= . (1.3) dS Se S è una superficie orizzontale alla profondità h nell’oceano, la forza verticale che insiste su di essa è rappresentata, nel caso idrostatico, dal peso della colonna d’acqua e dell’atmosfera sovrastante. La pressione totale è quindi data da: p =ρgh , (1.4) ptot = po + p , dove po è la pressione atmosferica e p è la pressione del mare espressa mediante il peso della colonna d’acqua di densità media ρ e di spessore h nel campo di gravità terrestre g (formula di Stevino). Per il principio di Pascal, p(h) è indipendente dall’orientamento della superficie elementare di riferimento in h; per abbandonare l’idea di direzione è sufficiente moltiplicare numeratore e denominatore della (3) per una lunghezza, e considerare quindi la pressione, piuttosto che come una forza per unità di superficie, come una densità di volume di energia (unità: pascal; 1 Pa = 1 N/m2 = 1 J/m3). Nell’oceano il prodotto ρ g ≅ 104 kg.m−2.s−2, per cui i valori numerici della pressione espressa in 104 Pa e della profondità espressa in metri si equivalgono. In altre parole, la pressione di un’atmosfera standard è circa uguale a quella esercitata da uno strato d’acqua di 10 m; ad 1 MPa corrispondono circa 100 m. La salinità. I sali presenti nell’acqua di mare (il 3.5 % circa della massa) vengono usualmente considerati nell’oceanografia fisica come un insieme unico, nel quale si assume che i rapporti tra le concentrazioni degli elementi principali (fig. 1.10) siano 11 costanti. La massa specifica di soluto, ovvero il rapporto tra la massa mS di “sali” e la massa m del campione (sali più acqua) dmS SA = (1.5) dm è detta salinità assoluta; è un numero puro, in media prossimo a 35×10−3. La misura della salinità assoluta di un campione di acqua di mare richiede la determinazione separata della massa del soluto, e richiede quindi la separazione fisica delle due fasi. Questa operazione può essere ottenuta in laboratorio solo in maniera approssimata; ad esempio, l'eliminazione dell’acqua con un processo di riscaldamento ed evaporazione non avviene mai in maniera completa, ed è accompagnata da reazioni chimiche tra gli elementi disciolti. In conclusione, la definizione (5) è teorica più che operativa. Nella pratica sono stati pertanto adottati dei metodi indiretti per la determinazione della salinità, calcolandola in base alle dipendenze funzionali esistenti tra questa ed altre proprietà dell’acqua marina, quali la clorinità, la conducibilità elettrica o l’indice di rifrazione della luce. La salinità pratica. Una convenzione internazionale (UNESCO, 1981a) ha definito ed adottato la scala di salinità pratica PSS-1978, con lo scopo di stabilire una grandezza che sia rappresentativa della salinità assoluta e facilmente misurabile in situ od in laboratorio. La salinità pratica (simbolo: S ) è una grandezza adimensionale; l’espressione originale “salinità pratica = 35” o “S = 35 unità di salinità pratica” (practical salinity units) è stata presto abbreviata in S = 35 psu, introducendo di fatto nella letteratura scientifica il “psu” come simbolo di una corrispondente unità di misura. La salinità pratica è ottenuta correntemente (a) in funzione della concentrazione del cloro presente in un campione di acqua di mare, o clorinità (simbolo: Cl ), (b) in funzione della conduttività elettrica, della temperatura e della pressione. (a) Il primo metodo è impiegato per avere misure precise di riferimento, e prevede la titolazione del cloro in laboratorio con metodi chimici (metodo di Mohr-Knudsen). In base all’ipotesi della costanza dei rapporti tra gli elementi principali, salinità e clorinità sono grandezze proporzionali e, per definizione, S = 1.806 55.(Cl /(g/kg)) psu . (1.6) (b) La salinità pratica S(C,ϑ ,p) è calcolata in funzione della conducibilità elettrica specifica (o conduttività) C, della temperatura e della pressione dell’acqua di mare, parametri che vengono misurati normalmente “in situ” da apposite sonde (CTD); la conduttività può anche essere misurata a posteriori, con salinometri da laboratorio. L'unità di misura SI della conduttività, che dipende dalla resistenza R, dalla lunghezza l e dalla sezione S del conduttore (C = R−1l/S), è il siemens diviso metro (simbolo: S/m). La PSS-1978 è data dalle seguenti relazioni empiriche: R Rp rϑ Rϑ ∆S S = = = = = = C(S,ϑ ,p) / Co , 1 + p(e1 + e2 p + e3 p2)/(1 + d1ϑ + d2ϑ 2 + (d3 + d4ϑ)R) , c0 + c 1 ϑ + c 2 ϑ 2 + c3 ϑ 3 + c4 ϑ 4 , R /( Rp rϑ) , (b0 + b1 Rϑ 1/2 + b2 Rϑ + b3 Rϑ 3/2 + b4 Rϑ 2 + b5 Rϑ 5/2) (ϑ −15)/(1 + 0.0162 (ϑ −15)) , a0 + a1 Rϑ 1/2 + a2 Rϑ + a3 Rϑ 3/2 + a4 Rϑ 2 + a5 Rϑ 5/2 + ∆S . (1.7) I coefficienti sono riportati nella tab. 1.2; la pressione del mare p è espressa in megapascal (MPa). Come conduttività di riferimento (a 35 psu, 15 °C, in superficie) noi consideriamo Co = C(35,15,0) = 4.2909 S/m . 12 0 1 2 3 4 5 somma a b 0.0080 −0.1692 25.3851 14.0941 −7.0261 2.7081 35.0000 0.0005 −0.0056 −0.0066 −0.0375 0.0636 −0.0144 0.0000 c 0.6766097 2.00564 ×10−2 1.104259×10−4 −6.9698 ×10−7 1.0031 ×10−9 d e 3.426×10−2 4.464×10−4 4.215×10−1 −3.107×10−3 2.070×10−3 −6.370×10−6 3.989×10−10 Tab. 1.2.- Coefficienti della PSS-1978. La (1.7) è valida per temperatura, salinità e pressione comprese negli intervalli (da −2 a 35) °C , (da 2 a 42) psu e (da 0 a 100) MPa rispettivamente. La fig. 1.11 riporta l’andamento della salinità pratica in funzione della conducibilità alla superficie del mare (p = 0) per diverse temperature. Tra la salinità assoluta e quella pratica si assume una relazione lineare del tipo Fig. 1.11.- Salinità pratica in funzione della conducibilità a temperature diverse (in superficie). SA = a S + b ; (1.8) se necessario, i coefficienti a (≈10−3) e b (≈0) possono essere determinati in laboratorio con buona approssimazione: variano da una zona all’altra nell’oceano, soprattutto nei mari adiacenti e nelle aree costiere. La salinità diminuisce la temperatura di congelamento dell’acqua (–0.055 °C/psu): a 36.5 psu in superficie il mare congela a –2.0 °C. 5. L’equazione di stato Dal punto di vista fisico possiamo definire “stato” del sistema oceano quello determinato dalle grandezze appena descritte: salinità e temperatura (dette anche parametri termoalini), pressione e densità. Queste quattro variabili di stato non sono indipendenti, ma sono legate tra loro da una relazione funzionale detta equazione di stato. Dal momento che S, ϑ e p sono direttamente misurabili, conviene esplicitare la densità e definire l’equazione di stato nella forma ρ = ρ (S, ϑ , p) (1.9) A differenza di quanto avviene per i gas, non è nota una espressione teorica per la (1.9), che deve essere pertanto ricavata per via sperimentale. E’ stata così definita l’equazione di stato internazionale per l’acqua di mare (IESS-1980) ρ (S, ϑ , p) = ρ (S, ϑ , 0) / (1 − p / K(S, ϑ , p)) ; ρ (S, ϑ , 0) = ρw + (b0 + b1ϑ + b2ϑ 2 + b3ϑ 3 + b4ϑ 4)S + (c0 + c1ϑ + c2ϑ 2 )S3/2 + d0S2 , ρw(ϑ ) = a0 + a1ϑ + a2ϑ 2 + a3ϑ 3 + a4ϑ 4 + a5ϑ 5 , Κ (S, ϑ , p) = Κ(S, ϑ , 0) + A p + B p2 , Κ(S, ϑ , 0) = Kw + (f0 + f1ϑ + f2ϑ 2 + f3ϑ 3)S + (g0 + g1ϑ + g2ϑ 2 )S3/2 , A(ϑ ) = Aw + (i0 + i1ϑ + i2ϑ 2)S + j0 S3/2 , B(ϑ ) = Bw + (m0 + m1ϑ + m2ϑ 2)S , K w( ϑ ) = e 0 + e 1 ϑ + e 2 ϑ 2 + e 3 ϑ 3 + e 4 ϑ 4 , A w( ϑ ) = h 0 + h 1 ϑ + h 2 ϑ 2 + h 3 ϑ 3 , Bw(ϑ ) = k0 + k1ϑ + k2ϑ 2 . (1.10) 13 a b c d e f g h i j k m 0 999.842 594 8.244 93×10−1 −5.724 66×10−3 4.8314×10−4 19 652.21 54.6746 7.944×10−2 3.239 908 2.2838×10−3 1.910 75×10−4 8.509 35×10−5 −9.9348×10−7 1 6.793 952×10−2 −4.0899×10−3 1.0227×10−4 2 −9.095 290×10−3 7.6438×10−5 −1.6546×10−6 3 1.001 685×10−4 −8.2467×10−7 4 −1.120 083×10−6 5.3875×10−9 148.4206 −0.603 459 1.6483×10−2 1.437 13×10−3 −1.0981×10−5 −2.327 105 1.099 87×10−2 −5.3009×10−4 1.160 92×10−4 −1.6078×10−6 1.360 477×10−2 −6.1670×10−5 −5.155 288×10−5 −6.122 93×10−6 2.0816×10−8 5.2787×10−8 9.1697×10−10 5 6.536 332×10−9 −5.779 05×10−7 Tab. 1.3.- Coefficienti della IESS-1980. I coefficienti sono riportati nella tab. 1.3, p è espressa in megapascal (MPa) e gli intervalli di validità dei parametri S, ϑ e p sono quelli già definiti per la (1.7). La densità è definita in funzione del suo valore in superficie (p = 0) e del coefficiente di compressibilità K; la funzione che esprime la densità dell’acqua pura ρw può eventualmente essere migliorata senza cambiare il resto (UNESCO, 1981b). Fig. 1.12.- Densità dell’acqua di mare in funzione della salinità e della temperatura per p = 0. La densità dell’acqua di mare è una funzione non lineare di S, ϑ e p; le dipendenze dalla sola salinità e dalla sola temperatura alla pressione atmosferica (p = 0) sono illustrate nella fig. 1.12 . L’eccesso di densità (1.2) di un campione portato in superficie, tolto quindi l’effetto di compressione, è usualmente indicato con γ t = γ (S, ϑ , 0) . (1.11) Analogamente, considerata l'equazione di stato, se un campione viene portato 14 adiabaticamente dalla profondità h in superficie la sua temperatura originale (in situ) diminuisce per decompressione e diventa 0 ∂ϑ ϑo = ϑ + ∫ dp , (1.12) p(h ) ∂ p detta temperatura potenziale. Se una particella cambia profondità senza scambi di calore, la sua temperatura muta ma la temperatura potenziale ϑo rimane costante. L’effetto della pressione è piccolo, dell’ordine di 10−4 °C/m, ma non è trascurabile a grandi profondità; per un campione situato alla profondità media degli oceani e di caratteristiche termoaline medie (3795 m, 34.72 psu, 3.52 °C; tab. 1) risulta ϑ −ϑo = 0.35 °C. Il cosiddetto parametro di Knudsen ρ (1.13) σ = − 1 × 103 , ρ0 adimensionale, definito in funzione del rapporto tra la densità dell’acqua di mare e la densità dell’acqua pura a 4 °C e p = 0 (1.10; tab. 1.3; ρ0 = 999.975 kg/m3), non è più usato in oceanografia. Esso è legato alla densità da γ = ρw (1 + σ /103) − 1000 kg/m3 = (0.999975 σ − 0.025) kg/m3 ; (1.13) con buona approssimazione, nelle acque oceaniche, i vecchi dati possono essere convertiti con: γ = (σ − 0.026) kg/m3 . (1.14) Lo stesso discorso vale anche per il vecchio parametro σ t (“sigmati”), equivalente all’eccesso di densità ridotto alla superficie γ t (1.11). Fig. 1.13.- Distribuzione della salinità e della temperatura potenziale negli oceani. 6. Caratteristiche termoaline medie degli oceani I dati medi dei singoli oceani ed i valori medi globali sono riportati nella Tab. 1.1; le distribuzioni globali della salinità e della temperatura potenziale sono rappresentate nella fig. 1.13. I tre bacini principali (Pacifico, Indiano ed Atlantico) hanno valori termoalini crescenti. La salinità dell’oceano è quasi totalmente compresa tra 34.0 psu e 35.5 psu, con una media di 34.72 psu. Metà dell’acqua oceanica ha una temperatura potenziale inferiore a 2.1 °C; la media è di 3.52 °C, pari ad una temperatura media in situ di 3.87 °C. La fig. 1.14 e 1.15 mostrano le isoaline e le isoterme medie annuali in superficie ed alla 15 Fig. 1.14.- Isoaline (unità: psu) medie annuali in superficie (sopra) e a 2000 m di profondità (sotto). (Da: NODC World Ocean Atlas 2001) 16 Fig. 1.15.- Isoterme (unità: °C) medie annuali in superficie (sopra) e a 2000 m di profondità (sotto). (Da: NODC World Ocean Atlas 2001) 17 S Fig. 1.16.- Sezioni verticali (medie annuali) di salinità /psu (sopra) e temperatura /°C (sotto) nell’oceano Atlantico lungo il meridiano 25° W (NODC World Ocean Atlas 2001). 18 N profondità di 2000 m, dove si nota ad esempio il flusso di acqua più calda e salata uscente dal Mar Mediterraneo. 7. Variazioni termoaline con la profondità La fig. 1.16 riporta delle sezioni termoaline meridiane medie nell’Oceano Atlantico: si evidenzia una massa di acqua fredda e dolce di origine antartica che si spinge sino all’equatore, con un cuneo particolarmente evidente attorno ai 1000 m di profondità. I gradienti verticali sono molto più intensi nello strato compreso tra 500 e 1000 m circa, che perciò prende il nome di termoclino, aloclino o picnoclino permanente, a seconda che si faccia riferimento alla temperatura, alla salinità oppure alla densità. Al di sotto di questo strato di transizione le condizioni variano molto poco nel tempo; al di sopra si cominciano a sentire le variazioni di periodo stagionale e, man mano che ci si avvicina alla superficie, anche quelle di periodo diurno. Fig. 1.17.- Profili verticali della temperatura e della salinità minima e massima globale; della temperatura, della salinità, dell’eccesso di densità γ, γt e del volume specifico α nel nord Atlantico (NA). Fig. 1.18.- Profili verticali medi della temperatura, della salinità e dell’eccesso di densità nel Golfo di Trieste: mesi di febbraio, luglio e media annuale. 19 Nella fig. 1.17 sono riportati i profili verticali medi della temperatura, della salinità, dell’eccesso di densità in situ γ e ridotta alla superficie γ t e del corrispondente volume specifico α, tipici di una stazione dell’Oceano Atlantico settentrionale (NA: circa 30°N, 30°W). Sono anche indicati i profili dei valori termoalini estremi tipici dell’Oceano globale: si nota l’andamento a gradini delle temperature massime e delle salinità minime; al di sotto dei 1500 m la densità cresce quasi esclusivamente per effetto della pressione. La fig. 1.18 si riferisce ad un bacino costiero di bassa profondità (Golfo di Trieste): riporta i profili medi verticali termoalini e della densità relativi al mese di febbraio (bassa temperatura ed omogeneità verticale invernale) e di luglio (forte stratificazione estiva) ed i profili medi annuali. 8. Tipi d’acqua e diagrammi ϑ -S L’acqua marina viene spesso caratterizzata e classificata in base ai soli parametri termoalini. Una maggiore definizione può essere ovviamente ottenuta, se necessario, aggiungendo altri parametri, come ad esempio ossigeno, pH, carbonio, silicio e così via. La disposizione delle principali masse d’acqua negli oceani è illustrata nella fig. 1.19. Conveniamo di definire “tipo” d’acqua una particolare coppia temperaturasalinità, e “massa” d’acqua un insieme di tipi vicini. Su di un piano (ϑ, S) un tipo d’acqua è rappresentato da un punto, una massa d’acqua da un insieme di punti contenuti in una curva chiusa. L’uso di questo genere di rappresentazione, noto con il nome di “diagramma ϑ -S”, è tradizionale in oceanografia. Come esempi consideriamo la fig. 1.20, che rappresenta le masse d’acqua dell’Oceano Atlantico, e la fig. 1.21 che rappresenta un insieme di misure termoaline effettuate nel Golfo di Trieste dalla superficie al fondo nel corso di più anni. Ulteriori informazioni sull’insieme di punti rappresentati su di un diagramma NAC SAC AI AAI NAD NAB MI AAD AAB NPC SPC NPI PS Co EC SIC RSI nord atlantica centrale sud atlantica centrale artica intermedia antartica intermedia nord atlantica profonda nord atlantica di fondo intermedia mediterranea antartica profonda antartica di fondo nord pacifica centrale sud pacifica centrale nord pacifica intermedia pacifica subartica comune (AAI + NAD) equatoriale centrale sud indiana centrale intermedia del Mar Rosso Fig. 1.19.- Distribuzione meridiana verticale delle masse d’acqua oceaniche. 20 Fig. 1.20.- Masse d’acqua dell’Oceano Atlantico sul diagramma ϑ -S. Iso- γ t in kg/m3. ϑ S devono essere di volta in volta - specificate: un profilo verticale in una data stazione, una serie temporale in un punto fisso (come l’esempio della fig. 1.22) o altro. L’uso più comune di questi diagrammi riguarda la rappresentazione di profili termoalini verticali, effettuati cioè in uno o più punti di stazione dalla superficie al fondo; è bene che le profondità lungo la curva siano indicate, anche se normalmente il punto di superficie corrisponde al tipo d’acqua più calda e dolce. Spesso tali curve ϑ -S hanno una tipica forma ad “esse”, o presentano comunque una o Fig. 1.21.- Diagramma ϑ-S di un insieme di misure più curvature; è possibile risalire da effettuate nel Golfo di Trieste. tali forme ai tipi d’acqua originali che, per successivo mescolamento, hanno originato la situazione osservata. Per chiarire quanto detto conviene esaminare il processo inverso. Consideriamo tre strati d’acqua di caratteristiche termoaline diverse sovrapposti (fig. 1.23): i profili verticali della temperatura e della salinità sono discontinui (a “gradini”), ed il ϑ -S corrispondente diagramma consiste in tre punti (1,2,3) distinti. Questa situazione non può durare, in quanto gli strati a contatto cominciano immediatamente a mescolarsi tra di loro mediante processi molecolari o turbolenti, che portano alla formazione di tutti i tipi d’acqua di caratteristiche intermedie 1-2 e 2-3: questi tipi sono Fig. 1.22.- Diagrammi ϑ-S nel Golfo di Trieste: rappresentati sul diagramma dai evoluzione termoalina media nel corso dell’anno in corrispondenti segmenti di retta (a). superficie ed in prossimità del fondo (20 m); i punti 1-12 rappresentano le medie mensili. Proseguendo il mescolamento (b,c), ad un certo punto lo strato intermedio originale sparisce, e gli strati 1 e 2 cominciano a mescolarsi tra di loro; alla fine del processo rimarrà un unico tipo d’acqua (f) con temperatura e salinità uguali alle medie, pesate con i volumi, dei tre strati di partenza. La curva evolve quindi da tre punti, ad una spezzata, a curve sempre più “dolci” e corte sino ad un solo punto finale. Inversamente, partendo da una curva ϑ -S (fig. 1.24), i limiti dei punti estremi e le intersezioni delle tangenti ai rami principali individuano con buona approssimazione i tipi d’acqua presenti prima del mescolamento. L’eccesso di densità ridotto alla superficie (1.11) è funzione dei soli parametri termoalini: sul piano ϑ -S è quindi possibile tracciare le linee di ugual γ t o isopicne (qui sottinteso: per p=0). La densità cresce verso i tipi d’acqua fredda e salata; data 21 Fig. 1.23.- Mescolamento verticale di tre strati. Fig. 1.24.- Riconoscimento dei tipi d’acqua all’origine del mescolamento. Fig. 1.25.- Stabilità verticale e “caballing”. 22 la non linearità dell’equazione di stato (1.10), le isopicne presentano una curvatura con centro verso la densità maggiore. La sovrapposizione di una curva ϑ -S rappresentante un profilo verticale permette di decidere all’istante le condizioni di stabilità della colonna d’acqua (fig. 1.25), a seconda che ad un incremento di profondità corrisponda una densità crescente (0>z>zo: equilibrio stabile) o costante (z=zo: equilibrio indifferente) o decrescente (zo>z>–h: equilibrio instabile). La non linearità dell’equazione di stato dell’acqua di mare ha un’altra conseguenza: il mescolamento di due tipi d’acqua di uguale densità ma di caratteristiche termoaline diverse (punti 1 e 2 nella fig. 1.25) origina tipi d’acqua aventi temperatura e salinità intermedie (a seconda dei volumi in gioco), cioè collocati sulla corda 1-2, e quindi di densità maggiore di quella di partenza. Il “fenomeno”, noto con il termine inglese di caballing (oppure cabbeling), è osservabile per esempio negli estuari durante la stagione fredda, quando l’acqua fluviale si mescola con l’acqua marina più salata e calda, aumenta di densità ed affonda. 9. Gas disciolti nel mare Molecole di gas atmosferici passano continuamente in soluzione nel mare, con un flusso proporzionale alla pressione parziale di ciascuna specie; un flusso proporzionale alla concentrazione del gas nell’acqua è contemporaneamente diretto dal mare all’aria. Dalla superficie marina il gas diffonde in profondità per trasporto molecolare o turbolento. Ogni specie di gas ha nel mare una concentrazione di saturazione o solubilità, funzione decrescente della temperatura e della salinità (tab. 1.4). Si possono distinguere gas conservativi, che mantengono la loro individualità anche in soluzione, come l’azoto e con buona approssimazione l’ossigeno in prossimità della superficie, e gas non conservativi o soggetti ad interazioni chimiche, come l’anidride carbonica. volume volume frazionario ×103 di saturazione nel mare frazionario S = 0 psu S = 35 psu nell’atmosfera 0 °C 10 °C 20 °C 30 °C 0 °C 10 °C 20 °C 30 °C N2 0.7808 18.42 14.51 11.90 10.06 14.19 11.40 9.51 8.16 O2 0.2095 10.22 7.89 6.35 5.28 8.05 6.32 5.17 4.35 CO2 0.0003 0.51 0.35 0.25 0.20 ~ 0.2 (non conservativo) “guadagno” medio mare/aria 0.8 1.6 40 Tab. 1.4.- Solubilità dei principali gas nell’acqua di mare rispetto ad un’atmosfera satura di vapor d’acqua alla pressione standard (1013.25 hPa). Rapporto tra il volume frazionario (rispetto al totale dei gas disciolti) in soluzione e quello in atmosfera (“guadagno”). Come si vede dalla tab. 1.4, le acque più fredde e dolci sono più ricche di gas; in natura si assiste quindi ad un ciclo di trasporto meridiano per cui l’ossigeno e l’anidride carbonica sono assorbiti dal mare nelle zone polari e rilasciati nell’atmosfera nella zona equatoriale. Per quanto riguarda la distribuzione verticale, la concentrazione di gas è maggiore alla superficie e verso il fondo degli oceani, sede delle acque di origine polare (fig. 1.19). L’anidride carbonica è fortemente solubile nel mare: circa 50 volte più dell’azoto e 25 volte più dell’ossigeno. La concentrazione superficiale dell’ossigeno disciolto è quasi ovunque prossima al valore di saturazione. Nel mare l’ossigeno è consumato nei processi di respirazione ed ossidativi in generale, e prodotto dalle piante marine e dal fitoplancton con la fotosintesi. Il bilancio complessivo vede normalmente una concentrazione di O2 maggiore della solubilità nello strato eufotico (“bene illuminato” - con luce sufficiente ma non eccessiva, compreso tra circa 10 e 60 m), una graduale diminuzione verso 1 km di profondità ed un successivo aumento verso il fondo degli oceani. Nei bacini minori, in condizioni di scarso ricambio (circolazione assente, forte stratificazione verticale), la disponibilità di ossigeno al di sotto della zona eufotica può diventare scarsa (ipossia) o nulla (anossia), con le prevedibili conseguenze per la vita animale. Le fonti principali di carbonio nel mare sono principalmente l’anidride carbonica atmosferica e le acque fluviali. L’anidride carbonica con l’acqua dà acido carbonico, che si dissocia in carbonati e ioni idrogeno: + – + –– CO2 (gas) + H2O H2CO3 H + HCO3 2 H + CO3 . (1.15) Le acque fluviali disciolgono, ad esempio, il carbonato di calcio ed immettono nel mare calcio ed acido carbonico: – CaCO3 + H2O + CO2 Ca++ + 2 HCO3 ; (1.16) – – – l’effetto complessivo della presenza di anioni HCO3 e CO3 è di rendere alcalina l’acqua di mare, il cui pH varia normalmente tra 7.7 e 8.2. Le variazioni del pH sono associate soprattutto alle variazioni della concentrazione di CO2 libera in soluzione collegate all’equilibrio superficiale, alla sua produzione nei processi di respirazione 23 ed al suo consumo nella fotosintesi; un aumento dell’alcalinità è pure causato da una maggiore immissione di carbonati con il dilavamento costiero. Quando è superato il prodotto di solubilità del carbonato di calcio, esso precipita: –– Ca++ + CO3 → CaCO3 , (1.17) esercitando un effetto tampone contro l’aumento del pH. L’oceano ha una grande capacità di assorbire gli eccessi dell’anidride carbonica atmosferica, a spese però di una diminuzione dell’alcalinità dell’acqua. 10. La propagazione del suono nel mare Le onde sonore si propagano sfruttando le proprietà elastiche dei mezzi materiali, che sono tipiche dei solidi ma, alle frequenze acustiche, anche dei fluidi e dei gas. Un’onda sonora consiste in una serie di variazioni di pressione longitudinali, cioè parallele alla direzione di propagazione x: porzioni materiali allineate subiscono e trasmettono successive compressioni e decompressioni (fig. 1.26). L’acqua di mare è un buon conduttore di onde sonore, cosicchè il mondo acustico subacqueo è importante e viene sfruttato come quello aereo. La velocità di propagazione (1.18) c = L/T = L f di un’onda sonora di lunghezza L, periodo T e frequenza f dipende dalle caratteristiche Fig. 1.26.- Onda sonora. elastiche del mezzo (densità, compressibilità, …); nel mare può essere ridotta ad una funzione dei parametri termoalini e della pressione idrostatica (UNESCO,1983): c (S,ϑ, p) = C + A S + B S 3/2 + D S 2 A = ao + a1P + a2 P 2 + a3 P 3 B=bo+b1 P C = co + c1 P + c2 P 2 + c 3 P 3 D=1.727×10–3 – 7.9836×10–7 P P = p/10 ao=(((–3.21×10–8 ϑ + 2.006×10–6) ϑ + 7.164×10–5) ϑ – 1.262×10–2) ϑ + 1.389 a1=(((–2.0122×10–10 ϑ +1.0507×10–8) ϑ – 6.4885×10–8) ϑ – 1.2580×10–5) ϑ + 9.4742×10–5 a2=((7.988×10–12 ϑ – 1.6002×10–10) ϑ + 9.1041×10–9) ϑ – 3.9064×10–7 a3=(–3.389×10–13 ϑ + 6.649×10–12) ϑ + 1.100×10–10 bo= –1.922×10–2 – 4.42×10–5 ϑ b1=7.3637×10–5 + 1.7945×10–7 ϑ co=((((3.1464×10–9 ϑ – 1.47800×10–6) ϑ + 3.3420×10–4) ϑ – 5.80852×10–2) ϑ + 5.03711) ϑ + 1402.388 c1=(((–6.1185×10–10 ϑ + 1.3621×10–7) ϑ – 8.1788×10–6) ϑ + 6.8982×10–4) ϑ + 0.153563 c2=(((1.0405×10–12 ϑ – 2.5335×10–10) ϑ + 2.5974×10–8) ϑ – 1.7107×10–6) ϑ + 3.1260×10–5 c3=(–2.3643×10–12 ϑ + 3.8504×10–10) ϑ – 9.7729×10–9 (1.19) dove S è la salinità pratica (1.7), ϑ la temperatura Celsius, p la pressione del mare (1.4) espressa in megapascal (MPa). La fig. 1.27 mostra la variazione della velocità del suono in funzione dei tre parametri, mantenendo gli altri due costanti a 35 psu, 0 °C e 0 Pa; si ha che c(35,15,0) = 1402.388 m/s (nell’aria, c ≈ 1/3 km/s). La velocità del suono varia in maniera praticamente lineare con la pressione e con la salinità, e anche con la temperatura se questa si mantiene in un intervallo limitato. Assumendo, per comodità di interpretazione, un gradiente verticale di pressione di 1 MPa/m, le variazioni unitarie tipiche sono: 24 ∆ϑ = + 1 °C ∆S = + 1 psu ∆h = + 100 m → → → ∆c +3 ± 1 m/s + 1.16 ± 0.1 m/s + 1.66 m/s Tab. 1.5.- Incremento tipico della velocità del suono nel mare con la temperatura, la salinità e la profondità. Fig. 1.27.- Variazione della velocità del suono nel mare con la temperatura, la salinità e la profondità ( h/hm = p/MPa). L’intensità di un’onda sonora è definita come la varianza del campo di pressione sonora: I = p2 (1.20) La viscosità dell’acqua fa sì che l’energia acustica che si propaga nella direzione x venga progressivamente dissipata in calore; il decremento dell’ampiezza dell’onda sonora è proporzionale all’ampiezza, ∂p = −α p (1.21) ∂x con un coefficiente di assorbimento α( f ;S, ϑ,p), funzione della caratteristiche del mezzo e della frequenza sonora f. Ampiezza ed intensità sonore decadono perciò esponenzialmente (fig. 1.26): p( x ) = po e −αx , I ( x ) = I o e −2αx ; (1.22) La distanza teorica di assorbimento xe = 1/2α è diversa da quella reale, molto maggiore per le basse frequenze (tab. 1.6); si deve quindi ritenere che nel mare agiscano, oltre alla viscosità, altri meccanismi chimico-fisici di assorbimento dell’energia sonora. Fig. 1.28.- Rifrazione dell’onda sonora e canale sonoro. f /Hz 10 100 1,000 10,000 100,000 L /m 150 15 1.5 0.15 0.015 xe 400,000 km 4,000 km 40 km 400 m 4 m Tab. 1.6.- Frequenza sonora, lunghezza d’onda e distanza di estinzione viscosa nel mare. Fig. 1.29.- Tipica profilo verticale della velocità del suono nell’oceano. Dal momento che le onde sonore si propagano in un mezzo a velocità variabile, la direzione di propagazione è soggetta a variarzioni per rifrazione. Ad esempio, passando da uno strato a velocità c1 ad uno con velocità c2 < c1, la direzione si avvicina alla normale (fig. 1.28) secondo la legge di Snell: sen(ϑ1 ) c1 = . (1.23) sen(ϑ2 ) c2 25 Un segnale sonoro emesso orizzontalmente nel mare si disperde con la distanza dalla sorgente in modi diversi, a seconda del profilo verticale della velocità c(z) (fig. 1.28). Se c(z) è uniforme la propagazione è rettilinea, l’angolo di apertura del fascio sonoro in uscita dall’emettitore si conserva e la densità di energia decresce con il quadrato della distanza. Se l’emettitore è collocato ad una profondità di massima velocità i raggi non orizzontali divergono, l’angolo di apertura aumenta progressivamente e la densità di energia diminuisce molto rapidamente. Viceversa, ad una profondità di minima velocità, i raggi divergenti all’origine vengono richiamati per rifrazione e rimangono confinati entro un fascio ristretto; uno strato a velocità minima prende pertanto il nome di “canale sonoro”, in quanto l’energia acustica rimane confinata entro tale struttura e l’onda può viaggiare per la massima distanza consentita dalla sua Fig. 1.30.- Intervalli di frequenze acustiche frequenza. Negli oceani esiste un canale emesse dall’uomo e dai cetacei. sonoro permanente, collocato all’incirca tra 1 e 2 km di profondità: il minimo della velocità del suono in tale strato è una conseguenza del tipico profilo oceanico termoalino; la fig. 1.29 ne riporta un esempio, riferito alla stazione del nord Atlantico (NA) già considerata nella fig. 1.17. Il canale sonoro permanente, Fig. 1.31.- Ecoscandaglio del fondo marino. scoperto durante la seconda guerra mondiale, è stato sfruttato per fini bellici e di ricerca. Le applicazioni delle onde sonore nel mare riguardano due aspetti principali: la possibilità di trasmettere segnali e l’individuazione di bersagli riflettenti e della loro distanza. L’intensità dell’energia emessa e la frequenza usata devono essere dosate in funzione del risultato da raggiungere. Frequenze alte, aventi Fig. 1.32.- Penetrazione delle onde acustiche nel fondo marino a diverse frequenze. lunghezze d’onda corte, hanno un potere di risoluzione maggiore e possono quindi “vedere” oggetti più piccoli; l’assorbimento da parte dell’acqua è però maggiore che per le basse frequenze. Gli animali marini sfruttano il suono nella maniera descritta, sia a scopo relazionale che per visualizzare l’ambiente circostante, per localizzare le prede e per individuare le rotte migratorie in funzione della topografia; la fig. 1.30 mostra le frequenze di vocalizzazione usate da alcuni tipi di balene, e quelle umane per confronto. Da parte nostra, le prime applicazioni hanno riguardato la Fig. 1.33.- Immagine di un sonar a scansione misura della profondità del mare, laterale a 500 kHz. 26 mediante la misura del tempo di ritorno di un’onda sonora emessa verticalmente dalla superficie (ecoscandaglio, fig. 1.31); per una batimetria esatta è necessario conoscere al meglio la velocità del suono lungo la colonna e quindi i profili termoalini verticali. Variando la frequenza acustica e la potenza impiegata è possibile ricevere l’eco non solo dalla superficie di discontinuità mare-fondo, ma anche da discontinuità all’interno della massa d’acqua (termoclino, banchi di pesci, …) o dalle strutture sottostanti (fig. 1.32); a questo scopo si possono impiegare impulsi a frequenza fissa (modo “pinger”) o segnali modulati a frequenze diverse (modo “chirp”). Tecniche e potenze particolari, con l’impiego di numerosi sorgenti e sensori, vengono usate nella geologia marina per l’esplorazione della crosta oceanica: l’elaborazione a posteriore dei dati è qui essenziale per migliorare il rapporto segnale/disturbo e per l’interpretazione dei profili sismici. L’impiego di fasci sonori in direzioni diverse dalla verticale ha portato alla costruzione del sonar, usato nei sommergibili, ed in tempi recenti alla possibilità di effettuare scansioni multidirezionali che, unite alle attuali possibilità di localizzazione (GPS) e di visualizzazione tramite computer, permettono di ottenere rapidamente ottime topografie del fondale marino in un’ampia zona al di sotto della nave. Il sonar a scansione laterale, trascinato a breve distanza dal fondo, permette di “vedere” lateralmente con buona risoluzione alle alte frequenze (fig. 1.33). La trasmissione di segnali acustici subacquei è impiegata per le comunicazioni con gli strumenti immersi, per il posizionamento, il controllo o la ricezione dei dati, e per il recupero delle catene di sensori, mantenute verticali da una boa immersa, tramite lo sgancio telecomandato della zavorra che le maniene ancorate al fondo. 27 2. IDRODINAMICA 1. Introduzione L'oceano e l'atmosfera sono considerati, nella dinamica classica dei fluidi, come strutture continue: vale a dire che un elemento fluido, per quanto piccolo, contiene comunque un gran numero di molecole. Le grandezze fisiche (temperatura, pressione, densità, velocità, …) descrivono quindi proprietà medie ad una scala spaziotemporale superiore a quella molecolare, e possono quindi essere rappresentate da funzioni analiticamente continue. Il numero di grandezze necessario per definire lo stato del sistema (oceano o atmosfera) deve essere stabilito in funzione del particolare problema da affrontare. L'evoluzione di tale sistema è determinabile a condizione di avere tante leggi del moto quante sono le variabili di stato. Aumentandone il numero, la descrizione del sistema diventa più completa, ma aumentano le difficoltà di calcolo; è quindi necessario trovare, di volta in volta, il giusto compromesso tra queste due opposte esigenze. 2. Campi scalari e vettoriali Le grandezze fisiche possono essere di tipo scalare (temperatura, densità, pressione …), rappresentate cioè da un numero reale in un sistema di unità di misura, e di tipo vettoriale (posizione, velocità, accelerazione, forza, …); un vettore è individuato da tre scalari in un opportuno sistema di riferimento. In un sistema di coordinate cartesiane ortogonale (fig. 2.1) i tre assi x,y,z (oppure x1, x2, x3) formano una terna destra. Il punto P è individuato dal vettore posizione x = {x , y, z} = {x i ; i = 1,3} con origine in O. Gli assi possono essere individuati da tre vettori di lunghezza unitaria o versori e1, e2, e3 . Le grandezze fisiche sono rappresentate da campi spazio temporali ϕ (x, t ) = ϕ (x , y, z , t ) ; (2.1) i simboli che le rappresentano sono scritti di norma in corsivo, ed in grassetto se di tipo vettoriale. Vettori e numeri reali possono essere combinati tra loro da operazioni algebriche. Considerati due vettori Fig. 2.1.- Coordinate cartesiane. a = {ai }, b = {bi } (è sottinteso che l'indice i assume i valori 1,2,3), si definisce il vettore somma a + b = {ai + bi } = b + a ; (2.2) le componenti del vettore somma sono la somma delle corrispondenti componenti dei due vettori; la somma tra vettori è quindi commutativa. Si definisce il vettore nullo 0, tale che a+0 = a, ed il vettore opposto –a, tale che a + (–a) = a – a = 0. Il prodotto di un numero reale per un vettore ne moltiplica ciascuna componente: α a = {α ai } . (2.3) E' quindi possibile rappresentare un vettore come somma di tre vettori paralleli agli assi coordinati: 28 3 a = a1e1 + a2e2 + a3e3 = ∑ aiei ≡ aiei . (2.4) i =1 Il prodotto scalare opera tra due vettori e produce, come dice il nome, un numero: 3 a ⋅ b = a1b1 + a2b2 + a3b3 = ∑ aibi = aibi = b ⋅ a ; (2.5) i =1 come il prodotto tra numeri reali, è commutativo. Il modulo o intensità di un vettore è perciò definito da a ≡a= a⋅a = a12 + a22 + a32 . (2.6) Il prodotto vettoriale, anticommutativo, opera tra due vettori e produce un vettore: e1 e2 e3 a × b = det a1 b1 a2 b2 a3 = (a2b3 − a3b2 ) e1 + (a3b1 − a1b3 ) e2 + (a1b2 − a2b1 ) e3 = −b × a . (2.7) b3 Due vettori a, b con origine comune individuano un piano e due angoli; detto ϑ l'angolo minore, si ha: a + b = a 2 + b2 − 2ab cos ϑ , (2.8) ottenuta usando il teorema di Pitagora generalizzato, e a ⋅ b = ab cos ϑ , (2.9) a × b = ab sen ϑ . (2.10) Il prodotto scalare è il prodotto di un vettore per la componente dell'altro nella sua direzione. Il prodotto vettoriale (fig. 2.2) è perpendicolare al piano individuato Fig. 2.2.- Operazioni tra da a e b e segue la regola della terna destra: vede il vettori. primo vettore ruotare verso il secondo percorrendo ϑ in senso positivo (antiorario). Ne consegue che, se a ⋅ b = 0 i due vettori sono tra loro perpendicolari; se a×b = 0 sono paralleli. L'operatore vettoriale gradiente ∂ ∂ ∂ ∇= , , (2.11) ∂x ∂y ∂z si applica ad un campo scalare ϕ e produce un vettore: ∂ϕ ∂ϕ ∂ϕ ∂ϕ gradϕ = ∇ϕ = ; i = 1,3 = , , . (2.12) ∂ x ∂ x ∂ y ∂z i Il gradiente di un campo scalare ne indica, in ogni punto, direzione, verso e intensità di massimo aumento. Il vettore gradiente è perpendicolare alla locale superficie di ugual valore del corrispondente campo scalare (iso-ϕ ) , ed il suo modulo è inversamente proporzionale alla distanza tra le isosuperfici tracciate per una variazione ∆ϕ costante (fig. 2.3, esempio in due dimensioni). Dato un campo scalare, il suo campo gradiente è univocamente determinato; viceversa, dato un campo gradiente, il campo scalare risulta determinato a meno di una costante. Applicando formalmente il prodotto scalare tra l'operatore gradiente ed un vettore a si definisce la divergenza del vettore stesso: ∂a ∂a ∂a ∂a diva = ∇ ⋅ a = x + y + z = i ; (2.13) ∂x ∂y ∂z ∂xi Fig. 2.3.- Isolinee del campo scalare ϕ e relativo gradiente. 29 questo numero rappresenta localmente la "variazione complessiva" dell'intensità del campo nelle tre direzioni. Un campo vettoriale a divergenza nulla si dice solenoidale. 3. Variabili euleriane, lagrangiane e derivata totale Le grandezze fisiche che descrivono l'oceano e l'atmosfera sono rappresentate da campi, per lo più scalari o vettoriali, che sono funzioni continue (2.1) dello spazio e del tempo. Variabili siffatte vengono anche dette euleriane; una descrizione alternativa, detta lagrangiana, considera invece le grandezze fisiche legate agli elementi fluidi, individuati da un'opportuna "etichetta" quale ad esempio la loro posizione iniziale x0 . Quando si deve determinare la variazione di una grandezza fisica nel tempo in un particolare punto dell'oceano o dell'atmosfera, bisogna quindi pensare al punto stesso come alla posizione momentaneamente occupata da un particolare elemento fluido: x = x(x0,t) . Derivando, si ha: d ∂ϕ ∂ϕ ∂x i (x0 , t ) ∂ϕ ∂x ∂ϕ ϕ (x(x0 , t ), t ) = +∑ = + ∇ϕ ⋅ = + u ⋅ ∇ϕ . (2.14) dt ∂t ∂t ∂t ∂t ∂t i ∂x i Perciò la variazione temporale complessiva è data dalla derivata totale o sostanziale d ∂ = +u⋅∇ ; (2.15) dt ∂t il primo termine a destra rappresenta la variazione locale, il secondo, detto termine convettivo (o advettivo), rappresenta la variazione dovuta al ricambio locale (advezione) del fluido. Il termine convettivo è dato dal prodotto scalare tra il campo di velocità ed il gradiente: perchè il ricambio del fluido produca variazioni temporali in un punto è necessario che ci sia una corrente e che il fluido in arrivo abbia Fig. 2.4.- Derivata totale: termine locale e termine caratteristiche diverse da quello advettivo. sostituito. Infatti il termine convettivo è nullo se è nulla la velocità oppure se il gradiente è costante o perpendicolare ad u. La fig. 2.4 illustra, a titolo di esempio, un caso relativo alla temperatura del mare: la variazione locale potrebbe essere dovuta a differenti condizioni di irraggiamento solare, la variazione convettiva all'arrivo di una corrente a temperatura diversa. 4. Le equazioni del moto Le equazioni del moto sono l'espressione in forma matematica delle leggi che regolano l'evoluzione spaziotemporale di un sistema fisico; permettono di calcolare lo stato del sistema a partire da condizioni iniziali note, assegnate che siano le condizioni al contorno. Per poter stabilire quali siano queste equazioni, bisogna: a) b) c) d) definire le variabili di stato, definire le leggi di conservazione in un sistema di riferimento inerziale, definire un'equazione di stato, passare ad un sistema di riferimento solidale con la Terra in rotazione. Esaminiamo ora in particolare il caso dell'oceano. 30 Definizione delle variabili. Le grandezze usualmente considerate nell'oceanografia fisica sono sette: la velocità u (tre componenti), la temperatura ϑ, la salinità S , la densità ρ e la pressione p; sono rappresentate da campi euleriani funzione di x, t. Si usa parlare di parametri termoalini (S e ϑ ) e di campo di massa (ρ ). La dinamica dell'oceano è quindi regolata da sette equazioni. Sei esprimono leggi di conservazione: della massa (equazione di continuità), del sale, del calore e della quantità di moto (equazione del momento, tre componenti); la settima è un'equazione di stato del tipo ρ = ρ (S, ϑ, p) come la (1.10). Ai fini puramente dinamici i parametri termoalini interessano solo in quanto contribuiscono al calcolo del campo di massa tramite l'equazione di stato. Le equazioni fondamentali sono l'equazione di continuità e l'equazione del momento. 5. L'equazione di continuità La legge che esprime la conservazione della massa in un punto è facilmente ricavata considerando un volume fisso nell'oceano, le eventuali sorgenti di massa (positive o negative) in esso contenute ed il flusso di massa attraverso la sua superficie, e riducendo poi il volume a zero con un passaggio al limite. L'intensità del flusso di massa, ovvero la massa che attraversa nell'unità di tempo una superficie normale alla velocità è rappresentato da ∆m ∆m ∆l ∆m ∆l = = = ρ u ; (2.16) ∆S ∆t ∆S ∆l ∆t ∆V ∆t dove ∆l è un incremento di lunghezza parallelo alla corrente; il vettore flusso di massa è quindi ρ u . Se ci limitiamo a considerare un volume interno all'oceano le sorgenti positive (precipitazioni, fiumi, apporti d'acqua costieri) e quelle negative (evaporazione) sono assenti. Il passaggio al limite può inoltre essere evitato Fig. 2.5.- Volume elementare per il calcolo della considerando direttamente un volume conservazione della massa. elementare, ad esempio un cubo di lati dx, dy, dz paralleli agli assi cartesiani (fig. 2.5). Il flusso totale di massa attraverso la superficie del cubo è la somma dei flussi lungo le tre direzioni; calcolato quello lungo x, gli altri due risultano identici, una volta cambiate le variabili. L'incremento di massa all'interno del cubo elementare nel tempo dt dovuto al moto lungo x si ottiene considerando il bilancio tra la faccia 1 e la 2, di area dydz ∂ρ u ∂ρ u dmx = {ρ (x )u(x ) − ρ (x + dx )u(x + dx )}dt dy dz = − dx dt dy dz = − dt dV . (2.17) ∂x ∂x L'incremento totale di massa, sommando le tre direzioni, è ∂ρ u ∂ρ v ∂ρ w dm = − + + (2.18) dtdV ; ∂y ∂z ∂x derivando rispetto al volume e al tempo, si ottiene che la variazione temporale locale della densità è uguale all'opposto della divergenza del flusso di massa: ∂ρ = −∇ ⋅ ρ u . (2.19) ∂t Una forma alternativa dell'equazione (2.19) si ottiene derivando il prodotto a destra 31 ∂ (ρ ui ) = − ρ ∑ ∂ui − ∑ ui ∂ρ = − ρ ∇ ⋅ u − u ⋅ ∇ρ , (2.20) ∂x i ∂x i i ∂x i applicando la definizione (2.15) della derivata totale e dividendo per la densità: 1 dρ = −∇ ⋅ u ; (2.21) ρ dt il rapporto tra la variazione temporale totale della densità e la densità stessa risulta uguale all'opposto della divergenza del campo di velocità. La legge di conservazione della massa è quindi espressa (fig. 2.6) Fig. 2.6.- Equazione di continuità: relazione tra la variazione dall'equazione di continuità temporale locale della densità ed il flusso di massa nella forma (2.19) o (2.21). (sinistra, eq. 2.19) o la corrente (destra, eq. 2.21). −∑ 6. La conservazione della quantità di moto ed il campo di forza La variazione temporale della quantità di moto mu di una particella di massa m, in un sistema di riferimento inerziale, uguaglia il campo F delle forze applicate (seconda legge di Newton): d mu =F . (2.22) dt Se la particella è un elemento fluido di massa unitaria, l'equazione del moto (2.22), tenendo conto della derivata totale (2.15), diventa du ∂u ≡ + (u ⋅ ∇ ) u = f , (2.23) dt ∂t dove f = dF/dm rappresenta la forza specifica. I termini della (2.23) hanno le dimensioni di un'accelerazione. In inglese la (2.23) è nota come momentum equation (linear momentum è la quantità di moto); in italiano possiamo chiamarla equazione del “momento” o meglio equazione di Newton. La legge di conservazione della quantità di moto la troviamo quindi già pronta nella dinamica classica; il problema consiste nella definizione del campo di forza agente in un fluido. Se consideriamo una massa fluida in un sistema inerziale SI ed una particella fluida P al suo interno, possiamo definire due tipi di forze in azione: forze FV agenti "a distanza", ad esempio forze gravitazionali o elettromagnetiche esercitate da altre particelle Pi interne o Pe esterne al fluido, e forze FS a corto raggio d'azione presenti sulla superficie di P: F = FV + FS . (2.24) Le forze a lungo raggio FV sono dette di Fig. 2.7.- Forze agenti su una particella fluida in volume, perchè agiscono su ogni singola un sistema inerziale. particella indipendentemente da ciò 32 che la circonda; le forze FS sono dette di superficie, perchè agiscono solamente sulla superficie che racchiude l'elemento fluido, per contatto molecolare. Forze di volume. Escludendo ai fini dinamici, nel caso dell'oceano, forze di tipo elettromagnetico, le uniche forze rilevanti agenti a distanza sono quelle dovute ad interazioni gravitazionali; indichiamo il campo totale delle forze gravitazionali specifiche agenti su una particella con dFV Γ= . (2.25) dm Forze di superficie. Una superficie di separazione fissa immersa nel fluido (giacitura, orientamento ed area della quale sono definite dal vettore dS ), è continuamente attraversata nei due sensi da molecole che scambiano la loro energia cinetica con le molecole presenti nella zona di arrivo. L'effetto integrato, su di una scala maggiore di quella molecolare come previsto dalla fluidodinamica classica, è quello rappresentato dalla forza di contatto dFS. Tale forza è proporzionale all'intensità del flusso molecolare, e quindi all'area sulla quale agisce; il coefficiente di proporzionalità ha le dimensioni di una pressione. La forza di contatto è di norma la risultante di due componenti (fig. 2.8): dFS = − p dS + A dS . (2.26) Il primo termine a destra rappresenta la componente perpendicolare alla superficie (cioè parallela a dS ): il coefficiente di proporzionalità è definito come –p, in modo che, se il fluido si trova, come usualmente avviene, in uno stato di compressione e dS è diretto verso l'esterno della particella, p (>0) rappresenta la pressione idrostatica. Nel secondo termine, parallelo Fig. 2.8.- Forze di contatto sulla alla superficie, la direzione è data dal vettore A, il cui superficie di un elemento fluido. modulo rappresenta la pressione di attrito. Per calcolare il campo della forza di contatto in un punto bisogna sommare le forze dFS agenti su ogni elemento di superficie di un volume finito di fluido e passare al limite per il volume che tende a zero; ovvero sommare le forze agenti sulle sei facce di un cubetto elementare di fluido normali agli assi coordinati. Analogamente a quanto è stato fatto per l'equazione di continuità, conviene calcolare una componente della forza: dFS x = {p( x ) − p( x + dx )} dy dz + {A x ( z + dz ) − A x ( z )} dx dy = ∂p ∂A ∂p ∂Ax (2.27) = − dx dy dz + x dz dx dy = − + dV ; ∂x ∂z ∂x ∂z le altre due componenti sono analoghe, e la forza specifica di superficie è: dFS dV 1 1 ∂A fS = = − ∇p + . (2.28) dV dm ρ ρ ∂z Il primo termine a destra è la forza (specifica) di gradiente, diretta in senso opposto al gradiente di pressione. Il secondo termine rappresenta l'effetto dell'attrito sulle facce perpendicolari ad una direzione privilegiata z. In effetti abbiamo trascurato, nella (2.27), quelle componenti dell'attrito che non sono essenziali al fine delle successive applicazioni, evitando così di introdurre grandezze di tipo tensoriale. L'equazione di Newton (2.23), specificando il campo di forza specifica con le (2.25, 2.28), diventa quindi: 33 du 1 1 ∂A = − ∇p + +Γ . (2.29) dt ρ ρ ∂z Il campo della forza agente nel fluido, in un sistema inerziale, è costituito dalla forza di gradiente, dall'attrito e da forze gravitazionali. 7. I fluidi geofisici Oceano ed atmosfera sono anche detti fluidi geofisici perchè sono solidali con la Terra che ruota rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, dove vale l'equazione del moto (2.29). E' quindi necessario eseguire una semplice trasformazione di coordinate, secondo quanto preannunciato nel punto (d) del § 4. Una grandezza scalare ovviamente è indipendente dal sistema di riferimento. La posizione di un punto P individuata dal vettore posizione r si modifica invece nella maniera illustrata nella fig. 2.9. Il sistema di riferimento "fisso" xyz e quello "rotante" hanno la stessa origine O; la rotazione è rappresentata dal vettore Ω che ne individua l'asse (z), il verso (positivo o antiorario visto da Ω ) e la velocità angolare Ω = ∂ω/∂t . Nel tempo dt il punto P, solidale al sistema rotante, passa nel sistema fisso in P1; lo spostamento è dato dal vettore dr = r1 – r (2.30) perpendicolare al piano individuato da Ω ed r ed avente come modulo dr = (r senϑ ) dω . (2.31) Risulta perciò che ∂r ∂ω = (r sen ϑ ) ; (2.32) ∂t ∂t la variazione temporale della posizione di P, dovuta alla rotazione, è quindi: ∂r = Ω× r . (2.33) ∂t Oxyz Fig. 2.9.- Trasformazione di un vettore per una rotazione relativa. La (2.33) si somma alla variazione temporale nel sistema rotante, in modo che, nel sistema "fisso": ∂r ∂r = + Ω× r . (2.34) ∂t ∂t Ω Per passare da un sistema di riferimento ad un sistema SΩ rotante con Ω rispetto al primo, basta quindi sostituire il termine locale nella derivata temporale (2.15) di un vettore con la (2.34); il termine convettivo è invariante. Si ottiene quindi u = uΩ + Ω× r , (2.35) e, applicando nuovamente la (2.34), du duΩ = (2.36) + 2 Ω × uΩ + Ω × (Ω × r ) . dt dt Ω Il termine a = − Ω× (Ω× r ) , (2.37) 2 di modulo Ω (r senϑ ) rappresenta la forza centrifuga dovuta alla rotazione Ω ; il termine C = −2Ω× u = u × 2 Ω (2.38) 34 rappresenta una forza deviatrice, il cui modulo è al massimo 2Ω u. Per passare dal sistema inerziale ad un sistema di riferimento terrestre, dobbiamo considerare tre passaggi: (1) da un sistema centrato nel Sole, supposto inerziale, ad uno centrato nel baricentro Terra-Luna: vettore di rotazione S, periodo un anno tropico (365.2422 d); (2) dal baricentro Terra-Luna al baricentro terrestre: vettore di rotazione L, periodo un mese sinodico (29.530588 d); (3) dal baricentro terrestre ad un sistema solidale con la Terra: vettore di rotazione Λ, periodo un giorno lunare (1.035050 d = 24.84120 h = 1 d + 50 min 24 s). Applicando quindi le (2.36, 2.37, 2.38) il termine inerziale della (2.29) diventa du duΩ = (2.39) − C S − C L − CΛ − aS − aL − aΛ . dt dt Ω Definiamo la forza deviatrice totale C = CS + CL + CΛ ; (2.40) in un sistema terrestre, rotante, l'equazione di Newton (2.29) diventa quindi (tralasciando di scrivere l'indice Ω ): du 1 1 ∂A − C − aS − aL − a = − ∇p + + γS + γL + γ , (2.41) dt ρ ρ ∂z dove i soli campi gravitazionali Γ considerati sono quelli del Sole (γ S), della Luna (γ L) e della Terra (γ ). Nella (2.41), i termini del tipo (2.37, 2.38), originati dalle trasformazioni di coordinate, sono usualmente portati al secondo membro e considerati come forze (specifiche) fittizie; le accelerazioni centrifughe, funzione della sola posizione, possono essere sommate alle corrispondenti accelerazioni gravitazionali: = γ S + aS , (2.42) fS fL = γ L + aL , (2.43) g = γ + a . (2.44) Le (2.42, 2.43) sono rispettivamente le forze specifiche di marea solare e lunare; Fig. 2.10.- Sistemi di riferimento locali sulla la somma dei due campi è la marea terra in rotazione. lunisolare fM = fL + fS . (2.45) La (2.44) definisce il campo terrestre di gravità g, somma dell'attrazione gravitazionale newtoniana della Terra γ e dell'accelerazione centrifuga a dovuta alla rotazione diurna del pianeta (fig. 2.10). Riassumendo, possiamo scrivere l'equazione di Newton per un fluido terrestre nella forma: du 1 1 ∂A = − ∇p + + C + g + fM . (2.46) dt ρ ρ ∂z La forza specifica deviatrice C (2.40) dipende in ultima analisi dalla rotazione diurna della Terra rispetto ad un sistema inerziale, che si compie in un giorno sidereo ds = 0.997270 d = 23.93448 h; è detta accelerazione di Coriolis ed è rappresentata dalla (2.38). La forza di Coriolis è perpendicolare sia all'asse terrestre che al vettore velocità, per cui non compie lavoro: altera la direzione della velocità 35 ma non la sua intensità. Le forze agenti su una particella fluida sulla Terra sono dunque la forza di gradiente, l'attrito, la forza di Coriolis, la gravità terrestre e la forza di marea. La forza di marea sarà studiata nel cap. 6. La rotazione della Terra è individuata nel sistema inerziale dal vettore Ω, parallelo all'asse di rotazione terrestre, con verso tale (dal polo sud al polo nord) da vedere la sottostante rotazione in senso positivo (antiorario, verso est) e modulo pari alla velocità angolare (fig. 2.10) Ω = 2π/ds = 7.29211×10-5 rad/s. Il campo della gravità terrestre g definisce localmente la direzione verticale; essendo la risultante dell'attrazione gravitazionale e dell'accelerazione centrifuga (2.44), non è diretto esattamente verso il baricentro della Terra. Dato che a/γ < 3.2×10–3, la deviazione è comunque un angolo molto piccolo. Quando la scala spaziale del moto è limitata rispetto al raggio terrestre, si usa adottare per comodità un sistema di riferimento cartesiano locale, il cui piano x,y è tangente alla superficie orizzontale e l'asse z è verticale, positivo verso lo zenith. Considerando l'asse x positivo ad est lungo il parallelo e l'asse y positivo a nord lungo il meridiano, definiamo le componenti dei vettori: u = { u, v, w} , (2.47) g = { 0, 0, − g} , (2.48) 2Ω = { 0, 2 Ω cos ϕ , 2Ωsen ϕ } ≡ {0, e, f } , (2.49) e1 e2 e3 C = u × 2 Ω = det u 0 v e w = {fv − ew, − fu, eu} . f (2.50) Il parametro di Coriolis f = 2Ω senϕ = 1.45842×10−4 senϕ rad/s, funzione della latitudine ϕ , è la componente verticale del vettore 2Ω (2.49): è positivo −4 nell'emisfero nord (f(45°) = 1.0313×10 rad/s), negativo nell'emisfero sud e nullo all'equatore (fig. 2.10). La (2.50) deriva dalla (2.7). Scritta per componenti, in un sistema di riferimento terrestre locale, l'equazione (2.46) diventa: du 1 ∂ p 1 ∂Ax =− + + fv − ew + fM x , ρ ∂x ρ ∂z dt dv 1 ∂ p 1 ∂A y =− + − fu + fM y , (2.51) dt ρ ∂y ρ ∂z dw 1 ∂ p 1 ∂Az =− + + eu − g + fM z . dt ρ ∂z ρ ∂z 8. Approssimazioni delle equazioni del moto Riassumendo: le equazioni del moto, in un sistema terrestre locale, sono rappresentate dall'equazione di Newton (2.46, 2.51), dall'equazione di continuità (2.21) e dall'equazione di stato. E' comparsa inoltre una nuova variabile, la pressione di attrito: sarà quindi necessario introdurre un'ulteriore equazione, che di norma la definisce in funzione della velocità: A = A(u). In un bacino marino, il rapporto tra la scala verticale e quella orizzontale è tipicamente di 1/1000. Di conseguenza una particella d'acqua in moto percorre nei suoi spostamenti un percorso orizzontale molto maggiore di quello verticale, per cui w << u ≈ v . (2.52) Se il moto avviene alle medie latitudini, f ≈ e nella (2.49) e quindi il termine ew << fv può essere trascurato nella componente x della (2.51). 36 L'equazione (2.51) verticale del moto può essere approssimata dall'equazione idrostatica, in quanto la gravità, di gran lunga maggiore del termine inerziale, di attrito, di Coriolis e di marea, è in pratica bilanciata dal solo gradiente verticale della pressione. Nell'oceano si può inoltre assumere, ai fini inerziali, che la densità rimanga costante nel tempo: ρ = ρ 0. L'equazione di continuità (2.21) impone allora semplicemente che il campo di velocità abbia divergenza nulla (sia solenoidale; 2.55). Applicando le approssimazioni descritte, le equazioni del moto alle medie latitudini diventano: ρ = ρ0 , du 1 ∂ p 1 ∂Ax =− + + fv + fM x ρ ∂x ρ ∂z dt dv 1 ∂ p 1 ∂A y =− + − fu + fM y dt ρ ∂ y ρ ∂z ∂p = −ρ g , ∂z ∂w ∂u ∂v , =− − ∂z ∂x ∂ y , (2.53) , (2.54) (2.55) ∂uk (2.56) Ai = Ai u, v, , ... . ∂ x j Si può notare che i termini di Coriolis nelle equazioni orizzontali (2.53) dipendono ora dal solo parametro verticale f : quindi gli assi x, y del sistema locale non sono più vincolati alle direzioni est, nord precedentemente assunte e possono essere orientati a piacere sul piano orizzontale. La (2.56) ricorda che l'attrito deve essere definito in funzione della velocità e del suo gradiente. Definiamo per comodità: q = {u, v} , (2.57) f = {0, 0, f } , (2.58) C = q × f = {fv, − fu} , (2.59) A = {Ax , A y } , (2.60) fM = {fM x , fM y } , (2.61) ∂ ∂ ∇= , , (2.62) ∂x ∂y ovvero la velocità orizzontale, la componente Fig. 2.11.- Velocità orizzontale e vettoriale verticale di 2Ω, l’accelerazione di accelerazione di Coriolis in un sistema Coriolis, l'attrito orizzontale, la forza locale alle medie latitudini. orizzontale specifica di marea, il gradiente orizzontale. L'equazione del moto orizzontale (2.53) scritta in forma vettoriale diventa: dq ∂q 1 1 ∂A ≡ + (q ⋅ ∇ ) q = − ∇p + C + + fM . (2.63) dt ∂t ρ ρ ∂z L'accelerazione di Coriolis, di modulo C = fq , è diretta verso destra rispetto alla velocità (sul piano orizzontale) nell'emisfero settentrionale (fig. 2.11), verso sinistra nell'emisfero meridionale dove f è negativo. 37 3. CORRENTI 1. Introduzione Nel capitolo precedente sono state ricavate le equazioni del moto in un bacino marino di dimensioni piccole rispetto al raggio terrestre, situato alle medie latitudini, riferito ad un sistema locale di coordinate cartesiane con il piano x,y orizzontale e l'asse verticale z positivo verso l'alto. Il campo della velocità orizzontale, o corrente, q(x,t) = q(x,y,z,t) è legato alle forze orizzontali in gioco nell'oceano dall'equazione di Newton (2.63). La velocità verticale, piccola rispetto a quella orizzontale, può essere all'occorrenza calcolata con l'equazione di continuità (2.52). Si assume un equilibrio verticale idrostatico (2.51), che mette in relazione p(x) e ρ(x); integrando: p(z ) = p(0 ) − ∫ ρ g dz z 0 , (3.1) si ottiene, in funzione del valor medio verticale della densità (la gravità può essere approssimata con il suo valore standard gS = 9.80665 m/s2), la legge di Stevino: p(z ) = p(0 ) − ρ 0 g S z . (3.2) Nei paragrafi seguenti esamineremo alcune classiche soluzioni dell'equazione del moto (2.63). 2. L'equilibrio geostrofico Cerchiamo la soluzione non accelerata dell'equazione (2.63) in assenza della forza di marea. Posto dq =0 , (3.3) dt restano le forze specifiche di gradiente, di Coriolis (2.56) e di attrito che si sommano a zero. E' conveniente esprimere il termine Fig. 3.1.- Isobare su un piano orizzontale nell'oceano e di attrito con una semplice corrente geostrofica (emisfero settentrionale), con attrito funzione lineare: lineare (a sinistra) ed in assenza di attrito (a destra). 1 ∂A = − kq . (3.4) ρ ∂z Nota anche come ipotesi di Guldberg-Mohn, la (3.4) stabilisce che l'accelerazione di attrito agisce nella direzione della velocità, è ad essa opposta e proporzionale con un coefficiente di attrito k. L'equazione del moto 1 0 = − ∇ p + C − kq (3.5) ρ si risolve facilmente per via grafica. Consideriamo le isobare tracciate su un piano orizzontale immerso nell'oceano: la somma vettoriale C–kq deve essere uguale ed opposta alla forza specifica di gradiente (fig. 3.1); di conseguenza il vettore velocità, opposto all'attrito e normale a Coriolis, forma con le isobare un angolo α ed ha un'intensità dati da: − kq kq k tan α = = = , (3.6) q× f fq f 38 (kq )2 + (fq )2 = 1 ρ ∇p , q= 1 ρ k2 + f 2 ∇p . (3.7) Normalmente α < 45° e k < f ; in assenza di attrito k = 0, α = 0, e la corrente, detta geostrofica, procede parallela alle isobare, lasciando l'alta pressione alla sua destra (nell'emisfero nord), con un'intensità proporzionale al gradiente di pressione ed inversamente proporzionale alla densità ed al parametro di Coriolis: 1 q= ∇p . (3.8) ρf 3. La corrente inerziale Fig. 3.2.- Corrente inerziale nell'emisfero settentrionale. Fig. 3.3.- Corrente di gradiente attorno ad un centro di alta (A) e di bassa pressione (B) nell'emisfero nord. Consideriamo la soluzione stazionaria della (2.63) in un oceano omogeneo in assenza di forze: gradiente di pressione, attrito e marea sono assenti, ∂q =0 , (3.9) ∂t e l'equazione del moto si riduce a (q ⋅ ∇ ) q ≡ −a = C . (3.10) L'accelerazione di Coriolis uguaglia l'accelerazione centripeta rappresentata dal termine convettivo, ovvero bilancia l'accelerazione centrifuga a (fig. 3.2). La situazione di equilibrio è rappresentata da un moto circolare uniforme di raggio r, con velocità angolare ω , velocità tangenziale q = ω r . Il modulo dell'accelerazione centrifuga è a = q2 /r = ω2 r =ω q ; (3.11) dalla (4.10) si ottiene: a = C = fq → ω = f . (3.12) La corrente, detta inerziale, descrive in senso orario (nell'emisfero nord) un circolo di raggio r = q/f (circolo d'inerzia) con una velocità angolare pari al parametro di Coriolis e periodo 2π π 12 h T = = ≅ (3.13) f Ω senϕ sen ϕ funzione della latitudine. Alla latitudine di 45° il periodo inerziale è di 17 h, il raggio d'inerzia è di 10 km per velocità di 1 m/s, 1 km per 10 cm/s. 4. La corrente di gradiente Introducendo nella (3.10) il gradiente di pressione (q ⋅ ∇ ) q = − 1 ∇p + C (3.14) ρ otteniamo una corrente stazionaria, detta di gradiente, che segue, per effetto geostrofico ed in assenza di attrito, delle isobare a curvatura variabile ed è pertanto sottoposta all'azione centrifuga. In una traiettoria circolare sul piano orizzontale attorno ad un centro di alta pressione (fig. 3.3, A), la forza specifica di gradiente e l'accelerazione centrifuga agiscono radialmente nello stesso verso, e la loro somma è bilanciata dall'accelerazione di Coriolis; la circolazione avviene in senso orario, negativo o 39 anticiclonico. In un centro di bassa pressione (fig. 3.3, B) la forza di gradiente è attenuata dalla forza centrifuga, la forza di Coriolis e di conseguenza la velocità di rotazione risulta ridotta; la circolazione avviene in senso antiorario, positivo o ciclonico. A parità di intensità di gradiente, un anticiclone risulta dunque più efficace di un ciclone ai fini della circolazione. Nel caso generale la corrente percorre le isobare con l'alta pressione alla sua destra (nell'emisfero nord); nei tratti rettilinei l'intensità della velocità è data dalla formula geostrofica (3.8), aumenta quando curva a destra e diminuisce quando curva a sinistra per effetto dell'accelerazione centrifuga. In un fluido ideale il flusso è confinato tra le isobare: l'eventuale attrito produce un rallentamento delle velocità ed introduce una componente che attraversa le isobare diretta verso la bassa pressione. 5. La corrente ciclostrofica Consideriamo nuovamente un moto circolare stazionario attorno ad un centro di bassa pressione, descritto dalla (3.14), nel quale (3.11, 3.12): 1 ∇p = a ± C = (ω ± f ) q . (3.15) ρ Se il gradiente di pressione è intenso ed il raggio di rotazione piccolo, le velocità tangenziale ed angolare sono elevate, e ω = q/r >> f , a >> C . (3.16) Fig. 3.4.- Corrente ciclostrofica. In questo caso l'accelerazione di Coriolis è trascurabile rispetto a quella centrifuga, che da sola bilancia la forza specifica di gradiente. Mancando C, il verso della velocità tangenziale non è definito: la rapida rotazione può avvenire in senso orario od antiorario, a seconda delle condizioni che hanno avviato questo tipo di moto, che viene detto ciclostrofico (fig. 3.4). 6. Decadimento della corrente per effetto dell'attrito Consideriamo l'equazione del moto (2.57) in assenza di forze di gradiente e di marea, con un attrito lineare (3.4): dq = C − kq . (3.17) dt Moltiplicando scalarmente i due termini per la velocità ed essendo C ⋅ q = 0 si ha 2 dq 1 d ≡ (q ⋅ q ) = 1 dq = −kq 2 , dt 2 dt 2 dt 1 dq 2 = −2k dt , (3.18) 2 q Fig. 3.5.- Decadimento nel tempo della che ha per soluzione velocità della corrente per effetto di una forza di attrito lineare. q 2 (t ) = q 2 (0 ) e −2 k t L'intensità della velocità diminuisce quindi esponenzialmente nel tempo q (t ) = q (0 ) e− k t ; (3.19) con un tipico tempo di estinzione te = 1/k, tale che q(te) = q(0)/e ≅ 0.37 q(0) (fig. 3.5). Dato che tipicamente k ≈ 10–5 s–1, si deduce che dopo un tempo dell'ordine di 100 h q⋅ 40 (alcuni giorni) la velocità è praticamente annullata dalle forza di attrito. 7. La corrente di deriva Il vento genera sulla superficie del mare una pressione di attrito A(0); questa si propaga in profondità, strato dopo strato, generando un campo di corrente detta di deriva. Consideriamo la soluzione stazionaria, in assenza di forze di gradiente e di marea, in una zona di mare aperto e profondo: le coste ed il fondale sono cioè sufficientemente distanti da non influire sul campo di velocità. L'equazione del moto (2.63) si riduce a 1 ∂A q× f = − ; (3.20) ρ ∂z la pressione orizzontale di attrito è normalmente considerata proporzionale al gradiente verticale della velocità: ∂q A=µ , (3.21) ∂z dove µ è il coefficiente di viscosità. Un fluido che soddisfa all'ipotesi (3.21) è detto newtoniano; definito il coefficiente di viscosità cinematica ν = µ / ρ , la (3.20) con la (3.21), scritta per componenti e usando le (2.56), diventa: ∂ 2v fu = ν 2 ∂z . (3.22) ∂ 2u f v = −ν 2 ∂z La soluzione q(z) della (3.22) è stata proposta da Ekman. Se l'attrito superficiale del vento è diretto lungo y, si ha u( z ) = q( z ) cos(ϑ ) ; (3.23) v( z ) = q( z ) sen(ϑ ) intensità e direzione della corrente in funzione di z (positivo verso lo zenith) sono date da: Fig. 3.6.- "Spirale di Ekman": rotazione q( z ) = q0 e π z / d , (3.24) lineare della direzione ed attenuazione ϑ = π/4 + πz/d ; (3.25) esponenziale dell'intensità della corrente d = π 2 ν /f . (3.26) In superficie la corrente è diretta alla destra (nell'emisfero nord) del vento con un angolo ϑ0 = π / 4 rad = 45° . L'intensità della velocità diminuisce esponenzialmente con la profondità (3.24) e l'angolo (3.25) con il vento aumenta linearmente in senso negativo (orario); alla profondità z = –d l'intensità della corrente, parallela a quella superficiale ma di verso opposto, è ridotta del fattore 1/eπ. La (3.26), detta profondità di Ekman, stabilisce quindi la scala verticale della corrente di deriva; tipicamente d ≈ 100 m. di deriva con la profondità. 8. Esempi Il modello geostrofico è di primaria importanza sia in oceanografia che in meteorologia. In oceanografia è consuetudine effettuare i cosiddetti calcoli dinamici: 41 la corrente geostrofica è ricavata in base alle isobare calcolate ad una profondità determinata partendo dai profili verticali termoalini e di densità. In meteorologia si calcola il vento geostrofico in base alle carte isobariche osservate o previste al livello del mare o a quote superiori; l'attrito produce un effetto sensibile in prossimità del suolo, dove l'angolo tra il vento e le isobare è tipicamente di 20°-30°, a seconda della rugosità del terreno. La componente di vento normale alle Fig. 3.7.- Circolazione atmosferica isobare produce una convergenza al suolo nei verticale nei centri ciclonici (B) ed centri di bassa pressione, una divergenza nei anticiclonici (A). centri di alta pressione (fig. 3.7); per la continuità, si forma al centro una corrente verticale ascendente (ciclone) che favorisce la formazione di nubi, e rispettivamente discendente (anticiclone) che mantiene il cielo sereno e favorisce il ristagno al suolo. Circoli d'inerzia nel mare sono stati rilevati per mezzo di traccianti lagrangiani; il periodo inerziale, funzione della latitudine, si può a volte riconoscere negli spettri delle serie temporali dei parametri oceanografici. Per effetto dell'attrito, una corrente inerziale rallenta e di conseguenza, per completare il giro nel periodo fissato, percorre circoli di raggio via via decrescente, con un moto a spirale diretto asintoticamente verso il centro. La teoria di Ekman mostra che l'effetto del vento si esaurisce in pratica alla profondità d; Fig. 3.8.- Iceberg alla deriva. spirali di Ekman possono essere quindi osservate in mari a profondità maggiore di circa cento metri, lontani dalle coste e naturalmente in presenza di venti costanti e permanenti. Il moto di deriva degli icebergs, che galleggiano nello strato di Ekman (fig. 3.8), avviene normalmente a destra del vento dominante nei mari artici, a sinistra in quelli antartici. In un mare poco profondo e racchiuso da coste che pilotano la circolazione, come il Golfo di Trieste, il modello di Ekman Fig. 3.9.- Gorgo di Naruto (Giappone). non è applicabile. I moti ciclostrofici si ritrovano nel mare come mulinelli e gorghi di dimensioni limitate; normalmente nascono in seguito allo scontro di correnti intense ed opposte, più frequenti sui bassi fondali, negli stretti e negli estuari. Se dovuti a correnti di marea, hanno carattere ricorrente (Maelstrom in Norvegia, Old Sow nel Maine-New Brunswick, Naruto Whirlpool in Giappone, fig. 3.9, ecc.). Nell'atmosfera troviamo, con scale ed intensità diverse, "diavoletti di sabbia", trombe d'aria, tornadoes. 42 4. ONDE 1. Onde gravitazionali Un punto materiale soggetto ad uno spostamento e ad una forza di ripristino ad esso proporzionale ed opposta compie delle oscillazioni attorno al punto di equilibrio. Il pendolo è un classico esempio: la forza di ripristino è la componente del peso lungo l’arco di traiettoria. L’oceano, o l’atmosfera, stratificati nel campo della gravità ed in equilibrio idrostatico possono sostenere onde interne gravitazionali; infatti una particella fluida se innalzata ricade, e se depressa galleggia: essa non si arresta alla quota di partenza, ma la supera finchè il peso non subentra al galleggiamento o viceversa: nasce così un’oscillazione, smorzata per effetto dell’attrito (fig. 4.1). La frequenza di oscillazione dipende dal gradiente verticale della densità, ed è nota Fig. 4.1.- Onda interna gravitazionale come frequenza di Brunt-Väisälä : generata da uno spostamento verso l’alto. g ∂ρ N= − . (4.1) ρ ∂z Se la colonna fluida è in equilibrio stabile (la densità diminuisce verso l’alto) N è reale ed aumenta con la stabilità; se l’equilibrio è indifferente N=0, se instabile N è immaginario e lo spostamento innescato continua senza oscillazioni. Il periodo T=2π/N diminuisce con l’aumento del modulo del gradiente verticale della densità: nel mare sono tipici periodi di pochi minuti, nell’atmosfera di ore. All’interfaccia mare-aria, dove la densità si riduce di tre ordini di grandezza, i periodi tipici delle onde corte sono di pochi secondi. 2. Onde progressive e onde stazionarie Una generica funzione univoca ϕ (α ) dell’argomento (adimensionale) α (x , t ) = κ x m σ t (σ, κ > 0) assume per definizione lo stesso valore per ogni combinazione di (x,t) tale che κ x m σ t = α0 , (4.5) e ciò avviene per x=± σ α t+ 0 κ κ = x0 ± c t , (4.6) ovvero in x0 ed in tutti i punti lungo l’asse x “raggiunti” dopo un tempo t con la velocità di fase (>0) c= σ κ . (4.7) E’ possibile rappresentare ϕ con una somma di onde sinusoidali di ampiezza ε (>0) opportuna η (x , t ) = ε cos (κ x m σ t ) , (4.8) 2π 2π dove κ= , σ = (4.9) L T rappresentano le relazioni tra il numero d’onde κ e la lunghezza d’onda L, e tra la velocità angolare σ ed il periodo T. La (4.8) rappresenta quindi un’onda sinusoidale piana che procede nella direzione x (onda progressiva): il verso di avanzamento è verso le x positive o negative a seconda del segno (− o +). La velocità dell’onda (4.7) è detta di fase perchè è quella con cui procede la cresta (massimo η = ε ; α = 0, 2π) o il 43 cavo (η = −ε ; a = π) o un punto della sinusoide corrispondente ad un angolo α di fase qualsiasi; per la (4.7) si ha anche che c = L/T. L’escursione totale del livello H = 2ε è detta altezza dell’onda. In oceanografia si usa anche definire l’altezza significativa H1/3 come la media del sottinsieme delle altezze maggiori in numero pari ad 1/3 di quelle osservate. Due onde progressive uguali procedenti in versi opposti nello stesso segmento x si sommano e, per le formule trigonometriche di addizione cos(κ x − σ t ) + cos (κ x + σ t ) = 2 cos(κ x ) cos(σ t ) ; (4.10) la somma a destra nella (4.10) rappresenta un’onda stazionaria di lunghezza d’onda L (4.9) per t=cost e di periodo T in ogni punto fisso. Un’onda stazionaria può dunque essere considerata come la sovrapposizione di due onde progressive della stessa lunghezza d’onda e periodo, di metà ampiezza, che viaggiano in verso opposto. E’ interessante anche il caso di due onde progressive di uguale ampiezza che avanzano nello stesso verso; utilizzando le formule di prostaferesi: σ − σ2 σ + σ2 κ − κ2 κ + κ2 cos (κ1 x − σ1 t ) + cos (κ 2 x − σ 2 t ) = 2 cos 1 x− 1 t cos 1 x− 1 t ; (4.11) 2 2 2 2 quando le due onde non sono molto diverse, la (4.11) rappresenta i cosiddetti battimenti (fig. 4.2): appare cioè un’onda portante di caratteristiche L, T intermedie e di ampiezza modulata con lunghezza d’onda e periodo: 4π 4π Lg = , Tg = . (4.12) κ1 − κ 2 σ1 − σ 2 Fig. 4.2.- Battimenti, velocità di fase c e di gruppo cg. La modulazione dell’ ampiezza procede nello stesso verso dell’onda portante con una velocità di fase sua propria, detta velocità di gruppo: L σ −σ2 dσ cg = g = 1 → . (4.13) 1→2 Tg κ 1 − κ 2 dκ 3. Onde all’interfaccia mare-aria La tensione superficiale presente sulla superficie libera orizzontale del mare può agire come forza di ripristino tendente a spianare ogni stiramento o corrugamento originalmente causato dall’atmosfera, dando origine ad una serie di onde capillari con periodi tipici di decimi di secondo. Le onde capillari, pur di ampiezza molto piccola, possono essere importanti in quanto aumentano la rugosità della superficie marina e di conseguenza il coefficiente di attrito con l’aria e la possibilità di innesco delle onde gravitazionali da parte del vento. Un’onda gravitazionale sinusoidale piana progressiva nella direzione x nel verso positivo/negativo produce sulla superficie del mare un dislivello rappresentato dalla (4.8); alcune interessanti proprietà possono essere ricavate Fig. 4.3.- Onda progressiva all’interfaccia considerando la teoria lineare di Airy. Le ipotesi sono: (i) le onde sono di piccola mare-aria (sezione verticale). 44 Fig. 4.4.- Funzioni iperboliche. ampiezza (ε <<L), (ii) il fluido è ideale (senza attrito) e (iii) irrotazionale (senza vortici), (iv) la tensione superficiale è trascurabile, (v) l’accelerazione di Coriolis è trascurabile, (vi) la profondità h del bacino, la densità ρ dell’acqua e la pressione atmosferica p0 sono costanti. Al dislivello η(x,t) è associato sul piano verticale per x il campo di velocità V (x , z , t ) = (u, w ) , (4.14) che deve soddisfare alle condizioni al contorno ∂η , w (x , − h, t ) = 0 . (4.15) w (x , 0, t ) = ∂t Le equazioni del moto considerate sono quindi: ∂u ∂w ∂u ∂w ∂u 1 ∂p − =0 , + =0 , =− , ∂z ∂x ∂x ∂z ∂t ρ ∂x (4.16) che ammettono come soluzione: η (x , t ) = ε cos (κ x − σ t ) , (4.17) cosh (κ (h + z )) u (x , z , t ) = εσ cos (κ x − σ t ) , (4.18) senh (κ h ) senh (κ (h + z )) w (x , z , t ) = εσ sen (κ x − σ t ) ;(4.19) senh (κ h ) σ = gκ tanh(κ h) . Fig. 4.5.- Velocità di fase. (4.20) Sia il livello che le componenti orizzontale e verticale della velocità sono onde progressive: la velocità orizzontale dell’acqua è in fase con il livello, la velocità verticale è sfasata di π/2. L’ampiezza della velocità, per entrambe le componenti, dipende dalla profondità z e dalla profondità h del bacino tramite le funzioni iperboliche (fig. 4.4) definite come ex + e−x ex − e−x , , (4.21) cosh x = senh x = 2 2 senh x e x − e − x ; (4.22) tanh x = = cosh x e x + e − x il coseno iperbolico è una funzione pari, seno e tangente sono dispari e cosh 2 x − senh 2 x = 1 . I limiti sono: x →0 x →0 tanh x → senh x → x , (4.23) x → ±∞ tanh x → ± 1 . (4.24) Dalla (4.20) risulta che la velocità di fase (4.7) g tanh(κ h) c= tanh(κ h) = g h = κ κh Fig. 4.6.- Ampiezze della velocità in funzione della profondità per diversi rapporti L/h. tanh(2πh / L ) (4.25) 2πh / L è una funzione crescente della lunghezza = gh 45 d’onda (fig. 4.5) che ha come limite la velocità dell’onda lunga co = g h . (4.26) Onde di lunghezza diversa, inizialmente sovrapposte, dopo un certo percorso risulteranno separate; avvicinandosi al centro di una perturbazione, dove il vento genera un moto ondoso ad ampio spettro, si incontreranno per prime le onde di lunghezza maggiore, alle quali si andranno sovrapponendo quelle via via più corte. Per tale motivo la (4.20) si chiama relazione di dispersione. I profili verticali della velocità dell’acqua, descritti dai rapporti tra funzioni iperboliche nelle (4.18, 4.19), non sono facilmente interpretabili; la fig. 4.6 riporta, per diversi rapporti L/h = 0.1, 1, 5, 10, 100, l’ampiezza della velocità orizzontale in funzione della posizione z/h lungo la colonna, dalla superficie al fondo z = −h, in rapporto al suo valore in superficie. L’ampiezza della velocità verticale è riportata, lungo la colonna, in rapporto a quella orizzontale: per L<h le due ampiezze sono uguali quasi sino al fondo; per L/h>10 l’ampiezza della velocità verticale è una frazione di quella orizzontale in superficie, e si riduce linearmente a zero sul fondo, come richiesto dalla (4.15). La velocità di fase (4.25) delle onde progressive, fissata la loro lunghezza, dipende dalla profondità del bacino: profondità quindi velocità di propagazione variabile implica rifrazione. Il fronte d’onda rallenta quando viene a trovarsi in acque più basse, e la direzione di propagazione ad esso normale viene deviata di conseguenza. Ad esempio, onde incidenti su una spiaggia, verso la quale la profondità tende a zero, tendono ad allinearsi con il fronte parallelo alla riva; onde incidenti su di una costa frastagliata tendono a concentrarsi sulle punte, dove rilasciano la maggior parte della loro energia, con il conseguente trasporto di materiale eroso verso le baie (fig. 4.7). Le caratteristiche delle onde progressive diventano più chiare nei Fig. 4.7.- Rifrazione delle onde (c diminuisce con la casi limite L<<h ed L>>h. profondità). 4. Onde corte Consideriamo le onde progressive di lunghezza molto inferiore alla profondità del bacino: L << h , κ h >> 1 . (4.27) In questo caso e κ ( h + z ) ± e −κ ( h + z ) eκ ( h + z ) κ h→∞ → = eκ z (4.28) eκ h − e −κ h eκ h ed il profilo verticale delle velocità (4.18, 4.19) si semplifica: 46 Fig. 4.8.- Onda corta: le particelle d’acqua percorrono orbite circolari con una velocità V che si estingue esponenzialmente con la profondità. u = εσ eκ z cos (κ x − σ t ) , w = εσ eκ z sen (κ x − σ t ) . (4.29) (4.30) Le ampiezze delle componenti orizzontale e verticale risultano uguali tra loro; l’intensità e la direzione del vettore velocità sono date da V = u 2 + w 2 = ε σ e κ z = ε σ e 2π z / L , w tan ϑ = = tan (κ x − σ t ) , ϑ = κx −σt u (4.31) . (4.32) la velocità V dell’acqua (4.31) è εσ in superficie e si smorza esponenzialmente con la profondità: a z = −L è ridotta del fattore 1/e2π = 0.0019 . Per tale motivo le onde corte sono anche dette di superficie, in quanto coinvolgono solamente lo strato superficiale del mare di spessore pari ad una lunghezza d’onda. L’angolo ϑ (4.32) che il vettore V forma con l’orizzontale (fig. 4.3) nel punto x diminuisce linearmente nel tempo, ovvero ruota in senso orario con periodo T . Le particelle d’acqua si muovono dunque lungo orbite verticali circolari il cui raggio è massimo in superficie e praticamente nullo alla profondità L. La velocità dell’acqua in superficie è concorde alla velocità di propagazione c dell’onda. Lo spostamento medio dell’acqua nel periodo T è nullo. Per le (4.20, 4.24, 4.7, 4.13), la relazione di dispersione, la velocità di fase e la velocità di gruppo diventano: g 1 g 1 σ = gκ ; c= ; cg = = c . (4.33) κ 2 κ 2 In particolare possiamo ricavare le seguenti relazioni: c= g g L, c= T, 2π 2π c = 1.25 L , c = 1.56 T , L= g 2 T , 2π (4.34) L = 1.56 T 2 ; i coefficienti numerici delle (4.34) concordano con quelli ricavabili dalle osservazioni dirette delle onde marine. 47 5. Onde lunghe Consideriamo ora le onde progressive di lunghezza molto superiore alla profondità del bacino: L >> h , κ h << 1 . (4.35) Relazione di dispersione (4.25, 4.24), velocità di fase e di gruppo (4.7, 4.13) diventano σ =κ gh , c = cg = g h ≡ co ; (4.36) le ultime due in particolare sono uguali tra loro ed alla “velocità dell’onda lunga” (4.26). Tenendo presente che cosh(0)=1 ed i limiti (4.23), la velocità dell’onda lunga diventa u= εσ ε cos (κ x − σ t ) = co cos (κ x − σ t ) , κh h (4.37) h+z sen (κ x − σ t ) . (4.38) h Notiamo che la velocità orizzontale è indipendente dalla profondità; il rapporto tra Fig. 4.9.- Onda lunga: le particelle d’acqua le intensità della velocità verticale ed percorrono orbite ellittiche con una orizzontale, molto piccolo in superficie, componente verticale piccola in superficie e w( x ,0, t ) nulla sul fondo. = κ h << 1 , (4.39) u( x ,0, t ) si riduce linearmente a zero con w sul fondo (fig 4.9). Al limite, la velocità dell’acqua si riduce ad una corrente orizzontale alternata di periodo T . w = εσ 6. Esempi profondità /m co /(m/s) co /(km/h) Sia h = 200 m la profondità del bacino. 1 3.1 11 Un’onda corta di lunghezza L =10 m ed 10 9.9 36 ampiezza ε = 1 m ha una velocità di fase (4.34) c 100 31.3 113 1000 99.0 357 = 3.95 m/s = 14.2 km/h ed un periodo T = 2.53 s; 2000 140.0 504 la velocità dell’acqua è di 2.47 m/s in superficie 3000 171.5 617 e di 5 mm/s a 10 m di profondità. Un 4000 198.1 713 galleggiante raggiunto dall’onda viene spinto in 5000 221.4 797 alto, in avanti, in basso ed all’indietro con uno 6000 242.6 873 spostamento totale nullo nel periodo T. Un’onda Tab. 4.1.- Velocità dell’onda lunga co lunga con L = 100 km, ε = 1 m, ha una velocità per diverse profondità del bacino. di fase (4.36) co = 44.29 m/s = 159.4 km/h ed un periodo T = 37.6 min; la velocità orizzontale è 22.1 cm/s a tutte le profondità, la velocità verticale in superficie è di 3 mm/s. La colonna d’acqua si sposta di 250 m nel verso di propagazione dell’onda, con versi alternati ogni mezzo periodo. La velocità dell’onda lunga (4.36) è riportata, per diverse profondità, nella tab. 4.1; questa è la velocità alla quale viaggiano le onde di marea, le oscillazioni libere dei bacini e gli tsunami. La marea avanza a bassa velocità negli estuari, nei canali e nelle lagune dove l’acqua è bassa; un’onda solitaria attraversa un oceano in poche ore. 48 5. ONDE LUNGHE 1. Dinamica a scala di bacino Gli oceani, i mari, i laghi ed i bacini d'acqua in genere presentano uno sviluppo prevalentemente orizzontale; se indichiamo con H l’ordine di grandezza dell’estensione orizzontale e con Z quello della profondità, il rapporto H/Z è normalmente dell'ordine di 103. Una corrente a scala di bacino, che sposti una massa d’acqua da un'estremità all'altra in un tempo T pur con qualche variazione di profondità, mantiene lo stesso rapporto tra le corrispondenti velocità (fig. 5.1): Uh/Uz = UhT/UzT = H/Z = 1000/1. (5.1) Fig. 5.1.- Scala tipica dei bacini marini (sezione verticale). Nel capitolo precedente è stato dimostrato che le onde lunghe (definite tali in rapporto alla profondità del bacino), cioè con lunghezze d’onda Λ ≈ H » Z , sono caratterizzate dal fatto che la velocità dell’acqua ha una componente verticale Uz trascurabile ed una componente orizzontale Uh che è indipendente dalla profondità, ovvero che si mantiene costante dalla superficie al fondo. La velocità orizzontale periodica delle onde lunghe, quando lunghezza d’onda e periodo tendono all’infinito, tende a diventare una corrente aperiodica. 2. Sistema di riferimento ed equazioni del moto Lo studio della dinamica globale dei bacini oceanici richiederebbe l'uso di un sistema di coordinate polari; il caso più interessante (per noi), e più semplice da trattare, è quello di un bacino di piccole dimensioni (relativamente al raggio terrestre R) collocato alle medie latitudini. Il fatto che il bacino sia “piccolo” permette di adottare un sistema locale di coordinate cartesiane (fig. 2.11) nel quale il piano (x,y) approssima la superficie orizzontale del mare a riposo e l'asse z (positivo verso lo zenith) è verticale. Il limite alle medie latitudini permette di semplificare il termine di Coriolis; le equazioni del moto sono descritte nel § 2.8. Una variabile di interesse fondamentale è il livello del mare, ovvero lo scostamento tra la superficie del mare ed il piano orizzontale di riferimento (fig. 5.2); la variazione locale nel tempo del livello è la velocità verticale in superficie: ∂η ( x , y, t ) w ( x , y,0, t ) = . (5.2) ∂t In un bacino così definito consideriamo quindi onde lunghe di piccola ampiezza, ossia di ampiezza trascurabile rispetto alla profondità; riassumendo: Fig. 5.2.- Sistema locale di coordinate per un bacino di piccole dimensioni. η « Z « H ≈ Λ « R . (5.3) 49 Un’approssimazione usuale, in onde di questo tipo ed in bacini “regolari” (esclusi stretti e zone costiere frastagliate, con isole, ecc.), consiste nel considerare normalmente piccolo il gradiente orizzontale di velocità, e quindi di trascurare il termine advettivo, non lineare, nella derivata totale della (2.60). Le equazioni del moto sono dunque: ∂q 1 1 ∂A = − ∇p + q × f + + fM , (5.4) ∂t ρ ρ ∂z ∂p = −ρ g , (5.5) ∂z ∂w = −∇ ⋅ q . (5.6) ∂z L’equazione di Newton orizzontale (5.4) lega la corrente q(x,y,z,t) = {u,v} alla forza di gradiente ed alle forze esterne; l'attrito A deve essere definito in funzione di q. L'equazione verticale (5.5) è quella idrostatica; l'equazione di continuità per un mare a densità costante (5.6) esplicita il termine verticale della divergenza della velocità in funzione della divergenza orizzontale. 3. Integrazione verticale Un modo semplice per trasformare le equazioni del moto (5.4, 5.5, 5.6), valide per qualsiasi profondità, in un sistema adatto alla descrizione delle onde lunghe nel quale la variabile η sia opportunamente esplicitata, è quello di operare su di esse una integrazione (o media) verticale, dal fondo z = − h alla superficie z = η. La seconda variabile (vettoriale) del moto è la corrente orizzontale media U, definita da η η 1 1 U= q dz ≅ q dz ; (5.7) h + η −∫h h −∫h dove il livello può essere trascurato per la (5.3). Ricordiamo la relazione: b( x ) b ∂ ∂f ∂b ∂a f x z dz = dz + f ( x , b) − f (x, a) ( , ) , ∫ ∫ ∂x a ( x ) dx ∂ x ∂ x a (5.8) dalla quale risulta che derivata e integrale possono essere scambiati solo se gli estremi di integrazione hanno derivata nulla. Nel nostro caso l’estremo superiore è b = η (x,y,t); integrando su tutta la colonna potremo però trascurare per la (5.3), quando necessario, il contributo dato dal tratto compreso tra il livello medio z = 0 e la superficie: η ∫ dz ≅ −h 0 ∫ dz . (5.9) −h Per quanto riguarda l’estremo inferiore a = − h(x,y), possiamo considerare il fondo del mare “quasi orizzontale”: ∇h ≅ 0 . (5.10) Con queste approssimazioni, integrando il termine inerziale dell’equazione orizzontale (5.4) abbiamo: η 0 0 ∂q ∂q ∂ ∂ ∂U (5.11) ∫−h ∂t dz ≅ −∫h ∂t dz = ∂t −∫hq dz = ∂t hU = h ∂t ; Consideriamo ora la forza specifica di gradiente nella (5.4). Ricaviamo la pressione dall’integrazione dell’equazione verticale idrostatica (5.5), η η ∂p ∫z ∂z dz = − ∫z ρg dz , p( x , y,η ,t ) − p( x , y, z,t ) = − ρg (η ( x , y,t ) − z ) , (5.12), 50 nella forma espressa dalla formula di Stevino p = p0 + ρg (η − z ) , (5.13) dove la pressione totale è espressa come somma della pressione atmosferica p0 e della pressione esercitata dalla colonna d’acqua sovrastante, scissa nei due contributi: dalla superficie al livello medio (piano (x,y)), e da questo alla profondità − z. Il gradiente di p è quindi: ∇p = ∇p0 + ρg ∇η , (5.14) 1 ρ η h ∫ ∇p dz ≅ ρ ∇p 0 + hg ∇η . (5.15) −h L’integrazione dell’accelerazione di Coriolis, con la consueta approssimazione (5.9), dà: 0 ∫ q × f dz = hU × f . (5.16) −h Integrando il termine di attrito otteniamo: η 1 ∂A 1 dz = (A(η ) − A( −h )) . ∫ ρ − h ∂z ρ (5.17) L’attrito sulla superficie del mare è esercitato dal vento di velocità W, del quale mantiene direzione e verso; il suo modulo è proporzionale all’intensità W=|W| del vento con un coefficiente che, sperimentalmente, dipende dalla “rugosità” della superficie (dall’altezza delle onde gravitazionali corte), a sua volta funzione di W: 1 A(η ) = γ W W ; (5.18) ρ per il coefficiente di proporzionalità si assume un valore empirico γ = 3.2×10−6. Analogo discorso vale per l’attrito che l’acqua, con la sua velocità U, esercita sul fondo del mare; in questo caso conviene però usare, in prima approssimazione, un coefficiente k = a|U| costante, in modo da mantenere il termine lineare: 1 A( −h) = hk U . (5.19) ρ Consideriamo ora l’equazione di continuità (5.6), ed integriamo la componente verticale della divergenza del campo solenoidale di velocità; in base alla (5.2) ed alle condizioni al contorno dei fluidi viscosi per cui la velocità dell’aqua sul fondo e lungo le coste del bacino è nulla, si ricava: η ∂w ∂η (5.20) ∫−h ∂z dz = w( x , y,η , t ) − w( x , y,−h, t ) = ∂t . Inoltre, per le (5.8, 5.7) e per le condizioni al contorno (u=v=w=0) sul fondo: η η ∂u ∂ ∂h ∂ ∫−h ∂x dz = ∂x −∫hu dz − u( x ,−h) ∂x = ∂x hU , (5.21) ed analogamente per la componente y. 4. Le equazioni di “storm surge” Mettendo assieme i risultati ottenuti (5.20, 5.21; 5.11, 5.15, 5.16, 5.17-5.19,) e dividendo per h, otteniamo le equazioni del moto (di continuità e di Newton) verticalmente integrate (o meglio mediate dal fondo alla superficie del mare), dove le incognite sono il livello ed il campo orizzontale di velocità, mentre sono date la forza atmosferica e la marea astronomica: 51 ∂η = −∇ ⋅ hU , ∂t ∂U = − g ∇η + C − kU + F + FM ∂t dove η (x,y,t) U(x,y,t) = {U,V } C = U×f = {fV, −fU } f = {0,0, f } , f = 2Ω senϕ γ 1 F ( x , y, t ) = W W − ∇p0 h ρ W (x,y,t) p0 (x,y,t) FM(x,y,t) ∇ = { ∂ ∂x , ∂ ∂y } h(x,y) ρ g k γ (5.22) , (5.23) elevazione sul livello del mare a riposo, velocità orizzontale (media verticale), accelerazione di Coriolis, parametro di Coriolis forza specifica aria-mare, velocità del vento sul mare, pressione atmosferica sul mare, forza specifica di marea astronomica; gradiente orizzontale, profondità del bacino, densità dell’acqua di mare, accelerazione di gravità, coefficiente di attrito (∼10−5 s−1), coefficiente del vento (∼3.2 ×10−6). Fig. 5.3.- Equazioni di storm surge: (a) equazione di continuità, (b) equazione di Newton. L’equazione di continuità (5.22) per un mare incompressibile (dρ/dt=0), che esprime la conservazione del volume, mette in relazione la variazione locale del livello e la convergenza del campo del trasporto orizzontale hU (flusso di volume attraverso una sezione di larghezza unitaria, dalla superficie al fondo): dato il trasporto segue una corrispondente variazione di livello, e viceversa (fig. 5.3-a). In altre parole: in ogni punto del bacino flusso convergente ed innalzamento della superficie, così come flusso divergente ed abbassamento, sono fenomeni correlati. Notiamo inoltre che, ai fini delle variazioni di livello, quello che interessa è il trasporto complessivo sulla colonna, e non le sue eventuali variazioni verticali (che sappiamo essere nulle per le onde lunghe). L’equazione di Newton (5.23; fig. 5.3-b) descrive colonne fluide “rigide”, estese dal fondo alla superficie del bacino, in moto con velocità U, deviate (a destra 52 nell’emisfero nord) dall’accelerazione di Coriolis C. Sulla faccia superiore della colonna agisce la forza meteorologica γ 1 F = W W − ∇p0 , (5.24) h ρ risultante dall’azione del vento nella (5.18) e dal gradiente della pressione atmosferica nella (5.15); sulla faccia inferiore agisce l’attrito di fondo −kU. Una forza − g ∇η proporzionale a g ed alla pendenza della superficie marina rappresenta l’azione livellatrice della gravità. FM è il valor medio sulla colonna della componente orizzontale della forza specifica di marea astronomica fM (2.45). Le (5.21, 5.22) sono note come equazioni “delle onde lunghe”, “di marea” o “per l’acqua alta” (long wave, tidal, storm surge equations); in particolare l’ultimo termine inglese denota l’innalzamento del livello (surge) causato dalle forze meteorologiche associate a situazioni isobariche più (storm) o meno intense. Le condizioni al contorno impongono che la velocità sia nulla (U=0) sui “confini rigidi”, cioè sulle coste e sul fondo del bacino (no-slip conditions); lungo l’eventuale confine aperto bisogna prescrivere η, od U, oppure una loro relazione. Per la soluzione η (x,y,t), U(x,y,t) del sistema devono essere inoltre assegnate le condizioni iniziali η (x,y,0) e U(x,y,0). Le equazioni di “storm surge” sono lineari, e ciò in virtù delle approssimazioni adottate. Linearità significa che, se alla forza Fn corrisponde le soluzione (ηn, Un), allora alla forza ΣanFn corrisponde la soluzione (Σanηn, ΣanUn): l’effetto complessivo di una combinazione lineare di cause è la stessa combinazione lineare dei corrispondenti effetti. 5. Oscillazioni libere o sesse Un fenomeno occasionale, consistente in un periodico innalzamento ed abbassamento del livello dell’acqua lungo le rive, era noto nel lago di Ginevra almeno dal XV secolo; chiamato “seiche” da de Duillier nel 1730, è stato ben descritto da François-Alphonse Forel, pioniere della limnologia, nel suo lavoro “Le Léman” del 1895. Le sesse in effetti si possono osservare in bacini d’acqua di ogni dimensione e nei mari; l’innesco è dato di solito dalle forze atmosferiche, ma può dipendere da perturbazioni di altro tipo (piene fluviali, terremoti, ecc,). Una caratteristica delle sesse è che si manifestano con periodi fissi, compresi tra secondi ed ore, che dipendono dalle dimensioni e dalla forma del bacino. Matematicamente, le sesse sono le soluzioni delle equazioni delle onde lunghe omogenee, nelle quali cioè le forze esterne sono poste uguali a zero; ovvero le oscillazioni libere in vigore quando la causa che le aveva generate è cessata. La soluzione è facile da trovare nel caso di un bacino chiuso, non rotante (C=0), del quale consideriamo il moto nella sola sezione longitudinale (x,z) di lunghezza A e di profondità h costante (fig. 5.4); le (5.22, 5.23) diventano: ∂η ∂U = −h , (5.25) ∂t ∂x ∂U ∂η = −g − kU + X ; (5.26) ∂t ∂x le condizioni al contorno sono: U(0,t) = U(A,t) = 0 . (5.27) In assenza di forze (X=0) la Fig. 5.4.- Sesse longitudinali in un bacino chiuso. soluzione generale delle (5.25, 5.26) è data dalla combinazione lineare di onde stazionarie: 53 N η0 = ∑ ηn , n =1 N U 0 =∑U n , ηn ( x , t ) = ε n cos(κ n x ) cos(σ n t + τ n ) e − k t / 2 , Un ( x ,t ) = le notazioni sono: c0 ε n sen(κ n x ) sen(σ n t + τ n + δ n ) e − k t / 2 ; h (5.29) (5.30) εn ampiezza, c0 = gh κ n = nπ / A velocità di fase dell’onda lunga, σ n = c02κ n2 − (k / 2)2 Ln = 2π / κ n = 2 A / n Tn = 2π / σ n τn δ n = arctg (k 2σ n ) Fig. 5.5.- Evoluzione temporale del livello con e senza smorzamento. Fig. 5.6.- Sezione longitudinale delle prime tre sesse. 54 (5.28) n =1 numero d’onda, frequenza angolare, lunghezza d’onda, periodo, fase iniziale dell’onda n, sfasamento. (5.31) La soluzione può essere verificata sostituendo le (5.29, 5.30) nelle (5.25, 5.26). Considerata la linearità delle equazioni, il moto più generale del bacino in esame, in assenza di forze, consiste quindi in una sovrapposizione di sesse di periodo Tn (n=1,2,3, …) di diversa ampiezza e fase. La possibilità per la lunghezza d’onda e di conseguenza per il periodo di assumere solamente valori discreti è una conseguenza delle condizioni al contorno (5.26): queste sono soddisfatte per x=0, mentre all’estremità x=A del bacino deve essere sen(κ n A ) = 0 ossia κ n A = nπ . La lunghezza d’onda della sessa fondamentale (n=1) è quindi pari al doppio della lunghezza del bacino. L’attrito di fondo ha un duplice effetto: (a) ridurre l’ampiezza della sessa esponenzialmente nel tempo con il coefficiente di smorzamento k/2 (fig. 5.5), e (b) sfasare di δ n la velocità, in modo che il livello risulta un po’ ritardato rispetto ad essa. Il numero N di sesse, infinito dal punto di vista matematico, è limitato in questo modello dalla necessità che l’onda rimanga lunga (2A/N »h, N«2A/h); in natura l’ampiezza decresce rapidamente con n, in modo che sesse di ordine superiore a tre non sono in genere osservabili. Il profilo longitudinale del livello e della corrente orizzontale assunto dalle prime tre sesse in un bacino chiuso è illustrato nella fig. 5.6. La velocità deve avere sempre un nodo agli estremi del bacino; in generale, la sessa di ordine n presenta n nodi di livello ed n ventri di velocità, n+1 nodi di velocità ed n+1 ventri di livello. Per quanto riguarda l’evoluzione temporale, allo spostamento massimo del livello corrisponde la minima corrente orizzontale (nulla se l’attrito è nullo), mentre la corrente è prossima ai suoi valori massimi quando la superficie è orizzontale; il trasporto orizzontale è sempre diretto concordemente all’aumento del livello. Una superficie piana può essere ottenuta, per il teorema di Fourier, con un’opportuna combinazione di sesse: la conseguente oscillazione è paragonabile a quella di una tavola che altalena attorno ad un perno centrale. E’ interessante esaminare una caratteristica delle sesse nel caso di attrito nullo. Per k = 0 la velocità angolare diventa σ n = c0κ n = nπ gh A ed il periodo 1 2A . (5.32) Tn = n gh La (5.32), nota come formula di Merian, stabilisce che il periodo dell’onda stazionaria fondamentale tra due sponde di un bacino è pari al tempo che impiega un’onda (lunga) progressiva, che viaggia con la velocità di fase c0, a percorrere andata e ritorno la distanza tra di esse. In effetti la formula di Merian può essere ricavata direttamente, ricordando l’equivalenza tra onde progressive e stazionarie (4.10). In un mare adiacente la condizione al contorno normalmente imposta è che il livello sia nullo lungo il confine aperto del bacino. La formula di Merian può essere ancora usata in questo caso, considerando il bacino aperto come la metà di un bacino chiuso, per cui il suo periodo fondamentale diventa T = 4A/c0 . Le equazioni per le onde lunghe omogenee (forza esterna nulla) possono essere risolte per via analitica anche nel caso di bacini dalla forma più complessa: bacini unidimensionali con profondità variabile linearmente o a gradini; bacini bidimensionali rettangolari, circolari, ellittici con profondità costante oppure a conca sferica o parabolica. In tutti questi casi si trova che la soluzione rappresenta una sovrapposizione di onde stazionarie, date da funzioni sinusoidali o da altre funzioni periodiche (ad esempio di Bessel), e che i periodi sono sempre fissati dalla geometria. Nel caso di un bacino reale, di geometria complessa ed in rotazione, non è possibile trovare la soluzione per via analitica e bisogna fare ricorso a metodi di calcolo numerico. Comunque, per analogia con i casi conosciuti, si può dedurre che sesse di periodo fisso esistono per ogni bacino reale: cosa che è in acordo con l’esperienza. Inoltre, fissate due sponde opposte e la profondità media tra di esse, la formula di Merian (5.32) costituisce sempre un’ottima approssimazione per il calcolo del periodo di oscillazione. 6. Effetti di una forza esterna Per studiare gli effetti di una forza esterna su di un bacino bisogna considerare le equazioni di “storm surge” (5.22, 5.23). L’effetto sarà indipendente dal “tipo” della forza orizzontale, sia essa dovuta al vento o alle differenze della pressione atmosferica sulla superficie (5.24), oppure all’azione lunisolare sull’intera colonna d’acqua. La soluzione completa è del tipo: η = η0 + η X , U = U0 + UX , (5.33) consistente nella combinazione (η0, U0) delle sesse proprie del bacino più una 55 soluzione (integrale particolare) (η X, UX) caratteristica della forza agente. Nel caso di una forza stazionaria, dopo un certo tempo si instaura nel bacino una situazione di equilibrio, anch’essa stazionaria. Se ci limitiamo al caso precedente unidimensionale (5.25, 5.26), ponendo ( ∂ ∂t = 0) , le equazioni di storm surge si riducono a ∂U =0 , (5.34) ∂x ∂η g = X − kU . (5.35) Fig. 5.7.- Ingorgo (“surge”) in un bacino chiuso ∂x (sopra) e aperto (sotto). La (5.34) indica che la velocità U(x)=cost=U(A)=0 deve essere uniforme, ed in particolare nulla per le condizioni al contorno. Dalla (5.35) segue dunque che, sotto l’azione di una forza costante X0, la superficie del bacino assume, all’equilibrio, la forma di un piano inclinato con una pendenza uguale al rapporto tra la forza specifica e la gravità: x 1 X η ( x ) = ∫ X 0 dx = 0 x + η (0) . (5.36) g0 g Nel caso di un bacino chiuso (fig. 5.7) il valore di η(0) è definito dalla conservazione del volume, per cui al centro del bacino η(A/2)=0 e η(0)=−AX0/2g. Nel caso di un bacino aperto si può definire η(0)=0, nell’ipotesi che il bacino esterno abbia una “capacità infinita”, ovvero che sia capace di scambiare acqua senza subire variazioni di livello. Secondo la (5.24) l’azione della pressione atmosferica sul bacino è indipendente dalla profondità, mentre l’azione del vento è inversamente proporzionale ad essa. Per comprendere meglio gli effetti della batimetria, consideriamo un caso tipico: il fondale sale (per semplicità, linearmente) dalla profondità h0 del confine aperto ad un valore basso (hA) presso l’estremità chiusa h(x) = h0 − m x , m = (h0 − hΑ)/A , (5.37) ed il vento spira con velocità costante W0 verso la costa (fig. 5.8), X0 = γ W02 . (5.38) h Per la (5.36) avremo dunque h γ ; (5.39) W02 ln 0 η(x ) = mg h( x ) Fig. 5.8.- Accumulo prodotto da un vento costante in un bacino aperto con profondità decrescente. l’innalzamento η(A) presso la costa sottovento risulta amplificato in funzione del rapporto h0/hA, ovvero lo stesso accumulo costiero è ottenuto con un minor apporto di acqua nel bacino. Questo “effetto amplificatore dell’acqua bassa” agisce anche dinamicamente nella propagazione delle onde lunghe, quali le sesse e le onde di marea. 56 Il caso stazionario rappresenta un limite teorico: in presenza di una forza costante, il bacino raggiunge l’equilibrio dopo un tempo infinito. Da un punto di vista pratico, tempo “infinito” vuol dire lungo abbastanza perchè l’ampiezza delle sesse si sia ridotta, per attrito, ad un valore trascurabile. Se la forza varia nel tempo, il bacino cerca continuamente di adeguarsi alla nuova condizione di equilibrio, alla quale si avvicina tanto più quanto la variazione, riferita al periodo fondamentale di oscillazione, è “lenta”. Il passaggio da una condizione di equilibrio ad un’altra avviene attraverso una combinazione di sesse smorzate; l’ampiezza di queste è tanto maggiore quanto più è brusco il cambiamento della forza applicata sul bacino. 7. Esempi Proviamo ad usare la formula di Merian per stimare i periodi di oscillazione di alcuni bacini (a,b,c). (a) Mare Adriatico. Il periodo fondamentale è quello della prima sessa longitudinale: il bacino è aperto ad Otranto, sede di una linea nodale di livello. Approssimando la lunghezza con A=800 km e la profondità media con h=200 m, la velocità dell’onda lunga è c0=44.3 m/s e T = 4A/c0= 20.1 h; le sesse successive hanno i periodi T/2=10.0 h e T/3 = 6.7 h. I corrispondenti periodi effettivamente osservati sono di 21.5, 11.0 e 7.1 h: L’approssimazione è buona, soprattutto considerando che la batimetria dell’Adriatico è estremamente differenziata. Supponendo che la sessa abbia un’ampiezza ε = 50 cm, con la (5.30) possiamo calcolare per la velocità un’ampiezza pari a ε c0/h = 11 cm/s: questo valore rappresenta una stima dell’intensità massima della corrente. (b) Golfo di Trieste. Il periodo di oscillazione trasversale (5.32; n=1) del Golfo tra la costa SE (da Punta Salvore a Trieste) e la costa NW (da Grado a Monfalcone) distanti 22 km, con una profondità media di 17 m e c0=12.9 m/s è di 57 min, praticamente uguale a quello osservato. (c) Oceano. Ad una profondità di 5000 m corrisponde una velocità dell’onda lunga (per inciso, la velocità alla quale viaggiano gli “tsunami”) di 220 m/s = 800 km/h; una eventuale sessa tra due sponde distanti 5000 km avrebbe un periodo di 12.5 h. Effetti del vento e della pressione atmosferica. Calcoliamo ora l’accumulo η(A) prodotto nell’Adriatico settentrionale da un vento meridionale. Sia il bacino aperto in x = 0, con A=800 km; consideriamo due modelli di profondità: (a) costante, h=200 m e (b) linearmente variabile da h(0)=1000 m a h(A)=20 m. L’accumulo risulta proporzionale a W 2 (5.36; 5.38, 5.39); il fondale decrescente produce effetti molto più vistosi (fig. 5.9). La forza atmosferica (5.24) sul bacino è originata dalle perturbazioni in transito; sono evidenziati due termini, di intensità Fig. 5.9.- Elevazione all’estremità chiusa γ 1 FW = W 2 , Fp = ∇p0 . (5.40) in funzione della velocità del vento con ρ h profondità costante (a) e lineare (b). Normalmente la velocità del vento si calcola 57 con la formula geostrofica (3.8) W= 1 ρa f ∇p0 , in funzione del gradiente della pressione atmosferica, della densità dell’aria (ρa ≈1.2 kg/m3) e del parametro di Coriolis; con f(45°) = 1.031×10−4 s−1 il rapporto ∇p0 γρ FW = ∇p0 = α , (5.41) 2 F p h( ρ a f ) h con α = 2.14×105 m3s2/kg, dipende dalla profondità del bacino, oltre che dall’intensità della perturbazione. Ad esempio se ∇p0 = 2 hPa /(100 km ) = 2×10−3 Pa/m FW = Fp 428 m h ; (5.42) in questo caso la profondità di circa 400 m segna un limite: in acque più basse prevale l’effetto del vento, a profondità maggiori quello della pressione atmosferica. 58 6. LA MAREA ASTRONOMICA 1. La forza di marea Durante la trasformazione dell’equazione di Newton da un sistema di riferimento inerziale ad uno terrestre, passando per successive rotazioni di periodo annuale, mensile e diurno, è stato individuato un campo di forza, detto marea lunisolare, definito come la somma del campo gravitazionale del Sole e della Luna con le forze centrifughe proprie dei corrispondenti moti orbitali (2.42, 2.43). Un corpo celeste è soggetto quindi ad una forza di marea causata da altri corpi presenti nello spazio; vediamo di dedurne le proprietà. Per semplificare il problema consideriamo due soli corpi celesti, di massa M (e baricentro O) ed m, tali da costituire un sistema legato: sia cioè costante la distanza d tra i rispettivi baricentri. In un sistema di riferimento inerziale, d può rimanere invariata a condizione che la forza di attrazione gravitazionale mM FG = G 2 (6.1) d Fig. 6.1.- Rivoluzione di due corpi celesti attorno al sia bilanciata, nel centro di baricentro del sistema O’. massa di ciascun corpo, da una forza uguale e contraria: ne consegue che i due corpi devono necessariamente ruotare attorno al comune baricentro O’ (che assimiliamo ad un punto fisso in un sistema inerziale), con i raggi di rotazione definiti da MR = m (d−R) , (6.2) dove R = OO' , e la velocità angolare ω è tale da sviluppare una forza centrifuga FC = M ω2R = m ω2(d−R) = FG . (6.3) Ai fini della dinamica celeste il corpo di volume V e di massa M si comporta come se questa fosse tutta concentrata nel suo baricentro, dove vale l’equilibrio (6.3); nei punti di V diversi da O la somma FM della forza gravitazionale FG e di quella centrifuga FC risulta però non nulla, e viene chiamata forza di marea astronomica. Il volume V mantiene inalterato il suo orientamento nello spazio inerziale, vale a dire che ogni vettore da O ad un generico punto P si mantiene parallelo nel corso della rotazione del sistema, che per tale motivo è detta rivoluzione (fig. 6.1). L’eventuale rotazione del corpo immerso nello spazio V attorno ad un suo proprio asse comunque orientato non è rilevante ai fini di questo modello. Nel moto di rivoluzione ogni punto P ha un suo proprio centro di rotazione P’, tale che OO’P’P è un parallelogramma, e quindi ha un raggio di rotazione R parallelo ed uguale a quello del baricentro O. Il campo della forza centrifuga specifica è quindi rappresentato da un vettore costante (fig. 6.2) di modulo (6.3, 6.1): fC = ω 2R = Gm/d2 . (6.4) 59 Il campo della forza gravitazionale specifica è invece funzione del punto P : è sempre diretto verso l’astro di massa m, dal quale dista a, ed il suo modulo fG = Gm/a2 (fig. 6.3). Il compito a questo punto è di Fig. 6.2.- Il campo della forza centrifuga del moto di calcolare il campo vettoriale della rivoluzione è costante. forza di marea specifica (6.5) fM = fC + fG nello spazio V in funzione delle caratteristiche (massa e posizione relativa) del secondo astro. E’ conveniente adottare un sistema di coordinate con origine nel centro di massa O, l’asse x che Fig. 6.3.- Il campo della forza gravitazionale dipende punta verso l’astro m e l’asse y dalla posizione. sul piano della rivoluzione (fig. 6.4). Nel punto P = (x,y)= (r cos ϑ , r sen ϑ ) la posizione di m è individuata dalla distanza d e dall’ angolo zenitale baricentrico ϑ ; è quindi opportuno esprimere la forza di marea come fM(d, ϑ ). Scrivendo pertanto i vettori per componenti, abbiamo: Gm fC = − 2 , 0 , d Gm Gm fG = 2 cos α , − 2 sen α , a a Fig. 6.4.- Sistema di riferimento (O,x,y) sul piano della rivoluzione per il calcolo della forza di marea. sen α cos α 1 fM = Gm 2 − 2 , − .(6.6) d a2 a Il raggio r è molto minore di d, per cui l’angolo di parallasse α ≅ 0 e possiamo approssimare cos a ≅ 1; inoltre sen a = y/a . Per il teorema di Euclide a2 = d2 + r2 − 2dx = d2 (1 − 2x/d + (r/d)2 ) ≅ d2 (1 − 2x/d) , (6.7) −2 −2 −1 −2 a ≅ d (1 − 2x/d) ≅ d (1 + 2x/d) , −2 −2 a − d = 2 x/d3 . (6.8) La forza di marea (6.6), usando la (6.8) e ponendo a = d nella componente y diventa: 1 y y 1 2x fM ≅ Gm 2 − 2 , − 3 ≅ Gm 3 , − 3 = {2C cos ϑ , − C sen ϑ} , (6.9) d d d a d m dove si è posto C =G r 3 . (6.10) d La forza di marea fM(r, ϑ ;m,d) dipende quindi dalla posizione del punto P(r, ϑ ) nel volume V relativa alla direzione dell’astro (ovvero dalla sua altezza z sul piano di riferimento r0, r = r0+z, e dall’angolo zenitale ϑ ) e dalle caratteristiche (massa e distanza) dell’astro stesso. Per r = 0, si ha che C = 0: la forza di marea è nulla nel centro di massa O, come richiesto dall’ipotesi di partenza. Da notare che fM ~m/d3, 60 Fig. 6.5.- Deformazione di una sfera omogenea in un ellissoide di rotazione attorno all’asse x per azione del campo di forza della marea astronomica (sezione sul piano meridiano di M). ovvero decresce molto più rapidamente con la distanza rispetto all’attrazione gravitazionale fG ~m/d2. La costante di gravitazione universale è G = (6.67259 ± 0.00085) ×10−11 N.m2.kg−2 . (6.11) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Terra Luna Sole Venere Giove Marte Mercurio Saturno Urano Nettuno m /kg d /m C/CL 5.9742×1024 7.3477×1022 1.9891×1030 4.8685×1024 1.8990×1027 6.4185×1023 3.3020×1023 5.6846×1026 8.6832×1025 1.0243×1026 3.844×108 1.496×1011 4.139×1010 6.288×1011 7.834×1010 9.169×1010 1.277×1012 2.721×1012 4.349×1012 1 4.59×10−1 5.31×10−5 5.90×10−6 1.03×10−6 3.31×10−7 2.11×10−7 3.33×10−9 9.63×10−10 Tab. 6.1.- Forze di marea sulla Terra (CL =5.50×10−7 m/s2). d /(109 m) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Giove Venere Terra Mercurio Saturno Marte Luna Urano Nettuno 778 108 150 58 1427 228 150 2871 4498 fM /(m/s2) 1.8698×10−10 1.7845×10−10 8.2872×10−11 7.8966×10−11 9.0904×10−12 2.5171×10−12 1.0192×10−12 1.7041×10−13 5.2264×10−14 Tab. 6.2.- Forze di marea sul Sole. periodo /a 11.86 0.62 1.00 0.24 29.45 1.88 1.00 84.07 164.88 Le componenti della forza di marea (6.9) sul piano (O,x,y) soddisfano all’equazione di un’ellisse di semiassi 2C, C: 2 2 fMy fMx + =1 (6.12) 4C 2 C 2 Il campo tridimensionale della forza specifica di marea si ottiene ruotando l’ellisse di forza (6.12) attorno all’asse x congiungente i due astri. Il vettore fM (6.9) forma con x un angolo ϕ tale che f 1 tan ϕ = My = − tan ϑ . (6.13) fMx 2 La forza di marea deformerebbe un corpo celeste sferico elastico ed omogeneo in un ellissoide di rotazione con l’asse maggiore diretto verso l’astro m (fig. 6.5). Il campo è simmetrico rispetto al piano per O normale ad x : vale a dire che l’effetto su M è il medesimo sia che m abbia ascissa d oppure −d. 61 Supponiamo ora che M rappresenti il pianeta Terra: cerchiamo di valutare con la (6.10) l’intensità della forza di marea associata agli altri corpi del sistema solare. Le masse e le distanze medie dalla Terra per il Sole, la Luna ed i sette pianeti sono riportate nella tab. 6.1. Prevale la marea lunare, per la quale CL = 5.50×10−7 m/s2 al livello del mare (r = 6373 km); segue la marea solare con un’intensità pari al 46% della Fig. 6.6.- Forza di marea esercitata dai corpi del sistema precedente. Gli altri pianeti solare sulla Terra (in rapporto alla Luna) e sul Sole. esercitano una forza specifica di marea inferiore di 4 ordini di grandezza o più, per cui il loro effetto sulla Terra è trascurabile (fig. 6.6): è quindi corretto, per il nostro pianeta, parlare di marea astronomica o lunisolare indifferentemente. Per curiosità, la forza specifica di marea esercitata dalla Terra sulla superficie lunare (r = 1737 km) è CT = GrM/d3 = 1.22×10−5 m/s2 = 22.2 CL: la Luna è sollecitata dalla Terra in maniera di gran lunga maggiore di quanto essa non solleciti il nostro pianeta. Il baricentro Terra-Luna dista dal centro della Terra da 0.692 a 0.773 raggi terrestri; il baricentro Terra-Sole dista dal centro del Sole (6.46 ± 0.22)×10−4 raggi solari. Possiamo anche calcolare la forza specifica di marea sulla superficie del Sole (r = 6.96×105 km) ad opera dei pianeti: i risultati sono riportati nella tab. 6.2 e nella fig. 6.6. Le sollecitazioni più importanti sono quelle del pianeta gigante Giove e di Venere, seguite dalla Terra e Mercurio, circa la metà dei precedenti; gli altri pianeti si collocano due o più ordini di grandezza al di sotto; notiamo che il periodo principale del campo di forza di marea sul Sole è quello orbitale di Giove (11.86 a), prossimo al periodo delle “macchie solari”. La formulazione del campo di forza mareale (6.9) è anche nota come teoria statica della marea. Anche se questa è stata derivata considerando la distanza Terra-astro costante, possiamo poi permettere alla posizione relativa (d, ϑ ) della Luna e del Sole di variare lentamente nel tempo, con i corrispondenti periodi mensile ed annuale. Inoltre, il campo di forza è definito sul volume in rivoluzione V, rispetto al quale la Terra reale ruota attorno al suo asse, inclinato rispetto al piano orbitale (ad esempio, di 23.5° sull’eclittica): la fig. 6.5 rappresenta la situazione in sezione sul piano assiale (meridiano). Perciò il punto terrestre fisso P, ruotando, viene a trovarsi una volta al giorno lunare nella stesso punto dell’ellissoide di forza della marea lunare, una volta al giorno solare nella stesso punto dell’ellissoide di forza della marea solare: le corrispondenti forze di marea hanno quindi una componente quasi diurna; per la simmetria degli ellissoidi si hanno inoltre anche delle componenti di tipo semidiurno. Gli assi principali dei campi di forza puntano sempre uno verso la Luna, l’altro verso il Sole, e quindi ruotano nello spazio inerziale con periodo mensile ed annuale. La forza specifica lunisolare di marea fM = fL + fS (2.45) è la somma dei due campi; le intensità maggiori si avranno quando Terra, Luna e Sole sono comunque allineati (sizigie: fasi di Luna nuova o Luna Piena), quelle minori quando le congiungenti Terra-Luna e Terra-Sole sono 62 Fig. 6.7.- Fasi della Luna; gli ellissoidi delle forza di marea lunare e solare puntano l’asse maggiore sul loro astro. Fig. 6.8.- Componenti locali orizzontale e verticale della marea astronomica in funzione dell’angolo zenitale geocentrico. perpendicolari (quadrature: primo ed ultimo quarto di Luna; fig. 6.7). L’allineamento sizigiale “esatto” avviene solamente durante le eclissi, quando la Luna si trova sul piano dell’eclittica. La forza di marea lunisolare è una forza di volume che permea tutta la Terra: nucleo, mantello, litosfera, oceano, atmosfera. La parte solida subisce delle periodiche deformazioni, quella fluida risponde secondo le leggi del moto sue proprie, descritte dalle equazioni per le onde lunghe (o tidal equations, 5.22, 5.23). Ricordiamo che l’equazione di Newton verticalmente integrata (5.23) si riferisce al moto sul piano orizzontale, che le variazioni spaziali del livello del mare η sono associate alle forze orizzontali e quelle nel tempo alla divergenza del trasporto orizzontale (5.22); l’equazione verticale del moto è stata ridotta all’equazione idrostatica (5.5), nella quale il gradiente verticale della pressione bilancia l’accelerazione di gravità, alla quale possiamo ora sommare la componente verticale di fM. Le componenti orizzontale e verticale della forza (specifica) di marea in P (assi h e z nella fig. 6.4), si ricavano dalle componenti x,y con una rotazione degli assi pari all’angolo ϑ : fMh = fMx sen ϑ − fMy cos ϑ , (6.14) fMz = fMx cos ϑ + fMy sen ϑ . (6.15) sostituendo le (6.9) si ottengono: 3 fMh = C sen 2ϑ , (6.16) 2 1 fMz = 3 C cos2 ϑ − , (6.17) 3 rappresentate nella fig. 6.8 in funzione dell’angolo zenitale geocentrico, da ϑ = 0° (astro allo zenith) a ϑ = 90° (astro all’orizzonte). Il coefficiente C (6.10) nelle (6.16, 6.17) dipende dalla profondità z (≤ 0) tramite r = r0+z. La componente orizzontale (6.16) raggiunge il suo valore massimo di 1.5 C (8.25×10−7 e 3.79×10−7 m/s2 per la Luna e per il Sole rispettivamente) quando l’astro è a 45°; 63 di debole intensità, risulta comunque efficace nel moto orizzontale: l’effetto lunisolare complessivo al massimo uguaglia quello di un vento di 9 m/s su di un fondale di 200 m. Il vettore FM nella (5.23) ha come modulo la media verticale di fMh . La componente verticale (6.17) è massima (2C ) con l’astro allo zenith, minima (−C ) con l’astro sull’orizzonte: l’effetto lunisolare complessivo ha quindi un’intensità minore di 1.64×10−7 g, quanto basta per dover essere considerato nelle misure gravimetriche di precisione, ma insufficiente ad alterare l’equilibrio verticale idrostatico. Possiamo stimare gli effetti della forza specifica orizzontale della marea lunare sul livello del mare con l’equilibrio stazionario (5.36), usando un valore medio (6.16) FL ≅ CL . La superficie marina assumerà quindi una pendenza ∂η ∂x = CL/g = 5.5×10−8 che corrisponde, per esempio, ad un dislivello di 5.5 cm su 1000 km. La marea solare causa, nelle stesse condizioni e sulla medesima distanza, un dislivello di 2.5 cm. Questi valori ci fanno capire che la marea astronomica è di norma osservabile solo nei bacini di grandi dimensioni. Le ampie escursioni di marea, dell’ordine di metri, che si verificano in particolari zone degli oceani, non possono essere spiegate con una semplice teoria stazionaria: bisogna integrare le equazioni del moto considerando la reale geometria del bacino. La convergenza delle coste e la diminuzione del fondale in particolare, e condizioni di risonanza, possono amplificare di molto l’ampiezza delle onde lunghe di marea. 2. Analisi armonica della forza marea La marea astronomica negli oceani è un’onda lunga associata ai campi di forza orizzontale della Luna e del Sole (6.16); i coefficienti C (6.10) dipendono dalla massa m e dalla posizione (distanza d(t) e angolo zenitale ϑ (t)) del corrispondente astro rispetto al centro della Terra. E’ necessario descrivere i moti del Sole e della Luna relativamente al punto P in rotazione sulla Terra: l’intero procedimento è ben riportato, ad esempio, da Schureman (1958), il quale mostra come le componenti (6.16, 6.17) della forza specifica di marea astronomica possono essere rappresentate mediante sviluppi in serie di m onde sinusoidali del tipo m FM ( P , t ) = ∑ fi Ai ( P ) cos (Vi (t ) + ui (t )) (6.18) i =1 dette maree costituenti o componenti (armoniche) di marea. L’ampiezza media Ai di ciascuna componente armonica è modulata dal cosiddetto fattore nodale fi. L’argomento della funzione coseno è per comodità diviso in due parti, V ed u. V(t;s,h,p) è funzione del tempo t sia direttamente che tramite la longitudine media s della Luna, h del Sole, e p del perigeo solare; u(ξ,ν) varia lentamente nel tempo con il periodo nodale. La longitudine di un astro è l’angolo Fig. 6.9.- Orbite della Luna e del Sole riferite al sistema geocentrico geocentrico sul piano equatoriale. I nodi ascendenti solare (punto γ “di Ariete”, origine della longitudine sull’eclittica) ed il nodo lunare Ω hanno moto retrogrado. 64 dell’eclittica dal punto “di Ariete” γ (equinozio di primavera), positivo ad est (fig. 6.9). Luna e Sole ruotano in senso antiorario; i rispettivi nodi si spostano sull’eclittica in senso orario: i nodi lunari “regrediscono” con un periodo pari a 18.61 a (periodo nodale), i nodi solari “precedono” con un periodo di 209 secoli. Alla precessione degli equinozi corrisponde una rotazione dell’asse terrestre, che spazza in senso orario la superficie di un cono geocentrico di apertura ± ω attorno all’asse dell’eclittica; il polo nord celeste, visto dalla Terra, percorre in senso antiorario un circolo di raggio ω che passa in prossimità dell’attuale “stella polare” (α Ursae Minoris). I periodi astronomici di principale interesse sono riportati nella tab. 6.3. giorno sidereo comune lunare mese lunare riferimento nodico nodo lunare ascendente tropico nodo solare ascendente anomalistico perigeo lunare sinodico Sole evezionale (eccentricità) anno solare riferimento delle eclissi nodo lunare ascendente tropico nodo solare ascendente sidereo anomalistico perigeo solare comune medio Gregoriano medio Giuliano simbolo SI: a altri periodi periodo evezionale della parallasse lunare rivoluzione del perigeo lunare rivoluzione del nodo lunare rivoluzione del perigeo solare Ω γ Ω γ periodo 360°/(360°+h) simbolo SI: d 360°/(360°+h−s) periodo 360°/(s−N) 360°/s 360°/(s−p) 360°/(s−h) 360°/(s−2h+p) periodo 360°/(h−N) 360°/h 360°/(h−p1) periodo 360°/(h−p) 360°/p 360°/N 360°/p1 periodo /h 23.93448 24 24.84120 periodo /d 27.212220 27.321582 27.554550 29.530588 31.811939 periodo /d 346.6200 365.2421988 365.2563604 365.2596413 365 365.2425 365.25 periodo 411.7847 d 8.85 a 18.61 a 20900 a Tab. 6.3.- Periodi astronomici rilevanti. In generale V(t) = is + jh + kp + nτ : (6.19) gli argomenti V sono cioè combinazioni lineari con coefficienti interi (i, j, k =0, ±1, ±2, ±3, ...) delle longitudini medie s, h, p (tab. 6.4) e dell’angolo orario del Sole τ = 15° t/h + 180°; (t è il tempo di Greenwich); n = 0 per le componenti a lungo periodo ed n = 0, 1, 2, 3, ... per quelle di periodo prossimo a 24/n h (diurne, semidiurne, terdiurne ecc.). Gli argomenti u sono funzione degli elementi dell’orbita lunare ξ,ν, ... (tab. 6.4) e variano lentamente con il periodo nodale; u = 0 per le componenti solari di marea. Per semplificare i calcoli dell’argomento (6.19) si usa la sua approssimazione lineare V(t) = V(0) + σ t , (6.20) che parte da un valore iniziale calcolato per t = 0 e procede con la velocità angolare ds dh dp σ =i + j +k + n × 15 ° / h . (6.21) dt dt dt Gli incrementi orari delle longitudini nella (6.21) si ricavano dalla tab. 6.4; per il 2000 (T=1) risulta che ds/dt = 0.549 016 538, dh/dt = 0.041 068 640 e dp/dt =0.004 641 811 °/h. Le σ sono quasi costanti e caratteristiche di ciascuna componente (i,j,k,n) di marea. Schureman (1958) elenca e definisce gli argomenti di 128 componenti armoniche lunari e solari, diurne e semidiurne, e di 22 componenti di “acqua bassa” 65 (a) Costanti c= 3.844 03 ×108 m c1 = 1.495 042 01 ×1011 m S/E = 332 488 ± 43 M/E = 12 289 ± 4 ×10−6 = 1/ 81.37 S/M = 2.705 455 ×107 S ’ = (c/c1)3 S/M = 0.459 875 64 e = 0.054 900 56 i = 5.145 376 28° distanza media Terra-Luna distanza media Terra-Sole rapporto di massa Sole/Terra rapporto di massa Luna/Terra rapporto di massa Sole/Luna fattore solare eccentricità dell’orbita lunare inclinazione dell’orbita lunare sull’eclittica (1) (1) (2) (2) (2) (3) (b) Parametri dipendenti dal tempo n e1 = 0.016 751 04 − 4.180 ×10−7n − 1.26 ×10−11n2 ω = 23.452 294° − 1.301 11°×10−4 n tempo in anni dal 1900 eccentricità dell’orbita terrestre obliquità dell’eclittica (2) (1) (c) Coefficienti ausiliari funzione del tempo A = S ’ (1+ 3/2 e12)/(1+3/2 e2) A1 = cosi cosω A2 = seni senω A3 = cos[(ω − i)/2]/cos[(ω + i)/2] A4 = sen[(ω − i)/2]/sen[(ω + i)/2] A5 = A sen 2ω A6 = A sen2 ω B1 = [cos (ω/2) cos (i/2)]−4 B2 = [A5 + (1 − 3/2 sin2 i) sen 2ω]−2 B3 = [A6 + (1 − 3/2 sin2 i) sen2 ω]−2 B4 = [senω cos2 (ω/2) cos4 (i/2)]−1 B5 = 2 A5 B2 B6 = 2 A6 B3 B7 = [1 + (1 − 3/2 sin2 i)/A]−2 = A52 B2 = A62 B3 (c) Longitudini (3) T tempo in secoli giuliani (36525 d) dal mezzogiorno di Greenwich del 31 dicembre 1899 h = 279.696 678° + 36 000.768 925° T + 3.025° ×10−4 T 2 longitudine media del Sole longitudine media della Luna s = 270.437 422° + 481 267.892 000° T + 2.525° ×10−3 T 2 + 1.89°×10−6 T 3 p = 334.328 019° + 4 069.032 206° T − 1.034 4° ×10−2 T 2 − 1.25°×10−5 T 3 longitudine del perigeo lunare p1 = 281.220 833° + 1.719 175° T + 4.528° ×10−4 T 2 + 3.33°×10−6 T 3 longitudine del perigeo solare N = 259.182 533° − 1 934.142 397° T + 2.106° ×10−3 T 2 + 2.22°×10−6 T 3 longitudine del nodo lunare (e) Elementi dell’orbita lunare funzione del tempo (3) I = arc cos(A1 − A2 cos N) C = arc tan[A3 tan (N/2)] ν = C − arc tan[A4 tan (N/2)] ν ’ = arc tan[(sen 2I senν )/(A5 + sen 2I cosν )] 2ν ” = arc tan[(sen2 I sen 2ν )/(A6 + sen2 I cos 2ν )] ξ=N+ν −2C obliquità dell’orbita lunare rispetto all’equatore terrestre ascensione retta dell’intersezione lunare termine ausiliario per K1 termine ausiliario per K2 longitudine dell’intersezione lunare nell’orbita della Luna (1) American Ephemeris and Nautical Almanac (2) Smithsonian Physical Tables (3) Schureman (1958) Tab. 6.4.- Elementi per il calcolo delle componenti armoniche di marea. componente M2 S2 N2 K2 K1 O1 P1 lunare semidiurna principale solare semidiurna principale lunare semidiurna ellittica maggiore lunisolare declinazione semidiurna lunisolare declinazione diurna lunare diurna principale solare diurna principale (1) (2) f B1 cos (I 2) 4 1 B1 cos4 (I 2) V(t) 2τ 2τ − 3s + 2h + p B3 sen 4 I + B6 sen 2 I cos 2ν + B7 2τ B2 sen 2 2 I + B5 sen 2 I cosν + B7 B4 sen I cos 2 (I 2) 1 (1) 2τ − 2s + 2h τ + 2h + h − 90° τ − 2s + h + 90° τ − h + 90° u σ(T), (periodo) (2) 2ξ − 2ν 28.984 104 214 − 10.14 ×10−9T (12.420 601 220 h) 30 °/h 0 (12 h) 2ξ − 2ν 28.439 729 516 −28.16 ×10−9T (12.658 348 250 h) −2ν ” 30.082 137 278 + 1.38 ×10−9T (11.967 234 797 h) 15.041 068 639 + 0.69 ×10−9T −ν ’ (23.934 469 592 h) 2ξ − ν 13.943 035 575 − 10.84 ×10−9T (25.819 341 731 h) 14.958 931 361 − 0.69 ×10−9T 0 (24.065 890 225 h) τ = 15° t/h + 180° angolo orario del Sole; t tempo di Greenwich sono inclusi in σ i termini in T 2 calcolati per T = 1 (anno 2000); periodo nell’anno 2000. Tab. 6.5.- Definizione del fattore nodale f, degli argomenti V, u e delle velocità angolari σ per le principali componenti armoniche della marea astronomica. 66 °/h °/h °/h °/h °/h °/h (shallow-water constituents) con periodi corrispondenti ad n = 2, 3, 4, 6, 8; queste ultime possono essere importanti, ad esempio, negli estuari. Le maree costituenti sono indicate tradizionalmente con sigle (M, Moon; S, Sun; …) che ne indicano l’origine, e con un indice n che si riferisce al periodo. Solitamente le componenti significative non sono molte; le sette principali (quattro semidiurne e tre diurne) sufficienti per ottenere in molti casi una buona approssimazione della forza specifica di marea, sono riportate nella tab. 6.5 con i corrispondenti fattori nodali f, gli argomenti V, u e le velocità angolari σ . 3. Metodo armonico per il calcolo della marea La forza specifica di marea può dunque essere calcolata in ogni punto della Terra mediante la sintesi di componenti armoniche del tipo (6.18), di periodo noto, in numero sufficiente a soddisfare l’approssimazione richiesta. Nei modelli idrodinamici per le onde lunghe si usano le componenti sul piano orizzontale; in gravimetria basta conoscere la componente verticale, ed entrambe sono necessarie per lo studio delle sollecitazioni lunisolari sulla litosfera. Un analogo procedimento di sintesi armonica viene comunemente usato per calcolare la marea astronomica ηM(P,t) in un punto P della superficie marina. L’ipotesi è che nelle variazioni del livello siano presenti gli stessi periodi presenti nelle variazioni della forza lunisolare; ogni componente armonica del livello ha però una sua propria ampiezza H ed un ritardo g che sono funzione del punto P: m η M ( P , t ) = ∑ fi (t ) H i ( P ) cos (Vi (t ) + ui (t ) − gi (P )) , (6.22) i =1 o, con l’approssimazione (6.20) m η M ( P , t ) = ∑ fi (t ) H i ( P ) cos (σ it + V0 + ui (t ) − gi (P )) . (6.23) i =1 In altre parole, ogni componente σ i di marea risponde alla corrispondente componente della forza con una diversa amplificazione (si conserva la modulazione nodale) e fase, a seconda del punto dell’oceano considerato. Le H, g, vengono chiamate costanti armoniche del punto P; si ricavano dall’analisi di una serie sufficientemente lunga di dati mareografici usando metodi di interpolazione di onde sinusoidali aventi velocità angolare assegnata, oppure impiegando filtri numerici ad alta risoluzione. H e g sono dette “costanti” in quanto sono legate solamente alla forma ed alla batimetria (dalla quale dipende la velocità di propagazione dell’onda lunga) del bacino; ovviamente i valori numerici ottenuti dall’analisi dei dati sono influenzati dalla presenza, nella serie mareografica, di componenti non astronomiche quali le sesse ed altre variazioni meteoclimatiche. Nella letteratura si trovano pubblicate le costanti armoniche per i principali porti mondiali. Le componenti di marea semidiurne e diurne sono quasi ovunque le più significative; la marea risultante può essere definita di tipo semidiurno o diurno a seconda che il rapporto (HK1 + HO1)/(HM2 + HS2) sia minore di 0.25 o maggiore di 1.25, di tipo misto nei casi intermedi. Le velocità angolari sono molto vicine tra loro, sia nel gruppo semidiurno che in quello diurno; di conseguenza coppie di componenti dello stesso gruppo daranno origine a Fig. 6.10.- I battimenti tra le componenti M2 ed S2 (qui di uguale ampiezza) seguono le fasi lunari. battimenti, ovvero a onde di 67 velocità intermedia la cui ampiezza è modulata con il periodo 2×360°/(σ1−σ2). Con i dati della tab. 6.5 possiamo calcolare ad esempio che il periodo di modulazione delle componenti M2+S2 e di O1+P1 è pari al mese sinodico (o delle fasi lunari; fig. 6.10); il periodo di K1+O1 è il mese tropico. 4. Marea autonoma e marea indotta. Alla scala oceanica globale, la marea astronomica è puramente “autonoma”, cioè prodotta dalla sola forza di marea lunisolare. Nel caso di un mare adiacente bisogna considerare anche la propagazione in esso dell’onda di marea proveniente dall’esterno attraverso il confine aperto (marea indotta, o cooscillazione di marea). In riferimento alle equazioni del moto (5.22, 5.23), la marea autonoma corrisponde all’effetto del termine forzante FM definito entro i confini del bacino, la cooscillazione di marea trae origine dalla condizione al contorno η(xa,t) da definirsi lungo il confine aperto xa. Nel § 1 è stato calcolato che la forza stazionaria della marea lunisolare è in grado di sostenere una pendenza della superficie marina di 8×10−8 (8 cm su 1000 km): questo valore, alquanto modesto, ci fa pensare che la componente di marea cooscillatoria diventa in molti casi prevalente su quella autonoma. Ad esempio per il Mare Adriatico, avente una lunghezza di circa 800 km, otteniamo un dislivello longitudinale massimo di circa 6 cm: se il bacino fosse chiuso, avrebbe maree minime. Le osservazioni ci dicono invece che l’ampiezza della marea astronomica supera gli 80 cm a Trieste: la differenza è dovuta proprio alla marea mediterranea presente sullo stretto di Otranto con un’ampiezza massima di circa 20 cm. La marea indotta risulta inoltre amplificata in quanto sollecita l’Adriatico con periodi (24 h e 12 h) non molto distanti da quelli suoi propri di oscillazione (sesse di 21.5 h e 11 h): siamo quindi in condizioni prossime alla risonanza. Una singola componente armonica dallo stretto di Otranto si propaga verso nord nell’Adriatico con la velocità dell’onda lunga (4.26) variabile con la profondità (in media 200 km/h), si riflette e ritorna a sud. L’ampiezza dell’onda tende ad aumentare verso la costa destra, nel verso della propagazione, per effetto della forza di Coriolis. Brindisi Vieste Ancona Pesaro Porto Corsini Chioggia Diga Sud Malamocco Venezia Lido Porto Piave Vecchia Falconera TRIESTE Rovigno Pola Fiume Zara Sebenico Comissa S. Andrea Ragusa Megline Pelagosa Antivari S. Giovanni Medua Durazzo lat long N E 40° 41° 43° 43° 44° 45° 45° 45° 45° 45° 45° 45° 44° 45° 44° 43° 43° 42° 42° 42° 42° 42° 41° 41° 39' 53' 37' 55' 30' 14' 20' 25' 29' 37' 39' 5' 52' 20' 8' 44' 3' 39' 40' 27' 24' 5' 49' 19' 17° 16° 13° 12° 12° 12° 12° 12° 12° 12° 13° 13° 13° 14° 15° 15° 16° 17° 18° 18° 16° 19° 19° 19° 18' 10' 30' 55' 17' 19' 21' 26' 35' 54' 46' 38' 51' 26' 12' 52' 5' 57' 5' 34' 15' 4' 35' 27' ampiezza H / cm fase g /gradi M2 S2 N2 K2 K1 O1 P1 M2 S2 N2 K2 K1 O1 P1 8.7 9.4 6.6 12.8 15.6 23.3 23.5 23.4 22.3 24.0 26.7 19.3 15.1 10.4 6.4 6.3 7.4 6.8 9.3 9.1 10.0 9.2 9.3 9.3 4.8 6.0 3.5 6.8 9.2 14.1 14.0 13.8 13.5 14.1 15.9 11.2 8.7 5.7 3.4 4.4 5.2 4.4 5.8 5.9 5.9 5.6 5.1 5.5 1.6 1.6 1.2 3.2 3.1 3.7 4.1 3.8 4.1 4.7 4.5 3.5 2.3 1.9 1.2 1.3 1.6 1.0 1.8 2.5 3.7 4.0 5.3 3.7 3.8 4.8 3.0 2.5 1.7 1.0 1.4 1.4 1.2 1.7 2.1 3.0 1.7 1.4 1.5 4.7 5.1 13.2 15.4 15.9 18.2 18.3 16.0 20.1 18.3 18.0 16.1 15.5 14.0 12.7 9.3 7.8 7.2 5.1 5.0 6.0 4.8 5.3 5.0 1.7 1.6 4.1 4.2 5.0 6.0 5.3 5.2 3.3 5.5 5.3 4.9 5.0 4.0 4.7 3.0 2.5 2.5 2.1 1.8 3.0 1.4 0.4 1.4 1.7 1.7 4.4 5.1 5.3 6.0 5.8 4.3 6.6 6.1 6.0 5.3 4.9 4.2 4.2 108 105 332 311 303 287 296 288 286 289 277 27 265 249 239 135 108 122 103 99 103 105 108 102 116 115 347 313 310 295 305 293 294 297 285 277 273 250 236 132 119 125 108 103 115 110 106 104 102 104 326 279 295 274 295 299 291 287 276 266 272 240 249 87 115 347 313 310 295 299 281 294 297 280 277 271 243 236 127 116 125 104 107 103 108 106 104 73 91 88 84 81 74 82 79 75 79 71 71 69 65 65 57 57 69 59 52 71 57 42 27 51 66 74 56 67 70 65 70 65 72 61 56 62 54 60 42 40 50 44 39 58 33 352 48 60 91 88 84 81 74 70 56 75 79 67 71 70 64 65 1.3 0.9 1.5 3.0 1.3 1.5 0.6 2.4 2.3 1.7 3.0 1.9 1.7 1.6 109 61 90 104 114 144 123 51 70 55 48 63 42 105 Tab. 6.6.- Costanti armoniche per il Mare Adriatico (Polli, 1960; Trieste da Stravisi e Purga, 2006). 68 L’effetto risultante è una anfidromia, cioè una rotazione dell’onda di marea attorno ad un punto singolare, nel quale sono presenti tutte le fasi e quindi l’ampiezza di marea è nulla (centro di rotazione o nodo anfidromico). Quanto detto può essere facilmente provato esaminando la distribuzione spaziale delle costanti armoniche H, g (6.22) nell’Adriatico (tab. 6.6). La situazione è comunemente rappresentata da famiglie di linee radiali di ugual fase g (linee cotidali, o di ugual tempo di arrivo della marea), staccate dal nodo anfidromico, e da linee concentriche di uguale ampiezza H, come nella fig. 6.11. Per le componenti semidiurne il nodo anfidromico è interno al bacino: l’alta marea percorre le coste in senso Fig. 6.11.- Linee cotidali e di uguale ampiezza tipiche delle componenti astronomiche semidiurne e diurne (qui: M2 e K1) antiorario completando il giro nel bacino Adriatico. in circa 12 ore. Per le componenti diurne si può immaginare un nodo anfidromico esterno, in modo che le linee cotidali diventano longitudinali e le linee di ugual ampiezza trasversali: l’alta marea parte dalla costa orientale, raggiunge la costa italiana dopo circa due ore e prosegue il suo giro fittizio per ripresentarsi dopo 24 ore. Lungo una sezione passante per il nodo anfidromico l’elevazione della marea Fig. 6.12.- Andamento dell’ampiezza della marea segno. La marea astronomica nel Mare Adriatico con la distanza da Otranto: cambia componenti diurne (1), semidiurne (2) e marea totale (tot). astronomica reale osservata in Adriatico si comporta come una componente semidiurna, con un periodo di circa 12.4 h. L’andamento dell’ampiezza della marea costiera lungo l’asse del bacino Adriatico è rappresentato nella fig. 6.12; la curva (1) si riferisce alla somma delle ampiezze delle tre componenti principali diurne della tab. 6.6, la curva (2) alla somma delle quattro semidiurne, la curva (tot) alla somma di tutte e sette le ampiezze (massima ampiezza astronomica). Come già visto, le ampiezze diurne crescono in modo quasi lineare da Otranto, mentre quelle 69 semidiurne hanno un minimo all’altezza del nodo anfidromico; nella parte settentrionale, di bassa profondità, le ampiezze aumentano rapidamente. L’anfidromia dell’onda di marea astronomica è una caratteristica degli oceani e di quasi tutti i mari; il numero (≥0) dei nodi dipende dalle dimensioni e dalla forma del bacino e dal periodo della componente di marea. 5. Le “previsioni” di marea In ogni località per la quale siano preventivamente note dall’analisi dei dati mareografici le costanti armoniche, la marea astronomica può essere facilmente calcolata in un qualsiasi istante passato o futuro. Il programma di calcolo messo a punto al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Trieste usa il metodo armonico “esatto” (6.22): una funzione Fortran avente per argomento il tempo locale legge le costanti H, g, calcola i vari parametri astronomici delle tab. 6.4 e 6.5, valuta le longitudini medie solari e lunari, i fattori nodali, gli argomenti u e V, sintetizza le componenti armoniche e restituisce l’altezza di marea. Sono calcolate anche le fasi della Luna. Un file contenente un anno di dati ad intervalli di 1 min è ottenuto in un tempo irrisorio con qualsiasi PC; non è necessario fare ricorso a valori di f, u tabellati, che comunque riportiamo nella tab. 6.7 per comodità di chi volesse cimentarsi con l’approssimazione lineare degli argomenti (6.23) usando le velocità angolari fisse (tab. 6.5). Conviene forse notare che la marea astronomica calcolata, in quanto sintesi di fattore nodale f (Vo + u) /gradi anno M2 N2 K2 K1 O1 M2 N2 K2 K1 O1 P1 componenti sinusoidali, è a media 2001 1.004 1.004 0.986 1.003 1.004 210.7 340.5 183.6 1.8 212.9 349.3 nulla: in altre parole le oscillazioni 2002 0.992 0.992 1.084 1.040 1.064 311.5 352.5 184.0 2.2 312.9 349.5 2003 0.980 0.980 1.177 1.071 1.115 52.5 4.8 186.2 3.4 52.0 349.8 sono riferite al livello medio del 2004 0.971 0.971 1.252 1.094 1.153 153.8 17.4 189.8 5.1 150.6 350.0 2005 0.965 0.965 1.301 1.108 1.176 230.8 352.6 196.3 8.3 223.5 349.2 momento. 2006 0.963 0.963 1.317 1.113 1.183 332.2 5.3 201.2 10.6 321.6 349.5 2007 0.965 0.965 1.299 1.108 1.174 73.7 18.1 206.2 12.9 59.7 349.7 La conoscenza della marea 2008 0.972 0.972 1.248 1.093 1.150 175.1 30.7 210.6 15.0 158.0 350.0 2009 0.981 0.981 1.171 1.069 1.112 251.9 5.8 216.1 17.8 231.2 349.2 astronomica del passato serve per 2010 0.992 0.992 1.077 1.038 1.060 352.9 18.1 218.2 18.9 330.4 349.5 2011 1.005 1.005 0.979 1.000 0.999 93.7 30.1 218.4 19.2 70.4 349.7 poter calcolare, mediante sottrazione 2012 1.017 1.017 0.889 0.960 0.935 194.2 41.9 216.6 18.5 171.6 349.9 2013 1.027 1.027 0.817 0.923 0.875 270.2 16.1 214.6 17.7 248.9 349.2 dalle serie mareografiche, la 2014 1.034 1.034 0.769 0.895 0.829 10.4 27.5 209.0 14.9 353.2 349.4 2015 1.038 1.038 0.748 0.882 0.807 110.4 38.9 202.4 11.3 98.6 349.7 componente meteoclimatica; questa è 2016 1.037 1.037 0.755 0.886 0.813 210.5 50.2 195.6 7.6 204.3 349.9 2017 1.032 1.032 0.788 0.907 0.847 286.2 24.1 191.3 5.2 283.9 349.2 composta da sesse, da variazioni 2018 1.023 1.023 0.847 0.939 0.901 26.4 35.6 186.4 2.9 27.5 349.4 2019 1.012 1.012 0.928 0.978 0.964 126.8 47.3 183.4 1.6 129.4 349.6 dovute ai campi di vento e di 2020 0.999 0.999 1.024 1.018 1.028 227.5 59.2 182.5 1.4 230.0 349.9 2021 0.987 0.987 1.121 1.053 1.085 304.0 34.0 185.6 3.1 304.3 349.1 pressione sul mare e da variazioni di 2022 0.976 0.976 1.209 1.081 1.131 45.1 46.4 188.4 4.5 43.1 349.4 2023 0.968 0.968 1.275 1.101 1.163 146.4 58.9 192.4 6.4 141.6 349.6 livello a lungo periodo, e contiene le 2024 0.964 0.964 1.312 1.111 1.180 247.8 71.6 197.1 8.7 239.8 349.8 2025 0.964 0.964 1.314 1.112 1.182 324.9 46.9 204.1 12.0 312.5 349.1 informazioni più interessanti dal 2026 0.967 0.967 1.283 1.103 1.167 66.4 59.7 208.9 14.3 50.6 349.3 2027 0.975 0.975 1.221 1.085 1.137 167.7 72.3 213.1 16.3 149.0 349.6 punto di vista teorico e statistico. Il 2028 0.985 0.985 1.136 1.058 1.093 268.8 84.7 216.1 17.8 247.8 349.8 2029 0.997 0.997 1.039 1.023 1.037 345.4 59.4 219.5 19.6 321.9 349.1 calcolo anticipato serve a scopi 2030 1.010 1.010 0.943 0.984 0.974 86.1 71.4 218.9 19.6 62.3 349.3 previsionali, e può essere di grande 2031 1.021 1.021 0.858 0.945 0.911 186.5 83.1 216.2 18.4 164.1 349.5 2032 1.030 1.030 0.795 0.911 0.855 286.8 94.7 211.6 16.2 267.4 349.8 importanza pratica nei porti dove le 2033 1.036 1.036 0.758 0.888 0.817 2.5 68.6 207.5 14.0 346.8 349.0 2034 1.038 1.038 0.748 0.882 0.806 102.5 79.9 200.7 10.3 92.4 349.3 escursioni di marea sono 2035 1.035 1.035 0.764 0.892 0.824 202.6 91.3 194.1 6.7 198.0 349.5 2036 1.029 1.029 0.808 0.918 0.866 302.7 102.7 188.2 3.7 302.5 349.7 particolarmente ampie. Le cosiddette 2037 1.019 1.019 0.876 0.954 0.925 18.7 76.8 186.0 2.7 20.0 349.0 2038 1.007 1.007 0.964 0.994 0.989 119.2 88.6 183.8 1.9 121.4 349.2 “previsioni” o “tavole” di marea si 2039 0.994 0.994 1.062 1.032 1.051 219.9 100.6 183.7 2.0 221.6 349.5 2040 0.983 0.983 1.157 1.065 1.104 320.9 112.9 185.5 3.0 320.9 349.7 riferiscono quindi alla sola 2041 0.973 0.973 1.237 1.090 1.145 37.7 87.9 190.8 5.7 34.2 349.0 2042 0.966 0.966 1.293 1.106 1.172 139.0 100.5 195.1 7.8 132.5 349.2 componente astronomica (es. tab. 6.8, 2043 0.963 0.963 1.317 1.113 1.183 240.5 113.3 200.0 10.1 230.6 349.4 2044 0.965 0.965 1.306 1.110 1.178 342.0 126.0 205.0 12.4 328.7 349.7 fig. 6.13). La componente 2045 0.970 0.970 1.262 1.097 1.157 59.0 101.2 211.6 15.6 41.6 348.9 2046 0.979 0.979 1.190 1.075 1.122 160.3 113.8 215.4 17.4 140.1 349.2 meteoclimatica può essere 2047 0.990 0.990 1.099 1.045 1.073 261.3 126.1 217.8 18.7 239.1 349.4 2048 1.002 1.002 1.001 1.009 1.014 2.1 138.2 218.5 19.2 338.9 349.7 attualmente anticipata, per mezzo di 2049 1.014 1.014 0.908 0.969 0.949 78.4 112.6 219.1 19.7 54.5 348.9 2050 1.025 1.025 0.831 0.931 0.887 178.7 124.3 215.6 18.2 156.8 349.1 opportuni modelli numerici, solo di giorni ed in maniera Tab. 6.7.- Fattore nodale a metà anno e fase iniziale pochi alle ore 0 del 1 gennaio; fS2 = fP1=1; (V0+u)S2 = 0. approssimata; non può certo essere 70 TRIESTE Alte e basse maree SETTEMBRE 2007 ora cm ora cm ora cm ora cm 1 2 3 UQ 4 5 6 7 8 9 10 S 5:01 -41 11:28 51 17:58 -38 23:47 20 D 5:26 -30 11:57 44 18:47 -32 L 0:38 9 5:46 -17 12:30 35 20:01 -26 M 2:31 -2 5:38 -5 13:16 26 22:29 -26 M 15:37 18 G 0:13 -35 7:52 21 13:00 3 17:55 21 V 1:04 -44 8:07 31 13:41 -8 18:58 27 S 1:40 -51 8:27 39 14:12 -17 19:41 34 D 2:11 -56 8:49 45 14:40 -25 20:17 38 L 2:39 -57 9:09 49 15:06 -32 20:49 40 LN 11 12 13 14 15 16 17 18 PQ 19 20 M 3:04 -56 M 3:26 -52 G 3:46 -47 V 4:03 -40 S 4:18 -33 D 4:30 -26 L 4:37 -18 M 0:08 1 M 11:31 24 G 9:32 16 21 22 23 24 25 LP 26 27 28 29 30 V S D L M M G V S D 0:04 0:43 1:15 1:44 2:13 2:41 3:10 3:38 4:05 4:32 9:29 9:48 10:05 10:22 10:38 10:54 11:10 4:30 22:28 51 51 51 49 46 43 38 -11 -21 15:31 15:55 16:19 16:44 17:10 17:40 18:17 11:25 -36 -39 -41 -40 -38 -34 -29 32 21:18 21:45 22:11 22:36 23:02 23:31 -29 7:48 21 -37 7:43 30 -44 7:56 39 -50 8:14 47 -53 8:36 53 -53 9:00 58 -51 9:26 60 -45 9:52 60 -38 10:18 56 -28 10:45 50 13:16 13:28 13:51 14:17 14:45 15:15 15:46 16:19 16:53 17:32 2 -10 -22 -33 -43 -50 -54 -55 -53 -47 17:46 18:45 19:27 20:03 20:38 21:12 21:47 22:23 23:02 23:46 40 37 32 26 19 10 19:18 -23 Tempo Medio Europa Centrale (GMT + 1h). Altezze riferite al livello medio del mare. Tab. 6.8.- Esempio di tavola mensile con gli estremi relativi della marea astronomica (“alte e basse maree”) calcolate per Trieste. 14 23 31 38 42 43 41 36 29 19 prevista con l’anticipo di un anno o più. A tal fine le previsioni di marea sono in genere accompagnate da una serie di indicazioni di massima che permettono di valutare le variazioni del livello medio e del tempo di arrivo della marea per un certo numero di situazioni di pressione atmosferica e di vento tipiche del bacino in esame. La marea lunisolare, dal momento che viene normalmente calcolata con approssimazioni dell’ordine del centimetro per le altezze e del minuto per i tempi, è ormai considerata un problema risolto, anche se sono concepibili metodi teorici diversi da quello armonico. Ci riferiamo per esempio al metodo proposto da Munk e Cartwright, che fa uso di uno sviluppo del potenziale di marea in una serie di armoniche sferiche. E’ un metodo elegante ed accurato che richiede però la conoscenza, per ogni località, dei coefficienti dello sviluppo, il calcolo dei quali risulta forse più pesante, o comunque meno conosciuto, di quello delle costanti armoniche tradizionali; dal momento poi che queste sono già note per tutti i principali porti del mondo, gli addetti ai lavori non hanno visto alcuna necessità o convenienza nel cambiare procedimento. Fig. 6.13.- Esempio di marea astronomica calcolata per Trieste. Tipo misto, prevalentemente semidiurno: alle quadrature l’ampiezza si riduce e la marea tende a diventare diurna. 71 7. L’ARIA 1. Il modello cinetico dei gas perfetti: la pressione Nella descrizione classica dei fluidi (liquidi e gas) si opera a priori un processo di media spazio-temporale che supera la scala molecolare per considerare una struttura continua, virtualmente divisibile a piacere e descrivibile con i metodi usuali dell’analisi matematica. Questo principio è stato usato, per esempio, per ricavare il campo di forza di contatto (2.26): un campo vettoriale “continuo” che è però legato al moto molecolare. Un ragionamento analogo può essere fatto per chiarire i concetti fisici di pressione e di temperatura. Per comodità si esamina un gas, meglio ancora un “gas ideale” o “perfetto”. Nel modello cinetico classico: (a) il gas è costituito da particelle (molecole) uguali e in moto casuale isotropo; (b) le forze a distanza sono trascurabili; (c) il volume totale delle molecole è trascurabile; (d) le uniche interazioni sono urti elastici. In altre parole, il gas ideale è un insieme di molecole puntiformi (c) di ugual massa e con velocità media uguale nelle tre direzioni (ux = uy = uz) (a), senza campi esterni od interni di forza (b); gli urti tra le molecole e con le eventuali superfici di contenimento sono elastici (d). Consideriamo N molecole di gas ideale di massa m confinate in un parallelepipedo di lati a,b,c lungo i tre assi coordinati. Una particella urta la Fig. 7.1.- Modello cinetico dei gas. parete di superficie S = bc normale ad x in x = a ; essendo l’urto elastico, l’intensità della velocità u u = ux2 + u2y + uz2 = 3ux2 (7.1) si mantiene costante, ma le componenti cambiano di segno. In particolare, la componente normale ad S passa da ux a −ux, accelerazione ottenuta mediante l’applicazione della forza impulsiva Ι esercitata dalla parete rigida nella direzione x: du m x = Ix . (7.2) dt Se integriamo la (7.2) nel tempo τ = 2a/ux che intercorre tra due urti successivi e sommiamo su tutte le molecole: −u x τ m ∫ dux = ∫ I dt ux , − 2Nm ux = τ NF ; (7.3) 0 è definita la forza media nel tempo τ ux ux2 u2 u2 1 F = −2Nm = − Nm = − Nm = − NmS = −S ρu2 , (7.4) τ a 3a 3abc 3 dove ρ =Nm/(abc) è la densità del gas. Per reazione, il gas esercita sulla parete S una forza “media” uguale e contraria alla (7.4), equivalente alla pressione F 1 p = − = ρ u2 ≥ 0 . (7.5) S 3 72 Il risultato non dipende dalla parete (normale all’asse x, y o z) considerata. La (7.5) è nota come equazione fondamentale dei gas perfetti, ed è legata ai nomi di Joule, Krönig e Clausius: definisce la pressione come grandezza fisica macroscopica legata all’energia cinetica media delle molecole. Nel caso limite di molecole “ferme” si ha pressione nulla; altrimenti il gas si espande sino ad occupare tutto il volume disponibile. Nei liquidi si può ritenere che l’origine fisica della pressione sia analoga, come è stato ipotizzato nella derivazione delle forze di contatto (2.26). La pressione (7.5) può essere anche vista come una densità di energia: in questo modo essa appare logicalmente svincolata dall’idea di direzione implicita nella forza e nella superficie normale. 2. L’equazione di stato dei gas perfetti I lavori sperimentali condotti nel XVIII secolo hanno permesso di ricavare le ben note leggi di trasformazione dei gas. La legge della trasformazione isoterma di Boyle stabilisce che, a temperatura costante, pV = cost . (7.6) La legge della trasformazione isobara o di Charles (1781) stabilisce che, a pressione costante, il volume del gas aumenta linearmente con la temperatura Celsius: 1 (7.7) V (ϑ ) = V (0 ) (1 + aϑ ) = V (0 ) a ϑ + ; a il coefficiente a, determinato sperimentalmente, permette di definire la temperatura termodinamica T = ϑ + 1 a = ϑ + 273.15 °C ≥ 0 , (7.8) e la (7.7) diventa V = cost . (7.9) T La legge relativa ad una generica trasformazione si ottiene sottoponendo il gas a due trasformazioni separate, isoterma ed isobara (l’ordine è indifferente); si passa così da uno stato iniziale ad uno intermedio e quindi ad uno stato finale, ad esempio ( p0 ,V0 ,T0 ) → ( p1 ,V1 , T0 ) → ( p1 ,V2 , T2 ) . (7.10) T =T0 p = p1 Applicando la (6) e la (9) avremo: p1V1 = p0V0 V2 p0V0 = T2 p1T0 , , V2 V1 = ; T2 T0 p0V0 p1V2 = = cost = Rc T0 T2 (7.11) , (7.12) e quindi pV = RcT . (7.13) La costante Rc può essere calcolata considerando uno stato qualsiasi del gas, per esempio quello normale o standard (p0=1013.25 hPa, T0 = 273.15 K): la legge di Avogadro stabilisce che in tale stato il volume molare del gas (il volume di una mole di gas, vedi Appendice SI) è VM (p0, T0) = 22.4136 m3/kmol , (7.14) per cui la (7.12) da p V ( p ,T ) R * = 0 M 0 0 = 8.31432 J ⋅ mol −1 ⋅ K −1 , (7.15) Rc = n R* , T0 73 dove n è il numero di moli ed R* è la costante universale dei gas. Se M è la massa molare del gas, la (13) diventa nM R* R* p= T =ρ T ; (7.16) V M M conviene scrivere l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma: p = ρ RT , (7.17) mediante la costante del gas R = R* M . (7.18) 3. Significato fisico della temperatura La temperatura è stata introdotta come una grandezza fisica operativa legata alla dilatazione dei corpi, basata sulla costruzione di un termometro e sulla definizione di una scala convenzionale lineare tra due punti riproducibili e fissi. La formula isobara (7.7) permette di definire un “termometro a gas”; si scopre così l’esistenza di un limite inferiore, posto a T =0 K = −273.15 °C, detto zero assoluto, dove il volume del gas (perfetto) si annulla. Confrontando ora l’equazione fondamentale (7.5) con l’equazione di stato (7.17) si ottiene: 1 2 T = u ; (7.19) 3R la temperatura termodinamica, come la pressione, dipende quindi dalla velocità media delle molecole. Allo zero assoluto le molecole sono “congelate” in una posizione fissa. Per analogia si può pensare che in ogni stato di aggregazione la temperatura sia un indice dell’ “energia cinetica media” molecolare. 4. Miscuglio di gas Un miscuglio di gas perfetti è ancora un gas perfetto: le molecole di ciascuna specie occupano per definizione un volume totale trascurabile, e si comportano come se gli altri gas non ci fossero. La pressione totale esercitata dal miscuglio è quindi la somma delle pressioni parziali dei suoi componenti (principio di Dalton); lo stesso ovviamente avviene per la densità. Consideriamo un volume V contenente un miscuglio di gas di massa molare Mi alla temperatura T e con una pressione totale p = ∑ pi . . (7.20) Fig. 7.2.- Miscuglio di gas, volumi parziali. 74 Immaginiamo di separare i diversi gas confinandoli in volumi parziali Vi, mantenendo costante la temperatura (fig. 7.2); affinchè le superfici di separazione siano fisse, la pressione su entrambe le loro facce deve essere la stessa, e per la (7.6) pi V = p Vi . (7.21) Ricordando le (7.13, 7.15), ricaviamo dunque che i rapporti frazionari dei diversi gas p V n fi = i = i = i (7.22) p V n espressi in termini di pressione, volume o numero di moli sono gli stessi. La densità del miscuglio è la somma delle densità parziali ricavabili dalle equazioni di stato (7.17); usando la (7.22): ρ = ∑ ρi = ∑ pi 1 = * RiT R T ∑M i pi = 1 R *T ∑fM i i p ; (7.23) e quindi specie di gas N2 O2 Ar CO2 Ne He CH4 Kr H2 Xe massa molare frazione /(kg/kmol) azoto 28.0134 78.084 × 10−2 ossigeno 31.9988 20.9476 × 10−2 argon 39.948 9.34 × 10−3 anidride carbonica 44.00995 3.80 × 10−4 neon 20.183 1.818 × 10−5 elio 4.0026 5.24 × 10−6 metano 16.04303 2 × 10−6 kripton 83.90 1.10 × 10−6 idrogeno 2.01594 5 × 10−7 xeno 131.30 8.7 × 10−8 aria secca 28.9644 1 Tab. 7.1.- Composizione dell’aria secca. con 1 p , RT R = R* / M a , ρ= (7.24) M a = ∑ fi M i , (7.25) che sono rispettivamente la costante e la massa molare media del miscuglio. L’equazione di stato (7.24) di un miscuglio è quindi la stessa di un gas avente una massa molare uguale alla media delle masse molari dei gas costituenti, pesata con i corrispondenti rapporti frazionari. 5. L’aria L’aria dell’atmosfera terrestre è normalmente considerata come un miscuglio di aria secca di composizione costante e di vapor d’acqua, fondamentale nei processi meteorologici e presente in concentrazioni variabili dallo zero alla saturazione. L’aria secca (tab. 7.1) è rappresentabile a sua volta come un miscuglio di gas perfetti di massa molare media (7.25) Ma = 28.9644 kg/kmol. L’equazione di stato per l’aria secca (7.24) permette di calcolarne la densità in funzione della pressione e della temperatura. L’aria può contenere un numero più o meno grande di molecole d’acqua isolate, ovvero sotto forma di vapore (gas al di sotto della temperatura critica, di ebollizione), che contribuisce con una pressione parziale o tensione di vapore e alla pressione atmosferica totale. Con riferimento ad un campione d’aria, si definisce umidità specifica (adimensionale; simbolo: q) il rapporto tra la massa del vapor d’acqua e la massa del campione; umidità assoluta (unità: g/m3 ; simbolo: ρv) la densità del vapor d’acqua, ovvero la massa di vapore per unità di volume. L’umidità assoluta è limitata da un valore massimo di saturazione ρw, al quale Fig. 7.3.- Pressione di vapore, umidità assoluta e corrisponde una tensione di vapore acqua precipitabile alla saturazione in funzione saturo ew, funzioni crescenti della della temperatura dell’aria. 75 ϑ ew ρw ϑ ew ρw /°C /hPa /(g/m3) /°C /hPa /(g/m3) temperatura (fig. 7.3, tab. 7.2). Superato il punto di saturazione le molecole d’acqua -29 0.56 0.50 11 13.12 10.01 cominciano a legarsi tra di loro: si ha la -28 0.61 0.54 12 14.02 10.66 -27 0.67 0.59 13 14.97 11.34 condensazione, cioè la formazione di una fase -26 0.74 0.65 14 15.98 12.06 liquida in sospensione sotto forma di -25 0.81 0.70 15 17.04 12.82 goccioline. La relazione ew(T ) tra la -24 0.88 0.77 16 18.17 13.62 -23 0.96 0.84 17 19.37 14.47 pressione di vapore alla saturazione e la -22 1.05 0.91 18 20.63 15.36 -21 1.15 0.99 19 21.96 16.30 temperatura deve essere determinata -20 1.25 1.07 20 23.37 17.28 sperimentalmente: al riguardo non esistono -19 1.37 1.17 21 24.86 18.32 ancora accordi internazionali precisi. Noi -18 1.49 1.26 22 26.43 19.41 -17 1.62 1.37 23 28.08 20.56 usiamo la formula di Goff-Gratch (1946; cfr. -16 1.76 1.48 24 29.83 21.76 Smithsonian Physical Tables), che vale in -15 1.91 1.61 25 31.67 23.03 -14 2.08 1.74 26 33.61 24.35 presenza di acqua liquida per ϑ ≥ −60 °C, ed -13 2.25 1.88 27 35.65 25.75 è riportata nella tab. 7.3 assieme ad altre -12 2.44 2.03 28 37.79 27.21 -11 2.64 2.19 29 40.05 28.74 relazioni, grandezze e costanti usate nella -10 2.86 2.36 30 42.43 30.34 descrizione dell’aria umida. -9 3.10 2.54 31 44.92 32.02 -8 3.35 2.74 32 47.55 33.78 Le misure dirette del vapor d’acqua -7 3.62 2.95 33 50.30 35.62 nell’atmosfera non sono comode nè usuali; il -6 3.91 3.17 34 53.20 37.55 -5 4.21 3.41 35 56.23 39.56 metodo di riferimento convenzionale prevede -4 4.54 3.66 36 59.42 41.67 la misura contemporanea della temperatura -3 4.90 3.93 37 62.76 43.87 -2 5.27 4.22 38 66.26 46.17 dell’aria ϑ (detta anche del “bulbo asciutto”, -1 5.68 4.52 39 69.93 48.57 dry bulb) e della temperatura del “bulbo 0 6.11 4.85 40 73.77 51.07 1 6.57 5.19 41 77.80 53.69 bagnato” ϑb (wet bulb) mediante due 2 7.05 5.56 42 82.01 56.41 termometri ventilati affiancati a formare il 3 7.57 5.95 43 86.42 59.26 4 8.13 6.36 44 91.03 62.22 cosiddetto psicrometro. Il bulbo bagnato 5 8.72 6.79 45 95.85 65.31 perde calore per evaporazione (ϑb ≤ ϑ : effetto 6 9.35 7.26 46 100.89 68.53 7 10.01 7.75 47 106.15 71.88 psicrometrico): l’aria a contatto che acquista 8 10.72 8.27 48 111.65 75.37 umidità deve essere costantemente rimossa 9 11.47 8.81 49 117.40 79.00 10 12.27 9.39 50 123.39 82.78 con un’opportuna ventilazione per garantire la regolarità della misura. La differenza Tab. 7.2.- Pressione di vapore e umidità psicrometrica di temperatura (ϑ −ϑb) è tanto assoluta alla saturazione in funzione della temperatura dell’aria. maggiore quanto più l’aria è asciutta, e risulta legata alla tensione di vapore ed alla pressione atmosferica dalla formula sperimentale di Sprung e(ϑ ) = ew (ϑw ) − A p (ϑ − ϑw ) ; (7.26) il coefficiente di Ferrel: A = 0.000660 (1 + 0.00115 ϑw / °C ) °C −1 . (7.27) è valido per una velocità di ventilazione tra 4 e 10 m/s. Nella tab. 7.3 sono definite le masse dell’aria secca, del vapor d’acqua, del vapor d’acqua alla saturazione ed i corrispondenti rapporti di mescolamento; il rapporto tra la densità del vapor d’acqua presente ed il suo corrispondente valore di saturazione è noto come umidità ρv mv r e p − ew u = = = = . (7.28) relativa: ρw mw rw ew p − e Dal momento che ew ≈ 20 hPa (tab. 7.2), il rapporto (p−ew)/(p−e) ≈1 nella (7.28) viene talvolta trascurato. Nella meteorologia pratica si fa uso dell’umidità relativa percentuale U = 100 u % ; (7.29) l’umidità relativa indica quindi la densità del vapore acqueo presente come frazione della densità di saturazione a quelle condizioni di temperatura e pressione. 76 costante valore nome VM(0) NA 22.4136 m3/kmol 6.022169 × 1026 kmol-1 volume molare standard numero di Avogadro R* Ma 8.31432 × 103 J.kmol-1.K-1 28.9644 kg/kmol costante universale dei gas massa molare dell’aria secca Mv 18.0153 massa molare del vapor d’acqua ε = Mv /Ma kg/kmol 0.62198 rapporto molare 287.053 J.kg-1.K-1 costante dell’aria secca To 273.15 K origine della scala Celsius T1 C 273.16 0.9995 K punto triplo dell’acqua fattore di compressibilità dell’aria umida R= R*/Ma simbolo unità SI grandezza fisica m3 relazioni mol mol volume rapporto frazionario numero di moli numero di moli di aria secca nv mol numero di moli di vapor d’acqua ma kg massa dell’aria secca mv kg massa del vapor d’acqua mw kg massa del vapor d’acqua alla saturazione M p e kg/kmol massa molare Pa pressione atmosferica totale Pa pressione del vapor d’acqua pr/(r+ε) = = ewu/(1− 1−u)ew/p) ew Pa (*) V f n na pressione del vapor d’acqua alla saturazione m/n Log10 (ew (T ) ) = = 10.79574 (1 − T1 / T ) − 5.02800 Log10 (T / T1 ) ( (10 ) − 1) + 1.50475 × 10 −4 1 − 10 −8.2969 (T / T1 −1 ) ρ + 0.42873 × 10 + 0.78614 densità dell’aria (umida) (ma+mv)/V = umidità specifica mv/(ma+mv) = r/(1+r) kg/m3 densità del vapor d’acqua (umidità assoluta) mv/V = ρ q kg/m3 umidità assoluta alla saturazione mw/V rapporto di mescolamento mv /ma = q/(1−q) = εe/(p−e) kg/m3 q ρv ρw 4.76955 (1−T1 / T ) (*) formula di Goff (1957) r −3 ( p RTv' rw rapporto di mescolamento alla saturazione mw /ma e/p rapporto tensione vapore / pressione nv /(na+nv) = r/(r+ε) u umidità relativa mv /mw = r/rw= (e/ew)(p− ew)/(p− e) 100 u U T Tv % K K umidità relativa percentuale temperatura termodinamica dell’aria temperatura virtuale Tv ' K temperatura virtuale aggiustata ϑ °C temperatura Celsius dell’aria ) T/(1−(1−ε ) e/p) = T (1−p/ew−u)/(1−p/ew−ε u) = T (1 + r/ε )/(1 + r) C Tv Tab. 7.3.- Costanti e simboli relativi all’aria umida. 77 Nota la temperatura dell’aria si può calcolare la tensione di vapore saturo (tab. 7.3) e quindi, con l’equazione di stato (7.16), la densità del vapore saturo (tab. 7.2): M e ew ; (7.30) ρw = *v w = 2.16678 × 10 −3 R T ϑ + 273.15°C nota l’umidità relativa, l’umidità assoluta è data da ρ v = u ρw . (7.31) Si usa definire anche l’altezza dell’acqua precipitabile, ottenuta condensando al suolo tutta l’umidità atmosferica; questo parametro è esprimibile con una funzione empirica della temperatura assoluta al suolo, dell’umidità relativa e della tensione di vapore saturo: hw = α u ew(T) /T , (7.32) −1 con α =4.93 mm.K.Pa . Il grafico di hw per un’atmosfera satura è °C 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 -10 3420 3419 3418 3416 3415 3413 3412 3410 3409 3408 3406 rappresentato nella fig. 7.3; -9 3370 3368 3367 3365 3363 3362 3360 3359 3357 3356 3354 -8 3319 3318 3316 3314 3313 3311 3309 3308 3306 3304 3303 un’atmosfera satura con temperatura -7 3269 3267 3266 3264 3262 3260 3258 3257 3255 3253 3251 al suolo di 15 °C contiene 127 mm di -6 3220 3218 3216 3214 3212 3210 3208 3206 3204 3202 3200 3170 3168 3166 3164 3162 3160 3158 3156 3154 3152 3150 -5 acqua precipitabile. -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 3121 3073 3025 2977 2929 2882 2835 2789 2743 2697 2651 2606 2561 2517 2473 2429 2385 2342 2299 2256 2214 2172 2130 2088 2047 2006 1965 1925 1885 1845 1805 1766 1727 1688 1650 1611 1573 1536 1498 1461 1424 1387 1350 1314 1278 3119 3070 3022 2974 2926 2879 2832 2785 2739 2693 2647 2601 2556 2511 2467 2422 2379 2335 2291 2248 2205 2163 2120 2078 2036 1995 1953 1912 1871 1831 1790 1750 1710 1670 1631 1591 1552 1513 1474 1435 1397 1359 1320 1282 1244 3117 3068 3019 2971 2923 2876 2828 2781 2735 2688 2642 2597 2551 2506 2461 2416 2372 2328 2284 2240 2197 2154 2111 2068 2026 1983 1941 1899 1858 1816 1775 1734 1693 1652 1612 1571 1531 1490 1450 1410 1370 1331 1291 1251 1212 3115 3066 3017 2968 2920 2872 2825 2778 2731 2684 2638 2592 2546 2501 2455 2410 2365 2321 2277 2232 2189 2145 2101 2058 2015 1972 1929 1887 1844 1802 1760 1718 1676 1634 1593 1551 1510 1468 1427 1386 1344 1303 1262 1221 1180 3112 3063 3014 2966 2917 2869 2822 2774 2727 2680 2634 2587 2541 2495 2450 2404 2359 2314 2269 2225 2180 2136 2092 2048 2004 1961 1918 1874 1831 1788 1745 1702 1659 1617 1574 1531 1489 1446 1404 1361 1319 1276 1233 1191 1148 3110 3061 3012 2963 2914 2866 2818 2771 2723 2676 2629 2582 2536 2490 2444 2398 2352 2307 2262 2217 2172 2127 2083 2038 1994 1950 1906 1862 1818 1774 1730 1686 1643 1599 1556 1512 1468 1425 1381 1337 1293 1249 1205 1161 1117 3108 3058 3009 2960 2911 2863 2815 2767 2719 2672 2625 2578 2531 2484 2438 2392 2346 2300 2255 2209 2164 2118 2073 2028 1983 1939 1894 1849 1805 1760 1715 1671 1626 1582 1537 1493 1448 1403 1358 1313 1268 1223 1177 1132 1086 3106 3056 3007 2957 2909 2860 2811 2763 2715 2668 2620 2573 2526 2479 2432 2386 2340 2293 2247 2201 2155 2110 2064 2019 1973 1928 1882 1837 1792 1746 1701 1655 1610 1565 1519 1473 1428 1382 1336 1290 1243 1197 1150 1103 1056 3104 3054 3004 2955 2906 2857 2808 2760 2712 2664 2616 2568 2521 2474 2427 2380 2333 2286 2240 2194 2147 2101 2055 2009 1963 1917 1871 1825 1778 1732 1686 1640 1594 1547 1501 1454 1408 1361 1313 1266 1219 1171 1123 1074 1026 3101 3051 3001 2952 2903 2854 2805 2756 2708 2660 2612 2564 2516 2468 2421 2374 2327 2280 2233 2186 2139 2092 2046 1999 1952 1906 1859 1812 1766 1719 1672 1625 1578 1530 1483 1435 1388 1340 1292 1243 1194 1145 1096 1046 996 3099 3049 2999 2949 2900 2850 2801 2753 2704 2655 2607 2559 2511 2463 2415 2368 2320 2273 2226 2178 2131 2084 2036 1989 1942 1895 1847 1800 1753 1705 1657 1610 1562 1514 1465 1417 1368 1319 1270 1220 1170 1120 1070 1019 967 Tab. 7.4.- Densità dell’aria (ρ/(kg/m3)−1)×104 a 1013.25 hPa in funzione della temperatura e dell’umidità relativa. A 15 °C, 50 %: ρ = 1.2217 kg/m3. 78 6. L’equazione di stato per l’aria umida L’aria umida è un miscuglio di aria secca (massa molare Ma, frazione (p− e)/p) e di vapor d’acqua (massa molare Mv, frazione e/p): la sua massa molare media M è quindi p−e e e M= Ma + Mv = Ma 1 − (1 − ε ) . (7.33) p p p il rapporto molare ε = Mv/Ma = 0.62198 per cui il valore della parentesi nella (7.33) è inferiore ad uno ed M < Ma : l’aria umida è “più leggera” di quella secca. L’equazione di stato dell’aria umida (7.24) diventa quindi M p e ρ = *a (7.34) 1 − (1 − ε ) . R T p Il contributo dell’umidità è usualmente abbinato alla temperatura; definendo infatti la temperatura virtuale T Tv = (7.35) , e 1 − (1 − ε ) p e la temperatura virtuale aggiustata Tv' = CTv , (7.36) l’equazione di stato per l’aria umida (7.34) diventa 1 p , (7.37) RTv' formalmente uguale a quella dell’aria secca. La costante R ed il fattore di compressibilità dell’aria umida C sono riportati nella tab. 7.3; quest’ultimo è stato introdotto per compensare il fatto che l’aria approssima molto bene (C ≅ 1), ma non è, un gas perfetto. Le tab. 7.4 e 7.5 e la fig. 7.4, calcolate con la (7.37), riportano la densità dell’aria per diversi valori di temperatura, di umidità relativa e di pressione. La tab. 7.6 riporta le tipiche variazioni della densità corrispondenti a variazioni unitarie di pressione, temperatura ed umidità relativa. ρ= ∆ρ/∆ p = 1/(RT ) ∆ρ/∆ ϑ = − p/(RT 2 ) ∆ρ/∆U = −3.8 × 10−3 ew ∆ρ /∆p 0 °C +1.3 −4.7 −0.03 20 °C +1.2 (g.m−3)/hpa −4.1 (g.m−3)/°C −0.11 (g.m−3)/% (a 1013.25 hPa) (a 1013.25 hPa) Tab. 7.6.- Variazioni tipiche della densità dell’aria. Fig. 7.4.- Densità dell’aria in funzione della temperatura alla pressione standard (1013.25 hPa) e ad umidità costante (60 %). 79 °C 950 955 960 965 970 975 980 985 990 995 1000 1005 1010 1015 1020 1025 1030 1035 1040 1045 1050 -10 2574 2640 2707 2773 2839 2905 2971 3038 3104 3170 3236 3303 3369 3435 3501 3568 3634 3700 3766 3832 3899 -9 2526 2592 2658 2724 2790 2856 2922 2988 3054 3120 3186 3252 3318 3383 3449 3515 3581 3647 3713 3779 3845 -8 2478 2544 2609 2675 2741 2806 2872 2938 3004 3069 3135 3201 3267 3332 3398 3464 3529 3595 3661 3727 3792 -7 2430 2496 2561 2627 2692 2758 2823 2889 2954 3019 3085 3150 3216 3281 3347 3412 3478 3543 3609 3674 3740 -6 2383 2448 2513 2578 2644 2709 2774 2839 2905 2970 3035 3100 3166 3231 3296 3361 3427 3492 3557 3622 3687 -5 2336 2401 2466 2531 2596 2661 2726 2791 2856 2921 2986 3051 3116 3181 3246 3311 3376 3441 3506 3570 3635 -4 2289 2354 2418 2483 2548 2613 2677 2742 2807 2872 2936 3001 3066 3131 3195 3260 3325 3390 3454 3519 3584 -3 2242 2307 2371 2436 2500 2565 2629 2694 2758 2823 2887 2952 3016 3081 3145 3210 3274 3339 3404 3468 3533 -2 2196 2260 2325 2389 2453 2517 2582 2646 2710 2775 2839 2903 2967 3032 3096 3160 3224 3289 3353 3417 3482 -1 2150 2214 2278 2342 2406 2470 2534 2598 2662 2726 2790 2854 2919 2983 3047 3111 3175 3239 3303 3367 3431 0 2104 2168 2232 2296 2360 2423 2487 2551 2615 2679 2742 2806 2870 2934 2998 3061 3125 3189 3253 3317 3380 1 2 2059 2122 2186 2250 2313 2377 2440 2504 2567 2631 2695 2758 2822 2885 2949 3012 3076 3140 3203 3267 3330 2014 2077 2140 2204 2267 2330 2394 2457 2520 2584 2647 2710 2774 2837 2900 2964 3027 3090 3154 3217 3280 3 1969 2032 2095 2158 2221 2284 2347 2410 2474 2537 2600 2663 2726 2789 2852 2915 2978 3041 3105 3168 3231 4 1924 1987 2050 2113 2175 2238 2301 2364 2427 2490 2553 2616 2678 2741 2804 2867 2930 2993 3056 3119 3181 5 1879 1942 2005 2067 2130 2193 2255 2318 2381 2443 2506 2569 2631 2694 2756 2819 2882 2944 3007 3070 3132 6 1835 1897 1960 2022 2085 2147 2210 2272 2334 2397 2459 2522 2584 2647 2709 2771 2834 2896 2959 3021 3084 7 1791 1853 1915 1977 2040 2102 2164 2226 2288 2351 2413 2475 2537 2600 2662 2724 2786 2848 2911 2973 3035 8 1747 1809 1871 1933 1995 2057 2119 2181 2243 2305 2367 2429 2491 2553 2615 2677 2739 2801 2863 2925 2987 9 1703 1765 1827 1888 1950 2012 2074 2135 2197 2259 2321 2383 2444 2506 2568 2630 2691 2753 2815 2877 2938 10 1660 1721 1783 1844 1906 1967 2029 2090 2152 2213 2275 2337 2398 2460 2521 2583 2644 2706 2767 2829 2890 11 1616 1677 1739 1800 1861 1923 1984 2045 2107 2168 2229 2291 2352 2413 2475 2536 2597 2659 2720 2781 2843 12 1573 1634 1695 1756 1817 1878 1940 2001 2062 2123 2184 2245 2306 2367 2429 2490 2551 2612 2673 2734 2795 13 1530 1591 1652 1712 1773 1834 1895 1956 2017 2078 2139 2200 2261 2322 2382 2443 2504 2565 2626 2687 2748 14 1487 1547 1608 1669 1730 1790 1851 1912 1972 2033 2094 2154 2215 2276 2336 2397 2458 2519 2579 2640 2701 15 1444 1504 1565 1625 1686 1746 1807 1867 1928 1988 2049 2109 2170 2230 2291 2351 2412 2472 2533 2593 2654 16 1401 1462 1522 1582 1642 1703 1763 1823 1883 1944 2004 2064 2125 2185 2245 2305 2366 2426 2486 2546 2607 17 1359 1419 1479 1539 1599 1659 1719 1779 1839 1899 1959 2019 2079 2139 2200 2260 2320 2380 2440 2500 2560 18 1316 1376 1436 1496 1556 1615 1675 1735 1795 1855 1915 1975 2034 2094 2154 2214 2274 2334 2394 2453 2513 19 1274 1333 1393 1453 1512 1572 1632 1691 1751 1811 1870 1930 1990 2049 2109 2169 2228 2288 2348 2407 2467 20 1231 1291 1350 1410 1469 1529 1588 1648 1707 1766 1826 1885 1945 2004 2064 2123 2183 2242 2302 2361 2420 21 1189 1248 1308 1367 1426 1485 1545 1604 1663 1722 1782 1841 1900 1959 2019 2078 2137 2196 2256 2315 2374 22 1147 1206 1265 1324 1383 1442 1501 1560 1619 1678 1737 1796 1856 1915 1974 2033 2092 2151 2210 2269 2328 23 1105 1164 1222 1281 1340 1399 1458 1517 1576 1634 1693 1752 1811 1870 1929 1988 2046 2105 2164 2223 2282 24 1063 1121 1180 1239 1297 1356 1415 1473 1532 1591 1649 1708 1766 1825 1884 1942 2001 2060 2118 2177 2236 25 1021 1079 1137 1196 1254 1313 1371 1430 1488 1547 1605 1664 1722 1780 1839 1897 1956 2014 2073 2131 2190 26 978 1037 1095 1153 1211 1270 1328 1386 1445 1503 1561 1619 1678 1736 1794 1852 1911 1969 2027 2085 2144 27 936 994 1052 1111 1169 1227 1285 1343 1401 1459 1517 1575 1633 1691 1749 1807 1865 1923 1982 2040 2098 28 894 952 1010 1068 1126 1184 1241 1299 1357 1415 1473 1531 1589 1647 1704 1762 1820 1878 1936 1994 2052 29 852 910 967 1025 1083 1140 1198 1256 1314 1371 1429 1487 1544 1602 1660 1717 1775 1833 1890 1948 2006 30 810 867 925 982 1040 1097 1155 1212 1270 1327 1385 1442 1500 1557 1615 1672 1730 1787 1845 1902 1960 31 32 768 725 825 782 882 839 939 897 997 1054 1111 1169 1226 1283 1341 1398 1455 1513 1570 1627 1684 1742 1799 1856 1914 954 1011 1068 1125 1182 1239 1296 1354 1411 1468 1525 1582 1639 1696 1753 1811 1868 33 683 740 797 854 910 967 1024 1081 1138 1195 1252 1309 1366 1423 1480 1537 1594 1651 1708 1765 1821 34 640 697 754 810 867 924 981 1037 1094 1151 1208 1264 1321 1378 1435 1491 1548 1605 1662 1718 1775 35 597 654 711 767 824 880 937 993 1050 1107 1163 1220 1276 1333 1389 1446 1503 1559 1616 1672 1729 36 555 611 667 724 780 837 893 949 1006 1062 1119 1175 1231 1288 1344 1401 1457 1513 1570 1626 1682 37 512 568 624 680 737 793 849 905 961 1018 1074 1130 1186 1242 1299 1355 1411 1467 1523 1580 1636 38 468 525 581 637 693 749 805 861 917 973 1029 1085 1141 1197 1253 1309 1365 1421 1477 1533 1589 39 425 481 537 593 649 704 760 816 872 928 984 1040 1095 1151 1207 1263 1319 1375 1430 1486 1542 40 381 437 493 549 604 660 716 771 827 883 938 994 1050 1105 1161 1217 1272 1328 1384 1439 1495 Tab. 7.5.- Densità dell’aria (ρ/(kg/m3)−1)×104 a 60% di umidità relativa in funzione della temperatura e della pressione (950−1050 hPa). A 15 °C, 1015 hPa: ρ = 1.2230 kg/m3. 80 8. LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA 1. L’energia radiante L’energia H può essere trasferita attraverso lo spazio per mezzo di onde elettromagnetiche, caratterizzate da lunghezza d’onda λ, frequenza ν e velocità di propagazione c = λν. Si assume che la velocità “della luce” nel vuoto sia una costante universale co; nei mezzi densi c < co, per cui la direzione di propagazione delle onde nella materia è soggetta alla rifrazione. Con riferimento ad un elemento di superficie individuato dal vettore normale dS, definiamo radiazione direzionale (Rr) l’energia emessa nella direzione r per unità di superficie e per unità di angolo solido dω = (dA)/r2 = dϑ senϑ dϕ : dH Rr = ; (8.1) dS dω definiamo radiazione (emisferica) R la radiazione emessa in tutto il semispazio indicato da dS positivo: 2π π 2 dH R= = ∫ Rr dω = ∫ dϕ ∫ Rr sen ϑ dϑ . (8.2) 0 0 dS Se la sorgente è isotropa, allora Fig. 8.1.- Radianza. Rr = Ro cos ϑ , (8.3) dove Ro è la radiazione emessa nella direzione normale alla superficie; integrando la (8.2), la radiazione emisferica diventa: (8.4) R = π Ro , La derivata rispetto al tempo della radiazione prende il nome di radianza, rispettivamente direzionale ed emisferica, e le (8.1, 8.4) diventano: dRr dH Lr = = ; L = π Lo . (8.5) dt dS dω dt L’energia e la potenza incidenti su di una superficie da un emisfero prendono il nome rispettivamente di irradiazione (E) e di irradianza (I). Possiamo infine definire le corrispondenti grandezze spettrali, cioè per unità di lunghezza d’onda oppure per unità di frequenza: dL dL Lλ ≡ , Lν ≡ , , …. ecc. (8.6) dλ dν 2. Il corpo nero Fig. 8.2.- Il corpo nero è un perfetto assorbitore ed emettitore di radiazione. Un oggetto capace di assorbire completamente l’energia elettromagnetica incidente, quindi privo di riflessione (albedo nulla), è detto corpo nero. Un corpo nero è anche un “radiatore” perfetto. Per rendersene conto basta considerare uno spazio termicamente isolato: al suo interno la temperatura si mantiene costante ed uguale a quella di tutti gli oggetti presenti. Se uno di questi è un corpo nero, assorbe per definizione tutta la radiazione incidente, che deve riemettere per non aumentare la sua 81 grandezza temperatura termodinamica lunghezza d’onda frequenza velocità delle onde e.m. velocità della luce nel vuoto radiazione (direzionale) normale radiazione irradiazione radianza (direzionale) normale radianza irradianza costante di Planck costante di Boltzmann costante di Stefan Boltzmann costante di Wien raggio solare medio raggio terrestre medio unità astronomica distanza media Sole-Terra valore numerico T λ ν c=λν c co Ro R E Lo L I h k 2.997 924 58 ×108 R=πRo L=πLo σ b rs r AU d d=1 AU 6.626 069×10–34 1.380 651×10–23 5.670 40×10–8 2.897 769×10–3 6.960×108 6.373×103 1.495 978 706 91×1011 unità SI K m Hz, s–1 m/s m/s J.m–2sr –1 J/m2 J/m2 W.m–2sr –1 W/m2 W/m2 J.s J/K W.m–2.K–4 m.K m m m Tab. 8.1.- Grandezze e costanti relative alla radiazione ed al corpo nero. temperatura. In natura possono esistere solo approssimazioni del corpo nero; il nerofumo, ad esempio, lo approssima al 99%. L’emissione del corpo nero è isotropa e funzione della temperatura; la sua radianza emisferica spettrale è espressa dalla funzione di Planck: −1 ch dH hc 2 Lλ (T ) ≡ = 2π 5 e kλT − 1 . (8.7) dS dt dλ λ Le costanti sono elencate nella tab. 8.1. Integrando la (8.7) su tutto lo spettro si ottiene la formula di Stefan-Boltzmann per la radianza emisferica: L (T ) = ∫ ∞ 0 Lλ (T ) dλ = σ T 4 . Fig. 8.3.- Irradianza solare spettrale di Planck sulla Terra: totale 1367 W/m2. 82 (8.8) La funzione (8.7) di Planck ha una forma del tipo rappresentato nella fig. 8.3; l’integrale sulla lunghezza d’onda (8.8) rappresenta la potenza complessiva irradiata dall’unità di superficie del corpo nero, alla temperatura assoluta T, verso un emisfero. Derivando la (8.7) si ottiene la lunghezza d’onda di massima radianza spettrale, espressa dalla formula di Wien: λx = b /T ; (8.9) aumentando la temperatura il massimo della radianza spettrale si sposta verso le lunghezze d’onda minori. 3. L’attività solare Il Sole rappresenta per lo spazio ordinario una sorgente di energia sotto forma di onde elettromagnetiche, e di materia con un flusso di particelle detto “vento solare”. Ruota attorno ad un asse inclinato di 7.25° sull’eclittica in senso antiorario (visto dal nord), come un corpo semi-rigido e con un periodo di circa 26 giorni all’equatore, che si allunga a circa 36 verso i poli. Fig. 8.4.- Ciclo magnetico solare di 22 anni; il massimo delle macchie coincide con le fasi di inversione del campo. Fig. 8.5.- Andamento del numero annuale di macchie solari e numerazione dei cicli undecennali. Le macchie si concentrano nella fascia di latitudine ±30°: con l’avanzare del ciclo si avvicinano all’equatore solare. Il campo magnetico solare segue un ciclo di 22 anni. 83 Il Sole possiede un campo magnetico che si inverte con un periodo di circa 22 anni (fig. 8.4). Le linee di forza, inizialmente meridiane, cominciano a deformarsi per la diversa rotazione zonale e tendono ad allinearsi ai paralleli; si formano dei “cappi” sul piano verticale che, nei punti di intersezione con la superficie, formano macchie scure delle dimensioni di un Fig. 8.6.- Macchie solari osservate il giorno 8 dicembre 1128 descritte nelle “Cronache” di John of pianeta, ben visibili da Terra. Le Worcester. macchie solari sono state notate sin dall’antichità; in occidente la prima segnalazione conosciuta è quella riportata nelle “Cronache” di John of Worcester (fig 8.4). Osservazioni sistematiche sono iniziate nel XVII secolo ad opera di Thomas Harriott (8 dicembre 1610: prima descrizione documentata di osservazioni di macchie solari al telescopio), di Johann Goldsmid (“Fabricius”) (De maculis in sole observatis, 1611) e di Christoph Scheiner, che fece le sue prime osservazioni nel marzo 1611 (Tres epistolae de maculis solaribus, 1612) e le continuò per 15 anni (Rosa Ursina, sive sol ex admirando facularum & macularum suarum phaenomeno varius, 1630; fig. 8.7). Galileo Galilei, nella sua Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari (1613) le interpretò correttamente come segni Fig. 8.7.- Elioscopio di Scheiner (da: Rosa ursina, sulla superficie solare. Poco dopo la 1630) per l’osservazione delle macchie solari. loro scoperta, le macchie solari di fatto scomparvero per un lungo periodo, dal n inizio n inizio n inizio 1 MAR 1755 9 LUG 1843 17 SET 1933 1645 al 1715, in seguito chiamato ed 2 GIU 1766 10 DEC 1855 18 FEB 1944 ora noto come “minimo di Maunder”; 3 GIU 1775 11 MAR 1867 19 APR 1954 l’attività è poi ripresa, e con essa le 4 SET 1784 12 DEC 1878 20 OTT 1964 5 MAG 1798 13 MAR 1890 21 GIU 1976 osservazioni, sempre più accurate. Nel 6 DEC 1810 14 FEB 1902 22 SET 1986 1843 Heinrich Schwabe mise in 7 MAG 1823 15 AGO 1913 23 MAG 1996 8 NOV 1833 16 AGO 1923 24 2007 evidenza la periodicità delle macchie; nel 1858 Rudolf Wolf propose una Tab. 8.2.- Numerazione ed inizio dei cicli solari. formula per il conteggio del loro numero giornaliero. Nel 1904 Maunder trovò la deriva in latitudine (diagramma a farfalla, fig. 8.5): le macchie appaiono verso i 35° nord e sud e, con il progredire del ciclo, si spostano verso l’equatore solare. Nel 1922 Hale (ed altri) scopersero il ciclo magnetico di 22 anni; in fase con l’inversione magnetica, ogni 11 anni, si ha il culmine dell’attività solare evidenziata dalle macchie. I cicli solari sono stati numerati a partire da quello culminato nel 1761 (fig. 8.5, tab. 8.2). 84 Fig. 8.8.- Misure della “costante solare” TSI(1 AU) da satellite (cicli solari 21-23). 4. L’irradianza solare L’irradianza di onda corta Is che il Sole invia sulla superficie normale ai raggi alla distanza media TerraSole (d=1 AU) è nota come costante solare. Può essere misurata al suolo ed estrapolata al di fuori dell’atmosfera terrestre (a percorso ottico nullo); le misure effettuate con radiometri montati su diversi satelliti a partire dal 1978 hanno permesso di ricavare con maggior accuratezza e con buona precisione il valor medio: Is = 1367 ± 7 W/m2 ; (8.10) è stata inoltre evidenziata la variabilità ad alta frequenza di questa “costante” (fig. 8.8), e la presenza di un ciclo undecennale in fase con il ciclo delle macchie solari. Attualmente Is è chiamata in maniera più appropriata irradianza solare totale (TSI). Anche se le macchie, circa 1500 K più fredde della fotosfera, sono zone di scarsa radianza, l’aumento di TSI è comunque garantito, durante i periodi di massima attività, dalla presenza di brillamenti e di emissioni dalla corona solare; la modulazione undecennale della TSI si mantiene comunque entro ± 1 W/m2. L’irradianza solare sulla superficie terrestre arriva dall’angolo solido sotteso dal disco solare (componente diretta Io sulla superficie normale ai raggi solari) e dal resto dell’emisfero zenitale (componente diffusa Id); si definisce l’irradianza solare globale: Ig = Io senα + Id . (8.11) L’irradianza diretta Io dipende dalla lunghezza del percorso ottico dei raggi solari nell’atmosfera, che si allunga al diminuire Fig. 8.9.- Irradianza solare diretta e dall’elevazione α del Sole sull’orizzonte, e diffusa al suolo. dalla trasparenza dell’aria. L’irradianza diffusa dalla volta celeste cresce all’aumentare del contenuto di aerosol nell’aria. Grazie alla teoria del corpo nero ed all’unica misura (8.10) possiamo ottenere molte informazioni utili sulla radiazione solare. La potenza radiante emessa dalla superficie del Sole, di raggio rs, si ritrova, in mancanza di assorbimento nello spazio interposto, sulla superficie sferica di raggio d dove arriva dopo un tempo d/c = 499 s =8.31 min: 4π rs2 Ls = 4π d2 Is , Ls = (d/rs)2 Is = 6.316×107 W/m2 . (8.12) Alla radianza superficiale della fotosfera solare (8.12) corrispondono, per le (8.8, 8.9), una temperatura di corpo nero Ts = 5777 K ed una lunghezza d’onda di picco di 502 nm, nella banda visibile (verde-blu). La distribuzione spettrale della radianza solare, calcolata con la funzione di Planck per Ts, può essere nuovamente ridotta con il rapporto (rs/d)2 all’irradianza solare spettrale incidente sulla Terra avente come 85 integrale la (8.10). La distribuzione spettrale della costante solare è rappresentata nella fig. 8.3; la curva teorica di Planck è in effetti un’ottima interpolazione dello spettro solare reale. La radiazione solare è centrata nella banda visibile; meglio, gli organismi terrestri hanno adattato la visione in modo da sfruttare lo spettro solare. La banda compresa tra 400 e 700 nm, utilizzata per la fotosintesi, è detta banda PAR (photosynthetically active radiation); l’irradianza PAR è pari a circa il 37% della costante solare. Fig. 8.10.- Bilancio radiativo della Terra. 5. Il bilancio radiativo della Terra In condizioni di equilibrio termico la Terra deve emettere nello spazio l’energia che riceve dal Sole. La potenza radiante solare intercettata dalla Terra è quella compresa nel suo cono d’ombra di sezione π r2 (fig. 8.10); una parte della radianza intercettata è immediatamente riflessa, rendendo la Terra visibile dallo spazio (fig. 1.1), e quindi non disponibile. La potenza totale uscente è pari alla radianza terrestre Lt integrata su tutta la superficie del pianeta; all’equilibrio: π r 2 I s (1 − α ) = 4 π r 2 Lt , (8.13) 1 Lt = (1 − α ) I s . (8.14) 4 La radianza terrestre (8.14) è quindi uguale ad un quarto (media notte-giorno sulla superficie orizzontale) dell’irradianza solare trattenuta dopo la riflessione, della quale tiene conto il coefficiente α detto albedo planetaria. Il potere riflettente o albedo di una superficie dipende dalle sue caratteristiche ottiche e dall’angolo di incidenza dei raggi solari: è compreso tra 0 (corpo nero) ed 1 (“bianco” perfetto). L’albedo della superficie terrestre è estremamente variabile, minore per il mare o per una foresta, maggiore per un deserto, massima per un suolo innevato. L’albedo planetaria, ovvero riferita al disco terrestre nel suo complesso, è Fig. 8.11.- Variazione della temperatura variabile con le stagioni ed aumenta terrestre di emissione con lo scostamento dell’albedo planetaria dal valor medio particolarmente con la copertura nuvolosa; si α = 0.3. può considerare un valore medio α = 0.3, in 86 corrispondenza del quale risulta (8.14) una radianza terrestre Lt = 239 W/m2 , (8.15) pari a quella di un corpo nero alla temperatura di 255 K (-18.3 °C) che emette nel lontano infrarosso con il picco a 11.37 µm. Lo spettro di emissione della Terra è quindi ben separato, sull’asse della lunghezza d’onda, da quello solare: il primo è detto infatti di onda lunga, il secondo di onda corta. E’ bene mettere in evidenza il ruolo dell’albedo planetaria nella regolazione della temperatura terrestre. Dalle (8.8, 8.14) si ha: 1/ 4 I (8.16) Tt = s (1 − α ) ; 4σ la variazione della temperatura “superficiale” per valori di α tra 0.1 e 0.5 è riportata nella fig. 8.11. Si nota che una variazione dell’albedo pari a 0.01, che potrebbe essere dovuta per esempio ad una variazione dell’ 1% della copertura nuvolosa, sposta l’equilibrio termico di 1 °C. 6. Il ruolo dell’atmosfera terrestre Nel paragrafo precedente si è visto che la Terra è in equilibrio termico con una radianza di onda lunga in uscita verso lo spazio (8.14) uguale all’irradianza media solare di onda corta in ingresso: 239 W/m2 per un valore medio dell’albedo planetaria α = 30%. La variazione di un punto percentuale dell’albedo dalla media cambia il flusso di 3.4 W/m2 e la temperatura efficace di emissione di 1 K. La temperatura di radiazione di corpo nero (8.16) trovata per la Terra (255 K = −18 °C) corrisponde alla temperatura media di una superficie collocata ad un’altezza di circa 5 km nella troposfera, dove il gradiente termico verticale è di −6.5 °C/km; la temperatura media al suolo è stimata attorno a 15 °C (288 K), valore al quale corrisponde una radianza (8.8) di 386 W/m2 con picco a 10.06 µm. La presenza di un’atmosfera svolge perciò un ruolo fondamentale per quanto riguarda la definizione della temperatura al suolo di un pianeta, per mezzo di scambi radiativi funzione delle specie di gas costituenti. pianeta d /AU Mercurio Venere Terra Marte 0.387 0.723 1.000 1.524 vol. H2O − 2×10−5 ~0.01 3×10−4 fraz. CO2 − 0.965 4×10−4 0.957 p/ albedo Is / L/ Tbb /°C T /°C ∆T /°C atm (W/m2) (W/m2) (corpo nero) al suolo atmosfera α 0 0.06 9123 2144 168 168 0 92 0.78 2613 144 464 513 −49 1 0.30 1367 239 15 33 −18 0.008 0.17 589 122 5 −58 −53 Tab. 8.3.- Effetto termico delle atmosfere planetarie: distanza media dal Sole d, principali gas serra e pressione al suolo, albedo, costante solare Is, temperatura radiante di corpo nero Tbb, temperatura osservata al suolo T, incremento termico atmosferico o “effetto serra” ∆T. La tab. 8.3 confronta il ruolo termico dell’atmosfera dei primi quattro pianeti. Le costanti solari Is sono funzione della distanza media d dal Sole, qui espressa in unità astronomiche; l’equilibrio radiativo (8.14), con radianza uscente L funzione dell’albedo planetaria α e la formula di Stefan-Boltzman (8.8) permettono di calcolare la temperatura di corpo nero equivalente Tbb (8.16). La presenza dell’atmosfera innalza la temperatura al suolo sino al valore osservato T = Tbb + ∆T. Mercurio non ha atmosfera, e la sua temperatura al suolo è quella prevista dall’equilibrio radiativo. Venere, con un’albedo del 78%, è in equilibrio a −49 °C: ha però un’atmosfera estremamente densa (la pressione al suolo è 92 volte quella terrestre) prevalentemente composta di anidride carbonica che incrementa la 87 temperatura al suolo di 513 °C. L’atmosfera di Marte, simile a quella di Venere ma estremamente rarefatta, ha un effetto di soli 5 °C. L’effetto termico atmosferico è tradizionalmente (e impropriamente) noto come “effetto serra”. Fig. 8.12.- Trasparenza spettrale dell’atmosfera terrestre alle onde elettromagnetiche. L’atmosfera terrestre si comporta, nei confronti delle onde elettromagnetiche che l’attraversano, in maniera molto selettiva (fig. 8.12). Le onde più corte (raggi γ, raggi x, ultravioletto) praticamente non arrivano al suolo; risulta bloccato pure l’infrarosso lontano verso le microonde (30 µm − 5 mm) e le onde radio oltre i 20 m. In questi intervalli, i segnali provenienti dallo spazio possono essere osservati solo dai satelliti. La trasparenza dell’ atmosfera è invece buona per lo spettro solare, per alcune “finestre” nell’infrarosso e per le onde radio tra 2 cm e 20 m. La fig. 8.13 (in alto) illustra lo spettro dell’irradianza solare Isλ al di fuori dell’ atmosfera (TSI = 1367 W/m2) e lo spettro di Planck per 5777 K; le curve dell’irradianza diretta, diffusa e globale al suolo (Io, Id, Ig; 8.11) sono calcolate alla latitudine di Fig. 8.13.- Distribuzione spettrale dell’irradianza solare calcolata per Trieste (45.6° 39’ N) e si riferiscono alle ore 12 Trieste, con cielo sereno, al solstizio d’estate. Sopra: aria secca, irradianza solare totale Is (TSI), irradianza diretta, diffusa e globale del solstizio estivo (21 al suolo (Io, Id, Ig). Centro: confronto tra l’irradianza globale al suolo giugno, Sole a 67.81° per un’atmosfera secca e satura di vapor d’acqua. Sotto: trasmissione sull’orizzonte), in percentuale dell’atmosfera satura: 0% corrisponde all’assorbimento condizioni di cielo totale da parte delle molecole di H2O. 88 Fig. 8.14.- Vibrazioni della molecola d’acqua. Fig. 8.15.- Trasparenza spettrale del vapor d’acqua e dell’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre. gas serra acqua anidride carbonica metano clorofluorocarburi ozono protossido d'azoto vol. fraz. contributo ∆T /°C 78% 26 ~1 ×10−2 12% 4 3.8×10−4 4% 1.3 1.8×10−6 3% 1.0 3 ×10−10 −8 2% 0.7 3.4×10 1% 0.3 3.2×10−7 Tab. 8.4.- Gas serra nell’atmosfera terrestre: volumi frazionari e contributo all’effetto complessivo. Fig. 8.16.- Flussi medi di potenza sulla superficie terrestre orizzontale (W/m2); scambi interni tra il suolo e l’atmosfera (C convezione, EV evapotraspirazione). sereno, temperatura e pressione al suolo 25 °C e 1015 hPa, visibilità 25 km, aria secca. Il grafico al centro mette a confronto l’irradianza solare globale al suolo, nelle stesse condizioni di cui sopra (U=0%), con quella calcolata per un’atmosfera satura di umidità (U=100%, pari a 53 mm di acqua precipitabile); il grafico in basso rappresenta il rapporto Ig(0%)/Ig(100%) ed evidenzia le bande di assorbimento del vapor d’acqua. Un gas atmosferico agisce come un gas serra se ha la proprietà di assorbire, e quindi di emettere, le onde lunghe radiate dal suolo. Ad esempio una molecola d’acqua interagisce con le lunghezze d’onda infrarosse tramite vibrazioni che interessano i legami covalenti H-O (allungamento simmetrico e asimmetrico, oscillazioni angolari) ed oscillazioni attorno agli assi molecolari x,y,z (fig. 8.14). Il caso di Venere e Marte (tab. 8.3) mostra che anche l’anidride carbonica è un gas serra; la fig. 8.15 rappresenta la trasmissione selettiva del vapore acqueo e della CO2 nell’atmosfera terrestre. 7. L’effetto “serra” Le serre usate nelle colture mantengono al loro interno una temperatura elevata, anche usufruendo della sola luce solare (serre “fredde”). Il vetro trasmette bene le lunghezze tra 300 e 2000 nm, ed è alquanto più opaco al di fuori di questo intervallo; l’ingresso delle onde corte è perciò favorito rispetto all’uscita delle onde lunghe, ed un po’ di energia resta così intrappolata. L’effetto maggiore, ai fini del riscaldamento interno, è però dovuto a quello che il nome stesso significa: l’aria interna è racchiusa, separata dal resto dell’atmosfera, e non può dissipare calore con la ventilazione o la convezione naturale. Nell’atmosfera invece esiste un efficace trasporto turbolento di calore, sia 89 orizzontale che verticale; l’incremento di calore al suolo è dovuto al fatto che i gas “serra” assorbono la radianza terrestre uscente e la riemettono in modo isotropo: parte di essa ritorna quindi alla superficie. L’effetto serra dell’atmosfera terrestre non è una trovata recente: è stato messo in evidenza, e così definito, nel 1807 da Jean Baptiste Joseph, barone de Fourier. Nel 1858 John Tyndall studiò sperimentalmente l’assorbimento degli infrarossi da parte del vapor d’acqua e della CO2, e giudicò che fosse l’acqua il principale gas serra atmosferico; nel 1896 Svante Arrhenius produsse un’ampia nota scientifica sulla radiazione atmosferica. In conclusione, anche se l’analogia tra l’atmosfera e la serra del giardiniere è valida più per l’effetto che per il meccanismo, la denominazione è ormai tradizionale e di dominio pubblico e sarebbe illogico cambiarla. I principali gas serra presenti nell’atmosfera terrestre sono elencati nella tab. 8.4: sono riportati i corrispondenti volumi frazionari e la stima del relativo contributo, in percentuale ed in gradi Celsius, all’effetto serra complessivo che, come si è visto (tab. 8.3), produce un innalzamento termico al suolo di 33 °C. La fig. 8.16 propone uno schema del bilancio radiativo mediato dall’atmosfera terrestre, che riassume tutti i fatti sinora esposti. Onde corte solari. L’irradianza media notte/giorno in arrivo (TSI/4 = 342 W/m2) viene parzialmente riflessa dall’albedo planetaria: 68 W/m2 dalle nubi, 21 W/m2 dall’atmosfera e 14 W/m2 dal suolo. Rimangono 239 W/m2, dei quali 69 W/m2 sono assorbiti dall’atmosfera e 170 W/m2 arrivano a riscaldare la superficie (mare e terra). Onde lunghe terrestri. Il suolo radia 386 W/m2: 40 W/m2 passano direttamente nello spazio attraverso una finestra atmosferica nell’infrarosso e 346 W/m2 rimangono a riscaldare l’atmosfera, che riemette radianza sia verso lo spazio (199 W/m2) che verso il suolo (320 W/m2). Complessivamente il suolo riceve 490 W/m2: l’eccesso di energia è ceduto all’atmosfera sotto forma di calore sensibile, per convezione (24 W/m2) e tramite i processi di evapotraspirazione (80 W/m2). L’equilibrio termico della Terra può subire variazioni essenzialmente per tre cause: (i) variazioni dell’energia solare in ingresso, dovute a variazione della TSI o dell’albedo (variazioni della copertura nuvolosa e variazioni dell’albedo del suolo: copertura delle grandi foreste, dei deserti, delle superfici innevate, ecc.); (ii) variazione dei gas serra (umidità, CO2, …) e ridistribuzione della radiazione atmosferica; (iii) variazioni importanti del flusso di calore terrestre, normalmente trascurabile (0.8 W/m2). Naturalmente l’equilibrio energetico medio valido a scala planetaria non è più soddisfatto a livello locale ed in funzione del tempo. In generale la Terra fluida (oceano ed atmosfera) cerca di ridistribuire l’energia fornita dal motore termico solare dalla zona equatoriale alle medie e alte latitudini tramite l’instaurazione ed il mantenimento di una circolazione appropriata. 90 Il sistema internazionale (SI) di unità di misura Definizioni Una grandezza fisica è una proprietà attribuibile ad un fenomeno, corpo o sostanza che può essere misurata ed usata nelle equazioni matematiche. Una unità è una particolare grandezza fisica, definita ed adottata per convenzione, che viene confrontata con grandezze dello stesso tipo per esprimerne il valore. Il valore di una grandezza fisica è l’espressione quantitativa data dal prodotto dell’unità ad essa omogenea per un numero, detto il suo valore numerico. Ad esempio, considerata la grandezza fisica lunghezza (simbolo: h) e la corrispondente unità convenzionale “metro” (simbolo: m), scrivendo: h = 3.1 m , il “valore” di h è 3.1 m, il suo “valore numerico”, funzione dell’unità di misura, è 3.1. Unità SI fondamentali Il sistema internazionale (SI), definito nel 1960 nel corso dell’11a Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM), si basa su sette grandezze fisiche fondamentali, tra loro indipendenti per ipotesi, elencate nella tab. 1 con le corrispondenti unità. Unità SI fondamentali grandezza lunghezza massa tempo corrente elettrica temperatura termodinamica quantità di sostanza intensità luminosa Tab. 1 unità nome simbolo metro m chilogrammo kg secondo s ampere A kelvin K mole mol candela cd Le attuali definizioni delle unità di misura fondamentali sono le seguenti: • il metro è la lunghezza del percorso effettuato dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 s; • il chilogrammo è la massa del campione in platinoiridio conservato all’Ufficio Internazionale di Pesi e Misure di Parigi (fig. 1); • il secondo è la durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini dello stato base dell’atomo di cesio 133; • l’ampere è la corrente continua che, se mantenuta in due conduttori paralleli di lunghezza infinita e di sezione trascurabile, posti alla distanza di 1 m nel vuoto, produce tra di essi una forza pari a 2×10−7 Fig. 1.- Il chilogrammo newton per metro di lunghezza; campione di Parigi. • il kelvin è la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua; 91 • • la mole è la quantità di sostanza di un sistema che contiene un numero di entità elementari (da specificare di volta in volta) pari al numero di atomi presenti in 0.012 kg di carbonio 12 e pari a 10−3 NA (dove NA = 6.022 169×1026 kmol−1 è il numero di Avogadro); la candela è l’intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette radiazione monocromatica alla frequenza di 540×1012 hertz con un’intensità di 1/683 watt per steradiante. Le grandezze fondamentali sono state mantenute per motivi storici, anche se le attuali definizioni renderebbero più logiche scelte diverse. Unità SI derivate La tab. 2 elenca alcune delle grandezze SI, derivate da quelle fondamentali, di maggiore importanza ed aventi nome e simbolo proprio. grandezza Unità SI derivate con nomi speciali unità nome simbolo frequenza forza pressione, sforzo energia, lavoro, quantità di calore potenza quantità di elettricità, carica elettrica potenziale elettrico capacità resistenza elettrica conduttanza (conducibilità) elettrica flusso magnetico densità di flusso magnetico induttanza temperatura Celsius angolo piano angolo solido hertz newton pascal joule watt coulomb volt farad ohm siemens weber tesla henry grado Celsius radiante steradiante Tab. 2 Hz N Pa J W C V F Ω S Wb T H °C rad sr espressione in altre in unità unità fondamentali s−1 m.kg.s−2 N/m2 m−1.kg.s−2 N.m m2.kg.s−2 J/s m2.kg.s−3 s.A W/A m2.kg.s−3.A−1 C/V m−2.kg−1.s4.A2 V/A m2.kg.s−3.A−2 1/Ω m−2.kg−1.s3.A2 V.s m2.kg.s−2.A−1 2 Wb/m kg.s−2.A−1 Wb/A m2.kg.s−2.A−2 K m.m−1 m2.m−2 La temperatura termodinamica (unità: kelvin, simbolo K) è normalmente indicata con T; la temperatura Celsius (unità: grado Celsius, simbolo °C), normalmente indicata con ϑ (dal momento che t è usualmente riservato al tempo) è data da: ϑ = T − To ; To = 273.15 K . Un conduttore di elettricità è caratterizzato dalla resistenza elettrica R o dalla proprietà inversa, detta conduttanza G = 1/R (tab. 2). La resistenza è proporzionale alla lunghezza l del conduttore ed inversamente proporzionale alla sua sezione S (R = ρ l/S); il coefficiente di proporzionalità ρ = R S/l è detto resistenza elettrica specifica o resistività (unità di misura: ohm per metro, Ω.m). La conduttanza si può dunque esprimere come G = C S/l, dove C = 1/ρ = G l/S è la conducibilità elettrica specifica o conduttività (unità di misura: siemens al metro, S/m). 92 Unità in uso nel SI grandezza tempo angolo piano massa Unità in uso con il SI nome simbolo espressione in unità SI minuto min 1 min = 60 s ora h 1 h = 60 min =3600 s giorno d 1 d = 24 h = 86400 s anno (*) a 1 a ≅ 365.25 d grado ° 1° = (π/180) rad minuto ' 1' = (1/60)° = (π/10800) rad secondo " 1" = (1/60)' = (π/648000) rad tonnellata t 1 t = 103 kg Tab. 3 La tab. 3 elenca un insieme di unità, non facenti parte del SI, ma in uso con esso. Per quanto riguarda il tempo, l’unità “mese”, di durata variabile, è usata solo in termini colloquiali. (*) L’anno (simbolo: a, non y, yr ecc.) deve eventualmente essere precisato come anno tropico (l’intervallo tra due ritorni del Sole allo stesso punto equinoziale), sidereo (una rivoluzione della Terra attorno al Sole rispetto alle “stelle fisse” o anomalistico (intervallo tra due ritorni del Sole al perigeo, o della Terra al perielio), rispettivamente pari a: 1 at = 365.242 198 8 d = 31 556 925.98 s , 1 as = 365.256 360 4 d = 31 558 149.54 s , 1 aa = 365.259 641 3 d = 31 558 433.01 s . Si definisce inoltre il secolo giuliano, pari a 36,525 d. La differenza tra l’anno sidereo e quello tropico definisce la precessione degli equinozi, all’incirca 1° in 71.6 anni (periodo 25,791 at). Unità obsolete La tab. 4 riporta unità obsolete o da abbandonare. In particolare il "litro" è stato abbandonato come unità di misura di volume in quanto legato alla densità dell'acqua; vista la notorietà del nome può essere ancora usato, ma come sinonimo di “decimetro cubo” e con simbolo scritto in maiuscolo per evitare confusioni con il numero uno. grandezza lunghezza velocità volume forza, peso pressione energia Unità da abbandonare nome simbolo miglio nautico nodo knot litro L chilogrammo forza kgf bar bar atmosfera standard atm millimetro di mercurio convenzionale mmHg pound-force/square inch psi caloria a 15 °C cal15 caloria internazionale calIT caloria termochimica calth Tab. 4 espressione in unità SI 1 miglio nautico = 1852 m 1 knot = 1852 m/h = 0.5144 m/s 1 L = 1 dm3 = 10−3 m3 1 kgf = 9.806 65 N 1 bar = 105 Pa 1 atm = 101 325 Pa 1 mmHg = 1.333 228 7 hPa 1 psi = 68.947 57 hPa 1 cal15 = 4.1855 J 1 calIT = 4.1868 J 1 calth = 4.184 J Il chilogrammo forza è definito in funzione della gravità standard go = 9.80665 m/s2; il millimetro di mercurio convenzionale è definito dalla formula di Stevino in base alla densità del mercurio (Hg) a 0 °C ρHg(0) = 13,595.1 kg/m3 ed alla gravità standard: 1 mmHg = ρHg(0).go.(1 mm). 93 Prefissi Le unità di misura possono essere accompagnate da prefissi che le moltiplicano per una potenza di dieci, come indicato nella tab. 5. E’ opportuno che l’uso dei prefissi meno noti sia accompagnato da una nota esplicativa. fattore 10−1 10−2 10−3 10−6 10−9 10−12 10−15 10−18 10−21 10−24 nome deci centi milli micro nano pico femto atto zepto yocto Prefissi SI simbolo fattore d 101 c 102 m 103 µ 106 n 109 p 1012 f 1015 a 1018 z 1021 y 1024 Tab. 5 nome deca etto chilo mega giga tera peta exa zetta yotta simbolo da h k M G T P E Z Y Per evitare confusione tra prefissi ed unità di misura, le unità derivate sono combinate tra loro con i simboli di moltiplicazione, divisione, elevazione a potenza; ad esempio m.s−1 = m/s (metro al secondo) è diverso da ms−1 (inverso di millisecondo). Conversioni La conversione tra unità di misura viene effettuata semplicemente sostituendo ad una unità la sua espressione in funzione di unità alternative: 1 m/s = (10−3 km)/((1/3600) h) = 3.6 km/h , 1.96 calIT.cm min−1 = (1.96×4.1868 J)(0.01 m)−2/(60 s) = 1368 W/m2 , 1 kgf/cm2 = (1 kg).(9.80665 m/s2)/(10−4 m2) = 98066.5 Pa = 0.967841 atm −2. Regole di stile Alcune semplici regole di stile richiedono che le unità di misura vengano scritte così come sono definite (senza abbreviazioni, segni di plurale tipo “s” in inglese, punteggiature finali ecc.) in caratteri romani (“diritto”). I simboli che denotano grandezze fisiche devono invece essere scritti in corsivo: h = 3.1 m e non: h = 3.1 m, h = 3.1 m . Per quanto riguarda le etichette nei grafici e nelle tabelle, bisogna tener presente che vengono descritti valori numerici, e che questi derivano dal rapporto tra una grandezza fisica e la corrispondente unità di misura; l’indicazione corretta è quindi: temperatura /°C , velocità /(m/s) , profondità /m , ϑ /°C , v /(m/s), z /m , ecc., e non: temperatura (°C) , velocità (m/s) , profondità (m) , o altro. 94 BIBLIOGRAFIA BIPM (2006): The International System of Units SI, 8a ed., 93-180. Defant A. (1961): Physical oceanography, vol. I, Pergamon Press, 729 pag. Defant A. (1961): Physical oceanography, vol. 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