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Un nuovo fegato anche per i malati di cancro

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Un nuovo fegato anche per i malati di cancro
VITA DI RICERCATORE
Un trapianto di speranza
Un nuovo fegato anche
per i malati di cancro
Vincenzo Mazzaferro, piemontese trasferitosi a
Milano, ha portato dagli Stati Uniti in giovane età
la tecnica del trapianto di fegato adattandola ai
pazienti oncologici e ha contribuito, anche grazie
ai fondi di AIRC, a fare della città lombarda un
centro all’avanguardia in questo settore
a cura di FABIO TURONE
ono ben poche le professioni
che portano a viaggiare moltissimo ma impongono di
non fermarsi neanche un attimo, non consentendo neppure una deviazione dal percorso più breve,
e sarebbe troppo facile dire che la professione che ha scelto Vincenzo
Mazzaferro richiede coraggio:
la cartina degli Stati Uniti che
mostra con orgoglio nel suo
studio al settimo piano dell’Istituto nazionale tumori di Milano (INT) conserva traccia di
un’infinità di viaggi compiuti,
partendo da Pittsburgh, in direzione di ogni angolo sperduto
d’America e fin su nei pressi del
Circolo Polare Artico.
Sempre con le ore contate, e sempre con in mente un
chiodo fisso: permettere a
uno sfortunato donatore
d’organo di restituire una
vita serena a un malato di
carcinoma epatocellulare.
“Per questo saprei dire di che colore
sono le uniformi e come lavorano infermieri e chirurghi della gran parte degli
S
ha portato
in Italia
dagli USA
la tecnica
del
trapianto
4 | FONDAMENTALE | APRILE 2012
ospedali d’America, in città bellissime che
ho solo attraversato in ambulanza” spiega
con un sorriso Mazzaferro, che al centro
di Pittsburgh diretto dal pioniere della trapiantologia Thomas Starzl approdò grazie
a una borsa di studio di AIRC, nel 1986.
Un incontro
casuale con l’INT
Il primo viaggio intrapreso, però, fu
quello programmato al termine del
liceo scientifico, frequentato nella natia
Novara, grazie alla prima borsa di studio per studenti meritevoli: “Scelsi di
andare a studiare medicina a Torino, e
mi laureai con una tesi sul neuroblastoma perché la mia prima passione erano
i tumori pediatrici”.
Una volta presa la laurea, col massimo
dei voti e con in mente il concorso per entrare nella scuola di specialità in chirurgia
generale, l’improvvisa folgorazione: “A Torino ascoltai una conferenza del professor
Leandro Gennari sul trattamento delle
metastasi epatiche del tumore del colonretto, e decisi che era ciò di cui avrei voluto occuparmi” racconta Mazzaferro. Gennari all’epoca dirigeva la Divisione di chi-
rurgia oncologica dell’Istituto nazionale
tumori di Milano, per cui fu quasi inevitabile che Mazzaferro chiedesse di frequentare lì il reparto, con l’obiettivo di sviluppare la ricerca clinica sui tumori epatici.
Esperienze sul campo
I primi tempi non furono semplici perché mentre faceva pratica come volontario non pagato all’Istituto nazionale tumori lavorava anche alla guardia medica
nei dintorni di casa: “Non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro, per cui necessariamente dovevo tenere i piedi in due staffe. Di notte giravo la bassa novarese con
una vecchia Panda, e alla mattina mi precipitavo in treno in Istituto” ricorda. “Di
quegli anni conservo il ricordo di tantissime esperienze memorabili vissute anche
da medico di campagna. Per un medico alternare la cura di un bambino febbricitante, che la mamma incinta del fratellino
porta con sé nei campi di riso, alla sfida
assai diversa del clinico ricercatore che
somministra terapie all’avanguardia, rappresenta un sano bagno di realismo e insegna che la medicina è medicina sempre,
sia che il malato soffra per un malanno
banale sia per una situazione clinica inve-
rosimilmente complicata”.
La svolta arrivò nel 1986, grazie appunto a una borsa di studio di AIRC pensata per favorire i giovani desiderosi di acquisire esperienza all’estero, che gli permise di prendere il volo per il centro pionieristico di Pittsburgh, in Pennsylvania,
dove avrebbe potuto inseguire la visionaria idea di curare i malati di cancro del fegato con un trapianto: un’idea che a molti,
in Italia, sembrava velleitaria.
“
AMBROGINO BIPARTISAN
a storia della medicina è
piena di tecniche,
strumenti, malattie e
terapie che prendono il nome
dal loro scopritore, ma quando
Mazzaferro dovette decidere che
nome dare alla lista di criteri
che aveva individuato per sapere
in anticipo quali malati sono
destinati a trarre beneficio dal
trapianto di fegato, optò per
intitolarli alla città dove era
approdato poco dopo la laurea.
Oggi i “criteri di Milano” sono
adottati in tutto il mondo, e
L
A Pittsburgh doveva inizialmente restare sei mesi, ma la borsa di studio fu rinnovata. Poi gli offrirono una fellowship
triennale, cui seguì l’incarico di assistant
professor in chirurgia. Furono anni in cui
avidamente studiava in un clima altamente competitivo e infaticabilmente acquisiva esperienza sul campo girando gli
Stati Uniti in lungo e in largo. La gavetta
del chirurgo trapiantatore prevede infatti
di lavorare a qualsiasi ora perché, ad
”
ovunque permettono a oncologi
e chirurghi di prendersi cura al
meglio dei propri pazienti, e di
ottenere i migliori risultati
possibili con una risorsa limitata
come gli organi per i trapianti.
E Milano ha ricambiato con
generosità attribuendo ben due
benemerenze civiche – che i
milanesi chiamano
affettuosamente “Ambrogino
d’oro” – a Mazzaferro e
all’associazione di pazienti
‘Prometeo’ attiva nel suo reparto.
Viste le polemiche che negli
esempio, in ogni momento si deve essere
disponibili a partire per andare a prelevare il fegato del donatore.
Nel frattempo in Italia era avvenuta
una svolta: “Era ancora Umberto Veronesi
il direttore dell’INT, quando il Ministero
della sanità autorizzò il trapianto di fegato sui malati del centro milanese, per cui
nel 1991 ebbi l’opportunità di tornare per
provare ad applicare alla realtà oncologica le tecniche apprese negli Stati Uniti.”
ultimi anni hanno spesso
accompagnato l’assegnazione
degli Ambrogini, l’oncologo ci
tiene a precisare che il
riconoscimento è stato
bipartisan: “Il primo è arrivato
dalla giunta Moratti, e il secondo
dall’attuale giunta Pisapia”.
C’è anche un altro premio che
Mazzaferro ricorda con profondo
orgoglio, il premio FIRC che gli fu
assegnato alla prima edizione,
nel 1996: “Sono stato l'unico ad
averlo ricevuto dalle mani di
Guido Venosta, cui poi è stato
intitolato” racconta con un pizzico
di commozione. “E sono molto
fiero di aver avuto occasione di
conoscerlo e stringergli la mano”.
VITA DI RICERCATORE
Un trapianto di speranza
In questo articolo:
trapianto di fegato
Vincenzo Mazzaferro
linee guida
punto più alto, senza mai perdere di vista
le altre opzioni che diventavano via via
disponibili per la cura: chirurgia, terapie
adiuvanti, terapie loco-regionali come la
radioembolizzazione fino alla terapia biologica, che è diventata disponibile negli
ultimi 4-5 anni grazie al sorafenib, un farmaco ‘intelligente’ che abbiamo contribuito anche noi a sperimentare”.
Tra medicina e ricerca
“ ”
I CRITERI
DI MILANO
li ultimi lavori scientifici del
gruppo di Vincenzo Mazzaferro,
realizzati grazie a finanziamenti
AIRC, hanno ampliato l'ambito di
interesse della ricerca clinica sui
tumori primitivi e secondari del fegato.
Queste patologie vengono curate, nel
reparto da lui diretto, con un approccio
integrato e multidisciplinare e con una
casistica che non ha confronti rispetto
a ogni altra realtà sanitaria italiana.
Una rigorosa analisi di tutti gli
articoli scientifici pubblicati sul
trapianto nei tumori (in gergo una
"revisione sistematica”) ha
confermato la bontà delle decisioni in
merito al trapianto di fegato in pazienti
oncologici, prese utilizzando i
cosiddetti “criteri di Milano”. Altri studi
hanno però aperto prospettive
interessanti sui cosiddetti “criteri
allargati”, che tengono conto del
profilo genetico, identificando una
nuova classificazione molecolare delle
neoplasie del fegato. Questa è
utilizzata anche nelle nuove linee
guida che tengono conto della
disponibilità di terapie innovative e dei
contesti migliori in cui applicarle.
È nata così una nuova branca della
ricerca e della cura, l'epatoncologia,
in grado di riunire tante competenze
sul cancro del fegato, a lungo
trascurato perché considerato non
curabile. È una novità che Mazzaferro
e la sua équipe hanno, ancora una
volta, anticipato.
G
“
Un intervento
lunghissimo
Ancora oggi il trapianto di fegato, che
per i malati di epatocarcinoma è un’opzione terapeutica consolidata, comporta per
i chirurghi una fatica particolarmente intensa e prolungata, ma nei primi tempi il
lavoro quotidiano era talmente impegnativo e privo di soste da dare un significato
nuovo all’espressione “stanco morto”:
“Una volta, alla fine di un intervento in
Istituto, restai da solo e crollai su una
brandina in un angolo della sala operatoria” racconta divertito Mazzaferro. “Dormivo talmente pesantemente, coperto da
un lenzuolo, che la suora chiamò i portantini pensando che fossi un paziente
che non ce l’aveva fatta”.
La fatica, sempre accompagnata da
una spasmodica attenzione per tutti i dettagli richiesti dal metodo sperimentale, ha
dato i suoi frutti: ancora oggi i medici di
tutto il mondo seguono i “criteri di Milano” – messi a punto in
quegli anni da Mazzaferro – per capire per
quali malati di tumore il trapianto offre
concrete speranze di guarigione.
Tutto questo accadde anche grazie a
una nuova prospettiva: “A Pittsburgh, e
tuttora in molti centri chirurgici, si facevano trapianti pensando ai trapianti; a
Milano ci siamo orientati su una ricerca
che curasse i tumori epatici anche attraverso il trapianto, ma non solo. In un
certo senso abbiamo cominciato a costruire la casa partendo dal tetto, cioè dal
Oggi Vincenzo Mazzaferro è direttore
dell'Unità di chirurgia epato-gastro-pancreatica e vicedirettore scientifico dell'area chirurgica dell'Istituto nazionale tumori di Milano, titolare di molti progetti
di ricerca clinica internazionali, insegna
alla scuola di Specialità in chirurgia e, con
la moglie Giuse, insegnante di matematica e scienze, conosciuta in gioventù a Novara, abita a pochi minuti di distanza dall'ospedale. Per i suoi collaboratori è sempre disponibile, anche nei rari momenti
di relax, quando cura il suo giardino o
mentre si occupa dell'attività scientifica,
cui dedica molte ore ogni sera: “L’attività
scientifica permea tutto il mio lavoro:
gran parte dei nostri pazienti è arruolata
in uno studio clinico, sono titolare di
molti progetti di ricerca clinica e collaboro come editor e come revisore a molte riviste scientifiche internazionali”.
È anche questo un
modo per mettere a
disposizione di tutti i
frutti del lavoro condotto anche grazie ai
molti finanziamenti ricevuti in tutti questi
anni da AIRC: “L'indipendenza della ricerca clinica dagli interessi economici è fondamentale” sottolinea, concludendo con
un dato che dice tutto sul ruolo centrale
del sistema sanitario pubblico: “Quattro
trapianti di fegato su 10 vengono effettuati, oggi in Italia, su pazienti oncologici. Il
trapianto garantisce una sopravvivenza a
cinque anni molto elevata, attorno al 70
per cento, ma è un atto medico molto impegnativo e costoso che può essere offerto ai pazienti solo in una struttura pubblica”.
L’intervento è
lungo e faticoso
anche per
il chirurgo
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