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Le gesta del Mucchio Selvaggio
Ieri e oggi Sopra, Aldo Guerzoni, leader del Mucchio Selvaggio, il team che, circa quarant’anni fa, girò una serie di filmati sui relitti di navi e aerei giapponesi che giacevano nelle acque di Truk e di cui vediamo qui qualche immagine recente. In giro per i sette mari in cerca di storie da raccontare con la cinepresa Le gesta del Mucchio Selvaggio Erano i tempi della subacquea eroica, quando il valore e la bravura si misuravano in metri di profondità e nella grandezza delle prede. In quel contesto, Aldo Guerzoni e i suoi compagni d’avventura si distinsero per essere fra i primi a voler documentare le meraviglie di un mondo di cui la maggior parte della gente nemmeno sospettava l’esistenza Testo di DAVIDE BOSCHI - Foto di RINO SGORBANI 66 N ella storia della subacquea c’é un gruppo, fra i tanti che sono andati nei mari di tutto il mondo quando ancora il turismo era pura scoperta, che ha lasciato una piccola, ma indelebile, traccia di sé: il Mucchio Selvaggio. Non so quale sia il motivo di un nome così poco ortodosso e abbastanza trasgressivo per un team di sub, visto che parliamo degli anni sessanta del secolo scorso, né che cosa spinse i suoi componenti ad assimilarsi in qualche modo alla banda di disperati del vecchio film western di Peckinpah, però so che fecero breccia nel cuore e nelle menti degli appassionati dell’epoca. I subacquei del Mucchio Selvaggio non erano ovviamente banditi, bensì cercatori di navi naufragate e di esseri marini strani e quasi sconosciuti di cui volevano raccontare le vicissitudini. A dire il vero, nacquero tutti come cacciatori di pesci 67 stante battaglia. I relitti arrugginirono e lasciarono fuoruscire liquami e carburanti, che inquinarono il mare e le spiagge sterminando pesci e coralli. Carcasse di automezzi, velivoli e di ogni altro genere di residuati bellici deturparono per decenni quelle che fino a poco tempo prima erano state meravigliose isole vergini. Negli anni che seguirono, l’arcipelago fu quasi abbandonato e non fu facile arrivarvi, nemmeno per i primi subacquei in cerca di avventura e di storie da raccontare che volevano documentare ciò che restava in fondo al mare di quel tremendo evento bellico. Fra questi c’erano anche quelli del Mucchio Selvaggio, il cui leader, Aldo Guerzoni, è ora qui davanti a me che mette un dito su una grande carta geografica del mondo appesa a una parete e, mentre racconta, traccia con l’indice rotte che vanno dal Pacifico all’Atlantico passando per Panama, dal Mediterraneo all’Oceano Indiano passando da (chi non lo era a quel tempo?), ma ben presto abbandonarono fucili e fiocine per imbracciare le prime macchine da ripresa subacquea che cominciavano ad apparire sul mercato e, dato i prezzi, erano appannaggio di pochi. La loro preparazione tecnica era quella dei sub degli anni sessanta, quando il nostro sport era molto più pericoloso di adesso perché se ne sapeva poco e pertanto era ritenuto un’attività per uomini duri e temerari. Erano i tempi in cui la bravura si misurava in metri e in chilogrammi: i metri delle profondità che si raggiungevano in apnea o con l’autorespiratore e i chilogrammi delle prede catturate. La faccenda valeva anche per l’oro rosso, il corallo, di cui si favoleggiava sognando guadagni stratosferici che, anche se in qualche caso avvenivano, erano inghiottiti dai successivi periodi in cui non si trovava più nemmeno un rametto. Però rimaneva l’illusione di arricchirsi, che spingeva a fare immersioni sempre più profonde e a esplorare acque sempre più distanti e difficili. L’ambiente stesso non era sempre raccomandabile perché gli avventurieri improvvisati erano tanti e gli episodi di violenza, veri o presunti, numerosi. Tutto questo messo insieme contribuiva a colorare di tonalità forti la subacquea dell’epoca. E i ragazzi del Mucchio Selvaggio ne erano in qualche modo l’espressione, anche se il loro intento principale è stato sempre quello di 68 documentare le bellezze e i misteri del mondo sottomarino per farli vedere alle moltissime persone che allora nemmeno ne sospettavano l’esistenza. Una delle imprese più significative del gruppo è stata senz’altro la missione nelle acque della Laguna di Truk, in Micronesia, nel Pacifico settentrionale, dove i subacquei del Mucchio Selvaggio furono tra i primi a registrare sulla celluloide le immagini della flotta giapponese affondata dagli americani. Una battaglia epica. La mattina del 17 febbraio del 1944, dopo aver conquistato l’arcipelago delle Marshall, la cinquantottesima Task Force della Quinta Flotta statunitense raggiunse il grande atollo di Truk, dove c’era una delle più importanti basi aeronavali giapponesi del Pacifico, e vi Qui, Aldo Guerzoni ai tempi della spedizione a Truk. Nell’altra pagina, un bunker, il faro, crivellato dai colpi di mitragliatrice, Aldo Guerzoni e, intorno al tavolo, Guerzoni, Davide Boschi, Cinzia Sgorbani e Walter Facchini. scatenò l’inferno. Oltre settecento aerei, fra caccia e bombardieri americani, portarono a termine milleduecento incursioni consecutive partendo da dodici portaerei. Due giorni di fuoco continuo distrussero e affondarono trentaquattro navi giapponesi, fra cacciatorpediniere, mercantili, ausiliarie e cisterne; in poche ore, saltarono in aria qualcosa come trecento caccia Mitsubishi Zero ancora fermi sulle piste e quasi tutto l’arsenale nipponico, inclusi i magazzini per le scorte alimentari e di munizioni e per i vettovagliamenti. In quarantaquattro ore, la vasta laguna tropicale si trasformò in uno dei più grandi sacrari sommersi del secondo conflitto mondiale e, forse, dell’intera storia dell’umanità. La vita dell’arcipelago, sia quella marina che quella terrestre, restò irrimediabilmente sfregiata da quell’epica e deva- Suez e attraversando tutto il Mar Rosso. Aldo Guerzoni oggi naviga verso gli ottant’anni ed è venuto a trovarci in Emilia, da Milano, dove abita, assieme a uno dei suoi più cari compagni d’avventura, Walter Facchini. E’ venuto apposta per raccontarci la sua storia e quella del Mucchio Selvaggio e, già che siamo nella zona giusta, per mangiarsi qualche fetta di culatello doc innaffiato da ottimo gutturnio freddo di cantina. Cosa che facciamo tutti insieme con grande serietà fra una chiacchiera e l’altra. Sotto l’inseparabile berretto da baseball brillano due occhi chiari e penetranti che mi squadrano da capo a piedi ogni volta che gli pongo una domanda. Ho visto i film da lui girati quarant’anni fa e, fra questi, anche le immagini che ritraevano il suo volto di quand’era giovane. È un po’ cambiato, ovviamente, ma è sempre lui. La voce grossa, le parolacce da marinaio e il portamento burbero non riescono a nascondere totalmente la sensibilità di un uomo che ha speso i suoi anni migliori per raccontare il mare. Mentre parla, lo vedo laggiù, a Truk, a centottanta gradi di latitudine, in mezzo all’oceano più vasto del mondo, a organizzare immersioni e riprese cinematografiche in un posto dove non c’era niente e tutto era difficile. Prima di lui c’era stato, qualche anno addietro e con obiettivi diversi, solo Enrico Cappelletti, pioniere sia nella fotografia subacquea che nell’esplorazione dei relitti sommersi della mitica laguna, il quale sull’argomento scrisse poi un bellissimo libro. Adesso, a tanti anni di distanza, per ricordare le gesta di Guerzoni e del suo Mucchio Selvaggio c’è andato anche Rino Sgorbani, bravissimo video operatore, autore di numerosi documentari, fra cui quello recentissimo sul relitto del Bolzaneto, e famoso, presso i lettori di SUB, per i suoi servizi in giro per il mondo. Per ripercorrere la stessa rotta fino a Truk del Mucchio Selvaggio, Sgorbani si è aggregato a una spedizione organizzata da Aldo Ferrucci, top manager della Tdi/Sdi Italia e uno dei massimi esperti di rebreather in assoluto. Le condizioni in cui si sono svolte le immersioni, naturalmente, sono state diverse da quelle degli anni sessanta, sia perché sono stati impiegati gli apparecchi a circuito chiuso, sia perché il mare, nel frattempo, è tornato alle sue antiche bellezze, e il risultato lo vedremo in un suggestivo e interessante documentario sui relitti della laguna e sulle gesta del Mucchio Selvaggio che uscirà tra poco e ci mostrerà ciò che rimane di questa storia infinita. Davide Boschi 69