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- Accademia Apuana della Pace
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL'EDUCAZIONE
PER UNA PEDAGOGIA COMUNICATIVA:
IL MODELLO DI DANILO DOLCI E LE SUE
POSSIBILI APPLICAZIONI
RELATORE
PROF. FRANCO CAMBI
CANDIDATO
ALESSANDRA CLARA MARIA VALSEGA
ANNO ACCADAMICO 2003-2004
INDICE
PREFAZIONE
1 COMUNICAZIONE E PEDAGOGIA
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
Il contesto
Chi sono gli umani
Formazione perché
Un altro mondo è possibile
Le scienze ci danno una mano
Per una pedagogia comunicativa
Pag.
3
8
9
16
21
29
31
37
2 DANILO DOLCI E LA COMUNICAZIONE MAIEUTICA 41
2.1 Socrate padre della maieutica
2.2 Danilo Dolci pedagogista per vocazione
2.3 Nonviolenza-dominio-educazione, connessioni
problematiche di processi comunicativi
2.4 Come obiettivi: consapevolezza e valorizzazione
2.5 Come metodo: la comunicazione maieutica
2.6 Come finalità: la mondializzazione delle metodologie
maieutiche
3 UN'APPLICAZIONE DEL MODELLO
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
Socioanalisi del problema
La realtà locale
Comunicare nella 3° età
Quale metodo allora
Il laboratorio maieutico
La pratica autobiografica
42
46
55
63
67
72
79
80
84
91
98
101
108
CONCLUSIONI
115
BIBLIOGRAFIA
117
2
PREFAZIONE
L'imparare-insegnare è stato ed è tutt'ora nella mia vita il
baricentro, il porto sicuro a cui sempre mi rivolgo, quando il
"vasto mare" della quotidianità si fa turbolento e l'anima si
inquieta.
Nella casa dove sono cresciuta il mio amatissimo nonno
(classe 1904) era poeta e la mia adorata nonna (classe
1907) era maestra. Da loro ho respirato quell'eros
specialissimo che si sprigiona nel condividere immagini,
fantasie, pensieri, quando l'emozione si accende e diventa
fusione, piacere, bellezza e gioia nel comunicare:
l'imparare-insegnare insomma, come fatto primordiale che
risveglia l'anima partendo dall'occhio del cuore. E poi mia
madre, maestra montessoriana, in quella veste ha dato il
meglio di sé, ha espresso la sua intelligenza, la sua
passione, la sua creatività.
Così io… diciamo pure come i papaveri nei prati d'estate o
le castagne in un bosco autunnale, già a diciannove anni
non ancora compiuti (primi di ottobre del 1978), ero "in
cattedra" con una intera classe di prima elementare!
E' come se i miei occhi non avessero mai smesso di
osservare, ricercare e interpretare materiali, ambienti,
linguaggi, testi e contesti secondo una prospettiva
pedagogica, sentendomi sempre, dialogicamente insieme,
apprendista e maestra.
Anche oggi, dopo venticinque anni di docenza nella scuola
elementare, dopo aver visto passare molta, moltissima
"acqua sotto i ponti", eccomi ancora a cercare oltre il mio
baricentro, in quella dimensione della
autoformazione
permanente che è " cura del sé", percorso necessario per
sentirmi integra ed integrata con il mondo.
Questa mia tesi, dedicata a Danilo Dolci allora, non può che
rispecchiare inevitabilmente, questa mia visione dialogica,
innamorata e curativa della pedagogia.
Una pedagogia comunicativa cioè, che ci consenta di
costruire relazioni significative in cui mettere a punto la
3
continuità e la discontinuità della nostra esistenza, una
pedagogia comunicativa che presuppone ed implica il
rispetto, l'amore, l'interesse, la possibilità per ognuno di
diventare persona integra e cooperante.
Si parte dal presupposto che noi ci evolviamo all'interno di
strutture comunicative e il nostro io ne è quindi il prodotto:
la vita è una rete, in cui ogni singolo nodo, è parte
integrante dell'unico stesso filo intrecciato.
Il pensiero, come ogni altra cosa, si nutre dunque di
rapporti, di connessioni, di relazioni fra similarità,
differenze, antinomie e, in un'epoca, in cui si sta
tristemente configurando un'ingegneria del consenso atta a
riprodurre schemi di adattamento all'esistente, occorre
costruire occasioni formative, dove si possa ancora
comunicare creativamente.
C'è alla base di questa tesi, un'idea poetica della mente
capace di superare il nichilismo e l'ottusità contemporanei
in modo che oltre alla logica, la mente possa riappropriarsi
del sogno, dell'immaginazione, possa coniugare arte e
scienza, passato e presente , obiettività e soggettività.
Si tratta di superare il concetto di formazione-educazione
come
trasmissione
e
modellamento
unidirezionale,
espressione di una deflagrante crisi del comunicare
connotante la nostra civiltà e finalizzato alla produttività
spicciola, "a breve termine", alla omologazione ed alla
" mente unica", che sclerotizza chi la riceve e chi la
trasmette, depauperandoci della nostra umanità.
La chiave interpretativa, il modello di riferimento più
consono ad indicare concreti percorsi e possibili soluzioni, si
trova nel fecondo pensiero di Danilo Dolci che, in tutte le
sue opere, ripropone al centro del paradigma educativo e
formativo, la COMUNICAZIONE come vero, responsabile
ascoltare…
- complesso processo in cui due o
osservazione-esperienza in ricerca,
riescono ad integrarsi superandosi.-1
1
più sistemi di
nel confronto,
D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica,, Bari, Piero Lacaita Editore, 1993, p.95.
4
Come Danilo Dolci ci suggerisce urge costruire laboratori
maieutici di continuativa emancipazione, luoghi dove poter
elaborare prospettive e diagnosi della contemporaneità,
organizzando criticamente e costruttivamente gli eventi
della nostra memoria personale e collettiva.
Il problema fondamentale è principalmente metodologico:
come individuare di volta in volta, nei vari contesti le
condizioni necessarie e le priorità scaturenti "dal basso"
per costruire le strutture capaci di incrementare e suscitare
la comunicazione e la creatività individuale e di gruppo,
consapevoli che solo radicandoci nei bisogni comuni, nei
profondi
interessi
personali,
ambientali
ed
etici
comunicandoceli, che possiamo giungere a costruire
organizzazioni
energizzanti,
vitali
e
connesse
empaticamente con il mondo.
In particolare, il percorso di questa tesi si sviluppa in tre
tappe, la prima dove, innanzitutto, si delinea l'orizzonte
storico ed epistemologico di riferimento, che va ad
individuare in una pedagogia essenzialmente comunicativa,
il dispositivo focale per rispondere alle emergenze
pedagogiche attuali; in un momento storico particolarmente
connotato da eclatanti ingiustizie e da una cultura fondata
sulla scissione, sul dominio, e sulla violenza, apprendere o
ri-apprendere a comunicare creativamente urge diventare
prassi pedagogica emergente.
Ciò si connette alla "cura del sé" e si identifica con la
questione dei diritti della persona, dei gruppi e dei popoli.
La scelta è quella di un paradigma radicalmente
comunicativo che, riconoscendo epistemologicamente nella
socialità/relazionalità il fattore chiave della vita e quindi
della formazione, promuova la salute delle persone e dei
gruppi nei loro contesti di vita, rafforzando le reti sociali,
attivando la partecipazione, la possibilità di agire
dell'individuo come attore-autore del proprio cambiamento
e della propria storia personale. Questo arricchimento delle
potenzialità, questa valorizzazione, può avvenire solo
attraverso percorsi comunicativi interiori e riflessivi,
intersoggettivi, negoziali e di sistema, il cui strutturarsi
diventa primario compito delle Scienze della Formazione.
5
Nel secondo capitolo si apre una discussione sui temi ed i
problemi sopra esposti, inerenti ad una possibile pedagogia
comunicativa, con Danilo Dolci e attraverso Danilo Dolci.
Questo capitolo è soprattutto un omaggio a questo
incantevole e generoso poeta-educatore, architettosociologo, pedagogista-comunicatore e profeta, che ha
saputo tessere infiniti fili rossi tra il passato e il presente,
fra il lontano e il vicino, fra il fuori e il dentro di sé.
Egli ci ha regalato preziose intuizioni, stimolanti riflessioni
ed illuminanti versi poetici chiamandoci a compiti ineludibili:
sui bisogni di libertà e di non violenza, sulla dimensione
umana, sulle necessità axiologiche, sulla democratizzazione
dello sviluppo come idea regolativa di base di ogni progetto
pedagogico, attraverso una maieutica valorizzatrice fondata
sul dialogo, sulla narrazione e sull'ascolto, in un " palpitare
di nessi".
La sua opera è una vitale ed attuale interpretazione
dell'odierno e drammatico contesto planetario in cui egli ci
indica la strada per contrastare le involuzioni democratiche
e l'attacco ai diritti a cui oggi stiamo assistendo su tutti i
fronti.
La sua opera lascia a noi, educatori di professione, una
serie di brucianti quesiti aperti, una serie di compiti urgenti
da svolgere, una serie di intuizioni e di connessioni da
sviluppare e praticare: è il più fecondo tesoro che ho
scoperto in questi miei ultimi anni di studi accademici (e
ritengo sia da riscoprire ancora e più a fondo all'interno
della cultura della formazione).
Nel terzo capitolo si tratteggia, all'interno della
problematica emergente della gestione dell'anzianità (che
chiaramente mi sta molto a cuore in quanto si tratta anche
del mio prossimo futuro), un progetto socio-pedagogico
fattibile nel microcontesto di una comunità per anziani che,
utilizzando
appunto
quella
pedagogia
comunicativa
delineata in linee generali nel primo capitolo ed
approfondita in particolare nel modello dolciano nel corso
del secondo capitolo, riesca ad integrare e promuovere gli
individui anche nell'ultima parte della loro vita (integra è la
creatura non mutilata o danneggiata, integrare significa
6
soprattutto valorizzare, rendere completo).Quanto proposto
nell'ultimo capitolo è solo un piccolo esempio di ciò che si
può fare.
Oggi nuove progettualità s'impongono: progettualità che,
individuando necessità e priorità scaturenti "dal basso"
valorizzino l'imparare insieme a risolvere concretamente i
problemi, progettualità che ridefiniscano i rapporti uomonatura, uomo-ambiente, uomo-risorse, nuovi modi di
intendere antiche tematiche come la nascita, la vita, la
morte, la malattia…nuovi modi di pensare che si connettano
ai numerosi conflitti in atto ed alle nuove speranze di
cambiamento possibile.
Per costruire un'esistenza progettata attraverso l'impegno
quotidiano, etico e civile nel rapporto solidale con gli altri e
per la pacificazione universale, sulle strade del possibile
dove l'utopia ci è orizzonte luminoso e sereno, così come
già I. Kant aveva intuito:
- Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione
sempre nuova e crescente (…): il cielo stellato sopra di me
e la legge morale in me. Queste cose io non ho bisogno di
cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte
nell'oscurità o fossero nel trascendente, fuori dal mio
orizzonte, io le connetto immediatamente con la coscienza
della mia esistenza.- I. Kant 2
2
I. Kant in : D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1997, ,p.78.
7
CAPITOLO PRIMO
PEDAGOGIA E COMUNICAZIONE
8
1.1 IL CONTESTO
Oggi ci troviamo in uno stato di profonda crisi a livello
mondiale. E’ una crisi complessa, multidimensionale, le cui
svariate sfaccettature toccano ogni aspetto della nostra vita
e del nostro futuro, la qualità del nostro ambiente e dei
nostri rapporti sociali. Questa è una crisi che investe le
nostre dimensioni intellettuali, morali e spirituali, ci
troviamo, forse per la prima volta nella storia dell’umanità,
di fronte alla realistica minaccia dell’estinzione della specie
umana dal pianeta.
La corsa agli armamenti continua senza sosta: attualmente
al mondo si spendono 900 miliardi di dollari per spese
militari, 300 milioni per sussidi agricoli e solo 50 per aiuti
allo sviluppo3. I diritti umani vengono calpestati in nome
dell'ossessione per la sicurezza e una paradossale
"alleanza" fra gruppi armati e governi, pur partendo da
obiettivi opposti, crea gli stessi disastrosi e sconcertanti
effetti sulle popolazioni: la violazione delle tutele garantite
per legge, in nome di una visione miope e ambigua di
ordine, sviluppo e democrazia.
Contemporaneamente più di quindici milioni di persone
muoiono di fame ogni anno, centinaia di milioni di persone
vivono in uno stato di denutrizione continua, più del 40%
della popolazione mondiale non ha acqua sufficiente per
vivere e oltre un miliardo di persone non dispone di acqua
potabile.4
L’ecosistema globale e l’ulteriore evoluzione della vita sulla
Terra sono gravemente danneggiati e potrebbero essere
presto coinvolti in un disastro ecologico su vasta scala. Il
degrado dell’ambiente di vita da cui dipendiamo si
accompagna ad un corrispondente aumento, anche nei
paesi ricchi, dei problemi sanitari degli individui, sul
versante psicologico si manifestano disagi e sofferenze
mentre aumentano i segni della disgregazione sociale:
crimini,
incidenti
stradali,
suicidi,
alcolismo,
3
Dati tratti da : La Repubblica, 27/05/04, p.14.
Dati tratti da: Il Manifesto, 27/08/04, p.7.
4
9
tossicodipendenze,
malattie
mentali,
abuso
di
farmaci…..Parallelamente a queste forme di patologia
sociale, si manifestano anomalie economiche che pare
accentrino l’interesse, l’energia dei nostri governanti,
monopolizzino l’attenzione dei media occidentali e siano
causa di conflitti e di guerre.
In questa maniera si perde di vista che, si parli di salute, di
comportamenti devianti, di rischio nucleare, di problemi
energetici o di inflazione, la dinamica che sta alla base di
questi problemi è sempre la stessa.
Questi problemi, sono problemi sistemici, cioè sono
interconnessi ed interdipendenti e perciò non possono
essere compresi in una metodologia di approccio
frammentato, tipica delle nostre discipline accademiche e
della nostra cultura “specialistica”.
Un approccio riduttivo ai problemi ci consentirà soltanto di
spostarli da un campo all’altro nella rete di complesse
relazioni sociali ed ecologiche che caratterizzano la vita del
pianeta…
La concezione sistemica della vita è una prospettiva
appropriata, anche per le scienze sociali più tecniche come
per esempio l’economia. Secondo l’approccio sistemico,
infatti, l’economia è un sistema vivente composto da esseri
umani ed organizzazioni sociali in continua interazione fra
loro e con gli ecosistemi circostanti da cui dipende la nostra
vita.
La “saggezza sistemica”, come la chiamò Bateson si fonda
su un rispetto profondo per la sapienza della natura: i
principi di organizzazione degli ecosistemi sono considerati
superiori a quelli delle tecnologie umane fondate su
invenzioni recenti, su progetti lineari a breve termine. La
percezione di fondo è che la dinamica dell’autoorganizzazione negli ecosistemi è fondamentalmente la
stessa che negli esseri umani e quindi è “intelligente”.
L’intelligenza degli ecosistemi, in contrapposizione a molte
istituzioni umane, si manifesta nella tendenza onnipresente
a stabilire rapporti di cooperazione, che facilitano
un’integrazione armonica di tutti i componenti a tutti i livelli
di organizzazione. Il nostro pianeta inoltre, è oggi così
10
densamente
popolato,
che
tutti
i
sistemi
sono
profondamente intrecciati ed interdipendenti: i problemi più
importanti di oggi sono problemi globali e per questo ci è
richiesta una veduta diversa che superi i vecchi modelli e
diventi planetaria.
Ma, i problemi generali concernenti la sopravvivenza sulla
Terra, l'autodeterminazione politica e l'identità culturale dei
popoli, la lotta all'alienazione umana nelle sue varie forme,
all'emarginazione nelle sacche di sottosviluppo, l'impegno
per combattere l'anomia e il disorientamento, la violenza, il
disagio esistenziale, non possono essere affrontati al di
fuori di un'intenzionalità educativa, un'attività conoscitiva e
progettuale che chiama in causa la pedagogia e quindi
l'approccio anche pedagogico ai problemi deve farsi
sistemico.
Come ci ricorda E. Morin:
- A un pensiero che isola e separa si dovrebbe sostituire
un pensiero che distingue e unisce. A un pensiero
disgiuntivo e riduttivo occorrerebbe sostituire un
pensiero complesso nel senso originario del termine
complexus: cioè che è tessuto insieme… Un pensiero che
collega e che affronta l'incertezza.-5
Ma per costruire una "civiltà della Terra" dove ognuno sia
riconosciuto sia come singolo, che come parte di una
comunità,
immersa
in
un
intreccio
globale
di
interdipendenze, il modello scientifico e tecnologico di
sviluppo, fondato sulla razionalità strumentale e cartesiana,
non solo mostra chiaramente la sua insufficienza, ma anzi
corre in direzione antitetica.
C'è un forte bisogno di immaginazione dunque, uno sforzo
creativo da fare, in quanto la pedagogia è comunque e
sempre progetto, per prefigurare nuovi modelli di
convivenza solidale fondati sul principio di responsabilità e
di universalità che possano accogliere le sfide del nostro
tempo.
5
M. Callari Galli, F. Cambi, M.Ceruti (a cura di), Formare alla complessità, Roma, Carrocci , 2003,
p.146.
11
Piuttosto dobbiamo rivolgerci verso modelli olistici, non
violenti, ecologici e dinamici e, per trovare radici in questa
visione si può attingere alla tradizione non violenta della
cultura occidentale che attraverso Socrate, S. Agostino,
Comenio, J. Rousseau, J. Dewey, J. Piaget, M. Montessori,
D. Dolci, ecc…, giunge fino a noi.
La pedagogia canonica invece, quella tradizionale, quella
trasmissiva, conformista, adattiva, spesso implicita e
mascherata, è soprattutto adattamento strumentale degli
individui e dei popoli ai modelli politici dominanti,
socializzazione
conformistica,
ed
anche
induzione
all'alienazione e al malessere; essa oggi più che mai
produce vaste sacche di trasgressione, rifiuto ed
emarginazione.
Ora, sebbene il trasmettere conoscenze, perpetuarle,
conservarle, diffonderle è stato ed è utile per la
sopravvivenza non solo del soggetto, ma di tutta la
comunità, la pedagogia non può certo identificarsi e
consumarsi
in
questo
compito
metodologico
di
inglobamento e di controllo sociale, ma deve anche e più di
tutto innovare, trasformare, valorizzare, emancipare
secondo quella vocazione profetica che le è propria.
- Ogni pedagogia è anche profezia, non come divinazione,
bensì come pro-vocazione e pro-iezione. Inoltre: come
per il profeta anche per il pedagogista il futuro è la
dimensione propria del tempo, anzi il passaggio dal
presente al futuro, e ad un futuro prefigurato anche se
mai garantito né nella forma né nella realizzazione.
Senza questa dimensione di stimolo, di prefigurazione, di
futuro la pedagogia perde ogni autonomia e viene a
disperdersi nell'ethos, riducendosi a inculturazione
teorizzata.-6
Oggi formare significa integrare il nuovo, il diverso, l'altro,
secondo una dialettica radicale tra forma acquisita e
problemi aperti attraverso il dialogo, che è il regolatore di
tutte le tensioni e deviazioni della comunicazione, dialogo
6
F. Cambi (a cura di), La tensione profetica della pedagogia,, Bologna, CLUEB, 2000, p.21.
12
fondato sulla parola e sul volto dell'altro, fondato su una
razionalizzazione imperniata sulla ricerca di senso.
E qui si colgono i contrasti, le antinomie su cui si fonda la
nostra dialettica pedagogica, il paradosso paradigmatico di
questa disciplina complessa e trasversale che si muove
oscillante, ma ormai consapevole su un continuo gioco di
sponde.
Per connotare dunque questa pedagogia altra, critica allora
e inevitabilmente complessa, dobbiamo utilizzare una logica
nuova e diversa, una logica intesa in senso dialogico che,
abbandonando la rassicurante casualità lineare della logica
classica aristotelica, ci permetta di apprezzare tutte le
potenzialità del paradosso che questa nuova prospettiva
inevitabilmente ci comporta.
E' attraverso la metafora del DIALOGO che meglio si
esprime
la dialettica che unisce e rende inseparabili
nozioni contraddittorie e principi che si autoescludono, il
pensiero del futuro, attraverso il dispositivo dialogico, deve
dunque riuscire a tenere insieme i due antagonisti che oggi
sempre tendono ad escludersi l'uno con l'altro: l' io - l'altro
da me…
Ed è il momento in cui le certezze vacillano, le verità si
appannano ed emerge con tutta la sua forza archetipica la
complessità labirintica del nostro essere nel mondo.
Ecco perché il criterio interpretativo si fa prevalente in tutta
la ricerca epistemologica contemporanea, ecco perché
l'attenzione si sposta sulla "ricerca di senso" e sulla
"comunicazione" come fondamentale dispositivo all'interno
del quale si definisce il proprio indicatore di significatività,
secondo la razionalità tipica dell'essere umano, immerso
nella sua storia culturale e biologica.
Parlando di comunicazione però dobbiamo in primis
specificare che essa può avere, a livello di senso comune,
due diverse accezioni, spesso infatti la si confonde con una
trasmissione di dati, notizie, informazioni, mentre qui la si
intende come il trasparente disporsi in relazione reciproca,
il comune costruirsi, l'aprirsi l'un l'altro per creare
comunione.
13
- L'uso del termine comunicare per dire trasmettere è una
delle furbesche forzature moderne da cui occorre
liberarsi, disintossicarsi: una forma di criminalità viralecol segreto, con la falsità legalizzata- sostanziata nel
moderno dallo Stato.-7
L'atto comunicativo, così come qui lo si intende,
presuppone dunque l'empatia, quella disposizione emotiva
ed etica che si apre all'altro, in quanto lo riconosce col
cuore come parte di sé.
Paracelso :
- Il linguaggio non è della lingua, ma del cuore. La lingua è
solo lo strumento con il quale parliamo. Chi è muto, è muto
nel suo cuore, non già nella lingua… Quali le tue parole ,
tale il tuo cuore.-8
Ed è attraverso il cuore che, come J. Hillman ci suggerisce,
il pensiero si fa immaginativo e, l'atto del meditare, il
concepire, l'immaginare, il progettare, il desiderare
ardentemente, il sognare e il fantasticare diventano forza
vitale .
In questo senso la pedagogia può contrastare il collasso
dell'immaginazione collettiva che caratterizza la nostra
società occidentale, in cui l'unico orizzonte cognitivo si
identifica con il mercato e il modello della competizione si
va pericolosamente sostituendo a quello della mediazione.
Il paradigma neoliberista che si sta concretizzando pone le
condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale
imperniato sul concetto di welfare state, mentre viene
esaltata la libertà del singolo individuo a scapito della
dimensione collettiva e si esaltano la tecnologia e la scienza
classica ponendo al centro gli interessi del mercato.
Tutto questo viene supportato dall'inasprimento delle
politiche giudiziarie, dall'aumento del controllo sociale e
contemporaneamente dalla dissolvenza della solidarietà,
della tolleranza, dell'attenzione verso i deboli e i marginali.
Il senso di insicurezza e di inadeguatezza che tutto ciò
produce e che caratterizza la cosiddetta post-modernità,
7
8
D. Dolci , Nessi fra esperienza etica e politica, op. cit., p.170.
J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, Milano ,Adelphi, , 2002, p.41.
14
insieme al disincanto, alla sfiducia, al senso di solitudine e
di precarietà che l'abitante delle opulente società
industrializzate percepisce, va oltretutto coniugato con
l'incremento convulso delle nuove tecnologie, con la
globalizzazione e con le massicce migrazioni in atto, con
l'inasprirsi delle tensioni e degli integralismi a livello
internazionale…
La creatività, la progettualità e l'autonomia del soggetto
rischiano di diventare preda passiva del consumismo, del
qualunquismo e del conformismo.
E' perciò urgente ricucire lo strappo tra mente e cuore, tra
pensiero e sentimento, tra conoscenza ed amore, è
fondamentale recuperare il giusto valore del cuore in una
società come la nostra ricca e tecnologica dove, e non per
caso, le malattie cardiache costituiscono la prima causa di
decessi.
- Se il cuore è il luogo delle immagini, allora l'infarto
cardiaco allude a un cuore infarcito (in-farctus =
imbottito, stipato, ripieno, ingrassato) dei suoi prodotti,
di immagini. Un cuore ostruito, intasato dalle sue stesse
ricchezze sulfuree che non sono entrate in circolo, o
perché bloccate da restringimenti delle vie, oppure
perché sono state viste soltanto come azioni-nel mondo,
e non anche come immagini dl cuore destinate alla sua
interiore circolazione.-9
In questa ottica, la consapevolezza dell'eterna unicità
dialettica e comunicativa insita nel processo vitale, mai
pienamente e definitivamente realizzato, ci riporta al
compito prioritario della pedagogia contemporanea: il
raggiungere questa disposizione d'animo prima di tutto e
soprattutto dentro noi stessi, come progetto regolativo e
come spinta utopica ineludibile, per poter elaborare e
proporre oggi un nuovo modo di intendere la società, la
natura, la gestione della vita e delle risorse del pianeta.
9
J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, op. cit. , p.56.
15
1.2 CHI SONO GLI UMANI
Nell’affrontare il problema COMUNICAZIONE
dobbiamo
partire dalla consapevolezza che il vivente è una unità che
si AUTO-ORGANIZZA, cioè il vivente ha come peculiare
caratteristica il fatto che “si fa da sé”. Il vivente è esso
stesso che definisce e governa l’insieme dei rapporti tra le
sue parti costitutive e le mantiene in un sistema di autoregolamento.
Quando
il
vivente
si
imbatte
nei
condizionamenti ambientali, è difendendo il suo processo
endogeno di distinzione, che trova le risposte adattive di
riorganizzazione e ristrutturazione trovando soluzioni
adeguate ai problemi della sua conservazione e
riproduzione: il vivente dunque è tale, in quanto produce e
riproduce se stesso, modificandosi. I sistemi viventi sono
sistemi cognitivi, e il vivere, come processo, è un processo
di cognizione.
In altre parole la cognizione è un saper interagire con il
mondo nei modi in cui si è appreso di interagire, imperniata
sia sul contesto che sulla autodeterminazione degli umani
con tutte le loro potenziali interazioni.
- Dal conoscere deriva il potere, il quale può trasformarsi
in accrescimento vitale, fermento, attivazione di processi
sociali e politici, gioia, osservano Spinoza e i suoi amici.
E cresci nella gioia quante più creature con te
pervengono nel passaggio da una minore a una maggiore
perfezione, e cioè ad un aumento della realtà: conoscere
indice a quella letizia che Virgilio sente nel campo fertile
(ager laetus), del campo mentre cresce.-10
Nell’evoluzione del processo di distinzione del vivente e
dell’organizzazione del suo processo di auto-organizazione
quindi, una parte di questo si viene via via specializzando
nelle funzioni di DIALOGO con l’ambiente, dove la
comunicazione si va a connotare nel senso di un mutuo
orientamento, nella ricerca di dominii consensuali d
10
D. Dolci, Dal trasmettere al comunicare, Alessandria, EDIZIONI SONDA, 1998, p.42.
16
interattivi che si articola in soluzioni organizzative, che
ampliano in maniera enorme lo spettro delle possibilità
esplorative dell’ambiente stesso adattando e regolando le
forme e i modi per realizzare l’esplorazione, attraverso le
funzioni del sistema nervoso.
La configurazione del sistema nervoso, ci introduce
direttamente alla “biologia della conoscenza”. I neuroni,
attraverso un sistema di ramificazioni, determinano
connessioni sinaptiche che si influenzano reciprocamente
attraverso impulsi sia elettrici che chimici, innescando
cambiamenti funzionali e strutturali continui delle cellule del
sistema.
Avanzando lungo la storia evolutiva del vivente, possiamo
osservare come questa struttura neuronale sistemica, si
articola e si organizza in maniera sempre più complessa,
ma come tuttavia la base della conoscenza, la via maestra
di ogni apprendimento, rimane sostanzialmente la stessa
uguale per tutti i viventi: E’ IL CONTINUO SAPER
DIALOGARE CON L’AMBIENTE, CON L’ALTRO DA SE’…E’ IL
SAPER COSTRUIRE PONTI.
Qui cade e si sfata il mito classico dell’immaterialità della
conoscenza e della materialità del corpo. La conoscenza ha
una sede neurobiologica e, d’altro canto, la materia di cui è
fatto il corpo è costituita da impulsi elettrici continui e
permanenti, flussi energetici dunque, regolati da reattivi
chimici.
Balza agli occhi il valore di categorie nuove che ci parlano di
INTEGRAZIONE,CONNESSIONI,INTERFACCE,CONTAMINA=
ZIONE e, il centinaio di miliardi di cellule nervose
moltiplicate per le molteplici possibili sinapsi di ogni cellula,
ci dà la misura del potenziale conoscitivo umano sul piano
biologico…
Così come afferma R. Laporta :
-Il fare esperienza, l’apprendere risulta cioè giustificato
dalle nostre origini biologiche. Senza imparare a vivere
nessun vivente può sopravvivere e l'essere umano è
soltanto quello che impiega più tempo e più fatica di ogni
altro in un tale apprendimento.
17
Quanto al rapporto educativo, la comunicazione in cui esso
consiste è a sua volta ravvisabile nel primo darsi della vita,
che non può esistere al di fuori di un costante comunicare
del vivente con l'ambiente che lo nutre e gli invia messaggi,
sia favorevoli che letali, che esso deve apprendere e
decifrare a suo rischio. La comunicazione metabolica, fra un
organismo ed un ambiente costituenti un sistema si
estende a quella fra gli organismi del sistema, e si associa
alla comunicazione neurale mediante la quale gli organismi
più complessi addestrano alla vita i loro nati.
Nella nostra specie assume un’importanza decisiva per la
formazione lunga e difficile delle nostre competenze a
sopravvivere la costituzione di un ambiente essenzialmente
culturale che si sovrappone a quello biologico; un ambiente
permeato cioè da una cultura che costituisce al tempo
stesso la maggiore garanzia di sopravvivenza, ma anche la
moltiplicazione di rischi proporzionale alla quantità e qualità
di rapporti attraverso i quali l’individuo deve personalmente
guadagnarsela.-11
E’ con l’affermarsi del sistema nervoso dell’homo sapiens,
che questo potenziale conoscitivo comincia a spaziare dalle
funzioni e dai saperi esclusivamente senso-motori a quelli
emozionali per finire a quelli cognitivi quando nasce il
sistema organizzativo della psiche umana che presiede alla
definizione del proprio mondo individuale, così come a
quello collettivo, che si esprime nell’organizzazione sociale
e culturale.
Se partiamo da questo assunto per cui: la percezione,
l'emozione e il pensiero confluiscono nella psiche, ed essa
definisce il mondo allora possiamo dire che è nella psiche
che si trova il mondo e viceversa, ogni più piccola cosa
esistente ha un significato psicologico.
- La fisiologia coincide con l'anima; la fisiologia è sempre
psicologica. I sistemi biologici sono campi psichici che
chiedono di essere letti per trasmetterci la loro
intelligenza.-12
11
12
F. Cambi (a cura di), La tensione profetica della pedagogia, op. cit., p.77.
J. Hillmann, La forza del carattere, Milano, Adelphi, 1999, p.108.
18
Qui si intende dare priorità alla realtà psichica e a
considerare tutti gli eventi alla luce del significato ed al
valore che essi hanno dunque per l'integrità dell'individuo,
perché in sostanza, la realtà dell'essere umano è la realtà
dell'essere psichico.
L’homo sapiens, non possedeva alle origini un’identità ben
delimitata dall’eredità filogenetica come avveniva per tutte
le altre specie viventi, ma è nato ed è cresciuto col bisogno
di darsela lui stesso, utilizzando appunto quella parte di
cervello umano abilitato ad elaborare non una, ma illimitate
soluzioni conoscitive, essendo dotato cioè, di uno spazio di
apprendimento senza confini…
Con homo sapiens è esploso l'immaginario, la danza, il
canto, il segno, il simbolo, il linguaggio… E poi la magia, il
mito e la religione hanno narrato le trame della nostra
specie dando consolazione e speranza alle soggettività in
perenne ricerca di stabili certezze… Ma tutto questo
marasma
di creazione e di illusione, di errori e di
conquiste, di intense e di instabili emozioni, incessanti e
contraddittori tentativi di raggiungere infine il piacere, il
godimento, l'estasi, è proprio ciò che ci contraddistingue
come specie.
- Il profumo di zagara ci invita a divenire creature pronube?
Il rapporto d'amore ci è maieuta, suscita e inventa dentro
noi un crescere imprevedibile. L'innamorarsi è prima
condizione di ogni rinascita. Nell'estasi, "abolizione
dell'alterità",
il
trasformarsi
viene
suscitato
non
dall'intelletto ma dalla "comprensione per congiunzione"
(Plotino). -13
Emerge da questa breve sintesi il potenziale aperto degli
umani non esclusivamente legato alla sua distinzioneriproduzione biologica, ma anche alla sua identità storica da
realizzare in un’adeguata organizzazione sociale e culturale.
Questo potenziale ha generato nei millenni organizzazioni
sociali e culturali alimentate dai saperi collettivi via via
elaborati e trasmessi, arrivando a generare le attuali
13
D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, op. cit., p. 344
19
società e culture e così continuerà fino a quando l’homo
sapiens, di cui tutti gli umani sono ancora diretti
discendenti, continuerà a mantenere la sua identità
continuando a garantirsi sufficienti condizioni di vita
biologica, trasformandosi in armonia con gli altri e con
l’ambiente.
Risulta evidente allora come ogni distorsione della
comunicazione, ogni repressione, divieto, alienazione, ogni
perdita di contatto intimo con l'ambiente, con l'esterno a se
stessi, con l'altro, come ogni separazione con la realtà
esterna,
sta
creando
così
tanti
problemi:
la
frammentazione, i linguaggi settoriali, l'iperspecializzazione,
la depressione, l'inflazione, l'esaurimento, l'emarginazione,
la diminuzione della biodiversità, tutta la violenza che la
vecchia cultura ha prodotto suscitano un impellente bisogno
di ricominciare a percepire con il cuore, cominciare ad
aprirci all'immaginazione considerando il mondo come parte
integrante di noi stessi. Bisogna dunque risvegliare ed
educare il cuore coniugando la ricerca di senso con il
sentimento estetico, con la capacità di ritrovare il sapore
delle cose, l'eccitazione, il dolore, il piacere…il senso della
bellezza del mondo come percezione sensoriale del creato.
Ora, se consideriamo che attualmente gli abitanti umani del
pianeta sono oltre sei miliardi, possiamo renderci conto
dell’infinità
varietà
e
differenza
che
si
genera
continuamente nei vari contesti di vita, sempre più
intrecciati, velocizzati, interdipendenti, sorge spontanea la
domanda: - Dove ci porterà quest’era globale dove tutti
possono incontrarsi, venire a contatto con i diversi saperi,
società e culture?
Prevarrà la paura di perdersi e quindi la paura “dell’altro” e
quindi aumenterà ancora la spinta al dominio “sull’altro”
attraverso una tecnologia destinata al dominio ed al
controllo, oppure queste possibilità comunicative offerteci,
saranno generatrici finalmente di un’identità di specie, un
sentirsi appartenenti tutti alla specie degli umani cittadini di
un’unica Terra?Questo dipenderà soprattutto dai processi comunicativi e
formativi , che sapremo mettere in atto.
20
1.3 FORMAZIONE PERCHE’
Nei sistemi biologici le cause sono sempre molteplici e
possono essere descritte a molti livelli e con molti linguaggi
diversi.
I fenomeni sono sempre complessi ed intensamente
interconnessi in un processo autopoietico specifico, come
ben hanno illustrato Maturana e Varela, ma plastico.
Ogni riduzionismo che tende ad ignorare il paradosso (vedi
paradosso di Zenone: la freccia scoccata verso il bersaglio
che in ogni istante di tempo deve essere sia in un punto
che in transito verso un altro punto), è la trappola a cui
dobbiamo sfuggire: la stabilità attraverso la dinamica,
l’oscillazione tra due poli è ciò che permette ai sistemi
complessi di auto organizzarsi e mantenere una forma
mutando costantemente con il loro ambiente.
Il concetto di ambiente stabile, influenzato e controllato
dall’intervento umano e tecnologico è pura fantasticheria.
Il processo di trasformazione a cui stiamo assistendo oggi,
sembra essere molto più vistoso di quelli passati in quanto
il ritmo del mutamento è molto più rapido di prima, più
esteso e coinvolge simultaneamente l’intero globo terrestre,
la crisi presente perciò, non è solo una crisi di individui, di
governi o di istituzioni, ma la possiamo considerare una
transizione di dimensioni planetarie, che va accolta
riesaminando i principali presupposti e valori della nostra
cultura tradizionale occidentale, andando ad incidere nella
modifica proprio dei rapporti sociali e delle forma di
organizzazione sociale ed implicando come campo
privilegiato di intervento il campo della formazione.
Se gli umani trasformano i loro modi di sentire e di pensare
rielaborando le loro reti mentali fino alla vecchiaia, è questo
processo di modificazione permanente che possiamo
identificare
con
il
termine
AUTO-FORMAZIONE/
FORMAZIONE, il rimodellamento continuo che ci consente di
affrontare situazioni diverse e cangianti, la capacità di
riattribuire significati per recuperare un ordine nel pensiero
e nelle proprie conoscenze.
21
E’ sempre presente la ricerca comunque di un ordine
plausibile, di un senso, di una narratologicità che rassicuri
l’individuo dalla minaccia del nuovo, del diverso, del caos,
dell’altro da sé rispetto alla propria identità personale e
collettiva.
G. M. Edelman osserva: - Ciò che definiamo mente ha la
sua base materiale nello sterminato connettersi dei 10
miliardi di neuroni che formano il sistema nervoso centrale.
La mente è un processo, un processo di inaudita
complessità, risultato della interazione tra questi circuiti. Ed
è unica, per ognuno di noi.
I circuiti che ognuno di noi ospita nella sua scatola cranica
sono il prodotto di storie individuali. (…) Se certamente è
vero che il nostro sistema nervoso centrale è un'antenna
sul mondo, uno strumento per elaborare le informazioni in
entrata e che successivamente guida le nostre risposte, è
anche però altro. Non è uno strumento passivo, uno
specchio del mondo. La maggior parte dei tessuti cerebrali
riceve e invia segnali, dialoga con le altre aree del cervello.
In ogni momento la nostra mente reagisce principalmente
con se stessa, seleziona, rafforza, cancella.14
Ogni conoscenza dunque, mai è indipendente dal suo
contesto né dalla sua storia, ogni conoscenza si manifesta
inoltre in molteplici modalità non ordinabili gerarchicamente
e non legate a causalità lineari o meccaniche, l'evoluzione
umana quindi, come l'evoluzione di ogni altra specie
vivente
risulta
imprevedibile,
ma
SOPRATTUTTO
INTERCONNESSA ALLE CIRCOSTANZE STORICHE ED
AMBIENTALI
IN
MODO
PLASTICO,
DINAMICO
,
AUTOPOIETICO.
Questa provvisorietà spinge gli umani in modo particolare a
cercare di interpretare e cambiare il mondo attraverso
convenzioni accettate alla comunità. E' attraverso queste
convenzioni che gli scienziati hanno rappresentato,
interpretato, utilizzato il mondo, esprimendo però solo
verità parziali e partigiane. Occorre oggi la consapevolezza
che ogni narrazione del mondo, così come ogni metodo,
14
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.140.
22
linguaggio o credenza basata spesso sull'analogia o sulla
somiglianza non è altro che METAFORA o espressione
poetica, ma che purtroppo spesso ci viene spacciata come
verità, viene confusa con la realtà dimenticando che per
ogni
fenomeno
osservato,
vi
sono
moltissime
interpretazioni e descrizioni legittime: tutto dipende dagli
scopi per i quali si fornisce la spiegazione.
Questo confronto/ conflitto tra modelli in corso in tutte le
discipline afferenti alle Scienze della Formazione, ci è
imposto da quella condizione postmoderna che caratterizza
il nostro tempo e in cui assistiamo simultaneamente ad
arroccamenti integralisti, rapporti dialettici e reciproche
connessioni apparentemente analogiche, in un doppio
movimento che sfugge ogni prevedibilità.
Già J.J. Rousseau aveva inquietato le certezze degli
illuministi con la sua diffidenza verso il "progresso", che non
teneva conto dei costi antropologici, e dopo di lui sempre
più lo sviluppo delle tecniche investirà e farà da motore alla
civiltà, fino ad arrivare col positivismo al primato della
scienza sulla coscienza. E' nel primo novecento che questo
predominio comincia ad incrinarsi, l'analisi di Nietzsche,
impietosa ed imprescindibile aprirà interrogativi anche
pedagogici, tutt'oggi pregnanti e ineludibili per la cultura
occidentale, interrogativi che riguardano la cancellazione
delle differenze, dell'alterità, del sentimento delle passioni e
dei valori, in nome della razionalità metafisica.
Il positivismo si convertirà in pragmatismo ed in analisi
logica dei procedimenti scientifici, con la conseguente
destabilizzante consapevolezza dei limiti della scienza ,
degli altissimi rischi che essa produce e della sua
intellegibile complessità.
Fondamentali a questo riguardo risultano gli studi della
Scuola di Francoforte che ripropongono, attraverso una
dialettica della conoscenza, il recupero di una ragione
sostanziale che rimette al centro delle azioni umane la
supremazia dei fini e dell'etica, invocando una necessaria
resistenza per combattere il dominio della tecnica e della
ragione strumentale.
23
Il concetto di disincanto presentato da Weber, seppure
riesce ben a descrivere ciò che accade all'uomo
postmoderno, non ci aiuta nella ricerca di soluzioni e di
cambiamento, non ci aiuta nella formulazione di nuovi e
diversi orizzonti.
E' invece nella pedagogia di resistenza delineata dai
francofortesi che si ripristina il valore dell'utopia e della
critica radicale all'esistente, incentrata su concetti di
trasformazione e di cambiamento, contrapponendo il
possibile al " già dato"..
Habermas ricolloca IL DIALOGO al centro del dispositivo
pedagogico del cambiamento, con l'argomentazione tra
scelta dei mezzi e dei fini, aldilà dei dogmatismi, e questo
non solo eticamente, ma anche epistemologicamente
ancora ci supporta nella scelta del nostro paradigma, per
Habermas il dialogo è il fondamento che unisce l'etica al
pensiero democratico e ci consente di superare le
contraddizioni, tenendo in vita una rielaborazione personale
costantemente aperta.
Anche Marcuse ci richiama ad un progetto critico
dell'esistente, un progetto che coinvolge le strutture
tecnologiche e le infrastrutture umane, oggi fondate sulla
VIOLENZA E SUL DOMINIO, un progetto critico di uomo
dove il primo passo è la presa di coscienza e la ricerca di
nuova dimensione estetica.
Gadamer con la sua ermeneutica ci regala un apporto
essenziale: il concetto ermeneutico di verità, verità come
interpretazione e non più come spiegazione, ciò sarà
fondamentale per comprendere l'individuale attraverso un
processo di contestualizzazione. Verità torna ad essere
Aletheia platonica, disvelamento, pratica cognitiva di
interpretazione, dove la conoscenza è un atto vitale e
circolare, che si integra con gli altri processi di vita
soggettivi e pone al centro l'autonomia dell'oggetto e il
pluralismo delle possibili letture.
Fondamentale in questo contesto è anche l'attenzione alla
coscienza posto dalla corrente fenomenologica, corrente
inaugurata da Husserl e poi sviluppatasi nell'antipsichiatria
che ha rimesso il fuoco sul soggetto con le sue sofferenze e
24
i suoi disagi ed ha evidenziato come l'istituzionalizzazione
dei " non conformi ", sia funzionale al controllo ed alla
repressione.
Questi contributi ci hanno messo in guardia anche nei
confronti di una psicologia molto potente e prigioniera della
tecnica, che valorizza gli aspetti razionali interpretando la
razionalità come efficienza e produttività e provoca una
visione impoverita del soggetto derubato della sua più
intima e complessa identità.
In questa carrellata di punti di riferimento, non può
mancare
J.
Dewey:
il
suo
contributo
alla
costruzione/mantenimento della democrazia attraverso
l'educazione, è ancora oggi essenziale, così come il
richiamo alla responsabilità dei cosiddetti intellettuali e
scienziati, chiamati a compiti di vigilanza e di risveglio
dell'opinione pubblica.
In questi autori troviamo la ricchezza di una verità che va
oltre le scienze, che si ricongiunge all'arte ed alla poesia, in
uno spazio aperto dove la scienza mantiene tutto il suo
valore, ma non come unica lettura, bensì come una delle
letture del mondo.
E' proprio in questo confronto dialettico che la pedagogia
diventa postmoderna e cioè si lega a: complessità,
disseminazione, nomadismo, de-centramento, sfondamento
in un sottile gioco di sponda fra le differenze ….
Sono queste le consapevolezze di fondo che sia l'educatore
che il formatore postmoderno deve avere, come base per
pianificare i propri interventi, l’importanza fondamentale dei
propri valori etici e di conseguenza delle proprie scelte
all’interno di un processo di cambiamento di cui è urgente
essere protagonisti, consapevoli dei propri principi e dei
propri orizzonti.
- Nella società contemporanea, in breve, siamo davanti ad
un effetto crescita e a un effetto dispersione delle
professionalità educative che reclamano sì la descrizione
tassonomica ma, ancor più, una comprensione del senso di
tali professionalità, delle intenzioni che le guidano e del tipo
di coscienza che esse postulano.(…) Nelle professionalità
25
educative c'è sempre un raccordo (diverso ma forte;
presentato sotto diverse angolazioni, ma comune) con la
formazione: la sua idea, un suo modello, la sua
problematicità. Proprio questa prospettiva dà unità e forza
alle professionalità educative e anche le irretisce in una
logica in qualche modo comune. Tutte vertono su soggetti,
tutte tendono a operare una trasformazione "miglioristica",
che deve agire nel soggetto e secondo il soggetto, che lo
promuovono ecc., nell'àmbito che esse assumono come
proprio, il quale - però implica la formazione (come logica)
e una formazione (come obiettivo intenzionale). Tale
orizzonte non può, né deve, essere passato sotto silenzio.15
E' quindi il privilegiare la dimensione del non- ancora,
adatta ad un soggetto in perenne mutamento, in una
condizione di continua formazione che, come un flusso
ininterrotto ci dà comunque "una forma".
E' il ricordare, come disse C. Marx, che la mente dell'uomo
è plurale e onnilaterale, in fisiologico contrasto con il
tentativo di omologazione conformista orientata alla
passività della cultura odierna del pensiero unico.
E' il ricordare che la cultura deve rendere consapevoli i
soggetti dei propri bisogni, della propria dimensione ludica,
estetica ed etica, così che le contraddizioni contemporanee
vengano a galla.
E' il tentativo di utilizzare proprio quegli aspetti critici,
riflessivi e politici che normalmente trascuriamo ed
accantoniamo.
Si vuole evidenziare qui, un concetto di formazione che
umanizza l’uomo, lo fa partecipe del mondo, costruisce il
senso della comunità affidandogli il compito del DIALOGO,
DEL CONFRONTO E DELLA COLLABORAZIONE.
Si potrà trovare una soluzione modificando la struttura della
rete stessa, attraverso una metamorfosi profonda delle
nostre istituzioni, dei nostri valori, della nostra “ forma
mentis”;
15
F. Cambi, La professionalità educativa: appunti per una definizione "en theorie", in : STUDIUM
EDUCATIONIS, n°2, 1999, pp.330-331.
26
- (…) nel Postmoderno - tutta l’esperienza viene a
collocarsi in una quota di precarietà, di trasformazione
costante, di apertura verso il futuro. Il soggetto, la
mente, la comunicazione, in questo contesto, sono in
quanto costantemente si fanno, mutano statuti e forma,
si costruiscono , si decostruiscono, si riprogettano. La
formazione (continua) è la condizione stessa dell’abitare
la postmodernità.-16
Formazione come processo costantemente in fieri, in
progress, non chiuso, non determinato, che riguarda tutto
l'arco della vita, ma non solo, esso continua oltre la morte
attraverso gli altri, attraverso la vita che continua.
Questo concetto di formazione implica un sé, implica un
prender forma a partire dalla propria soggettività, un
imprescindibile prendersi cura di sé per darsi forma e
diventare corresponsabili del modello ipotizzato.
Il soggetto si fa attore di un processo aperto, libero anche
rispetto a qualsiasi educazione, un soggetto consapevole
anche dei rischi di spaesamento che questa strada
comporta.
La pedagogia allora prende una strada discorsiva, fondata
su un modello di IPERCOMPLESSITA' 17implicante il sapere
critico, dialettico, incentrato sulla dicotomia individuo/
società che riflette sulle strutture della mente e sul ruolo
della coscienza, che pone al centro l'interpretazione e il
ruolo della tradizione nelle conoscenze, CHE SI FONDA SU
ANTINOMIE STRUTTURALI ORMAI NON PIU' IGNORABILI.
Risulta
perciò
indispensabile
il
lavorare
sulla
consapevolezza
delle
persone,
di
come
i
loro
comportamenti, i loro atteggiamenti riflettano un sistema di
valori non più adeguato ad affrontare il “mondo che
cambia”, dove il principio di responsabilità sottolineato da
Dewey è di importanza fondamentale per la formazione
dell'uomo nell'era tecnologica.
16
F. Cambi, Prefazione, in : Frontiere della formazione postmoderna, a cura di G. Bandini e R. Certini,
Roma, Armando Editore, 2003, pp.7-8.
17
Vedi: A. Granese, Pedagogia e formatività educativa, oggi, , in : STUDIUM EDUCATIONIS, op. cit.,
pp.311 - 328.
27
La concezione dell’uomo dominatore della natura e della
donna, la convinzione della superiorità della mente
razionale, hanno trovato avvallo anche nella tradizione
ebraico–cristiana, ma oggi è sempre più evidente che
questa insistenza sul metodo scientifico, basato sul
pensiero razionale, analitico, deduttivo, ha prodotto un
generale atteggiamento anti-ecologico: il pensiero razionale
è lineare, mentre la consapevolezza ecologica non lo è.
Il problema contingente da affrontare è il superamento
dell'atteggiamento diffuso, con il quale siamo abituati a
spiegare le manifestazioni di conflitti o di incomprensioni
con i motivi che gli antagonisti riconoscono coscientemente
come origine della disputa, oppure con i "fatti oggettivi" che
stanno alla base di questi motivi.
M. Buber per esempio, ci fa notare come in realtà il
separare dal tutto elementi e processi parziali, ostacola
sempre la comprensione della totalità, e che solo la
comprensione della totalità in quanto tale può comportare
una
trasformazione
reale,
una
reale
risoluzione,
innanzitutto dell’individuo e poi del rapporto tra questo e i
suoi simili dove ogni ricerca della verità non può passare
che attraverso il dialogo.
Osserva M. Buber:
- Bisogna che l’uomo si renda conto innanzitutto lui stesso
che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono
solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua
anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio
conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da
uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni
nuove, trasformate.(…)
Ma proprio questo modo di vedere- in base al quale l'essere
umano si considera individuo di fronte al quale stanno altri
individui, e non come una persona autentica la cui
trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondoproprio qui risiede l’errore fondamentale contro il quale si
erge l’insegnamento chassidico. Cominciare da se stessi:
ecco l’unica cosa che conta.(…)
Così insegnava Rabbi Bunam:- I nostri saggi dicono “ Cerca
la pace nel tuo luogo”. Non si può cercare la pace in altro
28
luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata.(…)
Quando l’uomo ha trovato la pace in se stesso, può
mettersi a cercarla nel mondo intero.-18
Già Seneca aveva affermato:- Non è il cielo sotto cui vivi
che deve cambiare, ma l’anima…-
1.4 UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE
Nel corso degli ultimi cinquant’anni, in occidente sono sorti,
e nel nuovo millennio sembra si stiano sempre più
estendendo e connotando, variegati movimenti filosofici,
spirituali e politici, che vanno decisamente oltre la classica
visione occidentale e comunque si muovono tutti nella
stessa direzione: essi esprimono i limiti di questo tipo di
sviluppo e sostengono una nuova etica ecologica,
evidenziando un bisogno significativo di modifica valoriale e
paradigmatica.
Queste nuove proposte cercano di concretizzarsi negli
esperimenti in atto in tutti i SOCIAL FORUM sorti nel mondo
in questi ultimi anni, che si sono confrontati per esempio, a
Porto Alegre dal 31 gennaio al 5 febbraio 2002. A Porto
Alegre c’è stato un grande evento, un vero evento:154
paesi rappresentati in qualche modo, magari da una sola
persona , come nel caso dell’Africa o dell’Europa dell’est, la
massiccia
presenza
dell’America
Latina,
grande
protagonista dell’evento, oltre ad una miriade di
organizzazioni (complessivamente 4099) di tutto il
mondo.19
Erano
presenti
soprattutto
dall’Africa,
dall’Asia
e
dall’America Latina molte donne, testimoni di un inedito
soggetto in movimento: le comunità locali rurali, e
portatrici di bisogni elementari , veri, naturali , che hanno
portata mondiale: l’acqua innanzitutto, uno dei problemi più
18
M. Buber, Il cammino dell'uomo, BI, Ed. Qiqajon, , 1990,pp. 44-46.
Dati tratti da : AA.VV., Porto Alegre 2 il mondo diverso, Roma, Editrice Arci Nuova Associazione,
2002.
19
29
gravi e contingenti del globo terrestre, così come la
salvaguardia
della
biodiversità.
Questo
carattere
frammentato e molto di base della rappresentanza di Porto
Alegre, ci dà il segno che il clima culturale del mondo è già
cambiato, il pensiero unico si è ormai spezzato e non
poteva che cominciare così “l’altro mondo possibile”, con
una capillare e variegata nuova esperienza fondata sul
dialogo e sul possibile.
Il documento finale dei movimenti esalta proprio la
diversità e allo stesso tempo l'unità come caratteristiche
primarie dell'assemblea: - Siamo diversi, donne e uomini,
giovani e adulti, contadini e contadine, pescatori e
pescatrici, abitanti della città, lavoratori, lavoratrici,
disoccupate e disoccupati, studenti , professionisti,
migranti, popoli indigeni, persone di tutte le credenze,
colori ed orientamenti sessuali.
La diversità è la nostra forza e la sua espressione è la base
della nostra unità. -20
Qui è stata sperimentata una ricerca comune, orientata da
idee condivise fra le quali la prima discriminante risulta
essere la lotta contro la guerra, contro la distruzione degli
esseri umani, contro la distruzione del pianeta.
Questo è stato l’ultimo laboratorio dove sono nate e si sono
sviluppate idee che riguardano il destino di tutti, che ci
interrogano
sulla
povertà,
sulle
disuguaglianze,
sull’ambiente, sull’economia, sul commercio mondiale, che
leggono il globale e lo declinano dalla parte dei diritti, della
giustizia sociale per tutti, registrando il fallimento della
politica neoliberista.
A Porto Alegre il protagonista è stata la società civile
organizzata di tutto il mondo, i movimenti sociali del sud
come
“ VIA CAMPESINA” e “SEM TERRA”, e le
ASSOCIAZIONI e le ONG del nord di tutto il mondo, che
meglio interpretano la responsabilità globale di offrire una
via di uscita per tutti alla domanda di cambiamento. E' la
consapevolezza di un orizzonte comune ancora tutto da
esplorare , è la consapevolezza di essere coinvolti in una
20
AA.VV. ,Porto Alegre 2 il mondo diverso, op. cit., p.38.
30
ricerca interattiva e partecipativa dalle dimensioni
planetarie, che rende così viva e vitale questa esperienza e
che si va a prefigurare come una indicazione metodologica
preziosissima a livello pedagogico, che non possiamo
ignorare.
E' la possibilità di liberare domande ed intraprendere
ricerche alternative il suggerimento pregnante che i Social
Forum ci regalano: liberare domande che ci consentano di
rompere con il fatalismo e la rassegnazione generati dal
pensiero unico, per esplorare nuove frontiere .Ai militanti di
Porto Alegre il segretario dell’ONU Kofi Annan ha inviato un
messaggio:
- La ricerca di vie alternative all’attuale sistema è talmente
urgente che nessuno può permettersi il lusso di
atteggiamenti di solo scontro, è per questo che vi chiedo di
collaborare sia con i governi che con il settore privato nel
far fronte alle gravi emergenze del pianeta.-21
Oggi la porta del dialogo e del confronto pare più aperta di
prima e Porto Alegre diventa il simbolo della cittadinanza
planetaria, la capitale di un progetto globale dalla parte del
rispetto dei diritti e della dignità umana.
Che cosa ha spinto a Porto Alegre, da tutte le parti del
mondo, persone così diverse che si pongono però le stesse
domande e tentano di elaborare insieme proposte che
parlino a tutti?
1.5 LE SCIENZE CI DANNO UNA MANO
Una risposta ci può venire dalla teoria dei sistemi, che
guarda al mondo in funzione dell’interrelazione e
dell’interdipendenza di tutti i fenomeni: organismi viventi,
società ed ecosistemi, sono altrettanti sistemi connessi fra
loro.
- Come scrisse Niels Bohr, " le particelle materiali isolate
sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili ed
21
AA.VV. ,Porto Alegre 2 il mondo diverso, op. cit., p.33.
31
osservabili solo mediante la loro interazione con altri
sistemi".22
In questa prospettiva, tutte le entità, dalle molecole agli
esseri umani, ai sistemi sociali, al cosmo, possono essere
considerate come totalità nel senso di essere strutture
integrate, parti di totalità maggiori a maggiore complessità.
L’universo non è più visto come una macchina composta da
oggetti separati ma ci appare oggi come un tutto
indivisibile, una rete di rapporti dinamici, comprendente
anche l’osservatore umano, maschio o femmina, e la sua
coscienza.
Il fatto che la fisica moderna, la manifestazione cioè di una
specializzazione estrema della mente razionale, stia oggi
prendendo contatto col misticismo, che è l’essenza della
religione e la manifestazione di una specializzazione
estrema della mente intuitiva, evidenzia molto bene l’unità
e la complementarietà dei modi razionali ed intuitivi della
coscienza.
Già nel 1890 W. James, esponente principale della corrente
psicologica del funzionalismo, aveva scritto:- La nostra
coscienza normale allo stato di veglia o coscienza razionale
come la chiamiamo, altro non è che un tipo speciale di
coscienza, mentre tutto intorno ad essa , separate da uno
schermo più sottile, ci sono forme potenziali di coscienza
del tutto diverse. Noi non possiamo vivere tutta la vita
senza neppure sospettarne l’esistenza, ma basta applicare
lo stimolo richiesto e al minimo tocco esse sono presenti in
tutta
la
loro
completezza…Nessuna
spiegazione
dell’universo nella sua totalità può essere completa se
trascura queste altre forma di coscienza. In che modo
considerarle è il problema… In ogni modo esse ci
impediscono di chiudere prematuramente i conti con la
realtà.23
Purtroppo però la cultura ufficiale dominante si è
disinteressata ben presto della coscienza e per tutto il
secolo successivo in occidente ha imperato sia nel campo
della psicologia, che della psichiatria, che nel campo
22
23
F. Capra, Il punto di svolta, Milano, Feltrinelli, 1982,p.69.
F. Capra, Il punto di svolta, op. cit., pp. 142-143.
32
dell’educazione
e
dell’apprendimento
l’approccio
comportamentistico; è stata l’epoca della psicologia senza
coscienza, una psicologia che non riflette altro che
l’interesse della nostra cultura per una tecnologia
manipolativa, destinata al dominio ed al controllo.
Ma oggi, la fisica contemporanea può fornirci lo sfondo
scientifico dei mutamenti, degli atteggiamenti e dei valori di
cui il nostro mondo ha così urgente bisogno. La fisica
moderna cioè, può dimostrare alle altre scienze, che il
pensiero scientifico non deve essere necessariamente
riduzionistico e meccanicistico, e che anche concezioni
olistiche ed ecologiche sono scientificamente corrette.
I fisici del XX secolo, hanno capito innanzitutto che, i
concetti e le teorie che noi usiamo per descrivere la natura
sono limitati, W. Heisenberg ha detto: “Ogni parola o
concetto, per chiari che possono sembrare, hanno soltanto
un campo limitato di applicabilità”.24
Le teorie scientifiche non descriveranno mai in maniera
esatta ed esaustiva la realtà e
si può concludere
affermando che gli scienziati si occupano inevitabilmente di
descrizioni limitate ed approssimative di aspetti del mondo.
Questa deflagrante consapevolezza, avvenne all’inizio del
novecento quando anche i fisici estesero i loro studi
all’ambito dei fenomeni atomici e subatomici, in quel campo
tutti i loro concetti di base sulla realtà non erano più
adeguati! Essi dovettero dolorosamente rimettere in
discussione il loro sistema di riferimento concettuale,
partorendo però nuove intuizioni sulla natura della materia
e della mente umana, più olistiche ed ecologiche, culminate
nella teoria della relatività e nella teoria quantistica.25
Questa esplorazione del mondo atomico e subatomico portò
gli scienziati in contatto con realtà strane ed inattese che
frantumarono le basi della tradizionale visione del mondo.
Ogni volta che essi ponevano una domanda alla natura in
un esperimento atomico, la natura rispondeva con un
paradosso. Quei fisici dovettero comunque accettare il fatto
24
F. Capra, Il punto di svolta, op. cit., p.43.
Vedi : M. Della Chiara e Toraldo di Francia, Introduzione alla filosofia della scienza, To, Il Capitello,
1999, pp.133-145.
25
33
che i paradossi in cui si imbattevano, erano un aspetto
essenziale della fisica atomica e che essi si presentavano
ogni qualvolta si cercava di descrivere quel tipo di fenomeni
nei termini di concetti classici.
L’investigazione sperimentale degli atomi, fornì risultati
sensazionali: essi non erano particelle solide, bensì ampie
regioni di spazio al cui interno unità subatomiche,
orbitavano attorno al nucleo. Queste unità subatomiche,
sono anch’esse in realtà molto astratte, a seconda di come
le osserviamo, ci appaiono a volte come particelle, a volte
come onde, e questa proprietà duale è propria anche della
luce, le particelle luminose furono chiamate da Einstein per
la prima volta “quanti” e di qui l’origine dell’espressione
“teoria quantistica”.
La situazione sembra paradossale finche non ci si rende
conto che i termini “particella” ed “onda” si riferiscono ad
un paradigma non adatto alla descrizione dei fenomeni
atomici, un elettrone infatti può cambiare “natura”
trasformandosi continuamente connettendosi col suo
ambiente e ciò che più fa specie, le proprietà che esso
manifesta, dipendono dalla situazione sperimentale, cioè
dalla apparecchiatura con cui esso è costretto ad interagire.
Dunque questo processo di osservazione ha permesso di
dimostrare che le particelle materiali isolate sono astrazioni
poiché le loro proprietà sono definibili solo mediante la loro
interazione con altri sistemi.
Le cose quindi non sono cose, ma interconnessione fra le
cose e così via…
Ecco in che modo la fisica quantistica ci rivela la
fondamentale
unità
dell'universo.
Un’altra
certezza
dobbiamo alla fisica quantistica, e cioè che tutto ciò che è
cosmo è in perenne movimento: le particelle subatomiche
possono essere intese solamente in un contesto dinamico,
in
termini
di
movimento,
interazione,
trasformazione…Secondo la teoria quantistica, la materia è
sempre in moto, non si ferma mai. A livello macroscopico,
gli oggetti materiali attorno a noi possono sembrare passivi
e inerti, ma quanto più da vicino li guardiamo, tanto più vivi
essi ci appaiono, in una varietà di strutture molecolari che
34
vibrano in accordo con le vibrazioni termiche del loro
ambiente e, la conseguenza più importante della teoria
della relatività è appunto che la massa non è altro che una
forma di energia…
In contrasto con la concezione meccanicista, cartesiana del
mondo, la nuova visione che si prospetta dalla fisica
quantistica, si può appunto definire organica, olistica ed
ecologica, multidisciplinare e dinamica, ovvero una visione
sistemica di un unico processo cosmico.
Ma questo è innegabilmente simile alla visione del mondo
delle tradizioni mistiche ed è straordinario come un numero
crescente di scienziati, stiano rendendosi conto che il
pensiero mistico fornisce uno sfondo coerente e rilevante
alle teorie della scienza contemporanea, una concezione del
mondo in cui le scoperte scientifiche siano in perfetta
armonia con fini spirituali e credenze religiose. Nel 1931
James Jeans aveva scritto:- Oggi c’è una grande misura di
accordo (…) sulla tesi che la corrente della conoscenza sta
puntando verso una realtà non-meccanica; l’universo
comincia a sembrare più simile ad un grande pensiero che
non a una grande macchina”.-26
Le evidenti somiglianze fra la struttura della materia e la
struttura della mente sanciscono l’assunto che la coscienza
umana svolge un ruolo determinante nel processo di
osservazione, così come nella fisica atomica determina in
grande misura le proprietà dei fenomeni osservati.27
La mia decisione cosciente di come osservare, per esempio
un elettrone, determinerà in qualche misura le proprietà di
quell’elettrone stesso, l’elettrone non ha proprietà oggettive
indipendenti dalla mia mente.28
NOI PERCIO’ NON POSSIAMO MAI PARLARE DELLA NATURA
O DEGLI ALTRI, SENZA PARLARE AL CONTEMPO DI NOI
STESSI.
La fisica moderna allora, non solo ha invalidato l’idea
classica di una descrizione obiettiva della natura, ma ha
26
F. Capra, Il punto di svolta, op. cit., p.74.
Vedi :A. Peruzzi, Definizione, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp.132-136.
28
Vedi : M. Della Chiara e Toraldo di Francia, Introduzione alla filosofia della scienza, op. cit.p.136.
27
35
anche contestato il mito di una scienza libera da valori e
scelte etiche.
I modelli che gli scienziati osservano in natura sono
connessi con la forma delle loro menti, così come i loro
risultati scientifici saranno condizionati dai loro schemi
mentali: gli scienziati sono perciò responsabili non solo
intellettualmente ma anche moralmente delle loro ricerche.
Il fatto che tutte le proprietà delle particelle siano
determinate da principi strettamente connessi ai metodi di
osservazione, porta come conseguenza che il mondo
materiale è determinato dal modo in cui noi lo osserviamo e
perciò esso non è altro che un riflesso della struttura della
nostra mente.Possiamo concordare a questo punto che,
l’esistenza consapevole si svolge a livello dell’organismo
totale, caratterizzato da un senso di identità implicante la
consapevolezza del sistema mente-corpo come totalità
comunicativa integrata, auto-organizzantesi. Gli organismi
viventi tendono comunque alla stabilità, ma questa stabilità
è altamente dinamica e caratterizzata da fluttuazioni
continue, multiple e indipendenti. Per essere sano dunque
un tale sistema deve essere flessibile, deve avere un gran
numero di scelte nella comunicazione con l’ambiente.
Il necessario equilibrio è dunque un modello comunicativo
flessibile, in fluttuazione, è insomma un equilibrio dinamico.
Quanto più è comunicativo e dinamico lo stato
dell’organismo, tanto maggiore è la sua flessibilità, ed essa
è essenziale perché il sistema abbia la capacità di adattarsi
ai mutamenti ambientali.
Ogni individuo deve quindi preservare la sua autonomia
individuale, ma al tempo stesso deve essere in grado di
integrarsi continuamente con gli altri sistemi comunicando.
Essere sani significa dunque essere in sincronia con se
stessi e col mondo.
Lo studio di questo tipo di autoconsapevolezza,
l’esplorazione di tutte le sue potenzialità, ed il
raggiungimento di uno stato mentale in cui i problemi
esistenziali individuali siano percepiti nel loro contesto
cosmico sono, a mio parere, il fine ultimo delle Scienze
della Formazione.
36
1.6 PER UNA PEDAGOGIA COMUNICATIVA
"LA PRIMA ESPERIENZA DELLA PERSONA E' L'ESPERIENZA
DELLA SECONDA PERSONA:IL TU E QUINDI IL NOI VIENE
PRIMA DELL'IO...
L'IO SI FA NEL TU”.M.BUBER
- Nel mondo antico vi era stretta reciprocità tra hostis ed
hospes. Queste due figure s'intrecciano di continuo e a
livello sociale, riproducono le dinamiche dell'anima
individuale che, sempre ospita uno straniero inquietante, in
quanto sempre è estranea a se stessa ma, quando l'alter
diventa alienus , si interrompe per l'uomo l'esperienza
fondamentale della comunicazione intersoggettiva e l'uomo
rischia di diventare estraneo e nemico anche a se
stesso.(…)
L'essere con altri costituisce il fondamento, l'attributo
dell'esistenza umana, “Io sono responsabile nel momento in
cui incontro l'altro e qui si fonda la struttura essenziale e
primaria della soggettività”.-29
E' nella continuità che si instaurano dunque le reti
relazionali e sociali, che formano un sistema sinergico e
dinamico composto di individui che non sono ATOMI
SOCIALI, bensì espressione di campi relazionali.
Ecco emergere l'importanza fondamentale dello sviluppo
delle capacità relazionali e comunicative di tutti i membri
della comunità sociale.
La comunicazione infatti è l'esperienza fondamentale
dell’essere vivente, è “ l'altro” che ci permette di essere e di
svilupparci: la persona non esiste se non in quanto diretta
verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si
ritrova soltanto negli altri.
29
P. Milani, La Comunità, in : STUDIUM EDUCATIONIS, op. cit., p.303.
37
- Lo sguardo dell'altro è sconvolgente: scuote le mie
sicurezze, le mie abitudini, il mio torpore egocentrico e,
pur nemico, è il più sicuro rivelatore di me stesso.-30
Nella pedagogia oggi, ciò che risulta veramente importante,
è dunque dirigere l’attenzione sui vari modelli di
comunicazione
con
l’intento
di
intensificare
la
consapevolezza. Sempre più all’individuo spetta il compito
di reinventare i propri saperi, le proprie competenze e
persino la propria professionalità e sempre più la
formazione deve fornire agli individui le chiavi per
apprendere ad apprendere in una dimensione sociale,
comunicativa ed etica.
Ancora una volta emerge qui l’importanza di dare
attenzione alla soggettività, al ruolo degli individui con i
loro corpi, convinzioni, pregiudizi, ossessioni, con le loro
identità politiche, etniche e culturali, le loro religioni, le
vicende grandi e piccole delle loro esistenze. Le idee
nascono, si sviluppano, si trasformano, muoiono e
rinascono in una storia fatta di individui, gruppi, collettività,
di relazioni e tensioni che coinvolgono il DENTRO degli
individui stessi in un processo continuo. Non si tratta più di
semplificare, abbreviare, condensare i singoli linguaggi
disciplinari, quanto tradurli, interpretarli, farli partecipi di
altri linguaggi e di condividerli, con la consapevolezza che ,
nello
scarto
fra
essi,
qualcosa
si
perde
e
contemporaneamente qualcosa si acquisisce e ciò può
essere punto di partenza per un dialogo continuo e
perennemente inconcluso.
Dobbiamo mobilitare le nostre capacità cognitive ed
emotive per percepire questa inevitabile incompletezza
come un valore antico e positivo, che fa parte della nostra
natura biologica e storica. Quanto perderemo in
completezza e razionalità, lo guadagneremo in intensità ed
unicità.
In questo contesto la disponibilità al dialogo, non viene
intesa come un dare all'altro qualcosa, ma piuttosto un
30
P. Milani, La Comunità, in : STUDIUM EDUCATIONIS, op. cit., p.307.
38
aiutarlo a scoprire la propria individualità in una positiva
reciprocità educativa, ciò si collega all'antico detto
socratico:
" realizza te stesso realizzando l'altro"..
Il problema è come giungere a un progetto globale ,
condiviso, negoziato fra i diversi attori sociali, comprensivo
degli obiettivi di ogni soggetto, in cui le diverse influenze
siano armonizzate in un programma comune, concertato a
tutti i livelli della comunità, come in un programma di
cooperazione educativa, in un patto educativo negoziato
dall'insieme dei diversi partner, ossia dai politici
dell'educazione, cui spetta il compito di governo, e dai
tecnici dell'educazione, cui spetta il compito di gestione.
Fondamentali risultano le pratiche comunitarie della
intersoggettività e della mediazione, dell'informazione, del
coinvolgimento, della partecipazione e della concertazione
in cui ogni soggetto tiene conto dell'intenzionalità e delle
finalità altrui e non solo delle proprie.
Nel paradigma soggetto-partner è attivata la coscienza
riflessiva dell'altro, la sua capacità di trovare soluzioni
adeguate ai propri
problemi, la sua possibilità di
cambiamento ed emancipazione all'interno della comunità
sociale: egli è attore ed autore del suo cambiamento, ma
allo stesso tempo la comunità, e non il soggetto singolo è al
centro dell'intervento: è il paradigma dello scambio che
presuppone ascolto e reciprocità. L’esercizio del dialogo, del
confronto, dell’ascolto autentico , della relazione reciproca
che produce la capacità di condurre gruppi, di valorizzare le
risorse, di costruire e realizzare progetti formativi integrati
nel territorio con il metodo della mediazione e della
negoziazione.
Tutto questo si esprime nella capacità d'intraprendere
percorsi di ricerca azione partecipativa, di valutare secondo
l'ottica della qualità basata su una intenzionalità
responsabile e solidale aperta al futuro ed al lontano
accogliente la differenza.
E’ la possibilità per il soggetto di protendersi al di là della
sua “attualità” verso la possibilità e il suo “ altrove” dove
l'identità si realizza nella pluralità e la comunità diventa lo
39
spazio per la conservazione della distanza, dell’accettazione
e dell’incontro.
E' in questa cornice che si erge la figura di Danilo Dolci,
poliedrico interprete di urgenti istanze pedagogiche.
Danilo Dolci incarna, con la sua vita e con le sue opere, un
insegnare/apprendere sovversivo, emancipativo e fondato
sulla nonviolenza.
Egli annota:
- Fra i punti certi della nuova scienza dell'evoluzione, due
essenziali emergono:
¾ il codice genetico di ogni creatura si esprime in una sola
lingua, in miliardi di anni: è universale;
¾ l'apparire di un più complesso grado di intercreaturale
organizzarsi può produrre inauditi, illimitati livelli
creativi: pure semplici. Moltissimo dipende dal sapere
scoprire i propri interessi, bisogni comuni. Dal modo di
scoprirli.
Ogni foglia, direbbe Goethe, e ogni albero (" le foglie si
trasformano anche in petali") è la variazione di un tema.
Possiamo aggiungere: ogni creatura.-31
Il paradigma formativo con lui si fa post-umanistico, postborghese e post-moderno, disilluso della razionalità e del
progresso, e fondato sulla comunicazione e sul dialogo
come principi fondanti e regolatori di senso.
La sua proposta reclama il progetto, la responsabilità, il
consenso-accordo per una vita in cui, tra soggetto-cultura e
mondo-società, corra un rapporto integrato e funzionale nel
quale all'individuo venga consegnato un ruolo generativo.
Danilo Dolci, attraverso la metafora socratica dell' "arte
della maieutica", ci delinea una pedagogia comunicativa,
che scardina il paradigma tradizionalistico ed istituzionale e
si va a prefigurare come un paradigma della speranza nello
sfondo di un orizzonte connotato dal disincanto.
31
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.279.
40
CAPITOLO SECONDO
DANILO DOLCI E LA COMUNICAZIONE MAIEUTICA
41
2.1 SOCRATE PADRE DELLA MAIEUTICA
- Socrate è reo, si dà da fare in cose che non gli spettano:
investigando quel che c’è sotto terra e quello che in cielo ;
tentando di far apparire migliore la ragione peggiore, e
questo medesimo insegnando altrui.- 32
Secondo un aneddoto riportato da Platone e da Diogene
Laerzio, fu l’Oracolo di Delfi, interrogato dall’amico
Cherofonte ad avviare Socrate verso la Filosofia .Il
responso dell’Oracolo secondo il quale “degli uomini tutti
Socrate è il più sapiente”, segnò l’intera esistenza di
Socrate e determinò la sua ricerca filosofica.
Le parole dell’Oracolo erano un enigma e Socrate decise di
scioglierlo. Non credendosi affatto sapiente, e tuttavia
sapendo che l’Oracolo del DIO non poteva né mentire, né
indagare, egli provò dapprima ad interrogare coloro che
giudicava i più sapienti tra tutti i cittadini: i politici, i poeti,
gli artigiani, ma non pervenne a nulla di soddisfacente.
Egli concluse perciò che quella che è ritenuta, dal senso
comune, la Cultura Ufficiale è in realtà una Falsa Cultura.
Fu invece interrogando se stesso che riuscì ad interpretare
l’Oracolo: quello che il Dio intendeva dire era che la
sapienza umana vale in realtà poco o nulla. Nessun uomo è
infatti sapiente, il più sapiente tra tutti è dunque proprio
colui, che come Socrate, “sa di non sapere”. Per Socrate la
sapienza umana è la ricerca di un fondamento per la vita
morale che coincide poi con la natura stessa dell'uomo,
perciò l'uomo è la sua anima, la sua coscienza, la sua
consapevolezza .
Interpretando l’Oracolo, egli si dedicò, per il resto della sua
vita, alla missione di rendere consapevoli gli uomini della
loro ignoranza, di modo che imparassero a conoscersi e ad
avere cura della propria anima, secondo la prescrizione
dell’antico motto delfico :“conosci te stesso” .
32
Platone, Apologia di Socrate,19 b -c, trad. di Manara Valgimigli, in :Platone, Opere complete, RomaBari , Laterza, 1988, vol. I.
42
“… Mi parve che bisognasse rifugiarsi nei logoi , e conoscere
in essi la realtà delle cose … Io mi misi dunque per questa
via…”
Ed ecco che per Socrate, la cura dell'anima diventa la
massima virtù e siccome l'anima è conoscenza, la virtù sarà
un suo potenziamento, ossia “scienza”. Se la virtù è
scienza, allora chi pecca lo fa per ignoranza e dunque
ognuno è in teoria educabile alla virtù, la libertà si identifica
con l'AUTODOMINIO ed ha valenza spirituale.
Nei rapporti fra gli uomini allora non è la violenza che vince
ma il convincere: è qui la radice socratica occidentale della
non violenza. Il suo eroe è colui che sa vincere i nemici
interiori che si annidano nell'anima.
Per Socrate dunque l'uomo è la sua anima, in quanto è la
sua anima che lo distingue dagli altri esseri viventi, è la
presenza del pensiero autoriflessivo ed etico, è l'io
consapevole, la coscienza e la personalità interiore e
morale. Curare se stessi è allora il primo compito da
insegnare all'uomo per farsi carico della propria anima.
Socrate nelle frequenti conversazioni pubbliche, discuteva
vivacemente intorno alle questioni più importanti
concernenti la morale e la conoscenza. Si serviva spesso di
esempi, ricorreva alla forma del racconto e soprattutto,
poneva in modo insistente dubbi e domande.
La filosofia di Socrate si fonda dunque sul linguaggio e sul
ragionamento i quali non sono però (come invece per i
Sofisti) strumento retorico di persuasione, ma il mezzo
attraverso il quale l’uomo può pervenire alla soluzione: una
verità condivisa da tutti e quindi universale.
L’uomo tuttavia, non perviene alla verità spontaneamente,
ma ci arriva attraverso un faticoso processo di educazione,
per mezzo di un esercizio tecnico chiamato Dialettica cioè
“ l’arte del discorso”.
Anche il saper vivere ed agire bene all’interno della Polis,
non sono per Socrate disposizioni spontanee, ma il risultato
di un processo formativo, fondato sul dialogo e sulla
discussione…
43
Già il metodo dell’indagine socratica è dunque costituito dal
dialogo (dia-logos) e la struttura della sua dialettica si
costruisce attraverso i due momenti quello critico/negativo
dell’ironia (da eiron: colui che interroga fingendo di non
sapere) e quello costruttivo/ positivo della maieutica.
L’ironia svolge la critica e la distruzione delle opinioni e dei
pregiudizi attraverso la confutazione del presunto sapere
dell’interlocutore ;
la maieutica invita il dialogante ad avere una
consapevolezza della verità che egli porta in sé senza
saperlo.
Il metodo dialettico tende a spogliare l'anima dall'illusione
del sapere e così a curarla per renderla idonea ad
accogliere la nuova verità .
Il dialogare con Socrate è cioè un “esame dell'anima” un
“esame morale” un “ dover rendere conto della propria vita”
che risulta essere il fine specifico del metodo .
Ed è precisamente in questo “dover render conto…” che
Socrate intravede la vera ragione della sua condanna a
morte. Del messaggio di Socrate è debitore l’intero
occidente.
E’ Platone ad attribuire a Socrate l’invenzione della
maieutica attraverso una similitudine molta nota: come sua
madre, la levatrice Fenarete, aveva praticato l’arte di far
partorire i corpi, così il figlio possiede l’arte di far “partorire”
le anime, cioè di far nascere nell’animo di chi dialoga con lui
la consapevolezza di sé.La verità non può essere data
dall’esterno, ma viene ad identificarsi con la ricerca stessa
scaturendo dalla coscienza.
Discutendo le ipotesi via via introdotte, indotto dall’analisi
di numerose situazioni particolari, Socrate guida il
dialogante verso una definizione della questione che non è
più opinabile, ma su cui è possibile un accordo razionale ed
una comune comprensione la cui validità è “qui ed ora”
universale ,cioè condivisa.
In questo senso possiamo ritenerlo un padre, non solo della
maieutica in senso educativo- formativo, ma anche dell’arte
della ricerca azione partecipativa, che si fonda sulla
44
relazione tra i soggetti ed ha per fine un contesto
mutualmente condiviso.
Egli infatti percepisce e si muove, dalla difficoltà
INCOMPARABILMENTE ATTUALE, di definire un assunto, un
significato stabile e condiviso attraverso un procedimento
induttivo .
Si tratta di un tipo d’induzione che, sul piano linguistico,
consente il costituirsi di un discorso che può superare le
opinioni personalistiche ed i pregiudizi ed attraverso il
quale, gli uomini possono costituire un terreno comune di
DIALOGO ,
Ancora oggi la nostra storia di donne e uomini è
caratterizzata dal paradosso da cui si mosse Socrate:
l’essere perennemente protesi verso condizioni di stabilità
definitiva,
percorsi
pianificati,
giustificazioni
ed
interpretazioni collettivamente riconosciute come certezze,
ed al tempo stesso il sentirsi comunque instabili ed
incompiuti di fronte all’ineluttabilità che il tempo sancisce
senza appello.
Gli umani lottano continuamente per conservare quella
stabilità ed i suoi connessi, perché su di essi abbiamo
costruito l’identità individuale e l’appartenenza collettiva.
Ogni volta però il cambiamento riprende il sopravvento, il
nuovo avanza e a sua volta si parte alla ricerca dell’assetto
stabile e definitivo da assicurare a se stessi. Gli esiti del
nuovo dipenderanno però non poco dalla gestione della
transizione attraverso cui il “Vecchio” e il “Nuovo” verranno
comunque a patti.
Danilo Dolci è colui che si nutrirà della metafora socratica:
la maieutica,
rielaborandola
creativamente; possiamo
infatti definire Danilo Dolci come l'educatore della
domanda, l'educatore che innesta tutta la sua azione
formativa sul chiedere, sull'esplorare, sull'interrogare,
sull'andare oltre l'apparente, cercando di scoprire il "nonnoto", ciò che è velato dalle tradizioni, dalle consuetudini,
dagli stereotipi.
In questo sta il profondo richiamo a Socrate ed alla sua
maieutica, intesa come arte del "tirar fuori" del porre
l'educatore ed i soggetti in formazione nella condizione di
45
allargare la propria sfera di apprendimento, a partire dalla
capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande.
E non per arrivare a definire la verità, quanto per " trovare
accordi" 33, per crescere insieme attraverso il dialogo,
momento non violento di presa di coscienza, maturazione ,
rielaborazione, aggiustamento continuo di sonorità, spazio
ricorsivo e mai finito di confronto, contaminazione e
meditazione. Il dialogo inteso dolcianamente, non coinvolge
solo la sfera razionale, bensì è un aprirsi anche alle attese,
alle speranze, ai sogni, alle delusioni.
L'uomo interroga se stesso ascoltando gli altri e
confrontandosi con loro mediante il dialogo con il gruppo, in
questo modo l'eredità socratica diventa dolciana:
- Quando fiorisce una creatura può cambiare e il mondo ci
emerge profondamente nuovo - La visione del mondo a poco a poco: coi fiori con tutte le
creature…bellezza -34
2.2 DANILO DOLCI : PEDAGOGISTA PER VOCAZIONE
Danilo Dolci è oggi una delle voci che caratterizzano la
cultura mondiale, le sue opere nel 1984, erano già tradotte
in quindici lingue. Il successo della sua produzione sta
nell'aver innervato la crisi sociale ed antropologica prodotta
dai modelli attuali di sviluppo, di una feconda speranza di
cambiamento possibile.
- Se le raffiche della burrasca crescono
devi inventare l'angolo, ogni tratto,
a cui la furia sommerge infonda
forza avanzante33
R. Fornaca, Riflessioni su un poema educativo, in :D. Dolci, Palpitare di nessi, Roma , Armando,
1985, p.263.
34
D. Dolci, Copia degli ultimi appunti, da: Rosa Grillo, www.Documenti\dolci1htm,pg6.
46
col timone arrischiare di sapere
come tagliare il mare. - 35
Nella seconda metà del novecento in un'area degradata
della Sicilia occidentale connotata da una cultura fondata
sulla logica del dominio clientelare - mafioso di antiche
origini, oggi sempre più supportata e potenziata dallo
sviluppo
tecnologico,
egli
inventa
un'esperienza
controcorrente, che si fonda prioritariamente sulla
componente axiologica e tende a dar vita ad un modello
dove lo sviluppo individuale e collettivo, si basa
sull'umanizzazione e la democratizzazione.
Per far questo egli progetta e progetta non su, ma con le
persone, ripristinando un circolo tra base e vertice, tra l'uno
e i molti, tra l'individuo e la collettività e, nel momento in
cui si mette a progettare idee sul cambiamento umano,
ecco che il poeta, il sociologo e l'architetto che in lui erano
già, si fondono per un'azione educativa, forgiandolo
pedagogista di vocazione.
- Vedi candide nuvole dissolversi
adagio e ampie ricomporsi attorno
un paese tondo: vario verdeggia
da scintillii di neve a trasparente
lucere d'acque-scorrono indugiando
a imbeversi di sole e di notturno
cielo quartieri organici
comunicanti per aree snodi
di erte rocce dune cespugliose
lineate pianure e molli seni
di ramose colline
un'isola arruffata di sciroccoa una costa s'infrangono le schiume,
dall'altra levigato il mare trepida
ogni creatura respira35
D. Dolci, Creatura di creature, Venezia, Corbo e Fiore Editori, 1983, p. 67.
47
pur bruniti i fanciulli biondi, forse
apprendono svernare dagli uccelli:
la pelle della gente splende simile
da ove sbocciare indugia a ove l'hevea tiepida
disgorgavoci odi,
non rumore:
imparano scoprire
toccando
udendo
guardando
sapendo,
si educano al rapporto
tra creature:
la città terrestre
è il cantiere di ognuno
più intima la zagara
di mandarino nella sera umida
Crateri vetrigni espandono cancrene
Sterili calanchi, barbagli di deserti:
un altro globo scorgi tra fuligginose foschie
esercitati a divorare terra
superstiti ravvisi: tentano selezionarsi
al colore della pelle piagata,
dividere battezzati
da eretici- in reciproco risucchio
frugnolano rifugio sotto insegne
NOI SIAMO GIUSTI
SANI
DOTTORI
esangui nel rigettare gli altri
Tra recinti spinati sotto i cartelli
MALATI
IGNORANTI
48
VECCHI
PUTTANE
LADRI.36
Inserirsi in un'area deteriorata sia dal punto di vista
economico, che culturale e sociale , tentare di trasformare
gli abitanti in individui che si riappropriano del loro potere,
che analizzano la loro cultura di base, che riprendono in
mano il filo del loro sviluppo, imparano a progettarlo ed a
gestirlo in modo autonomo è l'esperienza viva che riporta
Danilo Dolci in quell'ambito della pedagogia emancipativa
che già da Socrate ci è stella polare.
Danilo Dolci nasce come poeta (dal greco poietes: "che fa",
creatore), vive come operatore sociale, e muore come
educatore (dal latino educo: allevare, alimentare, nutrire
curare, ma anche: trarre fuori, far uscire, condurre, trarre
alla luce, generare, sbocciare), facendo di queste tre
peculiarità un tutt'uno, ma dedicandosi negli ultimi venti
anni della sua vita soprattutto alla formazione, avendone
intuito l'importanza fondamentale per gli assetti planetari
futuri.
Danilo Dolci è dunque prima di tutto, un poeta con la
coscienza del mondo:
- Ma essenziale è poetare ogni rapporto
dalla sua intima profondità: la più abissale
poesia non si fa con le creature, di creature?
E' vero, riuscire è necessario quanto arduo:
l'immagine non è la creatura,
il colloquio, non è solo parlare,
non germogliano solo le parole.
Non si crea poesia
36
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., pp. 152-153.
49
svegliando a poetare le creature?-37
Questo suo modo di essere poeta coniuga perfettamente
l'apprendere e l'insegnare continuo, è il suo ritmo vitale, se
ne sente il palpito in ogni suo verso, Danilo Dolci è
poeta/educatore
in quanto in continuo dialogo con il
creato.
PREMESSA a " Palpitare di nessi" :
- Che sono queste pagine? Perché e per chi le ho scritte?
Anch'io mi interrogo.
- La prima parte è un dialogo. Lei e lui, cercando scoprire il
reciproco adattamento creativo, provano tramutare
bisticci e familiare guerra in nuova creatività. Ognuno in
sé può riconoscerli, coi loro bambini, nel proprio sogno
più che nella sua pelle. Muovendosi dalle intime
esperienze, questo dialogo (anche per essere letto e
discusso in piccoli gruppi) cerca di aprirsi a rivisitare
vaste angosce e incogniti luoghi comuni: per lo
scandaglio e la riproposta di ognuno.
- La seconda parte (confesso è quasi un testamento)
cerca i nessi tra educare, creatività e sviluppo; guarda
nel disperato vuoto prodotto dal mancare della
creatività; verifica la nuova forza che può crescere da un
rapporto
reciprocamente
maieutico.
Provando,
osservando, meditando, sbagliando e risbagliando,
mentre ormai la mia vita sta compiendosi mi pare intuire
come un mondo nuovo potrebbe crescere diverso.-38
Egli ci insegna attraverso il dialogo, attraverso l'azione,
attraverso la poesia, attraverso le sue parole , ma
soprattutto attraverso le parole degli altri… a riconoscerci.
- Se l'occhio non si esercita, non vede
Pelle che non tocca, non sa
Se il sangue non immagina, si spegne.
37
38
D. Dolci, La morte di Empedocle, da: Pennisi , introduzione, www.danilodolci.toscana.it ,p.2.
D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p. 7.
50
Pure provato da fatiche e lotte,
meravigliato dei capelli bianchi
di persistere vivo, la tua voce
pudore ha di poetare:
a irreprimibile
esigenza,
terra acqua creature
orizzonte, ti sono adolescenti
parole.-39
Proprio sull'insegnare ad attivare questo dialogo, si fonda
la sua scuola ricca di poesia, ma anche di un messaggio
pedagogico potente e sovversivo, che va a sollecitare
quell'eros forse un po' scomodo (vedi anche: Socrate,
Marcuse e Hillman),quanto necessario, perché il desiderio e
l'immaginazione si accendino.
- Non trovi eguali pini
né ranuncoli,
due petali- o canti
o accordi.
Un'alba non ritorna
O un tramonto,
una stella né un'ora,
un attimo.
Due occhi non s'eguagliano:
due rondini
ti sono eguali
se non sei rondine.-40
39
40
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 15.
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 16.
51
In questo senso egli è pedagogista per vocazione, nel
senso che gli è inevitabile, è endemico al suo essere nel
mondo, è il vivere in quel costante palpito tra l'apprendere
e l'insegnare, è la costante riflessione, è la ricerca continua
di confronto, è tutta la sua vita e non solo le sue opere che
fanno di Danilo Dolci una preziosa, luminosa figura nello
sfondo crepuscolare della pedagogia italiana di fine
millennio.
- Oltre le sue diverse impronte, non è la poesia l'estremoe pur misterioso- sviluppo creativo? Condizione per
esistere? Trafitto dal richiamo non sai più quanto è tuo. E
in luce antica denudi: niente è tuo, eppure tutto è tuo.
La scuola usualmente privilegia il timido, conformista
raffinato. E controlla l'attenzione.
Necessita a ognuno la poesia? E, immaginando, il concepire
insieme? Non necessita ad ognuno e all'intero sistema della
vita?
La creatività tende a valorizzare ogni intima spinta verso
un corale (civile, vitale) compiersi: l'interesse risucchia
nell'esprimersi il sommuoversi di energie che altrimenti
rischiano di sperdersi (frustrando) e esplodere.-41
Quest'uomo vissuto fra i confini di diverse discipline e
culture, tra conoscenza e prassi, ci racconta la realtà non
come dato ma come possibilità. Egli ha scritto che la poesia
è più vera della storia, per dirci che sono la creatività,
l'immaginazione e l'utopia che danno sostanza all'agire
attraverso la ricerca incessante del non ancora, sostenendo
anche che l'intuito profetico richiede un preludio poetico
profondo.
La complessità che egli ci impone è il concetto essenziale, il
filo rosso che segna la via: com-plexus che vuol dire
intrecciare, tessere insieme, che implica il passaggio dalla
competizione alla cooperazione, dalla logica della leadership
alla prospettiva della partnership, secondo cui tutti
41
D. Dolci, Palpitare di nessi, , op. cit. ,p. 138.
52
collaborano alla realizzazione ed al miglioramento dei più
profondi interessi di ciascuno e di tutto il sistema di cui
fanno parte.
Se questo è il concetto guida, l'etica del futuro ne è il
contenitore, all'interno del quale si dispiegano le
professionalità pedagogiche afferenti alle scienze della
formazione: qui c'è un forte richiamo alla responsabilità ed
alla partecipazione attiva come discriminante, come
prerequisito dell'essere "formatori".
Il messaggio di Danilo Dolci è chiaro: la nuova etica deve
farsi biocentrica, dove l'io esiste perché esiste l'altro, in
quanto inter-esse, in contrapposizione all'interesse come
guadagno, valore economico, accrescimento del proprio
capitale.
- Per secoli si è analizzato spezzettando. Smembrare
mutila, deprime, ammattisce: e dai frammenti estraniati
scaturisce poi protesta, rifiuto, ribellione.
- Saper leggere nell'apparente caso, scoprire interazioni
anche lontane, saper elaborare i risultati dell'osservatore,
intuitivo operare che riscontra comportamenti e dottrine
consolidate, saper scorgere i nessi tra il particolare e
l'insieme. Nel processo creativo avvengono intimi circuiti
tra diversi fattori: bisogna identificarli, interesse, un
certo clima di innamoramento, intimità con la natura
dell'ambiente, conoscenza di strumenti e tecniche,
sensibilità
nell'esplorare,
gusto
dell'avventura
e
dell'iniziativa, speranza e fiducia, saper coraggiosamente
porsi
problemi e interrogativi, saper organizzarsi a
osservare, saper scoprire esprimendo, perseverare
intensamente disciplinati nella ricerca, saper intuire
possibili dissociazioni e associazioni, elaborare nessi
astraendo, saper scegliere le alternative più valide,
autonomia capace di cooperare, liberare potenziali
energie,
- saper produrre innovando, collegare e orientare forze
potenzialmente operanti a conseguire lo stesso scopo, e
ancora altro. Autentico significa originale, e signore di sé.
53
L'immaginare creativo opera oltre sé. Profeta, esprime
nuova realtà: smette di inchinarsi riverente a chi distrugge
distruggendosi, smette d'inchinarsi riverente alla miope
smania del principe, cerca nel governare corresponsabili
prospettive.-42
E' una spinta profetica a prefigurare un migliore futuro per
l'umanità, che sta alla base del progetto dolciano.
E' un anelito profetico intessuto di sogno, poesia ed utopia,
che proprio per questo toccandoci il cuore, ci apre la mente
a nuove e vividissime immagini:
- non fiorisce cristallo da cristallo
la terrestre città;
per capillari vene non dissuga
da rami di raminé isterilisce
arcipelaghi di mandorle serrate:
fluire e rifluire
in linfe e voliun centro
è nella terra
Nella parola trasparente scorrono
curvi fiumi di stelleProfeti hanno annunciato
e moltitudini non hanno inteso:
ogni poro, vagina;
ogni esprimere, seme
la città nuova inizia
dove un bambino impara a costruire
provando rimpastare sabbia e sogni inarrivabili…
42
43
43
D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Bari, Piero Lacaita Editore, 1993, pg. 148.
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 159.
54
2.3 NONVIOLENZA-DOMINO-EDUCAZIONE:
CONNESSIONI
PROBLEMATICHE
DI
COMUNICATIVI
PROCESSI
Nonviolenza e comunicazione sono, nell'opera di Danilo
Dolci due termini interdipendenti in quanto il secondo
sottintende ed è il presupposto del primo.
In tutta la vita di Danilo Dolci emerge l’importanza della
nonviolenza nella sua azione diretta, cioè nella lotta verso
le ingiustizie della società attuale, e viene sottolineato il
progetto costruttivo, cioè la ricerca di soluzioni a queste
ingiustizie con progetti costruiti con la gente che subisce le
ingiustizie stesse. Progetti che però trascendono dai
particolari interessi di questi gruppi emarginati e che
possono servire all’intera collettività (un esempio tipico in
questo senso: la diga sul fiume Jato).
Ritroviamo in Danilo Dolci la scelta cosciente dei metodi
non violenti: l'accettazione del sacrificio di sé (digiuno,
sciopero alla rovescia), la rivendicazione al diritto alla
ricerca costante per andare al fondo dei problemi,
l'allargamento della partecipazione a progetti costruttivi e il
definitivo passaggio verso strumenti di lotta che servono
per promuovere, valorizzare, creare con la gente.
Danilo Dolci ha cercato di dar vita ad una struttura creativa
nuova, per dare la possibilità agli individui di trasformarsi e
di promuovere una cultura diversa, progettuale e
cooperativa, ponendo al centro dell'interesse, non solo le
istanze storiche ed ambientali dei soggetti , ma anche
quelle endogene, insite nel soggetto umano, che Danilo
Dolci considera soffocate e represse dai vigenti modelli
culturali intrisi di dominio.
Il dominio è come un virus, che ci distrugge lentamente :
- Una frode sottile ma vasta degenera il mondo, acuta,
sistematica,
mentre
il
rapporto
esclusivamente
unidirezionale nel tempo tende a passivizzare l'altro, gli
altri e a divenire violento: l'inoculazione, la trasmissione
55
propagandistica vengono
comunicazione.-44
più
e
più
camuffate
da
- La brama di potere, la smania di prepotenza, inebria
avvampando chi è meno chiaro, chi ha più paura della
vita e della morte (avvampa quanto più ci sentiamo
inferiori, all'oscuro, e più paurosi): è una malattia del
rapporto, una risposta sbagliata alla deficienza di
partecipazione creativa.45
Nelle società industrializzate infatti viene esercitato, con il
concorso di una tecnologia sempre più sofisticata, un
dominio pervasivo, collegato ad un'imperante violenza, che
si manifesta nelle forma più disparate, non solo fisiche , ma
anche morali ed intellettuali. Il dominio è per Danilo Dolci,
nella forma clientelare-mafiosa, l'espressione patologica del
potere, che sempre ed inevitabilmente si intreccia con la
violenza. Il dominio in questo senso è ciò che mutila, rende
impotente l'uomo, incapace di progettare e di cooperare:
azioni imprescindibili alla vita autentica.
- Fiumi sprecati,
aride montagne erose
a ogni piovasco allagano,
case senza respiro,
le scuole sono camuffate galere, dalle fontane quattro
pisciatelle
tra qualche frasca nel giardino pubblico
la domenicae restare inerti
o vagare per venderci altrove.
Impariamo a vedere
attorno laghi nitidi, una nuova
città, tra spiagge e boschi rilucenti:
44
45
D. Dolci, Variazioni sul tema Comunicare , Vibo Valentia, Ed. Qualecultura, , 1991,p. 21.
D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.238.
56
non abbiamo altra arma che svegliarci
trasformando miliardi di minuti sprecati e lagne
in forma organizzatadal nostro angolo del mondo
siamo immersi in una guerra integrale
che ogni giorno rischiamo
di perdere.-46
La prima forma di dominio è quella sulla natura, che
consiste nell'inquinamento, nella riduzione della biodiversità, nell'imperante "sviluppo insostenibile", nel rischio
di un collasso della co-evoluzione dei viventi sul pianeta.
Altre forme di dominio connotano il campo economico:
dall'abuso dei beni di consumo, ai processi di
disoccupazione, di aumento esponenziale della povertà, dal
tradimento
dei
diritti
umani,
dalla
progressiva
concentrazione della ricchezza in poche mani, sia nel
"nostro Occidente " che nel "Terzo e Quarto Mondo".
Nel campo culturale assistiamo alla imperante tendenza alla
occidentalizzazione del mondo con la conseguente
distruzione delle diversità culturali, sulla base di un
etnocentrismo rinforzato da un uso strumentale delle
moderne tecnologie, soprattutto dei mass- media.
Secondo il pensiero di Danilo Dolci, è proprio lo sviluppo dei
poteri dell'individuo e del gruppo (i poteri creativi,
l'iniziativa, i rapporti interpersonali, la crescita "dal
profondo") che un potente mezzo come la televisione
reprime ed atrofizza.
Il dominio culturale perpetrato attraverso un uso
strumentale dei mezzi di comunicazione di massa, atto a
costruire il cosiddetto " consenso" , costituisce il principale
problema per disinnescare il processo di controllo delle
menti e del pensiero.
46
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 29.
57
Nel campo educativo poi, ogni volta che si pretende di
trasferire delle verità già pronte, cioè di trasmettere un
sapere prestabilito e definitivo nella mente di uno studente,
senza educarlo alla formulazione di ipotesi, alla ricerca, alla
critica, alla contestualizzazione di ogni apprendimento, si fa
dell'altro un oggetto della violenza del dominio.
Il dominio crea esseri omologati, tende all'uniformità, al
consumismo, al "pensiero unico", è il diretto discendente
del pensiero razionale positivista che ha imperato per
decenni ed ancora, nell'universo scientifico e tecnologico
degli umani.
- Umano, dice l'uomo
benevolo significando, mite
compassionevole:
e devasta foreste
sino alle intime fibre
avvelena fiumi azzurri mari
stermina creature uniche,
assassina per ornarsi della pelle altrui
quando non scanna in furia, spinola i prigionieri
fino al macello
incenerisce chi astrae diversamente,
incenerisce le iridi non uniformi
l'aspersorio del Dio delle zecche
benedice benedice benedice. -47
Così Danilo Dolci distingue il potere dal dominio. Il potere è
qualcosa non solo di legittimo , ma anche di imprescindibile
per l'uomo sociale, potere è infatti il sentirsi portatori di
libertà, libertà di scelte consapevoli, possibilità di
progettare e trasformare la realtà secondi i bisogni,
47
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 118.
58
possibilità di autoprogettarsi, è quella facoltà autopoietica
costitutiva degli esseri viventi, che già abbiamo esposto nel
primo capitolo.
Sono le diversità e le energie autopoietiche presenti in
tutto il sistema planetario che vengono implicate e
promosse, a prescindere dalle quali, la democrazia resta
un ordine puramente di facciata, come ampiamente accade
oggigiorno.
Danilo Dolci definisce la struttura consolidata dal dominio,
autoritaria ed arbitraria, eticamente indegna.
Egli spiega come facilmente il potere venga trasformato in
dominio attraverso la violenza, e come ciò avvenga nelle
case, nelle fabbriche , nelle scuole, nelle città come nelle
campagne, nell'industria culturale e nel tempo libero, come
il potere dominante porti malattia, inquinamento materiale
e spirituale, conformismo e ingiustizia, sia freno allo
sviluppo civile dei popoli e degli individui.
Nella sua analisi egli parte dal piccolo territorio siciliano e
attraverso indagini ed inchieste, che sottendono alla ricerca
sociale più avanzata, coniuga la ricerca quantitativa a
quella qualitativa ; egli farà di quel luogo- esperienza, un
laboratorio sperimentale di un nuovo modo di fare
pedagogia, portando a termine progetti altamente
significativi, raccogliendo materiale prezioso e sviluppando
una riflessione pedagogica, che andrà ben oltre i confini
siciliani, fino a configurarsi in una sintesi che ci richiama ad
una visione planetaria.
In questa sua visione di un'alternativa non violenta e
cooperativa, egli individua nell'educazione, attraverso una
pedagogia dell'ascolto, la chiave di volta del cambiamento
possibile:
- nell'attendere pregno
l'occhio dello sperare vede altrotutto inventare pioggia sulle crepe
aride nei deserti, avvalorare ostacoli
e fuoco di vulcani
59
da stretto fiato, sboccia il sogno
del cielo apertoe il respiro del sogno
rinunciando talora a mescolarti
esplori nel tuo abisso
lampi d'intime immaginiquando scorci di altre creature
variare tuo appaiono
identifichi da infiniti sensi
il seme di parabole
future-48
Contro
il
riduzionismo
pedagogico,
contro
la
frammentazione, e l'assolutizzazione di aspetti di una realtà
complessa, l'educazione concepita da Danilo Dolci è sempre
ancorata ai problemi, essa non si limita all'ambito
cognitivistico, di promozione dell'apprendimento , ma
contempla anche un progetto etico- politico all'interno del
quale, attraverso la metodologia si definisce il senso
dell'apprendimento in atto.
In questo senso anche l'istruzione non può essere più
intesa come trasmissione pura e semplice della cultura
tradizionale, ma deve anche mirare all'acquisizione del
metodo critico della ricerca, alla rielaborazione,
alla
produzione culturale e all'innovazione.
L'educazione per Danilo Dolci pervade e sostanzia tutta la
vita degli uomini e della donne, perché diventa processo
necessario per una soggettività nuova
adeguata
all'odierna,
frenetica complessità, per un adattamento
creativo e cooperativo.
- Da un'attenta utopia non è forse concreto l'imparare a
progettare?
48
D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p.129.
60
Tra
Creature incantate
Imparare
Maturare"49
L'educazione dolciana è restituire potere agli individui, è la
capacità di scelta e di progettazione autonoma del tipo di
sviluppo che il gruppo preferisce, è la capacità di leggere ed
incrementare le risorse del territorio, è saper analizzare le
contraddizioni presenti nei vari contesti, capire ciò che
blocca l'iniziativa e l'associazionismo, fino a cambiare i
comportamenti, fino a sottrarsi alla passività, ossia è
favorire la realizzazione della democrazia utilizzando la
creatività come forza trasformatrice, come impegno etico,
come apertura a nuove ipotesi e a nuovi orizzonti, come
ricchezza, potenzialità e fiducia nel futuro.
Egli propone dunque una promozione umana che parte
dall'interno degli individui, delle comunità, delle culture;
operando dal 1952 nella Sicilia occidentale, in contatto con
una popolazione provata dalla miseria e dagli abusi, ma che
comunque egli stima profondamente, comincia chiedendo e
chiedendosi come poter trasformare il contesto e risolvere i
problemi che si vanno a prefigurare in conseguenza ai
bisogni, cercando assieme alla gente le soluzioni.
L'azione educatrice di Danilo Dolci si connota come
promozione della coscienza dei propri diritti, come offerta di
strumenti tecnico-scientifici per la realizzazione concreta di
quanto progettato, di ricerca e di analisi degli ostacoli,
anche culturali, che si oppongono alla realizzazione. Qui si
ribalta i concetto di sviluppo collegato al dominio sulla
natura e sull'uomo collegandolo invece agli individui, alle
comunità alle culture, al Pianeta.
Danilo Dolci propone, il costituirsi di "strutture creative"
dove gruppi di persone, trovino soluzioni a problemi comuni
in sincronia con la dimensione creativa degli individui e del
49
D. Dolci, Copia degli ultimi appunti, da: Rosa Grillo, www.Documenti\dolci1htm,pg6.
61
gruppo
stesso.
Così
l'educazione
diventa
"coscientizzazione",
ma
anche
impegno
personale
attraverso una comunicazione vera, plurilaterale, maieutica
e di gruppo fondata sulla creatività.
L'aver posto la creatività, con tutte le sue connotazioni non
solo civili , ma anche estetiche e scientifiche al centro della
sua idea di educazione e quindi come caratteristica portante
della sua idea di futuro ,di storia e di civiltà, gli conferisce
un valore decisamente rivoluzionario ed al tempo stesso
non violento.
Così come abbiamo sottolineato all'inizio del paragrafo egli
le colloca, in opposizione alle teorie deterministiche per la
trasformazione del mondo.
Per Danilo Dolci si può costruire una struttura sopra alle
strutture esistenti, che ci può far agire sull'attuale dominio
per modificarlo e per trasformare una massa disgregata e
dipendente in un soggetto propositivo ed alternativo.
In Danilo Dolci educazione e politica dunque, vengono
inevitabilmente ad identificarsi in quanto i presupposti della
democrazia non sono solo istituzionali ,ma soprattutto
culturali. Per il mantenimento e lo sviluppo della
democrazia è fondamentale una crescita collettiva "dal
basso", una presa di coscienza delle persone sul proprio
valore, delle proprie risorse e quindi delle potenzialità di
generare nuove strutture.
La democrazia cioè, può vivere solo in quanto ci si impegni
a rimettere continuamente in discussione il potere, dando
voce agli "ultimi" e ai "senza voce".
E' l'educazione come pratica della libertà attraverso l'azione
non violenta il contributo più pregnante del suo esempio,
l'educazione come impegno a sviluppare un modo creativo
di stare al mondo, rielaborando con gli altri significati e
credenze e strategie di azione. Egli ha sfidato il modo di
intendere l'educazione mettendo in evidenza la centralità
del processo di comunicazione in cui ognuno diventa
educatore- educando in ogni azione volta alla crescita.
Danilo Dolci ha ripreso e gestito in questa nostra
postmodernità, il paradosso già evidenziato da Socrate
della ricerca di stabilità come impossibilità e processo
62
continuamente in fieri ,movimento dialettico fra le
differenze, il come combinare uguaglianza e libertà …
Ricerca e azione sono state però per Danilo Dolci, non solo
strumento e metodologia, ma un modo di esserci , con una
costante attenzione ai linguaggi, ai segni, al mito, al
desiderio, alle esperienze delle persone con le loro paure, le
loro passioni, le loro verità. Il suo lavoro è costantemente
volto a coniugare infatti il microcambiamento individuale,
con il macrocambiamento sociale, mentre emerge la sua
prospettiva radicale, che si focalizza nell'individuazione
della comunicazione come fattore critico e strategico per la
presa di coscienza e l'emancipazione.
- C'è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per
passo.
Forse c'è chi si sente soddisfatto, così guidato.
C'è chi insegna lodando quanto trova di buono e
divertendo.
C'è pure chi si sente soddisfatto, essendo incoraggiato.
C'è pure chi educa senza nascondere l'assurdo che è nel
mondo, aperto ad ogni sviluppo,
cercando di essere franco all'altro come a sé, sognando gli
altri come ora non sono.
Ciascuno cresce solo se sognato.-50
2.4
COME
OBIETTIVI
VALORIZZAZIONE
:
CONSAPEVOLEZZA
E
In un'epoca in cui le scienze (e vogliamo qui evitare la
classica distinzione fra scienze della natura e scienze sociali
ormai ampiamente obsoleta), scorgendo la complessità del
reale e intuendo l'interdipendenza planetaria, si pongono
dunque il problema di come riconcepire i rapporti fra gli
uomini e con la natura, sorge quindi il problema di come
50
D. Dolci, in : G. Spagnoletti ( a cura di) ,Un modo diverso di esistere, www.ddesistere.splinder.com,
p.9.
63
riconcepire e ricostruire il paradigma educativo, all'interno
del quale i rapporti costruttivi e/o distruttivi si generano.
In condizioni naturali, la personalità umana, pur vivendo in
condizioni di interscambio continuo con l'ambiente,
manifesta da subito una soggettività auto- organizzatrice,
con leggi proprie, che sono il risultato di miliardi di anni di
evoluzione. L'organismo vivente esprime i suoi bisogni
rivolgendo domande all'ambiente, scegliendo fra le
opportunità che l'ambiente offre, elaborando materie ed
energie che riesce a scambiare, assimilando, elaborando
trasformando, è insomma in continua ricerca all'interno
dell'ambiente medesimo; anche nell'organismo fisico
dell'uomo accade tutto ciò, anche se moltissimo di tutto
questo avviene con un'intenzionalità non consapevole.
L'età dei perché, in poche parole, dura tutta la vita, essa fa
parte del processo autopoietico e quando questo processo
si interrompe o si deprime, significa che qualcosa di
distruttivo ha agito per bloccare la sana e vitale tensione di
ricerca.
Quando l'ambiente è ostile e si tende ad atrofizzare questa
spinta geneticamente codificata in natura, la crescita
umana non può più dirsi tale e si assiste ad una devianza,
ad una repressione delle potenzialità degli individui, ad una
violenza sulla natura umana: ciò è quanto di prassi accade
nelle nostre istituzioni, anche "cosiddette educative".
- Nelle scuole la lezione o la lettura della carta stampata, ad
ognuno e nei secoli, sovente sostituisce- e di fatto
impedisce- la lettura del mondo, il decifrare la vita.
Il leggere, quando non è un atto criticamente creativo,
cristallizza lo studio.-51
I meccanismi tradizionalmente e istituzionalmente codificati
infatti sono finalizzati all'assuefazione, all'adeguamento ad
un ordine prestabilito, cominciando dalla famiglia e
continuando nella scuola: ogni volta che mostriamo
indifferenza alle domande dell'altro, ogni volta che
51
D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.132.
64
rendiamo gli altri estranei al progetto ed all'auto-progetto,
ogni volta in cui ci mettiamo fuori dal percorso consapevole
di ricerca. (vedi: studi sulla personalità autoritaria- Scuola
di Francoforte)
E' invece l'implementazione dei poteri naturali della persona
umana come: il pensiero, l'immaginazione, la creatività e
l'affettività, la comunicazione interpersonale, il conflitto
nonviolento, l'uso dell'informazione critica per trasformare
la realtà , che devono essere messi al centro del nuovo
paradigma
educativo
con
il
prioritario
scopo
di
consapevolizzare i soggetti. E' urgente disinquinare le menti
da secoli di dominio e per salvaguardare e rilanciare l'idea
di democrazia, oggi sempre più a rischio, in un mondo in
cui la manipolazione delle verità attraverso i mass media, le
nuove
tecnologie
e
le
cosiddette
scienze
della
comunicazione, possono trasformare la formazione delle
donne e degli uomini in una colossale ingegneria del
consenso e del controllo.
La situazione attuale, secondo la lettura di Danilo Dolci, è
stata creata dal modo di pensare tipico del dominio e dalla
violenza che lo accompagna.
Secondo il modo di pensare tipicamente violento l'altro, sia
esso un elemento naturale oppure sia esso una parte del
mondo diversa dalla nostra, l'umanità più povera e
derelitta, così come gli abitanti delle aree più degradate
delle nostre città, i disoccupati, i deboli, i giovani, gli
anziani, l'altro insomma viene concepito come staccato da
noi ed ecco che così può diventare indifferentemente
oggetto della nostra violenza, può essere sfruttato,
colonizzato, asservito, emarginato, eliminato. Da questo
modo di ragionare e di intendere l'altro, non comunicativo,
né interdipendente, inconsapevole della profonda legge
interattiva che lega ognuno di all'altro da noi ed alla natura
come in una imprescindibile totalità, si generano i problemi
attuali.
- Altro che affettuoso sentimentalismo. Un rapporto
intonato, creativo, tendenzialmente onnidirezionale senza
sfocarsi, non è essenziale alla crescita di ognuno e di un
65
nuovo mondo? E non bastano certo le "didattiche
razionali"
e
quelle
pseudoscientifiche
pedagogie
unidirezionali che ignorano, o quasi, i più giovani come
copromotori, coautori. Una scienza dell'educazione non
può non studiare e valorizzare le dinamiche interne dei
rapporti e non tener presente che, comunque, i processi
creativi proprio per loro natura si nutrono pur di nessi
viventi e associazioni: anche quanto viene assunto
dall'esperienza di altri occhi, altre mani e altro
immaginare in millenni e millenni, deve poter essere
rielaborato intimamente e proiettato a concretarsi.
- Forse creatività è riuscire a tenere insieme quanto
appare, o diviene , frammentato.-52
Il primo compito dell'educazione è dunque diventare
consapevoli che la natura non è altro da noi, che il mondo è
uno, che le sue parti sono interdipendenti, che le diversità
sono connaturate all'esistenza e che dominio e violenza
sono antitetici alla legge simbiotica ed interattiva
dell'evoluzione.
- Anche un vero medico , d'altronde, è un educatore.
Anche un buon agricoltore, un buon operaio. Un vero
psichiatra. O un cooperativista, un vero sindacalista, un
vero politico. Chiunque aiuta la terra a crescere partorendo.
Parafrasando liberamente Dewey, potremmo dire: ogni
educarsi deriva dal cosciente partecipare- individuale, di
gruppo, strutturale- al creativo sviluppo del mondo.
Non è " nucleo dell'educare", nei più diversi contesti,
cercare che l'individuo (il gruppo , la struttura) pervenga
alla capacità di agire, e di reagire agli eventi, valorizzando
ottimamente le potenzialità proprie dell'ambiente?
Chi negli ultimi secoli solitario ha tentato tenere insieme la
vita, sovente è stato combattuto- e talora nello sforzo
immane si è dilacerato.
Per superare l'attuale crisi dell'educare non urge maturare
un concepire che ci riconosca creature locali e cosmopolite?
52
D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.149.
66
La parola ambiente- e così mente (pur se ne sappiamo
ancora poco), non ci è ogni giorno più complessivamente
viva?
Alla fine del secolo scorso (e anche oggi in diverse regioni)
la fame del boccone, delle cose, era la più sentita: forse
l'oscura fame, ora, è di ampio educare creativo?-53
Per Danilo Dolci non ci sono altri modi, altre strategie per
cambiare il sistema, che quelle della valorizzazione,
attraverso la creatività e la non violenza, attraverso il
dialogare
maieutico,
confidando
soprattutto
nelle
potenzialità dell'essere umano, delle sue capacità relazionali
e comunicative, della sua fondamentale vocazione poetica.
- Quaranta anni fa ho cominciato a verificare come una
terra può malamente soffrire perché non si riconosce,
non riconosce le proprie possibilità di autentica crescita,
finche non identifica il proprio specifico " Spreco" e lo
trasforma in occasioni pregne di valorizzazione.
- Negli ultimi decenni sto accorgendomi che il più nefasto
spreco di energia ci risulta dal non sapere accogliere le
intuizioni valide di ognuno, soprattutto di quelli che
riescono a leggere nel mondo quale è, e come potrebbe
essere. Questo è il più grave spreco, che impedisce una
vita più sana al nostro cosmo, ad ogni creatura e al
mondo intero: non sapere orientarsi a maturare.-54
2.5 COME METODO : LA COMUNICAZIONE MAIEUTICA
Promuovere un progetto emancipativo di questa portata, ha
significato per Danilo Dolci un'immersione profonda nelle
discussioni, nelle riunioni, nelle inter-azioni fra individui,
nella ricerca di com-prensione, nella negoziazione di
significati, istanze, bisogni, speranze e progetti; la
53
54
D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.240.
D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, Bari, Piero Lacaita Editore, 1995,pp 7-8.
67
maieutica con lui diventa un modo di vivere, imparando a
comunicare, cooperando e crescendo reciprocamente.
- La struttura maieutica è invisibile crisalide, tornare a un
nuovo crescere nel guscio di un ambiente che respira
:cellula creatura e insieme crescono nell'identificarsi .
La struttura maieutica difende l'esperienza genetica,
riaprendola all'evolutivo esperire.
L'esperienza non può affatto indicarci quanto solo può
essere inventato.-55
La certezza che bisognasse "discutere insieme per costruire
" traspare in tutte le sue opere, partendo dai bisogni, dalle
domande e dalla ricerca, non solo individuale , per dare
risposte ai bisogni stessi degli individui, in contrapposizione
ad una trasmissione unidirezionale della cultura, delle
informazioni, delle soluzioni, che trasforma in ripetitori
passivi e spreca preziose risorse umane. La maieutica si fa
metodo indispensabile per la ristrutturazione dei rapporti
umani e per la riconquista da parte degli uomini della
propria anima e dei propri logoi. Essa risponde ai bisogni
profondi dell'uomo inteso come parte pulsante di un
universo vivo ed interattivo .
- Ma ognuno per comunicare deve essere creativo. Come
per essere creativo occorre sappia comunicare. Sapere
interrogarsi e interrogare è essenziale per essere
creativi?
- Una scuola che spegne le domande, non spegne le
creature, criminale?
- A
persone
giovani,
non
eticamente
robuste,
l'impedimento alla crescita, l'offesa, il vilipendio, la
manifestazione di disistima, può provocare danno. Si
ferisce, si ammazza soltanto a coltellate? -56
55
56
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p.200.
D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, op. cit., p. 7.
68
A fronte dello spreco di risorse perpetrato nelle vigenti
istituzioni, Danilo Dolci inventa per noi ambienti idonei allo
sviluppo delle potenzialità
creative e cooperative
dell'individuo, proponendo la creazione di strutture
maieutiche , luoghi in cui l'apprendimento passa dalla
problematizzazione, dalla ricerca, dall'immaginazione e
dalla qualità della comunicazione con l'altro, luoghi in cui
teoria e prassi non si separano mai.
L'educazione dolciana, in rapporto ritmico fra teoria e
prassi, avviene dunque all'interno di una struttura
maieutica dove è implicita la relazione comunicativa.
La parola struttura (da struere = costruire) implica
inevitabilmente una consapevolezza: l'interdipendenza
organica delle parti che la compongono, e cioè nel
laboratorio dolciano, delle persone che sedute in cerchio,
cercano di comunicare, esprimersi, progettare, cambiare; la
struttura diventa maieutica in quanto è fondata sul non
sapere e contemporaneamente su bisogno di sapere, ed è
con l'altro che si perviene alla costruzione delle risposte,
dove ognuno è maieuta con l'altro.
La struttura maieutica si fonda sul dispositivo del dialogo e
anche se la comunicazione va molto oltre il dialogo, esso ne
è la sua rappresentazione narrativa.
Nel dialogo troviamo: - l'essenza della domanda che è
aprire possibilità e mantenerle aperte. Nella dialettica di
domanda e risposta si mantiene l'alterità del vero, si
compie un continuo andare oltre. Se si manifestano sempre
nuovi punti di vista si danno sempre nuove risposte, anche
se non si sa dove ciò ci conduce. (…)
C'è un reale dialogo solo laddove esso conduca
continuamente all'apertura di un possibile progresso.
La risposta dell'altro può essere sorprendente (…).
Si rivela l'essenza enigmatica della domanda. Il segreto
della domanda è la meraviglia del pensare (…).
Ricercare significa porre domande, che portano ancora a
domande che non si erano previste. Non è facile porre
69
domande. Il domandare aperto, fertile, è più difficile che il
rispondere. -57
Ma in una struttura maieutica attraverso il dialogo, le parti
non perdono la loro identità correlandosi in un tutto
organico, così il tutto non perde la sua unità, sostanziandosi
diversità.
- Il problema è quello di restituire al molteplice il senso
dell'organicità e del sistema vivente. E' una restituzione
fondamentalmente etica, fondata non solo sull'accettazione,
ma anche sulla valorizzazione del diverso.
Essa reclama l'integrazione dell'altro nell'ego non come
rapporto meccanico fra due unità precostituite che
accidentalmente si incontrano, ma come interazione
permanente e vivente fra due poli, quale legge simbiotica
dell'esistenza.-58
Se mancano le condizioni però, il crescere rimane monco,
insensato, solo attuando certe condizioni è possibile lo
sviluppo e queste condizioni sono le connessioni
comunicative, lo strutturarsi del necessario comunicare che
ci è essenziale alla crescita ed alla vita: le condizioni sono
decisive, e modificandole, modifichiamo anche noi stessi.
Oggi secondo la lettura di Danilo Dolci, esistono moltissimi
luoghi vicini e lontani, ricchi di possibilità, luoghi trascurati
e dimenticati, anfratti di vite mai realizzate, dove può lievitare immensa la potenza creatrice se lo strutturarsi
sboccia al miracolo della poesia.(…)
Il desiderio di comunicare è connesso all'amore per la
vita.59
Ed esplicitamente Danilo Dolci si rivolge all'Università
auspicando la costituzione di seminari che favoriscano il
formarsi di maieuti nelle più varie discipline scientifiche ed
57
H. G. Gadamer, in: D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p. 234.
A. Mangano, in: D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.157.
59
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.238.
58
70
umanistiche, nell'ottica di una cultura della città- territorio,
secondo la visione della scienza della complessità.
Naturalmente tutto questo prevede la presenza di formatori
maieuti, persone che vivano a contatto con i luoghi degli
apprendimenti, che conoscano i contesti di vita degli
studenti, ma che soprattutto siano rispettosi dei loro allievi
e delle loro culture di provenienza, premessa indispensabile
ad una società veramente democratica.
E' essenziale dunque riuscire a costruire strutture
maieutiche, laboratori comunicativi e creativi, inventando
occasioni di comunicazioni autentiche dove, sentendosi
accettati e riconosciuti gli individui possano sciogliere le
proprie difese ed essere disponibili ad incontrare ed
ascoltare l'altro per crescere.
In questa accezione però, questo tipo di formazione
richiama inevitabilmente e prioritariamente la cura di sé
come concetto fondamentale della formazione: la struttura
maieutica reciproca delineata da Danilo Dolci acquista così
anche una funzione terapeutica, di cura dell'anima, di
supporto narrativo alla ricerca di senso e di significatività,
dove si concretizza la possibilità di ritessere il proprio sé e,
attraverso gli occhi e le parole degli altri , riconoscersi.
Così Danilo Dolci conclude il libro - La struttura maieutica e
l'evolverci - ed è impossibile trovare parole più appropriate:
- Sapere concretare l'utopia chiede, col denunciare, un
annunciare capace di lottare e costruire frontiere che
valorizzino ognuno: l'educazione è rivoluzionaria se si
matura valorizzatrice, dunque maieutica.
Riepilogando in breve.
Leggere fiori e alberi è primario, voli di uccelli e api,
creature, acque, rocce, infiorescenze, nessi, in maieutico
rapporto col mondo.
Nella Sicilia del '52 con la gente "bandita" si è
svelato pur primario aiutare alla scoperta di interessi,
necessità, problemi, trovando leve per la costruzione di sé e
del proprio mondo, sempre nuovo: l'interesse di ognuno,
71
individuato, si trasforma in potere collettivo, processo
democratico, salute.-60
Da queste parole emana l'umiltà del maieuta, che tende
sempre a valorizzare l'altro perché esprima tutta la sua
ricchezza,
la
sua
cultura,
la
sua
facoltà
di
autoprogettazione.
Progettare l'azione è infatti il momento propulsivo
conseguente all'emergere dei bisogni, progettare significa
essere disponibili al cambiamento, significa prevedere,
significa confrontarsi con la realtà. Il progettare non è
dunque solo il momento conclusivo del dialogo maieutico ,
bensì uno dei momenti ricorsivi e ciclici di questa
metodologia sempre in fieri.
Il progetto è l'idea che si coniuga con la realtà a contatto
con l'ambiente e gli altri, è la verifica nella prassi, è la
necessaria
immanenza
sposata
alla
imprescindibile
trascendenza.
I progetti calati dall'alto (vedi prospettiva top- down) che
oggi caratterizzano le scelte e le politiche dei nostri
governanti, ignorando le creature le distruggono, il progetto
deve invece nascere "dal basso" comunicativamente, è
questo che dobbiamo imparare a fare.
2.6 LA PLANETARIZZAZIONE
MAIEUTICHE
DELLE
METODOLOGIE
Danilo Dolci è riuscito ad attuare un'autoanalisi popolare
che, attraverso la presa di coscienza dei bisogni e dei
problemi della comunità, attraverso la cooperazione e la
creatività dei singoli, ha risolto sofferenze ed ingiustizie.
Nel suo progetto egli mira a risvegliare le coscienze ed a
porre fine allo stato di degrado in cui vive la popolazione
60
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.283.
72
non solo siciliana, ma di tutto il mondo. Per lui è essenziale
che si creino ovunque strutture non violente di
comunicazione maieutica per promuovere la crescita sana
degli uomini e così del pianeta.
- Seppur arduo, è semplicemente necessario progettare,
realizzare, ampliare e moltiplicare vallate di pacifico
sviluppo, "parchi di pace", dall'India gandiana e dalla
Sicilia Calabria, Sardegna su su per l'Appennino-italico
fino alle Alpi, dalla Costa Rica e dai territori sovietici ove
si cerca di esercitare la trasparenza della nuova politica
nonviolenta fino all'altopiano del Tibet. E' essenziale per
costruire la dimensione etica. Per ogni progetto.-61
La pretesa di universalità, di assoluto e di generalità delle
scienze tradizionali si era già comunque infranta e le
nuove prospettive scientifiche postmoderne
si stanno
proprio ricollocando nel qui e ora, nelle storie biografiche
delle persone, nei luoghi delle esperienze e anche la
sociologia di oggi, con l'attenzione alla ricerca qualitativa,
attribuisce al locale il focus della conoscenza: le culture
locali diventano il laboratorio delle attuali scienze umane
antropologiche
I micro-mondi locali sono oggi i luoghi e le condizioni vitali,
necessari e possibili per una riconversione ecologica della
formazione e della conoscenza.
Nel locale è dunque veramente possibile organizzare
attraverso strutture maieutiche il divenire, imparare nuove
logiche per pensare ed agire, in riferimento alla biosfera,
alla eco-sfera, secondo la legge del vivente, che integra e
coopera allo sviluppo, contro la logica del dominio e della
violenza.
La teoria eco-sistemica sottostante e connessa ad una
cultura di pace, rischia però di vanificarsi se la cultura, la
conoscenza, la formazione, restano imbrigliati nelle
dimensioni istituzionali intrise di ideologia del dominio,
dove è prassi manipolare l'intelligenza ed il comportamento
umano.
61
D. Dolci, Variazioni sul tema Comunicare ,op. cit. , p.73.
73
La strategia agita dal dominio è infatti quella di inculcare,
nelle menti degli uomini, attraverso un uso manipolatorio e
tendenzioso
dei
linguaggi,
messaggi
finalizzati
all'adattamento passivo ed all'alienazione.
La distorsione linguistica, per esempio può inficiare e
distruggere il rapporto comunicativo.
- Se la parola manca, quando il nome manca, alla struttura
della verità manca un suo palpito: non vi è verità senza
riconoscimento. La parola che aiuta il rapportarsi, il
colloquio organico attraverso l'annunzio e la denuncia,
aiuta a vivere. Dove questa parola manca, dove manca
l'osare di riconoscere gli eventi, nel fessurarsi di
un'esangue realtà si agguata la violenza implicita nello
sconnettere, si agguata la rottura del vivere_62
I linguaggi utilizzati per addomesticare e manipolare le
menti sono oggi nelle nostre società "avanzate", il primo
strumento di dominio ed è per questo che urge la relazione
maieutica interculturale, che recuperi la sincerità, la ricerca
collettiva di significati e la presa di coscienza degli individui.
Le modalità di ricerca e di sapere scientifico devono dunque
appropriarsi di nuove categorie mentali, che connettano il
locale con il globale, il centro con la periferia, intendendo il
locale come luogo elettivo dove sviluppare una coscienza
terrestre, una dimensione planetaria e cosmica.
Dobbiamo costruirci, così come già A. Einstein aveva
auspicato, una dimensione circolare e reticolare , che sia
disposta ad abbandonare i vecchi schemi fondati sulla
triade scienza- tecnica- sviluppo. Non la tecnica va rifiutata,
ma il "tecnicismo", l'uso aggressivo di essa sull'uomo e
sulla natura.
- L'idea di sviluppo è
culturali delle società
viste solo attraverso
In queste culture ho
superstizioni, saperi
62
stata ed è cieca dinanzi alle ricchezze
arcaiche o tradizionali, che sono state
occhiali economicistici e quantitativi.
scorto soltanto idee false, ignoranza,
accumulati nel corso dei millenni,
D. Dolci, Sorgente e progetto, CZ, Rubbettino Editore, 1991, p.145.
74
saggezze di vita e valori etici che in noi erano ormai
atrofizzati.
(…)
Dopo aver liberato incredibili forze creative, e dopo aver
scatenato incredibili forze distruttive, la nostra civiltà va
verso la sua autodistruzione o verso la sua metamorfosi?
(…)
…Irrompono sul piano mondiale forze cieche, una follia
suicida; ma abbiamo anche una mondializzazione della
domanda di pace, di democrazia, di libertà, di tolleranza.
Occorre ritrovare la relazione passato- presente- futuro.
(…)
…Vivevamo su una terra misconosciuta, vivevamo su di una
terra- oggetto. La nostra fine di secolo ha scoperto la terrasistema, la terra- gaia, la biosfera, la terra particella
cosmica, la terra patria.
Ormai possono convergere messaggi venuti dagli orizzonti
più diversi, alcuni dalla fede, altri dall'etica, altri
dall'umanesimo, altri dal rinascimento, altri dalle scienze,
altri dalla presa di coscienza dell'età del ferro planetaria.
Possiamo far confluire l'amore per il prossimo, per il
lontano, che è alla fonte delle grandi religioni
universalistiche, la commiserazione buddista per tutti i
viventi, il fraternalismo evangelico e il senso di fratellanza
internazionalistico, erede laico e socialista del cristianesimo,
nella coscienza planetaria che lega gli esseri umani fra loro
e alla natura terrestre.
Col tempo tutti questi messaggi, nelle istituzioni, sono
stati alterati, degradati, talvolta anche trasformati nel loro
contrario; dunque, hanno continuamente bisogno di essere
rigenerati e forse possono rigenerarsi gli uni gli altri.
L'agonia planetaria potrebbe diventare gestazione per una
nuova nascita.-63
Danilo Dolci attinge la sua forza dalla coscienza non
violenta che da millenni accompagna l'avventura umana in
modo trasversale al tempo ed allo spazio, egli danza, o
dialoga con vivi e morti , lontani e vicini per tessere insieme
63
D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, op. cit., pp.78-79.
75
nella comunicazione maieutica un messaggio etico, che
comprenda i singoli e l'insieme, che sia partecipazione alle
energie cosmiche.
Le sua consapevolezza lo porta a connettersi con
l'induismo, il buddismo e la loro nonviolenza, con la
tradizione socratico-platonica, col cristianesimo, con la
fraternità evangelica ed il francescanesimo, con la
cosmopolita legge kantiana, con la solidarietà socialista e
con la resistenza attiva gandiana nonviolenta, con le ultime
frontiere della ricerca scientifica:
- Antica e nuova è la semplicità. Einstein, Born,
Heisenberg, Plank hanno cercato di combinare il semplice
al complesso; e altri stanno ancora provando nella più
ampia prospettiva.-64
Per Danilo Dolci là dove la democrazia viene impedita
bisogna approfondire e promuovere processi maieutici
popolari, partecipativi, che smuovano ad ognuno ricerca
creativa in un'etica maieutica, che valorizzino le diversità e
facciano crescere una visione etica planetaria fino ad
arrivare a dire che: - un governo mondiale maieuticamente
creativo, non è solo concepibile, ma ci urge articolarlo,
perché è già in ritardo in questa immensa crisi epocale.(…)
-Per riuscire a realizzare questa necessaria struttura,
occorre apprendere a immaginare sperimentando già nel
nostro ambito.- 65
Danilo Dolci ha diffuso la sua esperienza e il suo pensiero
dalla Sicilia occidentale alla Calabria, all'Italia e all'estero
sostenendo
insistentemente che le strutture maieutiche andassero
estese a tutto il mondo in un progetto planetario:
- come sarebbe l'Africa se l'acqua vi dissetasse i deserti?
Qualcuno qui potrebbe obiettare : ma a noi, ora, non
64
65
D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, op. cit., p. 206.
D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, op. cit. , ,p. 341.
76
interessa la nostra acqua? Certo. Ma non abbiamo già fra
noi gente che fuggendo dall'Africa ci impone problemi
che sovente sarebbero risolti meglio, per tutti, alle radici,
dalle radici, radicalmente risolti?-66
Danilo Dolci ci chiama all'impegno, ci chiama ad alimentare
una cultura multiculturale, interattiva, situazionale,
emancipatrice, multiprospettica, riscoprendo i nessi che
esistono tra i popoli e le culture per la costruzione di una
società
interculturale,
fondata
sul
rispetto
e
la
cooperazione.
Il metodo maieutico va diffuso in ogni paese del mondo,
fino a pervenire ad una maieutica planetaria, che coinvolga
i paesi e le creature del mondo contro il dilagante ed
anestetizzante " virus del dominio". La maieutica ci risulta
così necessaria in ogni ambito: familiare, scolastico,
lavorativo, sociale, civile, nazionale ed internazionale,
perché la democrazia reale ha bisogno di uomini svegli,
attenti, creativi, capaci di modulare le loro azioni al mondo
in cui vivono.
- …La domanda di riconoscimento che oggi viene da
culture diverse e da diverse identità, ha bisogno di un
lungo percorso di autocomprensione da parte di tutti. Se
i pregiudizi sono, come indica Alberto L'Abate, delle
reazioni ad una minaccia avvertita e si sviluppano sulla
base di schemi cognitivi semplificati, è sempre più
necessaria, mano a mano che la società contiene identità
plurime e complesse, una consapevolezza reciproca
dell'esistenza e della natura dei pregiudizi, accanto alle
strategie per riconoscerli, per non averne timore,
superandoli nella comunicazione.-67
Bisogna crederci, bisogna sperare, bisogna ancora
continuare a sognare e muoversi nella direzione indicata dai
sogni.
66
D. Dolci, Verso l'alba del prossimo millennio, in: T. Morgante, Maieutica e sviluppo planetario in D.
Dolci, Bari, Piero Lacaita Editore, 1992, p.81.
67
N. Baracani in: N. Baracani e L. Porta ( a cura di), Il pregiudizio antisemitico. Una ricerca - intervento
nella scuola , Milano, Franco Angeli, 1999, p.14.
77
Se illusione è conoscere il futuro, se illusione è il
progresso fatale, ineluttabile, ci è semplicemente
necessario ipotizzare, scegliere e inventare il futuro: è un
bisogno profondo di chi è sano e non teme il futuro. - 68
CAPITOLO TERZO
UN'APPLICAZIONE DEL MODELLO
68
D. Dolci, Verso l'alba del prossimo millennio, in: T. Morgante, Maieutica e sviluppo planetario in D.
Dolci, op. cit., p.169.
78
3.1 Socioanalisi del problema
L’allungamento della vita media ed il conseguente
invecchiamento della popolazione, determinando una vera e
propria rivoluzione demografica, pongono alla ricerca
79
scientifica ed alle istituzione politiche, sociali e formative
inquietanti interrogativi.
Le strutture familiari appaiono soggette a forti mutamenti,
sia per quanto riguarda le loro caratteristiche oggettive, sia
per quanto riguarda i modelli di comportamento e le
relazioni interpersonali.
Fino ad oggi la famiglia ha costituito un forte punto di
riferimento per le persone anziane, sopperendo a molte
delle loro necessità e costituendo un valido filtro rispetto al
rischio di emarginazione, o meglio di istituzionalizzazione.
A questo proposito, è opportuno ricordare che in Italia il
tasso di istituzionalizzazione degli anziani continua ad
essere modesto, attorno al 2-3 %, rispetto al 6-8 % dei
paesi del Nord Europa.
Nello stesso tempo, i dati censuari mostrano come il tasso
sia fortemente connesso allo stato civile: esso è infatti
inferiore allo 0,4 % per i coniugati, attorno al 2 % per i
vedovi, ma sale ad oltre il 10 % per i celibi e le nubili. 69
Nel prossimo futuro è però prevedibile un incremento delle
condizioni di solitudine, vuoi per una minore propensione
verso modelli di famiglia estesa, vuoi come effetto del
diffondersi di separazioni e divorzi, fenomeni questi che
finora hanno ben poco riguardato la popolazione anziana.
Vale a dire che tendono a diminuire proprio quelle
convivenze che hanno costituito finora, un sostegno
fondamentale per gli anziani scarsamente autosufficienti.
Occorre ricordare inoltre che i grandi anziani odierni sono
l’ultima generazione ad aver adottato da un lato un
comportamento procreativo che prevedeva un alto numero
di figli, dall’altro un modello matrimoniale improntato ad
una forte stabilità.
Negli anni più recenti le politiche sociali sembrano ignorare
le trasformazioni intervenute nella famiglia a seguito dei
processi demografici e dei mutamenti comportamentali, ma
anche il problema “ anziani” andrà al più presto affrontato
in tutte le sue sfaccettature: politiche, economiche,
legislative, sanitarie, pedagogiche ed etiche.
69
Dati tratti da: M. Barbagli e C. Saraceno (a cura di), Lo stato delle famiglie in Italia, Bologna, Il
Mulino, 2000.
80
Come cioè, garantire alle crescenti fasce della popolazione
anziana i fondamentali diritti alla vivibilità della vita
allungata, all'autonomia fisica e mentale, alla salute,
all’attività creativa ed alla formazione? Più in particolare,
come garantire la possibilità di continuare ad essere e
sentirsi affettivamente e socialmente significativi, capaci di
provare curiosità, desiderio ed interesse nei confronti degli
altri e del mondo, ancora capaci di pensiero ipotetico e
metaforico, di pensiero riflessivo ed investigativo?
- Non sarà che, non mettendo in luce possibili ruoli
tradizionali per loro, siamo noi a rendere "decrepiti" i
vecchi?
- Forse i vecchi diventano disfunzionali perché non
immaginiamo per loro alcuna funzione. (…)
- Una donna vecchia può essere utile semplicemente in
quanto figura da apprezzare per il suo carattere. Come
un ciottolo sul fondo di un fiume, può darsi che si limiti a
stare lì, immobile, ma il fiume deve tenerne conto, e a
causa della sua presenza, modificare la propria
corrente.70
Vivere la vecchiaia come età ancora ricca di fascino e di
novità, significa: apprendere a vivere il tempo nel suo
procedere reticolare dentro al quale continuità e
discontinuità, permanenza e mutamento, memoria e attesa,
opacità e solarità si contrappongono e si intrecciano,
apprendere a cogliere le differenze che caratterizzano i
molteplici tempi della vita, ad accettare la propria alterità
rispetto alle età precedenti ed insieme apprendere ad
affrontare la vecchiaia come tempo di profondo
rinnovamento, come età potenzialmente ancora ricca di
attività e di speranza progettuale.
Per affrontare questa serie di problematiche non si può non
tener conto che, durante tutto il XX secolo, la ricerca, la
sperimentazione e la riflessione pedagogica si sono
incentrate e focalizzate su un'idea di infanzia, giovinezza, e
70
J. Hillman, La forza del carattere, Milano, Adelphi, 1999, p. 52.
81
"adultità" collegata ad una concezione stadiale dello
sviluppo umano. La vecchiaia è stata praticamente esclusa
dalle attenzioni pedagogiche in quanto considerata come
parte della vita ineducabile ,"residuale", non più produttiva
e quindi non più progettabile.
Questa lettura lineare e separata del corso della vita sta
evidenziando oggi tutti i suoi limiti e la sua incapacità di far
fronte alle esigenze della realtà attuale, essa non può che
essere considerata attualmente, il punto di partenza per
una nuova visione dell'evoluzione e dei "percorsi di vita"
della nostra specie.
Il nuovo millennio si apre infatti nell'ottica di una
complessità che coinvolge direttamente anche la visione
delle cosiddette "fasi della vita", scardinandone la
rassicurante lettura ordinata, cronologica ed algoritmica su
cui era basata la riflessione e la proposta psico-pedagogica
novecentesca.
Su quella lettura di demarcazione però, si èstrutturata
anche tutta l'organizzazione sociale ed istituzionale in cui
oggi viviamo: la divisione fra infanzia, giovinezza, "adultità"
e vecchiaia, scandisce oggi più o meno rigidamente, sia i
tempi che gli spazi di ognuno di noi.
- Esistono negli Stati Uniti comunità (…) in cui vivono
soltanto "anziani": intere città di pensionati, "case di riposo
per anziani" che adesso si estendono per chilometri
quadrati. Esistono nuovi quartieri in Francia, dove l'età
media della popolazione non raggiunge i ventun anni. In
Svezia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, troviamo comunità
delle dimensioni di piccole città dove vivono esclusivamente
giovani coppie; e insediamenti, condomini, luoghi di
villeggiatura solo per giovani o solo per vecchi.(…) si
prevede che nel giro dei prossimi trent'anni circa la terra
dovrà sopportare una popolazione doppia rispetto all'attuale
e, una volta ancora, in questo sovraffollato mondo del
futuro, la divisione è tra vecchi e giovani. Da un lato, le
nazioni da tempo consolidate, con tassi di natalità più lenti
e controllati, e una popolazione sempre più vecchia;
dall'altro, le cosiddette nuove o giovani nazioni, le nazioni
82
povere, con alti tassi di natalità e una proliferazione di figli
che si riflette in un'età medio bassa.
La medesima divisione troviamo nella famiglia come
conflitto generazionale, un conflitto, a volte fatto non tanto
di incomprensioni, quanto di silenzio. Tra vecchi e giovani
esiste infatti una netta separazione dei sistemi di
comunicazione: oggi, nel nostro collettivo urbano, i giovani
non apprendono più attraverso le tradizionali forme della
cultura e la parola scritta, ma attraverso mezzi di
comunicazione di tutt'altro genere.71
Questo modo di vivere e di organizzare la nostra società,
riflette ancora una volta quella polarità , quella scissione,
quella incapacità di integrazione, che caratterizza la nostra
più riduttiva cultura occidentale, cristiana e cartesiana.
In questo modo riusciamo ad emarginare, non solo il
vecchio, ma anche il giovane, in quanto anche essere
giovani oggi significa avvertire sulla propria pelle la
marginalità, l'incomunicabilità, il silenzio del dialogo rubato
assieme alla partecipazione ed alla cittadinanza attiva,
anche essere giovani significa avere un ruolo subordinato e
sempre più prestabilito da logiche Top down, finalizzate al
controllo ed al dominio anziché alla integrazionevalorizzazione degli individui.
- I suicidi aumentano: di norme sbagliate ci si mutila, si
muore.(…)
I curatori dello studio "Suicidio" (Telefono Amico di
Torino, 1995) nel capitolo "La società suicidogena" ,
riferendosi agli sviluppi delle ricerche di Durkheim,
osservano: " Tanto più si indeboliscono i legami che
integrano l'individuo alla società, tanto più frequenti si
fanno le condotte suicidali, perché il singolo non trova nel
gruppo un appoggio ed un aiuto per superare le sua crisi
esistenziale" . (…)
Una costante emerge in varie forme : quanto meglio
ciascuno è interpretato e valorizzato, tanto meno rischia
71
J. Hillman, Puer Aeternus, Milano, Adelphi, 1999, pp. 56-57.
83
di disperarsi. Questo rimarca la necessità di rapporti
strutturali maieutici. Ovunque.- 72
E' ora di lavorare affinché la cultura della separatezza
venga superata così che, anche imparare a vivere la
vecchiaia in maniera diversa, diventa uno dei passaggi
prioritari ed imprescindibili per quel cambiamento culturale,
globale che auspichiamo:
- Il diffondersi di coscienza nuova, col connettersi dei
diversi fronti in strutture maieutiche civili- organizzate a
reggere conflitti- può d'altronde avviare metamorfiche
spirali.
Utopia?
Finché non si maturerà in progetto.
Anche la luce elettrica, anche il voto alle donne era
utopia.
E pure i fiori erano utopia.-73
3.2 La realtà locale
L’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di MassaCarrara in collaborazione con l’Università degli Studi di Pisa,
ha costituito un Osservatorio per le Politiche Sociali nella
provincia, come primo strumento e testimonianza di un
impegno verso l’applicazione di nuove modalità di
intervento sul territorio che non si fermino solo alla
“riparazione dei guasti sociali” ma, attraverso una maggiore
conoscenza, mettano in campo efficaci strumenti di
prevenzione relativi alle criticità del territorio.
Questo Osservatorio, istituito nell’anno 1999, ha prodotto il
primo “RAPPORTO SULLA SITUAZIONE SOCIALE DELLA
PROVINCIA DI MASSA CARRARA” nell’ottobre 2002, che
può considerarsi uno strumento a disposizione di tutti i
72
73
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p. 275.
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit. , p. 274.
84
soggetti che costituiscono la welfare comunità, un utile
supporto per la programmazione, realizzazione e verifica di
progetti di intervento sociale, nell’ottica di una piena
integrazione delle azioni a favore dei soggetti più disagiati
per dare risposte, le più possibili mirate, ai bisogni espressi
dai cittadini.
Da questo documento, che raccoglie dati relativi alla
struttura
sociale
del
nostro
territorio,
si
evince
immediatamente la complessità crescente del sistema
sociale e la conseguente difficoltà di monitorare la qualità,
l’efficienza dei servizi offerti e di pianificare e programmare
le politiche di intervento, basandoci esclusivamente su
criteri di tipo quantitativo caratterizzanti la ricerca
sociologica tradizionale.
Ad esempio per quanto riguarda la condizione anziani, i dati
ci dicono che, anche nella provincia di Massa-Carrara, la
popolazione tende nel medio periodo ad invertire i naturali
processi di sostituzione tra generazioni:
• L’indice di vecchiaia, pari a 201% indica che per ogni
100 giovani di età inferiore ai 14 anni ci sono 201
anziani ultra65enni.
• L’indice di dipendenza, risulta pari al 51%, significa che
per ogni cento persone appartenenti alle potenziali classi
lavoratrici (dai15 ai 64 anni) esistono 51 persone che
dipendono economicamente dalle prime.
• L’indice di struttura della popolazione attiva, pari al
102,5%, fotografa i processi di invecchiamento di questo
settore della popolazione (15-65). Poiché l’indice supera
il 100% significa che il volume complessivo della
popolazione attiva è tendenzialmente e fortemente
decrescente: infatti più alto è l’indice tanto più vecchia è
la struttura della popolazione in età lavorativa.
• L’indice di ricambio della popolazione in età attiva è pari
a 147,4%, significa che per ogni 100 individui che
entrano nella popolazione attiva ve ne sono più di 147
85
che escono da questa classe; è indice di senilizzazione
della popolazione in età lavorativa.74
•
Provincia di Massa Carrara
Popolazione residente per classi di età
Classi di età
0-14
15-29
30-64
65-74
75-w
Totale
Fonte: Istat, 2001
Provincia di Massa Carrara
22463
11,2%
34351
17,2%
97728
48,9%
23914
12,0%
21286
10,7%
199742
100,0%
Emerge così con sufficiente chiarezza e scientificità il livello
di progressivo invecchiamento della popolazione.
Una recente ricerca realizzata su 1461 persone ultra60enni
dal Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Pisa,
per conto dell’Osservatorio per le Politiche Sociali della
Provincia di Massa –Carrara, ha fornito uno spaccato
abbastanza ampio sui caratteri specifici di fragilità della
condizione anziana in questo territorio, ma anche sulle
possibilità attivate ed attivabili da parte di queste
generazioni.
Da questo campione risulta soprattutto la sofferenza di
sentirsi soli dato che va aldilà dello stato anagrafico o
oggettivamente relazionale, il senso di solitudine tende ad
aumentare con l’età e si sedimenta un senso di inutilità che
produce una forte deprivazione delle abilità e capacità
nell'anziano.
74
Dati tratti da : G. Tomei ( a cura di), Rapporto sociale 2002, Osservatorio per le Politiche Sociali Prov.
Massa Carrara.
86
Da questi dati emerge un netto rifiuto della condizione
stereotipata del proprio ruolo di anziani ed una
confutazione della teoria del disimpegno sociale spontaneo,
in quanto i soggetti campionati sembrano tutt'altro che
disposti a cedere il proprio ruolo di membri attivi della
comunità.
Si nota un pessimismo maggiore e repentino per chi vive al
di fuori del nucleo familiare e in "casa di riposo" rispetto
alla condizione di anziano che vive con persone con cui
stringe vincoli relazionali.
Inoltre il 31% degli intervistati ha risposto di sentirsi nella
fase “della piena maturità”, il 47% “in quella in cui occorre
riguardarsi e risparmiarsi” e solo il 21% “in quella dove si
sente di più la solitudine e il bisogno”.75
Da ciò si evincono tutta una serie di potenzialità sociali
nella condizione anziana, che vanno a sollecitare
conseguentemente l’organizzazione
dei servizi socioassistenziali e le politiche di cui sono destinatari.
Al centro dell’interesse si colloca il modo in cui, le
trasformazioni strutturali che attraversano la realtà sociale,
si coniugano con le situazioni di benessere/malessere dei
cittadini e dei soggetti sociali, in funzione della loro capacità
di gestire la propria esistenza in uno scenario di sempre più
ampie compatibilità con quelle stesse trasformazioni.
Le ricerche più recenti, sia a livello nazionale che locale, ci
restituiscono un quadro che sottolinea le opportunità che
possono esser colte, anche all’interno di processi di
invecchiamento, in termini di riconfigurazione dell’identità
individuale e in termini di nuovi significati della presenza
sociale dell’anziano nella collettività.
Tuttavia nell’età anziana, si manifestano con una certa
rilevanza situazioni e percorsi biografici connotati da livelli
consistenti di disagio e di esclusione sociale.
Questi fenomeni non sono tanto, o non sono solo, correlati
con il processo di invecchiamento biologico, ma assumono
rilievo proprio in quanto prodotto del modo di essere e di
funzionare della società, a livello locale e sovralocale.
75
Vedi : F. Ruggeri (a cura di), Progetto per la costituzione di un osservatorio per le Politiche Sociali
Prov. Massa Carrara, 1999.
87
Le elaborazioni che l’ISTAT diffonde annualmente sulla
povertà, descrivono una situazione critica all’interno dell’età
anziana, dove appunto si concentra percentualmente il
maggior numero di persone al di sotto della soglia di
povertà.
La risposta dei servizi sociali nella provincia apuana, tende
a coprire i versanti del disagio più consistenti, come quello
degli anziani non autosufficienti e degli autosufficienti non
completamente indipendenti, anche se si cerca di favorire
livelli sempre più elevati di inclusione e di integrazione
sociale.
In applicazione al principio della de- istituzionalizzazione,
nella nostra provincia si verifica dunque la tendenza a
decentrare sempre di più i servizi, tuttavia, le Residenze
Sanitarie Assistenziali costituiscono le strutture mediante
cui si tende a dare risposta alle situazioni più difficili in
termini di non autosufficienza o di limitata indipendenza,
affiancati dai centri diurni.
Nel 1999 vi erano in provincia 22 strutture di ospitalità
degli anziani, gestite in assoluta prevalenza da privati (15,
rispetto alle 7 offerte dal pubblico o dal privato sociale), che
garantivano 799 posti, di cui 400 per anziani non
autosufficienti; posti coperti del tutto, che lascia presagire
una tendenza di richiesta che tende a crescere nel tempo .
Strutture di ospitalità per anziani per forma di gestione
e zona socio-sanitaria al 31/12/1999 e incidenza sulla
popolazione anziana nella Provincia di Massa Carrara
Zone socio sanitarie Comunale
IPAB
Privato
Privata Totale
Popolaz.
Strutture
88
o AUSL
Sociale
65 +
X 10000
anziani
Lunigiana
3
0
2
8
13 14.850
8.8
Apuane
1
1
0
7
9 29.282
3.1
PROVINCIA
4
1
2
15
22 44.132
5.0
106
33
54
168
361 764.01
4.7
Totale regionale
Fonte: Provincia di Massa Carrara- OPS, 2001
Incidenza dei posti disponibili e delle presenze in
strutture residenziali per 1000 anziani residenti per zona
socio-sanitaria (1999)
Posti residenziali
anziani residenti
per
1000 Presenze
per
anziani residenti
1000
Zone socio
sanitarie
Autosufficienti
Non
autosufficienti
Totale Autosufficienti
Lunigiana
19.6
17.1
36.7
18.0
18.4
36.4
3.7
5.0
8.7
3.9
4.8
8.7
11,5
19,4
7,5
11,0
18,4
Apuane
Totale
regionale
7,8
Fonte: Regione
Toscana,2000
Toscana,
Strutture
per
Non
Totale
autosufficienti
anziani
in
L’altro caposaldo tra gli interventi nei confronti della
popolazione
anziana
è
costituita
dalla
Assistenza
Domiciliare Integrata, che però non riesce a coprire le
esigenze di supporto reale degli anziani (si va da una media
89
di 5,8 anziani assistiti su 1000 anziani residenti delle
Apuane a 25,9 in Lunigiana) . 76
Dobbiamo a questo punto ribadire ed essere consapevoli
che l’impoverimento della capacità d’azione degli individui è
fonte di progressivo disagio e di malessere, entrambi
connaturati con le dinamiche sociali che contribuiscono a
produrle.
Le cause del disagio sociale si inseriscono appunto
all’interno di interstizi strutturali e di vuoti relazionali di cui
è sempre più complesso cogliere l’intima connessione con il
malessere dell’esistenza in termini generali e con la
sofferenza biografica in termini particolari.
Ed è proprio cercando di descrivere questi
luoghi di
debolezza e la loro qualità per progettare interventi mirati,
che emerge una evidente inadeguatezza del metodo
esclusivamente quantitativo per rilevare informazioni e dati
significativi, dovuta alla natura stessa dei fenomeni da
indagare.
Se il paradigma positivista, statistico e quantitativo, legato
a misurazioni di dati esclusivamente socioeconomici
esprime qui la sua limitatezza, in quanto ci rimanda una
visione esclusivamente quantitativa di gruppi di individui,
senza nulla dirci dei loro bisogni e delle molteplici
dimensioni delle loro identità, allora il compito pedagogico
che emerge , è quello non più di "classificare l'oggetto dei
nostri interventi" , bensì quello di cominciare a porre
domande.
- Dall'Università di Princeton, scrive Johan Galtung: "Gli
oppressi non nascono come protagonisti, attori. Non
hanno voce, non hanno ancora consapevolezza. Voci e
consapevolezza crescono correlate, progressivamente. La
trasmissione dall'alto non aiuta: mistifica le situazioni.
Solo l'atto genuino di comunicazione può favorire il
processo di crescita.
76
Dati tratti da : G. Tomei ( a cura di), Rapporto sociale 2002, Osservatorio per le Politiche Sociali Prov.
Massa Carrara.
90
Questo agire comunicante quasi sempre assume la forma
di un dialogo: e comincia con un punto interrogativo.-77
E' dunque sempre rivolgendoci al dispositivo del dialogo,
del colloquio, della dialettica, dell'ascolto e del racconto,
che possiamo impostare un nuovo modo di progettare con e
per i soggetti, secondo una prospettiva inevitabilmente
fenomenologica ed interpretativa, così che sarà la qualità
della comunicazione, lo snodo focale di ogni intenzionalità
pedagogica.
3.3 Comunicare nella terza età
Si prefigura qui un modello qualitativo di ricerca-intervento
pedagogico che, restituendoci " racconti di vita" e punti di
vista personali, si fa occasione maieutica ed educativa, si
fa
autoformazione
permanente
ed
occasione
di
miglioramento sociale. Il problema principale riguarda il
come sviluppare il processo di relazione fra i vari soggetti
implicati, il come sviluppare un sistema che possa favorire
lo sviluppo di una comunicazione maieutica fra i diversi
vissuti e le diverse aspettative degli individui.
Prendendo in considerazione la vecchiaia come area di
studio, dobbiamo tener presente come, oggi come oggi, nel
senso comune e nell'immaginario collettivo, vecchiaia
significhi soprattutto vicinanza alla morte, depauperamento
ed indebolimento di facoltà, malattia, invalidità e bisogno di
assistenza: una visione complessivamente negativa e,
come contraltare in positivo, si trova solo la bizzarra idea
della saggezza della vecchiaia, come se le esperienze
accumulate, in se stesse, potessero essere fonte di
saggezza…
Ecco,
l'invecchiare
deve
confrontarsi
inevitabilmente con tutto ciò, con questi stereotipi, con
queste immagini…
77
D. Dolci, Variazioni sul tema Comunicare, vol I, p. 131, in : T.R. Morgante " Maieutica e sviluppo
planetario in Danilo Dolci, Bari, Piero Lacaita Editore, 1992, p.159.
91
Acutamente Guggenbuhl-Craig osserva:
- L'immagine dell'archetipo del Senex è orribile, tutto il
contrario
dell'immagine
dell'archetipo
del
Puer.
Quest'ultima ha a che fare con il nuovo, il creativo, la
speranza, la crescita e il futuro. Con la vecchiaia le cose
stanno nel modo esattamente opposto : qui non esiste
speranza né crescita, la vecchiaia non ha futuro.-78
Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una lettura
dicotomica della realtà, ad un'interpretazione a senso unico
del mondo, che separa, allontana e contrappone, ma al
contempo ci suscita tutta una lunga serie di interessanti
quesiti e riflessioni.
J. Hillman considera per esempio queste due parti, quella
del Senex e quella del Puer, che fanno parte
dell'immaginario collettivo, come due metà dello stesso
archetipo e non
due metà della vita intesa in senso
cronologico.
- Questa segreta identità tra due facce che sono in realtà
una sola pur con piccole differenze di lineamenti non
dovrebbe
sorprenderci,
dal
momento
che
una
corrispondente unione di uguali (i misteri Madre - Figlia)
è stata posta al centro della personalità femminile.
Rappresentazioni archetipiche di questa singola figura
con due aspetti sono: Tagete, il dio etrusco in forma di
fanciullo dai capelli bianchi "tratto dal solco arato di
fresco"; l'islamico al- Khidr, bellissimo giovane dalla
barba bianca; e Lao-Tzu, il cui nome significa senex-puer
(Lao = "vecchio" e Tzu = sia "maestro" che "fanciullo").
(…) Anche Jung descrive questa unione degli uguali: a) a
un livello primitivo e pericoloso nella figura di Wotan, che
ha attributi insieme giovanili e di Crono, b) nelle figure
del Sé di Mercurio, Dioniso e Cristo, viste ciascuna come
senex-et-puer, c) in Asclepio, il senex-et-puer che
guarisce, e d) nel Re e nel Figlio del Re, due facce della
medesima dominante, che rappresentano la totalità
78
A. Guggenbuhl- Craig , Il vecchio stolto, Bergamo, Moretti e Vitali, 1997, pp.135-136.
92
dell'individuo, coscienza ed inconscio insieme. (…)
Ciascuna di queste figure mitologiche, che rappresentano
l'unione degli uguali di volta in volta energizzante
(Wotan), trasformatrice ( Mercurio, Dioniso), risanatrice
( Asclepio ), rinnovatrice (Re-cum - Figlio del Re) e
redentrice (Cristo), asserisce l'assioma psicologico
dell'atemporalità del Sé. Il Sé sembra assolutamente
indifferente
nei
confronti
dell'invecchiamento,
dell'accumulazione storica; per il Sé non esiste conflitto
generazionale, in quanto esso è in ogni momento tutte le
generazioni.-79
La nostra epoca richiede quindi che i due estremi vengano
ricongiunti, che l'altro da noi, sia riconosciuto ed integrato,
che gli opposti speculari si trasformino in un cerchio
dinamico:
- la sua scissione è la nostra sofferenza.(…) Da questa
scissione ci viene la sofferenza del conflitto padre- figlio e
del silenzio che separa le due generazioni, della ricerca
del padre da parte del figlio e della nostalgia del figlio da
parte del padre, che sono la ricerca e la nostalgia del
proprio significato da parte di ciascuno; nonché gli
enigmi teologici del Padre e del Figlio. Questa scissione ci
dice che siamo scissi dalla nostra stessa "immagine e
somiglianza" e che abbiamo trasformato l'identità con la
nostra immagine in una differenza.-80
Un modo nuovo per vivere l'ultima parte della nostra vita
richiede dunque, innanzitutto, il ricongiungimento tra l'idea
di Senex e Puer, con queste due parti insieme dobbiamo
ritrovare il senso delle nostre esperienze.
Ciò si può attuare attraverso il fenomeno del dialogo inteso
nell'accezione che in tutta questa tesi si descrive, il dialogo
come
unico
dispositivo
attraverso
il
quale
ogni
ricongiungimento diventa possibile.
79
80
J. Hillman, Puer Aeternus, op. cit , pp.112-113.
J. Hillman, Puer Aeternus, op. cit. , pp.120-121.
93
Nel dialogo ogni domanda genera risposte che a loro volta
si trasformando in domande e nella ricerca di un senso
condiviso, anche nell'alterità possiamo cercare soluzioni ad
infiniti problemi che l'esistenza ci pone.
- E' nel nostro modo di pensare che l'inferiorità si rivela.
Proprio per i sentimenti d'inferiorità e di insicurezza,
escogitiamo costruzioni mentali che tengano a bada questi
sentimenti. E queste costruzioni agiscono come finzioni che
guidano e come fantasie che governano, ed è attraverso
esse che percepiamo il mondo. La più essenziale di queste
protezioni nevrotiche, quella cui forse possono essere
ricondotte tutte le altre, Adler la chiama " pensiero
antitetico", un "tipo di percezione basata sul principio degli
opposti".
La mente stabilisce polarità opposte: forte/debole,
sopra/sotto, maschile/femminile- e queste finzioni-guida
determinano il mondo in maniera netta, e danno così la
possibilità di esercitare un potere con azioni decise,
preservandoci dal sentirci deboli e inefficaci.(…) Il pensare
per antitesi non serve dunque una logica della realtà, ma
una magia di potenza su di essa.-81
Parlare di "terza età", può essere dunque fuorviante:
parlare di vecchiaia non ci deve allontanare dal problema
uomo in senso sincretico, non ci deve sviare verso forme di
preconcetti e pregiudizi riduttivi e semplicistici, sempre
dobbiamo mantenerci all'interno di una teoria- prassi
comunicativa e dialogica, dobbiamo sforzarci di stare
all'interno di un dialogo senza fine, prima di tutto in noi
stessi, tra tutte le nostre parti e i nostri sé, e poi tra noi e il
mondo, per mantenerci dentro al senso delle nostre
esistenze.
Il ruolo della pedagogia comunicativa diventa allora
necessario proprio anche e prioritariamente, in funzione
dell'apprendimento di strategie per fronteggiare la cura del
sé e le trasformazioni da essa implicate.
81
J. Hillman, Le storie che curano, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1984, p. 134.
94
Occorre costruire un nuovo vocabolario, che ci aiuti ad
interpretare le percezioni dei soggetti rispetto alle proprie
tappe di vita, che ci aiuti a decodificare e ricostruire la
nostra esperienza, anche in quella parte della vita che, ad
un occhio superficiale, potrebbe sembrare inadatta
all'apprendimento e di conseguenza al cambiamento
cognitivo, emozionale e relazionale.
Emerge qui l'esigenza di predisporre ed organizzare luoghi /
momenti, nei quali sia possibile anche e soprattutto nella
tarda età, raccontare ed ascoltare della propria vita e di
quella di altri, della propria cura, e di quella di altri, luoghi /
momenti nei quali sia possibile condividere, ma soprattutto
tentare di ricostruire e ritrovare insieme ad altri il proprio
progetto di vita, e non importa quanto tempo ancora ci
resta da vivere.
J. Hillman aggiunge:
- Io mi estendo per il tramite di quegli "altri" le cui
immagini animano le mie cogitazioni solitarie, e non solo
tramite gli "altri" quotidiani, che passano a trovarmi per
vedere come sto. La curiosità inquisitiva per la vita altrui
estende la nostra vita. Non sto parlando di servizi di
volontariato; ma dell'arte di ascoltare. L'altro è una fonte
di linfa vitale, che trasfonde vitalità nella tua anima, se,
prestandogli orecchio, riesci a provocarlo ad uscire.
Annusa nel sottobosco, fruga tra i piccoli scandali, cerca
ghiotti bocconcini di pettegolezzi piccanti che stuzzicano
l'appetito per la vita brulicante intorno a te: la curiosità
allenta i cordoni angusti delle preoccupazioni private,
personali. Il movimento all'indietro, all'ingiù e all'infuori
estende la vita oltre i suoi confini e la libera
dall'attaccamento all'identità personale, libera il carattere
da quell'incontenibile bulletto che è il mio "io". Più riesci
a protenderti all'indietro, nel passato storico, e all'ingiù,
verso ciò che è dopo di te e in basso, e all'infuori, verso
l'altro da te, e più la tua vita si estende. La longevità si
libera, della capsula temporale. Questa è la vera
95
longevità, un durare di più che dura per sempre, perché
non c'è capolinea.-82
Ed ecco che da questa prospettiva emerge l'intreccio
primordiale e ineludubile tra: comunicazione, memoria ed
immaginazione.
Narrando di me io ricordo, ma il ricordo non è altro che
sequenze di immagini fantastiche, mia interpretazione del
vissuto e, sia di memoria che di immaginazione abbiamo
bisogno per comunicare. Da sempre nell'anziano queste
due facoltà cambiano ritmo e forma, la capacità della
memoria a breve termine si riduce, mentre quella a lungo
termine si acuisce, l'immaginazione si fa introspettiva,
lenta, sedimentata; è da queste peculiarità e da molto altre
sfumature ancora che dobbiamo partire per porci di fronte
alla vecchiaia con un sentimento di empatia e di ascolto.
- Gli ultimi anni sono così preziosi per ripassare la propria
vita e fare ammenda, per dedicarsi a speculazioni
cosmologiche e per l'affabulazione dei ricordi in storie,
per il godimento sensoriale delle immagini del mondo e
per il contatto con le apparizioni e gli antenati: e tutti
questi valori la nostra cultura li ha lasciati avvizzire!-83
La vecchiaia mette a disposizione il tempo per ricordare,
per commemorare ciò che è ancora un valore nella nostra
vita e quindi il ricordare restituisce dignità, la rassegna
della vita ci aiuta a costruire trame ricche di senso, e
sempre memoria ed immaginazione sono intrecciate
fecondamente insieme in ogni atto comunicativo, ma
memoria intesa in senso aristotelico, come collezione di
immagini appunto… ( e non solo come strumento
pragmatico).
Sollecitare la memoria riteniamo sia l’attività fondamentale
per educare la mente, sapere chi siamo, chi siamo stati, chi
sono gli altri attorno a noi e come con noi sono connessi,
82
83
J. Hillman, La forza del carattere, op. cit., pp. 66-67.
J. Hillman, La forza del carattere, Adelphi, Milano, 1999, pg 53.
96
senza la memoria non esiste il pensiero, non esiste
riconoscimento.
- Il congegno dell'apprendimento, il ritenere certe
impressioni e informazioni, non dipende forse anche dal
nostro rapporto con gli eventi? Il ricordo non è tanto più
vivo quanto più profondamente abbiamo partecipato
all'evento, co-struito l'evento?
- La capacità di progettare e costruire validamente nei più
vari campi non dipende anche dalla capacità di
sperimentare e memorizzare complessivamente?
- Il linguaggio, la narrazione non sono tentativi di scoprire
e di organizzare quanto ci appare caos? La scrittura non
è solo memoria strutturata: come lo schizzo di Leonardo,
è anche strumento e occasione di scoperta nuova.
- Osserva giustamente J. Le Goff:" l'amnesia è soltanto
una turba nell'individuo ma determina perturbazioni più o
meno gravi della personalità. Allo stesso modo l'assenza
o la perdita, volontaria o involontaria, di memoria
collettiva nei popoli e nelle nazioni può determinare turbe
gravi dell'identità collettiva. (…) Impadronirsi della
memoria e dell'oblio è una delle massime preoccupazioni
delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno
dominato e dominano le società storiche. Gli oblii, i
silenzi della storia, sono rivelatori di questi meccanismi di
manipolazione della memoria collettiva".
- Quanto chiamiamo esperienza non è forse il rapporto fra
memoria- anche genetica- , continuo provare, osservare
e coscienza?
- Non è la maieutica strutturante un'arte-scienza per
attualizzare, riconoscere e pur convalutare, oltre le
profonde informazioni del collettivo patrimonio genetico,
anche quelle recenti, personali? In un tempo in cui le pur
utili schedature meccanografiche ed
elettroniche
tendono a "scaricare", con la nostra memoria, le nostre
capacità di concepire il connettersi vitale, ci occorre
sapere chiaramente che indebolire la nostra memoria
inconscia e cosciente, non coltivare la nostra capacità di
sperimentare il nostro intelletto e la coscienza, atrofizza,
97
col nostro equilibrio psichico,
potenzialità, il nostro potere.84
anche
le
nostre
Dobbiamo dunque imparare a vivere come risorsa anche
quest'età che avanza, se la vita media in occidente si sta
allungando, ciò significa che da questo dato dobbiamo
saper attingere creativamente potenzialità utili a tutti; la
fertilità degli umani si esaurisce molto prima della vita e
forse duriamo ancora così a lungo dopo, perché la nostra
specie
ha
bisogno
proprio
della
memoria
e
dell'immaginazione tipiche dei vecchi per perpetuare la
specie…Pensiamo alle figure dei nonni anche nelle nostre
storie personali, quanti significati hanno apportato e quanta
intelligenza emotiva!
Emarginando e tacitando i vecchi, boicottiamo l'avventura
della specie umana.
3.4 Quale metodo allora
A fronte di queste consapevolezze un po' tutte le scienze
umane
si stanno indirizzando verso ricerche
anche
qualitative che, utilizzando la raccolta di "storie di vita",
possano meglio leggere ed interpretare eventi che, con la
mera statistica, non sarebbero comprensibili.
Qui il metodo scientifico classico si coniuga allora con la
fenomenologia e con l'ermeneutica, diventando un
problema essenzialmente comunicativo, un problema
sempre in fieri, sempre implicante "l'io-soggetto" e "l'altro
da me".
Questa prospettiva di ricerca implica, in un'ottica di
complessità, la necessità di uno strutturarsi maieutico, la
necessità di un metodo che valorizzi l’unicità di “ogni
versione del mondo”, la necessità di occuparsi delle
narrazioni dei singoli indipendentemente dal loro stato di
salute, dall’età o dal genere, la necessità di utilizzare il
84
D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Bari, Piero Lacaita Editore, 1993, pp. 69-70.
98
metodo autobiografico come modo privilegiato per
conoscere meglio se stessi, gli altri e il mondo , Louis Smith
appropriatamente afferma che:
- “L’autobiografia nelle sue forme cangianti è al centro
degli slittamenti paradigmatici delle strutture di pensiero
nel ventesimo secolo”.- 85
Partendo dunque dalla definizione dell’ipotesi che è sottesa
a
questa
proposta
e
cioè
che,
al
momento
dell’istituzionalizzazione l’anziano perda repentinamente i
punti di riferimento utili al mantenimento, sviluppo,
integrazione della propria identità e da quel momento in poi
non abbia più la possibilità di :rielaborare ed utilizzare il
proprio passato, essere attivo nel presente, essere
propositivo, non si senta più autore della propria vita, con
delle conseguenze irreversibili sul suo stato di salute fisico,
mentale e psicologico, viene elaborato questo progetto.
Utilizzando appunto il metodo autobiografico all'interno di
una struttura maieutica, ci si propone l’obiettivo di costruire
un laboratorio in una comunità per anziani, dove si possa
recuperare e mantenere la memoria consolidando l'identità
personale, perché gli anziani possano progettare ancora e
comunque il proprio futuro ed inoltre possano contribuire
alla costruzione di affresco della memoria storica, locale e
cittadina.
E' nella struttura maieutica che anche - la narrazione
autobiografica ci offre l’apertura per sviluppare una ricerca
fondata su una pedagogia riflessiva dell'incontro,(…) ci apre
alla sfida di ri-conoscere il mondo e di riconfigurare le
relazioni sociali della conoscenza. Pratiche pedagogiche
fondate su scritti di vita, incluse le autobiografie, le
memorie, e l'autoritratto, possono rendere più facili le
articolazioni narrative su come i sistemi di potere e di
costrizione, sia sociale che familiare, saturano e
85
G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, Roma, Armando Editore,
2003, p.154.
99
compongono il linguaggio stesso, collocando ciascuno di
noi. -86
La narrazione autobiografica risulta essenziale inoltre, per
il recupero critico di valori e di conoscenze su cui si è
fondata l'evoluzione della comunità e su cui si poggia l'idea
di futuro:
- Un approccio pedagogico critico ai progetti di scrittura-divita è, credo, diretto al meglio verso la loro espressione
come atti di resistenza. Possono situare la conoscenza in
esperienze e riflessione sulle trattative spesso tese e
ambigue fra soggettività private interiorizzate e spazi e
relazioni pubbliche e intersoggettive. Sono punti di
possibile ridefinizione e identità che devono essere
sostenuti dalla partecipazione all'azione e riflessione
pubblica.(…)
L'atto autobiografico lavora per sdoppiare il sé come
oggetto di consapevolezza e intenzionalità attraverso
l'impegno dell'autore in una complessa congiunzione di
cognizione, affetto, e memoria, e lavora inoltre come
dialettica dissimulata di posizioni pubbliche e private del
soggetto, spesso giocata in modo complesso.( ...)
E' una forma di scrittura costruttiva, un atto di
mediazione che intesse lungo il proprio filo narrativo
identità disparate e disgiunzioni temporali con le loro
memorie e referenti ricontestualizzati.87
Questa ridefinizione e riconfigurazione della soggettività
implica necessariamente un’articolazione dell’impegno
politico ed etico dell’azione, ma non in un senso
trasgressivo o semplicemente utopistico privo di relazione e
valore materiale ed esperienziale nei confronti della
comunità, -ma fornisce le condizioni di possibilità per
problematizzare e discutere la soggettività, per spostare e
aggiustare le strutture, i termini, e i tropi formativi
86
G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, Roma, Armando Editore,
2003, p.154.
87
G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, op. cit. , pp.155-156.
100
dell'identità all'interno degli spazi negoziati, della valenza, e
degli atti di bilanciamento di una ( perlomeno) immaginata
comunità.88
Come ben Danilo Dolci ci rammenta:
- E' civiltà il costruire condizioni per cui ognuno possa
sbocciare e, attraverso il proprio impegno, fiorire creatura.
Altro è l'omile ammorbato dei propri rifiuti, il luogo dello
spreco, delle chiacchiere e del fumoso rumore ove i bambini
sono scandalizzati e in infinite forme violentati, ove la
scuola atomizza massificando;(…) Altro è l'omile che
forzatamente e per omissione, viene deciso altrove,
dall'esterno(…)- e altro la città che dall'intimo dei suoi
quartieri, (…) in nuove prospettive fiorisca costruita da chi
veramente ami la vita e voglia vivere.-89
3.5 Il laboratorio maieutico
Il racconto della propria storia di vita e la raccolta di storie
di vita risultano dunque rilevanti, sia come riflessione su di
sé, comprensione di sé, ricostruzione dei temi dominanti e
delle svolte significative della propria vita, presa di
coscienza della propria identità ,cura di sé, sia come
strategia per definire se stessi, la propria cultura, il proprio
“ qui e ora”, dare un senso al proprio presente e progettare
il proprio domani...
Nel nostro caso specifico, l’approccio autobiografico diventa
allora strumento di pedagogia comunicativa e maieutica in
un progetto di ricerca-azione; per ricerca-azione si intende:
- una ricerca sociale applicata, caratterizzata dal
coinvolgimento immediato del ricercatore nel processo
“d’azione”. Il suo obiettivo è di fornire un contributo, nello
88
G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, op. cit., p.167.
D. Dolci, Verso l'alba del prossimo millennio, inedito, in : T. R. Morgante, Maieutica e sviluppo
planetario in Danilo Dolci, Bari, Piero Lacaita Editore, 1992, pp. 117-118.
89
101
stesso tempo alle preoccupazioni pratiche delle persone che
si trovano in una situazione problematica ed allo sviluppo
delle scienze sociali, per una collaborazione che le collega
secondo uno schema etico reciprocamente accettabile90
La maieutica si presenta in questo caso come la
metodologia più adatta a creare un'autoanalisi attraverso
cui, ciascuno, può prendere coscienza dei bisogni e dei
problemi della comunità in cui vive ed opera e che, solo
attraverso un lavoro di cooperazione possono trovare una
risoluzione, riscoprendo l'autentica creatività di ognuno.
La maieutica dolciana, si caratterizza proprio in quanto non
solo riscoperta di sé, ricerca dell'autoconsapevolezza,
autoanalisi e conoscenza dei propri bisogni e interessi
profondi, ma anche promozione dell'agire in vista della
realizzazione di un progetto che trasformi la realtà. La
maieutica dolciana dunque va oltre il dialogo, perché
l'azione e la progettazione diventano con Danilo Dolci,
imprescindibili fasi di una metodologia che tende sempre a
trasformare i bisogni in problemi e dunque in progetti di
sviluppo sociale. Progettare infatti significa essere creativi e
liberi, sentirsi soggetti in continua evoluzione, capaci di
formulare ipotesi, realizzare, valutare e verificare i propri
propositi, i propri ideali e i propri valori.
Questo tipo di approccio, che sottintende ed implica la "cura
del sé", è particolarmente importante quando abbiamo a
che fare con strutture istituzionalizzanti come ad esempio le
Case di Riposo, nelle quali il disagio è una condizione
tangibile e quotidiana.
- Questi scenari e gli attori che li abitano ci parlano di modi
e stili di vita che lasciano tracce permanenti nel corpo e
nella mente, che trasformano il significato stesso di parole
come“ benessere” e “identità”, quindi non solo gli utenti,
ma anche gli operatori ed educatori, che a vario titolo
entrano in questi mondi, vivono concretamente e
umanamente la necessità di elaborare il disagio; per questi
90
R. N. Rapoport, Three dilemmas in action research, " Human Relation" , 5, 1970,p.499, in : S.
Mantovani ( a cura di) , La ricerca sul campo in educazione I metodi qualitativi, Milano , Bruno
Mondadori, 1998, p.167.
102
attori la cura di sé non è un lusso, un optional, ma un
bisogno vitale.
Troppo spesso siamo portati a pensare al disagio come una
condizione oggettiva e comunque oggettivabile. Nella
prospettiva fenomenologica (Bertolini, 1988; Demetrio,
1995), il disagio è invece prima di tutto un vissuto, e come
tale può essere compreso soltanto a partire dal punto di
vista del soggetto.(…)
L’origine etimologica della parole dis-agio conferma il senso
di qualcosa che non c’è, un vuoto una assenza.
Potremmo dire che il disagio è una mancata risposta ad un
bisogno od anche a un desiderio dell’essere umano.(…)
Un primo passo per comprendere il disagio consiste proprio
nel dargli un nome, dei confini, dei connotati che non sono
assoluti o generalizzabili, ma proprio perché soggettivi e
locali
hanno
una
elevata
probabilità
d’incidere
significativamente
sull’esperienza,
di
dare
forma
all'esperienza.
Un singolo attore (…) potrebbe dirci, se adeguatamente
avvicinato, che cosa è il suo disagio, qui e ora, quali sono le
condizioni e le esperienze disagianti o disagiate dal suo
punto di vista, se ci sono bisogni o desideri, per quanto
frustrati. Forse potrebbe anche indicarci percorsi possibili
per ritrovare il gusto del desiderare al di là del bisogno,
attraverso l'ascolto di sé e l'educazione interiore (Demetrio,
2000) che sono inestricabilmente connessi al dare senso.
“Se adeguatamente avvicinato…” in queste parole c’è tutta
la problematica della co-costruzione del disagio o del
problema e quindi della sua soluzione.-91
Ed è qui che il laboratorio maieutico risulta fondamentale
come luogo privilegiato dove sviluppare e valorizzare le
soggettività attraverso l'incontro e la comunicazione, dove
sperimentare pratiche comunicative che comprendono l’uso
del linguaggio, della parola scritta, oppure orale, della
conversazione e del dialogo.
91
L. Formenti, Prendersi cura di sé nel disagio: la proposta autobiografica, in: G. Concato ( a cura di) ,
Educatori in carcere, Milano, Edizioni Unicopli 2002, pp. 112-113.
103
Ancor prima di parlare delle tecniche comunicative da
mettere in campo, occorre quindi considerare che in ogni
relazione educativa, in ogni relazione d’aiuto la base
d’incontro non sta soltanto nel saper fare, ma nel sapere
essere, occorre che gli operatori credano nell’utilità della
proposta ma soprattutto occorre che la sappiano vivere.
Una tecnica è sempre una cosa, un mezzo usato per un
fine, ma se la tecnica si ferma a questi aspetti non serve a
molto; la tecnica deve essere “technè” cioè arte, quindi gli
operatori maieuti devono essere artisti, capaci cioè di
ascoltare di dare fiducia, di far ritrovare le ricchezze celate
di ciascuno individuo.
Il luogo d’incontro che chiameremo” laboratorio” dovrà
quindi avere certe caratteristiche :
- Innanzitutto sarà necessario dedicare tempo a questa
attività perché i ritmi narrativi e dialoganti prevedono
un clima “intimo” con silenzi pause e riflessioni;
- Occorrerà sempre cercare il senso di ciò che si sta
ascoltando, leggendo, narrando;
- Occorrerà trovare il modo di accogliere le diversità che
sono intra ed inter individuali, avere rispetto delle
resistenze e delle difese che gli individui metteranno in
atto;
- Anche racconti veri- falsi avranno bisogno di un clima di
accoglienza, divertimento e serenità.
Ora, siccome questo progetto mira sia a fare emergere
negli utenti alcune microprogettualità che vadano a
migliorare la dimensione del loro quotidiano, sia a costruire
un luogo privilegiato della memoria cittadina, pensiamo che
il metodo della intervista semistrutturata descritto da S.
Mantovani, sia quello che meglio può aiutarci a placare
l'ansia del " cosa fare praticamente " e che ben esso si
possa integrare con la maieutica dolciana.
Questa metodologia da un lato non è invasiva né
rigidamente predeterminata, e dall’altro focalizza comunque
alcuni temi ritenuti da fondamentali ai fini del
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
104
Nell’intervista semistrutturata, i contenuti da sviluppare
costituiscono non delle domande rigidamente prefissate, ma
piuttosto un promemoria per l’operatore che cerca
comunque di farli emergere durante il colloquio, se non
emergono spontaneamente dalla narrazione. Gli argomenti
cioè sono decisi, mentre le sequenze e le modalità di
esposizione sono lasciate alla libera scelta del soggetto.
I temi da caratterizzare riguardano :
1. La famiglia di origine, i luoghi e le persone dell’infanzia,
gli episodi salienti.
2. La scuola, il lavoro, l’amore e i sogni, gli episodi salienti
della giovinezza.
3. Il contesto lavorativo, il matrimonio, i figli, gli interessi,
gli episodi salienti.
4. I rapporti famigliari ed amicali, l’età della pensione, gli
episodi salienti della maturità.
Dalla analisi delle storie di vita raccolte, il passo successivo
sarà quello di grigliare i dati emergenti utili al
completamento del progetto, sia facendo capo a delle
categorie tipo: famiglia / scuola / lavoro/ ambiente…, sia
partendo dall’analisi degli episodi significativi per rilevare gli
interessi, i desideri , le potenzialità del soggetto, fino a
mettere a punto sia un autoritratto letterario che rimanga
come
testimonianza
intergenerazionale,
sia
una
microprogettualità da impostare e negoziare nella
conduzione del proprio quotidiano all’interno dell’istituto.
Si ritiene utile l’uso di un registratore e il conseguente
lavoro di elaborazione scritta delle narrazioni da parte degli
operatori, e ovviamente si ritiene cruciale, sia il momento
dell’ascolto delle storie altrui , sia il momento del riascolto e
messa a punto della propria storia, che il momento
interattivo preludio della progettazione di gruppo.
Sarebbe oltremodo necessario che questa esperienza fosse
proposta in parallelo, anche ad un gruppo di anziani non
105
istituzionalizzati, ma anzi integrati ed ancora attivi sul
territorio e coinvolti in forme di volontariato.
Ho pensato che l’Associazione AUSER, possa offrire un
ottimo campione di confronto dati, proprio per le marcate
differenze
anagrafiche,
sociali
e
psicologiche
che
demarcano le due realtà.
Chiaramente in questo secondo caso non si tratterà più di
un progetto di ricerca-azione, bensì di una ricerca con fini
comparativi e di implementazione della memoria storica
cittadina.
La maieutica qui favorisce uno scambio fertile
tra gli
individui e le loro culture, tra i loro vissuti e così, attraverso
l'accettazione delle reciproche diversità, si cessa di
violentarsi sulla base di presunte superiorità/inferiorità,
magari scontrandosi ed incontrandosi subito dopo in modo
nonviolento, dialettico, creativo e solidale.
- La struttura maieutica reciproca è l'organizzazione più
evoluta? Ma non vuole proporsi da modello; non può
esistere, né deve esistere un modello. E' infinita la
varietà di eventi strutturali maieutici in ambienti diversi,
età diverse, competenze e potenzialità divergenti, anche
da storie diverse.
Senza valorizzare, senza intimo
slancio per le scelte, senza esercizio nel coorganizzarsi a
un livello più ampio e profondo, senza persistere
nell'inventare, non cresce una struttura più complessa
per adempiere potenzialità necessarie alla nostra sanità.92
Ogni uomo , se rispettato nella sua "cultura", diventa
disposto ad ascoltare le voci di altri, portatori di diverse "
versioni del mondo".
Le pratiche comunicative indirizzate alla cura del sé sono
dunque miste, mescolano cioè vari linguaggi e forme del
pensiero immaginativo, connotano ambiti di esperienza
abitualmente disconnessi nella vita quotidiana.
92
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze, 1996, pg.200.
106
- La struttura maieutica reciproca ha una funzione
psicoterapeutica: scioglie " recite, maschere, menzogne,
difese e ansietà, vecchie abitudini" dal profondo più
intimo. Ove il morbo non abbia devastato, favorire il
reciproco incontrarsi nella fusione fertile degli io,
recupera l'integrità e la crescita. Sapere veramente
riconoscerci è terapeutico genuinamente.-93
L’idea centrale di questo progetto allora è che, le persone
coinvolte nel disagio percepibile e pervasivo all’interno di
quel tipo di istituto,
dovrebbero essere inserite nel
processo maieutico di
individuazione e di ricerca fin
dall’inizio, individuando i rimedi possibili, progettando e
realizzando in collaborazione con i ricercatori la azioni
necessarie per perseguirli, all'interno anch'essi , di
laboratori maieutici .
Nel laboratorio maieutico - …non esistono regole fisse ma
disponibilità, ricerca , confronto, non pretesa di insegnare e
indottrinare, non arroccarsi su false scienze, riconoscere
che l'altro oltre ad aprirsi ci ha aiutato a vedere un mondo
nuovo, gioia pur faticosa di imparare e risultare alla fine
diversi.
La maieutica è un'arte, un metodo, ma
soprattutto una profonda esperienza umana, abituarsi a
pensare coinvolti, stabilire collegamenti: in un mondo che
vuole informare, formare, indottrinare, instillare verità,
credenze, dogmi ma non stimola a vedere chiaro operando
scelte responsabili; in un mondo in cui prevale il consumo
di prodotti preconfezionati da enti, istituzioni, persone,
partiti che agiscono come se possedessero la verità.-94
Le indicazioni devono invece nascere dal contesto
collaborativo mutualmente condiviso e dunque motivante
un cambiamento, che ci consenta di dare connotati precisi
al disagio, alle paure, alle emozioni, ai conflitti, fino
all’emergere dei desideri realizzabili, ai bisogni inespressi e
dimenticati…
93
D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p. 282.
R. Fornaca Riflessioni su un poema educativo, in: D. Dolci, Palpitare di nessi, Roma, Armando, 1985,
p.267.
94
107
Queste scelte implicano decisamente la costituzione di un
gruppo di operatori che lavori in modo coeso e
collaborativo, quindi il primo obiettivo da realizzare sarà
quello della sua costituzione attraverso:
♦ La presentazione del progetto da parte del
ricercatore agli operatori coinvolti e l’analisi delle
problematiche emergenti dagli stessi
♦ La formazione del gruppo che decide di cooperare
attraverso un adesione spontanea al laboratorio
maieutico e la condivisione della metodologia
proposta
♦ La precisazione delle mete del gruppo: esse
devono essere flessibili, articolate, realistiche e
significative per tutti
♦ La formazione del gruppo alle metodologie ed agli
strumenti che si intendono utilizzare, divisione di
compiti e ruoli di ciascuno esplicitando anche
aspettative e dubbi emergenti.
♦ Il prevedere incontri ciclici per confronti e dialogo
su possibili difficoltà, conflitti problemi incontrati
dagli operatori
A questo punto i ricercatori con il gruppo degli operatori
dovrebbero essere pronti per incontrare gli utenti
dell’istituto e presentare a loro il progetto, con l’obiettivo
primario di instaurare un clima maieutico, di empatia e di
fiducia reciproca, che consenta di
sancire il “patto
autobiografico” (P. Lejeune, 1975).
3.6 La pratica autobiografica
Per dare un senso ed un significato alla progettazione
esistenziale dell'uomo nella nostra epoca, e sottrarsi
dunque alle manipolazioni ed alle massificazioni collettive
dispensate a piene mani da una società protesa ad investire
108
soltanto sulla mercificazione e sul mercato, risulta
fondamentale ripartire
dunque dalla propria interiorità,
dalla propria singolarità e attraverso il confronto con gli
altri, definire la propria identità.
Qualità della vita e qualità della formazione in questo senso
coincidono, se appunto intendiamo la formazione come
valorizzazione,
come
processo
di
perfezionamento
dell'uomo.
Ora, tra i primi prodotti nei quali noi occidentali
riconosciamo la soggettività e l'identità umana, ci sono le
narrazioni. E' nella narrazioni che da sempre l'uomo ritrova
una struttura di riferimento, un'organizzazione coerente ,
nelle narrazioni stanno i fondamenti non solo delle identità
soggettive, ma anche della nostra cultura in senso lato. La
caratteristica della narrazione è appunto quella di illustrare,
esemplificare i temi dell'esistenza umana per mezzo dei
personaggi, dei luoghi e dei fatti tipici delle storie. La nostra
mente si è evoluta all'interno di un paradigma narrativo
attraverso il quale riusciamo ad interpretare la nostra
esistenza e dare un senso e un significato alla nostra vita;
esso ci consente di coniugare il passato con il presente e
proiettare il presente nel futuro, di esprimere valori, scopi e
legami. Il narrare è quanto di più umano possa esistere e
noi lo utilizziamo ogni volta che, mettendoci in relazione
con noi stessi o con gli altri, ci troviamo di fronte alla
necessità di comprendere.
Scrive G. O. Longo:
- Da sempre gli uomini narrano e si narrano, e con questa
continua narrazione tentano di costruire un'immagine del sé
e di trovare il senso del mondo e della loro presenza nel
mondo. E in questo raccontare e raccontarsi gli eventi si
trasformano e si sublimano. I ricordi, attraverso le storie,
diventano ricordi di ricordi, in una stratificazione che si
allontana sempre più dalla concretezza primitiva per
assurgere all'astrazione della leggenda e del mito,
formando un nucleo denso e dinamico che sta al cuore del
nostro "sé". Se ci ascoltiamo con attenzione, avvertiamo un
misterioso senso d'identità personale, che si manifesta da
109
una parte in una sensazione di unità e dall'altra in una
sensazione di permanenza. L'unità è espressa dall'uso del
pronome "io" e la permanenza dall'abitudine di riferire a
questo pronome le azioni passate e i progetti futuri.
Ma i neurofisiologi ci hanno insegnato che dietro le quinte
del nostro teatro interiore si agita una molteplicità di
personaggi muti ma attivi, che emettono segnali, inviano
ordini, irradiano emozioni. Analogamente l'invarianza
temporale del sé si rivela, a un'analisi attenta, più simile a
una lenta trasmutazione che a una permanenza stabile.
Talvolta, infatti, certe azioni e certe opinioni del passato ci
appaiono appartenere a un sé ormai scomparso, cui ci lega
solo la catena delle trasformazioni che porta al nostro sé
attuale.
A questa "complessificazione" e moltiplicazione del sé ha
fatto riscontro, negli ultimi decenni, una profonda
trasformazione della scienza. La fede nel riduzionismo,
nell'oggettività e nella reversibilità sta cedendo alla
sensazione che indeterminazione e caso non siano
trascurabili sbavature di un quadro in sé nitido che
aspetterebbe solo di essere disvelato, ma siano invece
caratteri intrinseci della realtà conoscibile. A questo
mutamento di prospettiva si accompagna un recupero del
discorso polivalente e articolato della narrazione, che non
rifiuta l'ambiguità ma ne trae alimento e ricchezza.
Raccontare le storie è l'unico modo per riacquistare il
senso della Storia.-95
E' dunque inoltrandoci nella pratica del raccontare e del
raccontarsi che possiamo ricapitolare la nostra vita,
ritesserne i brandelli, e tanto più abbiamo vissuto, tanto più
aumenta il bisogno di dedicarci a questo:
- La comparsa spontanea di immagini negli anni della
vecchiaia con la sensazione di " doverci fare i conti",
riferita da molti, per me ha senso se la vedo come
un'intenzione dell'anima.(…) La rassegna della vita offre
guadagni a lungo termine che arricchiscono il carattere
95
G.O. Longo, La gerarchia di Ackermann,, Faenza, Mobydick, 1998, p. 138.
110
perché aggiungono comprensione agli eventi. Gli schemi
ricorrenti della nostra vita emergono più riconoscibili in
mezzo alle macerie dei fallimenti e alla idealizzazioni
romantiche, un po' come in un romanzo ben congegnato,
che rivela il carattere dei personaggi attraverso le loro
azioni e reazioni. La rassegna della vita in realtà non è
altro che la riscrittura (o forse la prima stesura) della
storia della nostra vita sotto forma di storie. E senza
storie non c'è trama, non c'è comprensione, non c'è arte,
non c'è carattere: soltanto abitudini, avvenimenti che
scorrono davanti agli occhi di un osservatore ozioso, una
vita che nessuno legge, una vita perduta nel viverla.-96
Eppure oggi stiamo assistendo ad un ridimensionamento
progressivo dei luoghi e dei tempi dove avveniva una
trasmissione spontanea della memoria personale e
collettiva, mentre emerge una profonda crisi del senso
della
Storia
e
quindi
dell'identità
soggettiva.
Contemporaneamente le banche dati imperversano dandoci
la sensazione di vivere in un eterno presente dove passato
e futuro sembrano retaggio di nostalgici utopisti. Ma ciò è
contrario alla natura dell'essere umano, la nostra umana
propensione è di stare dentro ad una storia ed
all'annullamento del valore della memoria ci dobbiamo
opporre fermamente: non dobbiamo permettere che una
memoria artificiale, statica e cumulativa si sostituisca alla
nostra memoria umana che è sì instabile e imperfetta, ma
fonte di indispensabile energia vitale e creatività dove il
narrare ed il narrarsi si mescolano e si intrecciano…
Così si esprime Clarissa Pinkola Estes:
- Una volta sognai di raccontare delle storie e di sentire
qualcuno che mi toccava affettuosamente il piede per
incoraggiarmi. Abbassai lo sguardo e scoprii di trovarmi
sulle spalle di una vecchia che mi teneva forte le caviglie
e mi sorrideva.
Le dissi: " No, no, vieni tu sulle mie spalle perché tu sei
vecchia ed io sono giovane".
96
J. Hillman, La forza del carattere, op. cit., pp. 142-143.
111
"No, no", insistette, "così deve essere."
Vidi che lei stava sulle spalle di una donna molto più
vecchia, che stava sulle spalle di una donna col mantello,
che stava sulle spalle di un'altra anima, che stava sulle
spalle…
Credetti alla vecchia del sogno che così deve essere. Il
nutrimento per la narrazione viene da loro che se ne
sono andate. Il narrare o ascoltare storie trae il suo
potere da una colonna di umanità unita attraverso il
tempo e lo spazio, abbigliata in modo elaborato in cenci
o in mantelli, o nella nudità dell'epoca, e piena fino a
scoppiare di vita ancora vissuta. Se unica è la fonte delle
storie e unico il "numen" delle storie, tutto sta in quella
lunga catena umana.
(…)
Le storie mettono in moto la vita interiore, e ciò è
particolarmente importante là dove la vita interiore è
spaventata, incastrata o messa alle strette. Le storie
ingrassano carrucole e pulegge, stimolano l'adrenalina, ci
mostrano la via d'uscita in basso o in alto, e aprono per
noi grandi finestre in muri prima ciechi, aperture che
conducono nella terra dei sogni, all'amore e alla
conoscenza, che ci riportano alla nostra vita vera…-97
Per aprirsi agli altri ed al futuro dobbiamo quindi partire da
noi stessi domandandoci :- Come sono arrivato fin qui?e dalla nostra storia personale dobbiamo partire per
comunicare con gli altri e con il mondo. Si tratta di mettere
in campo con una certa dose di coraggio, una nuova
intenzionalità formativa ed autoformativa che tenda sia al
recupero
delle
progettualità
individuali
,
sia
al
mantenimento delle memorie collettive attraverso una
comunicazione libera e creativa, cioè maieutica. Questo è il
nostro compito.
- Connettere, accendere scintille, dirmi come parola
autentica: coi miei occhi, il mio volto, le mie mani, con
tutto il mio essere. E' necessario apprendere a essere
97
C. P. Estes, Donne che corrono coi lupi, Como, Frassinelli Editore,1993, pp. 19-20.
112
parola: sincera, silenziosa, amorosa. Rompere le mie
croste, le mie corazze, le mie chiusure, tutto quello che
mi impedisce di comunicare. La parola incarnata diviene
fuoco e cristallo, e fiume, e mare: e tutte queste sono
parole che mi permettono divenire parola. Per me stesso
e per l'altro, gli altri.
Le parole sono uccelli che mi trasportano alle alture. Mi
conducono, ti conducono, ci conducono. Parole-occhio,
parole-mani, parole-gesto, parole-silenzio, parole-acqua.
Non mascherate: nude. Le incontro in una porta, dentro
una muraglia, nelle altezze e nelle profondità di me
stesso, di te, di noi… Questa parola strana, noi, che
contiene le più solide forze del comunicare: significa che
non sono più una parola isolata, che evapora, ma nel
mare delle molecole che si fondono.
Il nostro essere-parola è il modo di comunicarci: se è
impregnato dalla energia "che muove il sole e le altre
stelle".
Nel mondo che ancora tortura, nel mondo che ancora
si tortura.-98
Via via che ci si addentra in un progetto pedagogico, ci si
accorge che non è possibile trattare di un problema
specifico a cui si possano dare risposte specifiche,
esaurienti e definitive, perché l’analisi di un aspetto del
sociale si va a configurare come “ aspetto specifico” di un
più ampio problema che coinvolge il momento della
condizione esistenziale nella sua totalità.
Allora, guardando il problema dell’anziano sotto il profilo
delle condizioni e dei modi della sua emarginazionealienazione-esclusione, è facile accorgersi come la logica
della risposta a questo problema è la stessa logica della
risposta a problemi diversi da quelli dell’anziano.
Il tema dell’emarginazione-alienazione-esclusione, chiama
in causa il tema dell’integrazione comprendendo tutti quei
fenomeni che investono individui e gruppi deprivati della
possibilità di inserirsi pienamente nel sistema di rapporti
sociali.
98
G. Michel, in: D. Dolci, Comunicare legge della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp.69-70.
113
E’ proprio la prospettiva pedagogica che chiama
necessariamente in causa la struttura sociale in senso
sistemico: la struttura sociale identifica le condizioni reali in
cui si animano e si consumano i processi collettivi. Dunque
in questa prospettiva è la dimensione formativaautoformativa
che
inevitabilmente
emerge
come
catalizzatore delle linee possibili di azione tendenti a
modificare l’esistente.
C’è dunque, fin dal primo momento della stesura di un
progetto pedagogico, un’intenzione, un orientamento
valutativo, un giudizio, una finalità di trasformazione così
che, a livello operativo, si possono intravedere linee che
potrebbero
attenuare
l’emarginazione-alienazioneesclusione dell’anziano attraverso scelte politiche e
pedagogiche che implichino:
♦ La costruzione di una cultura del lavoro e del profitto
diversa da quella attuale.
♦ Una socializzazione pluralista ed interculturale.
♦ Una politica culturale globale aperta alla partecipazione,
contro la massificazione consumistica.
♦ Una strategia di “servizi aperti” e forme di “welfare” che
puntino alla prevenzione del bisogno e del disagio.
♦ Una formazione maieutica.
E’ in questa direzione di utopia ed immaginazione che,
anche questo piccolo progetto sul problema degli anziani
ospiti di una Casa di Riposo, può diventare come:
-…IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA CHE, DALL’ALTRA
PARTE DELL’UNIVERSO, PUO’ PROVOCARE UN’INCREDIBILE
TEMPESTA…- (M. Planck )
114
CONCLUSIONI
In un mondo stretto nella morsa devastante della guerra
preventiva e del terrorismo che dilagano alimentandosi a
vicenda; in una società connotata dall'invasione tecnologica
dirompente
nell'ambito
dell'informazione
e
della
trasmissione, fondata sull'omologazione e sul dominio; in
un momento storico in cui ci si " rimoderna" la faccia a colpi
di lifting reprimendo e rimuovendo anche la vecchiaia per
cercare di annullare ogni vulnerabilità, ogni incrinatura,
ogni divergenza mentre le identità individuali e collettive
vacillano, l'unica chance possibile per riconquistare il senso
del futuro come ben Danilo Dolci ha profetizzato, è porre la
comunicazione al centro di un nuovo paradigma formativo
per
apprendere
o
ri-apprendere
a
comunicare
creativamente.
Scriveva Danilo Dolci:
- " Le istituzioni laiche o non che si
presumono monopolio della verità, in
ogni tempo, nei secoli passati e nel
futuro cercano impedire la crescita
autentica delle persone, dei gruppi e
dei popoli.
Occorre appellarsi a chi più avverte
l'immensa
portata
di
questa
problematica per la vita del mondo, a
tutti coloro cui non sfuggono gli intimi
nessi tra la valorizzazione delle intime
risorse inesplorate, e la pace- o tra
sfruttamento e violenza, soprattutto
a chi nei diversi contesti esercita una
pur varia funzione educativa. Per
scoprire ed esprimere i dirompenti
segreti del comunicare occorre che
germinino ovunque i suoi laboratori,
consolidandosi in comuni fronti(…).99
99
D. Dolci (a cura di), Comunicare legge della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 42.
115
Ciò significa porre tutte le nostre attenzioni al dialogo,
all'ascolto e all' "altro", per alimentare ancora quella pietas,
quella sincerità, quella humanitas, quell'immaginazione, che
sono sorgenti di fratellanza, di comunione e di
riconoscimento.
Ciò significa considerare il dialogo come occasione
formativa primigenia, fonte di inedite opportunità,
possibilità, necessità, desiderio vivo e motivante a tutte le
età.
Ciò significa rompere gli schemi direttivi e lineari a cui la
nostra mente è abituata, per coinvolgerci direttamente sia
come soggetti con tutta la nostra corporeità ed interiorità,
sia come cittadini, come problema etico e sociale.
Ciò significa esprimere una forte valenza laica in una
prospettiva olistica ed ecologica che connette ogni essere
vivente alle " cose" del mondo, anzi, dell'universo.
Questa tesi vuole essere una specie di danza che,
attingendo a molte "narrazioni del mondo" che illuminati
saggi ci hanno regalato, cerca di tessere una trama
plausibile…
Sono nello sforzo, come colui che vuol comprendere con lo
sguardo l'intero creato e invece vede solo miriadi di piccole
parti del mondo o miriadi di microscopiche stelle… ma
talvolta si ha l'impressione, magari in una goccia d'acqua,
in un piccolo fiore o in un volto, di coglierne la visione
completa, anzi essenziale…
Ecco, questa mia tesi è la ricerca di uno di questi fugaci
momenti in cui l'ordine pare imporsi al disordine.
E' un contributo per la dimostrazione di come, ancora una
volta, una "narrazione del mondo"
comunicata, fra le
tante, sempre ci conforta, ci cura e ci dà la speranza
necessaria per continuare ad immaginare il futuro.
116
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