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IL MARITO DI ELENA, SAPORI E RICORDI NELL`ANTICO BORGO

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IL MARITO DI ELENA, SAPORI E RICORDI NELL`ANTICO BORGO
IL MARITO DI
ELENA,
SAPORI E
RICORDI
NELL’ANTICO
BORGO
AMATO DA
VERGA.
Atti del convegno - 27 gennaio 2015
COMUNE DI ALTAVILLA IRPINA
Assessorato alla Cultura
PRESENTAZIONE1.
La giornata di studio di oggi, è la testimonianza che la nostra comunità ha ancora tanto da scoprire ed
offrire. Questa volta, il merito va allo scrittore siciliano Giovanni Verga che con il suo romanzo “ Il marito
di Elena”, ha voluto inserire questo contesto territoriale dell’800 nel panorama della cultura italiana. Con i
vari relatori che prenderanno parte alla tavola rotonda, quindi, andremo a tracciare il percorso verista
dell’epoca. Che per certi versi è ancora attuale per i tanti episodi di cronaca nera che si verificano. Ma
prima di entrare nel contesto del romanzo, è doveroso ringraziare l’amministrazione comunale del sindaco
Mario Vanni che ha fermamente voluto questo incontro. Un ringraziamento al consiglio comunale ed
all’attuale amministrazione che con il suo impegno, dopo cinquant’anni di oblio ed abbandono, ha ridato il
magnifico palazzo De Capua a tutti gli altavillesi. Passo la parola al sindaco ed alle autorità presenti per un
breve saluto.
· La parola al dott. Alfonso Tartaglia, dirigente della Regione Campania responsabile del settore
agricolo.
· Dopo lo splendido intervento del dott. Tartaglia sulle tematiche e le risorse legate agli investimenti
nel settore agricolo, è la volta del dott. Luca Beatrice presidente del Gal Partenio a cui va il
ringraziamento per il sostegno all'iniziativa.
· Incominciamo ad entrare nel vivo della discussione con il prof. Luigi Di Giovanni che inquadrerà il
contesto storico di riferimento del romanzo, mentre poi sarà il turno della prof.ssa Antonetta
Tartaglia, già dirigente del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca Scientifica con il tema sulla
condizione femminile nel contesto storico.
· Ora, invece, la prof.ssa Adriana Di Leo già docente di Storia
Moderna e Storia della Chiesa all’Università di Salerno,
parlerà del “nuovo recupero” esperienze a confronto e spunti
per il futuro.
· Dopo questo intervento che segue il grande impegno profuso
dalla professoressa a partire dagli anni ’90 per il recupero
del patrimonio storico ed artistico locale, relazionerà il prof.
Modestino Della Sala, storico locale e studioso dei rapporti
tra Verga e Carlo Del Balzo.
· Entriamo ora nel cuore del romanzo, dapprima con la
prof.ssa Maria Di Venuta che ha seguito la riedizione critica
nazionale de “Il marito di Elena” e a concludere, la prof.
Gabriella Alfieri, presidente del comitato scientifico della
Fondazione Verga che ha curato la riedizione dell'opera con
foto di Altavilla Irpina.
I nostri ringraziamenti vanno inoltre alla: Biblioteca Provinciale di Avellino che ha concesso la visione dei
manoscritti di Verga e delle lettere tra Verga e Del balzo ed il personale della società Mediatech; Biblioteca
Comunale Angelo Caruso di Altavilla Irpina per la mostra sul documento più antico di Altavilla, ovvero una
pergamena del 1100; l’Abbazia di Montevergine per i propri prodotti e la partecipazione della Biblioteca di
Loreto di Mercogliano; Slow Food che ha curato la degustazione guidata nelle sale del palazzo e tutti gli
espositori. Un grazie di cuore a tutti i volontari che hanno favorito la realizzazione dell'iniziativa. Si ricorda,
infine, che stasera in questo salone della regina Costanza di Chiaromonte a partire dalle 19.00, vi sarà il
concerto di musica con il duo Bernardo Reppucci al violino ed Ernesto Pulignano al piano intervallato dalla
lettura di alcuni capitoli del romanzo “ Il Marito di Elena” a cura di Antonella Coscia, Antonio Caprioli e
Sandro Coscia. A seguire, uno spettacolo pirotecnico dalla collina “Torone”,visibile sul terrazzo del palazzo.
Grazie a tutti!
1
Roberto Vetrone - giornalista pubblicista de “Il Mattino”.
SALUTI ISTITUZIONALI2
"Ricominciamo da dove eravamo rimasti" disse Enzo Tortora alla sua prima puntata televisiva dopo una
lunga assenza dovuta alla bufera giudiziaria che lo travolse ingiustamente e che lo tenne lontano dagli
schermi televisivi. Si perché è proprio qui che, non a caso, si celebra questa giornata di studi. Nell'antica
dimora dei De Capua, il tempio della cultura, nel cuore del cento storico del paese. In questo luogo hanno
appreso ed insegnato le prime nozioni dello scibile umano molti cittadini tra cui il direttore didattico Antonio
Tartaglia che è qui con noi e che saluto e ringrazio per aver accettato l’invito.
Francamente non è che ci intriga più di tanto il romanzo dal punto di vista della trama ne ci appassiona il
dibattito sulle reali intenzioni di Verga circa le ragioni per cui ha scelto Altavilla. Ma è la descrizione dei
luoghi che ci attrae. Verga offre una grande opportunità al paese e traccia una via da seguire. Questa è la vera
forza del romanzo. La descrizione minuziosa dei costumi, dei sapori, delle usanze che Altavilla conserva in
parte ancora inalterate è, questa la molla vera ed il punto centrale su cui sprecare le energie critiche.
Svolgendo questa traccia, il paese e dunque Altavilla, non è in competizione con Napoli ma in alternativa in
un processo dialettico funzionale alla sua esistenza e ad una reciproca convenienza. Ecco perché oggi il
paese deve essere visto come luogo complementare alla città ed offrirsi come opportunità che la città ha per
evadere. La scelta dell'amministrazione comunale di voler intitolare una strada a Pino Daniele, espressione di
Napoli e della “irrisolta questione meridionale” che pure ci coinvolge, va nella direzione di un rafforzamento
di tali rapporti.
Non è poca cosa se una amministrazione comunale, afflitta dal quotidiano, da un bilancio demografico a
saldo negativo che espone il paese al rischio estinzione, condizionata dalla scarsità di risorse e che tira avanti
grazie al sacrificio di chi, per non incrementare la pressione fiscale, ha scelto di rinunciare alle indennità di
carica, rinunciare alla possibilità di avere dipendenti a tempo pieno, tagliare costi inutili e recuperare, con
l'internalizzazione di alcuni servizi, quell'utile d'impresa che altrimenti sarebbe andato all'esterno; riesce,
tuttavia, con successo a pensare ad altro e ricerca il corto circuito
per invertire la rotta.
Spesso, gli operatori della politica, parlano di voler importare nella
gestione della cosa pubblica modelli aziendali. La forza di una
azienda è data dalla sua organizzazione che porta a massimizzare le
cosiddette tre E (efficienza, efficacia ed economicità) cui si
aggiunge per alcuni anche una quarta E (etica), ma io dico che tutto
funziona meglio se si è mossi anche da una quinta E: entusiasmo. E
di questi tempi, per trovare entusiasmo, si è dovuti andare molto
indietro, precisamente al 1882 e cioè a quando Verga pubblicò questo interessantissimo romanzo.
Questa iniziativa inquadrata in una serie di azioni sinergiche che l'amministrazione comunale ha posto in
essere come la definizione dei regolamenti comunali che prevedono incentivi per nuovi insediamenti
abitativi e commerciali nel centro storico, abbattimento degli oneri di urbanizzazione per le ristrutturazioni
previste in quell'area, valorizzazione dei prodotti tipici con introduzione di un marchio di qualità per il
riconoscimento degli stessi, offre un ventaglio di opportunità per un serio recupero ed un concreto rilancio
generale.
Se é vero, dunque, che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, i nostri
paesi possono, solo così, continuare a sperare di vederli esauditi come è capitato a me che, oggi, ne ho potuto
vedere realizzato uno che inseguivo da tempo e che condivido con i concittadini e con tutti coloro che
fruiscono di questa struttura dopo anni di abbandono.
2
Mario Vanni - sindaco di Altavilla.
LO STATO DELL’AGRICOLTURA CON PARTICOLARE
RIFERIMENTO AL COMUNE DI ALTAVILLA IRPINA3
Tra i fattori che determinano lo sviluppo integrato del
territorio bisogna prendere in considerazione i finanziamenti e
i contributi europei nonché la promozione e valorizzazione dei
prodotti tipici.
Per quanto attiene i finanziamenti aspetto importante assume
l’ammodernamento e riqualificazione dell’azienda nonché il
ritorno dei giovani in agricoltura al fine di garantire il
ricambio generazionale.
L’agricoltura, pertanto, deve essere ecosostenibile e quindi
rispettare i requisiti in materia di ambiente, igiene e benessere
degli animali; migliorare la gestione delle risorse idriche e
l’utilizzo delle fonti energetiche alternative.
In particolare occorre diversificare il reddito nel senso che
oltre che basarsi sulla produzione e sulla qualità dei prodotti
agricoli bisogna diversificare le entrate ricorrendo alla prima
lavorazione dei prodotti, all’agriturismo, alla realizzazione di
fattorie didattiche e alla vendita della produzione collegata
alla filiera corta.
Il Comune di Altavilla Irpina ha una SAU (Superficie
Agricola Utilizzata) di circa 550 ettari e tra le colture
predominano la vite (116 ettari) e il nocciolo (324 ettari).
Già Frojo, nel 1875, annoverava Altavilla tra i comuni dove
era fortemente diffusa la viticoltura con la presenza di vitigni
a bacca bianca e nera.
Attualmente l’Amministrazione Regionale con l’Università di Napoli ha attivato un programma di recupero
di alcuni di questi vitigni in modo tale che all’uso di quelli tradizionali (Aglianico, Fiano e Greco) vanno
aggiunti altri vitigni autoctoni capaci di diversificare la produzione.
Per uno sviluppo integrato del territorio, pertanto, è necessario applicare il concetto dell’agricoltura
multifunzionale ovvero un’agricoltura sviluppata che si colleghi fortemente agli altri settori produttivi quali
il turismo, l’artigianato, la piccola e media impresa.
3
Alfonso Tartaglia - dirigente regione Campania - settore agricoltura e foresta.
SAPORI E COSTUMI4
Questa bellissima giornata di studio promossa dall’Amministrazione Comunale di Altavilla costituisce una
importante opportunità di riflessione sulle condizioni delle aree interne della nostra regione e, più in
generale, del meridione italiano.
Lo spunto che offre l’opera di Verga ci porta in effetti a riflettere su alcuni aspetti rilevanti che possono
influire sullo sviluppo di aree ancora non in grado di crescere in maniera significativa, ma in possesso delle
potenzialità necessarie, a partire da un’agricoltura basata su prodotti altamente qualificati e da un turismo di
nicchia particolarmente interessante.
Le distanze geografiche dalle più ricche aree costiere e metropolitane sono infatti rimaste immutate, ma i
tempi di percorrenza si sono ridotti tantissimo, al punto che le differenze tra la provincia e la città che si
evidenziano nel romanzo possono diventare addirittura una possibile risorsa a vantaggio delle aree meno
sviluppate urbanisticamente ma più dotate in senso paesaggistico.
I prodotti di eccellenza di questa agricoltura, con il vino come ambasciatore, possono diventare la chiave per
la promozione di un turismo interessato a coniugare natura incontaminata e bellezze
naturalistiche e storiche di livello, in un contesto comunque dotato dei servizi e delle
tecnologie moderne.
La passione di Cesare, protagonista sfortunato delle vicende che si svolgono tra
Altavilla e Napoli, culmina in una tragedia che ha diverse implicazioni, come quelle
relative alla cultura dell’epoca o al ruolo della donna in quella società; eppure la
passione resta elemento necessario, anche se non sufficiente, per promuovere la cultura
del cambiamento che rappresenta il passo determinante attraverso il quale approdare ad
una società migliore e capace di estendere il benessere di pochi a tutta la comunità.
“Il marito di Elena” continua così a farci riflettere e ad insegnarci, se non l’approdo degli sforzi dell’uomo,
di sicuro l’importanza delle passioni umane e l’ambiguità e la pericolosità che in sé portano le convenzioni
sociali.
4
Luca Beatrice - Presidente Gal Partenio.
ALTAVILLA IRPINA NEL 1881 E 18825
Le vicende raccontate nel romanzo verghiana “Il marito di Elena” sono ambientate ad Altavilla Irpina.
Come si sarebbe presentato il paese al cospetto di Giovanni Verga nel 1881?
Giungendo dalla strada Irpina, l’attuale via S. Francesco d’Assisi, avrebbe potuto trovare sulla stessa strada
un pozzo costruito proprio in quell’epoca da certo Sabino Di Giovanni.
Alla sua destra, il palazzo d’Agostino, al cui pianterreno aveva intenzione di mettere una trattoria una
signora bolognese, che aveva fatto domanda in tale senso. Poco oltre, il palazzo Caruso,
attuale sede della Biblioteca comunale. Non avrebbe incontrato Cosimo Caruso, futuro
protagonista di Adua, generale cui è dedicata la scuola media di Altavilla, in quanto proprio
in quell’anno si era iscritto all’Accademia Militare per l’artiglieria e genio di Torino.
Qualche metro più in là, avrebbe trovato, alla sua sinistra, la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo,
fresca di nuova pavimentazione, abbattuta nel 1892. Sempre alla propria sinistra, lo scrittore
avrebbe notato, alzando un po’ la testa, un edificio, l’ex monastero dei Verginiani, attuale
sede del Municipio, che all’epoca ospitava la Pretura e la Stazione dei Reali Carabinieri
(“Reali” in quanto l’Italia all’epoca era una monarchia, re d’Italia Umberto I).
Giunto a questo punto, guardando avanti, si sarebbe trovato all’inizio di Corso S. Pietro, che
avrebbe cambiato nome una prima volta in Corso Umberto I, dopo l’assassinio del re nel luglio 1900, e poi
di nuovo, dopo la seconda guerra mondiale, in Corso Garibaldi. Scendendo lungo il corso, avrebbe
oltrepassato, alla sua sinistra, una casa in cui fino a poco prima abitava un certo Alberico Crescitelli, il quale,
qualche mese prima, aveva varcato la soglia del Seminario Pontificio di Roma.
Scendendo sempre lungo il corso, cosparso di abitazioni e bettole, giunto all’attuale via Raffaele Sabatino (‘o
vico d’ospedale), il nostro Verga avrebbe visto l’ex ospedale S. Leone, che, dal 1854 ospitava la Casa
Municipale. Se fosse entrato, avrebbe trovato pochi impiegati (fra cui una guardia municipale, messi, e il
regolatore dell’orologio pubblico, sito sulla chiesa dell’Annunziata), e forse anche il sindaco, Donato Bruno,
che gestiva una delle tre farmacie del paese, destinate a diventare quattro. Fra i consiglieri avrebbe potuto
conoscere due grandi personalità altavillesi. Il primo, Feliciano Orlando, già avvocato a Napoli, seguace dei
fratelli Bandiera, si era recato tempo prima nell’Impero Ottomano (attuale Turchia), per proporre
l’installazione di una linea telegrafica. Lì visse alcuni anni, in seguito fu nominato console del Granducato di
Toscana, quindi tornò nel 1862.
Divenuto sindaco di Altavilla nel 1882, sarebbe morto poco dopo. L’altro esimio personaggio si chiamava
Federico Capone, imprenditore il cui nome è legato alle miniere di zolfo, patriota, che, proprio nel 1882
sarebbe stato eletto Deputato al Parlamento italiano.
Le impressioni ricavate dallo scrittore sul paese, le descrizioni del paesaggio, lettere varie ad amici, potevano
essere scritte e inviate dal paese, in quanto dotato di Ufficio postale.
Per assetarsi, c’era la pubblica fontana, che però non riusciva mai a soddisfare i bisogni della popolazione.
Se Verga si fosse trovato in paese durante le festività di S. Pellegrino, avrebbe sicuramente bevuto dell’acqua
della fontana Piedicastello (fontana abbascio), trasportata in paese sulle spalle di uomini e donne per
provvedere alle esigenze dei forestieri.
Proseguendo, il nostro protagonista giunto sulla via Ponte e giratosi a sinistra, avrebbe imboccato la strada
che porta alla Chiesa madre e al cosiddetto Palazzo Baronale. Qui intorno si trovava l’abitato vero e proprio,
un brulicare di gente, una ventina di sacerdoti (uno dei quali era lo zio di Cesare Dorello). Entrato nel
Palazzo Baronale, avrebbe visitato le stanze, adibite a usi diversi, una signora inferma che vi abitava, il
guardiano del carcere, le scuole. Rimanendo nel palazzo, affacciandosi da una delle finestre, avrebbe avuto
la possibilità di contemplare un panorama meraviglioso, che ancora oggi delizia gli occhi dello spettatore
fortunato.
Ecco come si presentava il paese allora, che comprendeva una popolazione di 5207 abitanti, numero
destinato a salire, almeno fino alla metà del Novecento.
5
Luigi Di Giovanni – Docente di storia e filosofia nei licei.
UN NUOVO RECUPERO6
Nonostante gli impegni presi a Cambridge, città nota non solo in Europa per la ricerca
scientifica, ho voluto aderire al cortese invito che mi è stato rivolto affinché scrivessi
alcune considerazioni da premettere alla ristampa del romanzo di Giovanni Verga “Il
marito di Elena”, pubblicato presso Treves nel 1882 e ambientato a Napoli e Altavilla
Irpina. I motivi sono legati al tempo in cui nell’Università di Salerno abbiamo
cominciato a svolgere le ricerche storiche su questo territorio dell’Irpinia e al valore
poliedrico del romanzo preso in considerazione. Il primo richiamo è unito alla nascita
dell’Università di Salerno e ai centri di ricerca voluti, dalla fine degli anni Sessanta, da
Gabriele De Rosa che ha sempre sollecitato la valorizzazione dei beni archivistici, storici
e artistici presenti nel Mezzogiorno e una ricerca di storia locale che tenesse presente i lavori di Jacques Le
Goff, Emile Poulat, Fernand Braudel, Jean Delumeau, Michel Vovelle, Jacques Revel, Rudolf Lill, Emile
Goichot. Tali aspetti sono stati sempre più approfonditi dopo il terremoto del 1980, quando il Centro Studi
per la Storia del Mezzogiorno ha promosso l’iniziativa di salvaguardare i beni culturali di vari comuni colpiti
dal sisma in Campania e Basilicata con la convenzione Università di Salerno. Il territorio di Altavilla Irpina,
negli anni successivi al tragico avvenimento, vive una fase intensa di diffuso e grande impegno civile,
situazione favorevole a far nascere una delle iniziative culturali che ogni anno organizzavo con gli studenti e
altri docenti. In particolare questa specifica sul territorio dell’Irpinia, tra didattica e ricerca, ha avuto origine
nell’anno accademico 1990-1991, quando dopo le lezioni e i colloqui utili per gli esami di storia, ci
soffermavamo a discutere del recupero e valorizzazione dei beni archivistici con studenti molto attenti e
motivati. A tale iniziativa, costantemente, sono seguiti altri approfondimenti in convegni internazionali e in
iniziative scientifiche locali che costituiscono certamente un valido sfondo per Cesare ed Elena, i
protagonisti del romanzo, durante i soggiorni ad Altavilla. L’Irpinia dalla struttura orografica per lo più
montuosa si presentava ancora dopo la metà dell’Ottocento come una delle province agricole più scarse per
reddito e risorse e la diffusa miseria rilevata dalle “carte” degli archivi locali è confermata anche dagli
elementi recuperati da Lucia Portoghesi nella cripta della chiesa principale d’Altavilla ed esposti nel Museo
“della gente senza storia”. L’antica chiesa madre, collegiata di Santa Maria Assunta in Cielo, ricordata nelle
relationes ad Limina dell’Archivio Segreto Vaticano, è luogo di profonda devozione ed è l’elemento
portante del prestigio sociale dei canonici nella tranquilla vita quotidiana. La ferrovia, che sostituisce in gran
parte il modesto commercio fluviale sul fiume Sabato, e l’ufficio postale sono tra i pochi elementi innovatori
del territorio e manifestano gli effetti di una prima forma d’industrializzazione iniziata nel 1866 con la
trasformazione di un antico mulino e con la scoperta della miniera di zolfo compiuta dall’imprenditore
Federico Capone. Un uomo di ampi interessi che, nel 1894, pubblica ad Avellino un volumetto dal titolo
“Disegni politici”. Nel testo è esposto un progetto per migliorare le condizioni sociali della popolazione che
prevedeva, anche, la riduzione del numero dei figli nelle famiglie.
Nell’ampia produzione del Verga, il riferimento al momento storico ha sempre una particolare importanza e
in questo romanzo, nell’inquadrare gli avvenimenti, segnala i vasti mutamenti avvenuti negli anni dopo il
1860, tanto che in provincia “la rivoluzione del ’60 aveva gettato il discredito sulla professione del prete”e
che lo zio canonico don Anselmo ha scelto per il nipote, orfano, la professione di avvocato educandolo e
sostenendolo non senza sacrifici.
Il racconto scorre in un quadro storico e letterario fatto di tante pennellate sia per la visita del Barone nella
proprietà di Cesare, sia per l’occasione della trottata fino al paese vicino, attuata mentre una vaga angoscia
indebolisce la felicità di Cesare. Trasferitisi a Napoli, Anna e don Liborio, accolgono gli sposi ed Elena
desidera una casa piccola ma con la scala di marmo, dove riprendere la sua vita fatta di salotti, visite, teatro,
nella quale il marito si sente a disagio. Egli soffre sia per la difficile affermazione professionale sia per una
gelosia vaga, dolorosa, umiliante. L’amore per Elena guida tutto il vivere di Cesare disposto a ogni
sacrificio pur di vederla ben vestita e felice. La sua bellezza, le adulazioni del mondo borghese e soprattutto
le attenzioni di uomini invaghitisi di lei sollecitano sempre di più la sua gelosia anche dopo la nascita di una
figlia e il miglioramento del quadro economico familiare. Ritornati ad Altavilla, per la morte della madre di
Cesare, si rinnova, in modo evidente, l’interesse sentimentale del Barone per Elena. Pertanto si compie la
6
Adriana Di Leo – docente di storia contemporanea Università di Salerno.
tragedia con l’uccisione della donna da parte del marito geloso, evento che pone non pochi quesiti sui
drammi presenti nel mondo contemporaneo. Nello sfogliare il romanzo sono evidenti l’importanza e la
centralità dei temi presenti: il rapporto città e campagna legato a una complessa eredità di fattori economici e
culturali, il ruolo della famiglia, le differenze sociali, il mondo borghese, il tradimento, la gelosia, la violenza
contro le donne, l’omicidio, mentre sullo sfondo si muove il sentimento cardine dell’amore vissuto e
articolato nelle sue varie, concrete e attuali dimensioni.
Pur non essendo compreso nel “ciclo” La Marea, divenuto poi I Vinti, tuttavia, al termine della lettura è
naturale chiedersi se sia più forte il ruolo dei protagonisti o un destino severo che vuole un suo tempo e che
individua ritmi e scelte.
La ristampa del volume permette di fare apprezzare l’arte del Verga in un romanzo meno famoso, testimonia
la concreta presenza di una valida cultura “operativa” negli amministratori locali e sollecita il rinnovo degli
studi sul territorio con creatività, ricerca e innovazione. Infatti, i luoghi citati nel testo, una volta individuati,
offrono l’occasione di un nuovo approfondimento storico, sociale e umano della comunità e l’opportunità di
creare un itinerario dedicato a Verga come realizzato ad Aliano con Carlo Levi. Si potrebbe anche utilizzare
l’elegante struttura del palazzo baronale De Capua per allestire una mostra permanente di foto e documenti
che proponga i siti descritti nel romanzo, solleciti sensazioni ed emozioni del tempo, faccia rivivere
l’ambiente e la vita quotidiana di fine Ottocento.
Sarebbe necessario pensare all’arricchimento dell’archivio della SAIM, (Società anonima Industrie
Minerarie), vera “miniera di fonti storiche” dal 1866 agli anni ’60 del Novecento, attraverso una specifica
bibliografia, ad esempio con i testi sulle attività minerarie riportati nella rivista l’Ingegnere, o anche la
rivalutazione del patrimonio di corpi di fabbriche, macchinari, magazzini, ecc., con la creazione di un Museo
di archeologia industriale in una prospettiva culturale e turistica. A Cambridge alcuni cartelloni realizzati nei
pressi della biblioteca centrale presentano molteplici iniziative d’indagini sui territori inglesi, evidenziando il
valore e l’attualità internazionale di tali studi. Citiamo le ricerche svolte sul paesaggio minerario della
Cornovaglia che l’UNESCO ha promosso, nel 2006, sito patrimonio dell’umanità destando l’attenzione di
turisti, studiosi e ricercatori verso questa parte estrema dell’Inghilterra legata nei secoli XVIII e XIX
all’industria estrattiva delle miniere di rame e stagno. Nell’indagine su “storia, memoria e territori” acquista
notevole richiamo lo studio sull’alimentazione dei minatori.
Rimane ancora valido il progetto della nascita di un centro di restauro del tessuto antico, preceduto da un
corso di formazione, partendo dalle stoffe e dai vestiti recuperati nella cripta della chiesa madre,
sull’esempio di quanto proposto in Francia nel Centre International d’Etudes des Texiles Anciens di Lyon.
Da studiosa Lucia Portoghesi aveva indicato un luogo adatto, dove unire all’attività lavorativa anche senso
artistico e amore per la storia, aspetti espressi tante volte anche nelle opere del fratello Paolo Portoghesi. In
sua compagnia, dopo un convegno a Lione, andai a vedere i vasti locali abbandonati di un antico macello e
discutemmo del programma dei lavori: un’occasione affascinante e forse irrepetibile per le sue competenze e
la sensibilità necessarie. Le suggestioni legate ai reperti sono tante per le scarpe, i monili, gli abiti e i vari tipi
di stoffe e di colori. Una vasta storia dei colori nei tessuti si svolge sotto i nostri occhi e il valore di tali
testimonianze è confermato dall’importante mostra tenutasi a Londra presso la National Gallery su Making
Colour, che, fino a settembre 2014, ha presentato i materiali per creare i colori, anche nei tessuti, dal
Medioevo alla fine del XIX secolo. In fondo visitando il Museo civico di Altavilla, dopo la lettura del
romanzo, tra le tante sollecitazioni, viene anche da chiedersi, il colore o la stoffa o il modello che Cesare e,
soprattutto, Elena avrebbero preferito.
Infine consentitemi di ringraziare gli organizzatori e i tanti ex allievi per le testimonianze di stima e di
affetto che in numerose occasioni mi sono rivolte.
VERGA E DEL BALZO7
Tornato a Napoli da un suo primo viaggio (nel corso del quale fu socio fondatore dell'Association Littéraire
Internationale) a Parigi in occasione dell' esposizione Universale del 1878, Carlo Del Balzo fondò la Rivista
nuova di scienze, lettere ed arti. Il quindicinale, stampato presso la tipografia Carluccio dal 15 febbraio 1879
al dicembre del 1881, aveva l'obiettivo di essere “crocevia di cultura, per raccogliere e far confluire le
diverse scienze e correnti letterarie. Nella “Brevis oratio” che apre il primo numero della rivista scriveva: (1)
“Napoli manca di un quindicinale di scienze, lettere ed arti. Noi con questa pubblicazione ci proponiamo di
provvedere a questo difetto del movimento intellettuale del nostro paese.
[…] Nella nostra Rivista vi sarà un po' di tutto: articoli di lettere ed arti, bozzetti, novelle,
viaggi, liriche, biografie, illustrazione di monumenti patrii, esposizione critica delle più
importanti pubblicazioni, rivista teatrale e bollettino bibliografico italiano e straniero.”
Del Balzo si dette da fare per trovare collaboratori alla rivista tramite Felice Uda, che fra
il 1878 ed il 1879 era a Napoli ed insegnava all'Istituto Univerrsitario Orientale.
Scriveva ad Angelo De Gubernatis, filologo ed orientalista ben conosciuto:
“Chiarissimo Signore,
La lettera del comune amico Felice Uda mi serve di presentazione. Un po' per essa e molto per la bontà
dell'animo suo io confido che questa mia non le giungerà importuna. Io mi son cacciato in un vero ginepraio:
dirigere qui in Napoli una “Rivista di scienze, lettere ed arti”. E' un'impresa molto ardua, ma appunto per
questo credo di meritare l'appoggio di valentuomini come lei, sempre pronti ad incoraggiare le utili ed
oneste pubblicazioni. Non le parrà immodestia la mia, se sono uscito in tale affermazione. Napoli ha bisogno
di pigliare un po' di parte più viva al movimento letterario del resto d'Italia, di conoscere e di essere
conosciuta un po' di più.
Con la “Rivista Nuova”, nella quale collaboreranno tutti i migliori ingegni italiani e giovani oscuri ma di
forte tempra - la giovane letteratura napoletana - io credo di concorrere all'opera santissima, la creazione
della vera unità della patria, l'unità morale.”(2)
Qualche giorno prima, il 18 febbraio, aveva scritto a Giovanni Verga (è la prima delle 27 lettere del
carteggio presente nella Biblioteca Provinciale di Avellino):
“Chiarissimo Signore,
[…] Io mi son messo addosso una vera croce, dirigere qui in Napoli una “Rivista Nuova di scienze, lettere ed
arti”; l'impresa è ardua, ma appunto per questo io ho bisogno dell'aiuto di tutti i valentissimi come lei. Napoli
non aveva una rivista, io tento di crearne una seria ed amena insieme. Bisogna che tutti gli Italiani si
conoscano bene per formare l'unità morale della patria. Con la “Rivista Nuova”, nella quale collaboreranno
quasi tutti i migliori ingegni italiani accanto a giovani oscuri ma di forte intelletto, io credo di concorrere per
quanto io possa alla formazione di questa vera Italia che è ne' nostri voti. In quest'opera io son certo del suo
efficace aiuto.”(3)
A scorrere così le pagine della Rivista Nuova si incontrano i nomi (li cito alla rinfusa) di Federigo Verdinois,
Michele e Felice Uda, Domenico Ciampoli, Rocco Edoardo Pagliara, Vincenzo Della Sala, Olga Ossani,
Matilde Serao, Vittorio Bersezio, Michele Caputo, Angelo De Gubernatis, Ida Del Carretto, Salvatore Farina,
Onorato Fava, Paolo Galletti, Antonio Mellusi, Emanuele Navarro Della Miraglia, Federigo Villani oltre che
i nomi di Giovanni Verga e Luigi Capuana e degli stranieri Jules Lermina e Max Nordau.
Inizialmente sia Capuana che Verga accamparono gravi motivi per rinviare la collaborazione a tempi
migliori.
Capuana scrisse:
7
Modestino Della Sala – Docente di Storia nei licei.
“Uscito da una grave e noiosa malattia colla stampa e la correzione sulle braccia del mio romanzo Giacinta
che il Brigola metterà fuori a metà del prossimo maggio, sarò certamente da Lei scusato se non mi farò vivo
pei suoi lettori prima del mio ritorno in Milano” (lettera del 13 aprile 1879).(4)
E Verga:
“Non vorrei, né potrei, assumere impegni che non fossi certo di poter mantenere, e in questo momento, oltre
quelli gravi e antichi che ci ho, attraverso un periodo così triste per l'animo mio, che non mi crederei buono a
far cosa che avesse per lo meno l'impronta del rispetto che devesi all'arte”. (lettera del 26 febbraio 1879).
Ma prometteva poi, con la lettera del 29 novembre 1879, “qualche pagina per la Rivista Nuova […] per il
prossimo gennaio.” Prometteva di inviare La Lupa, pubblicata alle pp. 69-71 del 1880, egregiamente studiata
da Giancarlo Mazzacurati in Forma ed ideologia.(5)
Carlo Del Balzo, recensendo nella sua rivista la raccolta Vita dei campi, di cui La Lupa è tanta parte,
scriveva:
“Ditemi, non vi sentite il desiderio di conoscerla questa Lupa, e di esser mangiati un po' dalle sue labbra
fresche e rosse? - E' impossibile dare in cinque righe un ritratto più completo, più efficace, più vivo. Ogni
parola è una pennellata. […] Il Verga adunque ha avuto il coraggio di eclissarsi, di scomparire nella sua
opera d'arte, che vivrà, vivrà tanto che noi non la vedremo morire. […] Il Verga è uno scrittore efficace, voi
lo conoscete; ha delle frasi incisive, sintetiche che vi si imprimono indelebilmente nella memoria, perché non
sono parole, ma sono sensazioni forti, passate veramente per la carne.”(6)
Verga inviò l'anno appresso un'altra novella, inserita poi in Novelle Rusticane, Cos'è il Re, preannunciata
così nella lettera da Milano, 14 dicembre 1880:
“Eccovi il raccontino, mandatemi, se potete, le bozze da correggere”.
Del Balzo fu particolarmente attento alla produzione dei due letterati siciliani.
Pubblicava nella rivista la novella del Capuana Storia fosca, inclusa l'anno appresso,1881, in Un bacio ed
altre novelle, la Signora Brusetti ed i versi dell'Addio, recensiva, sempre del Capuana, una per anno nella
rivista, le opere Giacinta, Studi sulla letteratura contemporanea e il predetto Un bacio ed altre novelle.
Del Verga recensiva, oltre che Vita dei campi, terminando con la formula desanctisiana “sunt lacrimae
rerum” (aveva pubblicato sulla sua rivista un sunto della famosa conferenza Zola e l'Assomoir tenuta da De
Sanctis al Circolo filologico napoletano) anche i Malavoglia.
Per quanto fosse nel complesso positivo il suo giudizio sul romanzo, Carlo Del Balzo tuttavia scriveva:
“I Malavoglia si cominciano a leggere di Malavoglia per un non so che di leccato e di studiato nello stile, per
un abuso di certi che messi ad intralciare i periodi, per un abuso di vi e di ci, per un ripetere continuo
dell'oggetto dopo di aver usato il pronome relativo, ma chi non si fa sgomentare da queste novità non felici
del Verga e prosegue, non si lamenterà al certo della sua buona volontà. Se togliete questi appunti che
imparzialmente io trovo a fare sullo stile, non per smania di fare appunti, ma perché desidero ardentemente
che il nostro valoroso romanziere torni al suo stile facile, scorrevole, nervoso, e abbandoni quei detestabili
che e certi noiosi riboboli, questo romanzo dei Malavoglia è un vero lavoro d'arte.”(7)
Si allineava alla massima parte dei recensori, tranne Francesco Torraca e Luigi Capuana, cui sembrava
oltremodo rivoluzionario quello stile verghiano che puntava a presentare il personaggio “tal quale la natura
lo ha formato, dal modo di camminare e di soffiarsi il naso”.
Una curiosità: nel manuale scolastico del Petronio, senza che ne sia citato il nome, è presente l'appunto che
Carlo Del Balzo fa, nella sua recensione, allo stile di Verga. E Verga si affannò in quella occasione ad
affermare fermamente che se avesso dovuto riscrivere i Malavoglia li avrebbe riscritti allo stesso modo, tanto
gli pareva inerente al soggetto la forma.
Del rapporto di Verga e Del Balzo sono presenti nella Biblioteca Provinciale di Avellino 27 lettere di Verga,
pubblicate da Salvatore Pescatori nella “Ruota” il settembre del 1940, e, nella Biblioteca Universitaria di
Catania, pubblicate da Giorgio Longo negli Annali della Fondazioe Verga il 1989, 24 lettere di Carlo Del
Balzo.
Nelle sue prime 13 lettere, cioè fino a quella datata 1 novembre 1881, Verga si rivolge a Carlo Del Balzo col
voi; dalla quattordicesima, datata 29 novembre 1881, col tu, in segno di quella maggior confidenza che gli
derivava dall'incontro in Napoli, nel corso del viaggio da Catania a Milano, che, nella lettera del 1°
novembre prevedeva tra il 21 e 22 di quel mese.
Fra il 1881 e il 1882 i rapporti tra i due furono molto intensi. Il 15 settembre 1881, da Milano, Verga scriveva
a Carlo Del Balzo per chiedergli “un favore di cui gli sarebbe gratissimo”, la vendita di una collezione di
monete greco-sicule, ereditata dal fratello,
per la quale avrebbe voluto un'entratura presso il direttore del
museo di Parigi o presso qualche esperto per una prima valutazione e per una successiva vendita.
Manifestava nello stesso tempo la possibilità di andare a Parigi per concludere l'affare.
E a Parigi andò poi per quell'affare ai primi di maggio 1882 insieme al fratello. Nella lettera da Milano del 7
maggio dà a Carlo Del Balzo appuntamento alla stazione parigina. In occasione di quel viaggio Verga
conobbe Edouard Rod, che fu poi il suo traduttore, preferito a Jule Lermina, che aveva tradotto Tigre Reale
su suggerimento del Del Balzo; anzi, quando comprò i biglietti del viaggio di ritorno, erano presenti Edouard
Rod e Carlo Del Balzo, secondo la lettera del 30 giugno 1882.
Per quale ragione Del Balzo era a Parigi in quegli anni?
In occasione di uno scritto, pubblicato nella Rivista Nuova, dal titolo Reveries à Madame Julie Doumerc,
Capuana scrive a Del Balzo:
“Briccone, tu dunque fai la corte a Madame Julie Doumerc! E il marito?”, e, in fondo, sempre nella lettera
da Mineo del 7 febbraio 1882:
“Scrivimi. Dammi notizie di te e degli amici. Sei innamorato? Lo temo. Sposerai? Ne ho paura! Quando? Il
più tardi che tu possa! Questo è il cordiale augurio del tuo aff.mo Luigi Capuana”.
E' questo “l'incommodo del quale Verga si duole che Carlo Del Balzo non si sia completamente ristabilito”
nella lettera del 27 febbraio 1882. E, premuroso, chiede nella lettera da Milano, 28 aprile 1882: “Dimmi
quanto tempo conti di fermarti ancora a Parigi”.
Trentatré anni fa, il 1982, in un mio opuscolo, intitolato Verga e Del Balzo. La storia vera ne Il marito di
Elena, (8) individuavo Carlo Del Balzo nel personaggio di Cesare Dorello e Julie Doumerc nel personaggio
di Elena; e Mario Cimmini, ripubblicando la lettera di Capuana a Del Balzo, da Mineo del 15 marzo 1881,
nel suo studio La Rivista nuova di Scienze, Lettere ed Arti, diceva questa mia ipotesi “suggestiva”, in una
nota a p. 138.
Ma cosa c'è dietro l'affermazione di Capuana nella lettera al Rod del 30 ottobre 1884?
“Il Marito di Elena era già scritto, in gran parte, prima che il Verga mettesse mano ai Malavoglia e si risente
un po' del passaggio che faceva in quel punto l'ingegno dell'autore; fu ripreso e terminato dopo la
pubblicazione dei Malavoglia”. (9)
In effetti, nel manoscritto del Marito di Elena custodito nel fondo Verga della Biblioteca Regionale
Universitaria di Catania (ms U. 239. 83) è evidente il lavoro del Verga per localizzare in Napoli ed Altavilla
una storia concepita inizialmente per Catania e Mineo. Verga corregge, ad esempio, nel III capitolo, “per
l'università di Catania” in “per l'università di Napoli” e, nel V capitolo, “la brezza recava il suono delle
campane di Mineo” con “di Avellino”.
Ma la testimonianza più valida per l'affermazione di Capuana che, ripeto, scriveva che il romanzo era in gran
parte finito prima dei Malavoglia, è che le ultime pagine del manoscritto sono vergate in inchiostro di
diverso colore, nero non bleu, che era il colore preferito da Verga. E la lettera da Milano del 29 novembre
del 1881, presente nella Biblioteca Provinciale di Avellino, è l'unica delle 27 scritta in inchiostro nero per cui
potrei anche congetturare che Verga, giunto a Milano il 23, non si sia trovato a disporre di inchiostro del suo
colore preferito alla fine di novembre 1881 ed abbia scritto l'ultima parte del romanzo con inchiostro nero,
terminandolo prima del 3 gennaio 1882, che è la data della lettera successiva.
Per Aurelio Navarria “la prima parte del Marito di Elena, quella probabilmente scritta prima dei Malavoglia,
per valore d'arte supera il rimanente, ripreso e finito nel 1881. Verga è preso dal senso d'irritazione che gli dà
l'adultera vana più che dalla pena per il povero marito, e alla fine, quasi voglia sottrarsi ad un compito
increscioso, butta giù delle pagine in fretta. Elena è giudicata in modo severo, implacabilmente: un tristo
animale malefico che calpesta il cuore del marito con leggerezza crudele pur di saziare la sua vanità di donna
che si sente bella, e di borghesuccia squattrinata che vuol parere nello stesso modo delle contesse e delle
duchesse vere che insieme con i titoli hanno la doratura dei ricchi proventi .”. (10)
Il senso di irritazione nei confronti dell'adultera Elena ed il giudizio severo nei suoi confronti da parte di
Verga non nascondono forse una sorta di partecipazione affettiva al dramma dell'amico Carlo, nascosto sotto
i panni di Cesare?
Ma che c'entra Altavilla, se Carlo Del Balzo è di S. Martino Valle Caudina?
Sono andato faticosamente alla ricerca dei segni di una ambientazione altavillese ma, a parte i toponimi in
precedenza citati, nulla rinvia a Napoli, Altavilla, Avellino e, debbo dirlo, a S. Martino Valle Caudina, e
molto alla Sicilia, per quanto sia suggestivo l'eco della novella verghiana di “Rosso Marpelo”, fatto da
Antonietta Tartaglia a proposito dei minatori di Altavilla (11) o il richiamo allo spuntino organizzato dal
barone Peppino durante la caccia alla beccaccia, che il sindaco Mario Vanni ha lasciato in questi giorni ad
un'agenzia di stampa. (12)
Nomi come quello di massaro Nunzio, che non aveva pagato il fitto della terra ai Dorello, (p.242) (13) e
certe essenze quali gli aranci della Rosamarina, terra dei Dorello, (p.322), rimandano sicuramente alla
Sicilia, mentre certamente irpini sono i noccioli (p.249).
Ho anche tentato una localizzazione delle famiglie presenti nel romanzo come altavillesi, con l'ausilio di
banche dati dei cognomi italiani che ne permettessero la localizzazione, sebbene solo moderna; ebbene i
Brancati, diffusissimi nell'intera Sicilia in numero di 716 e in Catania di 26, sono presenti in Avellino, ma in
tutt'altra zona, con un solo elemento per quanto diffusi in Campania in 96; i Goliano - in verità Galiano –
sono 56 in Sicilia e in Catania 7; gli Azzari - ma veramente Azzaro - sono 254 in Sicilia, 30 in Catania ed 1
in Vizzini; i Favrini – ma veramente Favrin - sono presenti solo in Veneto e in Lombardia; i Forano sono
presenti in cinque comuni piemontesi ai piedi delle Alpi.
Eppure, a rileggere il romanzo una frase mi ha colpito. Nell'accomiatare la comitiva che era andata a
trovarla, la madre del barone Peppino dice: “Ma tornate un'altra volta, quando andrete a spasso da queste
parti. Venite a S. Martino, sapete, gusteremo il vino nuovo”. (p. 262)
Per quanto la baronessa si riferisca alla stagione della vendemmia, io ho letto l'affermazione come un
accenno goliardico alla figura di Carlo Del Balzo, nativo di quel paese.
Non era inusuale tirar dentro le opere, novelle o romanzi che fossero, i sodali. Ad esempio “gli amici scrittori
[di Federico De Roberto], Capuana e Verga, che [il De Roberto] amò e rispettò quali maestri, ebbero largo
riflesso nelle sue invenzioni narrative, per cui sono personaggi di novella con falsi nomi tedeschi e italiani.
Luigi Capuana è Ludwig Kopfliche, Verga è Hans Ruthe e Guglielmo Vardara”. (14) Di Verga Federico De
Roberto, nel racconto Omissioni, scrisse:
“Questo Ruthe è l'uomo più fortunato in amore che io abbia mai conosciuto: si chiama Hans Ruthe e
possiamo chiamarlo proprio don Giovanni”.
Ad essi si possono aggiungere lo stesso De Roberto (Franz von Rodrich) e Francesco Ferlito (Friz
Eisenstein).
Ho anticipato che nel 1982 ho identificato in Cesare Dorello Carlo Del Balzo ed in Elena Julie Doumerc.
L'ho fatto utilizzando anche il romanzo del Del Balzo, Sorelle Damala, il primo dei dieci romanzi del ciclo
dei Deviati, in cui lo scrittore di S. Martino narrò a sua volta quel suo amore impetuoso e sfortunato.
Ma qui non voglio ripetermi; voglio piuttosto congetturare il perché Verga, costruendo, nel dar l'ultima
mano, il romanzo sull'amico, lo abbia localizzato in Altavilla, non in S. Martino. La localizzazione è solo
allusiva, altrimenti sarebbe stata di troppo facile decodificazione, cosa non gradita in una storia non
edificante; o c'è dell'altro?
Chi è il barone don Peppino, nel quale Verga anticipa tratti della figura del barone di Rubiera; chi era, ai
tempi dell'ultima mano data al Marito di Elena, il possidente più segnalato di Altavilla?
“Sono le case del Barone” dicevano “C'è anche la chiesa. Quei possessi di qua, di là, dappertutto, erano del
Barone, sin dove si vedevano biancheggiare delle mandre che pascolavano nelle sue terre, sin dove si udiva
la campanella della sua chiesa. Narravano [i contadini] pur quello che rendevano quelle vigne, quanto
valessero quegli oliveti, quanti capi di bestiame pascolassero nel suo, quanto misuravano quelle buone terre
in pianura che valevano 200 ducati la sarma”. (p. 257).
Verga lo conosceva?
Federigo Capone, proprietario delle miniere di zolfo di Altavilla, non era un agrario o, almeno, non era solo
quello; ma era sicuramente della compagnia di Carlo Del Balzo perché delle stesse tendenze politiche,
repubblicane e garibaldine, e perciò anch'egli in relazione stretta con Giovanni Bovio, con gli Imbriani e
Poerio.
Nel 1882 fu deputato della provincia di Avellino insieme a Girolamo Del Balzo, fratello di Carlo, e nel 1883,
in occasione del terremoto di Casamicciola, mentre Del Balzo scrisse un opuscolo venduto in favore dei
terremotati, il Capone accorse nell'isola d'Ischia con i suoi operai per portare soccorso.
E fu certamente un tombeur de femmes, perché leggo che ebbe ben 17 figli, fra legittimi e naturali.
Potrebbe essere anche per questo che Verga abbia localizzato il romanzo in Altavilla?
Dopo il 1882 le lettere di Verga a Carlo Del Balzo si vanno diradando; sono lettere di ringraziamento per
l'invio dei primi romanzi del ciclo dei Deviati, Sorelle Damala, Eredità illegittime, Dottori in Medicina,
Gente di Chiesa, fino alla fine del 1897.
Dopo i rapporti epistolari fra i due cessarono?
Non credo; ma non abbiamo testimonianze. Posso solo dire che dal 1897 gli impegni di Carlo Del Balzo
aumentarono perché, eletto al parlamento in quell'anno, sedette a Montecitorio fino al 1904, prima in
rappresentanza di Mirabella Eclano, poi di Iesi.
Note
1)
Riporto dal libro di Paola VILLANI, Carlo Del Balzo tra letteratura e politica, Napoli 2001, p. 32, con l'avvertimento che,
mentre la Villani privilegia la figura del letterato, io vedo preminente in Del Balzo l'azione politica.
2)
La lettera, datata Napoli, 25 febbraio 1879, è nella Biblioteca Nazionale di Firenze, carteggio Angelo De Gubernatis, cass.
41, n. 15, lettera 1.
La lettera è stata pubblicata per intero, insieme alle altre 19 del carteggio, nel citato libro di Paola Villani, alle pp. 238- 239.
3)
Le 27 lettere di Verga, conservate nella Biblioteca Provinciale di Avellino, sono state pubblicate da Salvatore Pescatori col
titolo Giovanni Verga: lettere inedite a Carlo Del Balzo, in La Ruota, Roma, 6 settebre 1940. Ora leggibili in Mario CIMINI, La
Rivista Nuova di Scienze, Lettere ed Arti, Roma 1997, pp. 210-218.
4)
Le Otto lettere di Luigi Capuana, da me pubblicate nel Rievocatore di Napoli nell'ottobre 1972, sono ora più facilmente
leggibili in Mario CIMINI alle pp. 131-139.
5)
Napoli 1974, pp. 142-175.
6)
a. II (1880),pp. 718-719.
7)
a. III (1881), p. 219.
8)
Atripalda 1982.
9)
Si può leggere in Jean-Jacques MARCHAND, Edouard Rod et les écrivains italiens, Geneve 1980, pp. 144- 146.
10)
Aurelio NAVARRIA, Giovanni Verga, Catania 1964, pp. 77- 78.
11)
Il lavoro delle donne nelle miniere di Altavilla e di Tufo in Meridione Sud e Nord nel Mondo, a. VIII, n. 2, aprile- giugno
2008. - Cito da p. 96: “La prima vittima delle miniere si ebbe il 16 ottobre 1874, era un ragazzo di 14 anni, che, in seguito ad un
incendio divampato nei sotterranei della miniera di Altavilla, si era “sperso”, come riportano, con linguaggio locale, le cronache del
tempo. Tale episodio colpì molto la popolazione tanto che, quando bambina accompagnata dai miei nonni o da mia madre tornavo da
Tufo ad Altavilla, passando davanti al muro che costeggia la miniera, mia nonna, facendosi il segno della croce mi sussurrava: ”Zitta,
che compare 'u russu malepilu”.
12)
L' intervista, intitolata Verga e Altavilla Irpina, il sindaco Vanni: il nostro borgo un luogo ameno, nell'Irpinia24 del 22
gennaio 2015.
13)
Le indicazioni delle pagine sono tratte d'ora in poi da Giovanni VERGA, Eros. Il Marito di Elena, a cura di Lina e Vito
Perroni, Milano 1940.
14)
Aurelio NAVARRIA, cit., pp. 11- 12.
IL MARITO DI ELENA. IL ROMANZO CAMPANO DI GIOVANNI VERGA8
Ad Altavilla Irpina, Cesare ed Elena, i due giovani protagonisti del Marito di Elena, il romanzo
del 1882 di Giovanni Verga, si rifugiano dopo una ‘romantica’ fuga da Napoli e dalla famiglia di
lei.
L’autografo testimonia di un ripensamento sulla scelta di ambientare il racconto in Campania.
Una prima, tormentata stesura situa l’azione in Sicilia, ma i contatti col Del Balzo, il viaggio di
Verga a Napoli in concomitanza con la scrittura conclusiva del nostro romanzo e il fatto che le
descrizioni paesaggistiche e sociali relative al paese e anche quelle cittadine si riferivano a realtà molto simili
e quindi interscambiabili, influirono sulla decisione di modificare l’ambientazione.
Sul Marito di Elena ha pesato negativamente la convinzione critica che abbia segnato una regressione nel
percorso verista; nonostante ciò resta un momento significativo della produzione verghiana, un cartone
preparatorio del Mastro-don Gesualdo, uno spaccato di vita paesana e cittadina rappresentato realisticamente
da uno scrittore che, svestitosi della fredda impersonalità del verista, segue con sguardo vigile e partecipato
le vicende del giovane avvocato di Altavilla e della sua frivola moglie, dal loro innamoramento fino alla
tragica conclusione. Vinti anche loro e trascinati dalla «fiumana della vita» che ne ha mortificato e stritolato
le aspettative, i sogni, le illusioni: Cesare non diventerà un principe del foro, Elena, pallida controfigura della
Emma flaubertiana, sembra avere raggiunto il suo scopo mentre ‘sfarfalleggia’, lei piccola borghesuccia, nei
salotti aristocratici napoletani o tiene soggiogato col suo fascino il barone altavillese, ma pagherà tutto
questo con una costante insoddisfazione, con l’estraneità dall’uno e dall’altro mondo e alla fine con la vita
stessa.
Molti i punti di contatto del Marito di Elena con Mastro-don Gesualdo. Elena e Cesare hanno significative
somiglianze con Gesualdo e Bianca; evidenti i legami tra Elena e la figlia di Gesualdo; quando si affaccia
sulla scena di Altavilla la baronessa madre, «una donna coi calzoni!» si pensa subito alla baronessa Rubiera;
e le terre ‘campane’ del Barone sono simili a quelle di Mazzarò, la sua «roba» è una prefigurazione di quella
di Gesualdo; Cesare e lo zio canonico guardano alla campagna con gli stessi occhi e le stesse sensazioni
dell’eroe della roba .
Nel gioco delle opposizioni che caratterizzano il romanzo - Cesare vs Elena, campagna vs città, cultura
contadina vs ceto impiegatizio - lo spazio riservato a Napoli e ad Altavilla è quasi equo, diverso l’approccio
dello scrittore: la città è caratterizzata per lo più da spazi interni, asfittici e soffocanti; il paese da rasserenanti
spazi aperti e da una campagna descritta sempre con una forte empatia. Persino Elena, la napoletana che
passeggia per i campi «colle sue toelette nuove, coi suoi ombrellini vistosi», si lascia affascinare dalla
Rosamarina, il piccolo podere di Cesare che sente immediatamente suo.
Con una circolarità sapientemente gestita, Altavilla, dopo la parentesi napoletana, torna di scena negli ultimi
due capitoli, e il lettore si ritrova a respirare nuovamente l’aria della sua piazza, viene coinvolto nelle
«chiacchiere sentite in caffè, dinanzi al banco del farmacista, nello studio del notaio» e può rivivere in pieno
l’atmosfera di un paese di fine Ottocento.
8
Maria Di Venuta – docente di filologia e letteratura italiana Università di Palermo.
UNA SCRITTURA BIFRONTE: GENERI E STILI IN PARALLELO NEL “MARITO DI ELENA”9.
Nell’esperienza letteraria di Giovanni Verga (1840-1922), etichettabile come “scrittura in doppio” per la
costante e simultanea trattazione di tematiche veristiche e mondane, Il Marito di Elena (1882) costituisce un
caso emblematico. Scritto a ridosso dei Malavoglia e quasi come risarcimento all’editore per l’insuccesso del
capolavoro, il romanzo contempera realismo sociale e psicologismo intimista, anticipando in certo modo il
Mastro-don Gesualdo, in cui si alterneranno l’idillio rusticano del padre con la contadina Diodata e l’idillio
romantico della figlia con il cugino “poeta”.
Il carattere eversivo della lingua del Verga verista rispetto alla norma aulica dominante nell’Otto-Novecento
condizionò l’accoglienza di novelle e romanzi veristi, mentre la scrittura più conformista dei testi mondani,
accordandosi con il gusto e l’orizzonte d’attesa del pubblico borghese umbertino,
assicurò a testi come Il marito di Elena un maggiore successo. Osservata da vicino,
anche la lingua del Marito di Elena rivela tuttavia la propria equidistanza dalle due
modalità di scrittura verghiana: vi si trovano accostati regionalismi e aulicismi, sia nel
lessico (strascinafaccende e alitare) che nella morfologia (egli/ei vs. lui soggetto), e
tornano intermezzi lirici già affioranti nei Malavoglia (come nel bellissimo addio di
’Ntoni) e poi diffusissimi nel Mastro (nel trillare dei grilli lontani che davano un che di
sconfinato alla campagna).
Né mancano i proverbi, trasferiti dal siciliano al napoletano grazie alla toscanizzazione
(la gallina si piuma dopo morta - sic. A jaddina si spinna quannu è morta). Il toscanismo diventa la cifra
stilistica del parlato affettato della società borghese, che costituisce la “voce narrante” dell’intera storia:
Cotesta piccina. – dicevano – ha stregato quel farfallone di Cataldi. Non s’è visto mai così accecato! (cap.
VII).
Al di là della più estrinseca funzione economica di compensare la perdita di profitti dei Malavoglia,
e di mantenere l’attività professionale del Verga scrittore Il marito di Elena rappresenta un’autentica officina
tematico-stilistica per mettere a punto il secondo romanzo dei Vinti. Vi tornano moduli sperimentati nei
precedenti capolavori veristi, sia sotto forma di potenti sineddochi descrittive (Ella, dopo che ebbe fatto
passeggiare per tutte le stradicciuole di Altavilla le sue belle tolette nuove, cap. VI).
A un’osservazione non superficiale si desume perciò la potenzialità artistica di questo romanzo che,
soffocato tra i grandi capolavori veristi, non ebbe modo e tempo di svilupparsi in un adeguato processo di
revisione. Il valore del Marito di Elena in definitiva rimane quello di testimoniarci – a un livello comunque
medio-alto – un impegno e una creatività narrativi ed espressivi inesausti fino al ripiegamento senile di un
autore che, come ebbe a dire Contini, «ha tanti linguaggi quanti sono gli strati che egli indaga, e li gestisce in
parallelo».
9
Gabriella Alfieri – presidente Comitato Scientifico Fondazione Verga – docente di storia della filologia Italiana
Università di Catania.
IL QUOTIDIANO del 01-02-2015 a cura di
Antonetta Tartaglia.
Giornata
memorabile,
quella del 27 gennaio
2015: anniversario, tra
l’altro, della morte di
Giovanni Verga, avvenuta
il 27 gennaio del 1922;
nella suggestiva cornice di
Palazzo De Capua, uno dei
più
bei
complessi
quattrocenteschi
della
Campania interna, è stato presentato il libro
di Giovanni Verga, Il marito di Elena. Il
romanzo iniziato nel 1881 fu pubblicato da
Treves nel 1882, subito dopo il fiasco dei
Malavoglia, quasi come rivalsa editoriale per
l’insuccesso dell’amato capolavoro.
In occasione del convegno è stata presentata
la ristampa dell’opera. Giovanni Verga, Il
marito di Elena, (“Biblioteca della
Fondazione Verga – Serie testi”, 1), Catania,
Fondazione Verga – Leonforte (Enna), Uno
Edizioni, 2015 – ISBN 978-88-6859-042-0;
pubblicato con il contributo del GAL –
Partenio. I passi di volta in volta citati
nell’articolo sono riportati, seguendo questa
edizione, indicandone le pagine con numeri
inclusi fra parentesi tonde.
Tale
ristampa,
fortemente
voluta
dall’amministrazione comunale, va vista,
come ha evidenziato la presidente della
Fondazione Verga professoressa, Gabriella
Alfieri, come complementare all’edizione
critica che uscirà tra pochi mesi a cura di
Maria Rita Di Venuta, nell’Edizione
nazionale delle opere di Giovanni Verga.
Negli ultimi anni, il romanzo è stato
ristampato almeno due altre volte: una negli
“Oscar classici Mondadori”, un’altra nel
2004 dalla casa editrice Mephite, di
Fortunato Iannaccone a cura di Toni
Iermano, ma entrambe le edizioni sono ora di
difficile reperibilità.
Il romanzo, ambientato tra Napoli ed
Altavilla Irpina, “paesetto aggruppato come
un branco di pecore, sotto il cielo smorto”
(cap. III, pag. 27), racconta la tormentata
vicenda sentimentale tra Cesare Dorello,
avvocato di Altavilla Irpina, nipote di don
Anselmo, canonico del paese ed Elena,
“cresciuta nel quartiere napoletano di Foria,
tra salotti e mondanità capricciosa”
(Introduzione alla ristampa di Luigi De
Magistris, Sindaco di Napoli, che ha dato il
suo patrocinio alla manifestazione, pagina
VII.)
Due storie di vita, due formazioni, due
culture di vita, diverse e differenti si
incontrano, quella di Cesare, “formatosi nella
realtà povera e contadina di Altavilla Irpina”
(pag. VII), ove aveva ricevuto un’educazione
“quasi claustrale” (pag 25) e quella di Elena e
le sorelle che “si udivano parlare inglese e
francese sul terrazzino, suonavano il piano
come se non dovessero far altro tutta la vita,
e di tanto in tanto mettevano alla finestra per
asciugare dei dipinti” (pag. 29).
Da una parte il paese e la sua campagna
descritta con una certa empatia e dall’altra la
città vista per lo più negli spazi interni
asfittici e soffocanti.
La passione tra i due sfocia nella fuitina
tipica un tempo dei paesi del Mezzogiorno e
dell’Italia insulare, ed è proprio ad Altavilla
che i due si rifugiano, dopo la romantica fuga
da Napoli e dalla famiglia di lei .
Elena, la cittadina, la napoletana, si lascia
affascinare, in una sorta di panismo
dannunziano, dallo spettacolo della natura
ircina, la donna si abbandona ai brividi tenui
ed impalpabili della terra altavillese, non in
una metamorfosi vegetale, come nell’antica
mitologia, ma compenetrandosi sciogliendosi
e fondendosi con il battito della natura.
Godeva in sentire la frescura della rugiada
sotto i piedi. Le piaceva sdraiarsi sull’erba
sempre verde, in mezzo al folto delle
macchie, nelle ore calde del meriggio,
supina, colle braccia in croce sotto l’occipite,
e bersi cogli occhi, colle labbra turgide, colle
narici palpitanti, con tutta la persona avida e
abbandonata, l’azzurro intenso del cielo, quei
profumi, quel ronzio e quel crepitìo
sommesso di tanti organismi, quella quiete
solenne in cui si sentiva l’espandersi di una
vita universale, quel canto dei vendemmiatori
che non si vedevano, tutti quei rumori e tutte
quelle voci che venivano a morire sull’alta
muraglia brulla della Rocca, , …” (cap. V,
pagg. 93 – 94)
Ben presto, però, l’idillio tra i due si
trasforma subito in irrequietudine da parte di
Elena e tormento da parte di Cesare,
tormento che porterà il protagonista ad
ammazzare la donna: “afferrandola per il
braccio,
colla
mano
ferma,
colpì
disperatamente, una due, tre volte”. (cap.
XVI, pag. 207)
Un vero e proprio femminicidio, secondo
tipici schemi al maschile proprie di certe
culture del tempo.
Questo il romanzo, di cui alcuni brani sono
stati letti la sera da Sandro Coscia ed Antonio
Caprioli intervallati dalla esecuzione di brani
di Beethoven, Mascagni e Massenet, eseguita
dai valenti maestri Bernardo Reppucci ed
Ernesto Pulignano.
Tuttavia è narrativamente difficile rendere
l’atmosfera magica che si è creata durante
tutta la giornata verghiana; se si dovesse
trovare la parola chiave che ha fatto da filo
conduttore per tutta la: manifestazione questa
è stata: Emozione.
Emozione nel risalire le scale del Palazzo,
chiamato abitualmente baronale, ritornato,
grazie all’impegno dell’Amministrazione
comunale, dopo decennî di ingiustificabile
abbandono alla comunità, tempio della
cultura altavillese: infatti, è stata a lungo la
scuola elementare cittadina. Emozione
vivissima sentita non solo, da parte delle
maestre e maestri, ma anche di tante donne,
di tutte le età, di tanti uomini, che sono
ritornati nel Palazzo dopo quasi mezzo secolo
e di tanti studenti che hanno seguito con vivo
interesse il dibattito. Il Palazzo, visto per
tanti anni solo da lontano, chiuso ed
inaccessibile, come il sinistro maniero
dell’Innominato. Finalmente è stato di nuovo
percepito come parte integrante della vita di
tutti. Il coro paesano, si è trovato, come
un’ostrica abbarbicata allo scoglio, nei luoghi
dell’infanzia dei bisnonni, dei nonni, delle
mamme e dei padri.
Emozione nel percorrere lo stesso itinerario
di Verga, la chiesa e la canonica, infatti, sono
proprio di fronte al Palazzo comitale e la casa
di famiglia del protagonista è nel centro
storico ove le viuzze medioevali mal
dividono acusticamente e visivamente le
varie abitazioni “più tardi si sentiva
l’acciottolìo delle stoviglie, gli altri rumori
delle faccenduole domestiche alle quali
attendevano le donne. E ogni sera, alla
stess’ora, si vedeva il solito lume alla finestra
dei vicini dirimpetto che si mettevano a
cenare”. (Cap. III, pag. 27).
Luigi Di Giovanni, cultore di storia locale,
nel suo intervento, facendo rivivere
l’atmosfera del paese ai tempi del soggiorno
dello scrittore, ne ha immaginato il percorso:
Lo scrittore, “giunto sulla via Ponte e giratosi
a sinistra, avrebbe imboccato la strada che
porta alla chiesa Madre e al cosiddetto
Palazzo Baronale. Qui intorno si trovava
l’abitato vero e proprio, un brulicare di gente,
una ventina di sacerdoti (uno dei quali, [don
Anselmo], era lo zio di Cesare Dorello)”.
Tale aspetto è stato sottolineato anche dal
Sindaco Mario Vanni: “la rappresentazione
letteraria ci trasporta con magistrale capacità
narrativa in un mondo raccontato che
sopravvive nei ricordi sbiaditi e nelle foto
ingiallite”(Presentazione, pag. XII)
Emozione nello scoprire la lapide di fronte
alla chiesa:.
“A GIOVANNI VERGA (1840 –
1922) Maestro magnifico dell’arte narrativa
che, tra i salotti napoletani e le ‘stradicciuole’
di Altavilla, nell’anno 1881, animò il
confronto tra i cambiamenti della città e gli
stabili canoni della vita del paese,
immaginando lo svolgersi del romanzo ‘IL
MARITO DI ELENA’ che descrive il
congegno delle passioni e ‘la pace
inalterabile del paesello’. L’Amministrazione
Comunale, il 27 gennaio 2015, in occasione
della ricorrenza della sua morte e del 133°
anniversario della prima pubblicazione
dell’opera avvenuta nel febbraio 1882 a cura
dell’editore milanese Emilio Treves, a futura
memoria, pose.”
A questo punto viene subito una domanda
spontanea. Come mai Verga ha ambientato Il
marito di Elena in Irpinia e proprio ad
Altavilla? Quali legami aveva con la nostra
terra?
La risposta è venuta soprattutto da alcuni dei
relatori, e precisamente:
- dal professor Modestino Della Sala
che aveva pubblicato ad Atripalda,
nel 1982, un opuscolo, Verga e Del
Balzo – La storia vera ne “Il marito
di Elena”;
- dalla professoressa Gabriella Alfieri,
docente di
Storia della lingua
italiana all’Università di Catania;
- dalla la professoressa Maria Rita Di
Venuta., già docente di Filologia e
Letteratura
italiana
presso
l’Università di Palermo.
Alcuni spunti di riflessione sono stati offerti
da Antonetta Tartaglia, spunti in parte già
pubblicati sulla rivista “Meridione – Sud e
Nord nel Mondo”, (anno VIII numero 2),
diretta da Guido D’Agostino, dell’Università
“Federico II” di Napoli e Presidente
dell’Istituto Campano per la Storia della
Resistenza “Vera Lombardi”. Il fascicolo
speciale, monografico, Luoghi della memoria
– memoria dei luoghi – Gli uomini e le donne
di Altavilla Irpina ricordano e raccontano, a
cura di Laura Capobianco, in cui sono state
raccolte le interviste relative alle loro ‘Storie
di vita’, un’operazione storiografica nata in
occasione della Scuola Estiva delle Donne di
Altavilla, nel 2008.
Modestino Della Sala ravvisa nell’amicizia
tra Carlo Del Balzo e Giovanni Verga la
collocazione del romanzo tra Napoli ed
Altavilla Irpina
Va ricordato anche chi sia stato il
sanmartinese Carlo Del Balzo: di famiglia di
notevoli risorse economiche, fu deputato di
idee repubblicane, ma,soprattutto, letterato,
impegnato soprattutto nel collegare le idee
presenti nella cultura europea, in particolare
francese, con l’ambiente italiano con quella
italiana .
la figlia, su sue disposizioni testamentarie,
donerà la sua ricchissima biblioteca, di
orizzonti vastissimi, alla futura “Provinciale
S. e G, Capone” di Avellino, insieme ai suoi
manoscritti ed epistolarî Di queste carte,
dopo una serie di studî del benemerito
Salvatore Pescatore – qualcuno dei quali
redatto su evidente impulso di Carlo
Muscetta – si è poi occupato a lungo il Della
Sala, pubblicando anche, in veste tipografica
forse modesta ma con grande perizia ed
acribia (che è quel poi conta), un esemplare
Catalogo dei manoscritti Del Balzo (1974),
primo volume d’una serie progettata,
quarant’anni giusti or sono, di cui non sono
poi usciti altri volumi, perché l’Ente locale
non ha mai trovato modo di rintracciare le
poche risorse economiche necessarie alla
stampa di ulteriori volumi. Fra i manoscritti
verghiani,donati sono presenti anche alcuni
testi manoscritti, ad esempio quello della
Lupa, presente appunto nella donazione Del
Balzo. Da una lettera,conservata, però, non
ad Avellino, sappiamo anzi dell’entusiasmo e
dell’ansia con cui il Verga chiedeva ad un
comune conoscente di metterlo in contatto
diretto con Del Balzo
Il romanzo inizialmente era ambientato in
Sicilia: successivamente fu collocato in
Irpinia e proprio ad Altavilla. In una lettera
del 29 maggio 1881 all’amico Luigi Capuana
lo scrittore “chiede informazioni su Mineo, le
sue campagne, alcune sue chiese” (Di
Venuta, op. cit., pag XXIV): per la
precisione, chiedeva “se a Mineo fossero
colleggiate S. Agrippina e S. Maria tutt’e
due. Se la chiesa più alta del paese fosse S.
Maria. e se dalla fornace, dalla strada per
scendere alla pianura, si rammentava, solito
limite delle loro passeggiate, si vedesse il
Campanile o i vetri della Chiesa”. (riportato
da Della Sala, op.cit.,p. 7). Inoltre, la De
Venuta osserva come “una scena al giardino
Bellini di Catania situa[sse] l’azione in
Sicilia”. ”… nelle ultime carte dove non ci
sono più correzioni il “villaggio” “il paesello
di provincia” è “Mineo” poi corretto in
“Altavilla Irpina”.
Della Sala, studioso accorto della biografia di
Carlo Del Balzo riconosce – come sotto una
trasparente patina altavillese, la iniziale trama
ideata dal Verga
fosse originariamente
ambientata in Sicilia.Tale opinione è stata
condivisa dalle due studiose siciliane,
massime esperte di studi verghiani.
Sul canovaccio iniziale, Verga colloca la
storia d’amore di Carlo Del Balzo con Julie
Doumerc, di cui restano tracce nella
produzione artistica dello scrittore di San
Martino.
A supporto dell’identificazione di Cesare
Dorello con Carlo Del Balzo e di Elena con
Julie Doumerc, Della Sala specifica “Cesare
Dorello, avvocato, è stato praticante nello
studio di un ottimo avvocato del foro
napoletano, di cui si tace il nome…, come
Carlo Del Balzo, nello studio di Enrico
Pessina; ha avuto esperienza di difensore di
minori come Carlo Del Balzo …, è di età
inferiore rispetto alla donna da lui amata …;
è irpino. Anche la nascita di Cesare in
Altavilla Irpina (anziché in S.Martino V.C.,
paese natio di Carlo Del Balzo), è spiegabile:
la localizzazione in questo caso è solo
allusiva, altrimenti il riferimento / sarebbe
stato di ovvia identificazione, cosa non
gradita in una storia non edificante.” Certo,
non poteva, a questo punto, trattandosi d’una
persona con cui era in rapporti di amicizia, e
se non di antica amicizia certo di stima
profonda e ricambiata, raccontare tutto,
ambientandolo negli stessi luoghi, con gli
stessi personaggî di contorno: scelse, allora,
un vecchio ma sempre efficace ‘trucco’
letterario, quello di raccontare una storia vera
in posti compatibili ma diversi in alcuni
aspetti,con
modifiche
nelle
stesse
caratteristiche di taluni dei personaggi:
insomma, riecheggiare il vero in un racconto
non convenzionale, non di maniera, ma
nemmeno puntuale ed inutilmente (ed anche
in modo offensivo per troppe persone)
puntuale e dettagliato. Del resto, la
trasfigurazione artistica è stata sempre una
delle cose che fanno esser diversi i poeti, gli
scrittori non banali, dagli estensori delle
pagine di pettegolezzi su personaggi,
autoproclamatisi divi e famosi, o di narratori
di cronache sanguinolente.
Quindi Verga doveva trovare un altro
contesto ove collocare la Storia: perché
proprio Altavilla tra i tanti paesi dell’Irpinia?
La motivazione è nella forte amicizia fraterna
tra Carlo Del Balzo e Federico Capone,
garibaldino, pioniere dei primi voli,
mecenate, aveva fatto venire infatti ad
Altavilla Maria Montessori ed aveva ospitato
Antonio Mellusi e proprio nel 1882 era stato
eletto deputato nelle liste dell’estrema
sinistra, come lo sarà Del Balzo;
Probabilmente, contatti tra Federico Capone
e Giovanni Verga,intermediario del Balzo ci
sono stati, anche se nell’archivio della
famiglia Capone, ormai scompaginato, non
sono stati trovati documenti in merito. Si cita
un episodio:
“La prima vittima delle miniere si
ebbe il 16 ottobre 1874, era un ragazzo di 14
anni, che,in seguito ad un incendio
divampato nei sotterranei della miniera di
Altavilla, si era ‘sperso’, come riportano, con
linguaggio locale, le cronache del tempo.
Tale episodio colpì molto la popolazione
tanto che, quando bambina accompagnata dai
miei nonni o da mia madre tornavo da Tufo
ad Altavilla, passando davanti al muro che
costeggia la miniera, mia nonna, facendosi il
segno della corce, mi sussurrava ‘Zitta, che
compare ‘u russu malepilu’. Son evidenti gli
echi verghiani di ‘Rosso Malpelo’ pubblicato
nel 1880 a sei anni di distanza dall’incidente
di Altavilla.. Tutto lascia presupporre che ci
sia stata una contaminazione letteraria tra
episodi accaduti nelle miniere siciliane ed
irpine anche per ‘Rosso Malpelo’ ”.
Contaminazione che c’ è stata anche per Il
marito di Elena come ha evidenziato la
professoressa Gabriella Alfieri, alcuni
proverbi e modi di dire sono comuni sia
all’Irpinia che alla Sicilia e citando
Gianfranco Contini “ Verga ha tanti
linguaggi quanti sono gli strati che indaga e li
gestisce in parallelo”.
GRANDISSIMO SUCCESSO PER LA MANIFESTAZIONE "IL MARITO DI ELENA" NEL
PALAZZO COMITALE
Si è tenuta ad Altavilla il 27 gennaio 2015, nell'antica dimora dei De Capua, la celebrazione della
giornata dedicata a Giovanni Verga. Una grande partecipazione di studenti e studiosi che hanno, tra
l'altro, potuto visitare l'antico palazzo ritornato al Comune dopo circa cinquant'anni di chiusura e di
abbandono.
É stata posizionata una targa ricordo in omaggio allo scrittore catanese, in pieno centro storico, che
dice: "A GIOVANNI VERGA (1840-1922) Maestro magnifico dell'arte narrativa che, tra i salotti
napoletani e le "stradicciuole" di Altavilla, nell'anno 1881, animò il confronto tra i cambiamenti
della città e gli stabili canoni della vita del paese, immaginando lo svolgersi del romanzo "IL
MARITO DI ELENA" che descrive il congegno delle passioni e "la pace inalterabile del
paesello". L'Amministrazione Comunale, il 27 gennaio 2015, in occasione della ricorrenza della
sua morte e del 133° anniversario della prima pubblicazione dell'opera avvenuta nel febbraio 1882
a
cura
dell'editore
milanese
Emilio
Treves,
a
futura
memoria,
pose".
Dopo la cerimonia ha avuto luogo la manifestazione culturale.
L'incontro è stato moderato dall'avv. Roberto Vetrone che ha spiegato come la manifestazione
punta a leggere il romanzo sotto il profilo paesaggistico nel confronto tra città (Napoli) e paese
(Altavilla) ed ha visto la partecipazione del sindaco di Altavilla dott. Mario Vanni, il presidente del
Gal Partenio dott. Luca Beatrice, il dirigente della Regione Campania dott. Alfonso Tartaglia, la
prof. Antonetta Tartaglia già dirigente del Ministero della Istruzione e Ricerca, il prof. Luigi Di
Giovanni
studioso
locale,
il
prof.
Modestino Della Sala
storico locale, la prof.
Adriana Di Leo già
docente
dell'Università
di
Salerno,
la
prof.
Maria Di Venuta della
università di Palermo
e la prof. Gabriella
Alfieri
che
è
presidente
del
comitato scientifico
della
Fondazione
Verga.
È
giunto
alla
manifestazione anche
un messaggio del
Sindaco di Napoli
dott.
Luigi
De
Magistris al collega
irpino porgendo un
saluto e dichiarandosi
«lieto che si rafforzi il
legame tra Napoli e
Altavilla
Irpina,
attraverso il racconto
di Verga e si accrescano i sentimenti di stima che accomunano i nostri cittadini».
Il sindaco Vanni, ha fatto un intervento a tutto campo, ha spiegato la scelta dell'amministrazione
comunale di voler intitolare una strada a Pino Daniele, espressione di Napoli e dalla irrisolta
questione meridionale, ha parlato della situazione dei conti comunali, del bilancio demografico e
della possibilità di poter guardare al futuro con speranza grazie a momenti come questi dove il
paese si ritrova intorno ad eventi culturali di un certo rilievo. Ha sottolineato come, in politica, la
trasposizione del modello aziendale basato sulle tre E (efficienza, efficacia ed economicità) cui si
aggiunge per alcuni anche una quarta E (l'etica), funziona solo se si è mossi anche da una quinta E:
l'entusiasmo.« E di questi tempi - ha sottolineato il sindaco- per trovarne di entusiasmo si è dovuti
andare molto indietro, precisamente al 1882 e cioè a quando Verga pubblicò questo
interessantissimo romanzo con il quale descrive luoghi, costumi e sapori che ancora sopravvivono e
che offrono una valida alternativa alla congestione dei grossi agglomerati urbani. Secondo Vanni se
é verismo che il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni, i nostri
paesi possono continuare a sperare».
A rimarcare la valenza delle azioni sinergiche sul territorio sono stati il dott. Tartaglia ed il dott.
Beatrice che dai due rispettivi osservatori operativi hanno confermato come occorra che il comune
faccia sistema che si guardi a migliorare la produttività delle proprie aziende ampliando l'azione
anche all'aspetto dell'accoglienza e della valorizzazione degli spetti turistici e culturali.
La prof. Antonetta Tartaglia ha parlato della condizione femminile, ha fatto riferimento alla
miniera ed al ruolo delle donne che vi lavoravano sottolineando la figura di Federico Capone e le
sue idee progressiste sulla proposta di legge per dare ai figli anche il cognome della madre.
Ma per il prof. Modestino Della Sala, è a Del Balzo, amico anche di Federico Capone che Verga
pensava quando descriveva Cesare Dorello, il giovane avvocato di Altavilla protagonista del
romanzo.
Il prof. Luigi Di Giovanni ha fotografato il paese nel periodo storico di riferimento (1881-1882)
immaginando cosa e chi avrebbe potuto incontrare Giovanni Verga o chiunque altro, venendo in
paese in quel tempo.
Ma come scrive la prof. Maria Di Venuta: «Non si può certo dire che l’arrivo di Elena nel paese
natale di Cesare avvenga in un clima festoso; quasi che la pioggia, la malinconia e la nebbia che lo
avvolge, rendendolo grigio e smunto sullo sfondo di un cielo scuro, prefigurino la lugubre scena
finale della loro storia che proprio lì si concluderà».
La professoressa Adriana di Leo, «visitando il Museo civico di Altavilla, dopo la lettura del
romanzo, tra le tante sollecitazioni, viene anche da chiedersi, il colore o la stoffa o il modello che
Cesare e, soprattutto, Elena avrebbero preferito».
A concludere la manifestazione è il presidente del comitato scientifico della fondazione Verga,
prof. Gabriella Alfieri che ha parlato anche della ristampa illustrata dell'opera con immagini del
posto.
«L’operazione editoriale che oggi qui presentiamo realizzata in tempo record e con estrema cura e
professionalità dal Dott. Barbera di Euno Edizioni, non è meno valida o concorrenziale a quella
dell’edizione filologicamente fondata, bensì va vista come a questa complementare, in quanto si
stanno così attuando simultaneamente i principali fini statutari della Fondazione Verga: preparare e
realizzare l’edizione critica di tutte le opere di Giovanni Verga; assumere ogni iniziativa utile [...]
per la divulgazione dell’opera verghiana e dei veristi, al fine di assicurarne la costante presenza
nella cultura contemporanea a tutti i livelli; collaborare con enti e istituzioni locali e nazionali per
valorizzare e divulgare il Verga e il verismo. Non resta perciò che auspicare che l’encomiabile e
appassionato impegno culturale del sindaco di Altavilla sia seguito da altri amministratori locali o
da responsabili della politica culturale di territori rappresentati nell’opera del Verga».
La giornata è continuata con le degustazioni guidate da Slow Food sui sapori di Altavilla; si è poi
tenuto un concerto alla memoria di violino e pianoforte con i maestri Bernardo Reppucci ed
Ernesto Pulignano intervallato dalla lettura di alcuni capitoli tratto dal romanzo verista a cura di
Antonella Coscia, Sandro Coscia ed Antonio Caprioli. In conclusione dalla terrazza dello splendido
maniero cinquecentesco, si è potuto assistere ai fuochi pirotecnici effettuati dalla collina della
Madonna del Carmine, per gli storici "Torone"toponimo attribuito ad uno dei tre colli di Altavilla.
L'amministrazione comunale ha ringraziato, per il fondamentale apporto per la realizzazione della
bella manifestazione, l'amministrazione provinciale per il supporto avuto dalla Biblioteca quella
Provinciale, che ha fornito gli antichi testi e la corrispondenza fra Verga e la famiglia Del Balzo,
magistralmente illustrati dalle operatici della società Mediatech, la storica Biblioteca del Loreto,
guidata dall’Abbazia di Montevergine e la biblioteca comunale Angelo Caruso per alcune
pergamene esposte. Il sindaco Vanni, ha infine calorosamente elogiato il lavoro dei dipendenti
comunali e dei tanti volontari che hanno alacremente lavorato, insieme alle diverse attività
commerciali.
IL MARITO DI ELENA
Riferimenti della critica
a cura del delegato alla cultura del comune di Altavilla Irpina
Egli è così poco oggettivo in questo libro, che non teme d’intervenire più d’una volta, in mezzo alla narrazione, per
disvelarci dei movimenti psichici i quali dal fatto non risultano; e perfino di precedere gli avvenimenti, annunciando con
un’esclamazione o con una riflessione qualche cosa che dovrà seguire più tardi…
Dalle Corrispondenze letterarie del <<Fanfulla della domenica>>, n. 14, 2 aprile 1882
Col Marito di Elena l’autore ci conduce in mezzo alla piccola borghesia di provincia. Ma il suo studio, in molti punti
eccellente, non raggiunge nell’insieme la necessaria vitalità artistica di cui parlo.
Luigi Capuana Per l’arte, Giannotta, Catania 1885
Col Marito di Elena respiriamo dunque nella stessa filosofia della Vita dei campi e dei Malavoglia, con un tentativo di
maggiore affinamento per quello che è il sentimento della muliebrità, quasi che l’artista idoleggi già, istintivamente, il
fantasma della duchessa di Leyra.
Luigi Russo Giovanni Verga, Laterza, Bari 1941
Con Il Marito di Elena si esaurisce, insomma, tutta la problematica verghiana del primo periodo; s’imponeva ormai la
necessità di una nuova ricerca, di un atteggiamento umano e stilistico più fermo e risoluto, meno romantico e più
pienamente veristico: l’attenzione realistica per certi ambienti di provincia dominati dalla nobiltà, le figure della
baronessa e del figlio già preludono d’altronde al mondo delle Rusticane (soprattutto a La roba) e a quello di Mastrodon Gesualdo.
Romano Luperini Pessimismo e verismo in Giovanni Verga, Liviana, Padova 1968
Il Marito di Elena ha un importanza rilevante per chiarire meglio i motivi del risentimento critico nutrito dal Verga
verso la civiltà contemporanea e che sta alla base tanto della su narrativa di stampo verista quanto di quella d’impronta
intimista, proseguita ancora oltre la scoperta del mondo popolare siciliano, sino alle ultime raccolte di novelle.
Vittorio Spinazzola Verismo e positivismo, Garzanti, Milano 1977
Il taglio sociologico come elemento di continuità rispetto all’innovazione verista; la scelta dell’ambientazione che fa da
aggancio documentario a un fenomeno di risonanza nazionale; la soggettività della narrazione che si apre al gusto
corrente, ruotando intorno a un conflitto passionale e ai suoi risvolti psicologici e moraleggianti; e infine un linguaggio
che tenta di mediare, non sempre con successo, tanta eterogeneità, sono tutti elementi che, presenti in varia misura
nell’intera produzione verghiana, affiorano quasi simultaneamente, ma senza integrarsi. Il contrasto che ne deriva è in
fondo quello che spesso oppone il romanzo ideale al romanzo possibile, e in questo senso Il marito di Elena può
diventare testimonianza di una più ampia contraddizione che il Verga, come scrittore, dovette affrontare. Ciò non toglie
nulla al valore della sua opera. Anzi, quanto più reale si rivela il processo di produzione letteraria, tanto più autentica e
vera si fa l’immagine dell’autore; e l’arte stessa, perdendo un po’ della sua sacralità, riconquista in compenso tutta la
sua forza di sofferto progetto culturale.
Maurizio Vietti Giovanni Verga – il marito di Elena, Arnaldo Mondatori Editore, Milano 1980
Si è solo tentato per il romanzo un aggancio molto epidermico alla problematica di Napoli, ex capitale del Regno, e alla
sua disastrosa situazione, che si è creduto nota a Verga dalle Lettere Meridionali di Pasquale Villari, dalla Miseria di
Napoli di Jessie White Mario, da Napoli ad occhio nudo di Renato Fucini e dalla corrispondenze della “Rassegna
settimanale”. Per questa via però si sarebbe potuto rinvenire il personaggio chiave di tutta la storia, Carlo Del Balzo,
che tra il 1880 e il 1882 con una serie di articoli – poi raccolti in volume col titolo di Napoli ed i napoletani – collaborò
alla “Illustrazione Italiana” di Treves, per l’interessamento di Giovanni Verga.
Quel giovane irpino che, “audace, sicuro del fatto suo, pronto a scrivere di arte, di viaggi, di scienze, di ogni cosa con
facondia inesauribile, dirigeva un buon giornale letterario “La rivista nuova”, nel quale troppo spesso descriveva le città
da lui visitate”, aveva infatti, dalla metà del 1879, fra i letterati napoletani un rapporto privilegiato con Giovanni Verga.
Già intensi, nel periodo della scrittura de Il Marito di Elena i rapporti fra Verga e Del Balzo furono intensissimi e si
svilupparono sul duplice piano, epistolare e diretto; culminarono in una visita, a fine novembre 1881, che Verga
nonostante la nota sua ritrosia ... rese a Napoli....
Dal febbraio 1881 circa questi - Del Balzo - aveva una relazione con una donna sposata, Julie Doumerc, per la quale
aveva perso completamente la testa, tanto da corteggiarla dalle pagine della sua “Rivista Nuova” e da dedicarle il suo
Roma, edito da Ottino l’anno seguente. Carlo Del Balzo descrisse poi quel tormentatissimo amore, che per una sua
attestazione ebbe termine solo il 1883, nel romanzo Sorelle Damala. E Verga, attento lettore nonché collaboratore della
rivista, dovette conoscere le pene dell’amico, cui già, il 15 marzo 1881, Capuana, a seguito dell’articolo Rêveries a
Madame Julie Doumerc, scriveva: “Briccone, tu fai la corte a mad. Julie Doumerc! e il marito?”....
Ma la dimostrazione che sia questa la realtà trasfigurata ne Il Marito di Elena passa attraverso l’individuazione in
Cesare e Elena Dorello, protagonisti del romanzo, di tratti comuni rispettivamente a Carlo Del Balzo e Julie Doumerc.
Modestino Della Sala Verga e Del Balzo – la storia vera ne “Il marito di Elena”, Tipografia Pellecchia, Atripalda,
Avellino 1982
Chi vuol vedere fotografata la vita di questi infelici, legga il romanzo del Verga intitolato Il marito di Elena: è una
pittura meravigliosamente vera dalla prima all’ultima riga e dà un indicibile stringimento al cuore.
Gaetano Salvemini Questione meridionale (1990)
Il paese di Altavilla Irpina è aggrappato ad una collina che domina la vasta valle sottostante, che nelle prime ore del
mattino è spesso coperta di nebbia; nella descrizione verghiana il paesaggio, pur nelle linee essenziali, presenta
analogie con quello reale.
Avellino come luogo di ambientazioni romanzesche in Verga comunque non derivava da un’estemporanea scelta o da
una casuale informazione geografica, magari ricevuta dal suo corrispondente e amico Carlo Del Balzo, letterato di San
Martino Valle Caudina, assai vicino alle teorie veriste e intraprendente mediatore tra la cultura italiana e quella
francese, oppure da una notizia o dal racconto di un fatto acquisiti nel raffinatissimo e celebrato salotto napoletano del
magistrato irpino Giovanni Masucci, sui cui divani giallo oro sedettero anche Fogazzaro e Carducci.
Tony Iermano “Altro che dolce quietarsi: il marito di Elena” di Giovanni Verga, CHRONIQUES ITALIENNES –
Université de la Sorbonne Nouvelle – Edition Web n. 10 (4/2006).
<<Il viaggiatore che passa sulla linea Benevento Avellino...>> riecheggia l'incipit della <<Roba>> di Verga: << il
viandante che andava lungo la riviera di Lentini...>> così come: <<I capelli sparsi di sottilissima polvere gialla>>
fanno pensare al Coro dell'Adelchi di Manzoni: <<Sparse le trecce morbide...>>.
Analoga impostazione si nota nel discorso che l'avvocato Cesare Caruso, sindaco di Altavilla tenne il giorno 8 ottobre
1905 a più di 500 operai per battezzare la nuova miniera:
"Lo zolfo che cacciate dalle viscere della terra è un minerale prezioso alla vita umana alla società di tutto il mondo. Voi
dunque amici, operai col vostro assiduo lavoro contribuite per due terzi alla felicità dell'uomo... non ci sono schiavi e
servi che lo vanno cercando, nostri uomini liberi, forti ed onesti, donne vigorose che innamorano per il loro lavoro
modesto e per la forza della loro virtù e bellezza, ed io mando un saluto al valoroso ingegnere Cardella che ha saputo
apprezzare la virtù della nostra buona concittadina operaia facendola sua sposa per la forza della virtù e bellezza”.
Sulla stessa scia si muove Carlo Del Balzo, amico di Capone, che, intervenendo a favore della proposta di legge che
vietava a donne e minori il lavoro notturno e stabiliva per le donne un orario massimo di 12 ore di lavoro, considerava
la necessità di salvaguardare insieme alla salute la bellezza delle donne perché <<la bellezza delle donne significa
salute dell'uomo, forza dell'uomo>>.
Più concreta ed illuminata la posizione di Federico Capone: <<La famiglia appartiene alla donna... essa è
indipendente... I figli portano immediatamente dopo il nome proprio, il casato della madre>>5.....
La prima vittima delle miniere si ebbe il 16 ottobre 1874, era un ragazzo di 14 anni, che, in seguito ad un incendio
divampato nei sotterranei delle miniere di Altavilla, si era sperso, come riportano, con linguaggio locale, le cronache del
tempo. Tale episodio colpì molto la popolazione tanto che, quando bambina accompagnata dai miei nonni o da mia
madre tornavo da Tufo ad Altavilla, passando davanti al muro che costeggia la miniera, mia nonna, facendosi il segno
della croce mi sussurrava: <<Zitta, che compare 'u russu malepilu>>. Sono evidenti gli echi verghiani di <<Rosso
Malpelo>> pubblicato nel 1880 a sei anni di distanza dall'incidente di Altavilla. Contatti fra Verga e Capone ci sono
stati probabilmente, anche se nell'archivio di famiglia, ormai scompaginato, non sono stati trovati documenti in merito.
Lo scrittore siciliano era amico di Del Balzo, come dimostra un ricco epistolario7, di quel Del Balzo che aveva trovato in
Capone un amico fraterno tanto che nel 1907 era uno dei soci della miniera. Verga, frequentava inoltre, il raffinatissimo
salotto del magistrato irpino Giovanni Masucci sui cui divani, giallo oro, sedettero anche Fogazzaro e Carducci8. Un
dato è certo, <<Il marito di Elena>> è stato ambientato ad Altavilla Irpina, il protagonista, Cesare Dorello è infatti un
giovane avvocato di Altavilla ed il paesaggio verghiano presenta analogie con quello reale di Altavilla: <<pensava alla
vasta campagna serena che si svolgeva al di là della sua finestra ad Altavilla, quella pace inalterabile del paesello in cui
i ferri di una cavalcatura e gli stivali dei contadini che risuonavano a rari intervalli sul selciato della strada avevano
qualcosa di noto e di amico>>9. Tutto lascia presupporre che ci sia stata una contaminazione letteraria tra episodi
accaduti nelle miniere siciliane ed irpine anche per <<Rosso malpelo>>.
Antonietta Tartaglia “Luoghi della memoria – memoria dei luoghi: gli Uomini e le Donne di Altavilla ricordano e
raccontano (Il lavoro delle donne nelle miniere di Altavilla e di Tufo)”di Laura Capobianco – Edizioni Scientifiche
Italiane, 2008
Un’opera del Verga che unisce il realismo del De Sanctis e il verismo è “Il Marito di Elena”, scritta nel 1882 e
localizzata in Irpinia, la terra natia del De Sanctis. La cosa interessante è che invece di collocarla in Sicilia, come tutte
le altre sue opere e personaggi, il Verga la colloca in Irpinia, ad Altavilla Irpina, forse per un omaggio al De Sanctis che
nel 1882 era ancora vivente....
Sia il De Sanctis che il Verga sono all’avanguardia dell’homo novus, che dovrebbe nascere dalle ceneri del vecchio
regime e continuare gli ideali incompiuti del Risorgimento. Il realismo del De Sanctis e il verismo del Verga sono un
prototipo di “Piano Marshall” per la ricostruzione della Nuova Italia e per immettere la vita della giovane nazione
italiana sulla “dritta via” di una repubblica di carattere costituzionale e di sovranità popolare. L’Italia e specialmente il
Mezzogiorno d’Italia, hanno già sofferto abbastanza a causa di oppressori esterni ed interni. Questa presa di coscienza
democratica da parte del De Sanctis e del Verga è una vera “spinta liberatrice” del Mezzogiorno d’Italia dai vecchi
oppressori interni ed esterni. Evita che la rivoluzione del 1860 -come Saturno- mangi i suoi stessi figli. Il siciliano Don
Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, quasi un secolo fa ha scritto la migliore ricetta -piena di realismo e
verismo- per il Sud Italia: “Il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno”.
Raffaele Di Zenzo L’Irpinia tra De Sanctis e Verga – LA CULTURA DEL CORRIERE - 2013
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