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Epidemiologia del tentativo di suicidio e dell`ideazione suicidaria
Epidemiologia del tentativo di suicidio
e dell’ideazione suicidaria
GAIA MENEGHEL*, BARBARA CORINTO,
CHIARA PAVAN, LUIGI PAVAN
NÓOς
Da un’attenta analisi della letteratura suicidologica emerge chiaramente che il comportamento suicidario deve essere inteso come un continuum in cui si dipanano comportamenti suicidari più o meno letali. Gli studi sull’epidemiologia di tali comportamenti sono numerosi, ma disomogenei. Scopo di questo articolo è quello di approfondire, in forma di review, tale letteratura e di rammentare la centralità clinica sia
dell’ideazione suicidaria che del tentativo di suicidio, essendo entrambi importanti
fattori predittivi di successivi agiti ad esito fatale e non.
IL SUICIDIO
RIASSUNTO
4:2004; 247-256
Clinica Psichiatrica-Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova
*Dipartimento di Salute Mentale, ULSS 12 Veneziana
Parole chiave: parasuicidio, tentativo di suicidio, ideazione suicidaria, epidemiologia.
SUMMARY
In the field of suicidology the analysis of the literature clearly shows that suicidal
behaviour must be viewed as a continuum, in which a panel of feelings, ideation,
planned or not planned acts may lead to a final exit progressively. In this regard many
epidemiological studies have been made; unfortunately findings are often different.
The aim of our paper is to review the above mentioned literature and to point out the
centrality of suicidal ideation and attempt as main predictors of future fatal or non
fatal acts.
Key words: parasuicide, attempted suicide, suicidal feeling, suicidal ideation, epidemiology.
247
Indirizzo per la corrispondenza: Barbara Corinto, Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Neuroscienze,
Università di Padova, Via Giustiniani 2 - 35100 Padova - Tel. 049 8213836, Fax 049 8755574,
e-mail: [email protected]
NÓOς
EPIDEMIOLOGIA DEL TENTATIVO DI
SUICIDIO E DELL’IDEAZIONE SUICIDARIA
G. MENEGHEL - B. CORINTO
C. PAVAN - L. PAVAN
INTRODUZIONE
Da un’attenta analisi della letteratura suicidologica emerge chiaramente che
il comportamento suicidario deve essere inteso come un continuum in cui si
dipanano comportamenti suicidari più o meno letali. Vi sono l’ideazione suicidaria casuale senza pianificazione, l’ideazione con pianificazione, l’autolesionismo senza intento di morte, l’autolesionismo con intenzionalità di
morte, il suicidio completo1. I comportamenti suicidari sono considerati nei
termini di una progressione da un’ideazione e pensiero suicidari ad atti compiuti (tentativo suicidario), passando attraverso desideri di morte e la possibile pianificazione di tale progetto. Tale progressione avviene in una dimensione psicopatologica che appartiene ad entrambi i sessi e che si riscontra in
tutte le fasce d’età: noia, irritabilità, aggressività e perdita del controllo degli
impulsi, elevati livelli di ostilità auto e/o eterodiretta2.
Il passaggio dall’ideazione al tentativo di suicidio è maggiore nel primo anno
dall’insorgenza di ideazione suicidaria (90% di rischio), particolarmente se il
desiderio di morte non si accompagna ad alcuna pianificazione; diversamente, in caso di presenza di una qualche progettazione, il rischio si riduce al
60% nel primo anno, ma persevera maggiormente negli anni successivi3.
Gli studi sull’epidemiologia dell’ideazione suicidaria e dei tentativi di suicidio sono numerosi, tuttavia i dati presenti in letteratura sono spesso disomogenei a causa delle diverse definizioni attribuite ai comportamenti suicidari
ed agli intervalli di tempo considerati nei vari studi di ricerca (tabella I)4.
Inoltre in molti Paesi, soprattutto del terzo mondo ed islamici, è particolarmente sentito il problema della sottostima del fenomeno sulla base della differente attenzione che riceve nelle diverse culture.
Scopo di questo articolo è quello di approfondire, in forma di review, la letteratura sull’epidemiologia del comportamento suicidario in Italia e nel
mondo, con particolare attenzione alle diverse classi di età ed ai fattori di
rischio correlati. Si vuole altresì sottolineare, essendo il processo suicidario
un continuum che va dall’ideazione al suicidio completo, l’importanza fondamentale di riconoscere all’ideazione suicidaria dignità e centralità clinica
in quanto predittiva di successivi agiti.
La ricerca bibliografica è stata svolta utilizzando materiale cartaceo ed i
database elettronici Medline, Pubmed, Psycinfo, Embase, con un ampio
range di parole chiave (parasuicidio, tentativo di suicidio, ideazione suicidaria, epidemiologia, rischio).
EPIDEMIOLOGIA DEL TENTATIVO DI SUICIDIO
I dati relativi ai tentativi di suicidio nel mondo non sono univoci come quelli
riguardanti il suicidio in quanto non esiste un unico organismo come l’Organizzazione Mondiale della Sanità deputato al monitoraggio dei tentativi suicidari che avvengono ogni anno in tutte le nazioni.
A causa delle differenze transculturali sia per quanto riguarda il trattamento
di coloro che tentano il suicidio sia per quanto riguarda la metodologia di
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Tabella I. Definizioni.
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PARASUICIDIO:
atto ad esito non fatale in cui un individuo mette in atto deliberatamente un
comportamento non abituale che, senza l’aiuto di altri, danneggia se stesso; oppure
ingestione in eccesso di una sostanza generalmente riconosciuta come terapeutica che
gli/le era stata prescritta o consigliata in dosaggio terapeutico, mirando ad ottenere, in
diretta conseguenza di ciò, un danno fisico.
NÓOς
COMPORTAMENTO AUTOLESIVO:
serie di atti direttamente ripetuti dall’individuo su se stesso, con risultato di un danno
fisico o psichico, che possono causare una cessazione prematura della vita. Si includono
sia metodi attivi, come l’automutilazione o l’ingestione di sostanze estranee, che passivi,
come il rifiutarsi di mangiare o bere o di assumere medicamenti necessari. Il termine
comportamento suicidario ad esito fatale è stato proposto per agiti dai quali esiti la
morte; comportamento suicidario ad esito non fatale è stato attribuito agli agiti dai quali
non esiti la morte. In entrambi i casi l’intenzionalità a morire non è criterio necessario;
sufficiente che il soggetto sia consapevole che l’atto compiuto può causare la morte.
IL SUICIDIO
IDEAZIONE SUICIDARIA:
cognizioni che possono variare da pensieri fugaci che la vita non meriti di essere vissuta
a progetti ben concreti e meditati di autosoppressione; situazione in cui l’individuo ha
l’idea di autosopprimersi senza arrivare però alla messa in atto dell’agito suicidario, con
un grado variabile di intensità ed elaborazione; desiderio di essere morto o un pensare
alle modalità per uccidersi.
ricerca, è molto difficile confrontare i differenti aspetti del comportamento
suicidario nei diversi Paesi. In assenza di dati nazionali affidabili, i ricercatori sono spesso costretti a servirsi di studi su popolazioni locali e studi multicentrici. Vengono qui di seguito riportati i dati forniti dai maggiori di essi.
I tassi di parasuicidio rilevati nel periodo 1970-2000 nella popolazione generale mostrano un’incidenza che va da 2,6 a 1100 per 100.000 abitanti ed un
range di prevalenza lifetime che oscilla tra 720 e 5930 per 100.000 abitanti5.
I dati nazionali americani suggeriscono come il tasso dei tentativi di suicidio
sia circa 10 volte quello del suicidio ed il tasso lifetime, tipicamente più elevato nel sesso femminile, vada da 750 a 5930 per 100.000 abitanti5-7.
Uno studio multicentrico sul parasuicidio (1734 soggetti indagati), svolto dall’OMS relativo agli anni 1989-1992 e riguardante 16 centri di 13 Paesi europei
partecipanti, ha evidenziato una sostanziale variazione dei tassi in base ai luoghi,
al sesso e alle diverse fasce d’età. Nel sesso maschile il tasso è risultato più elevato in Finlandia (314/100.000 ab.), ma anche in Inghilterra, Francia, Ungheria e
Danimarca; più basso nei Paesi dell’Europa meridionale, in particolare la Spagna
(45/100.000 ab.). Per quanto riguarda il sesso femminile, il parasuicidio è risultato più elevato in Francia (462/100.000 ab.), come pure in Inghilterra, Finlandia,
Svezia, Ungheria e Danimarca; il più basso in Spagna (69/100.000 ab.)8.
Data l’assenza di dati nazionali sul comportamento parasuicidario in Italia,
riportiamo quelli raccolti nella città di Padova (centro che ha partecipato al
WHO/EURO Multicentre Study on Parasuicide): essi sono considerati suffi249
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cientemente rappresentativi dell’Italia settentrionale, grazie alle caratteristiche sociodemografiche di tale città che condivide con quelle di molte città
del Nord. Nel quinquennio 1989-1993 il tasso parasuicidario è stato di
67,1/100.000 abitanti (inferiore rispetto ai tassi dell’Europa centro-settentrionale e sovrapponibile a quelli dell’Europa meridionale), con un rapporto M:F
di 1:1,88 ed un’età media di 40 anni in entrambi i sessi. Questi risultati sono
in linea con quanto riportato negli studi epidemiologici occidentali9.
Per quanto riguarda le fasce d’età, il picco parasuicidario è stato identificato
tra i 15 ed i 24 anni e tra i 45-54 anni, con un decremento in entrambi i sessi
tra i 35-44 anni e nella popolazione degli ultra 55enni. Gli agiti ad esito non
fatale risultano infatti più comuni nei giovani: il rapporto parasuicidi/suicidi
è di 3:1 negli anziani, mentre nei più giovani arriva anche a 100:18. Il parasuicidio è fenomeno prevalentemente giovanile: il 50% avviene tra i 15-34
anni, contro il 9% della popolazione anziana10.
L’incidenza dei tentativi di suicidio mostra un andamento inversamente proporzionale all’età: mentre l’incidenza del suicidio cresce con l’aumentare
dell’età, la tendenza dei tentativi di suicidio è opposta. La proporzione parasuicidi/suicidi completi nella popolazione anziana approssimativamente è
risultata essere di 4:1, rispetto al 15:1 per la popolazione generale ed al
200:1 per la fascia giovane. Questo confronto suggerisce come il comportamento autolesivo, spesso manipolativo, sia meno frequente nella popolazione
anziana rispetto a quella giovane-adulta11. Oltre ad essere sporadici, i tentativi di suicidio negli anziani sono molto più seri, sia in termini fisici che psicologici; si configurano spesso come “suicidi mancati” ed il “fallimento” di
un’azione suicidaria per questa fascia d’età è più spesso dovuto a circostanze
impreviste e fortuite piuttosto che a carente intenzionalità suicidaria. Diviene
pertanto d’estrema rilevanza negli anziani porre una forte attenzione all’ideazione suicidaria come probabile predittore di un successivo agito, e all’assistenza psicosociale rispetto alla fascia giovanile1,4,10-15.
Per quanto riguarda la relazione tra sesso e tentativo di suicidio i vari studi
sono concordi nel rilevare una frequenza più elevata nel sesso femminile,
indipendentemente dalla zona geografica indagata1,4,8,16. Ciò può essere la
conseguenza di una ubiquitaria maggior prevalenza del disturbo depressivo tra
le donne e di una propensione di queste a commettere gesti autolesivi come
espressione di distress e richiesta di aiuto. Per converso nel sesso maschile gli
agiti suicidari possono avere la medesima frequenza, ma maggiore intenzionalità e letalità e perciò esitare più frequentemente in suicidi riusciti. Tuttavia
secondo Hjelmeland questo concetto non è sempre generalizzabile16.
Un’analisi del comportamento suicidario in due differenti categorie di soggetti, autocritici (tesi ad avere un atteggiamento autonomo, indipendente e
critico verso di sé) e dipendenti (nel tipo di personalità), ha evidenziato come
i primi, risultati essere più frequentemente presenti nel sesso maschile,
mostrino una intenzionalità a morire, una progettualità ed una letalità nel
loro tentativo maggiori rispetto ai secondi. Le personalità “dipendenti”, più
frequentemente rappresentate nel sesso femminile, manifesterebbero una
minore intenzionalità a morire poiché metterebbero in atto agiti più impulsivi
e tendenti ad assicurare la sopravvivenza utilizzando mezzi meno letali e
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facilmente scopribili. Ne emerge la possibilità di interpretare un gesto più
incisivo e letale dei soggetti autocritici come un’esplicita e decisa evasione
da fattori stressanti intrapsichici, al contrario dei soggetti dipendenti che
comunicherebbero con modalità soft una forma generica di infelicità. Lo studio si conclude suggerendo l’importanza della conoscenza del ruolo della
personalità nell’identificare i due tipi di comportamenti suicidari17.
Infine, l’analisi delle metodiche parasuicidarie fa rilevare l’estrema diffusione tra
i tentatori di suicidio dell’abuso di farmaci (in particolare l’assunzione incongrua
a scopo suicidario di sedativi-ipnotici e, in misura minore, di antinfiammatori
non steroidei), di lesioni con oggetti appuntiti, di avvelenamento con solventi o
pesticidi; meno frequenti sono la precipitazione da luoghi elevati, le ustioni con
fuoco, il tentativo di impiccagione o di annegamento. La scelta del metodo è
influenzata da diversi fattori: la disponibilità del medesimo, l’imitazione, le tradizioni culturali, l’intenzionalità suicidaria. Tutti gli studi hanno riportato una
sostanziale differenza nei due sessi e nelle diverse classi d’età per quanto concerne la metodica: i mezzi violenti sono prediletti dagli anziani (soprattutto uomini);
i giovani preferiscono l’impiego di mezzi meno letali spesso accompagnati da
abuso alcolico; tra le donne è diffuso l’abuso di psicofarmaci1,2,18.
EPIDEMIOLOGIA DELL’IDEAZIONE SUICIDARIA
In uno studio epidemiologico condotto da Kessler et al.3 su di una popolazione
generale di 5877 soggetti di età compresa tra i 15 e 54 anni la prevalenza di ideazione suicidaria lifetime stimata era del 13,5%, di ideazione con pianificazione
del 3,9% e di tentativi di suicidio del 4,6%. Tra coloro che avevano tentato il suicidio, il 39% aveva fatto un serio tentativo scampando alla morte, il 13,3% aveva
fatto un tentativo ma con la consapevolezza che il metodo non avrebbe procurato
morte certa, il rimanente 47,3% non aveva intenzionalità di morte.
In un altro studio condotto su una popolazione adulta l’ideazione suicidaria
variava dal 2,3% al 55% nelle diverse sottopopolazioni, mentre il tentativo di
suicidio presentava frequenze comprese tra lo 0,6% ed il 2,7%19.
È stata riscontrata concordanza tra i diversi studi per quanto riguarda la diffusione dell’ideazione suicidaria nell’età adolescenziale, in particolare nella
fascia 12-17 anni4. Una ricerca condotta dalla Regione Veneto su un campione di 1413 studenti adolescenti dell’età compresa tra i 14 ed i 16 anni ed
iscritti agli istituti di scuola media superiore ha esaminato la prevalenza dell’ideazione suicidaria e la relazione con i sintomi psichiatrici. La prevalenza
dell’ideazione era del 14%, con ideazione di suicidio di discreta intensità clinica per lo più tra i soggetti di sesso femminile. Nelle ragazze prevaleva l’associazione di comportamento suicidario con depressione o problemi situazionali transitori; mentre nei maschi era più frequentemente associato a comportamenti antisociali e disturbi da abuso di sostanze19.
Altri studi hanno confermato che l’ideazione suicidaria, come il tentato suicidio, è più frequente nelle ragazze, con un rapporto di 10 a 1 rispetto ai
maschi; in questi ultimi il suicidio completo è apparso 3 volte più frequente
rispetto al sesso opposto. Questa discrepanza può dipendere da fattori esterni,
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quali le differenze nel ruolo o nelle richieste sociali, e da fattori interni, come
le differenze nello sviluppo della personalità nei due sessi. È stato rilevato che
una deficitaria capacità cognitiva di espressione verbale della sofferenza psicologica, che appare più scarsamente sviluppata negli adolescenti maschi
rispetto alle femmine, è un importante fattore di rischio suicidario. Altri autori
hanno evidenziato una elevata presenza di disadattamento scolastico e di gravi
malattie somatiche nei maschi rispetto alle femmine, con una prevalenza di
abuso di alcolici e di eventi stressanti negativi prima del tentativo di suicidio.
Gli stessi hanno ipotizzato che l’abuso di alcolici costituisca nei maschi l’equivalente della verbalizzazione di ideazione suicidaria nelle femmine.
I dati riguardanti la prevalenza dell’ideazione suicidaria nella popolazione
anziana sono modesti a causa del limitato numero di studi svolti, delle disomogenee fasce di età osservate (sopra i 70, i 75 e gli 85 anni) e delle diversità tra le aree geografiche in cui le ricerche sono state condotte (Europa del
Nord, del Sud, Nord America).
Negli studi più recenti la prevalenza lifetime di ideazione suicidaria tra gli
anziani varia da un 2,3% ad un 13,3%, fino al 15,9%. Tutte le indagini sono
concordi nel riportare un rapporto femmine/maschi di 1,5-2:1, a conferma di
come con l’aumentare dell’età anche per l’ideazione suicidaria, come per i
parasuicidi, le differenze nei due sessi si riducano e si stabilizzino. Inoltre la
letteratura sottolinea come nei soggetti senza sintomi depressivi sia estremamente eccezionale il riscontro di un franco desiderio di morte: una diagnosi
di depressione è rilevabile nel 53,8% dei casi2.
In uno studio condotto negli anni 1996-1997 in un campione padovano di
611 soggetti di 65 anni o più, il 17% del totale rispondeva affermativamente
alla domanda inerente la presenza di ideazione suicidaria, con un rapporto
femmine/maschi di 2:1. Questo studio, concordemente con la letteratura,
rilevava elevati livelli di sofferenza fisica (in particolare, dolore cronico) e di
psicopatologia tra gli “ideatori” rispetto ai “non ideatori”: tra i primi era
infatti alta la presenza di ansia, depressione e sentimenti di ostilità2.
STIMA E SOTTOSTIMA
Tra il 1950 ed il 1995 si è assistito ad un incremento dei suicidi del 49%
negli uomini e del 33% nelle donne, in particolare nella fascia di età giovane
(5-14 anni) ed anziana (> 75 anni). Il decesso per suicidio è la terza causa di
morte nella popolazione tra i 15 ed i 44 anni di entrambi i sessi, la nona nella
fascia anziana. In accordo con le stime dell’OMS, nel 2020 approssimativamente 1,53 milioni di persone moriranno per suicidio e 10-20 volte di più
compiranno un tentativo, il che significherà una morte ogni 20 secondi ed un
tentativo ogni 1-2 secondi12,20.
Nonostante i rilievi epidemiologici costituiscano un apprezzabile riferimento
per una valutazione dell’incidenza e prevalenza dei comportamenti suicidari,
diversi ordini di fattori rendono problematiche le comparazioni tra dati provenienti da nazioni diverse. Esistono differenze tra un Paese e l’altro nelle metodiche utilizzate per l’identificazione dei casi di suicidio e tentato suicidio, nella
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compilazione del certificato di morte e nella codifica della causa. Inoltre l’atteggiamento culturale nei confronti del fenomeno influisce sulle modalità di definizione del problema, sull’interpretazione dell’intenzionalità, sulle procedure
informative per la raccolta dei dati4. Ne deriva un elevato rischio di sottostima
in ogni fascia di età. Il potenziale suicidario degli adulti tende ad essere meno
visibile in quanto classe meno monitorata rispetto ai giovani, inseriti nelle
comunità scolastiche, o degli anziani, più spesso portati all’osservazione del
personale sanitario o di istituzioni21. Altri fattori che contribuiscono alla sottostima sono la mancata registrazione come tali dei decessi per suicidio o dei gesti
autolesivi presso le autorità da parte dei familiari per ragioni culturali (sentimenti di colpa o vergogna), per interessi di tipo assicurativo (mancata riscossione di polizze sulla vita), per misconoscimento ed attribuzione del decesso o
delle lesioni a cause naturali o accidentali. Altri fattori di sottostima sono il
mancato riconoscimento di agiti autolesivi indiretti quali le “erosioni suicidarie”
(il rifiuto di assumere farmaci salvavita negli anziani), il rifiuto della nutrizione,
l’abuso di alcol o droghe (per lo più nei giovani); oppure i comportamenti suicidari “mascherati”, cioè la dissimulazione di gesti parasuicidari in forma di incidente automobilistico o morti avvenute a domicilio in situazioni ambigue.
Generale è l’atteggiamento sociale di riprovazione per le condotte suicidarie;
ciò influenza l’andamento delle statistiche ufficiali favorendone la sottostima. Pare che fino ad un terzo dei comportamenti suicidari non venga riconosciuto4. È auspicabile che una sensibilizzazione crescente al fenomeno ed
una lotta allo stigma ad esso associato possa in futuro ridurre la sottostima e
faccia emergere quanto di sommerso c’è ancora in questo ambito.
FATTORI DI RISCHIO
Il più grande predittore di un suicidio è il parasuicidio, che include sia il tentativo di suicidio che le autolesioni deliberatamente inflitte con o senza intenzionalità di morte5. I primi tentativi di suicidio sono considerati fattori di
rischio forti e predittivi di suicidio futuro, soprattutto nella popolazione anziana. Più del 50% dei tentatori compie più di un tentativo e quasi il 20% lo ripete entro i 12 mesi seguenti1,2,12. I repeaters vengono definiti da alcuni autori
come “viventi in una condizione cronica di disorganizzazione personale e
sociale”. Gunnell e Frankel22 indicano che dal 30 al 47% dei suicidi completi
hanno una precedente storia di parasuicidio. Il rischio di morte per suicidio
nell’anno che segue un gesto autosoppressivo è dell’1% ma aumenta se l’episodio era già stato ripetuto in precedenza, arrivando a 100-250 volte quello
della popolazione generale e mantenendosi elevato nei successivi 8 anni23.
La letteratura è concorde nel chiarire come il rischio di recidive decresca col
passare del tempo visto il ripetersi della maggior parte degli agiti entro il
primo anno, con ulteriore aumento dell’incidenza nei primi 3 mesi e nei giorni immediatamente successivi al tentativo.
Le fasce di età più interessate per la ripetizione di un atto sono quelle tra i
25-35 anni ed oltre i 55.
La predizione di un nuovo gesto è molto difficile per l’importante ruolo gio253
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cato da fattori imprevedibili come l’impulsività del soggetto, il ricorrere di
conflitti interpersonali e sociali, modeste abilità di adattamento ad eventi
stressanti (deficit nelle capacità di coping). Rigidità cognitiva, impulsività e
disinibizione, tratti questi frequentemente associati a disfunzione del lobo
frontale, predispongono a comportamento suicidario24.
Altri significativi indicatori di rischio e fattori precipitanti il comportamento
suicidario sono la familiarità suicidaria e psichiatrica, traumi infantili quali
un’esperienza di affidamento, sentimenti di hopelessness, il sesso femminile,
l’isolamento sociale, uno status socioeconomico basso o la disoccupazione
(soprattutto se prolungata), la mancanza di un legame affettivo stabile (stato
di single, separato o divorziato), un recente cambiamento nella situazione
abitativa (soprattutto tra gli anziani è frequente il cambio di domicilio nei 12
mesi precedenti un tentativo di suicidio), l’istituzionalizzazione tra gli anziani, una storia di comportamenti criminali o di episodi di violenza familiare
negli ultimi 5 anni, una storia di trattamento psichiatrico1,4,5,15,25-27.
Hawton et al.28 hanno evidenziato come in un campione di soggetti con comportamento suicidario ripetuto il 67% dei single e il 52% dei divorziati riportasse di vivere con un partner, mentre solo il 22% viveva solo; ne ha dedotto
che i conflitti interpersonali, specialmente con il partner, potessero essere
fattori di rischio centrali.
La presenza di figli nella famiglia è risultata essere un fattore protettivo.
Predisposizione all’ideazione e all’agito suicidari è la recente insorgenza di
malattie mentali e fisiche invalidanti. Nella popolazione adulta le neoplasie,
l’ulcera, l’asma e l’AIDS appaiono incrementare significativamente le percentuali di tentativi suicidari29,30. I tentatori di suicidio affetti da patologie psichiatriche sembrano presentare, rispetto alla popolazione generale, esperienze
stressanti di vita più frequenti nel periodo precedente l’agito: difficoltà interpersonali, lavorative, finanziare, legali o insorgenza di patologie mediche31.
Dalla letteratura si evince che le patologie psichiatriche più frequentemente
rilevate nella popolazione che ha compiuto un gesto suicidario sono i disturbi
dell’umore, gli stati d’ansia (in particolare gli attacchi di panico), la schizofrenia, i disturbi di personalità, il disturbo dell’adattamento, l’abuso e la
dipendenza d’alcol e sostanze (molto comune risulta l’assunzione di alcool
immediatamente prima del gesto).
Nello specifico, la fascia adolescenziale sembra avere spesso comorbilità per
disturbi affettivi, di personalità antisociale, d’abuso o intossicazione da
sostanze e comportamenti aggressivi; la fascia adulta-anziana appare maggiormente colpita da disturbi dell’umore e patologie organiche. Ancora, i fattori di rischio più importanti osservati nel comportamento suicidario dell’adolescente sono il disturbo bipolare, il disturbo affettivo associato all’abuso
di sostanze psicoattive, la mancanza di precedenti trattamenti psichiatrici e la
disponibilità di armi da fuoco32. Gli autori concordano nell’interpretare il
gesto autolesivo nella fascia giovanile come essere stimolato da un desiderio
di liberazione da problematiche scolastiche, lavorative o relazionali. Nella
fascia adulta-anziana, invece, ruolo prevalente l’avrebbero i traumi, la presenza di patologie psichiatriche e/o fisiche.
Uno studio ha evidenziato come i senzatetto, soprattutto con comorbilità di
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Scopo di questa rassegna è stato quello di riassumere brevemente le attuali
nozioni di epidemiologia del tentativo di suicidio e dell’ideazione suicidaria. Ne
emerge chiaramente che essi sono parte di un medesimo continuum al cui estremo vi è il suicidio; che entrambi costituiscono fondamentali ed imprescindibili
fattori di rischio di un potenziale exitus suicidario; che se il tentativo di suicidio
è forte predittore di successive ripetizioni del gesto nella popolazione giovaneadulta, nell’anziano è la presenza di ideazione e pianificazione suicidaria che
deve allertare gli operatori sociosanitari dedicati alla cura della salute mentale.
Dalla nostra analisi è emersa una sostanziale difformità tra gli studi epidemiologici che hanno indagato l’ideazione e il comportamento suicidario. È auspicabile che nel futuro vengano formulati e proposti progetti di ricerca che coinvolgano zone geografiche più vaste ed ancora più nazioni contemporaneamente, utilizzando metodi di indagine e di valutazione omogenei. I risultati che ne conseguirebbero sarebbero ancora più precisi ed attendibili degli attuali e renderebbero più efficace il disegno e l’attuazione di programmi di prevenzione del suicidio nella popolazione generale e nelle sottopopolazioni a maggior rischio.
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CONCLUSIONE
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malattie mentali, siano particolarmente a rischio di comportamento suicidario. Tuttavia, in questa sottopopolazione pare prevalere l’ideazione suicidaria
piuttosto che la pianificazione o il compimento del gesto suicidario3.
Uno studio pilota condotto in un Pronto Soccorso di un Ospedale Universitario
ha messo a confronto l’opinione di pazienti ivi ricoverati per tentativo di suicidio, con quella di medici e di infermieri circa l’attribuzione di senso all’agito
autolesivo e le emozioni che lo avrebbero immediatamente preceduto. Le motivazioni personali più frequentemente annoverate da tutti i soggetti intervistati
sono state il bisogno di sollievo da un terribile stato mentale o da una situazione insopportabile. Solo i pazienti hanno menzionato la sensazione di “perdita
di controllo”: i pazienti riportavano di sentire più spesso sentimenti di
ansia/panico e vuoto precedenti il gesto autolesivo; mentre il sentirsi disperato
ed impotente/senza speranze era espresso più spesso dal personale sanitario18.
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