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collezionare fotografia
Le Guide di CdT NICOLA MAGGI LAURA TORRICINI COLLEZIONARE FOTOGRAFIA Sommario Vintage sì, Vintage no .................................... 32 LE TECNICHE ...................................................... 34 INTRODUZIONE .................................................... 4 Positivi diretti ................................................. 34 BREVE STORIA DELLA FOTOGRAFIA .................... 6 Materiali negativi ........................................... 34 Definizione ........................................................ 6 Stampe da negativo ....................................... 35 La nascita della fotografia................................. 6 Tecniche non argentiche................................ 36 La stampa fotografica ....................................... 7 Moderni procedimenti a colori ...................... 38 Le grandi campagne fotografiche dell’Ottocento .................................................. 7 Stampe a sviluppo istantaneo........................ 39 La nascita delle istantanee ............................... 8 FIRME, TIMBRI E ANNOTAZIONI ....................... 42 Le prime associazioni fotografiche ................... 9 Le firme .......................................................... 44 Alfred Stieglitz e la nascita della “fotografia diretta” ............................................................. 9 I Timbri ........................................................... 44 Nel segno di DaDa .......................................... 11 Europa Vs U.S.A. ............................................. 11 Il Surrealismo e l’affermazione come Arte ..... 11 Professione Fotoreporter ............................... 12 Tra arte e pubblicità ....................................... 13 Gli anni Settanta: Narrative Art e Conceptual Art ................................................................... 14 Gli anni Ottanta e il kitsch .............................. 15 Gli anni Novanta e la Scuola di Düsseldorf ..... 15 La fotografia in Italia ....................................... 16 L’era digitale ................................................... 16 LA VOCE DEL COLLEZIONISTA: FABIO CASTELLI 18 TIRATURA & DIMENSIONI.................................. 23 Tiratura ed Edizione: una definizione incerta. 24 Edizioni limitate e illimitate ............................ 26 Le Prove d'Artista ........................................... 27 Le dimensioni.................................................. 28 2 Le Annotazioni ............................................... 45 LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO ................ 47 La manipolazione ........................................... 47 L’ambiente ..................................................... 49 La luce ........................................................ 49 L’umidità relativa ....................................... 50 La temperatura .......................................... 50 L’inquinamento .......................................... 50 Gli agenti biologici...................................... 50 Il condizionamento ........................................ 51 Il grande formato nella fotografia contemporanea ............................................. 52 Gli interventi preventivi ................................. 53 Gli interventi curativi ..................................... 53 Prevenire è meglio che curare ....................... 53 Esposizione delle opere – Montaggi .............. 54 Fotografie laminate su pannello rigido ...... 55 IL VINTAGE ......................................................... 29 Fotografie montate di faccia tipo Diasec (Face mounting) ......................................... 55 Alle origini del termine Vintage ...................... 29 GLOSSARIO ........................................................ 56 Le Stampe Vintage.......................................... 30 Pagina Stampe digitali ............................................... 39 Vintage = migliore? ......................................... 31 Le Guide ◊ 3 II edizione: marzo 2015 © 2015 Collezione da Tiffany Via Atto Vannucci, 14 50134 – Firenze www.collezionedatiffany.com [email protected] INTRODUZIONE Pagina 4 I prezzi della fotografia nelle aste internazionali hanno impiegato molto tempo a crescere, ma oggi i lavori di alcuni fotografi raggiungono valori una volta riservati solo ai migliori dipinti. E questo anche se la fotografia, per sua natura, è una forma d’arte riproducibile che può generare multipli. Negli ultimi quindici anni, la fotografia sembra aver raggiunto un pieno riconoscimento come forma d’arte e adesso rappresenta un mercato nel vero senso della parola, anche se questo particolare segmento pesa sul totale del mercato globale dell’arte per lo 0.7%. Tra i migliori fotografi andati all’asta nel 2014, Cindy Sherman, con Untitled Film Stills (1977) ha raggiunto i 5.9 milioni di dollari nell’asta di Christie’s del 12 novembre scorso a New York. Il miglior risultato dell’anno per quanto riguarda questo segmento. La Sherman, assieme al connazionale Richard Prince e al tedesco Andreas Gursky è oggi ai vertici del mercato. Nel 2014, però, le uniche altre fotografie che hanno superato il milione di dollari sono un lavoro di Gilbert & George e uno di Mike Kelly (morto nel 2012). Quelli appena citati sono solo alcuni degli indicatori che mettono in evidenza l’ormai conclamato successo della fotografia tra amatori d’arte e collezionisti. Un successo che parte da lontano, se si pensa che il collezionismo di fotografia inizia, praticamente, con la nascita di questo mezzo anche se ancora non si può parlare di un collezionismo rivolto alla fotografia come arte: si raccolgono carte-de-visites, immagini di celebrità e foto di viaggio. Patria di questo protocollezionismo: l’Inghilterra, dove, già dalla metà dell’Ottocento, la galleria londinese P & D Colnaghi rappresenta il lavoro di fotografi come Roger Fenton e Julia Margaret Cameron. Sempre a Londra, peraltro, si tiene nel 1854 la prima asta di fotografie. Date, queste, che consegnano all’Inghilterra un vero e proprio primato se si considera che dovrà passare almeno un secolo prima che negli Stati Uniti avvenga qualcosa di simile: la Marshal Sale, prima asta fotografica organizzata dalla Swan Gallery risale, infatti, al 1952. Date a parte, si può dire che il collezionismo di fotografia sia ormai una realtà consolidata già all’inizio del XX secolo anche se si dovranno attendere gli anni Settanta per veder nascere il mercato della fotografia come lo conosciamo oggi. In un solo decennio i prezzi delle fotografie quadruplicano e si moltiplicano le mostre dedicate dai musei a questa “giovane” arte, appuntamenti che approfondiscono la conoscenza di questo medium da parte del pubblico la cui attenzione per la fotografia cresce a dismisura. Negli ultimi decenni, infatti, oltre alle varie sezioni di fotografia aperte presso alcune grandi istituzioni museali, come la galleria Joyce and Robert Menschel, dedicata alla fotografia moderna e contemporanea e inaugurata nel 2007 presso il Metropolitan museum of art (MET) di New York; sono stati creati In Europa diversi musei specifici. Alcuni di questi sono attivi da molti anni: il Centre national de la photographie e il Patrimoine photographique, confluiti nel 2004 nella Galerie nationale du Jeu de Paume, a Parigi, o il Musée de l’Elysée di Losanna, che esiste dal 1985, e, sempre in Svizzera, il Fotomuseum di Winterthur, creato nel 1994. In Italia, abbiamo il Museo nazionale Alinari della fotografia (MNAF), il Fotomuseo Giuseppe Panini a Modena e, dal 2004, esiste anche il Museo di fotografia contemporanea (MFC) a Cinisello Balsamo, che conserva importanti collezioni di autori italiani e stranieri. Questa attenzione per la fotografia da parte del sistema dell’arte ha un immediato riflesso sul valore di mercato di questo medium: alla metà degli anni Novanta da Sotheby’s l’asta dedicata a Man Ray raggiunge il record del 99% di venduto, contribuendo alla stabilità del mercato; e, arrivando a tempi più recenti, tra il 2012 e il 2013 sono stati decine i nuovi record d’asta stabiliti a New York e a Londra, tanto che alcuni tra i fotografi più importanti figurano ai primi posti anche delle classifiche degli artisti più venduti al mondo. Basti pensare al già citato tedesco Andreas Gursky le cui opere hanno superato i 2.7 milioni di euro o al canadese Jeff Walls i cui lavori, nel 2011, non superavano i 700mila euro e oggi volano sopra i 2 milioni. Nonostante questi record, la fotografia è uno dei pochi settori dell’arte che è ancora possibile ritenere “accessibile”, almeno dal punto di vista economico. Non è un caso, d’altronde, che la fotografia riesca ad attirare a sé collezionisti abbastanza giovani, tra i 35 e i 40 anni, che decidono di iniziare la loro “carriera” partendo proprio da opere fotografiche. Sfortunatamente, “accessibile” non sempre fa rima con “comprensibile”: come molto spesso succede nel mondo dell’arte, anche il mercato della fotografia è guidato da una serie di regole non scritte che però è fondamentale conoscere per potersi muovere con sicurezza e piacere in questo mondo. Da questa considerazione nasce l’idea di questa guida che Collezione da Tiffany, il primo blog italiano dedicato al collezionismo d’arte contemporanea, pubblica con l’obiettivo di avvicinare quanti più appassionati possibili a questa forma d’arte e di dare il proprio contributo per il decollo di un mercato della fotografia che sia chiaro e trasparante. Decollo che non può prescindere dal coinvolgere i collezionisti di arte contemporanea. Pagina 5 Firenze, 11/03/2015 BREVE STORIA DELLA FOTOGRAFIA Q uando ci si avvicina alla storia della fotografia, sono essenzialmente due gli aspetti da tenere presenti . Il primo è di carattere tecnico: fino agli inizi del XX Secolo la storia di quest’arte, infatti, non può disgiungersi dalla storia e dai progressi delle tecniche e dei materiali in quanto sono assolutamente vincolanti per i risultati, tanto che spesso, fototipi di epoca ottocentesca sono valutati più per il medium che per l’immagine. Il secondo aspetto è, invece, di carattere estetico: la fotografia ha sempre avuto un rapporto molto contrastato con la pittura, dal confronto con la quale non è mai riuscita a liberarsi, sia che la si ritenesse serva sia che la si considerasse forma d’arte superiore, tanto che è stata spesso, e continua ad esserlo, erroneamente giudicata con gli stessi parametri estetici. socio, e vero “scienziato”, Joseph Nicéphore Niepce (1765-1833), che già negli anni venti aveva prodotto diverse eliografie, muore prima di vedere questo riconoscimento. Nasce così il Dagherrotipo (1839-1860 ca.): una lastra ricoperta d’argento che, esposta ai vapori dello iodio (ioduro d’argento), messa in camera oscura e posizionata davanti al soggetto da riprendere, dopo una posa decisamente lunga e un lavaggio in sale marino e mercurio (per eliminare ogni residuo di ioduro d’argento che potesse continuare a scurirsi), mostra un’immagine speculare dell’oggetto ripreso. Di una nitidezza e lucentezza sconvolgente per l’epoca, questa tecnica rivoluziona il mondo del ritratto, ora alla portata di tutti, e della memoria familiare e collettiva. Rivela inoltre all’uomo la sua pochezza nell’ osservazione diretta della natura, minando il suo senso di assoluto. Il dagherrotipo è un unicum, da cui è impossibile ricavare delle copie. Definizione Volendone dare una definizione, si può dire che la fotografia è qualsiasi sistema che permetta di convertire, in modo più o meno permanente e visibile, immagini prodotte su supporto con l’azione di radiazioni ultraviolette e infrarosse. La sostanza chimica che, per le sue doti di fotosensibilità, è stata più usata è l’argento in alcuni suoi composti come il nitrato d’argento e lo Ioduro d’argento. Pagina 6 La nascita della fotografia La fotografia ha una data di nascita “ufficiale”: 9 luglio 1839 quando al procedimento fotografico di Louis Jacque Mandè Daguerre (1787- 1851), scenografo e creatore di diorami, viene concesso il brevetto dall’Accademia delle Scienze di Parigi. Il suo Figura 1 - Louis-Jacques-Mandé Daguerre, Natura morta, 1837, Dagherrotipo Più o meno negli stessi anni, in Inghilterra, William Henry Fox Talbot (1801-1877) fa esperimenti trattando fogli di carta con nitrato d’argento e poi applicandoci sopra degli oggetti (foglie, pizzi, etc.) ed esponendoli alla luce; ne derivano immagini negative definite “disegni fotogenici” che vengono lavati in un bagno di fissaggio con sale da cucina. Questi sono poi usati come negativi, posti a contatto con altri fogli sensibilizzati ed esposti alla luce anche per un paio d’ore. L’uso protratto, però, li rende illeggibili in breve tempo; si deve allo scienziato Sir John F.W. Herschel (1738-1822) l’invenzione del bagno di fissaggio definitivo: l’iposolfito di sodio, usato ancora oggi. Nel 1841 Talbot perfeziona la sua tecnica lasciando esposti alla luce i fogli per poco tempo e “sviluppando” poi, con bagni chimici, l’immagine latente creando i primi negativi su carta: i calotipi , che vengono usati per creare positivi per contatto. Tutta la stampa del periodo avviene per contatto e non per proiezione così il positivo ha sempre le stesse dimensioni del negativo. La stampa fotografica Pagina 7 La prima carta su cui viene stampata la fotografia è un foglio imbevuto di soluzione salina, detta “carta salata”. Questa, nel 1850, viene soppiantata dalla carta all’albumina (1850–1885ca.), inventata da BlanquartEvrard (1802-1872) usando le chiare d’uovo. Questa carta ha una finitura lucida e compatta e, una volta preparata, può essere conservata per molto tempo prima dell’uso. Sempre nel 1839 lo scozzese Mungo Ponton (18011880) scopre la fotosensibilità del bicromato di potassio e inventa, così, la prima tecnica fotografica non argentica: il bicromato, esposto alla luce, diventa insolubile e, una volta lavato, le particelle non sensibilizzate vengono eliminate dal foglio; tale procedimento si rivelerà fondamentale per la fotoincisione. Questa scoperta permette, nel 1856, a Alphonse-Louis Poitevin (18191882) di inventare sia le stampe al carbone, estremamente stabili e che possono essere create in diversi colori in base ai pigmenti usati; sia la tecnica fotomeccanica della collotipia per riprodurre fotografie con inchiostro tipografico. Nel 1851 L’inglese Frederick Scott Archer (1813-1857) inventa il procedimento al collodio umido, un metodo per sensibilizzare lastre di vetro e farne negativi mescolando i sali d’argento al collodio (fulmicotone). In questo modo si elimina sia l’unicità e la delicatezza del dagherrotipo sia la brunosità delle stampe ottenute da calotipi a causa della fibrosità della carta. Il collodio soppianta, così, tutte le altre tecniche fino agli anni Ottanta dell’Ottocento. Figura 2 - Immagine realizzata con il procedimento del collodio umido inventato da Frederick Scott Archer nel 1851. Dalla tecnica del collodio nascono quelli che vengono chiamati i “dagherrotipi dei poveri” : l’Ambrotipo (1850-1870 ca.), praticamente un positivo ottenuto mettendo uno sfondo nero alla lastra vetro, sviluppato e fissato e poi lavato con acido nitrico; il Ferrotipo (o tintype), inventato dall’americano Hamilton Smith (1819-1903) nel 1856 e che usa lo stesso procedimento al collodio ma cambia il supporto passando a delle semplici lastre in ferro che sono molto più resistenti e possono anche essere spedite. Le grandi campagne fotografiche dell’Ottocento Alleggeriti i macchinari e i procedimenti, il fotografo inizia a viaggiare sia a seguito di spedizioni scientifiche e naturalistiche, sia a seguito di campagne belliche. Tra i primi: Roger Fenton (1829-1869) che seguì la guerra in Crimea. Sono soprattutto gli americani che vanno alla scoperta del loro territorio: memorabili le foto di Timothy O’Sullivan (1840-1882) per la Geological Geographical Survey (1873) o quelle di Alexander Gardner (1821-1882)per la costruzione di parte della Union Pacific RailRoad. Con la nuova tecnologia al collodio si comincia a fotografare in modo sistematico tutto il bacino del Mediterraneo e il fotografo occidentale si avventura anche nel mondo orientale; si cominciano a esplorare le città europee e americane nei loro aspetti più poveri. La fotografia inizia così a rivestire un’importanza capitale come documentazione geografica, etnografica e sociologica. Un suo uso massiccio è richiesto dalle amministrazioni locali per testimoniare le condizioni di quartieri e popolazioni in un’ottica di risanamento urbanistico. Migliaia di vedute di monumenti, chiese, palazzi o paesaggi sono scattate col solo scopo della vendita ai turisti. Tale è la richiesta che si fondano delle vere e proprie società editoriali dove dietro un solo nome famoso lavorano parecchi assistenti. In Italia le maggiori industrie del genere sono quella fiorentina dei fratelli Alinari (fondata nel 1852) e quella di Giorgio Sommer (18341914) a Napoli. di questa produzione anche la stereoscopica, scatti presi da con due obbiettivi che danno della tridimensionalità se visti uno stereoscopio. Questo tipo di La nascita delle istantanee Nel 1880 il collodio cade in disuso ed è sostituito dall’emulsione alla gelatina al bromuro d’argento che permette di preparare le lastre in anticipo e di svilupparle poi in laboratorio; inizia così l’epoca della fotografia moderna: nascono le prime macchine fotografiche portatili già con negativi inseriti il cui sviluppo verrà fatto da appositi laboratori, permettendo così a tutti di scattare fotografie, o meglio “istantanee” (snapshots) per fissare un ricordo, senza nessuna pretesa artistica. L’emblema dell’epoca è lo slogan con cui George Eastman, inventore della macchina fotografica Kodak, pubblicizza la stessa: “Premete il bottone, noi faremo il resto”. (Interessante sapere che la prima macchina fotografica Kodak lavorava con negativi circolari). Nel 1891 viene introdotta Pagina 8 Fa parte fotografia macchine l’illusione attraverso fotografia, che vuole essere schietta e di immediata comprensione, è definita “topografica” per distinguerla da quella che, pur avendo magari gli stessi soggetti, è invece mossa da finalità estetiche e usata come mezzo di espressione personale. Figura 3 - Alexander Gardner, Leavenworth, Il Ponte Lawrence & Galveston R. R. sul fiume Kansas, 1867. Immagine stereoscopica realizzata per la campagna “Across the Continent on the Union Pacific Railway, Eastern Division” la celluloide come supporto per i negativi e la gelatina sensibilizzata viene applicata sulle carta da sviluppo. Le prime associazioni fotografiche Ovunque, in Europa e in America, nascono associazioni fotografiche che indicono concorsi, allestiscono mostre e premi, sempre però con una sorta di vassallaggio verso le indicazioni delle accademie pittoriche e dei vari Salon internazionali. Al Camera Club di Londra, Peter Henry Emerson (1856- 1936) tiene la conferenza “La Fotografia, arte pittorica” (1886) in cui, pur dichiarando la fotografia superiore al disegno e all’incisione per aderenza alla natura, la sottomette alle regole estetiche della pittura che, per lui, diversi sullo stesso positivo, di lavorare la superficie col pennello e di usare carte colorate o di consistenze ruvide, tanto da poter assimilare alcune stampe ad acquerelli. I fotografi pittorialisti hanno così il mezzo ideale per esprimere la loro artisticità attraverso lo strumento fotografico. Per capire questo fenomeno basta sfogliare alcune riproduzioni pubblicate nella rivista “Camera Work” fondata da Alfred Stieglitz (1864-1946) a New York. Anzi, forse, per raccontare quanto succede in Europa e in America a cavallo dei due secoli bisogna proprio partire dall’esperienza professionale di Stieglitz, il fotografo che più di tutti ha condizionato il modo di fare fotografia sui due lati dell’Oceano. Alfred Stieglitz e la nascita della “fotografia diretta” Figura 4 - Il primo numero di Camera Work fondata da Alfred Stieglitz nel 1903 Pagina 9 corrisponde alla scuola di Barbizon, e colonizza tutta Europa con serie di suoi scatti di paesaggi (Naturalistic Photography), sempre lievemente sfuocati (fluo), in cui la mano del fotografo interviene nella resa estetica del positivo. Emerson, nonostante abbia successivamente rinnegato il suo lavoro, condiziona potentemente il gusto fotografico dell’epoca se si pensa che le poche fotografie presenti ai Salon vengono scelte da pittori e che il valore estetico pittorico è la qualità dominante. Tale caratteristica è esaltata dall’introduzione del procedimento di stampa alla gomma bicromatata che, con esposizioni successive della carta, permette di sovrapporre colori Già tra i più apprezzati partecipanti del Photographic Salon europeo (esemplare The Net Mender del 1894), Alfred Stieglitz (1864-1946) dirige il “Camera Club” di New York, diffonde i principi del pittorialismo fotografico e, allestendo diverse mostre, dà visibilità a autori emergenti come Edward Steichen (1879-1973)e Alvin Langdon Coburn (1882- 1966). Nel 1902 fonda con altri colleghi sia la Photo-Secession, i cui principale obbiettivo è far progredire la fotografia come arte pittorica, sia la rivista “Camera Work” (1903- 1917). I membri della Photo-Secession dominano anche la scena europea: nel 1908 al Photographic Salon di Londra sono esposte per lo più immagini di autori americani ed è evidente lo scarto tra la passività con cui gli europei si sono adattati allo stile pittorico impressionistico e le nuove strade che percorrono oltre oceano, incarnate nella fotografia esposta da Coburn Flip-Flap (1908). L’evoluzione di Photo-Secession porta all’affermazione della fotografia come arte a sé: «La forma si adegua alla funzione»; cioè si cominciano ad elogiare fotografie che sembrano fotografie, senza le manipolazioni presenti nelle opere precedenti. Lo scatto fotografico deve essere identificazione di soggetto e forma (Emblematica la fotografia di Stieglitz del 1907, The Steerage ). L’opera di Weston diviene d’ispirazione per molti e nel 1932 viene fondato il gruppo “f/64”, la cui regola base rasenta il dogmatismo più severo: la fotografia deve essere a fuoco in ogni particolare, stampata a contatto su carta brillante in bianco e nero. Tra i membri più noti possiamo citare Ansel Adams (1902-1984) che dedica tutta la sua vita all’interpretazione della natura e a dominare le complessità tecniche della riproduzione fotomeccanica. Pagina 10 Nasce così la Straight Photography, la “fotografia diretta” che implica una ripresa del soggetto in sé e non come accessorio dei sentimenti del fotografo. Stieglitz apre la galleria “291” a New York e per primo espone accanto a fotografie opere di artisti quali Picasso, Picabia, Brancusi, Duchamp. Stieglitz ricerca in modo ossessivo la verità scevra da ogni condizionamento e la trova, alla fine degli anni Venti, nel fotografare le nuvole, da lui definite “Equivalents”; in esse lo spettatore riconosce da un lato il soggetto semplice e banale, ma dall’altro anche una valenza espressiva; la macchina fotografica dota immagini comuni di nuovi significati. Sono per lo più i fotografi americani che si dedicano alla purezza del mezzo: Edward Steichen, che dal 1920 rinnega tutta la sua produzione precedente ; Paul Strand (18901976) che pubblica negli ultimi numeri di Camera Work e Edward Weston (18861958) che rinnega il flou delle sue prime opere per dedicarsi a una messa a fuoco nitida in ogni punto della stampa, essenzialità di visione e ricchezza di dettaglio. Per Weston estetica e tecnica si equivalgono. Figura 5 - Paul Strand, Ritratto di Giovane, Francia, 1951 *** D agli anni Venti del Novecento le avanguardie artistiche, in primis il Dadaismo, iniziano a interessarsi alla fotografia facendo un uso del mezzo fotografico per lo più evocativo, per cui spesso l’oggetto ripreso è trasfigurato, assemblato, rivoluzionato, portato a significare altro. Nel segno di DaDa E’ Marcel Duchamp (1887-1968) che risemantizza la fotografia in maniera rivoluzionaria, rendendo evidente il fatto che la fotografia assomigli a un quadro ma in realtà funzioni come un ready-made. In Duchamp troviamo tutte le spinte artistiche che verranno poi enucleate nel corso del secolo: dalla rappresentazione dell’ambiguità sessuale (Rrose Selavy – 1920 ca.) all’indifferenza verso la capacità tecnica (molte delle sue fotografie furono scattate dall’amico Man Ray), alla contaminazione con altri mezzi espressivi attraverso i fotomontaggi che, diversamente da quelli ottocenteschi che miravano ad un’assoluta verosimiglianza, puntano più sull’associazione di idee - mescolando fotografie, disegni e stampe tipografiche -, vengono usati soprattutto nelle riviste e a scopi propagandistici, intrecciandosi così strettamente alla storia politica del primo Novecento. Europa Vs U.S.A. Pagina 11 La pratica fotografica si libera da certe formalità e nascono così le Rayografie di Man Ray (18901976) e i fotogrammi di Làszlo Moholy Nagy (1895-1946), creati con le tecniche ideate da Talbot nell’Ottocento; nascono le doppie pose di Aleksandr Rodcenko (18895- 1956) e i suoi arditi tagli prospettici. Figura 6 - Un Fotogramma di László Moholy-Nagy realizzato nel 1938 © VG Bild-Kunst, Bonn 2010 Interessante rilevare come gli aspetti più innovativi della fotografia in questo periodo si spostano di nuovo verso l’Europa, mentre l’America con Weston e Steiglitz si arrocca su un neopittorialismo che continua a seguire i parametri dell’estetica pittorica e della perfezione tecnica. La giovane nazione resta ancorata alla ripresa pura del soggetto forse perché deve ancora finire di conoscere se stessa, il suo territorio. Nasce in quest’ottica il grandioso progetto della Farm Security Administration del 1935 che ordina una campagna fotografica sulla condizione della vita rurale statunientese. Memorabili i lavori di Walker Evans (1903-1975) e Dorothea Lange (1895-1965) che sentono fortemente il valore della foto come documento e riescono in questi reportage a trasformare il contingente in valore assoluto. Il Surrealismo e l’affermazione come Arte E’ soprattutto la poetica surrealista che, esaltando la capacità di registrare in maniera automatica ciò che propone il mondo, vede nella macchina fotografica il mezzo ideale per questo fine, portando così la fotografia a essere riconosciuta arte per quello che è, senza bisogno di manipolazioni manuali, di sovrastrutture estetiche. In questa nuova ottica assurge a simbolo perfetto del Surrealismo Eugene Atget (1857- 1927) che conobbe una straordinaria fortuna postuma per le sue fotografie di scorci anonimi di Parigi, trattati come object trouvé e, non a caso, la sua fortuna nasce dall’interesse dell’assistente di Man Ray, Berenice Abbott. cronaca, agli scenari bellici e tutto questo materiale confluisce nelle riviste che si fanno sempre più numerose e diffuse, una su tutte l’americana Life (1937-) i cui fotografi sono i primi ad essere mandati al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale. Il fatto che le fotografie vengano fatte per essere pubblicate fa sì che siano i redattori a scegliere le immagini più adatte ad illustrare la storia, andando così a formare quello che sarà il gusto del pubblico, la sua attesa; sulla lunga distanza questo condizionerà una larga parte della fotografia cosiddetta “industriale”: da quella dei paparazzi a quella pubblicitaria. Compagna inseparabile dei fotoreporter è la macchina fotografica automatica che, dagli anni Trenta, è rappresentata dalla Leica, duttile in ogni situazione, sia sulla scena dello sbarco in Normandia con Robert Capa (1913-1954), sia nelle istantanee “costruite” di Henri CartierBresson (1908 -2004). Proprio Cartier-Bresson ha la capacità unica, riconoscibilissima e difficilissima da replicare, di catturare l’istante in cui il soggetto è nel suo aspetto più significativo, con un’armonia di forme, espressione e contenuto. Figura 7 - Eugène Atget, La Rue Quincampoix, Vue Prise de la rue des Lombards, 4e arrondissement, 1908 - George Eastman House collection Nell’ambito surrealista interessanti sono i lavori di Brassai (1899- 1984), in particolare la schedatura dei graffiti anonimi lasciati sui muri di Parigi, che anticipa l’aspetto della performance e dell’idea di arte pubblica che sarà centrale nei decenni seguenti. Professione Fotoreporter Pagina 12 Tra le due guerre si diffonde la professione di fotoreporter e il fotografo inizia ad essere presente ovunque: dagli eventi ufficiali, alla Robert Capa, Henri Cartier- Bresson e, in maniera ancor più precisa, Robert Frank (1924 – col libro The Americans - 1958), Williem Klein (1928-) e Weegee (1899-1968 – col libro Naked city 1945), si contraddistinguono per la loro continua tensione ad essere immersi nel mondo e per cercare sempre la relazione uomo-mondo; famosa la frase di Capa a riguardo: «Se una foto non è venuta bene vuol dire che non eri abbastanza vicino». Questo approccio verso il mondo è lo stesso che caratterizza la corrente dell’arte Informale che domina Europa e America dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli anni Sessanta e che in pittura ha risultati visuali diversissimi, basati sulla macchia, il grumo, la spontaneità del gesto. Figura 8 - Il numero del magazine Picture Post del 3 Dicembre 1938 con le foto di Robert Capa sulla battaglia del Rio Segre Tra arte e pubblicità Pagina 13 Si arriva così alle porte degli anni Sessanta e all’esplosione della Pop Art, incarnata senza dubbio dalla figura di Andy Warhol (1928-1987) e della sua Factory. E’ del 1964 anche il testo rivoluzionario di McLuhan che con il suo slogan, “il medium è il messaggio”, enuclea finalmente l’importanza del mezzo con cui si vuole comunicare. La Pop Art estranea oggetti di uso quotidiano dal loro contesto utilitaristico con l’isolamento e l’ingrandimento (per esempio le scatole “Brillo”), dando loro un rilievo eccezionale, ma senza esprimere alcun giudizio. La fotografia, nei riguardi del mondo, fa le stesse cose: separa un oggetto dal suo contesto e lo esalta, ma al tempo stesso non lo giudica. Da sempre la fotografia era stata criticata dall’arte ufficiale per queste sue caratteristiche inalienabili, con la Pop Art invece troviamo una coincidenza sorprendente: fondante sia la frase di Warhol - «vorrei essere una macchina» - sia la sua passione per i ritratti fatti nelle cabine automatiche per le fototessere. La sospensione del giudizio, la forte voglia di relazionarsi col mondo, non in modo empatico, ma identificandosi quasi nella macchina fotografica, si trova in tutta l’opera di Diane Arbus (1923-1971), allieva di Lisette Model (1901-1983), e famosa per le foto di “mostri”: il non-giudizio della Pop Art le permette di avventurarsi in qualsiasi ambito, con un desiderio di accumulo di più soggetti possibili, fattibile principalmente grazie alla fotografia. Si apre, così, la strada a una maggior commercializzazione dell’arte: la pubblicità inizia a servirsene e viceversa, e l’artista comincia a muoversi tra i due mondi senza nessuno “scrupolo”, fino ad arrivare ad oggi dove un artista come David LaChapelle (1963-) può usare l’identico suo prodotto per una pubblicità e per un museo. film, congelando un attimo di un’azione che lascia lo spettatore spaesato e curioso: impossibile capire cosa è successo prima e cosa succederà dopo (Cindy Shermann 1954-, Duane Michals 1932-); e quello che si richiama alla tipologia degli album di famiglia per qualità fotografica e per la presenza a volte di didascalie, come nell’opera di Nan Goldin (1954-). La sua capacità empatica coi soggetti è disarmante ed allarmante e prevalica qualsiasi aspetto formale dell’opera per evidenziare la totale fusione con il momento ripreso; non a caso tutta una serie di fotografia narrativa viene etichettata come “stile Goldin”. Figura 9 - Andy Warhol, Coke, 1984, polaroid, pezzo unico. © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. Gli anni Settanta: Narrative Art e Conceptual Art Sia la Narrative Art che la Conceptual Art vanno verso una denigrazione dell’aspetto tecnicoformale della ripresa e della stampa fotografica, da un lato, per evidenziare il più possibile la natura indicale della fotografia, cioè la sua imprescindibile relazione col mondo e la sua capacità di evocare emozioni e concetti (in sintesi: il suo valore è più concettuale che formale); dall’altro, perché sentono di dover combattere ancora contro la dicotomia ottocentesca dove la capacità tecnica pareva sopperire a un’incapacità artistica. Pagina 14 Gli anni Settanta sono caratterizzati da movimenti artistici che si allontanano sempre di più dalla vecchia idea di immagine e si dedicano alla performance e a modalità artistiche estemporanee: Body Art, Narrative Art e Conceptual Art. In tutte e tre la fotografia è stata necessaria per eternare il gesto e il suo uso non è stato meramente funzionale, bensì strettamente connesso al messaggio dell’artista. Ciò che fa Arnulf Rainer (1929-), con le sue pose goffe ed estreme, oppure Urs Luthi (1947-) col suo trasformismo ambiguo o, ancora, Luigi Ontani (1943-) con la sua divertita e fantastica oniricità, trova il vero mezzo espressivo nella fotografia intesa come specchio in cui inverare una parte di se e, in quest’ottica, si possono leggere e capire artisti dai risultati del tutto diversi come Gina Pane (1939-1990) o Francesca Woodman (19581981). La Narrative Art può essere divisa in due filoni, quello che si richiama a dei fermi immagine di Figura 10 - Francesca Woodman, Untitled, New York, 197980 Gli anni Ottanta e il kitsch Questo aspetto di noncuranza tecnica scompare negli anni Ottanta ad opera di due grandi figure quali Robert Mapplethorpe (1946-1989) e Helmut Newton (1920-2004) che con la loro opera sintetizzano perfettamente la ventata edonistica di libertà ed emancipazione del decennio. Mapplethorpe, con la sua qualità fotografica alta, pittorica e precisa, ha la capacità limpida, pura ed essenziale di riportare sulla gelatina scene di atti sessuali espliciti, in cui è spesso partecipe, in una completa fusione tra arte e vita (i suoi modelli sono amici ed amanti). Newton, invece, parte da una carriera di fotografo di moda per approdare poi a personali e musei; crea un’arte algida e perfetta, ma lontanissima da una qualche esperienza reale di vita: i suoi nudi sono “troppo”, i suoi ambienti sono di una ricercatezza stereotipata e solletica l’animo voyeristico dello spettatore che indugia alla ricerca del dettaglio più lubrico. Pagina 15 Figura 11 - Helmut Newton, Ecco vengono II, dalla serie Big Nudes Paris 1981 © Helmut Newton Estate Il meccanismo di portare a livelli qualitativamente alti contenuti di “serie B” , quali la pornografia, infrange del tutto le barriere tra contenuti “alti” e “bassi” e attua appieno l’ingresso del kitsch nell’arte. Ingresso che pare sancito anche dall’abbandono del colore per certi soggetti e l’uso quasi esclusivo del bianco/nero; una caratterizzazione estetica che a volte può apparire stridente con la forte spinta alla rottura di canoni presente nella fotografia contemporanea, ma che di fatto connota la maggior parte della produzione artistica del periodo. Solo un certo tipo di arte, che vuole omologarsi all’uso popolare della macchina fotografica, fa uso del colore, ma spesso in maniera non calibrata, disattenta, proprio come succede per gli scatti della gente comune. E’ stato William Eggleston negli anni Settanta a sdoganare un uso del colore calibrato e corretto ed elemento portante del messaggio (“Triciclo”, 1970). Gli anni Novanta e la Scuola di Düsseldorf La cura formale nella costruzione dell’immagine di Mapplethorpe e Newton rivela come ormai l’aspetto concettuale che vive nell’immagine fotografica abbia preso il giusto sopravvento su trite convinzioni pittoriche e fa sì che fotografi trascurati negli anni Settanta proprio, per le loro capacità, trovino negli anni Novanta un riscontro e un successo planetario. Paradigmatica la coppia Becher, Bernahard (19312007) e Hilla (1934-), fautori di una fotografia rigorosa ed oggettiva basata sulla schedatura del mondo; eredi di August Sander (1876- 1964) e del suo grandioso progetto di Face of our time, osteggiato dal regime nazista; riprendono la sua impostazione asciutta, documentaria per la catalogazione di “tipi”, nel loro caso non umani ma architettonici (silos, industrie etc.). Insegnanti all’Accademia di Düsseldorf formano artisti come Candida Hofer (1944-), Thomas Ruff (1958-), Thomas Struth (1954-) e la loro influenza è evidente nelle opere di tutti e tre. Interessante è notare come per questo gruppo sia nodale anche la dimensione e la collocazione della foto nell’esposizione museale. Nulla è lasciato al caso: la foto è concepita in un punto preciso di una sequenza decisa dal fotografo ed è inamovibile e inalienabile dalla stessa; le dimensioni, spesso enormi, aumentano, da un lato, il senso di straniamento (per esempio le “fototessere” di Ruff), dall’altro, agevolano l’immersione totale dello spettatore nell’immagine ( le “biblioteche” della Hofer). uso ed abbandono. Il movimento è caratterizzato da un’attenta cura formale dello scatto (prospettiva, bilanciamento luci, etc.); immagini belle che non nascono da un gusto estetico, ma dalla volontà di inverare un’esperienza umana. Alfiere del movimento è Luigi Ghirri (19431992)coi suoi paesaggi dai colori brumosi, dimessi e discreti che, formalmente perfetti, danno una sorta di tranquillità e di piacere estetico per poi turbarci con il vero messaggio sottostante. Di non meno rilievo l’opera di Gabriele Basilico (1943) che dichiara esplicitamente di rifarsi all’insegnamento di Walker Evans per la sua fotografia descrittiva, inverata soprattutto nei paesaggi architettonici. Nei suoi scatti Basilico mira a una sospensione del giudizio su quanto riprende e a un dialogo continuo col mondo perché: cosa ci condiziona di più di quello che ci sta intorno? Sulla stessa linea si muovono Olivo Barbieri (1953-), Guido Guidi (1941-), Mimmo Jodice (1934-) e pochi altri che hanno fatto grande la fotografia italiana nel mondo; ma all’interno del contesto italiano il loro esempio ha creato solo epigoni con pochi guizzi di originalità. Figura 12 - Thomas Ruff, Portrait (M. Roeser), 1999 La fotografia in Italia Pagina 16 Nel panorama italiano spicca negli anni Settanta l’opera concettuale di Franco Vaccari (1936-), sia a livello fotografico che teorico, con la pubblicazione nel 1979 di “La fotografia e l’inconscio tecnologico”, testo in cui difende il carattere basso della fotografia e ricusa il concetto di autorialità nell’atto fotografico; esemplare in tal senso la sua esposizione a Venezia del 1972. L’autonomia della macchina fotografica è perfettamente esplicitata anche nelle opere di Giulio Paolini (1940). Negli anni ottanta vediamo emergere sul territorio nazionale un movimento nuovo ed originale che si incentra sul paesaggio visto non in maniera trionfalistica, “da cartolina”, ma come paradigma della precarietà di ciò che siamo; un paesaggio “debole” sempre al confine tra urbano e rurale, tra L’era digitale Altro spartiacque nella storia della fotografia è l’arrivo della tecnologia digitale che, sovvertendo la modalità di ripresa dell’immagine, ha creato inizialmente problemi di ordine teorico, di fatto superati e smentiti dall’uso libero ed entusiasta da parte degli artisti di questa nuova possibilità artistica. Col digitale l’immersione nel mondo è a 360 gradi, 24 ore al giorno e allo stesso tempo la creazioni di mondi onirici e paralleli non ha più limiti. Artisti e materiali si moltiplicano a dismisura ed è in pratica impossibile seguirne percorsi ed evoluzioni. Il crescente successo della fotografia ha fatto sì che privati (gallerie, collezionisti) ed istituzioni (musei, fondazioni) si aprissero anche alla scoperta di artisti non occidentali (soprattutto africani ed orientali) portando alla pubblicazione e diffusione delle loro opere, ampliando ulteriormente il panorama da analizzare. 17 Pagina Maurizio Galimberti (Como, 1956) Ritratto di Fabio Castelli, 2003, mosaico Polaroid, cm 82x48, opera unica Courtesy: Fabio Castelli LA VOCE DEL COLLEZIONISTA: FABIO CASTELLI l ruolo della fotografia d’arte nel mercato dai primi anni Novanta ad oggi si è solidamente definito. Negli anni è aumentata l’attenzione delle grandi istituzioni culturali per questo medium e, parallelamente, si è formato nei suoi confronti un interesse sempre più ampio da parte dei collezionisti. Tutto ciò ha fatto sì che artisti di primo piano come Cindy Sherman, Andreas Gursky o Richard Prince continuino a registrare risultati strabilianti nelle aste internazionali. Record a parte, quello della fotografia rimane ancora uno dei punti di accesso privilegiati per chi si avvicina al collezionismo d’arte contemporanea, permettendo ai giovani collezionisti di mettere insieme una collezione di pregio con budget tutto sommato contenuti. II fatto che le fotografie siano potenzialmente più economiche non significa, però, che ci si debba approcciare al collezionismo di questa forma d’arte in modo superficiale. Come per Nicola Maggi: Lei ha iniziato a collezionare fotografia negli anni Settanta. Come è cominciata questa sua avventura? Fabio Castelli: «Nella mia vita ho collezionato moltissime cose diverse. Tra queste la grafica, di cui ho creato un’importante collezione che andava dagli incunaboli fino ai contemporanei, toccando tutti i supporti tecnici che poteva offrire. Ad un certo punto, in questa mia disamina approfondita di tutte quelle che sono le tecniche e le dimostrazioni del massimo risultato ottenibile da esse, sono arrivato al Pagina 18 I il resto del mercato dell’arte contemporanea, infatti, anche per la fotografia esistono regole non scritte che un collezionista (o aspirante tale) deve assolutamente conoscere per non incorrere in brutte sorprese. Nel collezionismo, come in altri campi della vita, d’altronde, niente è più prezioso dell’esperienza e, nel nostro paese, la persona più autorevole nel campo del collezionismo di fotografia è certamente Fabio Castelli fondatore, tra le altre cose, del MIA Fair – Milano Image Art, la più importante fiera di fotografia che si tenga in Italia. Figura 13 - Fabio Castelli ritratto da Angela lo Priore cliché-verre che, come lei sa, è praticamente un disegno fatto su un vetro traslucido che viene messo su una carta fotosensibile ed esposto alla luce per poi sottoporre la carta al processo di sviluppo e fissaggio. Caratteristiche che ne fanno un vero e proprio trait d’union tra la stampa e la fotografia. Da questo incontro ho deciso di approfondire la fotografia». dell’arte. Anche sotto il profilo storico dell’evoluzione culturale, l’importanza della fotografia è enorme, ha una valenza straordinaria. L’impressionismo nasce dai primi fotogrammi mossi della fotografia, da Muibridge in poi; con la nascita del pittorialismo, ha dato la possibilità alla pittura di andare verso l’astratto e ha aperto la strada alle avanguardie storiche. C’è un’intersecazione straordinaria e la comprensione di tutto ciò è proprio il bello di collezionare, almeno per me, poi ognuno colleziona nel suo modo». N.M.: La fotografia sta riscuotendo un successo sempre maggiore, in particolare tra i giovani tra i 25 e 30 anni attirati anche dal fatto di poter acquistare delle opere di un certo pregio a prezzi ancora accessibili. Che consiglio si sente di dare a questi nuovi collezionisti? Figura 14 - Jean Baptiste Camille Corot, Le jardin d’Orace,1855, cliché –verre, cm 38x30.9. Courtesy: Fabio Castelli Pagina 19 N.M.: All’inizio su quali artisti si è fermata la sua attenzione? F.C.: «Fin dall’inizio ho adottato lo stesso tipo di approccio che avevo utilizzato per la grafica, partendo dagli “incunaboli” della fotografia arrivando fino ai contemporanei. In questo modo ho dato vita ad una collezione che ripercorre tutta la storia della fotografia dai Dagherrotipi fino ad oggi. Per me, d’altronde, collezionare è stato sempre un modo per conoscere. Ho cercato di riempire, così come facevamo con le figurine, questo album immaginario della storia della fotografia con immagini che permettessero di avere una visione coerente e logica di come si inseriva questo grande viaggio nel mondo F.C.: «Bisogna sempre vedere l’atteggiamento. La generazione di cui parla, che poi è quella di mia figlia, purtroppo guarda troppo al discorso investimento. Spesso la prima domanda che fanno è: Quanto varrà nel futuro? Questo non può essere il primo punto, l’investimento deve essere inteso come acquisto oculato: comprate qualcosa da una galleria che abbia un certo prestigio e una certa storia; l’opera di un autore che abbia un impegno serio nell’attività che svolge e, soprattutto, qualcosa che vi piace che soddisfi il vostro gusto estetico e vi gratifichi. Uno dei test fondamentali della qualità di un’opera è la durata nel tempo del piacere di averla davanti agli occhi. Se compri la fotografia di un mazzo di fiori, sicuramente uno fresco, messo in un bel vaso, ad un certo punto ti dà molto di più che vedere sempre quell’immagine. Devi capire quale beneficio trai dal guardare costantemente un’opera e, quindi, deve essere un lavoro che ha un contenuto non esclusivamente estetico, ma che dica qualcosa di più, che ti faccia pensare ogni volta che lo vedi, che sia un memento per qualcosa che sai essere importante. Quindi, il primo approccio deve essere questo. E deve essere fatto con consapevolezza: riguardo sia alla galleria che all’autore, il quale deve garantirti una continuità della sua presenza sul mercato e quindi la possibilità di poterlo seguire, presupponendo anche un miglioramento delle sue quotazioni e un interesse del pubblico». N.M. Nella sua lunga carriera di collezionista qual è stata un’esperienza che l’ha segnata particolarmente nel suo modo di muoversi sul mercato? N.M. Quello delle tirature è un tema delicato nella fotografia che vede prendere dai vari attori posizioni diverse, in particolare se messo in rapporto con le dimensioni della fotografia... F.C.: «Io affermo che sia truffa fare delle edizioni diverse a seconda delle dimensioni. Se della stessa immagine stampi 3 esemplari di una dimensione e 10 di un’altra, secondo me devi dire che fai una tiratura di 13 esemplari suddivisi in dimensioni diverse. E’ vero che la dimensione fa parte del linguaggio artistico però non è talmente importante da farla diversa: è la stessa immagine più grande o più piccola. Quindi di quell’immagine tu ha fatto 13 copie. Poi, quando farai successivamente un catalogo ragionato, dirai che di quell’immagine ne hai fatte 6 di un tipo e 7 dell’altro. In sostanza l’importante è il numero 13 più, eventualmente, 1 o 2 prove d’artista. Questa è la tiratura». N.M. : le prove d’artista … altro tasto delicato… F.C.: «Quello delle prove d’artista è un altro tema con cui gli autori, diciamo, bypassano l’obbligo di dichiarazione di tiratura: la prova d’artista va dichiarata esattamente come la Pagina 20 F.B. «Ero a Paris Photo, compro un’opera di un artista internazionale da una grande galleria, tiratura 3 esemplari, e pago l’anticipo per tenerla ferma. Mentre giro per la fiera mi viene in mente la possibilità che ce ne siano altre copie. Visto che so che c’è questa consuetudine, chiamo per chiedere di controllare. Sul momento mi rassicurano per poi, però, richiamarmi e dirmi: ho chiamato l’artista ce ne è un’altra tiratura di 5. A questo punto sono tornato allo stand della galleria e chiedendo di rilasciarmi un certificato in cui la mia opera risultasse la numero 2 di una tiratura di 8, al che mi rispondono che questo non è possibile perché ne è già stata venduta una anche dell’altra serie. A quel punto ho richiesto indietro i soldi. E questo è un aneddoto per dire che questo mal costume è diffuso. Tutti i galleristi e gli artisti tentano di fare i furbi con il risultato di far scappare il collezionista che rimane fregato. Queste regole del gioco sono fondamentali per dare un costrutto al mercato della fotografia. Tutte queste piccole cose sono fondamentali». Figura 15 - Olivo Barbieri, Monteggiano, 1986, stampa cromogenica, cm 22x45,5. Courtesy: Fabio Castelli N.M.: Dal punto di vista del valore economico vi è qualche differenza tra le varie copie? F.C.: «Non cambia assolutamente nulla. Fare differenze tra una fotografia 1/5 rispetto a una 5/5 è assolutamente feticismo puro perché non c’è nessun degrado. Diciamo che nella grafica si giustifica maggiormente, in particolare nella punta secca dove quando si arriva verso la 15 o la 20 si schiacciano le barbe per cui cambia il segno, o nell’acquaforte quando, diciamo, il rame comincia a consumarsi e serve un’acciaiatura che lo rende più rigido e meno fresco. Ma già nella litografia tutto ciò è meno visibile. Tornando alla fotografia, ci possono essere, invece, prezzi che aumentano perché siamo vicini all’ultima copia disponibile e quindi cala l’offerta rispetto alla domanda. E’ questo è lecito ma è un atteggiamento che non amo: Pagina 21 tiratura. Nella tiratura ci sono 5 copie più due prove d’artista e devono essere dichiarate altrimenti uno fa 20 prove d’artista e utilizza questo escamotage per fare le tirature che vuole; oppure per fare la bella figura e dare all’asta charity un’opera di cui esiste una tiratura ma di cui do una prova d’artista. E questo tradisce coloro a cui sono state regolarmente vendute perché si aumenta il numero di copie sul mercato. La dichiarazione di tiratura deve essere espressa dicendo, ad esempio: 5 copie + 2 prove d’artista. Se vogliamo essere ancora più precisi e toccare una questione di riconoscimento, i numeri delle copie della tiratura sono in numeri arabi e quelli delle prove d’artista in numeri romani. Si mutua, praticamente, l’esperienza della grafica che usa questo stesso sistema di numerazione». Figura 16 - Claus Goedike, VII 34, 1999, stampa cromogenica montata su legno e plexiglas, cm 56x70. Edizione 2/5+1 p.a. Courtesy: Fabio Castelli un po’ troppo orientato al business». N.M.: La prova d’artista, invece, che valore ha rispetto ad una copia della tiratura? Pagina 22 F.C.: «Uguale. E’ un modo per differenziare. Diciamo che la prova d’artista è quella che il fotografo si tiene per sé e alla fine te la vende quando non ci sono più copie disponibili. Oppure gli serve per remunerare chi fa parte del progetto: a te stampatore, invece di darti dei soldi, di do un’opera, una prova d’artista. Diventa moneta per coloro che sono coinvolti nella produzione dell’opera. Può capitare, però, che costino meno perché sono opere meno direttamente coinvolte nel circuito, per cui magari uno vuole monetizzare un ricavo a fronte di un costo sostenuto per produrre le opere ed è quindi disposto a fare uno sconto sul prezzo, sul valore rispetto a quello del mercato perché per lui è un ricavo della sua attività produttiva». N.M.: A proposito di prezzi, se si vuole fare un acquisto oculato è necessario sapere qual è il valore economico di un artista, avere dei punti di riferimento ma questo non è sempre facile in particolare se si tratta di artisti non ancora arrivati al mercato secondario (quello delle aste per capirsi, ndr)… F.C.: «Certo, quando parliamo di nomi che iniziano ed essere presenti nelle aste, sono sicuramente più controllabili ma si ha sempre la possibilità di verificare. Se il tuo interlocutore è una galleria seria mi fiderei Se, invece, uno si fida del proprio gusto e compra cose il cui riferimento non è oggettivabile attraverso prezzi d’asta deve sapere che può partire da meno di 1000 euro e arrivare fino ai 2500-3000 euro. Quando i prezzi cominciano ad andare sopra i 5000 euro, invece, lì i riferimenti li può avere guardando gallerie diverse. E’ molto difficile che uno abbia difficoltà. Diciamo che l’approccio giusto è quello di iniziare con opere che hanno prezzi relativamente bassi in modo tale da capire cosa gli piace e poi girare». Immagine di sfondo: Paolo Parma, Untitled #0015, Al di là della luce, 2011, stampa giclée su carta cotone, cm 60x60. Edizione 2/3 TIRATURA & DIMENSIONI I Stampata per la prima volta nel 1942 ed esposta al MoMa di New York nel 1944, Moonrise, Hernandez, New Mexico, diventerà nel tempo estremamente popolare attraendo, sempre di più, l'attenzione dei collezionisti. Un crescente successo che ha spinto Ansel Adams a stamparne la bellezza di 1300 copie in tutta la sua carriera senza che questo abbia, alla resa dei conti, intaccato il suo valore né artistico né di mercato. Basti pensare che nel 2006 una stampa dello scatto realizzato dal fondatore del gruppo f/64 è stata battuta all'asta da Sotheby's per circa 610 mila dollari, contro una stima iniziale tra i 150 e i 250 mila. Nel 2010, sempre Sotheby's, ne ha battuta un'altra, di grandi dimensioni, per 518 mila dollari. A seconda delle dimensioni, copie di Moonrise, Hernandez, New Mexico, Pagina 23 l 1° novembre 1941, il fotografo e ambientalista americano Ansel Adams, famoso per i suoi paesaggi in bianco e nero, scatta, da una spalletta della Route 84, Moonrise, Hernandez, New Mexico. «E 'stata fatta dopo il tramonto, c'era un bagliore crepuscolare sulle cime distanti e nuvole. ricorderà Adams nel 1943, quando la foto fu pubblicata sull'annuario US Camera - I valori di luminosità medi di primo piano sono stati collocati sulla "U" dell'esposimetro Weston Master. Apparentemente i valori della luna e delle cime lontane non si trovano al di sopra della "A" dell'esposimetro. Alcuni possono considerare questa fotografia un "tour de force", ma io la considero una fotografia piuttosto normale di un tipico paesaggio del New Mexico. La fotografia al crepuscolo è purtroppo trascurata; ciò che può essere triste e poco interessante alla luce del giorno può assumere una magnifica qualità nella penombra tra il tramonto e il buio». Figura 17 - Ansel Adams, Moonrise, Hernandez, New Mexico, 1941 Pagina 24 sono state vendute per tutti i prezzi. Tiratura ed Edizione: una definizione incerta La storia della fotografia di Ansel Adams è un caso esemplare di come l'applicazione del concetto di tiratura e edizione alla fotografia Il concetto di tiratura arriva alla fotografia possa risultare, alla resa dei conti, una d'arte dal mondo della grafica e, in forzatura dovuta, in primo luogo, al mercato. particolare, dalle stampe del XX secolo che, Sono per prime le gallerie, infatti, che già proprio per motivi di mercato, vedono dagli anni Cinquanta iniziano a chiedere ai l'introduzione di nuovi comportamenti e fotografi delle rarità e delle edizioni limitate. norme. In primo luogo la stampa di un Pur rimanendo sempre una scelta dell'artista, numero prestabilito di esemplari che, nel loro infatti, la limitazione di un'edizione influisce insieme, compongono l'edizione e il cui sul valore di mercato di un'opera e, numero rappresenta la tiratura. Un po' come conseguentemente, sul suo prezzo di vendita, avviene nei quotidiani: se leggete il colophon secondo la “classica” logica della domanda e di un giornale troverete indicata la tiratura di dell'offerta. Negli anni, la questione della quella determinata limitazione di edizione. un'edizione, della numerazione delle L'entità di una stampe, è stata tiratura, nella oggetto di un grafica moderna, acceso dibattito che viene stabilita in ha visto coinvolti, base a vari fattori, per primi, proprio i in primo luogo il fotografi divisi tra potenziale chi accettava questa mercato. idea e chi la riteneva, invece, A differenza delle un'imposizione stampe antiche, quasi contro natura quindi, il punto di nei confronti di un riferimento non è mezzo, la più lo stato di fotografia, che “salute” della aveva nella lastra che, di riproducibilità una impressione in delle sue impressione, si Figura 18 - Susan Hiller, Auras and Levitations, 2011. Nell'angolo in caratteristiche deteriora, facendo fondanti. Non è un basso a sinistra si può vedere la numerazione dell'edizione dalla quale perdere di qualità caso, d'altronde, se capiamo che si tratta dell'esemplare n. 5 di una tiratura di 10. (e di valore) fino agli anni all'esemplare ma Ottanta i fotografi si sono limitati a datare e una stima della domanda. firmare le stampe. E, anche quando decidevano di numerare le stampe, questo Definito il numero degli esemplari che rappresentava più una dichiarazione di intenti: comporranno l'edizione e eseguita la tiratura, i di fatto si numera a priori ma si stampa on fogli venigono così numerati a matita in uno demand. Procediamo, però, con ordine. dei due angoli inferiori della stampa. La numerazione è composta, solitamente, da due cifre in numeri arabi separate da un trattino diagonale, X/Y, dove X rappresenta il numero dell'esemplare e Y il totale della tiratura. Parallelamente a questo tipo di numerazione se ne sviluppa un altro con cifre in numeri romani impiegato per indicare, all'interno di una medesima tiratura, esemplari con caratteristiche diverse come, ad esempio, la tipologia di carta utilizzata. Questo doppia numerazione, con gli anni, è stata poi utilizzata anche per differenziare gli esemplari riservati all'autore e quelli destinati all'editore. A queste tirature si è aggiunta, poi, quella delle Prove d'Artista (p.d.a.), una volta escluse dal mercato e destinate ad amici, critici e collaboratori. Questa differenza di numerazione ha creato, come si può ben capire, una certa confusione, in quanto sugli esemplari è indicato una consistenza della tiratura che non corrisponde a quella reale. A questo modo di interpretare l'edizione se ne affianca un secondo a cui fanno capo quei fotografi che realizzano edizioni illimitate di esemplari dalle dimensioni più piccole e edizioni limitate di quelli più grandi. In questo caso sono le dimensioni a dettar legge: ad ogni grandezza corrisponde una edizione diversa con una differente tiratura (e numerazione). Capite bene che, stando così le cose, i confini che dovrebbero delimitare con chiarezza la definizione di edizione si fanno abbastanza labili e, con essi, le certezze del Pagina 25 Con lo sdoganamento della fotografia come forma d'arte e il costituirsi di un suo mercato e di un suo collezionismo, si riversa in questo mondo quanto detto relativamente alla tiratura nella grafica d'arte moderna, contraddizioni comprese. Nella fotografia, come nella grafica d'arte, il termine edizione sfugge ad una definizione universale e questo rende le cose abbastanza complicate, in quanto soggette ad interpretazione tanto da parte dell'artista quanto del mercato. Tra le varie scuole di pensiero ne esiste una più conservatrice a cui appartengono quei fotografi che creano delle edizioni basate sull'immagine in sé: se dichiarano un'edizione di 50 esemplari potete essere ragionevolmente certi che sul mercato non ne esistano più di 50, e questo a prescindere dalle loro dimensioni. In altre parole è l'immagine che conta e questo anche se le dimensioni, come vedremo, hanno comunque una loro importanza per quanto riguarda il linguaggio dell'artista. Figura 19 - Un'edizione limitata collezionista. E certo non è applicabile una definizione estremamente rigida che vorrebbe l'edizione composta da esemplari tutti stampati nello stesso momento, sulla stessa carta, con gli stessi tempi di esposizione e lo stesso equipaggiamento. Dal nostro punto di vista, la definizione più corretta di edizione è quella sostenuta anche da Fabio Castelli, collezionista di fama internazionale da tempo impegnato a creare le condizioni per un decollo del mercato della fotografia che si fondi su un collezionismo consapevole: il termine edizione indica l’insieme di un corpus prestabilito di esemplari il cui numero è detto tiratura. Non c’è bisogno che tutti gli esemplari siano stati stampati nello stesso momento ma, se previsto dall’autore, possono esserlo in momenti successivi e in dimensioni diverse, a seconda della domanda del mercato. Edizioni limitate e illimitate Ferme restando le due scuole di pensiero indicate, è possibile dire che con il termine edizione si indica quante volte è stata stampata un'immagine: se l'artista decide di stamparne un unico esemplare si parla di pezzo unico, mentre se ne vengono stampati più esemplari questi sono da considerarsi tutti originali e non delle riproduzioni. Un'edizione, inoltre, può essere limitata o illimitata; numerata o non numerata a discrezione dell'artista. Anche se spesso si ritiene che un'edizione limitata valga di più rispetto ad una non limitata questo non è necessariamente vero e, a tal proposito, l'esempio di Moonrise, Hernandez, New Mexico di Ansel Adams parla chiaro. Infine, come detto, un artista può scegliere se numerare o meno un’edizione. Se si tratta di una edizione limitata la numerazione, come avviene nella grafica sarà a due cifre, separate da un trattino diagonale, in cui il numero a destra indica il totale degli esemplari esistenti e quello a sinistra il numero dell'esemplare in questione. Nel caso di edizioni illimitate, Pagina 26 Secondo questa definizione, dunque, è sufficiente che l’artista definisca a priori l’entità dell’edizione per poi stampare, successivamente, le copie a seconda delle richieste pervenute,, apponendo la numerazione successiva. Per esempio: se l’autore decide che la sua immagine può essere stampata in tre diverse dimensioni (30x40; 60x80; 90x120) e che l’edizione totale deve ammontare a 12 esemplari, le copie, a prescindere dalla dimensione, anche se stampate in tempi diversi porteranno la numerazione da 1/12 a 12/12 in modo che stampe di dimensioni diverse siano incluse comunque nell’ambito di una stessa tiratura. Naturalmente i relativi prezzi saranno diversi a seconda delle dimensioni. Questo approccio permette di sapere con certezza l’identità totale dell’edizione senza correre il rischio di trovare sul mercato ulteriori copie stampate con la scusa di dimensioni diverse o di carte diverse, o altro, e messe in circolazione per interessi di parte ma che di fatto inflazionano il mercato. Figura 20 - Oliver Boberg, Neubau, 2001, C-Print, 17/20. In questo caso la numerazione è apposta sul retro della foto invece, la numerazione sarà del tipo #10: indicando in questo modo l'esemplare n.10 di un totale indeterminato. Le Prove d'Artista Comunque la si pensi, in un mercato della fotografia d'arte in continua evoluzione con valori in costante crescita, l'edizione limitata è diventato quasi un obbligo per il fotografo interessato a lavorare in questo mondo sempre alla ricerca del pezzo unico e della rarità. La stessa logica che sta alla base della scelta dell'edizione limitata, ossia quella del numero chiuso, ha fatto sì, peraltro, che sul mercato stiano apparendo, sempre più spesso, le cosiddette prove d'artista, originariamente, come visto anche per la grafica, non destinate al mercato ma riservate all'artista o utilizzate da questo come ricompensa per un collaboratore molto stretto o un critico. Pagina 27 A tal proposito è da sottolineare come l'eventuale aumento di copie di un'edizione non fa perdere valore di mercato all'opera se a farlo è l'autore stesso. Non è un caso, infatti, se alcuni artisti non hanno voluto che, dopo la loro morte, si realizzassero altre stampe da negativo: la scelta del tempo di esposizione della carta e il bilanciamento dei toni, infatti, avrebbe bisogno sempre della supervisione del fotografo. Per questo il numero degli esemplari di un'edizione può non corrispondere al numero dichiarato. E' il caso, ad esempio, di Richard Avedon, i cui lavori non sono stati più stampati dopo la sua scomparsa – per sua stessa richiesta – lasciando presumibilmente “incomplete” edizioni che, in origine, prevedevano anche 100 esemplari. Ma questa situazione la ritroviamo anche nel lavoro di artisti come Franco Fontana che, negli anni Settanta, sperimentando il mezzo fotografico, ha dichiarato edizioni di 100 pezzi per poi stamparne solo alcune copie ma numerate comunque X/100. Figura 21 - Sara Rossi Amalia, dalla seria Casa Reale, 2004, II/II p.d.a. Grazie alla dicitura apposta dall'artista sul retro dell'immagine, sappiamo che si tratta della seconda prova d'artista di due realizzate per quest'opera. Normalmente le prove d'artista sono un massimo di tre e vengono numerate, a differenza dell'edizione, con numeri romani. Al di là di questa differenza, dal punto di vista del mercato devono essere considerate alla stregua delle altre stampe. Le dimensioni «Quando si compra una fotografia è cruciale capire le dimensioni dell'edizione del lavoro in questione. Si dovrebbe conoscere, inoltre, il numero delle prove d'artista realizzate della stessa immagine. Come pure se gli artisti hanno utilizzato lo stesso negativo per stampare una versione più grande o più piccola di uno stesso lavoro, ciascuna delle quali corrisponde ad una edizione. Tutto ciò è fondamentale per comprendere l'universo di copie disponibili di una stessa immagine, allo scopo di capire e assegnare il giusto valore alla foto in questione». L'autore di questa dichiarazione è nientemeno che Nick Simunovic, direttore della Gagosian Gallery di Hong Kong che rappresenta artisti come Andreas Gursky che detiene, con Rhein II (1999), il più alto record d'asta per una fotografia: 4.3 milioni di dollari. Ma cosa determina la scelta di un formato piuttosto che di un altro nella stampa di una fotografia? Pagina 28 Fino alla metà degli anni Novanta, gli artisti sceglievano i grandi formati per potenziare l'effetto empatico dell'immagine, per un maggior coinvolgimento dello spettatore davanti alla fotografia appesa al muro in occasione di una mostra. Un tentativo, dunque, di avvicinare l'immagine fotografica a quella pittorica sotto il profilo dell'impatto. Il grande formato in questo caso costituiva, peraltro, un elemento di rarità che influiva in modo positivo sul prezzo: pochi esemplari di grandi dimensioni ad un prezzo più elevato contro un numero molto più vasto di stampe in formato più piccolo e dal costo più contenuto. Con la fotografia contemporanea la dimensione diventa un elemento interno alla ricerca del fotografo che opta per il grande formato al fine di dare un nuovo significato alle immagini. E' il caso, ad esempio, dei lavori realizzati dagli esponenti della Scuola di Düsseldorf - Thomas Ruff e Andreas Gursky in testa - che, pur portando avanti percorsi artistici personali, hanno in comune la posizione “oggettiva” nei confronti del soggetto fotografato, la “disumanizzazione” delle immagini, la sperimentazione su grandi formati. Oppure, tanto per rimanere in Italia, alle fotografie metropolitane di Olivo Barbieri, con le quali l'artista modenese indaga nelle memorie dei luoghi che si modificano, che cambiano forma e rapporti dimensionali. Da quanto detto emerge in modo chiaro come i fattori che determinano la scelta di un formato possano essere molteplici. Si va da motivi prettamente artistici ad altri puramente economici. Questa varietà di motivazioni, ci ricorda come una fotografia non debba essere valutata a partire dalla sua fisicità. Nel valutare l'opera fotografica, l'elemento dimensionale deve essere maneggiato con cura e, in primo luogo, deve essere letto nel più ampio contesto dell'opera complessiva di un fotografo: è fondamentale capire se la scelta di una dimensione sia una scelta artistica o se, invece, non sia un escamotage per eludere i limiti imposti dalla pratica dell'edizione limitata. L'opera di Thomas Ruff Substrat 26 III, del 2005 (280 x 188 cm), installata in una sala di Palazzo Banci Buonamici a Prato, in occasione della mostra organizzata nel 2010 da Dryphoto Arte Contemporanea. IL VINTAGE N Alle origini del termine Vintage Con molta probabilità, durante la vostra vita, la parola vintage vi sarà apparsa davanti agli occhi nelle più svariate occasioni. Dal mondo della moda a quello della musica, infatti, questo termine è tra i più utilizzati (e abusati) degli ultimi decenni. Nato dal latino vindēmia, filtrato attraverso il francese antico dove diventa vendenge, l’aggettivo Vintage è stato coniato, in primo luogo, per indicare vini di particolare pregio diventando sinonimo dell’espressione d’annata. Dal mondo dell’enologia questo termine si è poi diffuso in tutti i campi possibili assumendo, di volta in volta, connotazioni specifiche. Nella moda, Pagina 29 ei primi anni Ottanta, il mercato delle fotografie di Ansel Adams fa registrare un crollo vertiginoso. Immagini che pochissimi anni prima si vendevano tra i 4000 e i 16000 dollari vedono il loro valore quasi dimezzarsi: sono gli effetti della recessione, l'offerta supera la domanda e il mercato si ferma. Oggi le opere del fotografo americano, come abbiamo visto parlando di Tiratura&Dimensioni, sono arrivate a valere attorno ai 100mila dollari nel caso di particolari stampe Vintage della famosa Moonrise, Hernandez, New Mexico, scattata da Adams nel 1941 e stampata nel 1942. E' l'effetto di un cambiamento nel mercato avvenuto negli anni Novanta e che ha visto un incremento di interesse, appunto, per le cosiddette stampe vintage che argina la stampa “senza regole” di nuovi esemplari dei lavori di artisti come Adams ma anche Andre Kertesz o Henri Cartier-Bresson. Ma cos'è questa parola magica che fa lievitare così tanto i prezzi? Figura 22 - Il termine vintage dal vino si è diffuso a vari settori. In primo luogo alla moda dove esistono addirittura guide per vestire, truccarsi e pettinarsi vintage. 30 Pagina tanto per fare un esempio, con vintage si affatto foto d'epoca nell'accezione più comune connota un capo di abbigliamento non di questa espressione... classificabile come semplicemente “usato” ma d’epoca, di lusso o firmato (pensate agli Le Stampe Vintage occhiali anni Settanta tornati di moda ultimamente). Ma, a seconda delle mode e del settore, Vintage diventano determinati oggetti In un mercato dell'arte sempre affamato di che assurgono quasi a ruolo di icone e così lo pezzi unici e rarità, l'avvento di un medium potrebbe essere una Fender Stratocaster degli come la fotografia che, idealmente, permette anni Sessanta o un pianoforte Rhodes la creazione di opere riproducibili all'infinito, autentico, così come un orologio Casio o un pone una sfida senza eguali. Una sfida che gli Commodore 64 degli anni Ottanta. Dai operatori del settore hanno affrontato, negli negozi di usato à la page a eBay, vintage – anni, introducendo come recita anche la limitazioni in grado di definizione reperibile arginare rischi come, su Wikipedia, «è un ad esempio, la attributo che definisce svalutazione di una le qualità ed il valore determinata opera di un oggetto prodotto dovuta ad un eccesso almeno vent'anni di offerta. Per dirla prima del momento con Walter Benjamin attuale e che può il mercato dell'arte altresì essere riferito a cerca di “salvare” secoli passati senza l'aura dell'opera d'arte necessariamente e con essa, essere circoscritto al ovviamente, il suo Ventesimo secolo. Gli valore economico. In oggetti definiti una visione non Vintage sono dissimile da quella considerati oggetti di esposta dal critico culto per differenti tedesco, infatti, il ragioni tra le quali le mercato vede nella qualità superiori con Figura 23 - Egon Egone, Tuscan Cypresses, 1926, vintage, cui sono stati prodotti, se stampa ai sali d'argento,cm 34x25. Courtesy: Fabio Castelli riproducibilità dell'opera d'arte la messa in crisi confrontati ad altre della stesso concetto di autenticità, legato produzioni precedenti o successive dello all'unicità e all'irripetibilità dell'opera. Per stesso manufatto, o per ragioni legate a motivi questo, dopo la numerazione delle stampe e di cultura o costume». l'introduzione dell'edizione limitata, fa la sua E la fotografia? Come spesso accade nel comparsa il termine vintage che sta ad mercato dell'arte, molte delle certezze che indicare, secondo la definizione più pensiamo di avere vivendo nel mondo comunemente utilizzata, una «stampa eseguita “normale” si incrinano. Quando si parla di dall'autore (o da un laboratorio sotto il stampe vintage, infatti, non si intendono controllo dell'autore) in un periodo non superiore ai due o tre anni dopo la data dello Pagina 31 scatto dell'immagine stessa». Anche se alcuni autori fanno salire questo tempo fino a cinque anni, vale sempre la regola secondo la quale più questo è breve, maggiore è il valore della foto. Le stampe realizzate molto dopo lo creazione del negativo, anche realizzate dallo stesso autore, tendono ad avere un valore di mercato minore. Tutto ciò innesca un sistema premiante che predilige, dunque, alcune stampe di uno scatto rispetto ad altre, tutelando, così, in modo ancor più stringente, la rarità dell'opera. Non solo, in alcuni momenti, il vintage è stato interpretato quasi come sinonimo di autentico, in quanto questo concetto si basa sull'idea che essendo la stampa molto vicina al momento dello scatto, questa rispecchi maggiormente le intenzioni dell'artista. Non a caso, il loro valore economico maggiore, rispetto ad altre stampe più tarde della stessa foto, rende quasi il termine vintage sinonimo di migliore, proprio come accadeva, in origine, per il vino. Vintage = migliore? Quella che potrebbe sembrare una definizione perfettamente accettabile, negli anni ha dato vita ad un acceso dibattito che ha avuto – e continua ad avere – partecipanti illustri come Allan Douglass Coleman, fotografo e primo critico fotografico del New York Times. Secondo Colemann la definizione “ufficiale” di Vintage presenta due problemi di base: da un lato, infatti, sembra dare per scontato che Figura 24 - Joost Schmidt, Rilievo di un uomo in corsa, 1932, vintage, stampa ai sali d’argento, cm 5,8x7. Courtesy: Fabio Castelli Pagina 32 le prime stampe, come detto, siano le l'associazione internazionale dei mercanti di migliori; dall'altro, sembra implicare il fatto fotografia d'arte, nata con l'intento di che niente se non una stampa vintage sia mantenere standard elevati in questo meritevole dell'attenzione dei collezionisti. particolare mercato – ha recentemente Questo approccio, afferma il critico del NYT, suggerito ai suoi membri di sostituire la non tiene conto di una parte essenziale di parola vintage con la semplice indicazione questo particolare medium e, allo stesso delle due date relative allo scatto e alla tempo, ignora il metodo di lavoro adottato da stampa. Un suggerimento che, però, presenta tantissimi fotografi, tra i quali anche alcuni numerose vulnerabilità: in primo luogo legate dei più grandi come Bill Brandt o il più volte all'accuratezza delle datazioni. citato Ansel Adams: conservare per anni i negativi per svilupparli molto dopo il loro Vintage sì, Vintage no utilizzo o tornare su un particolare negativo in tempi successivi per reinterpretarlo. Non è raro, d'altronde, che le Un volta di più la stampe più tarde parola d'ordine del realizzata da un collezionista deve fotografo o da un essere: cautela. laboratorio sotto la sua Sostenere in modo supervisione, siano in assoluto il primato del realtà migliori delle vintage sulle altre prime. «Il punto stampe, è un essenziale – scrive a approccio da non tal proposito A. D. ritenersi Colemann sul sito web completamente dell'Archivio di Bill corretto. Come visto, Brandt - è che un il primato cronologico, fotografo può avere un infatti, non è detto che rapporto continuo con coincida con quello i suo negativi, talvolta lungo quanto la sua qualitativo. Oltre a Figura 25 - Hans Bellmer, La Poupée, 1937- 1939, vintage, vita. Questo è un stampa ai Sali d’argento colorata a mano, cm 14,8x14,2. ciò, a seconda delle elemento legato alla Courtesy: Fabio Castelli epoche, può essere natura stessa del molto difficile medium. Comprendere questo fatto è cruciale stabilire con certezza cosa sia realmente per un collezionista che intenda sviluppare un Vintage o no. Come racconta il collezionista approccio coerente alla fotografia». Egli Alex Novak, membro fondatore, tra le altre giunge così a chiedere che venga formulata cose, del Getty Museum Photographyc una nuova definizione di vintage in quanto Council, «specialmente quando la data di quella attuale, secondo lui, inquadra solo un stampa valica il 1953 diventa difficile dire aspetto del problema. quando una stampa è realmente Vintage senza Ma i dubbi sulla definizione di vintage sembrano non affliggere solo personalità come Colemann. La stessa IPAD - ricorrere a test molto costosi». E questo a causa, principalmente, di particolari sbiancanti aggiunti in quel periodo alle carte fotografiche che fanno sì che molte stampe vintage risultino identiche a stampe più tarde. Anche per questo, non sono molti i mercanti in grado di distinguere, realmente, una stampa vintage e, non a caso, se per i galleristi il problema viene risolto con il certificato di autenticità, le case d'asta, normalmente, non danno alcuna garanzia in questo senso, certificando solo l'attribuzione dell'opera ad un determinato artista. Pagina 33 Un esempio di quanto possa essere spinosa la questione? Nel 1994 un esemplare della fotografia Powerhouse Mechanic di Lewis Hine viene battuto da Christie's per 90 mila dollari. Nonostante un numero improbabile di originali firmati di Hine presenti sul mercato, sono poche le richieste di spiegazione: a garantire il tutto basta il nome di Walter Rosemblum, fonte delle immagini e curatore e conservatore dell'opera di Hine fin dal giorno della sua morte, avvenuta nel 1940. Ci vorrà un giovane fisico, Michael Mattis, coadiuvato dall'esperto forense del FBI, Walter Rentanen, specializzato nell'analisi della carta, per scoprire la realtà, ossia che si trattavano di falsi vintage: dalle analisi risultò che la carta era fatta con polpa di legno e non con gli stracci, e quindi posteriore agli anni Trenta. Inoltre questa era risultata positiva per quanto riguardava la presenza di quegli agenti sbiancanti che abbiamo detto essere stati introdotti negli anni Cinquanta e che la rendono luminescente se esposta a raggi ultravioletti. Infine, fu rilevato un piccolo cambiamento nel logo Agfa del timbro a secco: prova finale che la foto, in realtà, era una stampa realizzata tra il 1958 e il 1975. Alla difficoltà di determinare ad occhi nudo l'autenticità di una stampa vintage posteriore ai primi anni Cinquanta, va poi aggiunto quanto sostenuto anche da Colemann circa il fatto che alcuni artisti ritornano su un negativo per rielaborarlo, talvolta anche alla luce di migliorate capacità tecniche. La cosa migliore, allora, è valutare caso per caso, artista per artista, tenendo sempre presente che una stampa Vintage può arrivare a costare anche 10 volte il prezzo di una stampa più tarda. Una maggiorazione che talvolta ha un senso, altre meno. Ed è giusto che ogni collezionista si interroghi e faccia le sue scelte con consapevolezza anche giungendo alla decisione “estrema” di acquistare più stampe di un'opera, temporalmente distanti tra loro, al fine di documentare i vari cambiamenti. Una soluzione che, ad esempio, potrebbe interessare chi sta mettendo insieme una collezione dedicata all'opera di un solo artista o ad un solo genere. Sullo sfondo: Lewis Hine, Power house mechanic working on steam pump, 1920 LE TECNICHE D iversamente da altre arti, in cui la tecnica di produzione dell’opera ha generalmente poche o minime variazioni o innovazioni lungo periodi storici piuttosto lunghi, la fotografia ha collezionato, in quasi due secoli di vita, una quantità straordinaria di processi fotografici sia per riprendere le immagini sia per riproporle su un supporto durevole. E, come già detto altrove, soprattutto per quanto riguarda la fotografia storica, spesso la tecnica ha più valore del soggetto. Di seguito si presenta una carrellata in ordine, cronologico, delle principali tecniche di stampa fotografica tentando di darne brevi ed esaustive descrizioni. PRIMA PARTE Positivi diretti Pagina 34 Dagherrotipo (1839-1860 ca.) – Immagine fotochimica unica su lastra di rame argentata: è un positivo diretto con destra e sinistra invertite rispetto al soggetto. La lastra veniva esposta ai vapori di iodio per la sensibilizzazione, spesso i dagherrotipi erano colorati con pigmenti per assimilarli ai ritratti pittorici. Erano conservati in appositi “case” – cornici con vetro sigillate per preservarli più a lungo e inserite custodie in pelle finemente lavorate. Le lastre usate erano di misure standardizzate: cm. 21.5×16.5; 10.5×8; 7×5.5; 16×12; 8×7. Ambrotipo (1853 – 1865 ca.) – Dal greco “indistruttibile”. Lastra di vetro su cui si stendeva collodio umido. In genere si tratta di ritratti fortemente sottoesposti che, osservati in particolari condizioni, possono apparire sia positivi che negativi. Ferrotipo (1856 – 1870 ca.) – Fogli di ferro, laccati di nero e coperti da un’emulsione sensibile, in genere gelatina al bromuro, ma anche al collodio che, dopo lo sviluppo, dà un’immagine positiva di riflesso. Materiali negativi Disegno fotogenico (1839) – Fogli di carta su cui è spalmata una sostanza sensibilizzante e poi esposti alla luce con un oggetto (pizzo, foglia etc.) appoggiato sopra. Inventato da Talbot. Calotipo (1841- 1860 ca.) – Negativo su carta o stampa positiva diretta. Primo procedimento in cui l’immagine dopo l’esposizione rimane latente, ha bisogno cioè di essere “sviluppata” tramite un lavaggio successivo all’esposizione. Procedimento inventato da Fox Talbot, tra le varie migliorie quella della ceratura della carta di Gustave Le Gray nel 1851 che rendeva il foglio più trasparente. Il calotipo permetteva di ottenere copie a contatto; le stampe, però, presentavano una certa granulosità dovuta alle fibre della carta. Negativo all’albumina (1848 – 1852 ca.) – Preparazione di lastre fotografiche negative su vetro con albume d’uovo, il procedimento fu velocemente soppiantato dal collodio umido, ma rimase a lungo per la stampa. Negativo al Collodio Umido (1850 – 1870 ca.) – Molto più sensibile del procedimento all’albumina. Le lastre in vetro dovevano essere esposte e sviluppate subito dopo la loro preparazione, ancora umide, altrimenti perdevano la sensibilità. Il procedimento al collodio umido fu sostituito da quello al collodio secco (1864) creato addizionando al collodio sostanze idrosolubili per cui le lastre potevano essere preparate ed usate a distanza di tempo. In genere il collodio si usa per le stampe ad annerimento diretto. Negativo alla gelatina secca (1871- 1920 ca.) – Lastre di vetro su cui è stesa una gelatina sciolta in acqua che ha in sospensione bromuro d’argento che permette un’esposizione veloce, anche di cose in movimento. Prodotta in fabbrica, non più artigianalmente. Questi negativi sono usati per le stampe a sviluppo. oscura e si usa con carte a strati multipli o politenate. Negativo al Nitrato di Cellulosa (1920 – 1940 ca.) – Prodotto dalla Kodak dal 1883, materiale flessibile, antenato dei rullini, molto usato anche nel cinema. Ha però una serie di svantaggi in quanto non è stabile, è infiammabile e tende a sbriciolarsi. Tutti i procedimenti descritti di seguito sono in bianco/nero. Negativo all’Acetato di Cellulosa (Safety film) (1939 – 1950) – In sostituzione del nitrato, ha il vantaggio di non essere infiammabile, ma non è molto stabile e si restringe deformandosi nel tempo. Negativo al Triacetato di Cellulosa (1947-) – Usato ancora oggi, materiale durevole e stabile. Negativo al Poliestere (1940- 1960) – E’ il più resistente ma molto caro. Usato solo dai professionisti. (è il PET, lo stesso delle bottiglie). Pagina 35 Stampe da negativo Nelle stampe vanno distinte, soprattutto per l’Ottocento, quelle fatte ad Annerimento Diretto (POP- Printing out paper), cioè quando la carta sensibilizzata è a diretto contatto con il negativo e poi esposta alla luce per molto tempo, dette anche stampe a contatto; e quelle fatte per Sviluppo (DOP – Developing out paper) in cui si impressione sulla carta un’immagine latente che diviene visibile con il bagno di sviluppo. Il procedimento POP decade nel Novecento e in genere veniva usato con carta a un solo strato; mentre in procedimento DOP è quello che si continua ad usare anche oggi nella camera La diversità di questi due procedimenti, oltre che dai medium su cui sono usati, si può notare anche dai toni dei grigi delle stampe stesse: più caldi nei primo, più freddi nel secondo. Carta Salata (1840-1860) – Semplici fogli di carta da disegno imbevuti di cloruro di sodio con soluzione di nitrato d’argento (un solo strato). La superficie sensibilizzata veniva posta a contatto con un negativo e, per azione della luce, i sali d’argento si trasformavano in argento metallico, con effetto rossastro dell’immagine. Dopo l’annerimento diretto veniva virata e fissata. Carta Albuminata (1851- 1900 ca.) – Il foglio di carta veniva ricoperto con bianco d’uovo nel quale erano sciolti bromuro di potassio e acido acetico (due strati). Una volta asciutta una soluzione di nitrato d’argento veniva agitata sulla superficie, poi di nuovo asciugata. Questa è il primo tipo di carta che viene prodotto industrialmente. La carta sensibilizzata era messa a contatto con il negativo. Poi la stampa veniva messa in una soluzione di cloruro d’oro che le dava una sfumatura di un marrone intenso, fissata in iposolfito di sodio, lavata completamente e asciugata. Le albumine sono molto sottili e con il tempo tendono ad arrotolarsi, per questo le si trova generalmente montate su supporti di cartone. Carte Aristotipiche (1886- 1920) – Comprendono sia positivi al collodio ad annerimento diretto sia positivi alla gelatina ad annerimento diretto (carta al citrato). Il foglio di carta era coperto prima da uno strato di barita (solfato di bario) e su questo era stesa l’emulsione o di gelatina al cloruro d’argento o di collodio (tre strati). Potevano essere di aspetto lucido se erano virate con cloruro di sodio o opaco se veniva aggiunto dell’amido all’emulsione. Essendo difficilissimo distinguere tra le due emulsioni si può procedere a un test dell’acqua: poggiando una goccia d’acqua sulla superficie si noterà che la gelatina rigonfia mentre il collodio è impermeabile. Le carte aristotipiche ebbero una notevole diffusione, sostituendo quasi completamente quelle albuminate, ma intorno al 1920 caddero a loro volta in disuso. Tecniche non argentiche Ci sono procedimenti che sfruttano la fotosensibilità di elementi chimici diversi rispetto all’ argento. Platinotipia (1880- 1930 ca.) – Carta sensibilizzata con sali di platino e ossalato Pagina 36 Carta alla gelatina ai Sali d’argento (1880/) – Foglio di carta con barita ed emulsione di gelatina con generalmente bromuro d’argento, perché è il sale più sensibile. Carta a tre strati usata in camera oscura con ingranditore e luce elettrica (DOP). Per migliorare la stabilità della stampa nel tempo si è aumentato il numero di lavaggi a cui viene sottoposta la carta (sviluppo- doppio fissaggio- stop) per sopportare tutto questo è stata creata una carta detta politenata che ha uno strato di plastica sia sul retro sia tra la carta e l’emulsione. La carta baritata però si conserva meglio nel tempo. NOTA: Tutte le stampe di cui abbiamo parlato sopra in genere vengono sottoposte a Viraggio, che è un trattamento chimico che serve a migliorare la stabilità di una fotografia e trasformare il colore di un’immagine argentica. L’argento si unisce ad un altro composto quale oro, platino, selenio, uranio e zolfo. I primi due tipi di viraggio sono i più stabili, danno toni caldi all’immagine, ma sono i più costosi; gli ultimi due danno il caratteristico color seppia. Figura 26 - Minor White, Window Easter Sunday, Rochester NY, 1963. Stampa ai sali d'argento. 28x35.5 cm. Courtesy: Fabio Castelli ferrico, quest’ultimo, modificandosi in ferroso per esposizione alla luce, fa si che i sali di platino si trasformino in platino, metallo ben più stabile dell’argento. E’ una carta a un unico strato e si stampa per annerimento diretto. Fu messa sul mercato dalla Platinotype Company di Londra, essendo però molto costosa decadde durante la Prima Guerra Mondiale venendo sostituita dalla più economica Carta al Palladio, che sfrutta esattamente lo stesso procedimento ma con i sali di palladio. Pagina 37 Cianotipia (1880- 1910) – Anche detta Blueprint perché l’immagine finale è di colore blu. Metodo veloce basato su sali di ferro, carta a un unico strato e ad annerimento diretto. Oggi è usato per planimetrie. stampa al carbone. Un procedimento si basa sulla proprietà della gomma arabica, in presenza di bicromato di potassio, di diventare insolubile se esposta per qualche tempo alla luce. Un pigmento viene mescolato con la gomma bicromatata e applicato sulla superficie di un foglio di carta da disegno. Carta a due strati e ad annerimento diretto. Molto usata dai pittorialisti perché si può intervenire con altri strati di gomma e pigmento per rafforzare le zone deboli e inoltre si possono fare modifiche con pennello. SECONDA PARTE Nelle due sezioni seguenti ci sono forse indicazioni un po’astruse e di difficile comprensione, il motivo per cui sono state compilate è perché uno possa avere un minimo di guida tecnica a quello che acquista soprattutto nella fotografia contemporanea poiché con il prevalere dell’aspetto industriale spesso su molti supporti moderni è praticamente impossibile qualsiasi tipo di restauro in quanto le composizioni dei medium sono troppo complesse e misteriose. Procedimento al carbone (1860/) – Si stende sulla carta una miscela di particelle di carbone, gelatina e bicromato di potassio. Carta a due strati e ad annerimento diretto. Dopo l’esposizione le parti non impressionate venivano lavate, ottenendo cosi un’immagine con chiaroscuri proporzionali alla densità e alla Figura 27 - Wilhelm Von Gloeden, Seated youth and trasparenza del negativo. child holding vases of roses, 1914. Stampa salata virata seppia. 39.5x29 cm. Courtesy: Fabio Castelli. Per migliorarne i mezzi toni si creò un procedimento di trasporto Serve anche a sfatare un’errata idea di una (transfert) su carta al carbone acquistabile in maggior qualità in senso di durata delle commercio in tre differenti colori: nera, stampe moderne..anzi, quasi più della stampa seppia e bruno-rossastra. In pratica antica la stampa moderna ha bisogno di essere l’emulsione esposta, indurita, veniva staccata maneggiata con cura, poco esposta, non dal foglio originale e riposizionata su un piegata e la sua durata è comunque inferiore. nuovo foglio. Poiché l’immagine così era rovesciata, solitamente si eseguiva un Deve essere il gallerista o chi per esso ad secondo transfert. essere in grado di comunicarvi tutti i dati tecnici dell’oggetto, su che tipo di carta è Procedimento alla gomma bicromatata ( stato stampato, con quali inchiostri e con 1855/) – Semplificazione delle tecniche di quali macchinari, le referenze dell’eventuale laboratorio in cui il lavoro è stato stampato. stabilità. I procedimenti più stabili oggi sul mercato sono : Moderni procedimenti a colori Diapositive Ektachrome e Kodachrome – Entrambe a base di coloranti cromogeni e quindi con le stesse problematiche delle stampe. Le Kodachrome sono più stabili perché i copulanti sono nel rivelatore: non ci sono dunque copulanti residui nelle immagini a strati. Essendo tutti prodotti industriali e frutto di brevetti l’indicazione del tipo di materiale è sempre stampigliata sull’oggetto. Pagina 38 Stampe Cromogeniche – C print (1940/) – Sono le fotografie a colori che tutti hanno a casa. La composizione è complessa, fino agli anni ’70 il supporto era cartaceo o in acetato pigmentato (Kodak dal 1940). Sul supporto primario vengono stesi diversi strati contenenti coloranti JMC (Giallo-MagentaCiano). L’immagine è molto instabile a causa della fragilità chimica dei coloranti. Dal 1970 con in supporti in RC Paper si ottiene miglior Fujicolor Crystal Archive (1997) notato sul verso della stampa Kodak Endura (2002) notato sul verso della stampa Una volta che i colori hanno virato è impossibile ripristinarli. Figura 28 - Luigi Ghirri, Senza Titolo, della serie: Paesaggi di Cartone, 1971. Stampa cromogenica su carta al polietilene. 18.5x23 cm. Courtesy: Fabio Castelli Procedimento a colori per distruzione di coloranti (Detto anche Dye destruction) Cibachrome 1963 – Ilfochrome 1991. S’impone a partire dal 1980. Si basa sulla dustruzione selettiva dei coloranti JMC distrubuiti in tre strati in cui sono presenti anche sali d’argento. Supporto di poliestere e polietilene. L’immagine finale è di coloranti azoici, prodotti sintetici, che sono stabili; il problema è la stabilità meccanica del medium che si divide in bande. Stampe a sviluppo istantaneo La sovrapposizione delle tre immagini avviene per trasferimento (dye transfer). Si prepara una matrice di gelatina che assorbe la materia colorante in misura proporzionale alle luci e alle ombre e che, messa a contatto con la carta, dà luogo all’immagine colorata. Le tecniche a carbone, alla gomma bicromatata e dye transfer richiedono tre negativi distinti. Se il soggetto è immobile, è facile fare esposizioni in tempi successivi, ma se si devono riprendere soggetti in movimento bisogna fare esposizioni simultanee. Le tre matrici di gelatina sensibilizzata corrispondente alla selezione tricromia blu, verde e rossa, vengono inchiostrate in giallo, magenta e ciano, e stampate su uno stesso supporto di carta alla gelatina dando una stampa a colori. Questo procedimento ha un’ottima stabilità all’oscurità mentre alla luce reagisce molto meglio delle stampe cromogeniche. Polaroid – Si divide in due tecniche: quella in cui il negativo e il positivo sono separabili (1947 Polaroid b/n – 1963 Polacolor – 1984 Fuji instant film FP 100) e quella in cui c’è un blocco unico con uscita automatica dall’apparecchio, detto sistema integrale (1972 SX 70). Soprattutto il sistema integrale ha i coloranti molto instabili alla luce (infatti i grandi formati professionali sono sempre in positivo/ negativo separabili), all’umidità e al calore. E’ il procedimento più instabile di tutti. Procedimento a colori per trasferimento di coloranti (Detto anche Dye transfer) Pagina 39 In commercio con diversi nomi, come Pinatype (1880), Eastman Wash-off relief (1936). Tra il 1945-1994 prodotto da Kodak e poi dal 1995 Dye Tranfer Corporation per il mercato americano. E’ usato principalmente da artisti e mondo professionale.,è il procedimento più caro ma anche più stabile. Sulla carta c’è una strato baritato e uno di gelatina brillante più tre strati (matrici) in gelatina caricati ciascuno con JMC. Stampe digitali Stampe a getto d’inchiostro – Sono le più comuni, mercato molto diffuso, anche “casalingo”. Difficile darne una descrizione precisa perché le caratteristiche di una stampa dipendono dal tipo di stampante, dal tipo di inchiostro e dal tipo di carta. Dopo un periodo di “stampa selvaggia” si è sentita la necessità di regolamentare questo tipo di stampa per poter dare parametri di qualità e durevolezza. Stampa a getto d’inchiostro “fine art” IRIS – Nel 1987 nasce la prima stampante IRIS (nome commerciale) e negli anni Novanta le IRIS-print o Giclée hanno avuto la loro età dell’oro. Usata soprattutto da artisti o per riproduzioni. Si può usare con qualsiasi tipo di carta, sia semplice o con strato di gelatina. Si basa sulla quadricromia (JMCK). Sono stampe molto fragili perché i colori non sono dentro la carta, ma sopra, quindi sono soggetti a colature in presenza di umidità o acqua e a forti sbiadimenti in presenza di luce. Per ovviare a questo a volte le stampe venivano verniciate, ma dopo un po’ la stessa vernice si deteriora e a volte assume un colore giallastro. Stampa a getto d’inchiostro pigmentato di tipo “fine art” – Iniziano ad essere usate negli anni Novanta, soprattutto per le produzioni di artisti che spesso si rivolgono ad atelier specializzati in questo tipo di stampa. In genere si usa una carta stile “acquerello” (Sommerset, Hahnemuhle, Lyson, Velin d’Arches) perché gli inchiostri pigmentati sono più adatti alle carte opache, è possibile usarli però anche su carte brillanti. E’ poco raccomandabile verniciate gli inchiostri pigmentati su carta opaca nella speranza di dare lucentezza. Grazie all’inchiostro pigmentato (che non è a base d’acqua) le stampe risultano più stabili, ma i colori sono comunque sensibili alla luce e alle abrasioni. Carte microporose: strato ricevente minerale che rende la carta poco flessibile e quindi non va arrotolata. Se viene stampata a coloranti è molto sensibile all’acqua e alla luce, se invece viene stampata a pigmenti è davvero molto sensibile all’abrasione. Carta con strato ricevitore a polimero assorbente: meno sensibile all’inquinamento, all’acqua e all’abrasione. Rispetto ad altre stampe il problema di queste Pagina 40 Stampa a getto d’inchiostro su carta commerciale multistrato – Inizia a comparire negli anni Novanta ed è diventata in fretta il procedimento più usato sul mercato della stampa fotografica. Le carte sono vendute dall’industria delle stampanti. Copre sia il mercato amatoriale che quello professionale-artistico per i prezzi molto più bassi delle stampe “fine art”. Le carte essendo industriale hanno una struttura molto complessa e nei loro strati sono inseriti anche agenti protettivi anti-UV, anti-ossidanti e filtri ottici, possono essere usate con coloranti o pigmenti e possono essere di due tipi: Figura 29 - Jiang Zhi, Rainbow n. 1-6, 2006. Digital color print. 80x120 cm. Edizione 6/12. Courtesy: Fabio Castelli con carta commerciale è che spesso il deterioramento non è ne progressivo né lineare. Elettrofotografia (Stampe Laser) – Nel 1975 nasce la prima stampante laser e da allora il mercato si è allargato notevolmente. Col tempo la qualità delle stampe è molto migliorata, sonno comunque prodotti non pensati per un mercato patrimoniale. Si dice che a volte i fotografi usano questa tecnologia per realizzare “sterline fotografiche” cioè vendere molte copie delle loro fotografie. Segue lo stesso principio delle fotocopiatrici e per questo motivo le stampe sono molto fragili poiché il toner può deteriorarsi polverizzandosi soprattutto se si utilizza carta plastificata. Molto instabili alla luce. Pagina 41 Riccardo Varini, Serie Silenzi S18-09, 2012. Stampa su carta cotone 100% Epson Velvet Fine Art, a pigmenti K3. 30x45 cm. Ed. 1/27 + II p.a. Courtesy: Fabio Castelli FIRME, TIMBRI E ANNOTAZIONI N el 1827, Joseph Nicéphore Niépce si reca alla Royal Society di Londra per presentare la sua scoperta che lui chiama ancora Eliografia ma che, di fatto, è passata alla storia come la prima fotografia: un’immagine di fabbricati e di tetti adiacenti la sua abitazione, Le Gras, a Saint Loup deVarennes, vicino a Chalon sur Saône, ripresa dopo un’esposizione di circa otto ore effettuata con una camera oscura posizionata davanti a una finestra. Francis Bauer, il contatto del fotografo e ricercatore francese in Inghilterra a cui viene affidata l’immagine durante il soggiorno per la presentazione alla Royal Society. Un’annotazione fondamentale per la datazione e l’attribuzione che farà Gernsheim ma anche per la stessa storia della fotografia. Figura 31 - Il retro della foto di Niépce con le annotazioni di Francis Bauer Pagina 42 Figura 30 - Joseph Nicéphore Niépce, Vista dallo studio della casa di Le Gras, 1827. Oggi conservata presso la Gernsheim Collection dell’Harry Ransom Humanities Research Center dell’Università del Texas, questa prima fotografia è data per persa per più di un secolo, ossia fino al 1952, quando è stata ritrovata da Helmut Gernsheim che la data, appunto, 1827, grazie ad una annotazione presente sul retro dell’immagine in cui si legge: «Il primo risultato ottenuto spontaneamente dall'azione della luce da Mr. Niepce. Chalon sur Saône. 1827. Il primo successo dell’esperimento del Signor Niépce di fissare in modo permanente un’immagine dalla natura». Autore di questa iscrizione è Questo aneddoto ci fa capire quanto i “segni” presenti su una fotografia possono essere rilevanti per chi si interessa di questa arte e, magari, vuole diventarne un collezionista. Quando si decide di comprare una fotografia, infatti, deve essere sempre attentamente valutata la presenza o meno, su di essa, di firme, iniziali, timbri o la loro assenza. Per alcuni artisti, infatti, può essere molto importante come un’immagine è stata firmata. Se pensiamo, ad esempio, alle foto di Edward Weston, pietra miliare della storia della fotografia a cui si deve l’avvicinarsi di questa arte al linguaggio delle avanguardie di primo Novecento, il loro valore può oscillare anche di diverse migliaia di dollari a seconda che siano firmate o meno. Per altri fotografi, in particolare quelli europei attivi tra le guerre, invece, la presenza o meno della firma incide decisamente meno sul loro valore. Le stampe tarde non firmate, realizzate dopo la morte di un artista, inoltre, possono esporre il collezionista ad un alto rischio di frode o di speculazione, perché non ci sono garanzie sul numero degli esemplari presenti sul mercato e, molto spesso, sono solo delle cattive imitazioni degli originali. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che nella maggior parte dei casi, la miglior garanzia che un’opera fotografica mantenga il suo valore è che sia una stampa vintage, firmata e rara. Ancora una volta, dunque, è difficile dare una ricetta precisa ma è necessario valutare caso per caso e questo mette ancor più in evidenza la necessità, da parte del collezionista, di avere un buona preparazione. Per questo, quando si osserva un’opera fotografica in una galleria e si sta decidendo se acquistarla o meno, conviene sempre vedere anche il retro della foto, a costo di farla smontare: non accontentatevi di quello Pagina 43 Detto questo, prima di analizzare i vari “segni” che si possono trovare sul verso o sul recto di un’immagine, voglio ricordare che la loro presenza è bene che sia documentata fotograficamente ai fini assicurativi e per il ritrovamento delle opere in caso di furto o smarrimento, secondo quanto stabilito dallo standard internazionale per la descrizione dei beni culturali Object ID, elaborato nel 1993 dal J. Paul Getty Trust, lanciato nel 1997 e oggi adottato dalle principali forze dell’ordine, tra le quali FBI, Scotland Yard e Interpol. Figura 32 - Edward Weston, New Mexico, 1941. In basso a destra è stata evidenziata la sigla con le iniziali del suo nome e la data. che vi viene detto, verificate sempre tutto! Le firme un’etichetta in cui vengono riportati anche i dati della galleria. E’ un’abitudine recente ma che sta prendendo sempre più piede tra gli artisti. Pagina 44 I Timbri Come per la pittura o per la grafica d’arte, anche nella fotografia ha preso piede, in modo ormai consolidato, l’abitudine da parte dell’artista di firmare i vari esemplari. Un Anche se non mancano artisti che timbrano a modo per “rivendicarne” secco, o in modo la paternità ma anche per tradizionale, le garantirne l’autenticità. proprie opere – Ma dove si trova la in Italia firma? Se avete possiamo citare, passeggiato per una fiera ad esempio, i o per una mostra di Readymade di fotografia, adesso, molto Maurizio probabilmente, vi starete Galimberti – chiedendo come mai non l’abitudine di avete visto la firma applicare il dell’autore sulle foto proprio timbro esposte. La risposta è sulle opere molto semplice: se alcuni appartiene più fotografi firmano la allo stampatore o propria opera in basso, al montatore che proprio come fanno i non all’artista. loro colleghi pittori, sono Ma viene invece la maggioranza utilizzato anche quelli che preferiscono dalle Agenzie o apporre la propria firma dalle Fondazioni sul retro dell’immagine, che curano assieme alla data e alle l’opera di artisti eventuali indicazioni ormai scomparsi. relative al titolo Non è raro, dell’opera, alla serie. Figura 33 - Vista fronte / retro di Via Marina (1990), fotografia di inoltre, che sul Usualmente firma ed Mimmo Jodice. Sul retro si può vedere la firma dell’autore. retro delle informazioni vengono fotografie siano scritte a matita, e questo a fini conservativi, presenti timbri che rimandano a collezioni ossia per evitare danni futuri all’opera. private o pubbliche a cui le opere sono appartenute in passato. Il timbro non Talvolta, la firma e le informazioni di cui sostituisce la firma o l’etichetta ma, abbiamo appena parlato, possono essere normalmente, vi si affianca riportando dati applicate sull’opera (o sul passepartout se non ulteriori e relativi, appunto, al soggetto che addirittura sul retro della cornice) con l’ha apposto. Le Annotazioni Cosa dire, infine, delle annotazioni… dovendone fare un elenco per tipologia probabilmente non basterebbe un libro. Sul retro delle fotografie (ma anche sul davanti) se ne trovano di tutti i tipi: dalle dediche, tipiche delle stampe Vintage, all’indicazione del titolo, passando da dichiarazioni di intenti Pagina 45 a note che hanno tutto il sapore degli appunti di viaggio, in cui è descritta la genesi di uno scatto, fino ad indicazioni tecniche – come la dicitura “Fotografia non manipolata al computer” che applica Gianni Berengo Gardin – o di destinazione d’uso, come quella che si trova dietro la celebre fotografia di Robert Capa del soldato lealista che cade in punto di morte durate la guerra civile spagnola, sul cui si legge: «Robert Capa // Not for Reproduction». Edward Weston, Excusado, 1925. Nell’angolo in basso a sinistra è possibile vedere le iniziali del nome del fotografo poste vicino alla numerazione della serie. Nell’angolo in basso a destra, invece, troviamo la firma e la data. 46 Pagina Recto e Verso della foto Morte di un miliziano lealista di Robert Capa (Spagna, 1936 – © Robert Capa / International Center of Photography / Magnum Photos). Sul retro si possono vedere numerosi timbri e annotazioni. In particolare quella del fratello Cornell Capa nella quale è raccontata la storia di questa fotografia. LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO Quello che segue non vuole essere un manuale del fai da te nella conservazione e restauro delle opere fotografiche che, di fatto, sono materie delicatissime e che hanno bisogno di tempo, studio, esperienza e ambienti idonei, ma piuttosto vuole far emergere quanti accorgimenti l’appassionato di fotografia deve imparare ad avere se vuole far sì che la sua collezione abbia una buona possibilità di durare nel tempo e di non deprezzarsi a causa di una cattiva conservazione che ne può minare la stabilità. Pagina 47 Insomma, se sognate di poter esporre in pieno sole, in salotto, magari vicino a un camino, un’opera fotografica e pensate che per ridarle lucentezza ed eliminare sporco e polvere basti una passata di alcool, non stupitevi se dopo pochi anni l’immagine sarà irriconoscibile e irrimediabilmente rovinata. specializzato. Se una volta capitava che fosse un restauratore di carta (libri, stampe, disegni), che si improvvisava esperto di fotografia partendo dal presupposto che era costituita dallo stesso materiale a lui noto, oggi sono molti gli specialisti preparati in materia di fotografia e quindi si possono ottenere consulenze o interventi più che garantiti. Quelle che scriviamo di seguito sono delle indicazioni generali di comportamento e delle prese di coscienza di quello a cui si va incontro iniziando un rapporto d’amore con la fotografia Quasi tutto il materiale fotografico era ed è sensibile ai fattori ambientali, non solo alla temperatura, all’umidità relativa, all’inquinamento atmosferico, ma anche alle sostanze ossidanti emesse dai materiali da costruzione, quali vernici murali, arredi in legno, cartoni e persino le buste o confezioni originali utilizzate per proteggere i materiali fotografici. Vediamo, dunque, come comportarci con le nostre Figura 34 - Se una volta capitava che fosse un restauratore di carta che si improvvisava esperto di fotografia oggi sono molti gli specialisti preparati in materia Ricordiamo che la fotografia non è un poster, né un quadro incorniciato; una semplice spolveratura un po’ aggressiva potrebbe rigarne la superficie in modo irrimediabile, una passata di vetril sul vetro o sulla plastica di montaggio potrebbe innescare reazioni chimiche imprevedibili e deleterie per l’immagine. Ed è bene non toccare neppure i vecchi adesivi presenti sul retro delle immagini. Nel dubbio (e riguardo alla fotografia si è sempre nel dubbio) meglio, davvero, non fare nulla e rivolgersi a un restauratore dobbiamo fotografie. La manipolazione La difesa principale che un collezionista può attuare per mantenere in buono stato le proprie opere è una corretta manipolazione. Alcune regole semplici e una rigorosa disciplina permettono di evitare un gran numero di alterazioni meccaniche dovute ad errate manipolazioni umane: segni d’impronte, rotture di lastre, stampe lacerate o sgualcite, negativi rigati, ecc. Questo è quello che si dovrebbe fare: trasportare i documenti su un vassoio imparare a tenere la fotografia con due mani o supportarla con un cartoncino più rigido; indossare guanti di cotone puliti quando si consultano i materiali fotografici e non toccare mai il lato dell’emulsione dell’immagine fotografica (esempio: stampe, negativi, diapositive, lucidi, ecc.); limitare i tempi di manipolazione, poiché calore e umidità prodotte dalle mani possono comunque deformare le immagini; preparare una superficie di lavoro e di studio pulita; non utilizzare nastri adesivi, graffette, cavalieri, puntine o elastici sul materiale fotografico; non utilizzare mai carpette o buste in PVC. La carta e il cartone dovrebbero essere conformi ai seguenti criteri: alta percentuale di cellulosa (oltre 87%); pH neutro (attorno al 6.5-7.5); bassissimo contenuto di zolfo; legante neutro, libera da lignina, da particelle metalliche, acide, perossidi, formaldeide e da agenti nocivi derivanti dall’incollaggio. Pagina 48 Tutti i materiali di conservazione dovrebbero superare il Photographic Activity Test (PAT), come indicato negli standard in base alla norma ISO 145523-1999 PAT. Questo test rigoroso valuta gli effetti dei materiali di conservazione sui materiali fotografici. Attualmente molti produttori e fornitori di materiale di conservazione eseguono questo test sui loro prodotti. Se possibile, quindi, acquistate prodotti che hanno superato il PAT o richiedete che tutto il materiale di conservazione acquistato debba averlo superato. Figura 35 - I materiali fotografici dovrebbero essere manipolati indossando sempre guanti di cotone puliti. L’ambiente intermittenti. Per valutare o migliorare l’ambiente in cui si andranno a conservare le opere bisogna prestare attenzione a vari parametri: Per attenuare gli effetti nefasti della luce naturale, esistono tre soluzioni possibili: La luce Lo spettro visibile della luce (violettobluverde-giallo-arancione-rosso) si situa su lunghezze d’onda fra i 400 e i 750 nm. Sono le radiazioni che precedono (ultraviolette) e quelle che seguono (infrarosse) che determinano principalmente il deterioramento dei supporti fotografici: i raggi UV provocano uno scolorimento dello strato dell’immagine mentre i raggi IR fanno apparire un ingiallimento. Inoltre, più la lunghezza d’onda è piccola, più essa origina reazioni importanti nei materiali organici quali cellulosa, collagene, pigmenti organici, ecc. le sale d’esposizione devono essere orientate a nord, installare tende esterne, impiegare filtri sulle finestre. Per la luce artificiale vediamo che le lampade incandescenti, con filamento al tungsteno, non emettono radiazioni UV ma provocano una colorazione giallastra come pure una forte emanazione di calore. Mentre le lampade alogene (iodio + quarzo), offrono una resa migliore dei colori ma un’emanazione di calore superiore a quelle al tungsteno. E’ utile dotarle di un filtro UV. La lampada meno dannosa è quella fluorescente, anche in questo va sempre però installato un filtro UV policarbonato. E’ importante ridurre l’intensità luminosa: 150 lux per stampe moderne in bianco e nero, Pagina 49 Va evitata la luce naturale e le fonti di illuminazione devono essere messe lontane dalle opere, per evitare il surriscaldamento delle stesse. Per questo andrebbero privilegiati i sistemi di illuminazione Figura 36 - Va evitata la luce naturale e le fonti di illuminazione devono essere messe lontane dalle opere, per evitare il surriscaldamento delle stesse. 50 lux per stampe a colori e per le copie del diciannovesimo secolo. E’ , infine, limitare i tempi di esposizione e per questo sono consigliate luci intermittenti. L’umidità relativa Se è troppo bassa aumenta gli effetti dell’elettricità statica e provoca screpolature sull’emulsione. Se troppo alta si genera un’idrolisi dei coloranti e della gelatina che favorisce la formazione e in seguito la proliferazione di determinate spore e di alcuni funghi all’interno dell’emulsione. i materiali a colori dovrebbero essere conservati in ambienti a bassa temperatura (sotto i 2° C e 30-40% di UR) per assicurare la durata. per le collezioni fotografiche composte da differenti procedimenti è raccomandato il tasso di umidità relativa del 35-40%. L’inquinamento L’inquinamento atmosferico ha innumerevoli effetti dannosi sui supporti fotografici. Alcuni gas, quali l’anidride solforosa, l’ossido d’azoto, i cloruri e i solventi, attaccano l’argento metallico ossidandolo. La temperatura Pagina 50 Stesso discorso per le particelle solide dell’aria (minerali e organiche) che Questo fattore si combina strettamente con danneggiano l’umidità relativa. Una l’emulsione e temperatura troppo provocano delle elevata attacca la rigature indelebili. Tra gelatina e provoca dei gli inquinanti che distacchi possono danneggiare dell’emulsione. Al le pellicole si contrario, una comprendono i temperatura bassa perossidi (derivanti associata ad dalla carta e dal un’umidità relativa legno), composti di adeguata favorisce un cloro, ossidi di azoto, notevole allungamento diossidi di zolfo, della vita dei supporti Figura 37 - L’inquinamento atmosferico ha innumerevoli acido solfidrico (di fotografici. Va da sé che effetti dannosi sui supporti fotografici solito gli elastici fluttuazioni di possono contenere temperatura e umidità dovrebbero essere zolfo), impurità nelle colle, gas emanati dalle evitate. vernici, ozono prodotto da fotocopiatori e da certe lampade e apparecchiature elettriche, Fluttuazioni di temperatura e umidità ammoniaca, fumo, insetticidi, polvere, dovrebbero essere evitate particelle abrasive e funghi. Sono consigliati filtri d’aria a carbone attivo e moquette a Generalmente la temperatura dovrebbe essere bouclé, piuttosto che rasata, perché pezzetti di mantenuta più bassa possibile e costantemente fibra abrasivi possono essere rilasciati dal monitorata; di seguito alcuni dati generali, pelo rasato per un tempo molto lungo. fermo restando che le scelte vanno fatte dopo aver consultato uno specialista, soprattutto per Gli agenti biologici i materiali a colori: le stampe e i negativi in bianco e nero dovrebbero essere conservati ad una temperatura sotto ai 18° C e l’umidità relativa (UR%) attorno al 30-40%; I supporti fotografici sono facilmente attaccati da certi funghi e da certi batteri. Funghi e batteri s’installano sullo strato argenteo e distruggono l’immagine. Quando si acquisiscono documenti fotografici, è utile procedere ad un attento esame di ogni supporto fotografico onde separare i pezzi contaminati. Questi ultimi dovranno essere affidati a un restauratore specializzato, il quale procederà a trattamenti fungicidi, insetticidi e battericidi. Per quanto concerne i pezzi in buono stato, il rispetto delle condizioni di conservazione (temperatura + umidità relativa) rappresenta la miglior garanzia contro ogni agente biologico. È importante separare i supporti che si stanno deteriorando da quelli in buone condizioni: i materiali in corso di deterioramento, infatti, producono sostanze di degradazione che possono indurre deterioramenti in altri supporti fotografici. Il condizionamento Differenti tipologie di materiali fotografici, come vetro e pellicole fotografiche, stampe a contatto, fotografie a colori, lucidi dovrebbero essere conservate separatamente. Soprattutto, sarebbe opportuno conservare ogni tipo di materiale su pellicola isolato da altri tipi di pellicola. Tale organizzazione protegge gli altri supporti fotografici dai prodotti nocivi derivanti dalla degradazione del nitrato di cellulosa e degli acetati di cellulosa. In particolare, l’acido nitrico che si forma dalla degradazione del nitrato di cellulosa può far sbiadire le immagini su argento, far diventare morbidi e perfino appiccicosi i leganti di gelatina e corrodere i contenitori e gli armadi di metallo. Questo tipo di organizzazione per qualità dei materiali rende anche più efficiente ed efficace il monitoraggio dello stato della raccolta. La soluzione migliore per le fotografie di piccolo formato non è conservarle in quadro ma collocare ogni singola foto in una busta di carta idonea (opaca o mylar), riducendo così i possibili danni alla fotografia, e aggiungere protezione grazie anche all’uso di un cartoncino di supporto che permetta di Pagina 51 Per condizionamento nel mondo della conservazione e del restauro si intendono tutti quei materiali e quelle pratiche atte a conservare nel modo più corretto possibile un oggetto. Riguarda, quindi, non solo il tipo di carta o di plastica con cui si copre una fotografia ma anche la posizione in cui la si conserva. Figura 38 - La soluzione migliore per le fotografie di piccolo formato è conservarle in una busta di carta idonea (opaca o mylar) manipolare la foto senza toccarla. come l’incurvatura. Per i grandi formati, invece, la messa in cornice può essere un mezzo di conservazione, in genere con polipropilene per la protezione contro l’acqua. Ci vuole l’introduzione di uno spessore , o distanziatore, nell’interfaccia immagine-vetro, per evitare problemi d’aderenza difficilmente reversibili e risolvibili. E’ ottimale avere due livelli di contenitori: busta e scatola, ma va comunque evitato l’affollamento di pezzi in scatole o cartelle. Tutto il materiale, inoltre, deve avere inerzia chimica comprovata. Il condizionamento corretto è molto utile in quanto crea un effetto tampone da T e HR, protegge dalla luce e da danni meccanici. Attenzione particolare deve essere data alle stampe fotografiche di grande formato montate su cartone, poiché spesso il cartone originale è acido e estremamente fragile: la fragilità del supporto può mettere a rischio la stessa immagine perché il cartone può rompersi danneggiando la fotografia. Il grande formato nella fotografia contemporanea peso instabilità fisica natura dei materiali e del montaggio, che può essere fatto con supporti inadatti come il legno o in maniera irreversibile come con lastre di metallo. Inoltre, mentre per la fotografia storica si conoscono abbastanza bene materiali e tecniche, la fotografia contemporanea, in cui gioca un ruolo preponderante l’industria, ha strutture Pagina 52 Una volta che le fotografie sono state collocate in cartelle, raccoglitori o buste, possono essere immagazzinate verticalmente, o orizzontalmente, in scatole con apertura sul fronte per agevolare l’estrazione e la ricollocazione. L’immagazzinamento orizzontale delle fotografie è generalmente preferibile alla conservazione verticale, poiché lo scaffale, o cassetto, permette un naturale supporto e evita danni meccanici La fotografia contemporanea spesso ha grandi formati e questo porta a diversi inconvenienti: Figura 39 - Per i grandi formati la messa in cornice può essere un buon mezzo di conservazione e composizioni complesse, spesso coperte da brevetti o segreti industriali, per cui è difficilissimo poter intervenire in maniera certa su alcuni problemi. Di fatto, le alterazioni chimiche e biologiche sono irreversibili e i danni sono evidenti anche nell’alterazione dei colori e bisognerebbe eliminarne le fonti come: colle, adesivi, spore, supporti inadatti, sempre con l’attenzione a non modificare l’opera. Soprattutto per l’opera d’arte contemporanea sono indispensabili informazioni tecniche e storiche sull’opera e si dovrebbe avere sempre presenti le scelte dell’artista concernenti l’esposizione. Sarebbe importante conoscere anche il nome del montatore. Per opere di grande formato che invece non hanno montaggio è importante ricordare di non arrotolarle perché ci sono rischi di rotture e di deformazioni irreversibili. Gli interventi preventivi Una volta in possesso di una fotografia sarebbe opportuno far verificare da uno specialista se ha bisogno dei seguenti interventi: pulizia; rimozione adesivi; smontaggio (non solo per la Gli interventi curativi Di fronte a una necessità oggettiva d’intervento, per cercare di ripristinare lo stato ottimale dell’opera bisogna prima di tutto ricordarsi che, spesso, meno si fa e meglio è, e poi si può procedere ai seguenti passaggi: riposizionamento in piano dell’opera; consolidamento degli strappi e delle parti mancanti; reintegrazioni. E’ da notare che se per le foto contemporanee si tende a chiedere molto spesso un restauro estetico, molto legato al valore di mercato, per quella storica si pensa più a un restauro archeologico. Prevenire è meglio che curare Nell’acquisto di un’opera fotografica bisogna richiedere informazioni precise sull’assemblaggio, il condizionamento, le Pagina 53 composizione chimica dei supporti, che può essere una fonte di alterazione, ma anche perché, a volte, il montaggio può creare tensioni nell’originale causando deformazione o incrinature dell’immagine). Figura 40 - Ogni fotografia dovrebbe avere un suo imballaggio dedicato realizzato con materiali certificati condizioni di archiviazione e quelle d’esposizione; spesso il come è vissuta un’opera è evidente già da come il gallerista ce la propone. L’oggetto dovrebbe avere un suo imballaggio dedicato, realizzato con materiali certificati, e facciamo attenzione anche a come il personale la manipola: a volte il segno di impronte digitali sull’immagine appare dopo molto tempo che l’opera è stata toccata nella maniera scorretta; ricordiamo inoltre che non esistono procedimenti di restauro che possano ripristinare l’opera, a volte si tenta di coprire il danno con ritocco pittorico, ma su superfici lisce e brillanti spesso è impossibile. Per il restauro delle foto a colori va tenuto presente che nessun restauro è possibile nel caso di un alterazione chimica dei coloranti, che è di fatto la principale forma di degrado; l’instabilità dei coloranti può portare a viraggi di colore dovuti al degrado di collanti residui sulla carta o al degrado dei coloranti stessi. Con la fotografia a colori ci troviamo ad affrontare problematiche conservative assai complesse, in quanto, da un lato, c’è una grande sensibilità dei coloranti ai solventi e agli inquinanti, dall’altro, c’è una cattiva conoscenza dei materiali fotografici dovuta, come detto, a questioni di mercato industriale. L’unico modo per preservarsi da spiacevoli scoperte è attuare da subito interventi preventivi che controllino luce, temperatura, umidità relativa e contaminanti. Esposizione delle opere – Montaggi Ci sono norme internazionali che regolamentano i parametri espositivi e i materiali da usare (uno su tutti lo AFNOR Z 010 – jun 2005 e segg.) e indicano, per esempio, quali tipi di trattamento del legno sono idonei per le teche espositive o quali vernici speciali possono essere usate, fermo restando che vadano applicate almeno tre settimane prima dell’utilizzo, in modo che tutti i solventi o altri prodotti chimici siano evaporati. Riguardo ai metalli vanno prediletti alcuni tipi di acciaio galvanizzato o inossidabile, oppure alluminio o alluminio Dibond (alluminio speciale, marchio registrato). Per i materiali plastici sono raccomandati polietilene, polipropilene, gli acrilici, i policarbonati e il plexiglass, mentre gomme e siliconi possono rilasciare nel tempo elementi di deterioramento molto pericolosi. Da evitare il poliestere, poichè sulla superfici brillanti crea un effetto di ferrotypage e a causa dell’elettrostatica può creare delle bande sulla superficie dell’immagine. Per l’esposizione è sempre consigliabile che l’opera sia chiusa correttamente in una cornice, per le stampe digitali su superfici porose o le Iris questo aiuta a prevenire il contatto con l’ozono, gas tra i più dannosi per loro ed elemento molto presente nelle città a causa dell’inquinamento. Pagina 54 In linea generale è auspicabile che solo materiali a norma, tra adesivi, colle e carta, Figura 41 - Questo disegno mostra, in sezione, un montaggio archivistico per fotografie d’arte debbano essere messi a contatto con l’opera. Sul mercato c’è una predominanza di supporti plastificati e per questi non si è ancora trovata nessuna soluzione soddisfacente in caso di deformazioni fisiche . e l’immagine diventa in pratica un oggetto in plastica. Le alternative meno invasive sono: I montaggi contemporanei hanno il difetto di essere in gran parte irreversibili, mentre sarebbe consigliabile, per le stampe digitali fine art su carta, interporre uno strato di carta tra l’opera e l’assemblaggio fatto su Dibond o su alluminio o su pvc. O creare un montaggio su cerniera, simile a quello delle litografie. Non avere un vetro davanti all’immagine porta a danni meccanici e da inquinanti. Assemblaggio tramite adesivo a doppia faccia amovibile dal pannello di supporto. Assemblaggio pieno tramite strati sacrificabili per lo smontaggio. Assemblaggio con cerniere. I montaggi dei grandi formati si possono dividere in due gruppi: Fotografie laminate su pannello rigido Nel tempo possono presentare una deformazione del supporto che implica quella dell’opera, oppure avere difetti di incollatura che possono provocare bolle sulla superficie o creare interstizi per la polvere. Se non sono protette da passepartout queste immagini possono avere evidenti alterazioni cromatiche dei bordi e sulla superficie. Pagina 55 Fotografie montate di faccia tipo Diasec (Face mounting) Si tratta di far aderire l’immagine di faccia al vetro tramite l’eliminazione dell’aria tra i due: questo da un effetto bagnato e aumenta la saturazione dei contrasti, ma è solo un’illusione di protezione poiché il montaggio è realizzato tramite adesivo a base di silicone che rilascia acido acetico o composti ammoniacali che rovinano l’immagine; oppure tramite una pellicola adesiva per pressione, oppure con sistema sottovuoto (Vacuum Diasec – marchio registrato). In genere si usa il plexiglas che a sua volta è sensibile a umidità relativa e calore, in tal modo assomma le sue alle problematiche della fotografia. Lo smontaggio è impossibile Sullo sfondo: un’immagine dello Edward Steichen Photography Study Center GLOSSARIO Si riporta, qui di seguito, il vocabolario minimo dell’aspirante collezionista di fotografia. L’elenco proposto non ha la pretesa di essere esaustivo ma vuole solo fornire quei termini fondamentali per iniziare a muoversi in questo mondo nonché fornire un riassunto dei temi più importanti affrontati nei vari fascicoli di questa guida. A AMBROTIPO Dal greco “indistruttibile”. Lastra di vetro su cui si stendeva collodio umido. In genere si tratta di ritratti fortemente sottoesposti che, osservati in particolari condizioni, possono apparire sia positivi che negativi. ARCHIVIO FOTOGRAFICO Insieme di fotografie (negativi e positivi), attrezzature fotografiche e altri materiali. Può venire inteso anche come spazio fisico di conservazione dei materiali. AUTENTICA Certificato, posto sul retro dell’opera, contenente i dati di produzione di provenienza. B Pagina 56 BARITE Solfato di bario. Polvere bianchissima stesa nelle carte fotografiche dette appunto baritate, tra l'emulsione e il supporto in carta. BROMURO D'ARGENTO Alogenuro d'argento, usato in fotografia per rendere sensibile la superficie di lastre e pellicole, combinato poi con la gelatina permette la preparazione di emulsioni molto sensibili. C CALOTIPO Negativo su carta o stampa positiva diretta. Primo procedimento in cui l’immagine dopo l’esposizione rimane latente, ha bisogno cioè di essere “sviluppata” tramite un lavaggio sduccessivo all’esposizione. Procedimento inventato da Fox Talbot, tra le varie migliorie quella della ceratura della carta di Gustave Le Gray nel 1851 che rendeva il foglio più trasparente. Il calotipo permetteva di ottenere copie a contatto; le stampe, però, presentavano una certa granulosità dovuta alle fibre della carta. CAMERA OSCURA Lo spazio di lavoro per lo sviluppo e la stampa di pellicole fotografiche e la realizzazione di stampe. CARTA ALBUMINATA Tecnica inventata nel 1850 da BlanquartEvrard. Un foglio di carta del tipo da disegno veniva coperto da uno strato di albumina contenente del sale e sensibilizzato agitandolo leggermente in soluzione di nitrato d'argento; la stampa avveniva per annerimento diretto. L'immagine di solito veniva sottoposta ad un viraggio all'oro e poi fissata. CARTA BARITATA Rivestita generalmente di gelatina - solfato di bario. Inventata nel 1881. CARTA AL CARBONE Carta fotografica ai sali di cromo usata in origine per ottenere positivi fotografici con caratteri simili ai disegni a carboncino. Si tratta di solito di un foglio di carta sottile ricoperto di una pellicola di gelatina bicromatata contenente particelle di carbone o altro pigmento. Le stampe al carbone, ideate da Alphonse Poitevin (1855-56) sono molto durevoli. Fra quelle commercializzate dopo il 1889 la carta Artigue, detta charbon-velour, e quella Fresson, detta charbon-satin. CARTA SALATA Semplici fogli di carta da disegno imbevuti di cloruro di sodio con soluzione di nitrato d'argento (un solo strato). La superficie sensibilizzata veniva posta a contatto con un negativo e, per azione della luce, i sali d'argento si trasformavano in argento metallico, con effetto rossastro dell'immagine. Dopo l'annerimento diretto veniva virata e fissata. C-PRINT Sono le fotografie a colori che tutti hanno a casa. La composizione è complessa, fino agli anni ’70 il supporto era cartaceo o in acetato pigmentato (Kodak dal 1940). Sul supporto primario vengono stesi diversi strati contenenti coloranti JMC (Giallo-MagentaCiano). L’immagine è molto instabile a causa della fragilità chimica dei coloranti. Dal 1970 con in supporti in RC Paper si ottiene miglior stabilità. I procedimenti più stabili oggi sul mercato sono: Fujicolor Crystal Archive (1997) notato sul verso della stampa; Kodak Endura (2002) notato sul verso della stampa. Una volta che i colori hanno virato è impossibile ripristinarli. Pagina 57 D DAGHERROTIPO Immagine fotochimica unica su lastra di rame argentata, è un positivo diretto con destra e sinistra invertite rispetto al soggetto. La lastra veniva esposta ai vapori di iodio per la sensibilizzazione, spesso i dagherrotipi erano colorati con pigmenti per assimilarli ai ritratti pittorici. Erano conservati in appositi “case” – cornici con vetro sigillate per preservarli più a lungo e inserite custodie in pelle finemente lavorate. Le lastre usate erano di misure standardizzate: cm. 21.5x16.5; 10.5x8; 7x5.5; 16x12; 8x7. DIBOND Il Dibond è una lastra composita costituita da due lamiere in alluminio, spessore 0,3 mm/cad., con interposto un nucleo in polietilene. L'assoluta planarità e la perfetta finitura in colore bianco assicurano un accurato allineamento delle lastre sia di piccolo che di grande formato ed un'elevata definizione della stampa. E EDIZIONE Con il termine edizione si indica l’insieme di un numero prestabilito di esemplari il cui numero è detto tiratura. Non c’è bisogno che tutti gli esemplari siano stati stampati nello stesso momento ma, se previsto dall’autore, possono esserlo in momenti successivi e in dimensioni diverse, a seconda della domanda del mercato. Un’edizione, inoltre, può essere limitata o illimitata; numerata o non numerata a discrezione dell’artista. Anche se spesso si ritiene che un’edizione limitata valga di più rispetto ad una non limitata questo non è necessariamente vero. Se si tratta di una edizione limitata la numerazione sarà a due cifre separate da un trattino diagonale in cui il numero a destra indica il totale degli esemplari esistenti e quello a sinistra il numero dell’esemplare in questione. Nel caso di edizioni illimitate, invece, la numerazione sarà del tipo #10: indicando in questo modo l’esemplare n.10 di un totale indeterminato. F FINE ART Termine con il quale si indica un tipo di stampa molto accurato destinata al collezionismo. FOTOINCISIONE Procedimento fotomeccanico che utilizza la fotografia per ricavare, su lastra di zinco o di rame sensibilizzata, un'incisione a rilievo, dalla quale si possa ottenere, con la stampa fotografica, la riproduzione dell'originale. Si basa sull'invenzione di Fox Talbot che nel 1852 brevettò un metodo per incidere lastre di zinco o rame appositamente sensibilizzate, dalle quali trarre stampe. Nel 1858 ne migliorò il procedimento ricoprendo il rivestimento di gelatina e bicromato di potassio con polvere di resina. In generale tutti i procedimenti di fotoincisione si basano sulle proprietà della gelatina bicromatata o del bitume di diventare insolubili dopo l'esposizione alla luce. Pagina 58 G GOMMA BICROMATA (PROCEDIMENTO ALLA) Semplificazione delle tecniche di stampa al carbone. il procedimento si basa sulla proprietà della gomma arabica, in presenza di bicromato di potassio, di modificare la propria idrosolubilità se esposta per qualche tempo alla luce. Quanto più forte è l'azione della luce sulla gomma bicromatata tanto meno facilmente questa si scioglie. Un pigmento viene mescolato con la gomma bicromatata e applicato sulla superficie di un foglio di carta da disegno, che viene quindi lavato. Una volta asciutto, il foglio viene messo sotto un negativo ed esposto alla luce. Poi si lava con acqua calda e allora appare l'immagine. Lo sviluppo è fatto con un pennello. Se sulla carta si versa acqua caldissima, tutto il pigmento viene tolto. Le zone deboli possono essere rafforzate rivestendo nuovamente la carta con gomma arabica e pigmento. In questo modo si possono applicare colori diversi sullo stesso foglio di carta. Molte combinazioni sono così possibili: si può rivestire di gomma un foglio di platino e stamparlo di nuovo per dargli maggiore profondità. H HYBRID DIGITAL PRINT Stampa fotografica da file fotografico digitale ottenuta con l’impiego dell’attrezzatura film printer, ossia macchinari che impressionano la pellicola con una luce laser. I IMMAGINE LATENTE Immagine invisibile a occhio nudo che si forma nell'emulsione fotografica colpita dalla luce. Diventa visibile (viene rivelata) mediante l'azione chimica del bagno di sviluppo. L LAMBDA Tipo di stampa digitale da file su carta fotografica che viene impressionata mediante la proiezione di tre fasci di luce laser colorati RGB (rosso, verde e blu). La Stampa Lambda, il cui nome deriva da quello della macchina, si distingue dalle altre tecnologie di stampa digitale per la totale assenza di retino, la nitidezza, la “naturalezza” e ricchezza dei toni e delle sfumature. M MODERN PRINT Stampa fotografica ottenuta da negativo originale eseguita a distanza dalla data di scatto dall'autore o sotto la sua guida. N NEGATIVO Immagine ottenuta esponendo alla luce una pellicola o una lastra trattata con materiale fotosensibile i cui valori tonali sono invertiti rispetto a quelli del soggetto fotografato. NUMERI F Serie di numeri che indicano le aperture con cui si è impostata una lente. Più alto è il numero, più stretta è l’apertura: f/16, ad esempio, è più stretto che f/11. Pagina 59 O OLEOBROMIA Procedimento di stampa fotografica dovuto a C. Welborne-Piper nel 1907 e nello stesso anno proposto anche da L. Wall, rimasto in uso fino al 1930. La matrice argentica su carta al bromuro veniva immersa in un bagno particolare che nel far scomparire l'immagine, solidificava la gelatina grazie al bicromato di potassio, proporzionalmente alla quantità di argento dell'immagine. Questa veniva inumidita in modo da far assorbire acqua alla gelatina. Sulla superficie veniva steso inchiostro litografico o grasso. Nei chiari e nei mezzi toni dove la gelatina era ben impregnata, l'inchiostro non aderiva. Successive passate di inchiostro steso a pennello permettevano di raggiungere l'effetto desiderato. Il nome deriva dalla fusione della stampa originale e il pigmento oleoso. OLEOTIPIA Procedimento di riproduzione fotografica con inchiostro grasso, su carta gelatinata, preventivamente trattata con bicromato di potassio, utilizzato per lo più nella riproduzione di stampe artistiche; fu realizzato nel 1855 da Poitevin. Tipo di stampa al pigmento. P PORTFOLIO Cartella in cui sono raccolte fotografie scelte e organizzate generalmente dallo stesso autore. Oppure edizione limitata di un gruppo di immagini selezionate da un gallerista o da un editore d'arte conservate un una cartella, o contenitore. PROVA D’ARTISTA (P.D.A.) Una o più stampe sperimentali dell’artista realizzate e dichiarate oltre la tiratura ufficiale. La prova d’artista originariamente non era destinata al mercato ma riservata all’artista o utilizzate da questo come ricompensa per un collaboratore molto stretto o un critico. Normalmente le prove d’artista sono un massimo di tre e vengono numerate, a differenza degli altri esemplari dell’edizione, con numeri romani. Al di là di questa differenza, dal punto di vista del mercato devono essere considerate alla stregua delle altre stampe. R RIPRODUZIONE Copia di ogni immagine, oggetto, o documento che sono una imitazione fedele e fatta senza intento a ingannare. Spesso sono fatte con tecnica meccanica, come quella fotografica o processi di stampa. Esse possono essere anche in altri media, esempio, incisione di un dipinto, o di una differente dimensione dall'originale. RISTAMPA Nuova stampa da negativo. S Pagina 60 STAMPA A CONTATTO Stampa ottenuta esponendo la carta fotografica a contatto con il negativo. L'immagine sulla stampa ha lo stesso formato di quella del negativo. STAMPA ALL’ALBUMINA Stampa a contatto su carta carta ricoperto con del bianco d'uovo nel quale erano sciolti bromuro di potassio e acido acetico (due strati). Una volta asciutta una soluzione di nitrato d'argento veniva agitata sulla superficie, poi di nuovo asciugata. Questa è il primo tipo di carta che viene prodotto industrialmente. La carta sensibilizzata era messa a contatto con il negativo. Poi la stampa veniva messa in una soluzione di cloruro d'oro che le dava una sfumatura di un marrone intenso, fissata in iposolfito di sodio, lavata completamente e asciugata. Le albumine sono molto sottili e con il tempo tendono ad arrotolarsi, per questo le si trova generalmente montate su supporti di cartone. STAMPA AL CARBONE Questo procedimento di stampa consisteva nello stendere sulla carta una miscela di particelle di carbone, gelatina e bicromato di potassio. Dopo l'esposizione le parti non impressionate venivano lavate, ottenendo cosi un'immagine con chiaroscuri proporzionali alla densità e alla trasparenza del negativo. Per migliorarne i mezzi toni si creò un procedimento di trasporto (transfert) su carta al carbone acquistabile in commercio in tre differenti colori: nera, seppia e brunorossastra. In pratica l’emulsione esposta, indurita, veniva staccata dal foglio originale e riposizionata su un nuovo foglio. Poiché l'immagine così era rovesciata, solitamente si eseguiva un secondo transfert. STAMPA CIBACROME La stampa Cibachrome (o Ilfochrome, o Rprint), messa a punto nel 1963, s’impone a partire dal 1980. E’ di fatto, il primo procedimento a colori industriale a fornire immagini capaci di competere in durata con il bianco e nero. Si tratta di un processo di stampa positivo-positivo, ossia dalla pellicola alla carta. Si basa sulla distruzioni selettiva dei coloranti JMC distribuiti in tre strati in cui sono presenti anche sali d’argento. Supporto di poliestere e polietilene. L’immagine finale è di coloranti azoici, prodotti sintetici, che sono stabili; il problema è la stabilità meccanica del medium che si divide in bande. STAMPA DIGITALE Termine generico col quale si indica una stampa generata con processi elettronici e impressa direttamente sul supporto da stampare. STAMPE INKJET (A GETTO D’INCHIOSTRO) Sono le più comuni, mercato molto diffuso, anche “casalingo”. Difficile darne una descrizione precisa perché le caratteristiche di una stampa dipendono dal tipo di stampante, dal tipo di inchiostro e dal tipo di carta. Dopo un periodo di “stampa selvaggia” si è sentita la necessità di regolamentare questo tipo di stampa per poter dare parametri di qualità e durevolezza. STAMPA IRIS O GICLÉE Nel 1987 nasce la prima stampante IRIS (nome commerciale) e negli anni Novanta le IRIS-print o Giclée hanno avuto la loro età dell’oro. Usata soprattutto da artisti o per riproduzioni. Si può usare con qualsiasi tipo di carta, sia semplice o con strato di gelatina. Si basa sulla quadricromia (JMCK). Sono stampe molto fragili perché i colori non sono dentro la carta, ma sopra, quindi sono soggetti a colature in presenza di umidità o acqua e a forti sbiadimenti in presenza di luce. Per ovviare a questo a volte le stampe venivano verniciate, ma dopo un po’ la stessa vernice si deteriora e a volte assume un colore giallastro. STAMPA POSTUMA Fotografia stampata da negativo originale dopo la morte dell'autore. Sono dette anche Estate Prints. Pagina 61 STAMPA AL PLATINO Processo di stampa utilizzato per il bianco e nero che impiega una carta sensibilizzata con sali di platino e ossalato ferrico. Quest’ultimo, modificandosi in ferroso per esposizione alla luce, fa sì che i sali di platino si trasformino in platino, metallo ben più stabile dell'argento. E’ una carta a un unico strato e si stampa per annerimento diretto. Fu messa sul mercato dalla Platinotype Company di Londra, essendo però molto costosa decadde durante la Prima Guerra Mondiale venendo sostituita dalla più economica Carta al Palladio, che sfrutta esattamente lo stesso procedimento ma con i sali di palladio. STAMPA AI SALI D’ARGENTO E’ il processo di stampa più utilizzato per il bianco e nero e utilizza una carta a tre strati in camera oscura con ingranditore e luce elettrica (DOP). Il Foglio di carta è trattato con barita ed emulsione di gelatina con bromuro d’argento, perché è il sale più sensibile. Per migliorare la stabilità della stampa nel tempo si è aumentato il numero di lavaggi a cui viene sottoposta la carta (sviluppo- doppio fissaggio- stop) per sopportare tutto questo è stata creata una carta detta politenata che ha uno strato di plastica sia sul retro sia tra la carta e l’emulsione. La carta baritata però si conserva meglio nel tempo. T TIRATURA La tiratura indica la quantità di copie stampate per ogni singola opera fotografica. Può variare da pochi esemplari a un numero infinito poiché le ristampe non comporta deterioramento dell’originale che avviene, invece, nell’incisione. V VINTAGE Stampa eseguita dall’autore (o da un laboratorio sotto il controllo dell’autore) in un periodo non superiore ai due o tre anni dopo la data dello scatto dell’immagine stessa. VIRAGGIO Trattamento chimico che serve a migliorare la stabilità di una fotografia e trasformare il colore di un'immagine argentica. L'argento si unisce ad un altro composto quale oro, platino, selenio e zolfo. 62 Pagina Collezione da Tiffany Via Atto Vannucci n. 14 - 50134 - Firenze [email protected] www.collezionedatiffany.com Fondatore: Nicola Maggi