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(Responsabilità da reato degli enti ultimi orientamenti della
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Responsabilità da reato degli enti: ultimi orientamenti della Cassazione
dell’Avv. Michela Ortolano e dell’Avv. Alessia Busetti
Abstract
La Suprema Corte, nel Massimario pubblicato nel mese di Gennaio 2015, ha commentato le sentenze
emesse dalle Sezioni Penali in materia di responsabilità da reato degli enti nel 2014. Di particolare interesse
è il tema trattato relativo alla natura giuridica della responsabilità dell’ente anche alla luce della sentenza
relativa al caso “Thyssen”.
Testo
Lo scorso 27 Gennaio 2015 l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha pubblicato la rassegna
della giurisprudenza di legittimità delle Sezioni Penali relativa al 2014, riportando nel capitolo XIV l’analisi
delle pronunce emesse in tema di responsabilità da reato degli enti.
In primo luogo, l’Ufficio del Massimario si è soffermato sui seguenti principi fissati dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione nel noto processo “Thyssen”:
a) Natura giuridica della responsabilità dell’ente e compatibilità del sistema introdotto dal D.Lgs.
231/2001 con i principi costituzionali.
Le Sezioni Unite sono intervenute sul punto con la sentenza n. 38343 del 24.04.2014, emessa «nell’ambito
del processo per i fatti tragici della “Thyssen”».
Il Supremo Collegio ha innanzitutto ricostruito gli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia nel corso
degli anni, rilevando che:
secondo una prima impostazione, la responsabilità da reato dell’ente
amministrativa (ex multis, Cassazione, SS.UU., sent. 34476 del 23.01.2011);
avrebbe
natura
in virtù di un secondo orientamento (Cassazione, SS.UU., sent. 26654 del 27.03.2008), a tale
responsabilità dovrebbe essere, invece, riconosciuta una natura penale, in quanto il D.Lgs.
231/2001 «ha introdotto nel nostro ordinamento uno specifico ed innovativo sistema punitivo per gli
enti collettivi, dotato di apposite regole quanto alla struttura dell’illecito, all’apparato sanzionatorio,
alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell’ente, al procedimento di cognizione e a
quello di esecuzione […]»;
infine, un terzo filone della giurisprudenza (Cassazione, Sez. VI, sent. n. 27735 del 18.02.2010) ha
ritenuto che il D.Lgs. 231/2001 abbia introdotto un “tertium genus” di responsabilità, prevedendo
un’autonoma responsabilità dell’ente nel caso di commissione, nel suo interesse o a suo
vantaggio, di uno dei reati presupposto da parte di un soggetto che riveste una posizione apicale.
Ciò premesso, il Supremo Collegio ha deciso di aderire all’ultima tesi esposta, considerando il sistema
previsto dal D.Lgs. 231/2001 come un “corpus” normativo di particolare importanza, un “tertium genus” che
coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo.
Sul punto, la Corte ha fornito una serie di considerazioni, rilevando come il sistema delineato dal D.Lgs.
231/2001:
non violi il principio della responsabilità per fatto proprio, atteso che «il reato commesso dal
soggetto inserito nella compagine dell’ente […] è sicuramente qualificabile come “proprio” anche
della persona giuridica, e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla
seconda…»;
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e allo stesso tempo non violi neppure quello costituzionale di colpevolezza, in quanto «nel sistema
normativo in esame il rimprovero riguarda l’ente e non il soggetto, che per esso ha agito, e ciò in
particolar modo quando l’illecito presupposto sia colposo…».
Sulla base di quanto detto, le Sezioni Unite hanno ricostruito il contenuto della c.d. “colpa di
organizzazione”, rilevando che «si deve considerare che il legislatore, orientato dalla consapevolezza delle
connotazioni criminologiche degli illeciti ispirati da organizzazioni complesse, ha inteso imporre a tali
organismi l’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione di alcuni reati, adottando
iniziative di carattere organizzativo e gestionale. Tali accorgimenti vanno consacrati in un documento, un
modello che individua i rischi e delinea la misure atte a contrastarli. Non aver ottemperato a tale obbligo
fonda il rimprovero, la colpa d’organizzazione».
b) I criteri oggettivi di imputazione del reato della persona fisica all’ente
Il Supremo Collegio ha ricordato che, in virtù dell’art. 5 D.Lgs. 231/2001, i reati possono essere imputati
all’ente nei casi in cui siano stati commessi nell’interesse o a vantaggio dello stesso.
Sul rapporto intercorrente tra i predetti criteri di imputazione, la giurisprudenza e la dottrina hanno sviluppato
due diversi orientamenti:
secondo l’impostazione prevalente - ispirata anche alla Relazione Governativa al D.Lgs. 231/2001 - i
criteri dell’interesse e del vantaggio si pongono tra loro in rapporto di alternatività, come confermato
dalla congiunzione disgiuntiva “o”, presente nel testo dell’art. 5 del Decreto in commento. Secondo
questa tesi, il “criterio dell’interesse” esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile
ex ante al momento della commissione del fatto, mentre il “criterio del vantaggio” ha una
connotazione essenzialmente oggettiva e quindi valutabile ex post, sulla base degli effetti
concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito;
in virtù di una tesi minoritaria, invece, i citati criteri avrebbero una natura unitaria (ossia dovrebbero
coesistere): l’interesse costituirebbe, quindi, il criterio d’imputazione, mentre il vantaggio rivestirebbe
un ruolo strumentale e probatorio, volto alla dimostrazione dell’esistenza dell’interesse.
In merito alla questione in esame, l’Ufficio del Massimario ha ricordato che, con l’introduzione nel D.Lgs.
231/2001 dell’art. 25-septies (relativo ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime,
commessi con violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro), sono stati inseriti nel
catalogo dei reati-presupposto anche i delitti colposi; tuttavia, il criterio di imputazione oggettiva non è stato
modificato al fine di adattarlo a tale diversa categoria di illeciti.
La giurisprudenza si è, pertanto, trovata a dovere affrontare il tema della compatibilità logica tra la non
volontà dell’evento, tipica degli illeciti colposi, e il finalismo sotteso al concetto di “interesse” dell’ente.
Sul punto, le Sezioni Unite, nella citata sentenza Thyssen, hanno chiarito che «nei reati colposi di evento i
concetti di interesse e vantaggio devono necessariamente essere riferiti alla condotta e non all’esito
antigiuridico». Viene chiarito che tale soluzione «non determina alcuna difficoltà di carattere logico: è
ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia
posta in essere nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio. […] Tale
soluzione interpretativa […] si limita ad adattare l’originario criterio d’imputazione al mutato quadro di
riferimento, senza che i criteri d’ascrizione ne siano alterati. L’adeguamento riguarda solo l’oggetto della
valutazione che, coglie non più l’evento bensì solo la condotta, in conformità alla diversa conformazione
dell’illecito. […] E’ ben possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento
che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente».
Inoltre, l’Ufficio del Massimario ha illustrato anche altre questioni su cui si è espressa la giurisprudenza di
legittimità, quali:
•
I presupposti del sequestro finalizzato alla confisca
Sul tema, l’Ufficio del Massimario ha ribadito i seguenti principi:
l’applicazione del sequestro postula come indefettibile presupposto la domanda del Pubblico
Ministero (Cass. Pen., sez. VI, sent. 2658 del 20.12.2013);
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quanto al “fumus”, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro
gravità, né il periculum richiesto per il sequestro preventivo di cui all’art. 321, co. 1., c.p., «essendo
sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in
una determinata ipotesi di reato»;
il D.Lgs. 231/2001 prevede un duplice sistema cautelare: il primo relativo alle misure interdittive, il
secondo riferito al sequestro preventivo. Nell’ambito di tale sistema, le misure cautelari non si
differenziano per i beni che mirano a tutelare, in quanto «nessuna di esse viene ad incidere sulla
libertà personale, ma hanno ad oggetto o l’attività dell’ente, nel caso delle misure cautelari
interdittive, ovvero “cose” che in qualche modo sono riferibili all’ente, come, appunto, nel caso del
sequestro preventivo, il profitto (o il prezzo) derivante dal reato»).
•
Reato presupposto commesso dai soggetti in posizione apicale ed elusione fraudolenta dei
Modelli Organizzativi e di gestione
Sulla questione, l’Ufficio del Massimario ha ricordato che la sezione V penale della Corte di Cassazione si è
espressa sulla questione nella sentenza 4677 del 18.12.2013, in cui ha chiarito che può essere riconosciuta
all’ente la condizione esimente di cui all’art. 6, co. 1, lett. c), D.Lgs. 231/2001 (“le persone hanno commesso il
reato eludendo fraudolentemente i Modelli di Organizzazione e di Gestione”), nel caso in cui l’elusione
fraudolenta del Modello Organizzativo derivi da «una condotta ingannevole e subdola, di aggiramento e non
di semplice “frontale” violazione delle prescrizioni adottate». Non può essere invece riconosciuta la
condizione esimente di cui all’art. 6, co. 1, lett. b) D.Lgs. 231/2001 (“il compito di vigilare sul funzionamento e
l’osservanza dei Modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di
autonomi poteri di iniziativa e di controllo”) nei casi in cui l’Organismo di Vigilanza non sia provvisto di
autonomi ed effettivi poteri di controllo, ma, invece, sia sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto
controllato.
Si segnala, infine, che, oltre ai temi citati, la rassegna in esame ha trattato anche le seguenti ulteriori
questioni:
la nozione di profitto confiscabile;
i rapporti fra sequestro finalizzato alla confisca in danno di un ente e procedure concorsuali;
responsabilità da reato degli enti e sospensione condizionale della pena;
revoca delle misure cautelari interdittive e avvenuta esecuzione delle condotte riparatorie.
Pubblicato sul Quotidiano Ipsoa in data 17 marzo 2015
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