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ELIZABETH SIDDAL OFELIA NEL SUO DESTINO Di Augusto Benemeglio Una storia sbagliata Grazie a Doris Emilia Bragagnini, al suo cuore amico, mela del petto, dura ghianda del pensiero, e alla sua anima vasta, casa dei gatti e degli uccelli, casa dei venti e del mare, sono qui, ora, alle prese con Elizabeth Eleonor Siddal, “la prima top model ante litteram che fece i conti con l’eccesso” – scrive D. Gabutti sul “Corriere della Sera”, se consideriamo che a quel tempo (1850) non c’erano ancora servizi fotografici né sfilate di moda. Come direbbe Fabrizio De Andrè forse la sua è una storia sbagliata, una storia d’amore, una storia che cominciò con la luna sul posto/ e finì con un fiume d’inchiostro, una storia d’anoressia e di dipendenza dall’oppio, una storia vestita di nero / una storia da basso impero / una storia di suicidi e di scandali, una storia di pittori sfasati, da una botta e via; insomma, è una storia moderna, una storia - forse da non raccontare, una storia complicata, una storia sbagliata/ storia diversa per gente normale. Una storia, - scrive lei stessa, nei suoi “Poems” - “dove l’erba alta si curva ad ascoltare/il sussurro delle onde”, dove “ niente tranne il riposo sembra buono per me”. “Sì, - scrive una lettrice di un blog - è una storia triste di una figura estremamente affascinante”. Aveva una bellezza sospesa, malinconica, quasi rapita da qualcosa di misterico, di esoterico. La Siddal merita davvero di essere più conosciuta perché è stata di grandissima ispirazione per il movimento preraffaellita ed è morta, secondo me, da martire, immolata sull'altare dell'amore per l'arte e per Gabriel Rossetti, in un complesso gioco di proiezioni basato sul binomio Eros-Thanatos. Ogni epoca ha le sue figure destinate a lasciare un segno sulla Terra in maniera tragica (parlando di lei, si sono fatti i nomi di Sylvia Platt e Amelia Rosselli, due poetesse del nostro tempo morte suicide lo stesso giorno di Elizabeth, l’11 febbraio, e anche quello, non del tutto arbitrario, di Marilyn Monroe). La sua fu una vita fatta di dolore e ricerca di una impossibile felicità …”. Cancelli del cielo Cercare di far rivivere personaggi come “Lizzie” (così la chiamavano parenti e amici), anime fragili candide e preziose, intensamente romantiche, presto disfiorite, appassite, sfinite, consumate a goccia a goccia dal dolore ( Non posso che donarti un cuore fragile/e occhi afflitti dal dolore/ labbra avvizzite che non sanno sorridere /e non potranno più farlo), anime belle, lusingate dietro finestre addormentate da amanti scellerati, e poi disilluse, ingannate, tradite, credo che sia un po’ anche il mio destino, la mia vocazione, o la mia dannazione, perché con questi personaggi ci devi andare a dormire assieme e non pensare ad altro che a loro finché non poni la parola fine sull’ultima pagina, sull’ultimo rigo. Ho sempre una nave del cuore, che molla gli ormeggi, salpa e va, accende i fanali all’ora giusta ed ecco allora il bagliore della mano che fa vibrare i tasti del computer e si spande la musica nella notte e gli amori sul collo, i silenzi, gli occhi chiusi, i divieti di parlare, i passaggi delle stelle e delle ore infinite, ecco la notte, /grandiosa e viva,/ come il piumaggio oscuro di un Angelo, ecco che ti vedi partire nei paesi del domani con capitani indecisi e gli scacchi sparigliati, ed ecco i cori della rugiada della morte, quella morte presagita, invocata, cercata, desiderata, un po’ alla “Romeo e Giulietta” di Shakespeare: “Oh, non piangere con le tue lacrime amare/la vita che scorre veloce;/i cancelli del cielo si spalancheranno/ e mi accoglieranno infine/ Allora siedi umilmente accanto a me /e guarda la mia giovane vita dissolversi/ poi la solenne pace della santa morte/ giunga rapidamente a te”. Sono convinto - come disse Borges - che ognuno di questi personaggi, anche il più misconosciuto, faccia parte della storia dell’eternità, “quell’eternità anelata con amore da tanti poeti, splendido artificio che ci libera, seppur fugacemente, dall’intollerabile oppressione dell’attimo successivo”. I preraffaelliti Ma com’era Lizzie, questa bellissima fanciulla che molto desiderò e molto fu desiderata, “quand’era ancora nell’ascella concava dell’ombra /dove ogni sognare trova posto” ? Scoperta occasionalmente dal giovane pittore Walter Deverell, in un atelier del tempo, divenne ben presto una vera e propria icona della “Confraternita dei preraffaelliti”, movimento che nacque come rivolta ai dettami accademici e voleva riscoprire la pittura italiana prima di Raffaello, un circolo di giovani pittori-poeti inglesi che si proponeva di tornare alla semplicità dell’arte medievale italiana. Le loro idee venivano diffuse attraverso la rivista “The Germ”, antesignana di svariati esperimenti editoriali di fine secolo e delle avanguardie novecentesche. Ecco come descrive la Siddal uno dei “Sette Fratelli” del gruppo: «Nella piccola camera da letto al piano di sopra con la finestra dai vetri piombati e la massa dei suoi bellissimi capelli d’un rosso acceso dopo che si tolse il copricapo, postava i capelli legati alla bell’e meglio, così ricadevano in morbide e pesanti onde. Era come se una sfumatura rosa giacesse sotto la pelle bianca, producendo un rosa più morbido e delicato. I suoi occhi erano marrone dorato – color agata, questa è l’unica parola che mi sovviene per descriverli – meravigliosamente luminosi, come si ritrovano nei disegni di Gabriel e nell’immagine che lei ha di se stessa. Le palpebre erano basse, ma senza apatia o sopore, e avevano la peculiarità di coprire appena la luce dei suoi occhi quando guardava in basso». Siamo nell’Inghilterra della regina Vittoria, alla metà del secolo XIX, e questi giovani artisti si propongono - come capita spesso ai giovani - di rifare il mondo dell’arte dalle fondamenta. Come i romantici prima di loro, o meglio come i poeti del Dolce Stil Nuovo di memoria dantesca, con tutta la retorica della passione amorosa e con la bella calligrafia delle loro tele iperrealiste d’ambientazione medievale chic che questi artisti allegorici e mélo, mai però banali, per metà arte figurativa, per metà letteratura, muovono all’assalto delle idee di bellezza che giudicano superate. Il bellissimo volto di Elizabeth Siddal e quell'alone tragico che l'avvolgeva sono impressi in tutte le opere maggiori dei Preraffaelliti, nelle quali troviamo una donna dall'aria eterea e fatata e dal cuore di tenebra, costantemente tormentato; non a caso Lizzie è la figura che si muove tra cielo stelle e luna, nei suoi occhi c’è l’oro e il bronzo delle discordie e il riposo delle lance, lei può essere tutti i grandi personaggi della storia d’amore spirituale, da Beatrice a Ofelia, creature mitiche, fatte d’estasi di luce e ombre sonore, infinite e spietate; luce e tenebra si vanno incontro per una inesorabile sorte. Oh, foresta silente, io ti attraverso/con il cuore pieno di sofferenza/per tutte le voci che vengono dagli alberi/ e le felci che si aggrappano alle mie ginocchia… //“ sono una creatura atterrita/né altro mai sarò/ che un uccello di luce, la cui ala spezzata/deve volare lontano da te”) Dante Gabriel Rossetti e la sua famiglia. L’ideatore dei “preraffaelliti” era Dante Gabriel Rossetti, un temperamento accentratore, che oltre ad essere pittore, a soli vent’anni aveva pubblicato un volume di traduzioni e brevi saggi introduttivi dei poeti dello Stilnovo con testi di Dante e altri minori. In precedenza aveva scritto un poemetto (La beata fanciulla) che si rifaceva ai modelli di Poe, Coleridge e Keats. E tutto ciò gli era valsa l’indiscutibile leadership del movimento costituito da John Everett Millais,William Holman Hunt, William Michael Rossetti, James Collinson, Frederic George e Thomas Woolner, i primi “sette fratelli”, tutti giovanissimi artisti sui generis che con la loro idea d’una “confraternita” da mettere in campo contro i filistei, e il pensare «comune», con le loro tele già post-realiste e con i loro costumi privati “borderline”, in parte emancipati, in parte classisti e vittoriani, avevano anticipato di diversi anni i movimenti che sorgeranno nel XX secolo. Dante era nato a Londra nel 1828 dal poeta e critico di letteratura Gabriele Rossetti, un italiano ingegnoso, che aveva preso parte, come carbonaro, ai moti napoletani del 182, e per questo, nel 1824, era approdato, esule, in Inghilterra, dove aveva sposato due anni dopo Frances Polidori, anglo-italiana e sorella del famoso medico di Byron, John Polidori, primo autore dei libri sui Vampiri. Gabriele e Frances ebbero quattro figli in sequenza (nel 1827 Maria Francesca, nel 1828 Dante Gabriele, nel 1829 William Michael e nel 1830 Christina Georgina) e vissero costantemente in mezzo alle belle lettere e all’arte, cercando di sbarcare il lunario (lui fu per anni professore di italiano al King’s College, lei faceva traduzioni, ma dal punto di vista economico le entrate furono sempre modeste), rimanendo grati alla ospitalità e liberalità inglese, ma sentendosi sempre profondamente e orgogliosamente italiani, lingua che insegnarono ad amare e a custodire gelosamente anche i loro figli “londinesi”, che furono tutti, in qualche modo, protagonisti della letteratura e dell’arte inglese a vari livelli. Il cerchio si chiude C’è da aggiungere che Gabriele Rossetti, fertilissimo ingegno, che morì a Londra nel 1854, a 71 anni, era originario di Vasto (la più bella piazza della città è stata dedicata a lui, con tanto di monumento), cittadina della provincia di Chieti, sita a pochi chilometri dal paesino in cui sono nato io (San Buono), ed ecco che il cerchio in qualche modo si chiude. Lizzie, in fondo fa parte della mia memoria storica, del ruscello dei lupi marsicani, della strage delle meduse nel mare Adriatico, del sangue delle rupi, dei nostri destini incrociati che si rifanno anche - se vogliamo - al libro “Mi hanno detto di Ofelia” di Cristina Bove, per il quale “fui costretto” a fare le prime ricerche sull’eroina scespiriana, e così la trovai incarnata dalla modella inglese, nel famoso ritratto di Millais, che ora si trova alla Tate Gallery di Londra. Forse Lizzie deve la sua prematura scomparsa anche a causa di quel ritratto, perché fu più volte costretta ad immergersi in una vasca d’acqua non sempre calda, che le provocò una broncopolmonite e minò in modo decisivo la sua già gracile costituzione. E a me pare di ascoltare ancora la voce gentile di Elizabeth che mi chiama dai suoi lidi lontani e inaccessibili (Straniero, forestiero, ascolta la mia voce/: Lasciami sedere nell’ombra più scura/quando i gufi grigi ti passeranno veloci accanto;/ Lì ti chiederò un favore …/Non dimenticare la mia infelice esistenza). Dante e Beatrice Come accennato, Lizzie era una sconosciuta sartina, di famiglia modesta, il padre aveva un negozio di utensili, sbarcava il lunario alla meno peggio, la famiglia era numerosa (otto tra fratelli e sorelle), che fu scoperta, casualmente, nel 1850 da Walter Deverell, «il più bello dei preraffaelliti» al quale fece da modella in una tela ispirata alla Dodicesima notte di Shakespeare, ma subito dopo divenne modella e amante di Dante Gabriel Rossetti. Ne derivò un ménage modellato, teoricamente, sull’amore di Dante per Beatrice, ma in realtà convissero a lungo, rimanendo eternamente fidanzati. Per lei fu una “lunga agonia sentimentale”. Lui, “infedele come una pop star”, si concedeva volentieri a tutte le altre modelle, e fu sempre restio a presentarla in famiglia, dove una ex sartina e modella (equivalente di prostituta) sarebbe stata accolta gelidamente. Inoltre “Miss Sid”, come la chiamavano con distacco le sorelle di Gabriel, era anoressica e intossicata dal laudano. E tuttavia i due si amarono profondamente come nelle poesie dei trovatori, ma più ancora amavano il melodramma, quindi non fecero che prendersi e lasciarsi, lasciarsi e prendersi, per anni e anni fino al disastro finale: “Non piangere mai per un amore finito//poiché l’amore raramente è vero/non cambia il suo aspetto dal blu al rosso/ dal rosso più brillante al blu, / e l’amore è destinato ad una morte precoce/ ed è così raramente vero”. Nel frattempo, Dante e gli altri preraffaelliti dipinsero Lizzie in mille tele che resero le sue fattezze immortali, tra cui la già citata stupefacente Ophelia annegata di John Everett Millais: “Cadono le foglie autunnali/attorno alla sua recente tomba/dove l’erba si curva ad ascoltare/il sussurro delle onde…/ Tieni ancora le braccia attorno a me, amore,/ fino a quando ( nell’acqua) mi addormenterò/ poi lasciami senza salutarmi/ affinché io non mi svegli e pianga” e la Beata Beatrix di Rossetti, dove la figura di Beatrice, amata da Dante, si confonde con quella di Elizabeth, che - nel quadro, dipinto dopo la sua morte - riceve una colomba rossa che rimanda in maniera ambigua allo Spirito Santo e all’amore (ma è anche simbolo di morte), e un papavero bianco, fiore della passione dal quale si estrae il laudano, il veleno che le darà la morte per estenuazione di una vita consumata dai tormenti e dalle angosce. Aveva finito di mendicare l’amore, finito di dare amore. Niente più parole, né senso. Aveva finito di aver bisogno di lui, finito di soffrire…Giù, giù attraverso gli alberi e i boschi di Constable, i rifiuti della maree e i tramonti di Turner, fino al buio totale, verso il nero dove forse s’intravede la fonte, la luminosa sorgente del Tutto:“Cristo salva quel buon pastore /che naviga sul mare;/ dove navigano diecimila anime /che ti appartengono- /Se lui si perderà tutto sarà perduto/ e ogni cosa per me sarà morta./ Il mio amore dovrebbe avere una grigia pietra tombale/con il muschio verde ai suoi piedi/ed erba rampicante al petto/ dove i suoi agnelli potranno pascolare/e possa io conoscere il tratto di terra/dove un giorno mi addormenterò”. Le stimmate del genio La Siddal la si ricorda quasi esclusivamente come modella di straordinaria bellezza, eppure secondo Ruskin, Ida ( la chiamava così forse per analogia con la protagonista di un poema eroico di Tennyson, The Princes) aveva le stimmate del genio. Conosceva d’istino il cammino delle vele e il campo dei papaveri, la musica delle stelle dove c’è forse il territorio della fine delle illusioni e delle sofferenze eterne. Lei stessa scoprì la sua vocazione artistica per caso, poi Dante Gabriel le insegnò i primi rudimenti della pittura e lei non appena prese i pennelli li intinse nel proprio sangue, ebbe subito la percezione di “aver già vissuto quel momento”, così come quando scrisse i primi versi: “Giaccio nell’erba verde alta/che si piega sul mio capo/ e copre il mio viso devastato/e mi avvolge nel suo letto/con tenerezza e amore/ come l’erba sopra i morti/…Il fiume scorre eterno/nel suo letto erboso,/le voci di migliaia di uccelli/risuonano sul mio capo/ mi porteranno un sogno ancora più triste/di quando questo triste sogno avrà fine”. Nelle sue poesie c’è qualcosa del “Cigno morente” di Tennyson, il maggiore poeta vittoriano, ma anche qualcosa di Novalis, Heine, o dei fiori del male di Baudelaire, o i canti di Leopardi, poeti che sicuramente lei non conosceva. Lizzie era solo un’autodidatta ricca di talento. Ed è stupefacente come quei suoi primi versi facciano rivivere il famoso quadro di Ofelia. Ruskin, autorevole critico e sostenitore della confraternita, affermerà che l’allieva aveva ormai superato il maestro nella composizione, nella originalità e intensità dei suoi lavori. E’ un vero genio, disse, al pari di un Turner e di un Watt e nel 1857 la fece esporre per la prima volta al salone preraffaellita: dodici disegni ed un autoritratto ad olio. La mostra fu un disastro, nessuno considerò le sue opere, anzi molti la derisero. Ma a lei, ormai dipendente dal laudano, importava poco o nulla della carriera artistica. E anche fare la modella, esporre la sua bellezza che emanava una profonda spiritualità e purezza d’animo, come scrisse Holm Hunt, le divenne intollerabile, si trasformò per lei in un incubo, e l’incubo in una condanna a morte. Scriveva poesie belle e tristi, rifiutava il cibo, dimagriva a vista d’occhio, soffriva di gelosia e ricattava l’eterno fidanzato con lo spettacolo dei suoi sbalzi di salute, un giorno sull’orlo della tomba, il giorno dopo rediviva, ma infelice: “Allontana la tua ombra dal mio cammino,/e non volgerti a me e pregare/i venti funesti possono cantare il tuo lamento/ prima che io ti abbia offerto di restare./Volgi altrove i tuoi bugiardi occhi cupi,/e non posarli sul mio viso;/immenso amore ti diedi vita:ora l’immenso odio/s’insidia crudelmente al suo posto”. Rossetti durante le frequenti assenze di Lizzie, spesso fuori Londra per curarsi, si avvaleva di altre modelle, e non di rado intrecciava con loro delle relazioni, come con Annie Miller, modella di Hunt, che era l’esatto opposto di Lizzie, una bellezza tutta carnale. Sono momenti duri per la Siddal, soprattutto quando a questi continui tradimenti si aggiunge la perdita del padre (1859). La ragazza entra in una fase di depressione profonda, ormai non può più fare a meno del laudano, sedativo derivato dell’oppio. Un anno dopo va in overdose. A questo punto Dante, anche su sollecitazione di Ruskin, nonostante il parere contrario della famiglia, decide, dopo dieci anni dal loro primo incontro, di sposare Elizabeth, debole e psicologicamente provata. Oscuri fantasmi Al momento del loro matrimonio (1860), oltre la dipendenza da laudano, si manifesta in lei una misteriosa malattia che nessuno saprà diagnosticare:“Oscuri fantasmi di un male sconosciuto/ fluttuano nel mio cervello stanco;/ le amorfe visioni della mia vita/ scorrono oltre in processione spettrale;/ alcune si fermano a toccarmi la guancia, / altre disperdono lacrime di pioggia”. Inoltre rimane incinta subito dopo (1861) e partorisce una bambina nata morta. Distrutta da quest’ultimo atroce dolore e dai tradimenti del marito che non cessano, nonostante il vincolo matrimoniale, la Siddal si tolse la vita poco prima di compiere 33 anni( l’11 febbraio 1862), lasciando una lettera scritta al marito, che dapprima occultò e poi bruciò, facendo dichiarare dal medico un referto di "morte accidentale", dovuta cioè ad un'errata valutazione della dose di laudano da assumere. Il suicidio, all'epoca, oltre ad essere considerato immorale era anche illegale: lo scandalo avrebbe travolto tutta la famiglia di Rossetti e alla Siddal sarebbe stata negata la sepoltura in terra consacrata. Dopo la sua morte, Christina Rossetti, la più giovane delle sorelle di Dante, che era stata a lungo contraria al rapporto del fratello con la Siddal, ma aveva un cuore nobile e generoso, si recò nello studio del fratello e vide decine, centinaia di tele, schizzi o disegni tutte col volto di Elizabeth. Le si rivelò d’un tratto quell’anima salva, quello spirito libero quel lungo filo della notte sulle pietre del giorno. Ebbe nostalgia della sua anima tragica, di quel pallido bellissimo volto sulla via della croce, pianse, e scrisse una poesia per la cognata dal titolo “In an artist’s studio”, così liberamente tradotta in italiano: “Un viso guarda fuori da tutte le sue tele/ una stessa figura siede o cammina o si piega/ Noi la trovammo nascosta / proprio dietro quegli schermi;/ quello specchio del ritorno rifletteva tutta la sua bellezza/ una regina con un vestito opale o rubino/ una ragazza senza nome e senza destino/ vestita con i più freschi rami dell’estate;/ una santa, un angelo/ ogni tela ha lo stesso significato./ Egli si nutre del suo viso/ di giorno e di notte/ e lei con veri sinceri gentili occhi di velluto/ lo guarda pure di rimando/ bella come la luna e allegra come la luce:/ non esangue coll’attesa, non opaca con la tristezza/ Non come lei è, ma come era / quando la speranza splendeva luminosa/ Non come lei è, ma come lei era quando riempiva il sogno di lui”. E ci appare ancora più straordinario come alcuni suoi versi, tratti dal suo poemetto,“Il mercato dei folletti”, dedicato alla sorella Maria Francesca, sembrino quasi un ritratto dell’infelice vicenda sentimentale della modella: “Lizzie, Lizzie, hai assaggiato/ per amor mio il frutto scellerato?/ Deve spengersi dunque la tua luce, / e la tua vita andar come la mia/ alla rovina e alla consunzione/ per l’ossessione dei folletti”. Le poesie nella tomba Nella tomba, insieme al corpo di Lizzie, il marito fece porre anche l'unica copia dei manoscritti d'amore che lo stesso Rossetti aveva dedicato alla Siddal, scritti nel corso degli anni: il quaderno che li conteneva venne infilato fra i suoi capelli rossi. Nel 1869, sette anni dopo, Rossetti, piegato da alcool e droga e tubercolosi, convinto di diventare cieco, come il padre, ossessionato dal desiderio di pubblicare le proprie poesie accompagnate da quelle della moglie, e soprattutto oberato da debiti, fu convinto dal proprio agente Charles Augustus Howell sulla bontà dell’operazione artistico-economica. Ottenne il permesso di aprire la tomba della Siddal per recuperare il quaderno di poesie: il tutto venne svolto di notte, per evitare lo sdegno della gente. Howell raccontò che il corpo della Siddal aveva mantenuto intatta la propria bellezza, e che i capelli avevano continuato a crescerle a dismisura: “La dolce ombra dei tuoi capelli sciolti/… i tuoi tremuli sorrisi; il dolce richiamo d’amore/ Nel tuo sguardo; il ricordo dei tuoi sospiri mormoranti /… La dolcezza della tua bocca colta dai miei baci //… il fervore costante di un cuore fedele/ il lieve battito / E delicato svolo dell’ala dello spirito”, scriverà Rossetti nelle sue ultime liriche, tutte pervase dallo strazio del ricordo della moglie morta. L’anno successivo, le sue poesie furono pubblicate insieme a quelle della moglie Elizabeth, di cui affermava di ascoltare ogni sera la voce, le invocazioni, i lamenti, che sembrano quelli di Ofelia annegata (“Solamente so di essermi piegato e aver bevuto/ A lunghi sorsi l’acqua in cui ella è scomparsa;/ Ho bevuto il suo alito e le sue lacrime e tutta l’anima sua”). Ma a causa di alcuni temi erotici, le sue poesie vennero male accolte dalla critica e soprattutto dai benpensanti che non cercavano altro che lo scandalo. L’operazione editoriale fu un fiasco. Rossetti, distrutto moralmente, decise di non scrivere più. Fermati un istante Ma nel 1881, ormai prossimo alla fine, pubblicò un’altra raccolta di sonetti, “La casa della vita”, un’opera oscuramente simbolista, che fonde ancora una volta l’influenza della “Vita Nova”, con tendenza barocche che richiamano alla mente Shakespeare e Donne. Un’opera che si espande in un diffuso pessimismo e in un incurabile male di vivere. Ormai malato e dipendente dal cloralio, progressivamente preda di ossessioni persecutorie per le accuse di immoralità che la sua poesia attirava, Gabriel morì l’anno dopo, il 9 aprile 1882, giorno di Pasqua. Chissà, forse prima di morire ricordò quei versi profetici di Lizzie: Non mostrare il sorriso sul tuo grazioso viso/ per vincere l'estremo sospiro./ Le più belle parole sulle più sincere labbra/ scorrono e presto muoiono,/ e tu resterai solo, mio caro,/ quando i venti invernali si avvicineranno, ricordò quel gelido pomeriggio invernale di luce blu, quando la trovò che giaceva sul divano e sembrava come rapita. Occhi socchiusi, bocca socchiusa, sembrava ricordare le sante in preda dell'estasi mistica. Invece era morta, suicida. “E avrebbe dovuto essere sepolta in terra sconsacrata”, come dice, nell’Amleto, il prete a Laerte, fratello di Ofelia. “Non si può fare nient’altro per lei?”. “Sarebbe profanare il servizio dei defunti cantare un requiem su di lei, e invocarle il riposo, come su un’anima che si fosse dipartita in pace”. “ Prete bigotto! Io ti dico che mia moglie sarà un angelo in cielo, quando tu tremerai dannato all’inferno!... Ricordati che morire è un’arte, come ogni altra cosa/ e lei lo seppe fare in modo eccezionale”. Ofelia era nel suo destino. Al funerale di Dante Gabriel Rossetti non c’era nessuno dei preraffaelliti. Solo la madre Frances, la sorella Christina e il fratello William Michael accompagnarono la salma al cimitero di“Highgate”, dov’erano sepolti la moglie, il padre e la sorella maggiore Maria Francesca, che si era fatta suora anglicana.William, il più longevo di tutti (morì nel 1919, a novant’anni), pubblicò uno studio su Elizabeth sul “Burlington Magazine” del maggio 1903, e tre anni dopo, nel 1906, fece pubblicare tutte e quindici le poesie composte dalla cognata, ch’era passata come una brezza leggera, un sospiro di vento: “Chi ha visto il vento?/ Né tu, né io,/ ma quando gli alberi piegano la testa/ è il vento che passa/ è lei, Lizzie, che passa”. Straniero, forestiero, ascolta: se verrai da queste parti, ad Highgate, fermati un istante ad ascoltare la mia voce… Roma, 27 agosto 2013