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“L`albero di Jesse” di Achille Casanova

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“L`albero di Jesse” di Achille Casanova
BASILICA DI SANT’ANTONIO
Un inno all’Immacolata
“L’albero di Jesse”
di Achille Casanova
“Lʼalbero di Jesse”, realizzato da Achille Casanova nel transetto
nord della Basilica, enfatizza la devozione di santʼAntonio verso
il privilegio mariano dellʼImmacolata Concezione.
di Alfredo Pescante
«
el sottoarco a destra, l’ultimo
affresco, in ordine di esecuzione, di Achille Casanova.
Dopo quarant’anni di lavoro,
fattosi ormai vecchio, con un barbone
lungo e fluente come quello degli antichi patriarchi, avrebbe voluto proseguire nell’affrescatura di tutta la navata
centrale, comprese le cupole oltre quelle della crociera. Si dovette invece arrestare all’abside. Un’opera immane che
basta a farlo rimanere nella storia dell’arte. L’ultima sua dolce fatica, “l’albero di Jesse”, il piú ricco, assieme al
crocifisso della scuola francescana, di
iscrizioni a scopo catechistico: un lavoro completo, esauriente».
Cosí, nella “Guida inedita
della basilica del Santo”, padre
Valerio Zaramella, portavoce
della tradizione delle memorie
francescane dal 1944 al 1990,
grazie al suo ininterrotto servizio di confessore nel tempio
antoniano. M’ha invogliato a
parlare sul trionfo dell’Immacolata, vero testamento spirituale del pittore bolognese, qui
libratosi nel cielo della pura
poesia, con splendidi versi che
testimoniano il suo amore per
la Vergine.
Cos’è l’albero di Jesse
È uno dei due alberi liturgici
delle Scritture (l’altro è quello
della Croce) che prefigura la
genealogia mariana negli scritti dei Profeti. Nella Basilica
antoniana appare sulla parete
nord, ove si apre la cappella
della Madonna Mora, la chiesetta in cui pregò, celebrò
Messa e confessò sant’Antonio
N
durante la sua residenza padovana.
Il popolo eletto sapeva, prima della
nascita di Gesú, che egli sarebbe venuto dalla famiglia regale di Davide. Lo
aveva affermato il profeta Isaia (11,1):
«Un germoglio spunterà dal tronco di
Jesse e un virgulto ascenderà dalle sue
radici». Jesse era il papà del re Davide,
che spesso, nelle antiche raffigurazioni,
è riprodotto sdraiato sotto l’albero, a significare che da lui ha origine la genealogia del Cristo, presente anche nei
vangeli di Matteo e Luca. Da lui partono il tronco e i rami, per lo piú di vite,
che si estendono ambo i lati, su cui sono rappresentati gli antenati di Cristo.
In alto compare la Vergine e spesso il
Cristo. Il numero delle figure dipinte
varia in numero, a secondo dello spazio
disponibile e fondamentali appaiono
quelle di Salomone e Davide, cinti il
capo di regale corona.
La prima raffigurazione dell’“albero
di Jesse”, datata 1086, è presente nel
Vysehrad Codex, un codice della Boemia, che ricorda l’incoronazione del
suo primo re, Vratislav II. Poi tale simbologia diviene popolare nell’Europa,
riprodotta su carta, nelle vetrate delle
chiese e in bassorilievi lapidei. La raffigurazione esplode nel medioevo, dimostrando la sua vitalità anche in tempi a
noi vicini.
Perché in Basilica compare
quest’albero?
L’albero di Jesse enfatizza la devozione di sant’Antonio verso il privilegio mariano dell’Immacolata Concezione, del quale fu strenuo difensore, in
un periodo in cui solo i francescani lo
ammisero, scontrandosi con i domenicani i quali sostenevano che la Madonna era stata santificata nell’utero materno.
Il Santo nei sei Sermoni attinenti a
Maria non ne dedica uno all’Immacolata, ma in quello della terza domenica di
Quaresima dimostra che credette nella
preservazione di Maria Santissima dal
peccato originale, facendo sue le parole
di sant’Agostino. Afferma:
«Sappiamo che le fu conferito
piú di grazia per vincere da
ogni parte il peccato, perché
meritò di concepire e di mettere al mondo Colui che si sa
non ebbe mai alcun peccato».
Antonio è piú esplicito poi in
altri scritti che vengono presentati dal Casanova in alcuni
carteggi sostenuti dai Cherubini nel sottarco d’ingresso all’ambulacro fra l’Arca e la
cappella della Madonna Mora,
immagini non compiutamente
leggibili, smorte nei colori, come purtroppo quelle del tema
in oggetto, perché obnubilate
da fumi di candele e altri inquinanti.
Vita di Achille Casanova
Molti considerano il Casanova un accademico, un pittore
freddo che produce statiche
immagini, non adatte a trasmettere sentimenti cristiani e
a sviluppare la Fede. In ➨
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BASILICA DI SANT’ANTONIO
Un inno all’Immacolata
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parte è anche vero, come ammette Francesca Castellani,
docente universitaria, autrice
d’una pubblicazione sul pittore. Dice: «Casanova è stato
una personalità importante, insieme al cenacolo Aemilia Ars,
nella vita culturale italiana al
passaggio tra ’800 e ’900, e ha
anche svolto una grande opera
di formazione di giovani artisti. Tuttavia non si può dire che
il suo talento sia stato maggiore di un buon accademismo e
gli affreschi del Santo, in particolare, con la loro pluridecennale durata e l’impiego di molti aiuti, non sempre mantengono lo stesso livello».
Achille Casanova nasce il
16 ottobre di 150 anni fa a Minerbio, località di Bologna.
Poco si sa della sua primissima
formazione, se non la predisposizione al disegno che lo fa
entrare giovanissimo nell’officina di decorazione in ferro
Massarenti. Nel 1877 la famiglia si trasferisce a Bologna
col fratello Giuseppe, anch’egli in seguito decoratore di
prestigio. Frequenta la bottega
di Bagolini, pittore e scenografo e poi l’Accademia, avvertendo l’influenza di Luigi
Serra. Interviene nella chiesa
teatina dei Santi Bartolomeo e
Gaetano e nel 1888 espone un’opera di
cavalletto.
L’incontro con Alfonso Rubbiani, architetto e restauratore, gli garantisce
nuove commissioni e cosí collabora
con lui dal 1881, facendo esplodere
quell’arte floreale che ama il passato.
Decora diverse antiche strutture e nel
1886 interviene al restauro della chiesa
gotica bolognese di San Francesco, assieme a un folto gruppo di colleghi,
«desiderosi di rallegrare la vecchia tradizione romanica e giottesca con sorrisi
di naturale nuovamente tolto alla flora
e con ispunti personali di lirica».
Nel 1898 vince il concorso indetto a
Padova per la decorazione della Basilica di Sant’Antonio, assieme ad Alfonso
Rubbiani e Edoardo Collamarini. Dipinge per privati dell’illuminata borghesia bolognese, per Istituzioni pubbliche ed ecclesiastiche. Muore il 3 giugno 1948.
L’albero di Jesse nella Basilica
L’equipe casanoviana si mette al la-
voro nel 1902. Nel Natale del 1939
inaugura il transetto nord della Basilica, ove compare l’Albero di Jesse, preceduto nel sottarco da otto Cherubini
che dispiegano sei cartigli, in lingua latina, inneggianti alla Madonna. Le parole di Antonio: «Maria è detta Porta
chiusa perché fu e rimase vergine e intatta prima del parto, nel parto e dopo il
parto». Un altro: «La Vergine Maria è il
primo albero bello i cui frutti furono
l’umiltà e la povertà».
L’albero, poggiato su un prato colmo
di fiori, trae origine da Jesse, un vecchio barbuto, forse l’autoritratto di Casanova, preceduto da due angeli inginocchiati che reggono la citata frase di
Isaia. Dai rami d’esso si srotolano tra
verdi foglie dieci immagini, in tondi, di
re e profeti (Mosè, Geremia, Daniele,
Davide, Ieconia, Salomone, Zorobabele, Isaia, Ezechiele e Samuele). Non
tutti producono una frase biblica. Significative quelle di Mosè: «Essa ti schiaccerà il capo», di Geremia: «La donna
avvolgerà l’uomo», di Salomone: «Co-
me sei bella!», di Davide:
«Ascolta figlia e vedi!», di Daniele: «Il masso si è staccato
dal monte non sospinto da mani umane» e di Samuele: «Sorgi, alzati e parla!»
In cima all’albero le immagini oranti dei genuflessi genitori di Maria, Gioacchino e
Anna, che venerano “il fiore
immacolato”, la Vergine racchiusa in mandorla, sostenuta
da un nimbo di testine di Cherubini, ai piedi la luna e cinta il
capo di dodici stelle.
Ai lati, inconsueti nell’iconografia, gli arcangeli Gabriele
col giglio della purezza sulla
destra e Michele, a sinistra,
che trafigge un drago che vomita fuoco. In alto la colomba
dello Spirito Santo e il Padre
Eterno benedicente.
Nei nastri che partono dal
centro, il Casanova ha vergato,
dall’alto in basso, iniziando a
leggere da sinistra, un ispirato
inno latino alla Madonna: sei
strofe, ognuna di quattro versi,
a rime baciate, intrise di richiami biblici e dei Padri della
Chiesa. La traduzione zaramelliana è degna di meditazione.
«Salve Signora del mondo,
Regina dei cieli/ Salve piena di
grazia, chiara luce divina/ salve Vergine delle vergini, stella
mattutina/ o Signora, affrettati in aiuto
del mondo.
Salve Regina genitrice, tempio della
Trinità/ consolazione dei moribondi,
giardino di beatitudine/ gaudio degli
angeli, cella di purezza/ palma di pazienza, cedro di castità.
Salve Vergine sapiente, casa dedicata a Dio/ preservata da ogni contagio
del mondo/ e mensa adorna di sette colonne/ subito santa nell’utero della madre e creata.
Salve Vergine, fiorente madre illibata/ sopra gli angeli pura immacolata/
Regina di clemenza coronata di stelle/
che stai alla destra del re d’oro vestita.
Salve arca dell’alleanza, trono di Salomone/ virgulto frondoso di gemme,
vello di Gedeone/ arco purissimo dell’eterno roveto della visione/ porta
chiusa della divinità e favo di Sansone.
Per te Madre di grazia, dolce speranza dei rei/ porta aperta del cielo,
salute degli infermi/ fulgida stella del
mare, porto dei naufraghi/ possiamo
●
vedere il re nel cielo del Santi».
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