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Gentile dottoressa, ho bisogno di chiederLe una cortesia, sempre se

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Gentile dottoressa, ho bisogno di chiederLe una cortesia, sempre se
Istituto comprensivo N. Sauro Milano
Istituto sperimentale Rinascita Livi
Secondaria I grado a indirizzo musicale
Incontro dibattito. LA MUSICA E LA DISLESSIA
Dalla Scuola di base al Conservatorio
Ricerche e sperimentazioni in atto alla luce della legislazione
Milano, 30 aprile 2014
Gentile dottoressa,
ho bisogno di chiederLe una cortesia, sempre se Le è possibile.
Poiché sto preparando una relazione per gli atti del convegno di Bergamo, Le chiedo troppo se mi
scrive due righe per spiegare la ragione biologica/neurologica della difficoltà dei dislessici nel
nominare le note? Gli studenti del Master “Didattica, Neuroscienze e Dislessia” che è appena
terminato al Conservatorio di Milano, mi hanno riferito che attraverso un Suo intervento hanno
capito perché i dislessici non riescono a pronunciare i nomi delle note in fretta e perché, anche
dopo tanti anni, devono fare i conti sul pentagramma per sapere come si chiama la nota che
stanno suonando.
Mi sono accorta di questa loro difficoltà tanti anni fa e con TUTTI loro ne ho parlato e ne parlo
spesso non appena si stabilisce una certa confidenza.
Comincio con il primo quesito:
Bufano. Perché quando fanno il solfeggio non riescono assolutamente a pronunciare i nomi delle
note con la stessa velocità dei non dislessici?
Flaugnacco. A tal riguardo una delle prove in cui ottengono punteggi in velocità clinicamente
inferiori alla norma è proprio la Rapid Automatized Naming Test, una prova di “denominazione
rapida di colori, figure, numeri, lettere, simboli...”. Questa prova viene considerata un forte
predittore delle abilità di lettura e all’ultimo anno di scuola materna viene usata insieme alle prove
di consapevolezza fonologica negli screening per la dislessia.
E’ probabile che i bambini con dislessia siano più lenti in queste prove, proprio perché presentano
un’alterata attivazione dei circuiti neurali interessati nei compiti di “riconoscimento e
denominazione” in generale, quindi oltre che di figure, parole, lettere e numeri anche di note.
Queste Sue osservazioni rimandano quindi all’ipotesi del “doppio deficit”, definita inizialmente da
Denckla e Rudel (1976) e sviluppata successivamente da Wolff e Bowers (1999). Secondo questa
ipotesi nella dislessia evolutiva il locus del disturbo sarebbe duplice e interesserebbe un deficit
nella componente fonologica (consapevolezza fonologica e memoria di lavoro fonologica) e un
deficit nella denominazione veloce di figure, numeri, lettere, parole, note...
Il deficit relativo ai processi sottostanti la denominazione veloce potrebbe spiegare sia le difficoltà
di lettura, riguardanti l’integrazione visuo-uditiva e l’automatizzazione della corrispondenza
segno/suono, sia le difficoltà di acquisizione degli automatismi relativi all’apprendimento delle
informazioni in sequenza (ad es. giorni della settimana, mesi dell’anno, note della scala), tipiche
dei bambini con dislessia.
Secondo questa ipotesi, ripresa in Italia da Brizzolara (2006) e da Di Filippo (2005), in una lingua
trasparente come l’italiano il vero ostacolo sarebbe proprio lo sviluppo di un’adeguata velocità
(fluenza). Questa criticità della fluenza deriverebbe da un rallentamento nei processi di recupero
delle informazioni rilevanti e lessicali dalla memoria a lungo termine, riferibili ad un’alterata
attivazione dei circuiti neurali interessati nei compiti di “riconoscimento e denominazione” in
generale.
Anche se l’ipotesi del doppio deficit ha raccolto molti elementi a suo favore, i dati finora messi a
disposizione dalla ricerca riportano alcune criticità, dovute soprattutto all’ampia variabilità dei
criteri utilizzati per definire il disturbo di lettura.
Bufano. Perché fanno fatica ad abbinare il nome alla nota anche se sono molto avanti nello studio
dello strumento e sono degli ottimi strumentisti? Se richiesti del nome di una nota, sono costretti a
fare una serie di conteggi rispetto alla chiave e al pentagramma.
Flaugnacco. Fanno lo stesso con le tabelline, ad esempio per dire quanto fa 6x7 hanno ogni volta
bisogno di partire dall’inizio e recitare tra sé e sé tutta la tabellina del 6 fino al 7, proprio perché
non riescono a recuperare in maniera automatica la traccia in memoria a lungo termine verbale
corrispondente a 6x7=42.
Bufano. Perché riescono a nominare le note solo nel solfeggio cantato in chiave di violino in un
tempo lento o "andante".
Flaugnacco. Perché permette loro di poter usufruire di un tempo sufficiente lungo per attivare i
propri processi.
Bufano. A loro il nome delle note comunque NON SERVE poiché leggono la notazione musicale
come se fosse un disegno. A seconda della posizione che occupano sul pentagramma, i dislessici
abbinano le note/palline di questo disegno a un tasto, a un foro, a una corda dello strumento che
suonano. Inoltre due riferimenti fondamentali sono la diteggiatura e il suono della nota stessa.
Flaugnacco. Approfitto della Sua esperienza e Le chiedo: ha l’impressione che la difficoltà nel
creare un’associazione tra il simbolo della nota e il suono corrispondente sia meno forte della
difficoltà ad associare al simbolo stesso il nome? Come se l’integrazione visuo-uditiva funzionasse
meglio togliendo di mezzo l’informazione fonologico-verbale? In tal caso la capacità di associare
simbolo-nota con suono-nota le sembra che si avvicini alle prestazioni dei normo lettori o resta
comunque significativamente più bassa?
Bufano. Per quello che ho osservato in tutti questi anni, sono sicura che l'associazione visuo-uditiva
funzioni molto ma molto meglio di quella fonologico-verbale (in moltissimi casi del tutto
inesistente). Proprio in questi giorni ho riparlato con i ragazzi di questo problema in occasione dei
loro prossimi esami annuali di strumento. Hanno ribadito senza ombra di dubbio che loro, come
dicevo prima, fanno riferimento: a) alla posizione della nota/pallina sul pentagramma per
“trasportarla” sulla tastiera (o manico o foro) del loro strumento senza mai pensare al nome; b) al
numero, scritto sulla nota, del dito da usare; c) al suono di ciascuna nota.
Flaugnacco. Parlando con loro in serenità , li aiuta a prendere consapevolezza delle specifiche
criticità e qualità e a sviluppare strategie alternative per aggirare gli ostacoli, in buona sostanza
permette loro uno sviluppo adeguato delle strategie metacognitive e, indirettamente della propria
autostima.
Bufano. Purtroppo in giro ci sono dei docenti che impongono ai dislessici il nome delle note in tutte
le salse e li massacrano. Molti di loro sono convinti che i dislessici guariscono, purché l'insegnante
abbia polso...
Flaugnacco. Dovrebbero capire che in tal caso sopravvivono solo alcuni, quelli con meno difficoltà
e con una forte personalità, gli altri scappano dall’insegnante e purtroppo anche dalla musica...
Inoltre le strategie messe a punto per i ragazzi con dislessia sono utilissime anche in altri casi ( si
veda la direttiva per i Bisogno Educativi Speciali del 27/12/12).
Bufano. La ringrazio infinitamente e spero di assistere a una delle Sue lezioni del Master ch si terrà
nel 2013-2014.
Cordiali saluti.
Matilde Bufano
Flaugnacco. Se Le servono altre informazioni non esiti a chiedere, non è di alcun disturbo per me.
Un caro saluto e a presto,
Elena Flaugnacco
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