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(Progressi dell`Umanità e ricordi di vita vissuta. Di P. F. Barnaba)

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(Progressi dell`Umanità e ricordi di vita vissuta. Di P. F. Barnaba)
PROGRESSI DELL’UMANITÀ
E IMMAGINI DI VITA VISSUTA
Pier Federico Barnaba
Edizioni APVE – Associazione Pionieri e Veterani Eni
Aprile 2012
1
INDICE
1. Introduzione
2. Parte prima
2.1. Evoluzione e conquiste dell’Uomo
2.2. Invenzioni e scoperte
2.3. Scoperte geografiche
2.4. Nuove invenzioni e scoperte
2.5. Conquiste spaziali
2.6. Considerazioni sui progressi dell’Umanità
2.7. L’Uomo e le credenze religiose
2.7.1. Premessa
2.7.2. Giudaismo o Ebraismo
2.7.3. Induismo
2.7.4. Buddismo
2.7.5. Islamismo
2.7.6. Cristianesimo
3. Parte seconda
3.1. Vita in Collegio
3.2. Il Direttore del Collegio
3.3. Alternative allo studio
3.4. Il Professore di Lettere
3.5. La chirurgia fatta in casa
3.6. Tempi di guerra
3.7. La liberazione
3.8. Lezione di matematica
3.9. Ultimo giorno di Liceo
3.10. Vittoria sportiva
3.11. Tra Università e Industria
3.12. Agadir, una drammatica esperienza
3.13. Un elicottero fortunato
3.14. Da ieri a oggi
3.15. Benessere, energia e ambiente
4. Bibliografia
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PROGRESSI DELL’UMANITÀ E IMMAGINI DI VITA VISSUTA
Pier Federico Barnaba
1. INTRODUZIONE
Ho riflettuto e poi deciso di riunire in questo
libretto vari argomenti di natura e provenienza
diversi, ma tutti strettamente legati alla
presenza del fattore umano: da un lato i
progressi fatti dall’Umanità nel suo percorso
terrestre, dall’altro una serie di immagini
raccontate di vita personale.
E così, in una prima parte ho descritto le varie
tappe che hanno contraddistinto i successi
ottenuti dall’Uomo nel tempo, man mano che
le sue facoltà intellettive gli hanno consentito
di avanzare verso una vita migliore e verso un
sempre più accentuato dominio del proprio
ambiente.
Le tracce della presenza umana sulla Terra
sono ovunque presenti e sono estremamente
diffuse; esse ricoprono ogni spazio
disponibile all’Uomo, la cui opera si
riconosce nel progressivo sviluppo delle
civiltà, nelle invenzioni, nelle scoperte, nelle
conquiste e nella cultura delle credenze e
delle religioni. Molto spesso questi successi
sono stati accompagnati da guerre,
devastazioni e soprusi, nonché da un certo
decadimento ecologico, ma pare che tali
conseguenze non siano altro che la naturale,
immancabile contropartita del progresso.
La seconda parte è dedicata invece ad alcune
personali testimonianze di gioventù e di vita
adulta, vissute in differenti situazioni, quali il
Collegio, il Liceo pubblico, la seconda Guerra
mondiale, la Famiglia, lo Sport, il Lavoro
nell’Industria e nell’Università e altre ancora,
ispirate a vicende non sempre liete e festose.
Si tratta naturalmente di esperienze risalenti a
tempi passati, la cui descrizione rispecchia
talora comportamenti e abitudini diversi dagli
attuali e questo, unitamente ai toni piuttosto
spigliati di alcuni episodi descritti, potrebbe
destare qualche sorpresa; rimane comunque la
certezza che i fatti e i pensieri raccontati
corrispondono alla realtà del momento cui si
riferiscono.
Emergono da queste esperienze alcuni ricordi
che la mia memoria si rifiuta di cancellare: a
parte le vicende drammatiche purtroppo
sperimentate, appaiono inaccettabili la ferrea
disciplina e le assurde imposizioni sofferte nei
Collegi di studio, i discutibili modi di
comportarsi di certi Educatori nei confronti
degli allievi, i duri sacrifici, le incontrollabili
paure e i dolori imposti dalla Guerra.
A tale proposito qualcuno sostiene che detti
disagi siano controbilanciati dal calore che
ciascuno può trovare nell’ambiente familiare
e da qualche momento di soddisfazione
duramente conquistato, ma i Benpensanti
affermano con fermezza che la vera
contropartita dei sacrifici sopportati è
costituita impagabilmente da quanto viene
acquisito di persona in cambio delle
sofferenze, e cioè i sani principi di vita, una
valida cultura di base ed una equilibrata
disciplina.
A parte le considerazioni di ordine morale, mi
auguro che la varietà e la differente natura
degli argomenti di seguito esposti possano
costituire un motivo di interesse e favoriscano
il commento e la critica, accompagnata
eventualmente da uno scambio amichevole di
opinioni.
2. PARTE PRIMA
2.1. EVOLUZIONE
DELL’UOMO
E
CONQUISTE
Nell’affrontare il tema delle conquiste fatte
dall’Uomo sulla Terra, viene spontaneo di
chiederci: da quanto tempo l’Uomo è qui?
Le credenze giudeo-cristiane erano ancorate
ad un concetto fondamentale, quello di una
“Terra giovane” e di una Creazione risalente a
meno di dieci mila anni prima di Cristo;
concetto che è stato radicalmente modificato
meno di due secoli fa, quando le intuizioni
darwiniane e i numerosi ritrovamenti di
testimoni fossili dimostrarono che la realtà era
ben diversa da quella fino ad allora
3
immaginata, dando così ragione ai tanti dubbi
che già si erano manifestati in passato da parte
di scienziati e di studiosi del mondo intero.
Con la divulgazione delle opinioni e delle
testimonianze raccolte da Darwin e Huxley
negli anni intorno al 1870, l’età della Terra e
quindi del Sistema solare e dell’Universo ha
subìto un severo invecchiamento e si è
cominciato a parlare di miliardi di anni,
mentre per l’origine dell’Uomo ci si è
orientati su qualche milione di anni.
quale il progresso stesso si è manifestato nel
tempo. Ad esempio, per superare il periodo
primitivo, quello che dalla Pietra si estende
fino all’inizio dell’età del Ferro, l’Uomo
impiegò circa tre milioni di anni, mentre per
passare dall’età del Ferro alla bomba atomica
furono sufficienti tre mila anni.
L’accelerazione che caratterizza le conquiste
dell’Uomo
è
dovuta
soprattutto
al
miglioramento fisico e culturale che ha
accompagnato l’essere umano nel tempo,
principalmente il progressivo aumento del
volume cerebrale, e alla maturazione delle
esperienze
direttamente
affrontate
o
indirettamente acquisite. Una influenza
positiva nel progresso delle conoscenze e
delle scoperte è stata certamente determinata
dall’incremento
demografico
e,
di
conseguenza, dai più facili e frequenti contatti
tra gli esseri umani.
2.2. INVENZIONI E SCOPERTE
fig.1. Ominide di 250 mila anni fa.
Le nuove idee portarono a considerazioni
personali non sempre in armonia col prossimo
e, a questo proposito, il sopra citato
Mr.Huxley, rivolgendosi a un Vescovo
inglese in un dibattito sull’evoluzione,
affermò di non essere dispiaciuto di avere una
scimmia per nonno.
E’ pure da osservare che le credenze, anche
nei tempi passati, non furono uguali per tutti;
infatti alcune Civiltà come quelle dei Maya e
degli Indù, a differenza della nostra, erano
propense ad attribuire al tempo la
caratteristica
dell’esteso
o
addirittura
dell’infinito, da cui derivava la visione di una
Terra non certo giovane, ma decisamente
matura.
Prendendo in esame il progresso che le azioni
dell’Uomo hanno manifestato fin dalle sue
origini, è da sottolineare in primo luogo la
velocità crescente, cioè l’accelerazione, con la
Volendo ripercorrere l’itinerario tracciato
dall’Uomo nel passato, ricordiamo che i resti
umani più antichi, rinvenuti in Africa,
risalgono a circa 6 milioni di anni fa; i più
vecchi testimoni di utensili in pietra costruiti
dall’Uomo hanno invece un’età di circa 2
milioni e mezzo di anni; in base a questi
elementi si può pensare che l’Uomo abbia
impiegato più di 3 milioni di anni per
imparare a costruirsi un attrezzo per uso
personale.
fig.2. Amigdale, utensili in pietra di 130 mila
anni fa.
4
Un’altra riflessione riguarda il fuoco, un
elemento essenziale per la vita umana; il
fuoco è sempre esistito, fin dai primordi
dell’Universo, per cui siamo certi che l’Uomo
ha conosciuto il fuoco da quando è venuto al
mondo e l’ha potuto utilizzare, prelevandolo
da zone vulcaniche o dai cosiddetti fuochi
spontanei; ma si è trovato di fronte al grave
problema di conservarlo, cioè di mantenere
accesa la fiamma. Pare che il problema sia
stato risolto soltanto 800 mila anni fa, quando
l’Uomo scoprì finalmente il modo di produrlo
in proprio, con selci od altro.
Non sappiamo molto di più di questi primi
passi dell’umanità. Tuttavia, utilizzando le
informazioni fornite dai vari testimoni fossili
rinvenuti, possiamo ricostruire le linee
essenziali
dell’evoluzione
psico-fisica
maturata dal nostro antenato attraverso i
millenni, evoluzione che l’ha portato ad
espandere la sua presenza sull’intero pianeta
Terra.
Rivolgendo il pensiero a 6 milioni di anni fa e
scendendo sulla Terra, incontriamo un essere
umano che possiamo definire decisamente
primitivo; ha una capacità cranica piuttosto
limitata, inferiore a un litro, cioè poco più
della metà della nostra attuale, e possiede
facoltà intellettali pari a quelle di un nostro
bimbo di due anni; il suo habitat è
geograficamente ridotto, in quanto i suoi resti
sono stati trovati soltanto in Africa, in
particolare in Etiopia, Kenia e Sud Africa. Se
poi ci spostiamo in avanti di qualche milione
di anni, riscontriamo nell’Uomo un rilevante
progresso sia fisico che intellettuale; ci
troviamo ora nel periodo tra il milione e i
centomila anni fa, siamo nell’epoca del’Homo
erectus, che ha raggiunto una capacità cranica
di 1,3 litri, corrispondente alle facoltà mentali
di un nostro bambino di quattro o cinque anni.
Questo Uomo ha superato brillantemente le
glaciazioni del Paleolitico inferiore, ha
imparato a lavorare la pietra con ottime
capacità,
testimoniate
dall’Industria
Acheuleana, e ha esteso notevolmente il suo
habitat, espandendosi nel Nord Africa,
nell’Europa Occidentale (Spagna, Francia,
Germania), in Grecia e nell’Estremo Oriente
(Giava e Cina); si ciba soprattutto di frutta e
di vegetali. La popolazione umana sulla Terra
è, a quel momento, stimata in mezzo milione
di individui.
L’evoluzione prosegue con il passare del
tempo; esaminando la situazione tra i 100
mila e i 35 mila anni fa, entriamo in contatto
con l’Homo sapiens e con il coevo Uomo di
Neanderthal, i quali stanno estendendo
ulteriormente il popolamento terrestre, oltre
che in Africa e in Europa, anche nel Medio ed
Estremo Oriente e, mediante il passaggio
attraverso lo Stretto di Bering, riescono a
stabilire qualche insediamento anche nel
Continente Americano. La caccia e la pesca
hanno subìto un notevole sviluppo e
altrettanto avviene per le coltivazioni agricole.
Si osservano le prime manifestazioni
religiose, artistiche, di stregoneria, di
combattimento e di danza. La popolazione
presente sulla Terra è aumentata a circa un
milione e mezzo di anime.
Facciamo un altro passo avanti trasferendoci
nel tempo tra i 35 mila e i 10 mila anni fa;
siamo in presenza di un Uomo, definito ormai
“sapiens sapiens”, intellettualmente evoluto
che, dopo la conclusione del lungo periodo
freddo causato dall’ultima glaciazione,
prosegue il popolamento di nuovi territori, in
particolare in America del Nord, in America
del Sud e in Australia. La popolazione
mondiale è aumentata ulteriormente ed è
stimata tra i 3 e i 5 milioni. Siamo però ancora
nell’Età della Pietra e per arrivare alla Civiltà
dei Metalli mancano 3 mila anni e altri 3 mila
per la nascita di Cristo.
Gli ultimi 10-12 mila anni sono dominati da
una dinamica demografica molto spinta, che
riguarda non soltanto l’Uomo, ma tutte le
specie viventi. Sono in aumento i siti abitati
collettivamente, le aree coltivate, le
piantagioni, gli allevamenti di bestiame per
uso alimentare; molti animali vengono
addomesticati per l’utilizzo al servizio
dell’Uomo. Tra le abitudini alimentari, i
cinesi si cibano di riso fin da 8 mila anni a.C.;
i peruviani sono invece dediti soprattutto alla
patata.
I primi tessuti vengono prodotti in Turchia 7
mila anni a.C. I primi denari in oro entrano
ufficialmente negli scambi commerciali
intorno ai 5 mila anni a.C. Negli anni 3600
a.C. si scopre la lega metallica composta dal
5
rame e lo stagno e si entra così nell’Età del
Bronzo. I Sumeri inventano la scrittura,
mentre in Mesopotamia si scopre l’utilità
della ruota ed in Egitto quella della candela di
sego (3 mila a.C.).
Gli egizi nel 1500 a.C. costruiscono il primo
strumento per la misurazione del tempo, la
Meridiana.
Cinquecento anni dopo è la volta dei cinesi,
che scoprono di poter usare il carbone come
combustibile e il ghiaccio come refrigerante
per la conservazione degli alimenti.
Nel 530 a.C. il greco Pitagora annuncia il suo
famoso teorema matematico. Poco dopo gli
egizi inventano il primo calcolatore, l’abaco,
mentre i babilonesi si dedicano seriamente
alla scienza degli oroscopi, legandola alle
posizioni delle stelle e dei pianeti. Nel 387
a.C. Platone fonda ad Atene la prima
Università (l’Accademia). Nel 250 a.C. la più
importante Scuola di Medicina al mondo è
quella di Alessandria d’Egitto. Nel 200 a.C. i
greci inventano l’astrolabio, che viene
utilizzato per la navigazione con le stelle. I
cinesi sono particolarmente interessati
all’Universo e documentano un fenomeno
eccezionale: l’esplosione di una stella
(supernova); osservano inoltre le variazioni
delle macchie solari. Tra i 150 e i 100 anni
a.C. la Scuola greca di Ipparco riesce a
calcolare in maniera corretta la distanza tra la
Terra e la Luna; compìla inoltre un primo
catalogo astronomico.
Nel 46 dopo Cristo, Giulio Cesare introduce il
Calendario giuliano, in cui l’anno è suddiviso
in 12 mesi e comprende 365 giorni e 6 ore;
esso migliora il calendario egiziano fino ad
allora in uso. Nel 50 d.C. l’egiziano Erone
costruisce la prima macchina a vapore e
interviene nel campo agrario sperimentando la
rotazione delle colture. Nell’anno 105 i cinesi
inventano la carta, che sarà introdotta in
Europa più di un migliaio anni dopo (nel
1320). Nel 270 i cinesi, addizionando il
salnitro allo zolfo, scoprono la polvere da
sparo; un centinaio di anni dopo gli stessi
cinesi inventano la carriola. Nel 499 l’indiano
Aryabhata afferma giustamente che la Terra
ruota su sé stessa e il cielo stellato è fermo.
Nel 595 gli indiani utilizzano per la prima
volta un loro nuovo sistema numerico, che
sarà in seguito adottato dagli arabi e, nel
1500, dagli europei. Il 622 è l’anno zero del
calendario musulmano, ricorda la fuga di
Maometto dalla Mecca a Medina. Nel 700 i
Maya (America centrale) applicano un loro
sistema numerico per i calcoli su grandi cifre;
nello stesso periodo i cinesi inventano la
porcellana e i persiani inventano il mulino a
vento, che verrà importato in Europa dai
Crociati nel XII secolo.
Nel 708 i cinesi bevono il thè, in anticipo di
oltre ottocento anni sugli europei, che lo
apprezzeranno soltanto a partire dal 1600. Nel
751 gli arabi fabbricano la carta, secondo la
tecnica cinese. Mentre gli arabi bevono il
caffè nel 851, gli europei attenderanno altri
sette secoli (intorno al 1600) prima di
gustarlo. Nell’868 in Cina si pubblica il primo
libro a stampa; sei anni più tardi gli irlandesi
scoprono l’Islanda. E arriviamo al 1041,
quando i cinesi applicano alla stampa i
caratteri tipografici mobili. Nel 1050 i
francesi costruiscono la prima arma
meccanica, la balestra. Vent’anni più tardi in
Europa si smette di mangiare con le mani e il
coltello e si comincia a usare la forchetta. Nel
1148 i crociati importano in Europa lo
zucchero. Nel 1200 in Europa si sente la
necessità di curarsi e si creano nuove Scuole
di medicina in Italia, Francia e Inghilterra.
Nel 1249 le prime lenti per occhiali
compaiono in Cina e in Europa. Nel 1288 la
Cina costruisce il primo cannone. Venezia
produce invece il primo vetro trasparente per
finestre e Marco Polo pubblica “Il Milione”
sul suo viaggio in Cina. Nel 1300 nascono i
primi orologi azionati dal peso, mentre
qualche anno dopo si diffonde anche in
Europa l’uso della carta per la stampa,
inventata dalla Cina undici secoli prima. La
peste nera, scoppiata in Europa nel 1348 e poi
diffusa in Asia e Africa settentrionale,
provoca la morte di circa un terzo della
popolazione. Nel 1450 gli olandesi inventano
il fucile e quattro anni più tardi Gutemberg
stampa in Europa il primo libro su carta,
servendosi di caratteri tipografici mobili,
secondo l’uso cinese. Nel 1470 nasce
l’orologio a molla.
6
2.3. SCOPERTE GEOGRAFICHE
Le manifestazioni più ardite e, nello stesso
tempo, più spregiudicate che l’uomo abbia
compiuto nel tempo sono probabilmente
rappresentate dalle grandi esplorazioni
geografiche che portarono alla conquista di
nuove terre nel periodo tra il 1400 ed il 1700
d.C. E’ stato il periodo in cui, dapprima i
portoghesi e gli spagnoli e poi gli inglesi, i
francesi e gli olandesi, reduci da un povero,
triste e bellicoso medioevo europeo, spinti
dalla fame di oro, si sono avventurati
attraverso
gli
oceani
alla
ricerca
dell’immaginario Eldorado; l’hanno fatto
perché erano ben consci di poter contare sulla
raggiunta affidabilità dei loro mezzi navali e
soprattutto sugli armamenti che possedevano,
che sarebbero stati in grado di facilitare
l’invasione e la conquista di territori abitati da
popolazioni non dotate di armi da fuoco.
L’Europa mancava allora di capitali e di
forza-lavoro, falcidiata dalla peste nera del
1348; l’impossibilità di uno sviluppo
economico incoraggiava quindi a ricercare
nuove mete e nuovi orizzonti di espansione,
contando anche su una superiorità tecnologica
che poteva garantire il controllo dei mari e
delle zone costiere.
Tra il 1400 e il 1480 i portoghesi condussero
una lunga e fruttuosa campagna esplorativa
lungo le coste atlantiche africane, dalle Isole
Canarie all’Angola, e in seguito anche in
Mozambico e in Somalia.
Gli spagnoli puntarono invece sull’oltreAtlantico, con l’obiettivo di raggiungere
l’Estremo Oriente, cioè le Indie Occidentali.
fig.3. Caravelle di Cristoforo Colombo (1492)
Nella prima spedizione del 1492, che portò
alla cosiddetta “scoperta dell’America”,
Colombo sbarcò nell’arcipelago delle attuali
Bahamas, convinto di aver raggiunto l’isola
giapponese di Cipango; l’anno successivo lo
stesso Colombo, con una seconda spedizione,
si spinse fino a Cuba e Haiti, dove fu
insediato il primo nucleo di colonizzatori
europei, nel nome e per conto di Isabella di
Castiglia e di Francesco d’Aragona, Reali di
Spagna.
In questo clima di conquiste intervenne anche
il pontefice Alessandro VI che, nel maggio
1493, sulla base di una concezione giuridica
medievale,
decise
di
assegnare
definitivamente alla Spagna e al Portogallo le
terre da questi rispettivamente “conquistate”
lungo le coste atlantiche; ciò avvenne con una
bolla pontificia appositamente emessa. Tale
decisione si dimostrò più tardi un vero e
proprio eccesso di potere e sollevò pesanti
critiche da parte di alcuni Paesi europei.
Da parte dei portoghesi, tra il 1498 e i primi
anni del 1500, si ebbe la ripresa dell’attività
espansionistica, che fu indirizzata, con la
collaborazione di Vasco de Gama, alla
conquista dei mercati (più che dei territori)
dell’India, di Giava e della Cina; non
mancarono in questa occasione le resistenze
da parte dei musulmani, che già controllavano
il traffico tra Cina e Mar Rosso.
Gli interessi di allora riguardavano soprattutto
spezie, pelli, cuoio, coloranti per tessuti e
pesce; il tutto era gestito, dai punti di vista
commerciale, militare e mercantile, da una
organizzazione portoghese, che assicurava il
successo nelle operazioni di scambio delle
merci.
Tra la fine del XV° e i primi anni del XVI°
secolo, gli spagnoli, pur soffrendo di un
pesante debito finanziario, si apprestarono,
con l’aiuto delle Banche di Genova e di
Firenze, a realizzare la conquista e la
colonizzazione dei territori già scoperti;
furono organizzate così numerose spedizioni
di persone e materiali che comprendevano
militari, religiosi, intere famiglie con donne e
bambini, animali, armi, mezzi e strumenti
vari, cioè tutto quanto era necessario per poter
7
costituire nuclei autonomi in grado di
insediarsi definitivamente nelle terre di
conquista.
fig.4. Resti di Machu Picchu, città inca del
XV° secolo, a 2.280 m di altitudine, nella
Cordigliera peruviana.
Non si trattò sempre di conquiste pacifiche,
anzi nella maggior parte dei casi si
verificarono saccheggi, deportazioni e talora
massacri
della
popolazione
indigena,
improvvida e carente di adeguate armi di
difesa; il tutto avveniva con la pretestuosa
giustificazione da parte dei “conquistadores”
di essere portatori di civiltà, di una nuova
religione, quella cristiana, e di garantire il
futuro benessere agli sprovveduti abitanti del
luogo, considerati miseri barbari indiani.
Hernàn Cortès fu il primo conquistatore
spagnolo del Messico, dove le atrocità della
conquista furono particolarmente severe; le
testimonianze affermano che la popolazione
originaria del paese subì una drammatica
decimazione tra l’arrivo di Cortès, nel 1519, e
la fine del secolo: i residenti originari si
ridussero dai venticinque milioni a soltanto un
milione e mezzo, a causa delle eliminazioni,
repressioni, deportazioni, lavori forzati e
malattie europee (vaiolo, morbillo, ecc.) subìti
in quel periodo.
I colonizzatori spagnoli furono attivi anche
nell’America tropicale (Perù, Cile, Equador,
Guatemala), in particolare nelle zone interne
degli altipiani, con alla guida Francisco
Pizzarro.
Il dramma dell’America Centrale coinvolse
pertanto anche le famose civiltà dei Maya,
degli Incas e degli Aztechi, civiltà che
godevano allora di una organizzazione e di
una cultura che poco o nulla avevano da
invidiare a quelle del mondo europeo. La
disintegrazione di queste civiltà fu facilitata
dalla mancanza di esperienze di mare e di
mezzi di navigazione, che certamente non
potevano essere proprie di popolazioni
insediate in zone interne, lontane dal mare.
Anche la Francia e l’Inghilterra, non appena
liberatesi dal lungo conflitto europeo dei
“Cento anni” (1337-1453), rivolsero le loro
mire espansionistiche verso il continente
americano. Nacque così un dissidio tra
francesi e portoghesi per il possesso delle
coste brasiliane, scoperte da questi ultimi nel
1500, ma divenute degne di interesse per i
portoghesi soltanto in seguito al tentativo
francese di appropriarsene intorno al 1530. Re
Giovanni III di Portogallo, al fine di
preservare i diritti di conquista e
colonizzazione, suddivise il territorio
brasiliano
in
dodici
concessioni,
confermandone il possesso, nel rispetto della
bolla pontificia del 1493.
Fu così che i francesi e gli inglesi ritennero
opportuno volgere lo sguardo verso il Nord
America, considerato che il Centro e il Sud
America erano ormai preda degli iberici.
Le spedizioni francesi e inglesi ebbero
dapprima per meta l’attuale Canada, la zona
dei Grandi Laghi, il Golfo di S.Lorenzo, la
Virginia, la Carolina del Nord (1585). La
colonizzazione avvenne in maniera non
sempre tranquilla, pur trattandosi di zone
scarsamente abitate.
Nel 1624 vi fu un importante intervento degli
olandesi nell’isola di Manhattan (oggi New
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York), che proseguì con l’esplorazione lungo
il fiume Hudson. La colonizzazione di questa
zona passò successivamente in mano inglese e
fu estesa verso sud su buona parte dell’attuale
territorio statunitense.
L’acquisizione da parte degli europei di tante
nuove aree destinate alle coltivazioni agricole
e all’allevamento provocò una forte richiesta
di mano d’opera, per cui si rese necessario il
ricorso ad una massiccia importazione di
lavoratori dall’estero; da questa necessità
nacque e proliferò uno spietato schiavismo, di
cui furono principali tributari i paesi africani
della costa atlantica.
Per l’insieme dei tragici eventi causati, la
conquista europea dell’America è stata
definita a ragione uno dei capitoli più oscuri
dell’umanità, soprattutto per gli effetti
procurati dallo smembramento della struttura
sociale delle comunità indiane e dalla
dispersione dei nuclei familiari.
L’altra brutale conseguenza addebitabile alle
grandi scoperte geografiche fu il fenomeno
della tratta degli schiavi, che diede avvio,
come già accennato, ad un vero e proprio
commercio umano, legato a interessi
finanziari così importanti da eliminare
qualsiasi senso di umanità; si parla di
cinquanta milioni di vittime dello schiavismo,
ma probabilmente ora sono molte di più, in
quanto il fenomeno è tuttora in essere.
In periodi successivi alle conquiste dei
territori americani, tra la fine del XVIII° e
l’inizio del XX° secolo furono avviate altre
colonizzazioni da parte dei francesi, degli
inglesi e degli olandesi. I francesi si
concentrarono in particolare sull’Africa nordoccidentale, dall’Algeria al Gabon, e poi sul
Madagascar e sull’Indocina, mentre gli inglesi
colonizzarono la Nigeria e i Paesi africani che
dall’Egitto si estendono verso sud fino al
Sudafrica, attraverso Sudan, Kenya e
Tanzania, ai quali si aggiunsero l’India e
l’Australia. Gli olandesi acquisirono invece i
possedimenti del Suriname, dell’Indonesia e
della Nuova Guinea. Molto limitate furono
invece le iniziative coloniali italiane e
tedesche.
Al
periodo
dell’espansione
coloniale fece poi seguito, soprattutto a partire
dalla fine del XIX° secolo, il progressivo
ritiro dei colonizzatori dai possedimenti
conquistati e la restituzione dell’indipendenza
ai vari Paesi che erano stati oggetto di
sottomissione. Ma non per tutti i Paesi i
problemi essenziali per le popolazioni furono
così risolti.
A proposito di scoperte geografiche,
possiamo ricordare infine una diatriba sorta
tra inglesi e portoghesi sulla scoperta del
Continente australiano; fino a poco tempo fa
si riteneva che il primo europeo sbarcato in
Australia fosse l’esploratore inglese James
Cook nel 1770, ma il recente ritrovamento di
fig.5. Navi di James Cook in una baia
hawaiana (1760).
alcuni documenti cartografici risalenti al
XVI° secolo testimoniano che la scoperta
dell’Australia dovrebbe essere invece
assegnata al portoghese Christopher de
Mendonca, che sbarcò nella zona dell’attuale
Melbourne nel 1523, ben 247 anni prima di
Cook.
2.4. NUOVE INVENZIONI E SCOPERTE
Nel 1510 Leonardo da Vinci inventa la ruota
idraulica, che prelude alla moderna turbina.
Qualche anno più tardi vengono adottati i
segni + e – per la somma e la sottrazione,
mentre per il segno = (uguale) bisognerà
attendere una cinquantina di anni. Negli anni
1520-30 vengono introdotti in Europa
dall’America i peperoni, le arance, le patate,
le zucche, il mais ed altri prodotti cerealicoli.
Nel 1540 viene adottato l’oppio come
farmaco. Dieci anni dopo viene importata in
Europa la pianta del tabacco. Nel 1543, alla
morte di Copernico, astronomo polacco, già
erano noti i pianeti visibili a occhio nudo, cioè
Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno,
oltre alla Luna; nello stesso periodo fu
9
elaborata la teoria eliocentrica, cioè il Sole al
centro del Sistema e tale teoria fu decisamente
contrastata dall’ortodossia cattolica, che
sosteneva la teoria geocentrica; a causa delle
diverse vedute sull’argomento, Galilei fu
accusato di eresia e condannato al confino ad
Arcetri. Per la stessa ragione, nel 1835, la
Chiesa condannò all’Indice la principale
opera pubblicata da Copernico che si rifaceva,
tra l’altro, anche ai risultati delle antiche
osservazioni astronomiche effettuate dai
caldei, dagli arabi e dagli egizi.
Nel 1582 viene introdotto il calendario
gregoriano, più preciso di quello giuliano. Tra
il 1589 e il 1596 entrano in funzione il
termometro (Galilei), la macchina per
maglieria (Inghilterra), il microscopio
(Olanda) e il WC (Inghilterra). Nel 1600 il
filosofo
Giordano
Bruno,
accusato
dall’Inquisizione romana di eresia, muore sul
rogo. Nel 1610 Galilei compie numerosi studi
astronomici e sul movimento pendolare. In
Europa nel 1615 entra in uso la gomma,
ricavata dalla vegetazione proveniente dalla
giungla asiatica. Negli anni 1616-1633 si
svolge la triste diatriba tra la Chiesa e la
fig 6. Il telescopio di Galilei (1610).
Scienza, a seguito della quale la teoria
eliocentrica di Copernico viene dichiarata
eretica e Galileo viene condannato agli arresti
domiciliari. Nel 1628 vengono sperimentati i
primi modelli di macchina a vapore. Due anni
dopo viene usato per la prima volta il forcipe
per neonati e viene emesso un primo manuale
di pronto soccorso; la prima trasfusione di
sangue viene effettuata nel 1667.
L’anno successivo Newton scruta il cielo
utilizzando il primo telescopio riflettore e nel
1673 l’italiano Cassinis calcola con successo
la distanza tra la Terra e il Sole. Nel 1698 il
frate francese Dom Perignon inventa lo
Champagne. Nel 1712 si diffonde in
Inghilterra la macchina a vapore, mentre
Halley scopre che le stelle non sono fisse, ma
sono dotate di un lento movimento. Nel 1734
il botanico svedese Linneo presenta il suo
sistema di classificazione delle piante
vegetali, mentre pochi anni dopo Celsius,
pure lui svedese, propone la nuova scala delle
temperature, successivamente adottata. Nel
1751 in Francia viene pubblicata la prima
Enciclopedia, mentre Franklin inventa il
parafulmine. Negli anni successivi viene
individuato un nuovo elemento, l’idrogeno;
viene anche ideata l’acqua gassata (Pristley),
viene inoltre scoperto il pianeta Urano e i
fratelli Montgolfier inventano il pallone ad
aria calda, detta mongolfiera. I francesi
inventano il sistema metrico decimale e
finalmente, nel 1796, viene sperimentata
felicemente la vaccinazione antivaiolosa.
Nel 1800 Alessandro Volta inventa la pila.
Nel 1816, l’auscultazione degli organi interni
beneficia di una importante novità: lo
stetoscopio. Soltanto nel 1817 si scopre la
clorofilla e nel 1822 i francesi eseguono la
prima fotografia. Nel 1828 gli olandesi
producono il cioccolato. Due anni più tardi
Lyell pubblica il primo trattato sui principi di
geologia. La Scienza e la Tecnologia
spingono
violentemente
verso
nuove
iniziative: nel 1831 Darwin si imbarca sul
Beagle che lo condurrà a scoperte di immenso
interesse naturalistico nel suo lungo viaggio
nei mari del Sud e Centro America; qualche
tempo dopo Faraday inventa il generatore di
corrente elettrica senza uso di batterie, Morse
brevetta il telegrafo elettrico e un medico
americano effettua il primo intervento
10
chirurgico in anestesia totale (grande
conquista anche per noi pazienti!). Le
scoperte si susseguono con ritmo accelerato:
nel 1866 Nobel inventa un esplosivo molto
potente, la dinamite, Meucci inventa il
telefono, seguito da Bell; nel 1876 il tedesco
Otto inventa il motore a combustione,
che trova pieno impiego ancora oggi; tre anni
più tardi si accendono le lampadine elettriche,
grazie a Edison e nel 1882 viene individuato
il batterio della tubercolosi, per merito del
tedesco Koch.
studiosi norvegesi, i primi studi sulla
meteorologia. Nel 1905 Albert Einstein
enuncia la sua teoria sulla relatività ristretta.
Nel 1912 Wegener espone la teoria della
deriva dei Continenti; si scopre l’esistenza
fig.8. Aereo dei fratelli Wright (1905).
fig.7. Treno dell’Ovest (1800).
Nel 1884 si decide di nobilitare il meridiano
di Greenwich, assegnandogli il riferimento
zero nella sfera terrestre. L’anno successivo
nasce la bicicletta, per merito dell’inglese
Stanley e nascono i primi esemplari di
automobili, artefice il tedesco Benz. Nel
1889, ad opera di un certo Singer, viene
prodotta la prima macchina da cucire elettrica.
Nel 1895 i francesi fratelli Lumière inventano
il cinematografo e nello stesso anno il nostro
Marconi sperimenta le onde radio ricetrasmittenti senza fili, ottenendo i primi
successi, comunicando direttamente tra
Inghilterra e Canada (1901). Nel frattempo
Marie e Pierre Curie compiono studi ed
esperimenti su radio e polonio, introducendo
il mondo nel campo della radioattività. Pure
nel 1901 vengono scoperti da Roentgen i
raggi X, cui sono legate le note applicazioni
in campo medico. Nel 1903 si ha il primo
decollo, con 12 secondi di permanenza in
volo, di un aereo a motore in North Carolina,
da parte dei fratelli Orville e Wilbur; l’anno
successivo trovano sviluppo, da parte di
dello strato di ozono; il danese Bohr
rivoluziona le conoscenze sulla composizione
dell’atomo; nel 1905 un aereo più evoluto dei
precedenti è portato in volo dai fratelli
Wright.
Einstein ritorna sulla relatività,
enunciando quella generale, sui rapporti
tempo-spazio (1916). Alla fine della prima
guerra mondiale l’americano Shapley è in
grado di precisare la posizione del sistema
solare in seno alla nostra Galassia, la Via
Lattea. Nel 1926 l’astronomo americano
Hubble scopre vari tipi di Galassie e annuncia
che l’Universo è in espansione.
fig.9. Nebulose e polvere cosmica.
Negli anni successivi si scoprono le
differenze tra batteri e virus, si inventa
l’encefalogramma, i primi impieghi della
penicillina, scoperta da Fleming; viene
individuato il pianeta Plutone (oggi in
11
discussione), mentre si stabilisce la scala
Richter per valutare l’intensità dei terremoti;
fig 10. La Galassia a spirale M81.
si inventa il radar, con le sue infinite
applicazioni moderne, e si inventa pure una
nuova fibra artificiale, denominata nylon. Nel
1938 viene sperimentata in Germania
l’applicazione
dell’energia
dell’atomo,
preludio alla bomba atomica. Siamo ormai
prossimi all’inizio della seconda guerra
mondiale. Nel 1941, in vista dell’entrata in
guerra degli Stati Uniti, Roosevelt dà l’ordine
a Fermi e collaboratori di sviluppare la bomba
atomica. L’anno successivo la Germania
lancia il primo missile V2, precursore dei
missili spaziali. Nel 1944 il canadese Avery
fa la rilevante scoperta del DNA. Nel 1945
viene fatta esplodere nel deserto messicano la
prima bomba atomica sperimentale, cui fanno
seguito, dopo qualche mese, le catastrofiche
due atomiche lanciate su Hiroshima e
Nagasaki in Giappone. Nel 1946, cessata la
guerra, esce il primo calcolatore elettronico
dall’Università statunitense di Harvard.
L’anno successivo, a cura dell’americano
Libby, viene studiato l’impiego del C14 per la
determinazione dell’età nei reperti antichi;
viene immesso in commercio il primo forno a
microonde. Nel 1948 entra in uso il telescopio
di M.Palomar con specchio di 5 m di
diametro. Nel 1949 l’Urss, nell’ambito della
corsa agli armamenti, fa esplodere la sua
prima bomba atomica; l’anno successivo entra
in commercio la prima fotocopiatrice Xerox.
Nel 1951 viene trasmesso il primo
programma TV a colori, che in Usa diverrà
commerciale tre anni più tardi. Nel 1953
l’americano
Salk
svolge
le
prime
sperimentazioni sul vaccino anti-poliomielite.
Nel 1957 viene inviato nello spazio dall’Urss
un missile con a bordo la cagnetta Laika.
Nel 1960 negli Stati Uniti si studiano le
caratteristiche del raggio Laser, che troverà
numerose applicazioni pratiche. Nel 1961 il
primo essere umano, Gagarin, viene lanciato
nello spazio dall’Urss. Nel 1965 vengono
rinvenuti alcuni organismi unicellulari che
sono vissuti sulla Terra 3,5 miliardi di anni fa,
confermando la validità di alcune vedute su
questo dibattuto tema. Nel 1967 viene
realizzata la clonazione, cioè la produzione di
una copia identica di un essere vivente. Nel
1970 viene costruito dalla Intel-Usa il primo
microprocessore, il cervello dei computer.
Due anni dopo esordisce in ambito medico la
Tomografia assiale computerizzata (TAC),
associazione di raggi X e computer. Nel 1974
si compiono studi particolari sui gas-serra e
sullo strato di ozono in relazione ai problemi
ambientali emergenti. Nel 1975 vengono
commercializzati i primi computer negli Stati
Uniti. Nel 1978 viene alla luce la prima
bambina nata con il metodo della
fecondazione in provetta. Nel 1982 viene
individuata una grave malattia (AIDS) che
distrugge il sistema immunitario. In questi
anni si susseguono le imprese spaziali, di cui
si riferisce in un capitolo a parte. Nel 1984, in
seguito a studi eseguiti sul DNA, emergono
nuove prove sull’esistenza di un progenitore
comune tra Uomo e Scimmia; viene costruito
inoltre un nuovo telescopio nelle Hawaii di 10
m di diametro; si scopre un “buco dell’ozono”
sopra l’Antartide. Nel 1988 vengono avanzati
seri dubbi e preoccupazioni sul riscaldamento
terrestre in atto, messo in relazione con
l’inquinamento atmosferico e l’effetto-serra.
Nel 1989 viene datata a 3960 milioni anni la
pietra terrestre ritenuta più antica. Nel 1990 è
lanciato in orbita, al di sopra dell’atmosfera
terrestre, il telescopio Hubble, che consentirà
di migliorare enormemente l’osservazione
dell’Universo. Nel 1996 vengono trovate
tracce di organismi unicellulari in un
meteorite caduto nell’Antartide.
Gli avvenimenti di questi ultimi anni sono
noti a tutti noi, in quanto li abbiamo almeno
parzialmente
vissuti
personalmente
e
12
possiamo dire che si sono susseguiti con la
solita accelerazione, a conferma di quanto
avevamo osservato fin dalle note introduttive;
man mano che si va avanti tutto procede
infatti in maniera più rapida e convulsa,
essendo la vita dominata da un violento
crescendo di fatti e di cose nuove.
2.5. CONQUISTE SPAZIALI
Nell’ambito dell’astronomia, si ebbe un primo
periodo di dati raccolti a occhio nudo, durato
circa quattromila anni, al quale seguì l’era del
cannocchiale e del telescopio, che permise di
ampliare notevolmente le conoscenze e la cui
durata fu di circa quattrocento anni; si giunse
infine alla fase più recente, quella spaziale,
dallo Sputnik del 1957 in poi, che in meno di
cinquant’anni, mediante l’utilizzo di missili,
razzi-vettori, sonde e robot, portò l’Uomo al
contatto diretto o ravvicinato con la maggior
parte dei componenti del sistema solare.
Quattro anni dopo il lancio in orbita del primo
satellite artificiale, nel 1961 ci fu l’invio del
primo uomo nello spazio: il sovietico Jurij
Gagarin, che fu seguito un mese dopo
dall’americano John Glen. Da allora
l’impegno spaziale delle due maggiori
potenze mondiali (Usa e Urss) portò ad una
serie di successi che, dapprima riguardarono i
pianeti più vicini alla Terra, i cosiddetti
“Pianeti rocciosi interni” (in particolare
Mercurio, Marte e Venere, oltre alla Luna) e
successivamente i “Pianeti giganti gassosi
esterni” (Giove, Saturno, ecc.).
Nel 1964-65 le sonde Mariner 4 e 5
trasmisero le prime foto ravvicinate di Marte;
nel 1969 due astronauti americani posarono
per primi il piede sulla Luna e avviarono
un’avventura umana sul satellite che durò tre
anni; in seguito la presenza dell’Uomo nello
spazio è proseguita con oltre un centinaio di
astronauti, impegnati in prevalenza nella
gestione
della
stazione
spaziale
internazionale, tuttora attiva, orbitante a circa
400 chilometri di altezza.
Nel 1970 una sonda sovietica scese sul suolo
di Venere e l’anno successivo sonde di
fig.11. Razzo spaziale (anni 1950).
provenienza americana e sovietica scesero su
Marte.
Nel frattempo la Nasa (Usa) diede inizio
all’esplorazione dello spazio interplanetario,
al di fuori del sistema solare, lanciando alcune
sonde che attualmente, dopo anni di viaggio
nello spazio, stanno uscendo dall’influenza
solare. Tra queste la Pioneer 10, che sarà in
grado di raggiungere Aldebaran, una delle
stelle a noi più vicine, tra due milioni di anni,
mentre la Pioneer 11 avrà un viaggio ancora
più lungo, essendo previsto il suo arrivo nella
costellazione Aquila tra non meno di quattro
milioni di anni.Tutto questo fa riflettere sulle
enormi distanze che ci separano dal mondo
delle stelle.
E’ da ricordare che gli obiettivi di questi
impegnativi e costosi progetti spaziali sono
principalmente quelli di migliorare le
conoscenze sull’origine del nostro sistema
planetario e di ricercare forme di vita
eventualmente presenti su altri pianeti, sia
all’interno del sistema solare che al di fuori di
questo.
13
I risultati raggiunti consentono già ora di
affermare che la ricerca spaziale negli ultimi
cinquant’anni ha accumulato una mole di
informazioni e di conoscenze talmente vasta
da non potersi minimamente confrontare con
quanto era stato acquisito dall’Uomo nel
precedente passato.
Ritornando
alle
operazioni
spaziali,
ricordiamo i principali avvenimenti che si
sono succeduti a partire dagli anni Settanta:
esplorazione di Mercurio (1974); installazione
di due laboratori scientifici su Marte (1977);
avvìo della missione Nasa (1979) per
l’esplorazione dei pianeti più lontani (Giove,
Saturno, Urano e Nettuno); partecipazione
alle operazioni da parte di alcuni Paesi
europei, di Giappone e di Cina, in aggiunta a
Stati Uniti e Russia; invio di sonde alla
Cometa di Halley (1986); esplorazione di
Giove e suoi satelliti (1989-2003); invio su
Marte di un robot mobile da parte della Nasa
(1996); esplorazione ravvicinata su Saturno e
suoi anelli, da parte dell’organizzazione
spaziale internazionale, con invio di una
sonda sul suolo del satellite Titano (1997);
due nuovi robot inviati sul suolo di Marte per
la raccolta e l’analisi di campioni (2004);
studi sulla presenza di acqua e sulla
circolazione atmosferica di Marte (2005-06).
La Luna è ricca di crateri e di montagne, la
più alta delle quali, il Monte Hadley, supera i
4450 metri. La superficie di Mercurio è
cosparsa di crateri, che sono più fitti che sulla
Luna, mentre le montagne non superano i
2000 metri; è il pianeta più vicino al Sole e
per questo la temperatura supera i +420 °C di
giorno, mentre la notte scende a –170°. Su
Venere ci sono molti vulcani e le temperature
medie variano tra i +480 e i –33°. Su Marte la
forza di gravità è eccezionalmente bassa e ciò
provoca qualche difficoltà negli atterraggi
delle sonde terrestri; lo spessore della sua
atmosfera è piuttosto limitato e le temperature
misurate dai robot sono di circa –50°C; i venti
sono molto forti, ma certamente inferiori a
quelli di Saturno, che pare superino talora il
migliaio di km/h. Nello spazio tra Marte e
Giove si estende una fascia particolarmente
ricca di asteroidi e polveri, che costituisce un
pericolo, se non un ostacolo, per i veicoli
spaziali che la attraversano. Una nota
sull’atmosfera di qualche pianeta: quella di
Saturno è costituita da ammoniaca ghiacciata,
quella di Nettuno è formata invece da nubi di
metano. Infine qualche altra temperatura
media: Giove –150°, Saturno –180°, Urano,
Nettuno e Plutone, i più lontani dal Sole,
–220° circa.
2.6.CONSIDERAZIONI SUI PROGRESSI
DELL’UMANITA’
fig. 12. Uomo sulla Luna (missioni Apollo
1969-72).
E qui di seguito riportiamo alcune notizie e
particolarità che riguardano propriamente
alcuni protagonisti del nostro sistema solare.
Non possiamo comunque lamentarci,
beneficiamo di tante cose piacevoli rispetto ai
nostri antenati: la casa, il riscaldamento, l’aria
condizionata,
la
comunicazione,
l’informazione e l’intrattenimento della radio,
della televisione, del telefonino, lo sport,
l’arte, l’assistenza medica, l’asilo, la scuola,
l’amore, l’affetto; con il lavoro cominciano i
dolori: non riusciamo infatti a innamorarci
del nostro lavoro, come accadeva in tempi
passati, perdippiù oggi l’occupazione è meno
sicura di una volta e guai a perderla.
Facciamoci in ogni caso un pensiero di
rispetto e, se necessario, un bell’egoistico
sospiro di sollievo nel pensare che altri
stanno meno bene di noi, in particolare nei
Paesi dove regnano purtroppo fame, miseria e
14
malattie e le persone coinvolte non sono
poche. Noi, Uomo di oggi, con un volume
cerebrale accettabile, ci lamentiamo per il
terrorismo incombente, per la maleducazione
crescente, per la fede religiosa in declino, per
la crisi climatica globale, per gli scandali
finanziari, politici, sportivi, per i rumori e gli
inquinamenti,
per
l’immigrazione
incontrollata, per il traffico automobilistico
sempre più caotico; ma riflettiamo un istante
sul fatto che una buona parte dei disagi sono
causati
dall’esplosione
demografica
verificatasi in questi ultimi due secoli. Gli
abitanti della Terra, che erano circa un
miliardo nei primi anni del 1800 hanno
superato oggi i 7 miliardi (secondo le
previsioni, saranno raggiunti i dieci miliardi
entro il 2050); ciò ha comportato e continua a
provocare quotidianamente un rilevante
incremento dei consumi energetici, idrici e
alimentari, e quindi dell’inquinamento in
generale, come pure una preoccupante
riduzione degli spazi disponibili, da cui anche
la crescente scarsità di aree coltivabili da una
parte e il traffico sempre più caotico
dall’altra; il tutto contribuisce a peggiorare la
qualità dell’aria, oltre che gli equilibri sociali.
Possiamo concludere questa breve digressione
con la fiduciosa speranza che l’Umanità si
renda conto, prima di superare il limite del
non ritorno, della necessità di attuare con
fermezza
un
programma
di
difesa
dell’ambiente e di controllo delle nascite, per
poter garantire ai futuri terrestri un’esistenza
gradevole su un pianeta come il nostro, che ha
il grande vantaggio, a differenza di tanti altri
pianeti individuati nell’Universo, di possedere
condizioni
particolarmente
favorevoli
all’esistenza e alla conservazione della vita
umana.
2.7. L’UOMO
RELIGIOSE
E
LE
dell’Uomo. Le difficoltà del rapporto umano
tra nuclei di credenza religiosa diversa è oggi
tristemente
testimoniato
dal
dissidio
permanente tra ebrei e palestinesi, nonchè
dalla tensione tra il mondo musulmano e
quello occidentale. Il fenomeno religioso
rimane
comunque
una
componente
fondamentale della civiltà umana e per tale
merita un commento.
Sarebbe un grave errore di presunzione
pensare di condensare in poche righe o in
alcune pagine un tema delicato come quello
della credenza religiosa, ma qui ci limiteremo
a qualche accenno, evitando di toccare gli
aspetti puramente teologici.
L’Uomo ha sempre sentito intimamente, fin
dalle origini, la necessità di credere in un
Essere superiore, sovraumano, al quale
rivolgersi per ottenere aiuto, conforto e
protezione, con la speranza di poter anche
trovare una risposta ai misteri, passati e futuri,
della vita umana.
Cento mila anni fa, già allora l’Uomo (di
Neanderthal) si rivolgeva al cielo con ricche
cerimonie funebri, chiedendo protezione per
le anime dei propri morti e oggi gli animisti
del Madagascar ne stanno seguendo
l’esempio, con la loro usanza di riesumare e
ripulire periodicamente le spoglie mortali dei
loro avi .
CREDENZE
2.7.1. Premessa
Le incomprensioni e le violenze che si stanno
manifestando con crescente intensità in questi
ultimi tempi tra popoli di differente fede
religiosa dimostrano l’immensa importanza
che la religione ha sempre avuto nella vita
fig.13. Adad, dio dell’atmosfera per gli Assiri
(1800 a.C.).
15
fig.14. Simboli delle divinità fenicie a Byblos
(XIX° secolo a.C.).
Un’altra particolare credenza, che risale a
sette mila anni fa, era quella delle donne
Sumere che dedicavano la loro devozione
alla Divinità femminile Ishtar, per implorarne
l’assistenza in vista del parto.
La diffusione delle religioni risente delle
influenze popolari e varia da luogo a luogo e
con il passare del tempo. In passato hanno
dominato dapprima le religioni di ispirazione
animista e politeista, con tante Divinità da
adorare, particolarmente diffuse nell’epoca
greco-romana, seguite poi dalla cultura
monoteista, del Dio unico, che ha conquistato
tanti fedeli nel mondo, dapprima con il
giudaismo e poi con il cristianesimo e
l’islamismo. Nella regione asiatica la
prevalenza è delle credenze “moralfilosofiche” del Buddismo e dell’Induismo.
Da notare inoltre una strana particolarità: che
una prima espressione di fede monoteista si
era già manifestata in epoca molto antica in
un popolo africano molto arretrato e isolato,
quello dei Pigmei.
Le tre religioni di origine semitica
(giudaismo, cristianesimo e islamismo) hanno
una base comune: un unico e medesimo Dio
secondo l’eredità abramitica, come affermano
sia l’Antico Testamento che il Corano. Il
cristianesimo deriva dal giudaismo, mentre
l’islamismo è una riformulazione del modello
giudaico-cristiano.
Ciascuna delle tre religioni monoteiste
possiede un punto che non è accettabile da
parte delle altre due e questo perché il
giudaismo sostiene la propria elezione
esclusiva a “Popolo di Dio”, il cristianesimo
afferma che Gesù Cristo è “Figlio di Dio” e
l’islamismo sostiene che la dottrina del
Corano è “Parola di Dio”.
Attualmente l’islamismo rappresenta un credo
religioso in via di espansione, mentre il
giudaismo è stazionario o addirittura in fase di
contrazione; tra le religioni morte viene citato
il manicheismo, che in passato aveva trovato
seguito in Persia.
Seguono alcune brevi note sulle principali
religioni oggi praticate, desunte dalla
letteratura corrente e corredate di dati
numerici e percentuali, che sono riferiti al
periodo 1970-80, quando la popolazione
mondiale era inferiore di oltre due miliardi
rispetto all’attuale; da osservare inoltre che in
queste valutazioni è ben difficile quantificare
ciò che, a rigore, è un atteggiamento
personale, non inquadrabile in nessuna
struttura organizzata. Le cifre riportate sono
quindi
approssimative,
ma
risultano
ugualmente indicative del loro valore
ponderale anche in rapporto con le altre voci
considerate.
fig.15. Mito solare dell’antico Egitto.
2.7.2. Giudaismo o ebraismo
E’ la religione degli Ebrei, da prendere in
considerazione per prima, a mio parere, in
quanto rappresenta la base della fede
monoteistica, è ricca di storia e di
testimonianze scritte e costituisce la genitrice
della religione cristiana, la quale è
attualmente la più diffusa nel mondo ed è la
16
religione maggioritaria (più del 50% della
popolazione) in ben 138 Stati.
Il Giudaismo fa parte delle religioni semitiche
(da Sem, figlio di Noè, il Patriarca che si era
salvato dal Diluvio), rappresenta il seguito
delle credenze religiose delle antiche tribù di
Israele e ha inizio, storicamente, con l’esilio
temporaneo degli Ebrei in Babilonia nel 586
a.C.
Attualmente gli Ebrei sono 18 milioni, pari
allo 0,4% della popolazione mondiale. La
religione ebraica è diffusa in 112 paesi; il
44% degli Ebrei vive negli Stati Uniti, il 22%
nell’Asia meridionale e il 18% nei paesi
dell’area russa. In Europa vivono un milione e
mezzo di Ebrei, presenti soprattutto in Francia
e in Gran Bretagna.
2.7.3. Induismo
E’ la terza religione al mondo per
diffusione, dopo la cristiana e l’islamica. Più
che una religione è un insieme di norme di
vita, sia dal punto di vista individuale che
universale. Le prime elaborazioni filosofiche
dell’Induismo risalgono all’inizio del primo
millennio avanti Cristo. Nella storia delle
religioni dell’India l’Induismo costituisce la
terza e ultima fase di sviluppo, dopo il
Vedismo, attivo tra il 1500 e il 900 a.C., e il
Brahmanesimo.
L’Induismo è definito come religione
indoiranica, anche se il sistema religioso si è
sviluppato nel subcontinente indiano e
raccorda molteplici aspetti della vita e della
religione degli Indiani nel complesso sistema
delle caste.
In questa religione ciascuno ha il proprio
“dharma”, con i suoi doveri in campo sociale.
Sono sei i sistemi filosofici induisti classici, il
più antico dei quali è il Sanscrito. Il Dio
Visnù e il Dio Siva sono alla base dei due
indirizzi religiosi indù più diffusi tra le varie
sette.
L’induismo tollera le altre religioni, al
contrario di altre che le combattono per
sopraffarle. Appartengono complessivamente
all’induismo, che è diffuso soprattutto
nell’Asia meridionale, 610 milioni di fedeli,
che rappresentano il 13% della popolazione
mondiale.
2.7.4. Buddhismo
E’ la quarta religione al mondo; è un insieme di
religione e di filosofia che fa seguito al
Brahmanesimo e ha origine in India. Le dottrine
distintive sono la trasmigrazione delle anime ed il
ciclo delle esistenze. Siddharta raggiunse il
Nirvana (483 a.C.) e divenne il Buddha, che non è
un Dio, ma un espositore di idee, per cui Dio è
un’illusione, l’anima non è eterna, non esistono né
beatitudine, né dannazione, quindi nè paradiso, né
inferno.
Le norme basilari secondo Buddha sono: non
uccidere, non rubare, evitare la dissolutezza
sessuale, astenersi dalle bevande inebrianti.
Importante è l’adattamento alle norme in
vigore nella misura in cui esse non
contrastano con i principi dell’agire morale.
Le nostre limitate facoltà conoscitive non ci
permettono di comprendere l’Universo e
sarebbe insensato cercare di capirlo. L’ideale
etico buddhista è di non recare danno ai
viventi (uomo, animali, vegetali); sotto questo
profilo, l’etica buddhista è superiore anche a
quella cristiana. L’uomo è ritenuto comunque
una forma superiore di esistenza, anche
perché ricerca la salvezza, seguendo i
suggerimenti (non comandamenti) del
Buddha.
La maggiore diffusione del Buddhismo si ha
in Cina (dal 67 d.C.) e in Giappone, mentre in
India è stato quasi annientato tra l’XI° e il
XIII° secolo dai musulmani. In Giappone il
Buddhismo si è integrato con lo Shintoismo,
la religione animistica che in passato, fin dal
VI° secolo a.C., aveva prevalso tra i
giapponesi.
Attualmente la Comunità buddista nel mondo
è di 296 milioni di fedeli, pari al 6,5% della
popolazione mondiale.
2.7.5. Islamismo
Per diffusione è attualmente la seconda
religione nel mondo e comprende circa 800
milioni di fedeli, che corrispondono al 17%
della popolazione mondiale; il 65% dei
musulmani vive nell’Asia meridionale e
occidentale, il 26% in Africa.
Maometto, profeta arabo, nato nel 570 d.C.,
introdusse nell’ambiente politeista della
17
Mecca una voce nuova, il monoteismo,
citando Mosè, Gesù, Noè e Abramo. La
diffusione del pensiero di Maometto,
trasmessa attraverso il Corano, ebbe successo.
Il termine “muslim”, musulmano, significa
“dedito a Dio”.
I principali precetti dell’Islam sono:
professare e diffondere la fede, rivolgersi a
Dio con la preghiera cinque volte al giorno;
osservare il mese di digiuno, il pellegrinaggio
alla Mecca e la tassa in favore dei poveri, dal
2,5 al 10% dei guadagni. Sono ammesse 4
mogli e varie concubine.
Secondo il Corano, i Profeti sono semplici
messaggeri, attraverso i quali Dio comunica
con i fedeli; Gesù è un uomo, non è Figlio di
Dio.
Nell’Islam i Capi della Chiesa, gli Ulema per
i Sanniti e gli Ayatollah per gli Sciiti,
esercitano non solo la funzione di guida
religiosa del popolo, ma anche il potere
politico.
2.7.6. Cristianesimo
E’ la fede religiosa più diffusa nel mondo,
comprendendo all’incirca un miliardo e
mezzo di credenti, che rappresentano il 32%
della popolazione mondiale; il 27 % dei
cristiani vive in Europa e il 25% nell’America
latina.
La religione cristiana è nata per distacco dal
Giudaismo intorno al 70 d.C., per opera degli
Apostoli e dei Discepoli di Gesù Cristo a
Gerusalemme. La nascita di Gesù viene
riferita al periodo tra il 4 e il 7 a.C.
I seguaci del Cristianesimo sono oggi
organizzati in diverse Chiese e Comunità,
differenziate tra loro in base alla professione
di fede o “confessione”. Le più grandi fra le
Comunità organizzate sono le Chiese
Orientali, le Chiese Ortodosse, la Chiesa
Cattolica, la Chiesa Anglicana e quelle
Protestanti.
Le Chiese Orientali comprendono le
Comunità religiose nate nell’antico Impero
Romano d’Oriente tra il 374 e il 550
(Armena, Abissina, Copta e altre) e le Chiese
Ortodosse, sorte dalle deliberazioni teologiche
dei Concili tenuti tra il 325 e il 451 e legate al
rito bizantino e all’uso della lingua locale.
Nell’insieme
delle
Chiese
Orientali
aderiscono 130 milioni di fedeli, pari a circa
l’8% dei Cristiani. Gli Ortodossi sono così
distribuiti: 48% nei paesi dell’area russa, 37%
in Europa con prevalenza in Romania (17
milioni) e Grecia (13 milioni).
La Chiesa Cattolica (di Roma) è la Chiesa
concettualmente universale, istituita da Gesù
Cristo per tutti, in contrapposizione ai gruppi
scismatici ed eretici. In seguito alla Riforma
del XVI° secolo si è avuta la separazione tra
le Chiese che si ricollegano a quella di Roma
nel Cattolicesimo, riconoscendo il Papa quale
Capo universale, e quelle aderenti alla
Riforma, che hanno creato il movimento
Protestante o Evangelico.
La Chiesa Cattolica segue il rito romano con
la lingua latina, ora sostituita liberamente
dalla lingua parlata in loco.
In comunione con la Chiesa Cattolica ci sono
anche alcune Chiese orientali, dette “Uniate”
(non Unite) che seguono riti diversi dal latino
(Antiochia, Bizantino) e si distinguono per
alcuni aspetti della vita ecclesiastica, per
esempio il matrimonio permesso a preti e
diaconi. I fedeli delle Uniate sono stimati in
circa 9 milioni.
La Religione Cattolica è la maggioritaria tra
le Chiese Cristiane: conta attualmente 884
milioni di fedeli, corrispondenti al 57% dei
Cristiani; la maggior parte dei Cattolici vive
nell’America latina (41%) e in Europa (28%).
Il Paese con la maggiore presenza di Cattolici
è il Brasile con 110 milioni.
La Chiesa Anglicana, la Chiesa di Stato in
Inghilterra dal 1534, con a Capo il Re o la
Regina, ha un seguito di 68 milioni di
credenti, pari al 4% dei Cristiani, il 49% dei
quali vive in Europa e il 28% in Africa (32
milioni in Gran Bretagna, 7 milioni in
Nigeria).
Nella Chiesa Anglicana sono presenti tre
correnti: la Low Church, del cristianesimo
operoso, la High, rituale e conservatrice e la
Broad, liberale e storico-critica.
Le Chiese Protestanti o Evangeliche
comprendono le varie correnti di pensiero che
18
si rifanno alla Riforma del 1529; i credenti
sono oltre 292 milioni, corrispondenti al 18%
dei Cristiani nel mondo; il 32% dei Protestanti
vive in Nord America (89 milioni negli Stati
Uniti) e il 27% in Europa (29 milioni in
Germania).
Le Comunità e Congregazioni principali sono:
Luterani (43 milioni), Presbiteriani e
Riformati a costituire le cosiddette Chiese
Riunite (32 milioni); a queste si aggiungono
altre Congregazioni, quali: Battisti (35
milioni), Metodisti (26 milioni), Quaccheri
(500 mila), Avventisti, Testimoni di Geova,
Valdesi, Pentecostali, Indipendenti, ed altri.
Nota:
Secondo
G.J.Bellinger
(vedi
Bibliografia), per completare il quadro
statistico mondiale è necessario aggiungere ai
dati riguardanti le comunità religiose di cui
sopra i dati corrispondenti ai non religiosi e in
particolare: gli areligiosi e aconfessionali
(ovvero non religiosi e non confessionali), che
cioè non appartengono ad alcuna religione e
che, in maniera differente dagli atei, hanno
una concezione della Divinità indifferente a
qualsiasi tradizione religiosa esistente. Il loro
numero totale ammonta a più di 800 milioni,
pari al 17% della popolazione mondiale; il
70% di questi vivono in Asia e il 10% in area
russa. A questi sono da aggiungere inoltre gli
Atei dichiarati, che sono valutati in circa 200
milioni, e gli Agnostici (non valutabili).
3. PARTE SECONDA
Ciascuno di noi porta con sé i segni della vita
trascorsa, ricordi lieti o tristi, momenti felici o
drammatici, che di tanto in tanto si
ripresentano alla mente, riportandoci indietro
nel tempo.
Riordinando le scartoffie, ho ritrovato alcuni
fogli di appunti e di note da me scritti in
passato, che hanno destato la mia attenzione e
il desiderio di proporli, soprattutto perché
testimoni di tempi lontani e riferibili in
particolare ad ambienti, abitudini e
comportamenti umani spesso molto diversi
dagli attuali. I contenuti di queste note sono
normali racconti di vita vissuta, che ritengo
possano comunque interessare per la loro
immediatezza e semplicità. Sono infatti
immagini di un mondo passato, con i suoi
difetti, ma spesso rispettoso di tanti sani
principi che ora sono in parte superati,
scomparsi o dimenticati.
Possono risultare forse irriverenti o talora
infantili i toni di qualche racconto, ma essi
sono almeno in parte giustificati dalla realtà
delle singole situazioni rappresentate.
Queste testimonianze di età giovanile sono
seguite da alcuni altri racconti di vita più
recente, che ci portano fino ad oggi, attraverso
qualche episodio vissuto con incisività e piena
partecipazione.
3.1. VITA IN COLLEGIO
Quasi quattro anni di Collegio, dalla quinta
elementare alla terza Ginnasio (non c’era
ancora la scuola Media), dai miei undici
anni ai quattordici, in periodo di guerra, tra
la fine del 1939 e il 1942. Mio padre,
capitano degli Alpini, richiamato alle armi
sul fronte occidentale; mia madre, insegnante
alle
elementari
di
Buja,
perdippiù
severamente impegnata, con l’aiuto tecnico di
19
tre bravissimi giovani aiutanti, a seguire
l’attività di due Studi fotografici, a Buja e San
Daniele del Friuli; mia sorella, di tre anni più
giovane di me, frequentava invece le
elementari in paese.
E per me era stata scelta, anche per esigenze
logistiche, la soluzione del…Collegio!
Non saprei come definire la vita di collegio:
una vita di convento, di seminario, di prigione
o altro di simile. Insomma una vita dura, non
facile da sopportare per lungo tempo. A parte
le brevi parentesi di ricreazione, il silenzio e
la disciplina ferrea dominano severamente
l’atmosfera collegiale dei Salesiani qui al Don
Bosco di Pordenone.
Quando ci si trova nella sala-studio, una sala
immensa in cui ti senti un pulcino, viene
imposto il silenzio assoluto e non puoi
chiedere nemmeno un consiglio ad un
compagno. Vieni addirittura richiamato se
rivolgi lo sguardo alla finestra e, nel caso tu
venga sorpreso dall’Assistente, ti trovi
castigato a copiare una serie di verbi latini.
Sei in cortile e non puoi dare un calcio ad una
palla, altrimenti vieni inviato “alla colonna”
(fermo in piedi vicino al colonnato
dell’edificio). Sei in camerata e non puoi dire
una parola se vuoi evitare di essere punito “ai
piedi del letto”. Tutte le mattine devi rifarti il
letto, pulirti le scarpe e tacere, sempre
oppresso da un silenzio di tomba. Dalle 20,30,
quando si entra in chiesa per le preghiere fino
alle 8,30 del mattino non è ammesso di aprir
bocca e comunicare; dodici ore senza poter
parlare è veramente inammissibile per un
bambino o ragazzo che sia, eppure i preti lo
esigono e non esitano ad assegnare le
punizioni.
Il collegio è per me una continua sofferenza;
lo considero come una vera prigione dove, per
giunta, si è costretti a studiare e pregare,
pregare e studiare. Non per niente vicino
all’entrata qualcuno ha imbrattato il muro con
una scritta, ormai scolorita, che dice: “qui si
entra nel carcere duro, qui si entra nella quasi
eterna pena.”
Quando il mercoledì pomeriggio usciamo per
la passeggiata settimanale ci sembra di
sognare nel rivedere il vero mondo che vive
all’esterno: le strade, le case, la gente, e ci
auguriamo che il tempo rallenti la sua corsa.
Ci viene imposto di camminare allineati tre
per tre come soldati, andando al passo in
silenzio, ma siamo ugualmente felici e gioiosi
alla vista degli esseri liberi e indipendenti e ci
godiamo così la bella parentesi di mezza
settimana.
Dopo qualche chilometro di marcia in
direzione di Aviano, arriviamo nei prati della
Comina,
dove
finalmente
possiamo
scatenarci, sempre sotto controllo, giocando al
pallone.
Triste e dolente è poi il rientro tra le pesanti
mura del collegio. I preti riprendono le vesti
di carcerieri e così ricomincia la vita severa di
tutti i giorni.
Osservando i miei compagni, noto un po’ di
malinconia e di tristezza nei loro volti, che le
brevi ricreazioni concesse non riescono a
cancellare. Ovviamente non è consentito
fumare, nemmeno ai “vecchi” del liceo, e non
è consentito uscire dal collegio, nemmeno con
i genitori in visita, a meno che non si riesca ad
ottenere un permesso straordinario dal
Direttore. Pare che i preti del collegio, anche
loro segregati come noi, trovino particolare
soddisfazione quando hanno la possibilità di
castigarci; forse è questo il modo più
spontaneo per sfogare i loro problemi psicofisici causati dalla clausura voluta dal
regolamento interno.
3.2. IL DIRETTORE DEL COLLEGIO
Questo racconto testimonia l’infimo livello
culturale e pedagogico di un singolare
personaggio, per di più religioso, incaricato
di provvedere all’educazione dei giovani.
Fortunatamente è un caso più unico che raro,
una vera eccezione tra i vari Superiori del
Collegio, che sono di ben più elevato livello
culturale e pedagogico.
Sono le 19,30, siamo più di 150 studenti in
refettorio, per la a cena ed è già stato dato il
permesso di parlare. Entra il nuovo Direttore,
un sacerdote di origini venete, passa tra i
tavoli guardandoci come delle bestie rare; si
ferma davanti al mio vicino di posto, un tipo
20
“rompi”, che approfitta per chiedergli com’è
che al suo bicchiere è rimasta incollata
un’etichetta. Il Direttore prende in mano il
bicchiere e con il suo aulico italiano:”quelli
che sono nuovi hanno questa insegna” e,
grattando l’etichetta con l’unghia, aggiunge
“guardate di non romperli perché non se ne
trova!” Prosegue tra gli altri tavoli dei
commensali e ad un certo punto vede dinnanzi
a sé i resti di un piatto rotto; chiama un
cameriere e ad alta voce: “prendi scopa e
scopaccera e togli di mezzo quei cocci…e
quello che è stato a romperlo si presenti entro
ventiquatt’ore al sottoscritto”.
Sale alla cattedra del refettorio e fischia il
silenzio. Tutti tacciono a loro modo e lui,
arrabbiato, impreca a voce alta: ”non fate la
suburra, cani rognosi; nitrite come asini!”
Allora si fa quasi silenzio e lui: ”devo dare
alcuni avisi (sic), primo da dimani leggerò
ogni sera il bollettino dei numeri che
mancano qualcosa in refettorio”. A questo
punto uno di noi brontolò più forte di altri e il
Direttore, più incavolato che mai: ”se lo
pesco, lo prendo, lo metto sulla porta della
portineria e gli do un calcio che va a casa su
due piedi; secondo aviso, al suono della
campana ci si mette in filla (sic) in silenzio ed
in studio, se ci fosse pure un gatto che coi
dimeni della coda facesse dei segni, dovete
obbedire; chi ha orecchie da intender,
intenda, a buon intenditor poche parole. Ed
ora leggo i rapporti serali; primo rapporto:
Montina e Mulligh mangiano in studio; venite
fuori, stasera senza cinema, buoi! Toson
laggiù, l’hai finita di confabulare? Cavalo!
Secondo rapporto: Ermani e Toneli
disturbano continuamente in studio; venite
fora anche voi, pelandroni, tu Toneli grande e
grosso come un camelo, con quel cervello da
galinela. Ermani, non fare il bulo sai, guarda
che hai le fedine sporche, arrivederci a
Filippi, sai. Terzo rapporto: Di Centa e
Taiariol non sono stati a scuola e sono
presenti in studio; venite, venite, perché non
siete stati a scuola? avevate il mal della
nona? Avrete l’inclusione dal collegio per un
mese intero, cioè resterete un mese senza
uscite”.
In quel momento un grosso seme di oliva,
forse lanciato di proposito,
cade sul
pavimento e scorre verso il Direttore che, con
voce irritata: ”Quello che è stato è scemo,
settanta volte sette, quante volte ho detto che
non buttiate (sic) le ossa delle olive per terra?
Un altro avviso vecchio è quello che ho detto
che non andiate a vedere se c’è pacchi in
portineria”.
Usciamo finalmente dal refettorio e, passata
la breve ricreazione, suona la campana che ci
chiama in chiesa. Allora il Direttore urla: “i
Prefetti diano attenti le squadre” In chiesa,
durante le preghiere interviene ancora “non
state correre con le preghiere, non vi corre
mica dietro qualcuno?”. Terminato di
pregare, il Direttore viene a dirci due parole in
pubblico: “dimani comincia lunedì, primo
giorno della settimana; ragazzi, guardate di
studiare che siamo alle soglie dell’anno
(siamo in aprile e manca poco più di un mese
alla chiusura delle scuole); ho osservato che
troppi in ricreazione mettono le mani in
tasca; non state con le mani in sacoccia,
ragazzi, sembrate tutti delle anfore etrusche;
altro aviso è quello della divisa fascista;
siccome il sabato fascista cade sempre di
sabato, dovrete essere a posto con tutto il
sabato prima della prima domenica di
maggio; e vi ricordo anche quanto già detto:
non cavalcate i muri e non gettate le
margarite ai porci”.
fig.16. Sabato fascista in Collegio (1941).
3.3. ALTERNATIVE ALLO STUDIO
Sono di nuovo in Collegio, non più ospite dei
Salesiani
di
Pordenone,
ma
degli
Arcivescovili del “Bertoni” di Udine; un po’
meglio, perchè più vicino a casa mia (Buja) e
21
perché l’atmosfera generale è indubbiamente
meno pesante di quella del “Don Bosco”. Gli
insegnanti sono religiosi, mentre gli assistenti
sono laici, in abiti civili. Siamo nel 1941-42, è
il periodo delle lunghe e penose adunate
fasciste del sabato.
Sera d’inverno in una grande sala del Collegio
Bertoni di Udine, dedicata allo studio; fuori si
è fatto già buio ed una pioggia fitta e
insistente sta cadendo dal cielo. Insomma una
serata piuttosto triste, priva di prospettive
interessanti. Alcuni dei miei compagni
cercano di vincere la malinconia leggendo di
contrabbando giornali umoristici o l’album
dell’Uomo mascherato; altri fanno finta di
studiare, con i pensieri che volano lontano.
Alcuni sono avvolti in cappotti e sciarpe,
simulando di soffrire il freddo, ma in realtà
per trovare quel calduccio che favorisce un
possibile sonnellino ristoratore. Il Prefetto (si
chiama così l’assistente) invece, seduto alla
cattedra, è completamente assorto nella lettura
di un romanzo giallo.
Manca più di un’ora alla cena e, mosso da un
certo appetito, decido di fare uno spuntino.
Sollevo la ribalta del mio banco e mi dedico
ad una delicata operazione: rompere un uovo,
inviato fresco da mia mamma, e separarne il
tuorlo, per ottenere uno sfizioso dolcetto
corroborante. Verso il bianco, l’albume, in un
vasetto e il tuorlo in una scatola di bachelite,
un ex-contenitore di colla, aggiungendo un
po’ di zucchero e con una matita incomincio
l’operazione di sbattitura, infischiandomi del
Prefetto che, ritornato col pensiero in studio,
mi chiede di abbassare la ribalta. Obbedisco
agli ordini superiori, anche perché il dolcino è
ormai pronto da gustare; mi appresto ad
assaggiare il contenuto della vecchia scatola
di colla, quando improvvisamente mi sento
chiamare ad alta voce da un tipo indesiderato:
il Direttore, che in un baleno si avvicina al
mio banco e mi toglie imperiosamente di
mano la scatola con il prezioso contenuto,
ormai pronto all’uso.
Guarda dapprima la scatola, poi il contenuto e
quindi mi lancia uno sguardo di sdegno e di
sfida e, rivolgendosi ai miei compagni, cerca
di svergognarmi, parlando ironicamente su di
me e sulla mia opera. Loro però, bravi
ragazzi, continuano a far finta di studiare,
lasciando il Direttore con tanto di naso.
Il suo disappunto si riversa interamente su di
me e mi minaccia di licenziamento dal
Collegio; la sua collera nei miei riguardi
aumenta ulteriormente quando si accorge che
il libro da me posto distrattamente sul banco
era in posizione rovesciata. Sale in me il
dispiacere di dover lasciare l’uovo nelle mani
di quell’individuo che non me l’avrebbe più
reso. E intanto lui, il Direttore, in tono
decrescente, si sta sfogando pubblicamente
contro quell’addormentato di Prefetto che non
sa ottenere l’ordine. E quando finalmente ha
deciso di chiudere l’orazione si rivolge a me
con la ormai ben nota frase:“stasera alle sette
in Direzione”.
3.4. IL PROFESSORE DI LETTERE
Una magnifica figura, sensibile e romantica,
gli volevamo bene e lo apprezzavamo, come
da buoni studenti si desidera fare nei
riguardi di chi ti sta vicino e ti aiuta.
Lo chiamavamo “Don Ghigna” il nostro
professore di lettere al Bertoni di Udine, a
causa delle rughe e dei bernoccoli vari che
tappezzavano il volto di questo prete; si
trattava di una persona estremamente dolce e
pacata, troppo buona per non essere presa in
giro da noi studenti. Don Ghigna voleva
dimostrarsi duro e severo, ma gli era difficile
sostenere quella posizione e coglieva ogni
occasione per rendere piacevole il rapporto tra
lui e noi; spesso reagiva con il sorriso alle più
banali stupidaggini che uscivano dalle nostre
bocche e talora esagerava nel ridere,
arrossendo
in
maniera
preoccupante,
probabilmente per timidezza. E noi, vili
frequentatori dei banchi di scuola, ci
divertivamo a ridere a nostra volta a
crepapelle, non per la scempiaggine che aveva
provocato il tutto, ma per l’esilarante
atteggiamento del professore; e così, sotto
sotto, lo prendevamo in giro.
Ma la sua pazienza aveva un limite e quando
questo limite veniva superato ne subivamo le
giuste conseguenze. Anch’io le ho subite più
volte: “Barnaba, vai fuorri, vai ad ammirare
22
il cielo che oggi è plumbeo” oppure, sempre
con il suo fondo sentimental-romantico, in
altra occasione e stagione “…fuorri! i tuoi
occhi saranno allietati dal bianco manto della
neve”. Don Ghigna dimostrava quindi una
natura delicata e poetica anche nell’imporre le
punizioni. Non era di manica larga, come si
dice, e lui stesso affermava che mai avrebbe
dato un otto nelle sue materie; gli piaceva
piuttosto “bidonare” chiunque, a suo giudizio,
ne fosse meritevole.
Aveva una voce sgraziata: acuta e priva di
ritmo, mentre la sua veste era cosparsa di
rappezzi, di macchie e di rammendi. Un
individuo veramente strano, che non incuteva
rispetto,
ma
piuttosto
affettuosa
comprensione. In fondo era buono e affabile
e, da studenti, non ci si poteva lamentare di
averlo come tutore.
3.5. LA CHIRURGIA FATTA IN CASA
Un affettuoso medico di famiglia e la carenza
di anestetici mi hanno fatto conoscere più da
vicino quanto è naturale il male fisico e
quanto è dolorosa la sua cura.
Eravamo nel 1944, avevo sedici anni. Era
inverno, ma non mi trovavo in collegio perché
recluso in casa, a letto, con una mano gonfia e
dolorante: un potente flemmone da una
settimana non mi lasciava dormire la notte, nè
riposare di giorno. Il medico, il dottor Vidòn,
amico di famiglia e vicino di casa, mi aveva
ordinato le pappe di lino e aveva detto in
segreto a mia madre che prima o poi si
sarebbe dovuto intervenire, cioè tagliare.
Io l’avevo capito e ogni due giorni, quando il
medico arrivava per controllarmi, il mio cuore
batteva più forte e il dolore si attenuava.
Ritornò una prima volta e disse che non era
ancora “maturo”; ritornò ancora e disse che la
situazione non era mutata.
I giorni passavano e la mia mano mi faceva
sempre più penare e la febbre aumentava,
tanto che il mio pensiero mi portava a temere
un’amputazione. A momenti avrei quasi
preferito l’amputazione, pur di finirla con
questo dolore così acuto e continuo.
Il mio cane Rubì sembrava comprendesse la
delicata situazione e se ne stava quieto e
pensoso sotto il mio letto; ogni tanto veniva a
salutarmi rizzandosi su due zampe. Arrivò
un’altra notte e non riuscii letteralmente a
chiudere occhio; sentivo la mano infuocata
che sbatteva in maniera violenta. Si stava
forse avvicinando l’ora del bisturi. E’ un
oggetto orripilante il bisturi, ma al pensiero
che avrebbe potuto alleviarmi il dolore, mi
portò a considerarlo con spirito quasi
benevolo. Alle tre del pomeriggio un trillo del
campanello: era il dottore. Mi si avvicinò,
capì quanto sentivo ed ebbe un gesto di
comprensione; io reagii con fierezza e con un
sorriso forzato. Era venuto il momento di
tagliare.
Il dottore tolse dalla sua borsa alcuni
coltellini, pinzette ed una macchinetta ad
alcool per disinfettare l’occorrente per
l’intervento chirurgico. Il mio cane capì che
stava accadendo qualcosa di strano e cercò di
salire sul tavolo per controllare quanto stava
accadendo, ma venne decisamente ricacciato
dal medico sotto il letto; nel frattempo mio
padre e mia madre avevano preferito
allontanarsi per non appesantire l’atmosfera.
Ero rimasto solo col mio coraggio a vincere il
dolore che un bisturi procura nell’incidere la
carne viva, in completa assenza di
preparazione anestetica, perché questa era
l’usanza secondo il dottor Vidòn. Quando
tutto fu pronto, stesi la mano inferma verso il
medico, girai la testa dall’altra parte e attesi e
attesi ancora. Sentii il rumore dei ferri e dopo
un po’ il dolore penetrante del bisturi, che mi
fece serrare i denti forte forte; alla prima
incisione del bisturi ne seguì una seconda, poi
una terza, sempre più profonda ed estesa in
lunghezza, una quarta, una quinta; finalmente
dopo la sesta incisione il bisturi fu messo a
riposo, mentre io ero giunto al limite della
sopportazione fisica; non ne potevo più per il
dolore, che si era rinnovato ogni volta con i
ripetuti passaggi di quel poco simpatico
attrezzo; penso che forse avrei sofferto meno
se avessi emesso qualche timido lamento o
meglio ancora qualche grido, ma in tal caso
avrei compromesso la mia dignità. Il medico
passò quindi alla medicazione e il dolore andò
man mano diminuendo; un’ora dopo ero
23
felice, senza più febbre, con la mia profonda
ferita di oltre tre centimetri di lunghezza; mi
bruciava un po’, ma era un dolore sano,
destinato a scomparire. Il cagnolino era uscito
da sotto il letto e scodinzolava, lieto della mia
ritrovata normalità.
Una ovvia riflessione: ho il dubbio che nel
1944 non fossero molto diffusi gli anestetici;
oppure era piuttosto il mio dottore che non ne
conosceva e perdippiù non si era preoccupato,
nel mio caso, di suturare la ferita con qualche
punto; ma forse non gradiva l’impegno di
dover poi togliere i punti. Per fortuna è andato
tutto bene, anche se la cicatrice denuncia una
mano chirurgica che mai potrà essere
dichiarata altamente professionale.
drammatiche con il passare del tempo:
rastrellamenti organizzati dai tedeschi alla
caccia di uomini in età di lavoro, di oppositori
al nazi-fascismo, di partigiani, con
conseguenti deportazioni che toccarono anche
nostri amici e conoscenti; uccisioni quasi
quotidiane di militari tedeschi e loro
collaboratori ad opera di partigiani, con
successive rappresaglie da parte tedesca;
bombardamenti e mitragliamenti da parte di
aerei alleati su obiettivi strategici, quali in
particolare stazioni e ponti ferroviari, centrali
elettriche, depositi di munizioni; azioni di
guerriglia un po’ ovunque su ambedue i
fronti, con morti, feriti, prigionieri, deportati,
condannati, fucilati, tutto questo senza
soluzioni di continuità.
3.6. TEMPI DI GUERRA
Esperienze che tutti a quei tempi abbiamo
vissuto, godendoci da un lato l’avventura e
soffrendo i disagi e talora qualche perdita
importante, di quelle cui non ci sono rimedi.
Ma nel complesso uno strascico di ricordi
pieni di fascino che, specie se maturati da
giovani, creano una scia di entusiasmo e una
positiva voglia di agire. E’ quello che è
successo a noi dopo la fine della guerra.
Il periodo che va dal maggio 1944 al maggio
1945 risentì pesantemente della situazione
bellica della nostra Italia, suddivisa tra il Sud,
ormai liberato dagli Alleati, ed il Nord ancora
in mano ai tedeschi e ai loro amici della
Repubblica Sociale Italiana. Nel Nord-Est e in
particolare nel nostro Friuli, ai tedeschi e ai
repubblicani si erano aggregati anche alcuni
gruppi di cosacchi sfuggiti, con famiglie al
seguito, alle persecuzioni dei sovietici e
accolti dai tedeschi con la promessa di dar
loro una nuova patria, che sarebbe stato il
Friuli. Ma il Friuli era anche per noi friulani
la nostra cosiddetta “Piccola Patria”,
attraverso la quale stavano allora scorazzando
avanti e indietro un po’ tutti, essendo la via
più facile al transito di truppe e di mezzi tra il
sud e il nord delle Alpi.
Il diario di quei giorni testimonia una serie
infinita di fatti e di notizie sempre più
fig.17. Rastrellamento di “irregolari” da
parte dei tedeschi a Buja (1944).
E’ certo che non avevamo motivo di annoiarci
in quel periodo perché ora per ora c’era
immancabilmente qualcosa di nuovo a tenerci
desti. Personalmente ho qualche particolare
situazione da ricordare, tra le tante vissute in
una atmosfera imperniata di apprensioni, ma
anche e direi soprattutto, di entusiasmo e di
fiduciosa attesa.
All’inizio del 1945 aveva preso forza in me il
desiderio di fare qualcosa di serio per la causa
partigiana, insoddisfatto di dover limitare il
mio contributo ad attività secondarie di
collegamento e di comunicazione tra i
compagni di Pianura e quelli di Montagna,
attività che cercavo di svolgere con l’aiuto
della attrezzatura tipografica disponibile in
casa; avevo deciso di lasciare la casa paterna
per raggiungere i partigiani della Brigata
Osoppo oltre Tagliamento, nella zona
24
montana di Pielungo, come mi era stato
offerto e proposto dagli amici, con i quali ero
sempre stato in stretto e permanente contatto
qui in Pianura. Stavo predisponendo il mio
vestiario, pensando anche alla necessità di
attrezzarmi adeguatamente per il guado del
Tagliamento e in particolare stavo ritagliando
un paio di calzoni che mi sembravano troppo
lunghi, quando venni sorpreso da mia mamma
Claudia, che aveva probabilmente intuito
quanto stavo tramando; in seguito al suo
tenero sermone, mi convinsi almeno
parzialmente che, data la mia età (non ancora
diciassettenne) avrei potuto continuare ad
essere ugualmente utile alla causa partigiana
operando in Pianura; e così accettai a
malincuore di considerare sfumato il mio
progetto di fuga.
Un’altra
esperienza
particolare,
da
cardiopalma, fu quella del 6 aprile 1945,
quando Buja, dove abitavamo, fu assediata
dalle truppe tedesche e dai loro amici di
ventura (militari repubblicani e cosacchi),
incaricati di effettuare un accurato
rastrellamento dei maschi tra i 16 e i 65 anni
da inviare nei campi di lavoro in Italia o in
Germania. Per mio padre, Renato, e per me
era già stato predisposto un nascondiglio nel
sottotetto di casa per cui, quando alle 8,30 del
mattino si presentò una minacciosa squadra,
composta da quattro tedeschi e due
repubblicani, a cercarci, noi ci eravamo già
sistemati nel programmato rifugio, con la
speranza di non essere scoperti. Il momento
più delicato e di massima apprensione fu
quando i sei individui, accompagnati da mia
madre, arrivarono a pochi decimetri da noi
senza accorgersi della nostra presenza; tutto
ciò mentre mio padre stava trattenendo con
tutto l’impegno possibile un colpo di tosse
che avrebbe potuto tradirci; poi per fortuna
quelli se ne andarono e un sospiro di sollievo
fu tutto nostro, ma anche di mia madre
quando li vide uscire definitivamente da casa.
3.7. LA LIBERAZIONE
Finalmente, dopo anni di incertezze e di
timori, si riapre la speranza nell’avvenire. Si
ritrovano amicizie temporaneamente perse, si
rimpiangono altre non più recuperabili.
Soprattutto prevale la spensieratezza, in
attesa di mettersi all’opera e fare qualcosa di
nuovo e di diverso dal recente passato.
La radio trasmetteva notizie incredibili; tutti
erano in apprensione e attendevano il
momento, quel tanto atteso momento di agire.
Ognuno covava i suoi propositi, ma tutti
pensavano a collaborare, secondo possibilità,
alla liberazione di questa nostra disgraziata
Patria, da due anni preda dell’invasore exalleato tedesco. Ciascuno attendeva quella
scintilla che avrebbe provocato la cacciata dei
germanici, ormai in via di disfatta su tutti i
fronti, ma non per questo ancora domi, forti
del loro orgoglio e del loro sprezzo del
pericolo. Anche il nostro Paese era in attesa,
mentre i partigiani distribuivano munizioni e
armi a tutti i collaboratori.
Soltanto io non potevo fare nulla! Infermo a
letto, sentivo parlare di movimenti di
partigiani, di avanzata degli alleati, della
liberazione di città prossime a noi e solo con
la mia fantasia immaginavo di trovarmi qui o
là, italiano tra gli italiani, in attesa di entrare
in azione.
Proprio in quei giorni una noiosa pleurite mi
obbligava senza via di scampo a letto per
almeno una ventina di giorni. Speravo che gli
avvenimenti non precipitassero, che mi si
attendesse ancora per qualche tempo. Si era di
sabato 28 aprile, al mattino verso le 9, quando
i partigiani attaccarono il Comando tedesco di
Buja. La nostra casa si trovava a circa un
centinaio di metri dal Comando e le scariche
dei mitra e lo scoppio delle bombe a mano ci
giungevano distintamente. Fremevo nell’udire
quei colpi.
Perché il destino mi privava di essere là, di
poter collaborare in qualche modo alla
liberazione del Paese.
Il Comando della Wermacht fu espugnato, i
tedeschi si arresero e decine di automezzi
furono catturati. Le truppe alleate avanzanti
non erano giunte ancora a Venezia e il nostro
Paese aveva saputo liberarsi per virtù della
propria gente. Io ero veramente dispiaciuto di
non aver potuto partecipare attivamente alla
sua liberazione e mi ritenevo per nulla
meritevole della benevolenza paterna.
25
3.8. LEZIONE DI MATEMATICA
L’impegno scolastico continua, sono al Liceo
Scientifico “Marinelli” di Udine nel 1947 e
siamo in attesa di una lezione di Matematica,
impartita da un “supplente”, un singolare
individuo di provenienza meridionale, che
certamente non eccelleva nel consesso degli
insegnanti del Liceo per serietà e
preparazione culturale.
fig.18. Prigionieri tedeschi scortati dai
Partigiani (28 aprile 1945).
Continuava a giungermi l’eco delle azioni
partigiane nei dintorni. Ebbi poi notizie
sull’arrivo delle truppe alleate, delle feste,
dell’allegria che regnava ovunque. Ma non
appena guarito cercai di rifarmi, accettando
immediatamente di aggregarmi al gruppo
partigiano armato della Brigata Osoppo,
destinato a presidiare la zona di CormonsGorizia e quel confine orientale che al
momento era seriamente minacciato dalle
pretese degli jugoslavi, desiderosi e
intenzionati seriamente a trasferire il confine
al Tagliamento.
fig.19. Si festeggia la fine della guerra
(29 aprile 1945).
Fu questo un periodo comunque piacevole,
allietato dal clima spensierato di fine guerra,
vissuto intensamente tra giovani fiduciosi nel
futuro;
una
parentesi
particolarmente
apprezzata dopo mesi ed anni di drammatiche
tensioni.
Entra il Professore e dice con aria accusatoria:
“Buongiorno! Qui dentro hanno fumato
almeno dieci persone. Mica che me frega a
me, sapete, ma se capita il Preside… e che
razza di professore è lei? Oggi abbiamo
matematica, vero? Bene…chi desidera
gonferire?
Nessuno.
Allora
sentiamo
Barnaba…non
vuole
essere
ancora
interrogato;
Clocchiatti
idem;
China
assende… Messer Colombo! Ho levato un
dente ieri, professore! Povero ninino, me lo
dirai tu quando sei comodo, hai due punti
interrogativi, sai? Signor Fiorito, niente, non
vuol venire; anche tu un punto interrogativo”.
Si alza Riello: “Professore quando incomincia
l’ultimo argomento del programma, perché il
prof. P. della sezione parallela l’ha già
terminato”.
“E ghe me ne frega, tra il fare e l’imparare ci
sta di mezzo il mare. Sentiamo Mussi!
Finalmente uno che viene fuori”. “Professore,
l’iperbole non l’ho fatta, le dispense sono
uscite ieri.” “Non è vero, le mie dispense sono
uscite lunedì e non ieri, siamo precisi in
matematica!”
“Beh dimmi, se due rette sono parallele, qual
è il loro parametro angolare?” “E’ uno.”
“Uhm, Mussi questo è troppo grave! Qual’è
la condizione di perpendicolarità di due
rette?”
“Condizione
necessaria
e
sufficiente”…mormorìo. “Silenzio, borgo
gane! Siamo mica all’asilo? Gontinua.
“Perché due rette parallele”… “Un gorne!
Manco per sogno”. “Non lo so, professore!”
“Male, malissimo! Ma la volete capire che vi
mando all’esame con un quattro? Se poi
26
questo diventerà sette all’esame io ne sarò
immensamente gioioso. Il ragionamento che
vi ho fatto non potevate farlo nelle vostre
teste così ottuse? Il grafico ve lo farò vedere
un’altra volta; ora non ho voglia di alzarmi e
andare alla lavagna.”
Suona la campana. “Gh’è finita la seconda
ora, no?” “No, professore, la prima.” “Bene
andiamo avanti.”
“Professore, chi ci farà l’esame quest’anno?”
“Sapete, il regolamento scolastico vieterebbe
di fare gli esami sia all’altro Professore che a
me, quindi giocate voi alla Sisal: uno, due o
ics, cioè uno, due o niente; puntate sulla ics,
sarà meglio. Guardate, ieri con il collega P
ho fatto una discussione… lui ha sempre
ragione; l’ho invitato ad esporre il suo punto
di vista sugli integrali e dopo mezz’ora di
spiegazione, dico la verità, non ci ho capito
niente.
Lasciamo andare. Spiego analitica (scrive
una formula). Avverto lor signori che questa
formula sarà indispensabile per la risoluzione
dei problemi…e mentre sto qui a spiegare
loro se ne fregano, ma rimarrete voi dei
ciuccioni! …Per la soluzione tutto si divide
per tre, eccetto quel disgraziato di
venticinque…e pensate alle nottate che ho
perso per tirar fuori le soluzioni! Si vede che
abbiamo fatto un piccolo errore, ma non
importa.” “ Ma, professore, non deve essere
uguale all’infinito?” “Grosso modo può
essere e può non essere uguale all’infinito!”
3.9. ULTIMO GIORNO DI LICEO
Ancora al Liceo Scientifico “Marinelli” di
Udine, dove regnava la maleducazione degli
studenti ormai prossimi a cercarsi un lavoro
o all’ iscrizione all’Università.
Era un buon professore, forse troppo
indulgente per una quinta liceo, classe di
giovani di diciannove-vent’anni, spensierati,
desiderosi di vita e di libertà. Insegnava
italiano e latino, ma anche di queste materie
non ne sapeva tanto. Gli piaceva parlare,
spiegare la letteratura italiana, ma le sue
lezioni non ci piacevano, tanto più che
mancava lo spauracchio dell’interrogazione;
infatti non ci interrogava se non prima di
averci ripetutamente preavvisati in tempo.
Noi gli volevamo bene, ma ugualmente lo
facevamo irritare con la nostra sfacciata
maleducazione. Mentre parlava mangiavamo
qualche stuzzichino, talora giocavamo a carte,
ci si tirava semi di frutta, secondo stagione, si
chiaccherava; in maggio si facevano volare in
classe i maggiolini e via dicendo. Veramente
per nulla educati nei riguardi di un professore.
Di solito, quando arrivava in classe, alcuni di
noi uscivano in corridoio a fumare. Dopo
cinque minuti, quando il Prof si accorgeva
che in classe erano rimasti pochi, batteva
qualche pugno sulla cattedra, provocando il
rientro in aula dei più timorosi, mentre gli
altri si riservavano di rientrare più tardi, a
lezione avanzata.
Ma oggi era un giorno particolare, eravamo
giunti finalmente all’ultimo giorno di
permanenza sui banchi del poco amato liceo e
non volevamo di certo passarlo nella più
dolce tranquillità; il mio compagno di banco
aveva portato una bottiglia di vino bianco
speciale, mentre le ragazze avevano preparato
due torte che dovevano alleviarci le ultime ore
di latino. Tutti erano rientrati in classe, poiché
nessuno voleva rinunciare allo spuntino in
programma. Senza dire nulla al Prof, ebbe
inizio l’operazione di taglio delle torte, fatta
da uno della fila di mezzo; fatte le parti e
distribuite ci si trovò tutti con la bocca piena e
il Prof se ne accorse, ma preferì tacere. Più
tardi si passò al vino e infine buona parte di
noi si eclissò verso il corridoio a prendere un
po’ d’aria. Al suono della campanella si
ricompose il gruppo in classe e terminò così
l’ultimo giorno di scuola liceale, che per
alcuni fu definitivamente anche l’ultimo di
scuola.
3.10. VITTORIA SPORTIVA
Una sfida in bicicletta da Udine a Grado per
gli studenti friulani; il programma prevedeva
di raggiungere la laguna di Grado dopo una
cinquantina di chilometri di strada
pianeggiante. La giornata era bella, idonea per
un quasi ferragosto del 1948, e noi
concorrenti eravamo numerosi, oltre trenta,
27
come avevano sperato gli organizzatori. I
partecipanti più anziani si sentivano sicuri del
successo, ma molti dei giovani non
nascondevano i loro buoni propositi di
riuscita; alcuni, come me, erano alla prima
esperienza agonistica e si erano presentati al
via della corsa senza particolari velleità di
prevalere.
A me il cuore batteva normalmente anche al
momento della partenza, contrariamente ad
altri, ansiosi di liberare le proprie forze.
Immediatamente dopo il via, alcuni
attaccarono infatti a pieni pedali, mentre io,
che avevo letto qualche cronaca sportiva e
avevo anche assistito a qualche corsa
ciclistica, mi limitai a osservare
la
situazione, mettendomi in scia a quegli
fig.20. Bici e borraccia d’acqua.
scalmanati, ingenuamente convinti di reggere
quel ritmo fino al traguardo. Ma così non fu,
perché dopo pochi chilometri altri più freschi
passarono a condurre e poi altri ancora
andarono in testa per mettersi in evidenza, in
particolare nell’attraversamento dei luoghi
abitati, dove qualcuno applaudiva il nostro
passaggio. Dopo una decina di chilometri i
cinque o sei che al momento si trovavano
nelle prime posizioni furono vittime di una
caduta e coinvolsero anche alcuni inseguitori.
L’incidente provocò un assottigliamento del
gruppo, ma la corsa proseguì veloce e nel
gruppo di testa c’ero anch’io. A Palmanova,
con uno scatto indovinato, riuscii a passare
per primo sul traguardo volante e da ciò
nacque in me la convinzione che non ero
proprio l’ultimo arrivato e che avrei potuto
tentare di farmi valere anche sul traguardo
finale, dove ci stavano attendendo gli amici
tifosi. Ignorai il traguardo di Cervignano,
preferendo conservare le energie per il
seguito; si continuava a pedalare con
decisione, provocando il ritiro di qualche altro
per sete o per stanchezza; noi superstiti
proseguivamo gagliardi e la magnifica
Aquileia veniva superata con in testa un
gruppetto di circa dieci unità; dopo qualche
chilometro si arrivò finalmente in vista del
mare, o meglio della laguna, immettendoci sul
ponte-viadotto che in sei o sette chilometri ci
avrebbe portati a Grado. La panoramica sulla
laguna era stupenda ed io ne rimasi incantato,
tanto che persi il contatto con i primi; ma me
ne accorsi in tempo e con un certo sforzo
rientrai sui primi. Mi sentivo bene ed ero su di
morale e quindi fiducioso sugli sviluppi finali
della corsa, nonostante gli sguardi e le
smorfie di sfida che mi stava lanciando
qualche amico-avversario. Improvvisamente
uno di questi scattò baldanzoso all’attacco
quando mancavano poche centinaia di metri
all’arrivo; non era il caso di lasciarlo scappare
e gli fui immediatamente alle costole, mentre
gli altri, non riuscendo a seguirci, stavano
perdendo terreno; si veniva così a delineare
una lotta finale tra noi due, da decidere a colpi
di pedale. Fu una volata combattuta fino agli
ultimi metri, che si concluse nettamente in
mio favore, tra le urla e gli applausi dei tifosi
convenuti sul traguardo. Insperatamente
avevo vinto una bella battaglia! ed appena
superato il traguardo sentii il cuore palpitare
in maniera più vivace. E’ stata una grande
soddisfazione ed una bellissima sorpresa per
me che, in partenza, mai avrei pensato di
essere in grado di vincere. La sera, ci fu la
cena e poi la premiazione, con applausi,
medaglie e premi offerti dallo sponsor della
manifestazione, una rinomata Casa vinicola
friulana; dopo la premiazione fummo ospiti
all’elezione della Miss Friuli-Venezia Giulia,
la triestina Fulvia Franco, che la settimana
successiva avrebbe conquistato anche
l’ambito titolo di Miss Italia. Per me fu una
giornata indimenticabile, di quelle che danno
nuova linfa; ero felice e contento per aver
raggiunto un successo, soprattutto perché
imprevisto e insperato.
28
In seguito a questa vittoria, decisi di
partecipare, qualche settimana dopo, alla
corsa per il titolo di Campione friulano degli
studenti e vinsi brillantemente anche quella,
con un minuto di distacco, dopo una fuga
iniziata sulla salita del Passo di Monte Croce.
Durante la corsa ebbi al seguito, per ogni
evenienza
e
assistenza
tecnica,
un
motociclista qualificato come l’amico
Adelchi, che gioì con me per la vittoria,
assieme alla truppa di amici sostenitori. Fui
poi selezionato per partecipare al Campionato
nazionale, ma gli impegni di studio
all’Università mi consigliarono di rinunciare
e…qui si concluse la mia breve “carriera”
ciclistica, mentre la passione per la bici è
ancora oggi imperante.
3.11. TRA UNIVERSITÀ E INDUSTRIA
Un lungo periodo, dagli anni 1950 a quasi
oggi, imperniato sull’attività professionale.
Dalla laurea all’assunzione all’Agip-Eni; il
magnifico rapporto con i colleghi, prima in
Italia, poi in vari Paesi esteri, tante
soddisfazioni di vita, di socialità, di amicizie,
con qualche successo non solo personale, ma
anche aziendale: la scoperta del petrolio! Poi
il rientro nel mondo universitario, distensivo,
ma talora greve, qualche gelosia e qualche
buona amicizia, comunque di estremo
interesse e di tanta soddisfazione, soprattutto
grazie alla componente studentesca.
Tutto cominciò quando dall’Università di
Padova ricevetti la “patente” di geologo
(1954) e il gran Capo del momento mi
propose di prendere immediato servizio
all’Università di Ferrara con un prestigioso
incarico: di insegnare la mineralogia ai futuri
ingegneri. Accettai con entusiasmo l’offerta,
anche se nel frattempo avevo già preso un
altro impegno, quello di condurre una piccola
miniera di carbone in Carnia, assieme ad
alcuni esperti minatori.
fig.21. Gruppo di futuri geologi in missione
alla miniera di Cave del Predil (1953).
Avviai così, tra Università e Miniera, la mia
vita professionale, che per la cronaca era
allietata, ma non troppo, da una entrata di ben
100 mila lire mensili, senza ombra di
tredicesima e tanto meno di altre impensabili
voci aggiuntive.
Questa situazione durò poco più di un anno
perché l’Agip, in espansione sotto la spinta di
Mattei, bussò alla mia porta e mi mise di
fronte ad un bivio che non ammetteva
titubanze;
proseguire
nell’attività
universitaria, di cui avevo già individuato i
risvolti positivi, ma anche quelli meno
entusiasmanti, oppure entrare in un mondo
nuovo, quello industriale, con tutte le
incertezze, il fascino dell’avventura, la
rinuncia alla vita tranquilla per un futuro di
impegno e di interrogativi.
fig.22. Con i minatori di Corodonis in Carnia
(1954-55).
29
Allettato soprattutto dal desiderio di vedere
cose nuove, di girare il mondo e maturare
esperienze, decisi, non senza qualche
apprensione ed incertezza, tenendo anche
conto del futuro familiare, di seguire il
cammino offertomi dall’Agip (1955). A tale
decisione seguirono momenti di tensione e di
malinconia: l’addio all’Università, ai colleghi
e, non ultimi, agli affezionati minatori.
Ma dopo qualche mese la cicatrice era
rimarginata, i minatori avevano deciso di
darsi all’edilizia ed io mi ero ormai avviato
nella carriera del geologo del petrolio.
Dapprima un po’ di gavetta su un impianto di
perforazione, poi al seguito di un gruppo
geofisico e quindi a coordinare l’attività di
rilevamento di alcune squadre geologiche
impegnate in Italia centrale e meridionale. In
breve tempo la crescente sete di petrolio del
nostro Paese e le modeste prospettive del
sottosuolo nazionale, spinsero l’Agip verso
nuovi orizzonti e così mi trovai immerso in un
nuovo mondo: il deserto sahariano, un mondo
incredibilmente
vivo,
un
mondo
entusiasmante anche per la quantità e varietà
di problemi che è sempre in grado di
procurare all’uomo civile, un mondo che aiuta
a sviluppare e consolidare i legami umani in
chi vi soggiorna per un certo tempo.
La mia esperienza sahariana ebbe un
felicissimo coronamento: la scoperta del
giacimento petrolifero di El Borma, un
gigante di oltre cento milioni di tonnellate di
riserve.
A questa esperienza estera ne seguirono altre,
più o meno prolungate, più o meno disagiate,
sempre con la famigliola al seguito, tutte
comunque meritevoli di essere vissute, in
quanto ricche di novità e di interessi, sia dal
punto di vista umano che professionale.
Passati vari anni, fu così che un giorno, con
qualche fregio in più sul berretto da geologo,
rientrai in Italia (1972); il boom economico
era divenuto ormai un ricordo e la crisi
energetica
si
stava
minacciosamente
profilando all’orizzonte.
Si cominciava a parlare insistentemente di
ecologia, di difesa del territorio, di caccia al
nucleare, talora anche con qualche ombra di
irrazionalità; le accuse più pesanti erano
fig.23.
Montaggio
della
piattaforma
petrolifera di Luna, nell’offshore calabrese
(1974).
rivolte alla civiltà industriale, colpevole di
inquinamenti e distruzioni. Chi meglio di un
geologo “navigato” come me avrebbe potuto
sostenere l’urto di questo impulso ecologico?
Cercai di sintonizzarmi sul nuovo incarico
con la dovuta rapidità ed ebbi il piacere di
trovarvi rinnovati interessi professionali, quali
la geologia ambientale, la sismologia,
l’idrogeologia; non mancavano nell’attività
quotidiana i contatti umani che, anzi erano
frequenti e variati; da quelli a indirizzo
puramente tecnico a quelli di carattere
politico. Il tono degli incontri, data la delicata
e talora opinabile natura degli argomenti, si
estendeva dal pacato all’acceso-vivace. Il
“clou” di questa mia esperienza fu
rappresentato da una singolare assemblea
tenuta in una chiesa di un paese di montagna,
con una vasta partecipazione di popolo,
sobillato da alcuni facinorosi esponenti
ecologici e con il povero Parroco a far da
moderatore.
Fu una indimenticabile serata tragi-comica,
durante la quale fu profanato non soltanto il
luogo sacro, ma anche la verità, in nome
dell’ideologia e di…geologia non si potè
parlare.
30
Entrai così a pieno titolo nell’ambito
universitario e collaborai pienamente per altri
fig.24. Sonda petrolifera mascherata da
grattacielo a Wilmington (California, 1975).
Dopo qualche anno di geologia ambientale fui
chiamato ad un’altra singolare esperienza,
quella delle relazioni col personale; qui ebbi
modo di rendermi conto di come sia diverso il
mondo visto dall’altra parte e di come sia
complicato far tornare i conti tra le esigenze
aziendali e gli interessi individuali.
Successivamente a questa interessante
parentesi ritornai alla gestione operativa; nel
frattempo i contatti con la geologia e con il
mondo accademico si erano mantenuti attivi,
grazie anche al mio ormai ultradecennale
incarico del corso di Geologia degli
idrocarburi che tenevo presso il Dipartimento
di Scienze della Terra di Milano.
E giunse così la possibilità di pensare
seriamente ad un ritorno definitivo ai vecchi
amori universitari: dapprima la stabilizzazione
dell’incarico, poi il concorso a professore
associato, l’idoneità e finalmente, dopo
qualche sonno particolarmente agitato, la
grande decisione di accedere al ruolo
universitario (1985). Determinante nella mia
decisione fu l’atteggiamento dell’Agip, che
confermò il proprio indirizzo favorevole ad
una intensificazione dell’interscambio tra
Università e Industria.
fig.25.
Con
gli
studenti-geologi
dell’Università Studi di Milano in visita al
giacimento di Trecate (1993).
ventotto anni alla realizzazione dell’auspicato
avvicinamento delle due realtà, mediante
attivi scambi di conoscenze e di esperienze,
ritenendo che soltanto con interventi orientati
in tale direzione sarebbe stato possibile aprire
i migliori orizzonti ai giovani, sia nella fase
della loro formazione che dopo la laurea. La
mia collaborazione con l’Agip proseguì per
fig.26. Collaborazione tra Agip e Università
per la laurea di nuovi geologi (1972-2008).
31
molti anni, soprattutto nella preparazione
degli allievi alla tesi di laurea con indirizzo
specialistico e nell’avvio di nuove forze
geologiche all’impiego nell’industria.
In alcune occasioni si è manifestato in me il
desiderio di evadere saltuariamente dalla
routine dell’attività professionale, ricorrendo
a nuovi argomenti di ricerca e di studio.
L’interesse per la natura, l’ambiente, il
territorio hanno talvolta sollecitato il mio
desiderio di evasione dai normali impegni
connessi con l’Industria petrolifera e con
l’Università e, approfittando dei tempi morti,
dei sabati e delle domeniche, mi sono
dedicato a qualche attività complementare,
svolta in alcuni casi assieme a due cari amici,
un tecnico della chimica ed un ingegnere,
impiegati presso l’Amministrazione pubblica
milanese; abbiamo avuto così modo di
affrontare assieme diversi problemi di natura
collaterale alla geologia applicata: l’ecologia,
il riassetto ambientale, l’idrogeologia,
realizzando alcuni studi in Brianza e
nell’Appennino ligure, quali ad esempio la
riqualificazione
di
uno
stabilimento
industriale, la sistemazione di un territorio
soggetto a inquinamento atmosferico e idrico
e via dicendo. Altre esperienze similari
ricordo di aver svolto in un passato remoto,
quand’ero ancora alle prime armi con la
geologia: si trattò dello studio geologico
tecnico di alcuni siti europei (Belgio, Francia,
Svizzera e Italia), del quale fui incaricato dal
Prof. Desio, tra i quali siti doveva essere poi
scelto il luogo dove costruire nientemeno che
l’immenso acceleratore di particelle del Cern;
la decisione cadde sul sito svizzero, non
lontano da Ginevra; un altro studio geotecnico
riguardò invece due percorsi alternativi nella
fase progettuale della costruenda Autostrada
del Sole nell’area umbro-sabina. In ambedue
le occasioni ebbi la soddisfazione di vedere
scelte le soluzioni da me suggerite, ma ho
ancora il dubbio: fu soltanto fortuna o,
almeno in parte, mie nascoste doti geodivinatorie?
3.12. AGADIR, UNA DRAMMATICA
ESPERIENZA
Stavamo vivendo con l’Agip un entusiasmante
periodo di attività operativa in un accogliente
Paese straniero come il Marocco, di cui
avevamo in corso la valutazione delle locali
possibilità
petrolifere
quando,
improvvisamente, fummo investiti da una
immane tragedia: Il terremoto di Agadir del
29 febbraio 1960, che causò oltre diecimila
vittime.
Uno spaventoso terremoto, vissuto da noi
“agipini” in maniera particolarmente sentita, a
causa delle tragiche conseguenze che
toccarono da vicino alcuni nostri colleghi e
amici: ben undici furono purtroppo le vittime
tra i nostri tecnici e i loro familiari, impegnati
come noi in Marocco nell’attività di ricerca
petrolifera. Una immane tragedia che per
giorni e giorni cercammo di cancellare dalla
mente, sperando si trattasse soltanto di un
orrendo sogno.
Alcuni di noi furono colpiti in particolare
dalla tragedia dell’amico geologo Ermanno
Tracanella, che vide distrutta la sua famiglia,
composta dalla moglie e da due giovanissimi
figli, vittime del crollo dell’immobile in cui
abitavano. L’impegno più doloroso per me fu
quello di informarlo di quanto era accaduto,
quando giunse in elicottero dal Sud, dove era
al lavoro, Riporto qui di seguito uno stralcio
del servizio giornalistico di Marco Cesarini
Sforza comparso su “Il Giorno” del 8.3.60,
col titolo: “Un documento eccezionale: il
diario della spaventosa catastrofe di Agadir,
tenuto da un geologo italiano”. Ed ecco
quanto io confidai al giornalista.
Alle ore 23 sono a casa mia con alcuni amici:
il professor Martinis, l’ingegner Colledan e il
dottor Crippa; al termine della cena
ascoltiamo alcuni dischi di canti popolari
friulani, accompagnandoli con la voce.
Siamo serenamente allegri quando, alle 23.10
mi telefonano alcuni amici dal “Casinò”, un
32
ristorante sulla spiaggia, che domani sarà
demolito per esigenze del nuovo piano
regolatore di Agadir; ci invitano a
raggiungerli. Dopo dieci minuti arriviamo al
ristorante e troviamo tra gli altri Fazio, della
terza squadra geologica, rientrato in città dopo
quaranta giorni di deserto; c’erano anche gli
amici Madeddu, De Grandis e Girometta,
nonché un gruppo di dipendenti delle squadre
sismica e gravimetrica, che avevano trascinato
con loro alcuni turisti inglesi conosciuti in
albergo. Il Ristoratore Rattazzi dice che
questa sera faremo fuori tutte le bottiglie
rimaste; tanto domani mattina passa il
bulldozer e spazza via tutto!
Alle ore 23.39 la tremenda scossa. E’ un
sussulto improvviso, si spengono di colpo
tutte le luci. Ecco le ultime visioni: mia
moglie Silvana sta tendendo la mano
all’amico Bonazzi, che io le sto presentando,
mentre il professor Martinis sta parlando con
Rattazzi di alcune grotte trogloditiche della
zona. Istintivamente mi metto le mani sulla
testa, chiamo mia moglie e vedo che Crippa è
stato più svelto di me e già la protegge. Trema
tutto e si sente un boato che viene dal mare.
Sto tremando senza potermi controllare.
Ore 23.45: siamo all’aperto e c’è un enorme
silenzio; due fuochi arancione brillano sulle
colline. Incendi? Che cosa è successo
esattamente? Il ristorante, una costruzione di
legno e lamiera, non è crollato, ma questo
silenzio è pauroso, copre Agadir come una
coltre funebre. Pensiamo alla paura che si
saranno presa le mogli che hanno i mariti in
deserto, sole a casa con i bambini. Bisogna
andare a rassicurarle e ci incamminiamo verso
la macchina. Continuano i boati dal mare.
Saliamo in macchina e, superata la breve
salita che porta verso la città, cerco di pulire
con la mano il parabrezza che pare appannato,
ma Martinis dice che si tratta di nebbia,
oppure è fumo o forse polvere. Non capisco
più cosa sta accadendo.
Ore 23.55: Alla svolta della strada mi sono
dovuto fermare a causa di un cumulo di
macerie; l’aria è densa di polvere. Alzo gli
occhi e, nel buio fitto, riesco a intravedere la
sagoma di un palazzo di sei o sette piani che
sorgeva qui e che ora è orrendamente
squarciato. Ho attimi di panico e non capisco
se sono io o se è la terra che continua a
tremare. Circola qualche automobile, come
fantasmi tra le rovine. Il buio è rotto dalle
sventagliate dei fari. Anche noi giriamo a
tentoni.
Ore 24: Arriviamo alla casa dove abitava la
famiglia Tracanella: non esiste più! E’ ridotta
a un cumulo di macerie, alte poco più di un
metro. Chiamiamo ripetutamente Piero e
Luigi, i due bambini. Nessuno risponde. Poi si
sentono da poco lontano grida, lamenti, voci
sconosciute che perforano la coltre di silenzio
caduta su Agadir. E’ il momento più terribile.
Disastro e morte dappertutto.
Ore 3.00: ho lavorato due ore per mettere in
piedi il primo accampamento e radunare le
donne e i bambini dell’Agip e dei nostri
contrattisti presenti ad Agadir; è quasi pronto
e riusciamo a preparare anche un caffè caldo.
Qualcuno che mi dice che Cordani è vivo, ma
è ancora sepolto sotto le macerie e stanno
lavorando per tirarlo fuori. E’ uno dei
fortunati. I marocchini sono distrutti, inebetiti,
nessuno lavora; forse il tutto è più complicato
perché siamo nel mese del Ramadan.
Nella mattinata successiva trasferiamo il
nostro Campo nella periferia sud della città e
mi trovo improvvisamente con un pezzo di
pane in bocca e mi accorgo che è il primo
boccone dopo le undici di ieri sera. Alle 13,20
un brivido: arriva l’elicottero del Com.te Di
Falco, partito dal campo nel deserto con a
bordo il nostro collega e amico
Tracanella…Ciao, caro Ermanno.
fig.27. Tombe provvisorie per le vittime di
Agadir (marzo 1960).
33
3.13. UN ELICOTTERO FORTUNATO
Più che l’elicottero, siamo stati fortunati noi,
il pilota ed io, rimasti indenni dopo una
improvvisa caduta dell’aeromezzo
nel
deserto sud tunisino.
Un episodio che mi ritorna in testa ogni tanto,
con effetti non spiacevoli, anzi distensivi, è
quello dell’incidente con l’elicottero del 4
ottobre 1962, avvenuto durante il rilevamento
geologico per la ricerca petrolifera ai margini
del Sahara tunisino. A parte il rischio corso,
ricordo perfettamente il sospiro di sollievo e
di compiacimento che ho tratto con
convinzione quando l’elicottero, dopo aver
ripetutamente rimbalzato al suolo, si è
finalmente arrestato, permettendo al pilota e a
me di mettere piede a terra, incolumi. Per
fortuna eravamo scampati al rischio di
incendio o esplosione, in seguito a quel
violento impatto con il terreno. Si era guastata
anche la radio, per cui non eravamo quindi in
grado di comunicare col nostro Campo o con
la Sede di Tunisi; mi decisi allora, con la
preziosa guida della carta topografica, ad
incamminarmi nel deserto, alla ricerca di un
aiuto e dopo un’ora giunsi su una pista
interrata; ebbi la fortuna, poco dopo, di
incontrare un automezzo in transito con due
militari tunisini che mi aiutarono a ristabilire
il contatto con il Campo e da lì partirono i
soccorsi e si organizzò il recupero del mezzo
aereo incidentato.
Fu comunque un’esperienza singolarmente
eccitante,
conclusa
con
seri
danni
all’elicottero, rimediabili almeno in parte con
il contributo dell’ assicurazione, e soltanto
qualche acciacco per noi, fortunati ospiti
dello stesso.
Questa mia modesta disavventura nel deserto
tunisino mi ricorda un’altra impresa,
decisamente più eroica compiuta da mio
cugino Pier Arrigo Barnaba che in una tetra
notte dell’ottobre 1918, nella fase finale della
prima
Guerra
mondiale,
si
fece
“paracadutare” nella zona di Buja, da lui ben
conosciuta, essendovi nato e cresciuto, zona
che allora era militarmente occupata dal
nemico austriaco. Scopo dell’azione era di
assumere notizie sui movimenti delle truppe
nemiche e comunicarle, tramite piccioni
viaggiatori, al proprio Comando militare
italiano, disposto sulla linea di difesa del
Piave, in attesa della controffensiva che pochi
giorni dopo avrebbe portato alla conquista di
Trento e Trieste e la fine della guerra.
Pier Arrigo si meritò per questa impresa la
Medaglia d’oro al valor militare e
successivamente onorò ancora la nostra
famiglia come Deputato del Regno e come
Podestà di Udine, rischiando nel 1944 anche
la deportazione in Germania, accusato di aver
protetto il movimento partigiano, allora
particolarmente attivo nella regione friulana.
3.14. DA IERI A OGGI
Non si può certo chiudere questa serie di
riferimenti al passato senza un ritorno a
tempi e luoghi che hanno segnato alcuni dei
paletti più importanti della propria esistenza
e senza un riferimento agli avvenimenti di
questi ultimi tempi.
Il Primo Palazzo uffici, la Pagoda, il Quinto, i
Denti, il Trasformatore… sono, qui a San
Donato, alcuni dei luoghi di lavoro da noi
frequentati nel tempo, strettamente vincolati a
tanti ricordi della vita lavorativa, di chi stava
vicino, di chi stava al di sopra o di lato, degli
impegni quotidiani che l’Agip o l’Eni
puntualmente ci chiedevano. La nostra era
comunque una grande famiglia, alla quale
eravamo e lo siamo tuttora sentitamente
legati, non solo per lo stipendio (che, tra
l’altro, non è mai stato “esagerato”), ma anche
dal punto di vista affettivo. L’ambiente di
lavoro favorisce infatti l’approfondimento
delle conoscenze personali, che talora
divengono amicizie, coltivate attraverso i
contatti di tutti i giorni e maturate in sedi
italiane o meglio ancora in paesi esteri, dove
si aggiungono ulteriori motivi per rinsaldare
maggiormente i rapporti personali. Lavorando
e vivendo all’estero diviene ancora più sentita
la vicinanza con la Casa madre, di cui si ha
34
la piacevole sensazione di essere assistiti,
aiutati, in certi momenti addirittura coccolati;
ci si rende conto inoltre di rappresentare una
parte della propria Azienda nel Paese che ci
ospita e di essere portatori di messaggi
positivi, in alcuni casi ispirati ai principi di
Mattei, uno dei quali diceva che il beneficio
maturato dalla ricerca va equamente ripartito
tra l’impresa e la collettività locale. Tutti noi,
pionieri e veterani, possiamo testimoniare
dell’elevato rispetto e considerazione che la
nostra Azienda ha sempre suscitato nei luoghi
dove abbiamo prestato la nostra opera. In
maniera un po’ ingenua siamo fieri di quanto
è stato fatto in passato nel nome dell’Agip e
dell’Eni. I successi ottenuti, i giacimenti di
idrocarburi scoperti e ogni altra opera
compiuta sono il risultato dell’impegno e
della valida opera di ciascuno di noi, come lo
sono ora delle forze attualmente attive,
delegate all’acquisizione di nuovi orizzonti,
indispensabili per il buon vivere di tutti.
E’ con questi sentimenti che ci siamo avviati
a completare il nostro cammino aziendale e a
intraprendere una nuova vita, con quel certo
rammarico di chi si trova improvvisamente al
capolinea ed è costretto a rinunciare alle
buone abitudini, più o meno radicate, per
seguire un nuovo percorso, non privo di
incertezze e di nostalgie.
Rimanendo nel campo aziendale, in questi
ultimi tempi siamo stati colpiti qui a San
Donato da alcune notizie che contrastano con
l’abituale atmosfera costruttiva del luogo,
togliendoci un po’ di serenità: dapprima
l’improvvisa scomparsa della nostra amata
Agip! l’Agip non esiste più e si parla ormai
soltanto di Eni, il colosso che ha inglobato
tutto quanto è stato precedentemente costruito
dalle sorelline minori, forse destinate ad
essere dimenticate. A questa notizia ne è
seguita un’altra, altrettanto preoccupante:
l’avvenuta cessione delle proprietà Eni di
San Donato ad una Società straniera, il che
ha fatto temere anche un alleggerimento della
presenza in loco del nostro Gruppo
petrolifero. Questo timore è stato poi
fortunatamente cancellato dalla recente
decisione di Eni di dare attuazione al progetto
“De Gasperi est”; una decisione importante
fig.28. Un ricordo dell’Agip.
anche per le prospettive di occupazione dei
giovani sandonatesi. La presenza Eni a San
Donato è un naturale seguito ai progetti
iniziali di Mattei e costituisce, oltre che una
certezza di sviluppo e prevedibilmente anche
di miglioramento dei servizi per la Città di
San Donato Milanese, un auspicio per
ulteriori successi nazionali nel campo degli
idrocarburi e dell’energia in generale.
3.15.
BENESSERE,
AMBIENTE
ENERGIA
E
L’Umanità ha raggiunto, grazie al progresso,
alle invenzioni e alle scoperte, un certo livello
di benessere generale ed è impegnata a
mantenerlo e possibilmente a migliorarlo nel
futuro, rispettando le norme naturali che non
prevedono arretramenti.
E’ da osservare però che il crescente
benessere richiede maggiori consumi di
energia e questi ultimi comportano il
peggioramento delle condizioni ambientali,
soprattutto a causa dell’inquinamento da
combustione.
Siamo quindi di fronte a due problemi, il
consumo energetico e la protezione
ambientale, che si aggraveranno nei tempi a
venire.
I consumi di energia aumenteranno non
soltanto a causa del crescente benessere, ma
anche dell’incremento demografico in atto,
che incide con un aumento della popolazione
mondiale di circa 200 mila persone al giorno!
35
Non dimentichiamo inoltre la domanda
sempre più pressante di energia dei paesi in
ascesa, quali Cina, India, Brasile; si dice
inoltre che il cambiamento climatico in corso,
con l’aumento del livello dei mari, non
attenuerà la sete di energia, per cui il futuro
energetico sarà particolarmente impegnativo.
Sappiamo che in questi ultimi tempi i
consumi di energia sono stati soddisfatti in
netta prevalenza dai combustibili fossili
(carbone per circa il 23% dei consumi
mondiali, petrolio per il 35% e gas per il
21%), mentre l’apporto delle fonti rinnovabili
(biomasse, eolica, solare, geotermia e
idroelettrica), nonostante i proclami di Kyoto
e di Durban, è limitato al 12-14%; siamo
quindi ben lontani da poterle definire fonti
“alternative”. Anche l’altra energia di
primaria importanza, il nucleare, è in ritardo
rispetto alle previsioni; oggi fornisce meno
del 7% dei fabbisogni mondiali e, per giunta
sta denunciando una perdita di fiducia sul
piano della sicurezza, in seguito al disastro
giapponese del 2011, per cui il suo apporto
potrebbe addirittura diminuire nel prossimo
futuro.
Considerato che il panorama energetico
continuerà ad
essere dominato
dai
combustibili fossili, che sono i meno
rispettosi dell’ambiente,
il tema della
protezione ambientale
assume quindi
dimensioni particolarmente preoccupanti in
proiezione futura.
Un altro argomento degno di analisi riguarda
la potenzialità delle riserve energetiche
disponibili, alle quali è strettamente legato il
benessere dei futuri Umani.
Sotto questo aspetto, il carbone è il
combustibile che offre le migliori garanzie di
sopravvivenza nel futuro, essendo accreditato
di riserve per almeno 600 anni dei consumi
odierni. Purtroppo esso è accompagnato dal
suo notevole carico inquinante, ma la Cina
rimane comunque il paese più fedele a questo
tipo di energia.
Gli idrocarburi rappresentano la fonte
energetica per eccellenza, soprattutto per la
praticità del trasporto e del loro uso; sono
però soggetti ad un mercato nervoso e
instabile e ad una difficile valutazione delle
riserve,
fortemente
influenzate
dalle
fluttuazioni degli investimenti e dai rapporti
internazionali.
Essi sono infatti preda delle fiscalità più
accese e di tanti interessi soprattutto di natura
economica e politica. Alcune stime correnti
sulle riserve di petrolio, indicano una
disponibilità accertata pari a circa 50 anni
dell’attuale consumo mondiale, mentre per il
gas le previsioni sono più incoraggianti,
essendo superiori al secolo. Una previsione
ottimistica sul futuro degli idrocarburi è
suggerita dai risultati acquisiti in questi ultimi
anni dallo sfruttamento in varie aree del
mondo delle “shale gas” che, secondo alcune
voci, potrebbe sconvolgere il mercato
energetico del prossimo futuro; si tratta
dell’estrazione di gas da terreni argilloscistosi sottoposti a fratturazione idraulica; è
un’operazione che richiede l’impiego di
notevoli quantitativi di acqua e ciò sta
preoccupando gli ambientalisti.
Le shale gas, si dice da parte degli ottimisti,
rilanceranno l’esplorazione nel mondo, con
tanti nuovi ingegneri e geologi da formare ed
assumere da parte delle Compagnie
petrolifere. Altre tecniche di produzione di
idrocarburi in corso di sviluppo riguardano gli
“idrati di gas” e i depositi bituminosi. Il futuro
del gas e del petrolio è pertanto aperto al
successo di queste tecniche, che vengono
definite “non convenzionali”. L’Eni è già in
prima fila con i suoi programmi operativi.
Lo sviluppo del nucleare è condizionato
invece dalle incertezze sulla sicurezza degli
impianti e sul trattamento delle scorie; è
comunque una fonte energetica di primaria
importanza e quindi meritevole di ulteriore
apprezzamento, considerate anche le enormi
36
riserve di minerali di uranio esistenti al
mondo.
Le fonti rinnovabili costituiscono infine la
speranza energetica del futuro, in quanto
possiedono un notevole margine di ulteriore
applicazione e rappresentano il simbolo
dell’energia “pulita”; gli attuali limiti sono
dovuti in buona parte agli elevati costi di
impianto e pertanto il loro sviluppo potrebbe
essere agevolato da adeguati incentivi
economici per una loro scelta su vasta scala.
La panoramica sulle previsioni energetiche e
su quelle ambientali desta comunque e
indubbiamente qualche perplessità, in quanto
i consumi sono in costante aumento e le
disponibilità future di energia denunciano
qualche limite. Per prevenire e tentare di
risolvere i problemi futuri, l’Umanità dovrà
affrontare seriamente, come accennato, anche
il tema del proprio sviluppo demografico, che
sta
aggravando
i
riflessi
negativi
sull’ambiente, oltre a quello, non meno
importante, del risparmio energetico. La
diminuzione degli sprechi e il rispetto
dell’ambiente naturale costituiscono i due
pilastri guida del mondo di domani. E’ da
sperare e ce lo auguriamo che a questi intenti,
forse illusori, l’ingegno umano possa
aggiungere qualche soluzione decisamente
innovativa, al momento inimmaginabile, che
consenta all’Umanità di superare le future
difficoltà di natura energetica e ambientale e
di garantirsi il mantenimento di un equilibrato
benessere.
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A.Mondadori Ed., 1972
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nascita del colonialismo – Nuova Italia, 1975
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Energy Outlook, 2011
Il saluto della nostra Pattuglia Acrobatica
Nazionale
San Donato Milanese, marzo 2012
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