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Condurre e gestire una classe eterogenea

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Condurre e gestire una classe eterogenea
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione
PUBBLICAZIONI DEL­LA FACOLTÀ DI SCIENZE DEL­L’EDUCAZIONE
DEL­L’UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA
ENCICLOPEDIA
DEL­LE SCIENZE DEL­L’EDUCAZIONE
119.
Carol Ann Tomlinson
Marcia B. Imbeau
cONDURRE E GESTIRE UNA CLASSE ETEROGENEA
Estratto della pubblicazione
Della stessa Collana:
59. Comoglio M. - Cardoso M.A., Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative Learning, p. 536
64. Comoglio M., Educare insegnando. Apprendere ad applicare il Cooperative Learning, p. 544 (2ª ediz.
riveduta)
67. Brophy J., Insegnare a studenti con problemi. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio, p. 512
73. Sergiovanni T.J., Costruire comunità nelle scuole. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio, p. XX-174
74. Sergiovanni T.J., Dirigere la scuola, comunità che apprende. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio,
p. XX-414
76. Charles C.M., Gestire la classe. Teorie della disciplina di classe e applicazioni pratiche. Ediz. italiana a
cura di M. Comoglio, p. XX-480
78. Sergiovanni T.J. e Starratt J.J., Valutare l’insegnamento. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio,
p. XXXVI-404
80. Brophy J., Motivare gli studenti ad apprendere. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio, p. 346
85. Wiggins G. e McTighe J., Fare progettazione. La “teoria” di un percorso didattico per la comprensione
significativa. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio, p. 290
86. McTighe J. e Wiggins G., Fare progettazione. La “pratica” di un percorso didattico per la comprensione
significativa. Ediz. italiana a cura di M. Comoglio, p. 378
CAROL ANN TOMLINSON
MARCIA B. IMBEAU
CONDURRE E GESTIRE
una classe ETEROGENEA
LAS - ROMA
Estratto della pubblicazione
Autori: Carol Ann Tomlinson e Marcia B. Imbeau
Titolo originale: Leading and managing a differentiated classroom
Copyright © 2010 by Association Supervision for Curriculum Development
1703 N. Beauregard St. - Alexandria, VA, 22311-1714 - U.S.A.
Telephone: 1-800-933-2723 - Fax: 703-575-5400
Sito Web: http://www.ascd.org - E-mail: [email protected]
All rights reserved. Authorized translation from the English language edition published by Association Supervision for Curriculum Development
Titolo edizione italiana: Condurre e gestire una classe eterogenea.
Traduzione: Angela Gheda - Mario Comoglio.
Revisione: Nicolò Suffi - Elena Fazi.
Copertina: da Leading and managing a differentiated classroom.
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica se non
espressamente autorizzata per iscritto.
© 2012 by LAS - Libreria Ateneo Salesiano
Piazza del­l’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 ROMA
Tel. 06 87290626 - Fax 06 87290629
e-mail: [email protected] - http://las.unisal.it
ISBN 978-88-213-0835-2
–––––––––––––
Elaborazione elettronica: LAS  Stampa: Tip. Abilgraph - Via Pietro Ottoboni 11 - Roma
Estratto della pubblicazione
Agli insegnanti
che non hanno smesso di sperare in noi,
le cui aspirazioni ci hanno aiutato a scoprire in noi stessi qualcosa di meglio
rispetto a ciò che vedevamo prima.
Agli insegnanti
che per primi ci hanno aiutato a incontrare noi stessi,
e in seguito, attraverso l’esempio e l’esperienza,
ci hanno insegnato quanto sia vivificante l’apprendere.
E alle persone il cui costante amore
dall’inizio fino ad oggi
ci costringe a chiederci ogni giorno, quando entriamo in una classe:
“C’è qualcuno qui che non ha bisogno di percepire la stessa opportunità di
riuscire così come l’abbiamo sperimentata noi?”
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione
Prefazione all’edizione italiana
Molti insegnanti asseriscono di essere veramente oberati di lavoro con classi
numerose e diverse. Anni fa evidenziavamo che la classe stava diventando sempre più eterogenea. La realtà non solo non è cambiata, ma è diventato sempre
più evidente che gli studenti sono tra loro diversi. Il problema non risiede solo
nell’aumento del numero di ragazzi provenienti da altre culture. È sufficiente che
in un momento di silenzio l’insegnante si fermi e osservi per qualche istante gli
studenti che le stanno di fronte. Non sono vestiti allo stesso modo, non sono alti
uguali, non hanno l’identico taglio di capelli, non indossano lo stesso tipo di scarpe, non sono motivati allo stesso modo, non parlano e non scrivono nello stesso
stile… Quando ricevono un compito assegnato per tutti, non ne consegnano uno
uguale a un altro…
Una domanda viene spontanea: Perché ancora in molte classi si trattano i ragazzi come se fossero tutti uguali? Si dà a tutti la stessa spiegazione, si esigono
da tutti gli stessi risultati, tutti devono stare allo stesso modo seduti di fronte
all’insegnante, tutti devono stare in silenzio mentre questi spiega, ecc.?
Comprendiamo che chi ci legge dirà: “Ma come si può lasciar fare a trenta
alunni quello che vogliono?”, “Come allentare la disciplina senza che creare il
caos?”, “Come seguire i ragazzi che si collocano su uno spettro amplissimo di
diversità mentali, cognitive, affettive, culturali, di conoscenze precedenti, di interessi?”.
Le autrici di questo libro non nascondono le molte obiezioni che sollevano
gli insegnanti: “Non posso differenziare l’istruzione perché devo garantire il raggiungimento degli stessi standard per tutti”. “Non posso differenziare l’istruzione
perché le prove di stato non tengono conto della diversità”. “Non posso differenziare l’istruzione perché sono già troppo occupata e non ho assolutamente tempo
per pianificare la differenziazione”. “Non posso differenziare l’istruzione perché
le prove INVALSI non sono differenziate”. “Non posso differenziare l’istruzione
perché insegno a troppi studenti”. “Non posso differenziare l’istruzione perché
ho un solo libro di testo”. “Non posso differenziare l’istruzione perché la mia
aula è troppo piccola”. “Non posso differenziare l’istruzione perché questo non
prepara gli studenti per gli studi superiori”. “Non posso differenziare l’istruzione
perché i genitori non lo accettano”.
Estratto della pubblicazione
8
Prefazione all’edizione italiana
Non so se queste siano tutte le difficoltà. Ce ne sono certamente altre. Ma probabilmente queste sono già sufficienti per arrendersi, per trovare giustificazioni
per abbandonare l’idea di gestire un’eterogeneità in classe e, probabilmente, anche per chiudere in modo definitivo il problema.
Ma si potrebbe anche porre un’altra domanda: una soluzione di gestione
dell’eterogeneità che tratta tutta la classe o tratta la maggioranza come se fossero uguali e una minoranza con qualche diversità più grave, risolve i problemi?
Le frange estreme non perdono progressivamente motivazione e interesse per
la scuola? I genitori non si lamentano che il proprio figlio non riceve sufficientemente attenzione? Si riuscirà lo stesso a mantenere una classe adeguatamente
disciplinata? Gli obiettivi educativi o di apprendimento sono raggiunti? Gli studenti in classe si stimano, si accettano, si aiutano, si sviluppano secondo i punti
di forza e sono ricuperati nei loro punti di debolezza? Gli studenti crescono nella
loro individualità o sono “massificati”? La fatica della conduzione dell’apprendimento o della classe è alleggerita o è ancora stressante e pesante?
È possibile cambiare? Da dove si comincia…
Questo volume, di Carol Ann Tomlinson e Marcia B. Imbeau: Condurre e
gestire una classe eterogenea, sebbene sottile, sembra rispondere a tutte queste
domande e alle preoccupazioni di un’insegnante consapevole di trovarsi di fronte
a una classe eterogenea.
Non è facile “convertire” un’insegnante a immaginare di gestire e condurre
una classe nel rispetto e in funzione delle diversità. Le resistenze al cambiamento
hanno radici profonde (paure, abitudini, convinzioni, idealità, passione educativa) e si sono sviluppate nel tempo, nell’esperienza, nella consapevolezza delle
proprie capacità, nelle connessioni con altri aspetti della propria vita personale,
nelle gratificazioni che ciascuno spera o desidera dal proprio impegno professionale.
Non possiamo certo “convincerla” con qualche riflessione o con un libro. È
necessaria la disponibilità a una riflessione personale sulla qualità della propria
attività professionale. Qui vogliamo solo richiamare alcune tesi tratte dal volume
che presentiamo.
La chiave per la conduzione e gestione di una classe eterogenea non è una tecnica né una strategia. È una filosofia. Una filosofia non è aderire a una particolare
corrente filosofica o a un particolare approccio psicologico empirico. Filosofia,
in questo contesto, è una particolare “visione” dell’insegnamento/apprendimento
nel modo in cui ne parlano Senge, Sergiovanni, DuFour, Eaker, Hord e altri. È un
sistema di convinzioni che costituiscono come le fondamenta non visibili di una
casa, ma che sono imprescindibili. Tra queste, le seguenti:
Estratto della pubblicazione
Prefazione all’edizione italiana
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● Ogni studente merita dignità e rispetto.
● La diversità è inevitabile e al contempo positiva.
● La classe dovrebbe rispecchiare il tipo di società in cui vogliamo che i nostri
studenti vivano e operino.
● La maggior parte degli studenti può apprendere la maggior parte degli elementi essenziali di una determinata area di studio.
● Ogni studente dovrebbe avere un’equa possibilità di accedere alle migliori
opportunità di apprendimento.
● Uno degli obiettivi centrali dell’insegnamento è massimizzare la capacità di
ogni studente.
● Gli studenti non sono un peso da portare, ma una risorsa da attivare.
● Quando gli studenti sono impegnati con quello che sta succedendo in classe, i
problemi di disciplina sono notevolmente ridotti.
● Quando gli studenti percepiscono che l’insegnante si preoccupa di loro, essi
sono disposti a dare tutto quello che l’insegnante può chiedere loro.
● L’aula non funziona bene per nessuno fino a quando non funziona bene per
tutti.
Il primo passo per “convertire” la propria professionalità è esaminare le precomprensioni che ognuno ha sulla classe, sull’intelligenza dei ragazzi, sull’apprendimento, sulle capacità dei ragazzi, sulla disponibilità dei ragazzi a impegnarsi e, forse, cominciare a dubitare delle proprie sicurezze.
Le sicurezze si manifestano con l’espressione: È vero, ma… È vero che la
classe è eterogenea. Non ci vuole molto a costatarlo, ma come si può gestire una
classe con trenta studenti che avrebbero bisogno tutti di qualcosa di diverso? È
vero, che ognuno è diverso, ma se si fa sì che ognuno possa esprimere quello
che è in classe ci sarebbe il caos. È vero che si è diversi, ma nella vita non si può
essere in tutto al centro dell’attenzione. È vero che si dovrebbe riconoscere la
diversità, ma se si mettesse in pratica ciò sarebbero gli stessi studenti a ribellarsi,
perché secondo loro l’insegnante commetterebbe ingiustizie.
Se le sicurezze si esprimono con un “Sì, ma…”, le incertezze si esprimono
con: Non so come, ma… Non so come, ma forse veramente gli studenti sono una
risorsa per il loro apprendimento. Non so come, ma se gli studenti sono resi attivi
e responsabili del proprio apprendimento, forse si impegneranno di più. Non so
come, ma pensando di creare una classe dove tutti si riconoscono, si accettano, si
stimano o si aiutano, forse è possibile creare un ambiente nel quale molte cose,
che ora non vedo e costato, potrebbero avvenire. Non so come, ma comunicando
ai ragazzi un modo di stare insieme, una “visione” di come rispettarsi e aiutarsi,
forse è possibile dare spazio a ognuno di esprimere le proprie potenzialità. Non
so come i ragazzi sono diversi tra loro, ma se riuscissi a scoprire i loro punti di
forza e i loro punti di debolezza, se riuscissi a capire le diversità, forse potrei far
sentire che li comprendo meglio e posso aiutarli meglio. Non so come essi possa-
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Prefazione all’edizione italiana
no comprendere di essere diversi gli uni dagli altri, ma se scoprono e imparano a
rispettarsi e aiutarsi forse loro stessi si sentiranno meglio a scuola e ciò favorirà
l’apprendimento…
Forse immaginare che non so come fare qualcosa, ma che poterlo fare migliorerà la situazione è il primo passo per cominciare a realizzare una classe dove le
diversità sono accolte, rispettate e apprezzate.
CHE COSA FARE PER RISPONDERE ALLA ETEROGENEITÀ
Quando è chiara una “visione” è il momento di scegliere gli strumenti o i mezzi per realizzarla. Gli strumenti e le strategie non sono indifferenti rispetto ai fini.
Se un insegnante ritiene che gli studenti non siano in grado di affrontare alcuni
argomenti da soli, introdurrà un argomento nuovo sempre con una sua spiegazione. Pensando che le nuove generazioni hanno ormai un accesso diverso allo
studio e alla conoscenza, l’insegnante adotterà nuove tecnologie e la LIM. Poiché la vita è per le persone forti, si adotteranno metodologie che “rinforzeranno”
attraverso la competizione e i miglioramenti individuali. Se, considerata l’età,
si ritiene che gli studenti saranno tendenzialmente indisciplinati e pigri, s’imporranno regole e si adotteranno comportamenti e ci si premurerà di assegnare
molti compiti. Se si ritiene che la classe sia fragile e debole, si daranno compiti
facili per non provocare scoraggiamenti o troppe insufficienze. Se si penserà che
in classe vi siano alcuni che non sono fatti per lo studio, è molto facile che essi
siano progressivamente trascurati. Se si pensa che certi argomenti o certe abilità
non siano raggiungibili o accessibili ad alcuni studenti, non ci s’impegnerà per
conseguire con loro un risultato anche solo essenziale.
Non solo vi è una connessione tra scopi e mezzi, ma anche una coerenza tra
molti scopi e molti strumenti e strategie. L’insegnante che crede molto nell’importanza degli obiettivi di apprendimento da conseguire, si preoccuperà molto
del testo da adottare, della spiegazione che dovrà fare, del controllo minuzioso
della comprensione dei contenuti, di una disciplina in classe che favorisca la
trasmissione, di una restituzione precisa e di una valutazione il più possibilmente
oggettiva di quanto assimilato.
L’insegnante convinto che l’apprendimento sia più facilitato se nella classe vi
sono più modalità di accesso alle stesse conoscenze, se l’apprendimento avviene
in una cultura di classe che apprende, cercherà di fare in modo che un contenuto
sia accessibile attraverso modalità diverse, si preoccuperà che l’ambiente-classe
sia qualcosa di simile a una cultura dove gli studenti parlano e si scambiano
conoscenze, si confrontano, interagiscono e si aiutano, vivono l’apprendimento
come fatto naturale. Per conseguire ciò gli studenti sono una risorsa, la relazione
è il modo in cui zone di sviluppo prossimale diverse si arricchiranno, le diversità
Estratto della pubblicazione
Prefazione all’edizione italiana
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sono ricchezza della cultura, l’insegnamento reciproco favorirà l’apprendimento
di tutti, la responsabilità, la solidarietà della cultura della classe. Essendo la classe un microcosmo, si preoccuperà che nella classe ci si rispetti perché tutti hanno
diritto a una dignità. Pensando che il futuro del mondo richiede la responsabilità
e la collaborazione di tutti, la classe avrà fini e scopi condivisi e tutti saranno
chiamati a collaborare al loro raggiungimento.
Quali sono i mezzi per poter realizzare una classe nelle quale le diversità sono
riconosciute, rispettate e valorizzate? I capitoli 4, 5 e 6 presentano strategie e
tecniche proposte dagli autori per realizzare le condizioni della gestione e della
conduzione della classe eterogenea. Strettamente parlando non si tratta di strategie e tecniche didattiche o di strategie e tecniche di gestione della classe. Alcune
sono più riferibili a un aspetto, altre più all’altro, ma sono identificabili come:
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
strategie e tecniche per conoscersi e rispettare delle diversità
strategie e tecniche per costruire comunità in classe
come fare per creare un ambiente fisico che sostenga l’apprendimento
stabilire procedure e routine di classe
stabilire regole per vivere insieme
modalità d’inizio della giornata e della classe
come finire la giornata
come fare e gestire i gruppi
direttive per sviluppare in classe compiti molteplici
usare le risorse per avere aiuto
gestire il rumore, il tempo, i passaggi di lezione.
Se si pensa a quello che gli studenti devono apprendere, dove si colloca l’insegnamento dei contenuti? Consapevole della diversità, l’insegnante ha una visione della classe come un “sistema” nel quale, come in un puzzle, si connettono
molte variabili. Nell’elenco precedente vengono sottolineate molte variabili di
contesto per rendere possibile un’attenzione a un tipo di insegnamento che ha
al centro la singolarità dello studente. Per consentire alle diversità di esprimersi
e connettersi, è necessario pensare a uno “spazio” che consenta alle diversità
di esprimersi; per consentire alle diversità di contribuire, è necessario creare le
condizioni di un ambiente comunicativo di fiducia e di sincerità; per consentire
alle risorse di mettersi in azione e non rimanere solo ricettive, è necessario dare
responsabilità e libertà; per consentire un progresso flessibile (cioè un apprendimento flessibile), è necessario avere chiari tre aspetti: da dove si parte, dove si
deve arrivare e come ci si arriva. Il volume si sofferma in modo particolare sul
primo aspetto. L’insegnante deve saper rilevare o diagnosticare la readiness degli
studenti. La readiness (un termine di difficile traduzione che si avvicina ai concetti di prontezza, vicinanza, disponibilità, sensibilità, si veda il capitolo primo)
è la valutazione di dove si è rispetto a dove si vuole andare. La valutazione della
Estratto della pubblicazione
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Prefazione all’edizione italiana
“distanza” rispetto all’obiettivo ci può aiutare molto a programmare l’istruzione.
Sapere “dove” si trova ogni ragazzo rispetto agli obiettivi, che si vogliono raggiungere, è una tecnica e strategia fondamentale: per scoprire i punti di forza e
di debolezza di ogni studente, per poter adattare l’insegnamento a ogni diversità,
per connettere tra loro gli studenti, per verificare i progressi compiuti e per stabilire obiettivi sfidanti ma realistici.
Gli altri due aspetti, quello dell’istruzione e degli obiettivi (di cui nel presente
volume poco si parla, perché l’argomento abbraccerebbe tutta la psicologia dell’apprendimento, la didattica e la definizione e valutazione degli obiettivi) riguardano
le strategie e tecniche di apprendimento attivo e di valutazione che possono essere
reperite in qualsiasi volume su questi argomenti. L’aspetto significativo è che una
traslazione di questi aspetti entro una classe eterogenea esclude l’improvvisazione
e richiede non solo riflessione, ma anche la stesura scritta e progettuale per coordinare e connettere tanti aspetti del processo di apprendimento.
PER QUALSIASI INSEGNANTE È POSSIBILE GESTIRE E CONDURRE UNA CLASSE ETEROGENEA
È possibile che tutti questi ragionamenti siano convincenti, ma tra il dire e il
fare c’è un salto che dà la sensazione del “rischio”, del “nuovo”, del “timore”,
dell’ “imprevedibile”. Probabilmente molti insegnanti di fronte a questo compito
non si sentiranno adatti, capaci o professionalmente preparati. Ma chi mai ci ha
professionalmente preparati a tale compito? Potremmo dire che la stessa domanda
se la possono fare un padre o una madre quando hanno realmente un figlio. Lo
stesso interrogativo se lo può porre un magistrato che entra per la prima volta in
tribunale. Gli stessi dubbi assalgono un chirurgo che non ha mai operato, anche
se ha visto tante operazioni. Gli stessi pensieri possono affollarsi nella mente in
chi apre un negozio o è assunto a un nuovo lavoro? Verrà qualcuno a comprare?
Sarò capace? Gli stessi dubbi vengono a un autista principiante quando è lasciato
solo a guidare la macchina per la prima volta. Donald Schön, nel suo volume Il
professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale (1999, Bari, Dedalo), ci dice che nessuna scuola è in grado di preparare a tutto
ciò che, in una professione, una persona è chiamata a fare.
Tuttavia una certa preparazione è utile. Ma più che leggere molto, è utile lasciarsi guidare da un’immagine di professionalità e da una pratica riflessiva. Su
quest’ultima non ci soffermiamo. L’insegnante può lasciarsi guidare dal volume
appena citato. Quanto al quadro di riferimento professionale invitiamo a leggere
con attenzione l’introduzione della PARTE I che sintetizza gli aspetti e i caratteri
di una professionalità dell’insegnante, traendoli da sintesi di documenti ufficiali
di organizzazioni professionali.
Estratto della pubblicazione
Prefazione all’edizione italiana
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Raccogliamo qui alcuni aspetti della professionalità insegnante. Chi legge potrà arricchire o precisare ulteriormente questi aspetti durante la lettura del volume o sulla base dei propri punti di forza o di debolezza.
“Gli insegnanti di successo sono leader naturali. Lungo il percorso gestiamo i dettagli necessari per conseguire gli obiettivi che abbiamo ogni ragione di
credere che beneficeranno coloro che ci seguono. Un’autentica leadership ha un
orientamento etico – cioè meritare la fiducia di chi lo segue. Per raggiungere un
tale livello di leadership, dobbiamo:
● lavorare a partire da e aspirare a un obiettivo che rappresenti un miglioramento rispetto allo status quo;
● definire con chiarezza questa visione in modo che coloro che sono invitati a
esserne i sostenitori abbiano un motivo valido per farlo;
● muoversi consapevolmente verso questa visione mentre, allo stesso tempo,
si presta attenzione alle voci e alle esigenze di coloro che necessariamente
aiuteranno a realizzarla;
● essere pazienti con e sostenere coloro che vogliono cambiare, ma impazienti
con gli ostacoli artificiali al progresso;
● mantenere un ritmo che assicuri costantemente progressi visibili senza spingere il sistema oltre la sua capacità di cambiare;
● monitorare gli esiti del cambiamento ed essere disposti ad adattarsi, se necessario, per ottenere i risultati desiderabili ed eliminare gli esiti indesiderabili.
[…] gli insegnanti, che sono più efficaci con la differenziazione, operano da
forti (e crescenti) basi di conoscenze che sono radicate in una filosofia di quello
che potrebbero essere le classi, se massimizzassero la capacità di ogni studente. Questi insegnanti invitano gli studenti ad aiutarli a costruire una classe e a
partecipare alla sua salute, mano mano che avanza l’anno scolastico. Per questi
insegnanti, la differenziazione non è un insieme di strategie, quanto piuttosto un
modo di pensare il lavoro che svolgono, demograficamente necessario, eticamente focalizzato, pedagogicamente informato e empiricamente provato”.
CONCLUSIONE
Vogliamo concludere questa presentazione empatizzando con i sentimenti, i
dubbi, le perplessità di chi si accinge alla lettura di questo volume. Chi ha già letto il volume precedente dell’autrice Adempiere la promessa di una classe differenziata, (LAS, Roma) probabilmente è già più disposto alla lettura del presente.
Per lei o lui non si tratta che di proseguire su una strada probabilmente già cominciata. Dubbi non ci sono più, anche se permangono bisogni di miglioramento
della professionalità. Per chi inizia c’é forse la paura di chi sta per buttarsi per la
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Prefazione all’edizione italiana
prima volta con un deltaplano o si sta mettendo alla prova con un paracadute. Da
una parte vi è la sicurezza di dove poggiano i piedi, dall’altra parte c’è… il vuoto.
Buttarsi non è facile. Che fare?
Se ce ne fosse bisogno, raccomandiamo due letture attente. La prima è la
conclusione del volume precedentemente citato. Per chi non ne disponesse, lo
riproponiamo qui di seguito. La seconda lettura è la Prefazione del presente volume che è bellissima e affascinante.
Dal volume Adempiere la promessa di una classe differenziata:
“Se ci concediamo di sviluppare la passione per il nostro lavoro, rinasceremo continuamente, diventeremo sempre più solidi e più squisitamente umani rispetto a come
eravamo.
Ne consegue che per insegnare in modo da rispondere ai bisogni dei nostri ragazzi più
efficacemente, dobbiamo accettare due sfide fondamentali.
Innanzitutto dobbiamo coltivare la passione per la professione docente; poi dobbiamo svestirci della nostra armatura protettiva – delle nostre difese – e permettere ai nostri
studenti di incidere su di noi, di rimodellarci, a partire dalla riflessione su ciò che vediamo e dall’apprendimento che ne deriva.
Ray McNulty, che è stato membro del ministero dell’istruzione del Vermont e che
nel cuore continua a essere un insegnante, racconta una storia bellissima su sua madre.
Si tratta di una splendida metafora di ciò che accade quando coltiviamo la passione per
il nostro lavoro.
Ray McNulty è cresciuto in un quartiere etnico di Boston. Sua madre era italiana e
lui sapeva – come tutti del resto nel quartiere – che la madre cucinava il migliore sugo
per spaghetti del suo quartiere, dove la salsa per gli spaghetti veniva chiamata “salsa di
carne” (intingolo a base di sugo di carne). Quando la mamma cucinava il sugo, tutti volevano essere invitati a pranzo. Quando si trasferì all’università si rese immediatamente
conto di aver lasciato dietro di sé un tesoro culinario. Sua madre continuava a preparare
il sugo per lui, lo impacchettava nel ghiaccio secco e lo spediva al figlio, che si è sempre
dimostrato grato alla madre per aver cucinato il sugo per lui in tutta la sua carriera fino
a pochi anni prima.
Preoccupato che la madre spendesse una notevole somma di denaro per spedire la
salsa nel Vermont, Ray McNulty le chiese di mandargli la ricetta: “Voglio imparare a fare
la salsa come la fai tu!”, le disse “e questo faciliterà le cose anche a te!”. Così la madre
gli diede la ricetta che lui seguì attentamente, ma la salsa che cucinò non fu particolarmente gustosa. Allora osservò la madre mentre preparava la salsa per tentare di imitarla.
Ci riprovò, ma il risultato non migliorò di molto.
Ray McNulty racconta che nel tempo egli continuò a guardare e a riflettere su ciò che
vedeva fare dalla madre ed ecco cosa imparò: “Non ci sono ricette per l’amore”. Per sua
madre, l’atto di cucinare la salsa era un atto d’amore e di devozione. Mentre cucinava
donava se stessa e si immergeva in ciò che stava facendo come in una forma di contemplazione. Le cose che non possono essere scritte avvengono quando dai la vita in ciò che
fai. Egli racconta anche: “Talvolta, mia madre persino cantava alla salsa!”.
Sarei pronta a scommettere che la prima volta per la madre di Ray McNulty non è
stato appassionante preparare il sugo; forse neanche la centesima volta. Ma ella ha impa-
Estratto della pubblicazione
Prefazione all’edizione italiana
15
rato che cucinare la salsa poteva essere un modo per realizzare se stessa – che il compito
aveva una dignità e conteneva possibilità che superavano la sua consapevolezza iniziale.
La madre imparò ad amare l’atto di cucinare la salsa e a trovare gioia nel donarsi in ciò
che faceva.
Poco tempo dopo aver sentito la storia della madre di RayMcNulty che cantava alla
salsa, ho letto un breve articolo relativo a un fornaio di Saratoga Springs, New York, il
quale era stato precedentemente, e per anni, docente universitario. A Michael London è
venuta l’idea di fare del pane non tanto per lavoro, quanto per vocazione. Quando parla
della complessità della composizione e delle strutture del pane e dell’immensa soddisfazione che trova nel lungo e intenso processo delle pagnotte di pane, che sta preparando
una alla volta, è come estasiato. Il pane, dice, è diventato il suo percorso interiore, il suo
mezzo espressivo. Fare il pane lo rende ciò che dovrebbe essere. Man mano che egli
cresce, anche il pane evolve – spiega Michael – e ciò lo rende una cosa sola con il pane
(Heydari, 2002).
Questa è la metafora per la seconda sfida e opportunità che abbiamo come insegnanti – lasciarci ri-formare da ciò che facciamo per diventare una cosa sola con il nostro
lavoro.
Le cose stanno proprio così: l’insegnamento è dei migliori quando impariamo a cantare alla salsa degli spaghetti, a ritrovare noi stessi nell’intenso processo del fare il pane,
una pagnotta alla volta. Coltivando passione per le persone e per ciò che insegniamo, diventiamo ciò che possiamo essere, anche quando accettiamo la sfida idealistica di aiutare
ogni studente che incontriamo a diventare ciò che può diventare.
Come iniziare se nessuno ci ha aperto la strada? Cominciando! Joan Cone (1993),
insegnante di scuola superiore, la cui carriera simboleggia l’insegnante che cambia direzione per ampliare le possibilità di un numero sempre maggiore di studenti, ci ricorda
che abbiamo imparato ad andare in bicicletta non studiando la bicicletta fino a quando
ci siamo sentiti sicuri, ma montandoci sopra, cadendo e risalendo nuovamente in sella.
Lo stesso si può dire del cucinare la salsa o del fare il pane. Impariamo iniziando e insistendo” (pp. 138-139).
Possiamo ancora aggiungere un suggerimento o un consiglio. Per cominciare
non è necessario essere perfetti. Si legga e si rifletta sulla bellissima esperienza
presentata dalla Tomlinson nella Prefazione. Ciò che è importante non è fare le
cose in modo irreprensibile, ma “crederci”.
Prof. Mario Comoglio
Facoltà di Scienze dell’Educazione
Università Pontificia Salesiana
Roma
Prefazione
“Lontano in pieno sole sono le mie più alte aspirazioni.
Forse non le raggiungerò, ma posso alzare lo sguardo e
vedere la loro bellezza, credere in loro e cercare di seguirle ovunque mi conducano”.
Louisa May Alcott
Non sono in grado di raccontare con troppi particolari il mio sesto o decimo
anno di insegnamento o qualsiasi altro anno preciso dei miei ventuno anni trascorsi nella scuola superiore, dell’infanzia e nelle classi della media inferiore,
tranne il primo e il quarto anno. Naturalmente, ci sono memorie degli anni di
insegnamento nella scuola pubblica che rimarranno sempre in me, ma nessun
altro anno scolastico è presente alla mia mente con dettagli così nitidi come i due
a cui accennavo. È stato in questi due anni che ho fondato la mia bussola come
insegnante.
Durante la mia adolescenza, avevo giurato che non sarei mai stata un’insegnante. Mia madre era insegnante (e immensamente orgogliosa del suo lavoro) e
a me andava bene finché non finimmo nella stessa scuola quando io frequentavo
la sesta classe. È stato un anno duro per me: non stavo solo entrando nell’adolescenza come caso di impressionante timidezza, ma frequentavo anche una scuola
nuova in una città nuova. Ci eravamo appena trasferite dalla città in cui avevo
trascorso undici anni della mia vita in una nuova città in cui, per questioni di
principio, non volevo amare niente. Mia madre era una madre tutta dedita al suo
ruolo. La mia insegnante in quell’anno fu una delle migliori che io abbia mai
avuto; tuttavia, mi era chiaro che mia madre tornava a casa ogni giorno informata delle cose che avevo detto o fatto. Mi sentivo spiata, e ciò alimentava il mio
imbarazzo. Con la mancanza di logica tipica dell’adolescenza, conclusi che non
volevo essere una di quelle “spie” che osservano i ragazzi e “li denunciano”!
(Non importa che la mia insegnante mi sostenesse e fosse gentile e cercasse di
alleggerire la mia situazione – lei era una spia ed io la spiata).
Così, mi ripromisi che una volta cresciuta avrei fatto qualsiasi cosa tranne che
insegnare. Rimasi sempre fedele a quella dichiarazione nei dieci anni a seguire
e in occasioni appropriate come quando mia madre mi spiegò che all’università
avrei dovuto seguire i corsi per l’insegnamento “per precauzione, se non fossi
riuscita in altro”.
Estratto della pubblicazione
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Prefazione
Chiarii con sdegno che per me non aveva senso iscrivermi ai corsi di pedagogia. Forse – le dissi – si era completamente scordata che avevo promesso
solennemente che non avrei mai insegnato, per nessuna ragione. Mi rispose che
avrebbe approvato qualsiasi corso di studi avessi scelto purché sostenessi un
numero sufficiente di esami che mi avrebbero abilitata a insegnare, perché “non
si sa mai…”.
Spiegai con tono ancor più acceso che ero una giovane adulta, che mi ero
guadagnata il diritto di prendere le mie decisioni e lei chiarì con notevole calma
che era lei a pagare le tasse universitarie. Così, seguii i corsi per l’insegnamento,
li trovai inutili, e vociferando rinnovai spesso il mio voto che non sarei mai e poi
mai diventata un’insegnante.
Inizia una carriera
Ottenni il mio primo lavoro di insegnante alla fine di ottobre un anno dopo
aver finito l’università. Allora lavoravo come manager pubblicitario per una casa
editrice universitaria e avevo scoperto un altro lavoro per cui nutrivo avversione.
Introversa come ero, non riuscivo ancora ad entusiasmarmi per un lavoro che mi
chiedeva di stare seduta da sola in una stanzetta, giorno dopo giorno, lavorando
con una copia esoterica di libri esoterici. Poi, un giorno di ottobre a pranzo, trovai
un annuncio di lavoro per un posto da insegnante. Magicamente, mi suonò come
una meravigliosa opportunità.
Presi un pomeriggio di permesso, feci il colloquio, fui assunta, mi adattai immediatamente al mio nuovo titolo di docente di lingua inglese e storia nella scuola superiore e mi licenziai dall’editrice universitaria. Il fine settimana tra la mia
conversione all’insegnamento e la realtà della scuola sperimentai l’apprensione
e l’emozione che solitamente caratterizzano l’ingresso nella professione docente.
Il lunedì, giunsi alla scuola che comprendeva tutto il ciclo scolastico (dalla
scuola dell’infanzia alle superiori), la quale distava circa un’ora e 15 minuti da
casa mia. Era situata in un’area che offriva una chiara definizione del termine
rurale. La cittadina aveva un nome, un ufficio postale, un negozio con tutto ciò
che serve per il tabacco e le pipe, e una carrozzeria. L’ufficio postale chiuse poco
dopo il mio arrivo perché c’erano pochi utenti. Il negozio di pipe e tabacchi
aveva successo a causa dei molti coltivatori di tabacco del luogo. La carrozzeria
prosperava grazie alla sua ubicazione nei pressi di un binario ferroviario dove la
strada sprofondava di circa 30 cm senza alcun preavviso.
Il preside della scuola dove stavo per cominciare (quella che pensavo sarebbe
stata la carriera di un anno) raramente veniva a scuola nella prima parte della
mattinata. Era un uomo timido e, credo, avesse abbastanza paura degli studenti
più grandi. Il vice preside mi accompagnò nella mia nuova classe all’inizio delle
Estratto della pubblicazione
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