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Le nuove società di comodo

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Le nuove società di comodo
Le nuove
società di comodo
di A LESSANDRO FELICIONI
http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it
PREMESSA
Conto alla rovescia per le istanze di disapplicazione
delle società di comodo; dopo il tourbillon delle novità
dello scorso anno è giunto il momento di presentare, per chi ne ha possibilità, l’istanza volta a rendere
inefficaci le penalizzazioni; istanza che va presentata entro il 22 marzo se si vuole avere la sicurezza che
l’iter burocratico si concluda prima della scadenza del
versamento delle imposte dirette di luglio.
In verità quest’anno la problematica è doppia: oltre
alla scadenza imminente per presentare l’istanza, si
prospetta un tour de force anche in sede di determinazione dei versamenti in acconto, dal momento che le
nuove regole entrano in vigore quest’anno ma riverberano i propri effetti anche sugli acconti, costringendo
i contribuenti a fare calcoli ed ipotesi di ardua soluzione. La stretta sulle società di comodo si affianca e
completa la nuova disciplina dell’assegnazione dei beni ai soci; entrambe le normative, infatti, intendono
colpire la fittizia intestazione di beni a società laddove, nella realtà, gli stessi sono a disposizione delle
persone fisiche di riferimento.
ASPETTI GENERALI
La disciplina delle società non operative venne originariamente introdotta dai commi 1, 2, 3, 3-bis, 4 e
4-bis dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994 n. 724.
Tale disciplina ha subito negli anni diverse modifiche
normative, in particolare recentemente ha subito cambiamenti principalmente ad opera dell’art. 35, commi
15 e 16 del dl 4/7/2006 n. 223 (convertito, con modifi-
cazioni, dalla legge 4/8/2006 n. 248), dell’art. 1, commi
109 e seguenti, della legge 27/12/2006 n. 296 (finanziaria 2007) e, ultimamente, del dl n. 138 del 2011 , la
cosiddetta manovra di Ferragosto dello scorso anno.
Da un punto di vista operativo la disciplina prevede per le società che non rientrano nelle cause di
esclusione, non hanno optato per lo scioglimento o trasformazione agevolata oppure non hanno presentato
interpello con esito favorevole, la verifica dello status
di società non operativa attraverso un test di non operatività di cui al comma 1 dell’art. 30.
L’obiettivo di tale test è verificare se nell’ultimo
triennio (compreso l’esercizio per cui è operata la
predetta verifica) la media dei ricavi, incrementi di
rimanenze e proventi (esclusi quelli di carattere straordinario) risultanti dal conto economico, sia almeno
pari al valore determinato mediante applicazione alla media triennale dei valori attribuibili agli aspetti
patrimoniali, specificamente previsti dal comma 1
dell’art. 30, delle percentuali ivi indicate. Il mancato superamento del test di operatività implica per
il contribuente specifiche conseguenze ai fini delle
imposte dirette (obbligo dichiarare reddito minimo
presunto, limitazione nell’utilizzazione di perdite
pregresse), dell’Iva (inibizione alla compensazione,
richiesta rimborso, cessione credito ecc). Per la valutazione del test di operatività occorre determinare i
ricavi figurativi mediante l’applicazione di alcune percentuali da applicare sulla media dell’ultimo triennio
di determinate categorie di beni. In particolare è stato
precisato che per l’individuazione dei beni e le immo-
I tempi di presentazione dell’istanza di interpello
Adempimento
Per avere la risposta
entro la scadenza
della trasmissione
Presentazione istanza interpello
3 giugno 2012
Parere della Direzione provinciale dell’agenzia
2 luglio 2012
(30 gg dall’istanza)
Parere della Direzione Regionale delle Entrate
(90 giorni dalla risposta della direzione 30 settembre 2012
provinciale)
Per avere la risposta
entro la scadenza dei
versamenti
22 marzo 2012
21 aprile 2012
20 luglio 2012
12 Marzo 2012
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
bilizzazioni rilevanti ai fini del calcolo necessita fare
riferimento a «Titoli e assimilati», «Immobili», Altre
immobilizzazioni».
SOGGETTI COINVOLTI
Il comma 1 dell’articolo 30 individua i soggetti interessati alla disciplina delle società non operative.
Si tratta, in particolare, delle società per azioni, in
accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in
nome collettivo e in accomandita semplice, nonché delle società non residenti con stabile organizzazione nel
territorio dello Stato. Restano fuori, quindi, le società
cooperative, gli enti commerciali e non commerciali, le
società consortili e le società che non hanno una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
La disciplina non si applica, inoltre, a quei soggetti
che lo stesso articolo 30 esclude espressamente.
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Le esclusioni dirette…
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soggetti che devono obbligatoriamente
costituirsi nella forma di società di capitale
i soggetti che si trovano nel primo periodo
d’imposta
le società in amministrazione controllata o
straordinaria
le società ed enti quotati in Italia
le società esercenti attività di trasporto
pubblico
le società ed enti che controllano società ed
enti quotati e le società da essi controllate
anche indirettamente
le società con un numero di soci pari o
superiore a 50
le società che nei due esercizi precedenti
hanno avuto un numero di dipendenti mai
inferiore a dieci unità
le società in stato di fallimento, assoggettate
a procedure di liquidazione giudiziaria, di
liquidazione coatta amministrativa ed in
concordato preventivo
le società che presentano un ammontare
complessivo del valore della produzione
(raggruppamento A del conto economico)
superiore al totale attivo dello stato
patrimoniale
le società partecipate da enti pubblici almeno
nella misura del 20% del capitale sociale
le società che risultano congrue e coerenti ai
ini degli studi di settore
... e quelle indirette
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le società cooperative
le società di mutua assicurazione
gli enti commerciali e non commerciali
residenti
le società consortili
●
le società e gli enti non residenti privi di
stabile organizzazione in Italia.
TEST DI OPERATIVITÀ E DETERMINAZIONE
DEL VALORE MINIMO
Il test di operatività, previsto nel comma 1 dell’articolo 30, si pone l’obiettivo di individuare se una
società rientra o meno tra quelle considerate non operative. Il test consiste nel confrontare valori effettivi,
risultanti dal conto economico, con valori presunti,
determinati secondo i criteri previsti nel medesimo
articolo 30: qualora i valori effettivi risultino inferiori rispetto a quelli presunti, la società è considerata
non operativa.
Per effettuare il test di operatività, il contribuente dovrà:
• determinare il valore presunto
• determinare il valore effettivo
• confrontare il valore presunto con il valore effettivo.
Per determinare il valore presunto occorre, in primo
luogo, suddividere i beni in tre principali comparti: titoli e assimilati immobili e altre immobilizzazioni.
Nel primo comparto (titoli e assimilati) rientrano
tutti i beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere
c), d) ed e), del Tuir, nonché le quote di partecipazioni
nelle società di persone «commerciali». Non rientrano
nel comparto in esame le azioni proprie, i crediti commerciali e i crediti per rimborsi di imposte.
Nel secondo comparto (immobili) rientrano, invece,
le immobilizzazioni e i beni indicati nell’articolo 8-bis,
primo comma, lettera a), del dpr n. 633 del 1972. In
generale, ci si riferisce ai terreni, ai fabbricati e alle
navi, escluse le unità da diporto. Anche su tale comparto la circolare n. 25/E ha chiarito alcuni aspetti
problematici. In particolare, sono esclusi dal comparto «immobili» quelli concessi in usufrutto, a condizione
che lo stesso sia a titolo gratuito e a favore di soggetti diversi dai soci o familiari.
Sono escluse, inoltre, le immobilizzazioni in corso (in
quanto non idonee a produrre proventi) e gli immobili merce (in quanto non compresi tra i beni indicati
nel primo comma dell’articolo 30).
Nel terzo comparto (altre immobilizzazioni) rientrano, infine, gli impianti e i macchinari, le attrezzature
industriali e commerciali e gli altri beni indicati alla
voce B, II, 4) dello stato patrimoniale.
I beni concorreranno nei tre comparti sulla base del loro valore fiscale, secondo i criteri previsti
nell’articolo 110, comma 1 del Tuir. Una volta che il
contribuente ha classificato i beni all’interno dei tre
comparti dovrà calcolare, per ciascun comparto, l’investimento medio triennale realizzato e applicare, a
ciascun valore medio, le percentuali del 2 (per il comparto titoli), del 6 (per gli immobili) e del 15% (per le
altre immobilizzazioni).
La somma dei valori ottenuti applicando le suddette percentuali darà il valore presunto da confrontare
con il valore effettivo
Il valore effettivo, necessario ai fini del confronto
con il valore presunto, si ottiene attraverso una media
triennale dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e
dei proventi, risultanti dal conto economico. In generale, per i ricavi occorre considerare i valori indicati
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alle voci A1 e A5 del conto economico, mentre per gli
incrementi di rimanenze occorre sommare le variazioni positive delle voci A2, A3 e B11 del medesimo
conto economico.
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Il doppio test di operatività
Primo test: ricavi minimi
●
media su base triennale dei ricavi, degli
incrementi delle rimanenze e dei proventi
(esclusi quelli straordinari) assunti in base
alle risultanze del conto economico non
inferiore ai ricavi presunti, ottenuti applicando
le seguenti percentuali:
●
2% al valore medio dei titoli e delle
partecipazioni anche immobilizzati e dei crediti
(esclusi quelli di natura commerciale)
●
6% al valore medio delle immobilizzazioni
costituite da beni immobili e navi destinate
all’esercizio di attività commerciali, di
proprietà o in locazione inanziaria
●
5% al valore medio degli immobili classiicati
nella categoria catastale A/10
●
4% al valore medio degli immobili a
destinazione abitativa
●
15% al valore medio delle altre immobilizzazioni,
anche in locazione inanziaria;
●
1% al valore medio di tutti gli immobili situati
in Comuni con popolazione inferiore a 1.000
abitanti
Secondo test: reddito minimo
Se la società non supera il test dei ricavi minimi
rientra tra quelle di comodo e deve determinare il
reddito imponibile minimo, applicando le seguenti
percentuali:
●
1,50% al valore medio dei titoli e crediti
(esclusi quelli di natura commerciale)
●
4,75% al valore medio delle immobilizzazioni
costituite da beni immobili e di navi destinate
all’esercizio di attività commerciali, di
proprietà o in locazione inanziaria
●
4,00% al valore medio degli immobili
classiicati nella categoria catastale A/10
●
3,00% al valore medio degli immobili a
destinazione abitativa (categoria catastale
A)
●
12,00% al valore medio delle altre
immobilizzazioni, anche in locazione
inanziaria
●
0,90% al valore medio di tutti gli immobili
situati in Comuni con popolazione inferiore
a 1.000 abitanti
Nella determinazione del valore effettivo, il contribuente non dovrà considerare le componenti
straordinarie di reddito. Ciò trova giustificazione nel
fatto che solo la gestione caratteristica dell’impresa
e le sue componenti ordinarie riescono a fornire un
quadro attendibile sull’operatività o meno della società. Determinato il valore effettivo, lo stesso dovrà
essere confrontato con il valore presunto: la società è
considerata non operativa qualora il valore effettivo
risulti inferiore rispetto a quello presunto. (vedi tabella pagina seguente)
LE CONSEGUENZE
DELLA NON OPERATIVITÀ
La società considerata non operativa è assoggetta
alla disciplina prevista nei commi 3, 3-bis e 4 dell’articolo 30, riguardanti, rispettivamente, le imposte sui
redditi, l’Irap e l’Iva.
La prima conseguenza della non operatività consiste nell’obbligo di dichiarare un reddito non inferiore
a quello minimo, previsto nel comma 3 dell’articolo
30 in commento.
Per determinare il reddito minimo il contribuente dovrà:
• individuare, per ciascun comparto, il valore
dell’esercizio per il quale si sta verificando la
condizione di operatività
• applicare a ciascun valore del comparto le percentuali dell’1,50 % (titoli e assimilati), del
4,75% (immobili) e del 12% (altre immobilizzazioni)
• sommare i singoli valori.
Riprendendo i valori dell’esempio precedente, la società non operativa dovrà determinare il suo reddito
minimo presunto nel seguente modo.
Nell’ipotesi in cui la società non operativa fruisca
di agevolazioni fiscali, le stesse, ha chiarito la circolare n. 25/E del 4 maggio, assumono rilevanza anche
nella determinazione del reddito minimo.
Altra importante conseguenza della non operatività è prevista nel comma 3 dell’articolo 30, e riguarda
la limitazione prevista per le perdite degli esercizi
precedenti: tali perdite, infatti, possono essere computate in diminuzione soltanto della parte di reddito
eccedente quello minimo.
Una delle principali novità introdotte dalla legge
finanziaria 2007 riguarda la necessità, per le società
non operative, di dichiarare anche ai fini Irap un valore minimo imponibile.
Tale previsione normativa è contenuta nel comma
3-bis dell’articolo 30, e consiste nel determinare un
valore minimo della produzione, partendo dal reddito minimo rilevante ai fini Ires, aumentato di tutte
quelle componenti che ordinariamente non sono deducibili dalla base imponibile Irap (ci si riferisce, in
particolare, alle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, ai compensi spettanti ai collaboratori
coordinati e continuativi, ai compensi erogati per
prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e agli interessi passivi).
Anche in questo caso, come per le imposte sui redditi, la circolare n. 25/E del 2007 ha precisato che la
società potrà continuare a beneficiare delle agevolazioni spettanti. Il valore della produzione minimo
(24.625), quindi, sarà decurtato di eventuali agevola-
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
Un esempio di applicazione
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I DATI DI PARTENZA
Valore
Valore
Beni
Valore 2010
2009
2011
Partecipazioni
100.000
50.000
150.000
Immobili diversi da A/10 e navi
200.000
250.000
210.000
Altre immobilizzazioni
50.000
30.000
70.000
DETERMINAZIONE RICAVI PRESUNTI
Beni
Media
Percentuale
Partecipazioni
100.000
2
Immobili diversi da A/10 e navi
220.000
6
Altre immobilizzazioni
50.000
15
TOTALE
DETERMINAZIONE DEL REDDITO MINIMO
Beni
Valore 2011
Percentuale
Partecipazioni
150.000
1,75
Immobili diversi da A/10 e navi
210.000
4,75
Altre immobilizzazioni
70.000
12
TOTALE
zioni spettanti ai fini Irap.
La società considerata non operativa sarà assoggettata alle limitazioni previste, ai fini Iva, dal comma
4 dell’articolo 30.
In particolare, l’eccedenza di credito risultante
dalla dichiarazione non potrà:
• essere chiesta al rimborso
• essere utilizzata in compensazione o ceduta.
Con riferimento al punto 1), la circolare n. 25/E
del 4 maggio ha precisato che il divieto al rimborso
Iva opera limitatamente all’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale, non
precludendo la possibilità di ottenere rimborsi infrannuali. In teoria, quindi, la società può ottenere
un rimborso Iva infrannuale, salvo poi restituirlo, maggiorato di interessi, nell’ipotesi in cui a fine
esercizio risulti non operativa.
Oltre alle due limitazioni sopra evidenziate, ne
esiste una terza che si sostanzia nella definitiva
perdita dell’eccedenza di credito Iva, la quale non
potrà più essere utilizzata per compensare l’imposta a debito dei periodi successivi. Ciò si verifica
quando la società è non operativa per tre periodi
d’imposta successivi, nei quali sia dichiarato un
volume d’affari inferiore al valore presunto, determinato secondo i criteri previsti al comma 1
dell’articolo 30.
Ad esempio, qualora la società risulti non operativa nei periodi d’imposta 2006-2007-2008 e
nel medesimo triennio non effettui operazioni
rilevanti, la stessa non potrà più utilizzare in compensazione Iva l’eccedenza di credito esistente alla
data del 31 dicembre 2008.
Al riguardo, la circolare n. 25/E ha precisato che
la verifica dovrà essere effettuata ogni anno con
riferimento all’anno stesso e al biennio immediatamente precedente.
Media di riferimento
100.000
220.000
50.000
Ricavi presunti
2.000
13.200
7.500
22.700
Reddito minimo
2.250
9.975
8.400
20.625
Cosa comporta essere
società di comodo
●
●
●
●
●
obbligo di dichiarare ai ini Ires/Irpef il reddito
minimo e, ai ini Irap, il valore della produzione
minimo determinato ai ini delle società di
comodo
applicazione dell’aliquota Ires maggiorata
(38%) per le società di capitali (27,50 +
10,50).
nel periodo in cui la società è non operativa,
è possibile utilizzare le perdite di periodi
precedenti in diminuzione solo del reddito
che eccede quello minimo
impossibilità di chiedere a rimborso, cedere o
utilizzare in compensazione il credito iva
divieto di riporto del credito Iva in assenza
di operazione Iva attive per tre periodi di
imposta consecutivi.
LE NOVITÀ DELLA MANOVRA
DI FERRAGOSTO
Il dl 138 del 2011 ha profondamente ritoccato la
disciplina delle società di comodo prevista dall’art.
30 della legge 724 del 1994. Infatti si prevede per le
società di capitali non operative una maggiorazione dell’Ires di 10,5 punti percentuali e l’applicazione
della disciplina inerente le società di comodo anche
per le società in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi o quelle che in due distinti periodi
d’imposta hanno dichiarato perdite fiscali e nel terzo
un reddito inferiore al minimo determinato dall’art.
30 della legge 724 del 1994. Le condizioni di sfavore
previste in questi casi operano quindi indipendentemente dal superamento del test di operatività previsto
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
appunto dall’art. 30. L’aliquota Ires maggiorata sarà
pari quindi al 38% ed entrerà in vigore nell’esercizio
d’imposta successivo al 17 settembre 2011 sia per le
società che sono di comodo in quanto non superano
il previsto test di operatività sia alle società che rientrano in quelle con perdite sistemiche.
Occorre ribadire che la maggiorazione di aliquota
del 10,5% è prevista anche alla quota di reddito applicata per trasparenza ad una società di capitali da
una società di persone non operativa ( il reddito sarà
tassato al 27,% ad esclusione della parte di reddito attribuito per trasparenza dalla società di persone). Per
quanto riguarda invece le società di comodo che hanno scelto di optare al regime di trasparenza fiscale il
reddito ai sensi degli artt. 115 e 166 del Tuir è previsto che assoggettino in maniera autonoma il reddito
all’aliquota maggiorata del 10,5% e che provvedano
al relativo versamento dell’imposta. Anche le società
di comodo che hanno scelto di optare per la tassazione
di gruppo ai sensi dell’art. 117 del Tuir, sia in qualità
di consolidanti che di consolidate, dovranno assoggettare il proprio reddito all’Ires maggiorata e prevedere
al relativo versamento d’imposta, mentre la società
consolidante assoggettare all’aliquota ordinaria del
27,5% il reddito prodotto a livello complessivo (tale
reddito sarà determinato dalla somma algebrica dei
singoli redditi netti delle complessive società aderenti al consolidato).
Per quanto riguarda il pagamento degli acconti
per il periodo d’imposta di prima applicazione occorre assumere come imposta del periodo precedente
quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni. Pertanto i soggetti che ricadono nella
normativa dovranno rideterminare l’imposta dovuta
applicando la nuova aliquota maggiorata e tale valore dovrà essere preso come riferimento per il calcolo
degli acconti del 2012. I soggetti che si trovano invece
nella situazione di società di comodo per il mancato
superamento del test di operatività possono applicare
il metodo previsionale per il calcolo degli acconti per
il 2012 e versare l’imposta dovuta applicando un’aliquota ires del 27,5% se ritengono di superare per il
2012 il test.
Per quanto riguarda le nuove disposizioni introdotte per le società in perdita sistemica il triennio
di riferimento per valutare la perdita sarà quello
che va dal 2009 al 2011 e pertanto la maggiorazione
del 10,5 punti percentuali sarà applicata dal quarto
periodo d’imposta. La verifica nei periodi successivi verrà effettuata sempre su un triennio mobile ( di
conseguenza per il 2013 il periodo di riferimento sarà il triennio 2010-2012). Se nel periodo d’imposta
considerato vi sono delle cause di esclusione allora
occorrerà effettuare di nuovo il calcolo sul triennio
successivo (ad esempio se nel 2011 vi è una causa di
esclusione occorrerà effettuare il calcolo sul triennio
2012-2014). In questo caso però occorrerà fare maggiore chiarezza, come del resto richiesto espressamente
dall’associazione nazionale dei commercialisti, se è
ancora possibile applicare la circolare 25 dell’Agenzia
delle entrate del 4 maggio 2007. Quest’ultima stabilisce chiaramente che nella determinazione dei ricavi
presunti e di quelli effettivi occorre considerare i due
periodi d’imposta precedenti a quello in osservazione, anche se interessati da cause di esclusione come
previsto dalla norma. Se tale clausola potrà essere
applicata non sarà necessario far ripartire il computo del triennio mobile.
Viene invece espressamente stabilito che sono
escluse dal novero delle società che ricadono nelle
norme inerenti le perdite sistemiche quelle che sono costituire nel 2010 e nel 2011 visto che manca un
triennio di riferimento. Inoltre per le società in perdita sistemica possono essere applicate le cause di non
applicazione previste dall’art. 30 della legge 724/1994.
In ogni caso sono esclusi dalla normativa le cooperative, le società di mutuo soccorso, imprese individuali,
lavoratori autonomi e enti commerciali e non commerciali residenti.
L’INCREMENTO DELL’ALIQUOTA
La maggiorazione dell’aliquota trova applicazione
ogni qualvolta la società rientri tra quelle considerate non operative dal citato articolo 30 della legge 724
del 1994. Si ricorda, al riguardo, che lo status di operatività deve essere verificato effettuando il cosiddetto
test di operatività, il quale prevede un confronto traun
valore effettivo, determinato considerando ricavi, incrementi di rimanenze e proventi ordinati imputati
a conto economico e un valore presunto, calcolato applicando a taluni beni e immobilizzazioni specifiche
percentuali. Qualora il valore effettivo risulti inferiori rispetto a quello presunto la società è considerata
non operativa ed è assoggettata a delle conseguenze rilevanti ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap
e dell’Iva.
Si ipotizzi una società che, nei periodi d’imposta
2010, 2011 e 2012 presenti la seguente situazione:
Il primo passaggio consiste nel determinare i singoli ricavi presunti riferibili ai tre comparti, applicando
le percentuali previste dal comma 1 dell’articolo 30 ai
valori medi dei 3 comparti.
Il valore presunto sarà dato dalla somma dei singoli ricavi presunti (2.000 + 13.200 + 7.500).
Qualora la società dichiari un valore effettivo (media dei ricavi, proventi e incrementi di rimanenze nei
periodi d’imposta 2010, 2011, 2012) inferiore rispetto al valore presunto (22.700), la stessa è considerata
non operativa nel periodo d’imposta 2012. La società
in esame - considerata non operativa sulla base del
predetto test di operatività - dovrà dichiarare, tra l’altro, un reddito non inferiore a quello minimo previsto
nel comma 3 del predetto articolo 30.
Riprendendo i valori dell’esempio precedente, la società non operativa dovrà determinare il suo reddito
minimo presunto nel seguente modo:
Il reddito minimo che la società dovrà dichiarare
per adeguarsi alla disciplina in commento - determinato applicando le specifiche percentuali previste
dalla norma ai beni e alle immobilizzazioni dell’anno
per il quale si verifica l’operatività - sarà pari a 20.625
euro. Si tratta di un reddito minimo in quanto la società dovrà dichiarare il suo reddito effettivo qualora
quest’ultimo risulti superiore a quello determinato
presuntivamente. Su tale reddito minimo dovrà essere applicata la maggiore aliquota Ires del 38% e non
quella ordinariamente prevista del 27,5%.
Come si evince dalla relazione tecnica, la maggiorazione di aliquota è applicata sul reddito imponibile
dichiarato anche nel caso in cui quest’ultimo sia supe-
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riore al reddito minimo. L’aliquota del 38% si applica,
peraltro, anche in presenza di un reddito minimo imputato per trasparenza, mentre nel caso in cui sia
stata esercitata l’opzione per il consolidato la maggiorazione dovrà essere calcolata dalla singola impresa
partecipante.
La nuova tassazione si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data
di entrata in vigore della legge di conversione. In altri termini, per un contribuente con periodo d’imposta
coincidente con l’anno solare la maggiorazione sarà
applicabile a partire dal periodo d’imposta 2012. Nella determinazione degli acconti dovuti per il 2012,
tuttavia, si deve assumere quale imposta del periodo
precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni.
L’altra novità in materia di «non operative» introdotta dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2001)
riguarda la possibilità che la società sia considerata di comodo - e, quindi, assoggettata alle previste
limitazioni - indipendentemente dal superamento
del test di operatività di cui all’articolo 30 della legge
724/1994. In particolare, la società dovrà essere comunque assoggettata alla disciplina prevista per le
non operative, al pari delle società che non hanno superato il test di operatività, qualora sia in perdita per
tre periodi d’imposta, così come quando, nell’arco del
triennio, dichiari per due periodi d’imposta una perdita e per uno un reddito inferiore a quello minimo.
Indipendentemente dal superamento del test di operatività, quindi, occorre verificare di non essere, nel
triennio, in nessuna delle due condizioni sopra elencate per evitare di ricadere, a decorrere dal successivo
quarto periodo d’imposta, nelle limitazioni previste in
materia di società non operative.
Al pari dei soggetti che non superano il test di operatività, anche alle società in perdita sono applicabili le
cause di esclusione dalla disciplina delle non operative
previste dall’articolo 30 della legge n. 724 del 1994.
La disciplina appena evidenziata si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso
alla data di entrata in vigore della legge di conversione. In altri termini, per un contribuente con periodo
d’imposta coincidente con l’anno solare le disposizioni
in esame saranno applicabili a partire dal periodo d’imposta 2012. Nella determinazione degli acconti dovuti
per il 2012, tuttavia, si deve assumere quale imposta
del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni.
LE SOCIETÀ IN PERDITA
PER TRE PERIODI D’IMPOSTA
Oltre che alle ipotesi previste dalla normativa del
1994, la Manovra-bis fa diventare non operative le società che registrano una perdita fiscale e che continua
per tre esercizi consecutivi, o anche nel caso in cui vi
siano due esercizi di perdita e nel terzo, il reddito dichiarato sia inferiore a quello minimo. La dichiarazione da
parte di questi soggetti di un reddito superiore a quello
minimo, dovrebbe eliminare la possibilità di applicazione della normativa ordinaria. Si può dire che con tale
norma, vi è una separazione tra le società che sono di
comodo a causa del mancato superamento del test di
operatività, e tra le società che, pur superando il test,
sono in perdita fiscale.
Viene introdotta una presunzione, relativa a quelle
società che dichiarano perdite fiscali in modo sistematico (per tre anni consecutivi). Per tali società, la
norma prescinde dal superamento del test di operatività, individuando come elemento rilevante, quello
della dichiarazione di una perdita fiscale ripetuta per
un triennio consecutivo, oppure, si rientra sempre nel
mondo delle società di comodo, quando le perdite fiscali siano dichiarate in due periodi di imposta e nel
terzo il reddito sia inferiore a quello minimo calcolato
secondo le disposizioni di cui all’articolo 30 della legge
n. 724 del 1994.
LA TRASFORMAZIONE IN SOCIETÀ DI COMODO DEI SOGGETTI
IN PERDITA COSTANTE
Reddito imponibile
Ipotesi
2009
2010
2011
2012
1° caso
-10.000
-8.700
-1.000
S. di COMODO
2° caso
-6.000
2.500 -2.100
S. di COMODO
3° caso
3.700
-2.200 -6.000 S. OPERATIVA*
4° caso
2.150
-1.500 1.250
S. OPERATIVA*
*Se nell’anno 2012 la società supera positivamente il test dei
ricavi.
In relazione a tale seconda ipotesi, due anni di perdita
più un reddito inferiore al minimo, pare che non vi sia
la necessità di identificare consecutivamente i periodi di
imposta in perdita, venendo assunto un arco temporale
di tre periodi d’imposta per poi individuare all’interno
di tale triennio le condizioni previste dalla manovra
estiva. Per l’identificazione del triennio, è importante
capire quale sarà quello da prendere in considerazione
tenendo conto che le novità in questione si applicano
dal periodo di imposta 2012 e, considerando che il legislatore richiede l’applicazione delle nuove regole già in
relazione agli acconti di imposta. Sarà questa una ulteriore situazione dove potrebbe servire la formulazione di
una istanza di interpello disapplicativa basata, anche,
sulla giustificazione di elementi negativi o variazioni
in diminuzione che hanno condotto alla esposizione di
una perdita o di un reddito inferiore a quello minimo.
(si veda tabella nella pagina a fianco
I RIFLESSI DELLE NOVITÀ
SUI PROSSIMI ACCONTI
Il fatto che le modifiche normative introdotte lo scorso anno abbiano riflessi anche nel calcolo degli acconti
relativi al periodo di imposta in corso (2012) impone di
prendere in considerazione le nuove norme fin dai prossimi versamenti di giugno. Per determinare gli acconti
Ires e Irap si dovrà infatti riavvolgere il nastro dell’ultimo periodo di imposta e considerare cosa sarebbe
successo con le nuove regole; a meno che, ovviamente,
non si voglia optare per il metodo di determinazione
degli acconti previsionale, provvedendo a sanare in un
secondo momento eventuali versamenti insufficienti.
Come noto le misure di contrasto alla creazione di
società non operative a fini elusivi, inasprite con il dl
138 del 2011 consistono nella maggiorazione Ires del
10,5%, in una nuova ipotesi di non operatività per chi
è in perdita per tre anni consecutivi e nell’indeducibilità dei costi dei beni dati in uso ai soci a prezzi inferiori
al mercato.
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
SITUAZIONE DI PARTENZA:
(tre esercizi consecutivi in perdita)
2010
2011
2012
Reddito (Perdita)
(100.000)
(50.000)
(10.000)
In tale caso, la società rientra automaticamente nella disciplina delle società non operative
Situazione di partenza:
(due esercizi su tre in perdita)
2010
2011
2012
Reddito (Perdita)
(100.000)
(50.000)
10.000
La società dovrà veriicare che nel 2012 abbia dichiarato un reddito non inferiore rispetto a quello minimo
SITUAZIONE PATRIMONIALE
Reddito miniBeni
Valore anno 2012
Percentuale
mo
Partecipazioni
100.000
1,5
1.500
Immobili diversi da A/10 e navi
200.000
4,75
9.500
Altre immobilizzazioni
50.000
12
6.000
17.000
In questa situazione, la società è considerata non operativa, avendo dichiarato nel 2010 e 2011 una perdita e nel 2012 e un reddito (10.000) inferiore rispetto a quello minimo presunto (17.000).
Tali disposizioni entrano in vigore nel periodo di imposta 2012, ma, nel calcolo degli acconti da versare per
lo stesso periodo, occorre tenerne conto come se esse fossero state applicabili fin dallo scorso esercizio. Cosicché,
come anticipato, si dovrà rideterminare la propria situazione relativa al 2011 considerando applicabili le norme
in questione; se tale rideterminazione fa scattare i presupposti di applicabilità delle norme in questione va
calcolata un’imposta che costituirà la base per la quantificazione dell’acconto 2012.
Pochi problemi si pongono per chi era già attratto
nella morsa delle società di comodo già nel 2011, con
le vecchie norme. Tali soggetti devono versare, oltre
all’Ires e all’Irap sul reddito di Unico 2012, l’acconto
della nuova addizionale Ires del 10,5%. Ovviamente il
contribuente potrebbe non versare la maggiorazione
laddove, prevedendo di sfuggire alla disciplina nel 2012
calcoli il proprio acconto con il metodo previsionale. Tuttavia anche in tale eventualità occorrerà fare i conti con
la norma sulle perdite triennali che potrebbe riportare la società tra quelle di comodo nel 2012, impedendo
la determinazione dell’acconto con il metodo previsionale. In ogni caso va effettuata la verifica in relazione
all’eventuale indeducibilità delle spese sui beni assegnati ai soci a prezzi inferiori al valore di mercato, e tener
conto di tale indeducibilità in sede di acconto.
Per coloro invece che nel periodo di imposta 2011 non
erano di comodo con le vecchie regole ma potrebberlo
esserlo con le nuove occorre in primo luogo verificare
se si era in perdita fiscale nel triennio 2008-2010. In
tal caso la società diventa potenzialmente non operativa nel 2011; va calcolato un reddito minimo virtuale
di tale anno e versato un acconto ricalcolato. Peraltro
va versato altresì il 10,5% sul reddito minimo virtuale rideterminato per il 2011. Se, invece si sfugge alla
norma sulle perdite l’acconto storico non va rideterminato, a patto che non vi siano nel 2011 beni dati in
uso ai soci a canoni non di mercato; in caso contrario,
il reddito effettivo va incrementato dei costi che diventano indeducibili.
In ogni caso l’adozione del metodo previsionale per
evitare l’applicazione della normativa sulle perdite va attentamente ponderata. Ciò perché il periodo
da considerare per la verifica delle perdite è 20082010 nell’acconto storico, mentre diventa 2009-2011
nell’acconto previsionale. Chi è in perdita nel triennio
2008-2010 dovrà verificare il risultato degli esercizi
2009, 2010 e 2011: se il test è superato il 2012 sarà un
periodo di operatività e permetterà il calcolo dell’acconto ignorando la nuova normativa.
LA DISAPPLICAZIONE DELLA NORMATIVA
L’unico rimedio concreto per evitare l’applicazione
della normativa sugli enti non operativi, qualora non si
superi il test di operatività, è presentare apposita istanza all’Agenzia delle entrate. Nel seguito riassumiamo
brevemente la procedura da seguire e i motivi utili da
inserire nell’istanza.
QUANDO LA DISCIPLINA NON SCATTA
la disapplicazione automatica
1) La società può presentare apposita istanza di
disapplicazione in presenza di oggettive situazioni
che hanno reso impossibile il conseguimento di
ricavi;
2) La società può rientrare nelle cause di
esclusione automatica, previste dall’art. 30 della
Legge 724/1994. In particolare, al primo comma
viene espressamente previsto che la disciplina
sulle società di comodo non si applica:
●
ai soggetti obbligati a costituirsi sotto forma
di società di capitali per la particolare attività
svolta;
●
alle società in amministrazione controllata o
straordinaria;
●
alle società che controllano altre società
quotate, ovvero alle stesse società quotate;
7
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
●
●
●
●
●
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●
●
●
●
●
alle società con un numero di soci non
inferiore a 50;
alle società che nel biennio precedente non
hanno mai avuto un numero di dipendenti
inferiore alle 10 unità;
alle società in stato di fallimento, assoggettate
a procedure di liquidazione giudiziaria, di
liquidazione coatta amministrativa ed in
concordato preventivo;
alle società che presentano un ammontare
complessivo del valore della produzione
superiore al totale dell’attivo dello stato
patrimoniale;
alle società partecipate da enti pubblici
almeno nella misura del 20% del capitale
sociale;
alle società che risultano congrue e coerenti
ai ini degli studi di settore.
Ulteriori ipotesi di disapplicazione
società in stato di liquidazione che con
l’impegno in dichiarazione dei redditi
richiedono la cancellazione dal registro delle
imprese entro il termine di presentazione della
dichiarazione dei redditi successiva;
società che concedono in locazione immobili
ad enti pubblici ovvero locati a canone
vincolato (ai sensi della legge n. 431 del
9/12/1998 o ad altre leggi regionali o
statali);
società che detengono partecipazioni in
altre società escluse dall’applicazione e/o
considerate non di comodo;
società che hanno ottenuto l’accoglimento
dell’istanza di disapplicazione in relazione ad
un precedente periodo d’imposta sulla base
di circostanze oggettive e che non hanno
subito modiicazioni nei periodi d’imposta
successivi.
La società interessata presenta l’istanza di interpello
disapplicativo per dimostrare che il mancato conseguimento dei ricavi e del reddito minimi previsti dalla
legge è in realtà dipeso da situazioni particolari, come
ad esempio la crisi del settore in cui opera, che di fatto
hanno reso impossibile rispettare i parametri di legge.
Per i contribuenti per i quali vale una causa di esclusione «automatica» non si applica questa normativa e
quindi non dovrà essere presentata l’istanza.
L’ istanza deve essere presentata in tempo utile rispetto alla presentazione della dichiarazione dei redditi,
in virtù del carattere preventivo della stessa; la risposta
dovrà infatti pervenire entro il termine per la dichiarazione annuale. Con la circolare n.32 del 14 giugno 2010
l’Agenzia delle entrate ha chiarito che l’istanza si intende regolarmente presentata come preventiva quando
viene proposta 90 giorni prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione dei
redditi dell’anno.
●
●
●
●
●
●
CONTENUTO DELL’ISTANZA
dati identiicativi del contribuente e del Legale
rappresentante;
domiciliatario, eventuale, presso il quale
devono essere dirette le comunicazioni degli
Ufici riguardanti il procedimento;
sottoscrizione del contribuente o del suo
Legale rappresentante;
descrizione che sia il più possibile esauriente
e completa della fattispecie che interessa il
contribuente;
riferimento alla disposizione dei legge di cui il
contribuente chiede la disapplicazione;
elementi ed i motivi per i quali il contribuente
chiede la disapplicazione della normativa
antielusiva con la precisazione espressa
che, nel caso di specie, gli effetti elusivi non
possono prodursi.
I motivi che vanno indicati nell’istanza non devono
necessariamente avere carattere di straordinarietà ma
è sufficiente che siano adeguatamente argomentati e dimostrati in modo, il più possibile completo ed esauriente
L’Agenzia delle entrate potrà chiedere ulteriori elementi istruttori ritenendo carente l’istanza presentata con
conseguente sospensione del termine per l’emanazione
del provvedimento da parte del direttore.
Qualora la risposta dell’Amministrazione sia in senso negativo potrà essere esperito ricorso giurisdizionale
soltanto contro il conseguente avviso di accertamento in
quanto il diniego alla disapplicazione, di per sé, non rappresenta un atto impugnabile in via autonoma.
SITUAZIONI PARTICOLARI
Lo stato di liquidazione non è di per sé sufficiente per
ottenere l’accoglimento dell’istanza, come è detto nella
circolare 5/E/2007. Infatti l’istanza di disapplicazione
potrebbe non essere accolta in assenza di adeguate
iniziative volte a perseguire il realizzo del patrimonio
aziendale ovvero in presenza di eventi non rispondenti
alle finalità proprie della liquidazione quali, ad esempio, il godimento a titolo personale, da parte dei soci o
dei loro familiari, dei beni sociali.
L’operatività di una società-holding, ai fini della disciplina in parola, è subordinata tra l’altro alla
circostanza che le società partecipate distribuiscano
dividendi in misura superiore all’’importo presunto
di ricavi attribuito alla holding in base ai coefficienti di legge. Si dovrà dunque valutare, nel merito, se e
quando la mancata erogazione di dividendi costituisca
una ragionevole ipotesi per ottenere la disapplicazione della normativa a favore della società. L’indagine
allora si trasferirà sulle società partecipate e sulla
oggettiva impossibilità di queste a distribuire detti
dividendi (perché, ad es. sono in perdita).
Per quanto concerne le società in stato di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa queste
possono ritenersi esonerate dall’onere di presentare
l’istanza di disapplicazione in virtù del loro status e
delle leggi speciali che sono tenute ad applicare per
la determinazione del reddito.
La circolare indica alcune ipotesi per un possibile
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ISTANZA DI INTERPELLO
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Spett.
DIRETTORE REGIONALE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Oggetto: istanza di disapplicazione delle disposizioni (ai sensi dell’art. art. c. 4-bis Legge 724/1994 e dell’art. 37-bis, c.
8 dpr 600/1973)
La società ……………… con sede in …………………… via …………….. n° …… P. Iva ……………………
PREMESSO
a) che nel periodo di imposta 2011 ha realizzato un volume di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi inferiore a quello
presunto dall’art. 30, L. 724/1994:
- Media 2008/2009/2010 di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi effettivi: € ……………....
- Valore presunto in base dall’art. 30, L. 724/1994: € …………….
b) che la società non rientra in alcuna delle cause di esclusione o disapplicazione automatica dalla disciplina;
c) che si sono veriicate situazioni oggettive che hanno impedito di realizzare un volume di ricavi, incrementi di rimanenze e
proventi almeno pari al valore presunto dalla legge
CHIEDE
a codesto spettabile Direttore regionale di disporre la disapplicazione delle disposizioni di cui sopra, ai ini dell’Ires, dell’Iva
e dell’Irap, sulla base delle seguenti
MOTIVAZIONI
(vedi tabella sotto)
Il legale rappresentante
accoglimento dell’istanza, vale a dire:
• la società immobiliare ha iscritte in bilancio
soltanto immobilizzazioni in corso di realizzazione, da destinare successivamente alla
locazione ma, ovviamente, non suscettibili,
al momento, di produrre un reddito, ancorché minimo;
• viene dimostrata l’impossibilità, per la società
immobiliare di praticare canoni di locazione
sufficienti per superare il «test di operatività» ovvero per conseguire un reddito effettivo
superiore a quello minimo presunto. Tale circostanza si verifica, ad esempio, nei casi in cui
i canoni dichiarati siano almeno pari a quelli
di mercato (ex articolo 9 Tuir);
• viene dimostrata l’impossibilità di modificare i
contratti di locazione in corso;
• L’immobile è temporaneamente inagibile.
Relativamente alle seguenti cause
società che concedono in locazione immobili ad enti
pubblici ovvero locati a canone vincolato (ai sensi della legge n. 431 del 9/12/1998 o ad altre leggi regionali
o statali);
• società che detengono partecipazioni in altre
società escluse dall’applicazione e/o considerate non di comodo;
• società che hanno ottenuto l’accoglimento
dell’istanza di disapplicazione in relazione
ad un precedente periodo d’imposta sulla
base di circostanze oggettive e che non hanno subito modificazioni nei periodi d’imposta
successivi.
• la disapplicazione automatica è parziale, ovvero è possibile non considerare solamente
le attività in oggetto in sede di determinazione del test di operatività e per il calcolo
del reddito minimo presunto. Sarà cura della
società «neutralizzare» l’effetto delle predette fattispecie non applicando i coefficienti
di redditività sul valore dei beni interessati
dalla disapplicazione e non considerando gli
eventuali ricavi iscritti a conto economico e
direttamente correlati ai medesimi beni.
Si noti che la causa di esclusione deve verificarsi
nell’anno oggetto di dichiarazione indipendente dalla loro presenza nel triennio di verifica precedente.
Si precisa inoltre che per l’applicazione della normativa delle società di comodo a quelle in perdita
sistemica deve essere maturato almeno un triennio dalla loro esistenza.
Una società in perdita sistemica nel triennio
2009-2011 dovrà considerarsi «di comodo» dal periodo d’imposta 2012: la presenza o meno di cause
di esclusione assume rilievo con riguardo all’anno 2012 nel quale dovrebbe considerarsi la società
come di comodo. Non rileva a tal fine il triennio
2009-2011 preso in esame per la verifica circa il
risultato fiscale negativo, che determina la presunzione di non operatività per la quarta annualità
successiva.
LA PRASSI DELL’AGENZIA
SULLA DISAPPLICAZIONE
Casistica
Soluzione adottata
Società immobiliare va dimostrata la richiesta
in attesa di autorizza- tempestivamente avanzioni amministrative zata al Comune
attualmente è prevista
Contratti di locazione la causa di esclusione
a canoni vincolati automatica parziale dei
singoli immobili interessati
Società con terreno
agricolo incolto
occorre dare prova della
«strategia imprenditoriale
idonea a rendere produttivo il terreno o ad altre
iniziative conformi all’oggetto sociale»
9
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
Società che subentra l’istanza va accolta in
in un contratto di lo- considerazione della impossibilità di modiicare
cazione
il canone
Società immobiliare
con canone di locazione rinnovato
va provato che il canone iniziale era almeno
pari al canone «di mercato» riferito all’anno di
stipula iniziale e che successivamente è divenuto
inferiore senza possibilità di adeguarlo
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Contratti di locazione immobiliare tra non è causa di disapplisocietà con identica cazione
compagine sociale
Società con blocco
edificatorio sui terreni
occorre provare l’acquisto in un periodo in cui i
terreni erano privi dei vincoli ad ediicare
le immobilizzazioni in corSocietà con bene
strumentale in corso so di costruzione sono
di completamento escluse dal test di operatività
Società in attesa di
contributi pubblici
va dimostrato che la
mancata erogazione dei
finanziamenti costituisce motivo per cui si è
rimasti inattivi, e comunque a condizione che i
inanziamenti siano stati
tempestivamente richiesti e che questi, già
riconosciuti e imputati al
bilancio della società che
presenta l’istanza, non
siano stati erogati per
causa non imputabile alla società stessa
va dimostrato che
comporta la totale imSocietà in attesa di possibilità a operare
autorizzazione del Ssn (l’autorizzazione non deve riferirsi a una sola
delle attività svolte)
Attività stagionali
non vi è disapplicazione,
ma i ricavi presunti vanno
ragguagliati ad anno
I CONTROLLI SULLE SOCIETÀ DI COMODO
Le linee di intervento per il controllo delle società di
comodo riguardano l’invio di questionari informativi o
il reperimento di diverse informazioni sulle società intestatarie di beni, e successivamente un approntamento
di un piano di controlli che il personale dell’amministrazione finanziaria svolgerà capillarmente. Pertanto non
si attenderà la dichiarazione dei redditi, ma la comunicazione verrà effettuata autonomamente, e chi non
adempie a quanto previsto sarà sanzionato. In questo
modo le imprese potranno comunicare celermente tutti i dati necessari all’effettuazione dei controlli da parte
dell’amministrazione finanziaria.
Al comma 36 dell’articolo 2 del dl 138 del 2011 si prevede infatti in caso di omissione della comunicazione,
o di comunicazione con dati incompleti o non veritieri,
è dovuta una sanzione pari al 30% della differenza tra
valore di mercato e somma pagata dai soci.
Inoltre occorre ricordare che grazie alle moderne tecnologie informatiche l’amministrazione è già in grado
di sapere, per alcuni beni, se questi siano di proprietà
della singola persona fisica o della società. In particolari
grazie ad incroci fatti con gli atti pubblici o le scritture
private registrate l’Agenzia delle entrate e la guardia
di finanza sono in grado di conoscere gli intestatari dei
beni immobili e dei beni mobili registrati. Tuttavia è
necessario effettuare una comunicazione per stabilire chi siano gli effettivi beneficiari in quanto sebbene
la proprietà sia appurabile, non è dato sapere chi effettivamente fruisce di tale bene. Di conseguenza per
soci e familiari diviene tassabile la quota rappresentata dalla differenza tra valore di mercato e corrispettivo
annuo versato per il godimento da parte loro dei beni
di impresa. Altra conseguenza è quella che per le società non sono più deducibili i costi sostenuti per tali
tipi di beni.
Il piano di controlli dà priorità a quelle società che
sono intestatarie di beni mobili registrati o beni immobili. Successivamente potranno anche essere inseriti
all’interno del piano anche i casi dubbi o le società che
fungono da prestanome. Occorre inoltre ricordare che i
controlli svolti avranno una duplice finalità. Infatti se
da un lato sarà possibile riconoscere quali siano le società di comodo e punire quindi tali tipi di abusi, sarà
inoltre possibile anche scovare eventuali contribuenti
che hanno il possesso di determinati beni, ma che non
sono mai stati dichiarati. In tale modo il redditometro,
tenendo conto dei nuovi elementi, potrà determinare il
reddito presunto di tali soggetti.
COMUNICAZIONE BENI
IN USO A SOCI E FAMILIARI
Il contrasto alle società di comodo ed agli abusi fatti
in materia di uso di beni parte dalla comunicazione da
effettuare all’Agenzia delle entrate in merito alle misure
di contrasto all’intestazione fittizia di beni. Il provvedimento emanato dal direttore dell’Agenzia delle entrate
in data 16 novembre 2011 ha chiarito diversi dubbi in
merito mostrando anche quale modello occorre compilare per effettuare la comunicazione.
Per quanto riguarda i beni da indicare all’interno del
modello, visto che non vi è un esplicito richiamo al tema, occorre inserire quelli concessi ai soci o ai familiari.
Il provvedimento amplia i beni che dovranno essere oggetto della comunicazione visto che indica tra il novero
dei beni anche:
- I beni che sono stati utilizzati nell’anno 2011;
- I beni utilizzati dai familiari dei soci o da soci di altre aziende collegate;
- Occorre che vi sia anche una specifica indicazione
dei versamenti e dei finanziamenti fatti dai soci alle società;
- La comunicazione deve essere fatta anche in merito ai beni il cui possesso è cessato nello stesso periodo
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
oggetto di riferimento.
In sostanza i beni utilizzati in un determinato periodo
d’imposta devono essere comunicati entro il 31 marzo
dell’anno successivo. La prima applicazione della norma si avrà al 2 aprile 2012. Infatti l’articolo 1.3 della
norma prevede che la comunicazione riguardi anche i
beni posseduti nel periodo d’imposta in corso alla data
del 17 settembre 2011. La possibilità di fruire di un anno in più permetterà all’amministrazione finanziaria di
effettuare controlli più accurati alle persone fisiche oltre che di oliare bene il sistema effettuando le dovute
implementazioni in termini di software.
Inoltre il provvedimento emanata dall’Agenzia delle
entrate riporta anche come occorre comportarsi in casi
diversi da quello classico in cui il bene sia di proprietà
di un socio o di un familiare. Si tratta di:
- Persone fisiche che direttamente o indirettamente
posseggono partecipazioni dell’impresa concedente;
Di familiari dei soci;
- Soci o familiari di altre società appartenenti al
gruppo.
In tutti questi casi la comunicazione è obbligatoria e
scatta anche il controllo in merito all’imputazione di un
reddito diverso in capo ai soggetti utilizzatori oltre che il
disconoscimento delle spese per l’acquisto del bene.
L’intervento dell’Irdcec
Con la circolare n. 25 del 31/10/2011 l’Istituto di Ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili
ha fornito una approfondita analisi sulle novità legislative in materia di società di comodo evidenziando alcuni
problemi collegati alla loro applicazione. In particolare,
l’Irdcec si è soffermato sulla problematica riguardante
l’applicazione per le società in perdita della disciplina
dell’interpello disapplicativo.
In particolare l’Irdcec ha sollevato alcuni dubbi riguardo l’applicabilità dell’interpello disapplicativo in
relazione ai soggetti che nel triennio dichiarano una
perdita fiscale. Laddove, infatti, non ricorra nessuna
delle cause di esclusione o di disapplicazione automatica della disciplina riservata alle società di comodo (per
esempio società in stato di liquidazione), le società in
perdita sistematica, al fine di evitare l’applicazione della disciplina sulle società di comodo, possono presentare
istanza di interpello disapplicativo al direttore regionale dell’Agenzia delle entrate competente.
Ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, del dprn.
600/1973, l’istanza di disapplicazione può essere presentata in presenza di «oggettive situazioni» che hanno
reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito
minimo ovvero non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini dell’Iva in misura non inferiore
a quella presunta in base all’applicazione degli appositi
coefficienti. Si deve trattare di situazioni indipendenti
dalla volontà dei soggetti interessati e non dimostrabili attraverso le risultanze contabili.
Pur in mancanza di indicazioni normative, appare
presumibile - secondo l’Irdcec - che le motivazioni che le
società in perdita possono porre a base delle loro istanze
debbano riguardare, ad esempio, la economicità del comportamento imprenditoriale, da valutare tenendo conto
della complessiva situazione contrattuale e aziendale,
e la presenza di situazioni particolari che potrebbero
aver causato i risultati negativi. Sempre in tale contesto,
resta, inoltre, da chiarire se, per le società con perdite
triennali, gli interpelli eventualmente accolti negli scorsi anni si possano ritenere ancora validi, senza doverli
ripresentare. Si segnala, infine, che la Corte di cassazione ha affermato, nella sentenza n. 8663 del 2011, che il
provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate
che contiene il diniego della disapplicazione è da considerare alla stregua di un provvedimento di diniego di
un’agevolazione e lo stesso risulta, quindi, autonomamente impugnabile dinanzi agli organi del contenzioso
tributario. Con la ulteriore e importante conseguenza
che l’impugnazione del detto provvedimento direttoriale diventa indispensabile al fine di far valere la
sussistenza dei presupposti per la disapplicazione, che
non sarebbe possibile in sede di ricorso avverso il successivo atto di accertamento. Tale conseguenza non si
dovrebbe, però, verificare per le mancate impugnazioni
dei provvedimenti di rigetto emanati prima della pronuncia della Cassazione, in quanto la stessa Agenzia
delle entrate aveva affermato, nella circolare n. 7/E del
2009, la non impugnabilità di tali provvedimenti, peraltro ribadita in calce a questi ultimi.
ASPETTI PARTICOLARI DELL’APPLICAZIONE
DELLA DISCIPLINA
La prassi che si è succeduta nel corso degli ultimi anni
ha evidenziato che l’applicazione della normativa non è
sempre di facile determinazione; ciò in quanto possono
presentarsi ipotesi nelle quali o è incerta l’applicabilità
stessa della normativa o è incerto il valore da assumere
a base dei vari calcoli previsti. Di seguito si illustrano
alcuni di tali fattispecie approfondite dall’amministrazione finanziaria.
Immobilizzazioni immateriali: spese su beni
di terzi
Con la risoluzione n. 180/E del 24 luglio 2008,
l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente definito i
confini della categoria delle «altre immobilizzazioni»,
nell’ambito della disciplina delle società non operative.
Nell’ambito del test di operatività l’ammontare complessivo di ricavi, di incrementi di rimanenze e proventi
ordinari imputati a conto economico, è determinato mediante l’applicazione di alcuni coefficienti a individuate
poste di bilancio, sinteticamente raggruppabili in tre
comparti: «titoli e assimilati», «immobili» e «altre immobilizzazioni». Per tale ultima categoria si prevede, per
l’appunto, l’utilizzo della percentuale del 15%.
Relativamente alle immobilizzazioni immateriali, rientrano nel comparto in questione (quello delle «altre
immobilizzazioni») in quanto suscettibili di produrre ricavi o proventi, sia quelle rappresentate da veri e propri
beni (diritti di brevetto, concessioni, licenze, eccetera)
sia quelle rappresentate da costi a utilità pluriennale (avviamento, costi di impianto e ampliamento, spese
di ricerca, spese di pubblicità, eccetera), fra le quali sono annoverabili anche le spese capitalizzate sostenute
per ristrutturare beni di terzi presi in locazione. In tale
contesto, per le spese relative a più esercizi va assunto,
quale ammontare su cui applicare la suddetta percentuale, quello risultante dal bilancio, vale a dire il valore
contabile al netto degli importi già dedotti in precedenti
esercizi. In effetti, la norma, ai fini della determinazione
del valore dei beni, fa riferimento all’articolo 110, comma 1, del Tuir, secondo cui «il costo è assunto al lordo
delle quote di ammortamento già dedotte», indipendentemente dalla deducibilità di queste ultime. Agli oneri
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LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO
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pluriennali non può applicarsi, però, tale disposizione,
considerato che questi ultimi non costituiscono «beni»,
nell’accezione fatta propria dal legislatore nel citato articolo 110 del Tuir.
La classificazione contabile
e il test di operatività
Anche la corretta classificazione contabile influenza
il test di operatività previsto in materia di società non
operative. In particolare, si deve comunque tener conto di quei ricavi e proventi che avrebbero dovuto essere
indicati nelle voci di conto economico rilevanti ai fini
del test di operatività, a prescindere dalle classificazioni
contabili adottate. Il nuovo criterio deve essere seguito
anche con riferimento agli esercizi precedenti, in cui il
test è stato compilato sulla base di dati non coerenti con
i principi contabili di redazione del bilancio.
L’esito del test di operatività è fondamentale per individuare l’assoggettamento o meno della società alla
disciplina del reddito minimo. Il procedimento presuppone la comparazione di due risultati: quello del reddito
effettivo e quello del reddito presunto. L’errata o l’omessa indicazione di alcune voci nel test in questione può
comportare la sua illegittimità e, quindi, una differente
determinazione dell’operatività della società esaminata. La rilevanza del risultato ottenuto dal raffronto tra
i ricavi effettivi e quelli dichiarati comporta, cioè, la necessità che il test sia realizzato correttamente. A tal fine,
acquisisce importanza non solo il risultato dello stesso
ma anche la corretta modalità della sua determinazione, scaturente da una corretta qualificazione già in
bilancio dei componenti positivi presi in considerazione:
i diversi elementi devono esser stati imputati in bilancio nel rispetto dei principi contabili previsti dal nostro
ordinamento. Solo così il test di operatività non potrà
essere influenzato da scelte arbitrarie legate alla classificazione delle diverse voci.
A tali conclusioni è giunta la risoluzione 13/2008, con
la quale l’Agenzia ha chiarito che, qualora il bilancio
non sia stato redatto seguendo le disposizioni civilistiche, nonché i corretti principi contabili, per la verifica
del test di operatività si dovrà comunque tener conto
di quei ricavi e proventi che, secondo i corretti principi contabili, dovevano essere indicati nelle varie voci
del conto economico, a prescindere dalle classificazioni contabili adottate.
Si faccia, ad esempio, il caso di una immobiliare,
il cui oggetto sociale indicato nello statuto è la «compravendita immobiliare» e la cui attività consiste
nella gestione di immobili di proprietà che, in attesa di una loro futura ed eventuale vendita, vengono
concessi in locazione. La diversa qualificazione degli
immobili in questione quali «immobili strumentali»
o «rimanenze», a seconda della rilevanza dell’attività effettivamente svolta rispetto a quella indicata
nell’oggetto sociale, comporterà una differente determinazione del test, in quanto nel primo caso gli stessi
dovranno esser indicati sia ai fini del calcolo dei ricavi effettivi sia a quello dei ricavi presunti, mentre nel
secondo caso saranno considerati ai soli fini del calcolo dei ricavi effettivi.
A tal proposito, con la risoluzione 152/2004, l’Agenzia
delle entrate ha precisato che la durata pluriennale
e continuativa dei contratti di locazione stipulati
sull’immobile e la contestuale assenza di un qualsiasi
atto di vendita, avente per oggetto anche una parte di
esso, non consentono di considerare la locazione come
attività sussidiaria, rientrante nell’esercizio caratteristico di un’attività immobiliare di compravendita, ma
la riconducono, di fatto, nell’alveo di attività tipica di
una società immobiliare di gestione, a prescindere da
ogni qualificazione formale dell’attività d’impresa.
In particolare, l’Agenzia, in riferimento alla formulazione contenuta nella lettera d), comma 1,
dell’articolo 87 del Tuir, ha chiarito come il legislatore,
facendo riferimento agli immobili «alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività
d’impresa», desse rilevanza all’attività effettivamente svolta, introducendo, così, un criterio sostanziale
per la verifica del requisito di commercialità. L’uso
dell’avverbio «effettivamente» sottintende, dunque,
la necessità di operare un esame dell’attività di fatto
esercitata e dell’effettiva destinazione economica degli
immobili a un’attività di costruzione o scambio, anche
prescindendo, eventualmente, dalle risultanze contabili e dalla configurazione dell’oggetto sociale.
Applicando tali considerazioni all’esempio costruito, appare evidente che gli immobili detenuti dalla
società andrebbero classificati quali «immobili strumentali», in quanto la qualificazione di «immobiliare
di compravendita» non corrisponde a un’attuale ed
effettiva attività di produzione o scambio degli immobili.
Al di là della classificazione operata in bilancio, un
corretto calcolo del test presuppone che i valori considerati, al fine di addivenire al risultato atteso, siano
tra loro uniformi e dello stesso genere. In tal senso si è
pronunciata anche Assonime (circolari n. 46 del 1997 e
n. 43 del 2007) che, in tema di società immobiliari e in
riferimento alla imprese a oggetto misto (sia costruzione e vendita di immobili sia gestione degli stessi), ha
affrontato la questione del trattamento, ai fini del test
di operatività, degli immobili che, pur essendo destinati alla vendita e quindi indicati fra le «rimanenze»
dell’attivo circolante, producono temporaneamente
proventi da locazione; proventi, che dovrebbero - di
regola - essere iscritti alla voce A5 del conto economico, fra gli altri ricavi e proventi dell’esercizio.
Al riguardo, è stato argomentato che, dovendo rispettare il criterio della «omogeneità» dei dati da porre
a raffronto, sembrerebbe logico ritenere che, ancorché
l’immobile possa figurare iscritto tra i beni di magazzino, lo stesso debba ugualmente concorrere ai fini
del computo dei ricavi presunti, alla stessa stregua
di quelli iscritti fra le immobilizzazioni.
Quindi, pur non volendo incidere sulla qualificazione dei beni locati come «rimanenze», gli stessi, ai fini
del calcolo del test di operatività, dovranno comunque
esser valutati allo stesso modo delle immobilizzazioni,
in quanto è necessario che vi sia un’omogeneità tra le
voci inserite nel calcolo dei ricavi effettivi e quelle inserite nel calcolo dei ricavi presunti.
Per concludere, va comunque sottolineato che l’eventuale «riconsiderazione» delle voci di bilancio rispetto
alla classificazione fatta dal contribuente, al fine di
addivenire a un test che possa considerarsi quale specchio fedele dell’operatività della società, va valutata
caso per caso, in quanto la corretta contabilizzazione
di un elemento non può prescindere dalle specificità
della situazione.
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QUESITARIO
A cura di Gilberto Gelosa
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Inviare i quesiti a: [email protected]
Sommario
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9
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AGENTI E RAPPRESENTANTI
Agenti e
rappresentanti
Agevolazioni
Ambiente
Cooperative
Diritto civile
14.1
Cessione del contratto
Un agente individuale, in accordo con l’azienda industriale preponente, ha
intenzione di trasferire il mandato di agenzia al figlio.
Si desidera sapere se:
•
sia normativamente possibile effettuare tale trasferimento;
•
in caso di risposta positiva, l’azienda preponente sia tenuta a corrispondere l’indennità di fine rapporto.
D.R.
Diritto di famiglia
Diritto e sport
Enti
Fisco
Previdenza
Redditi da lavoro
dipendente
Risponde Andrea Bonino
La risposta al primo quesito è positiva.
Ai sensi dell’art. 1406 c.c., ciascuna parte può, infatti, sostituire a sé un
terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive,
se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta;
dal momento di tale cessione, il nuovo agente subentra nei diritti e negli
obblighi del cedente.
Relativamente al secondo quesito, la risposta è negativa, qualora si consideri che l’art. 1751 c.c. dispone che l’indennità per la cessazione del
rapporto non è dovuta «quando, ai sensi di un accordo con il preponente,
l’agente cede a un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto di
agenzia».
Sanità
ONLINE 15 ANNI
DELL’ESPERTO RISPONDE
Tutte le risposte ai quesiti
dei lettori sono disponibili
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12 Marzo 2012
La riproduzione, anche parziale,
è riservata per l’intero fascicolo
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AGEVOLAZIONI
1.1.9
Detrazioni e cambio d’uso
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Il proprietario di un laboratorio intende demolirlo
e ricostruire, mantenendo la stessa volumetria, due
abitazioni. Sono applicabili le detrazioni del 36 e del
55%?
S.C.
Risponde Stefano Baruzzi
La risposta è affermativa alle condizioni di seguito
precisate. Occorre verificare se l’intervento, dal punto
di vista della disciplina urbanistica, configuri una
ristrutturazione edilizia (suscettibile di fruire delle detrazioni del 36 e del 55%) oppure una nuova costruzione
(alla quale tali detrazioni non sono applicabili). La ristrutturazione edilizia può comportare anche cambi di
destinazione d’uso, tuttavia, nel caso in cui intervenga
la demolizione dell’edificio preesistente, è indispensabile che la ricostruzione sia fedele non solo nel volume
ma anche nella sagoma, «fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica», secondo i dettami dell’art. 3,lett. d) del dpr n.
380/2001 (T.u. dell’edilizia).
Giova ricordare che le definizioni che contano, ai fini
urbanistici e tributari, sono quelle delle leggi dello stato
e che, di recente, proprio in tema di ristrutturazione con
demolizione, la Corte costituzionale (sent. n. 309 del
21.11.2011) ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune
norme urbanistiche emanate dalla regione Lombardia
(precisamente, degli artt. 27, 1° comma, lett. d) Up e 103
della lr 12/2005 e dell’art. 22 della lr n. 7/2010) che non
rispettavano la definizione statale ma la ampliavano e,
anzi, dichiaravano la cessazione della diretta applicazione nella regione della disciplina di dettaglio prevista
da numerosi e basilari articoli del Tu dell’edilizia.
La consulta ha affermato che sul territorio vengono a
trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi,
alla conservazione del paesaggio, affidato allo stato, e
alla fruizione del territorio, affidato anche alle regioni
(sent. Corte cost. 367/2007) e che rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione
tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri
interventi edilizi. Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente
difformità normativa che si avrebbe tra le varie regioni
produrrebbe rilevanti ricadute sul paesaggio della nazione (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del territorio»,
per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che
è di per sé un valore costituzionale, e sulla sua tutela.
Circa la compatibilità del cambio di destinazione d’uso
con la ristrutturazione facciamo rinvio alla importante
ris. Ag. 14/E/2005(trasformazione di un fienile in
abitazione) che conclude ponendo la condizione che nel
provvedimento amministrativo che abilita i lavori «risulti chiaramente che gli stessi comportano il cambio di
destinazione d’uso del fabbricato, già strumentale agricolo, in abitativo». Qualora tale qualificazione non sia
esplicitata, riteniamo possa esserne richiesto il rilascio
al comune in un documento a sé stante e, in difetto, si dovrà ovviare facendo ricorso a una certificazione redatta
da un professionista abilitato. Richiamiamo anche la
circolare del ministero delle finanze n. 57/E/1998, par.
3.4,che precisa come nella ristrutturazione edilizia pos-
sano essere ricompresi la riorganizzazione distributiva
degli edifici e delle unità immobiliari, del loro numero e
delle loro dimensioni, nonché il mutamento di destinazione d’uso secondo quanto disciplinato dalle leggi regionali e dalla normativa locale, nonché l’ampliamento
delle superfici (ma non dei volumi preesistenti).
1.1.9
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36% in corso d’opera
In caso di vendita di due appartamenti in corso di
ristrutturazione, agli acquirenti è applicabile la detrazione del 36%? Come va suddivisa fra essi se dall’originaria unità ne sono ricavate due distinte?
C.G.
Risponde Stefano Baruzzi
In caso di vendita o di donazione dell’immobile ristrutturato (riteniamo che la cessione con ristrutturazione
ancora in corso non faccia eccezione se l’intervento viene
completato, anche se da altro soggetto, in forma tale da
soddisfare i presupposti di legge, realizzando quindi il
recupero dell’immobile che rappresenta la finalità per
cui la detrazione è stata istituita) il diritto alla detrazione del 36% (per la parte non ancora goduta dal cedente
o donante) si trasferisce all’acquirente o al donatario.
Peraltro, a decorrere dal 17 settembre 2011, le quote di
detrazione in questione possono essere utilizzate dal
venditore oppure possono essere trasferite all’acquirente persona fisica (art. 2, commi 12-bis e 12-ter del dl n.
138/2011,come modificato dalla legge n. 148/2011; cfr.
istruzioni di Unico 2012, pag. 55).
Occorrerà pertanto regolare espressamente nell’atto di
trasferimento a chi competeranno le quote residue della
detrazione.
Analoga facoltà sussiste in base alla nuova disciplina
sul 36%, applicabile dall’1/1/2012, come «rivisitata»
(con limitate modifiche rispetto all’assetto preesistente)
dall’art. 4 del dl n. 201/2011,convertito dalla legge n.
214/2011 («Salva Italia»), che ha introdotto nel Tuir il
nuovo art. 16-bis, il cui comma 8 stabilisce che «in caso
di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati
realizzati gli interventi di cui al comma 1 la detrazione
non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle
parti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare. In caso di decesso dell’avente diritto, la fruizione
del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conservi la detenzione materiale e
diretta del bene».
La suddivisione fra i due appartamenti delle spese
«comuni» di ristrutturazione, sostenute in ciascun anno
solare (nel caso l’intervento si protragga per più anni),
dovrà necessariamente essere effettuata sulla base di
parametri oggettivi e significativi, quali i metri quadri
o i metri cubi o similari che rispettino la proporzionalità
fra l’onere complessivo e la parte di esso imputabile a
ciascuna unità (cfr., in ambito Iva, l’art. 19-bis 2, 8°
comma). A tal fine, reputiamo opportuno acquisire
una certificazione esplicativa (munita di computo
dimostrativo il più possibile analitico per categorie di
opere con rispettive quantità e prezzi) del professionista
tecnico abilitato che assiste il committente nei lavori, da
esibire all’Agenzia delle entrate in caso di richiesta di
chiarimenti o di contestazione.
Eventuali spese specificamente riferibili alle singole
unità immobiliari dovranno invece essere imputate in
2 -X - 12 Marzo 2012
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modo diretto, senza riparto proporzionale, alle unità
interessate.
1.1.9
1.1.9
Come viene trattata la detrazione del 55% tra gli
acquirenti di un immobile su cui sono stati effettuati
interventi rientranti nella detrazione del 55%? Come
deve essere ripartita in caso di frazionamento dell’unità originaria ristrutturata e riqualificata? Possono cumularsi le detrazioni del 36 e del 55% con altri incentivi
finanziari?
R.O.
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55% e ristrutturazione
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In caso di ristrutturazione di un laboratorio dal quale si ottengono due appartamenti, il nudo proprietario
che sostiene le spese può fruire della detrazione del
55% se c’è una riqualificazione energetica dell’intero
edificio? Nel laboratorio erano presenti due caldaie:
sostituendole con nuove caldaie e con pannelli solari si
può beneficiare del 55% ?
I.Z.
Risponde Stefano Baruzzi
Facciamo riferimento alla «guida alle agevolazioni
fiscali per il risparmio energetico» dell’Agenzia delle entrate (ediz. Dicembre 2011). La detrazione del 55% può
riguardare immobili di qualsiasi categoria catastale
(non solo abitativi) e di essa possono fruire sia il proprietario che il titolare di un diritto reale. Tuttavia, esistono
importanti limiti riconducibili al tipo di intervento.
Ad esempio, non sono ammessi al 55% gli interventi
di nuova costruzione e, nel caso di demolizione, si può
accedere all’incentivo solo con la fedele ricostruzione,
in quanto ristrutturazione ex art. 3 del dpr n.380/2001.
Nelle ristrutturazioni con frazionamento e conseguente
aumento delle unità il beneficio è compatibile solo con
la realizzazione di un impianto termico centralizzato a
servizio di tutte le unità e occorre altresì che l’immobile
frazionato fosse già all’origine dotato di impianto di
riscaldamento (quest’ultimo requisito non è richiesto
per l’installazione di pannelli solari). È esclusa dalla
detrazione la trasformazione dell’impianto di climatizzazione da centrale a individuale o autonomo.
Quanto precede con riguardo alle specifiche opere
relative alla sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale (detrazione massima euro 30.000) e
ai pannelli solari (detrazione massima euro 60.000).
Per la «riqualificazione energetica» dell’intero edificio, il massimo della detrazione è di euro 100.000
per intervento. Con tale termine si intendono quegli
interventi che permettono il raggiungimento di un indice di prestazione energetica per la climatizzazione
invernale non superiore ai valori definiti dal dm Sviluppo 11/3/2008 (i parametri cui fare riferimento
sono quelli applicabili alla data di inizio dei lavori).
Per la riqualificazione energetica non sono stabiliti
opere o impianti da realizzare per raggiungere le
prestazioni energetiche indicate: pertanto, comprende qualsiasi intervento (o insieme di interventi) che
incida sulla prestazione energetica dell’edificio,
realizzando la maggior efficienza energetica, anche
installando impianti termici non aventi le caratteristiche previste per il singolo intervento agevolabile.
La riqualificazione energetica dell’intero edificio può
quindi offrire anche più elasticità rispetto ai singoli
interventi agevolati dalla normativa del 55%. Molto
importante è il richiamo di attenzione contenuto a
pag. 11 della guida, ove – tra l’altro - si chiarisce il
rapporto di «alternatività» che sussiste fra la «riqualificazione globale» e i singoli specifici interventi agevolati nonché la deroga relativa alla installazione
dei pannelli solari, la cui detrazione può essere fatta
valere anche in aggiunta a quella di cui si usufruisce
per la qualificazione energetica dell’intero edificio.
55% e cessione
Risponde Stefano Baruzzi
In caso di trasferimento, per atto a titolo oneroso o gratuito, della proprietà o di un diritto reale, le quote di
detrazione residue fino a pochi mesi fa «passavano» al
nuovo titolare persona fisica. Tuttavia, le istruzioni alla
dichiarazione dei redditi (pag. 60 di Unico 2012) hanno recepito «estensivamente», anche per la detrazione
del 55% (confermando l’opinione prevalente, sia pure
caratterizzata da qualche dubbio), la novità introdotta
(con riferimento al solo 36%) dall’art. 2, commi 12-bis e
12-ter del dl n. 138/2011,come modificato dalla legge
n. 148/2011. Pertanto, «a decorrere dal 17 settembre
2011, in caso di vendita dell’unità immobiliare oggetto
dell’intervento, tali quote possono essere anche mantenute in capo al venditore»: occorrerà quindi regolare
espressamente nell’atto di trasferimento a chi competeranno le quote residue della detrazione e, nel silenzio
delle parti, esse continueranno a trasferirsi all’acquirente persona fisica, come già in passato.
Si ricorda anche che se un determinato intervento
rientra nell’ambito di applicazione sia del 36% che del
55% si può fruire per esso soltanto dell’una o dell’altra
detrazione. Inoltre, dall’1/1/2009 la detrazione del
55% non è cumulabile con eventuali incentivi comunitari, regionali o locali e quindi occorre scegliere fra
il 55% e gli incentivi. Anche ai fini della detrazione del
55%, per la suddivisione delle spese comuni alle due
unità dovranno essere utilizzati parametri oggettivi e
rappresentativi (superfici, volumi; in alcuni documenti
di prassi l’Agenzia delle entrate ha richiamato i millesimi). Eventuali spese specificamente riferibili alle
singole unità dovranno invece essere imputate in modo
diretto, senza riparto, alle unità interessate.
Per il 2012 la detrazione del 55% è stata prorogata senza
alcuna modifica rispetto all’assetto che essa aveva nel
2011. A partire dall’1/1/2013 essa scomparirà nella
forma sinora nota e sarà «assorbita» all’interno della
detrazione del 36%.
AMBIENTE
12
Costruzione di elettrodotti aerei
Un comune lombardo può ancorare alla tutela del
paesaggio il suo diniego alla costruzione di elettrodotti
aerei?
I.N.
Risponde Piergiorgio Pizzo
La legge regionale della Lombardia, numero 11, dell’11
3 - X- 12 Marzo 2012
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maggio 2001, sulla protezione ambientale dall’esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti fissi
per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione, ha
stabilito, all’articolo 4, comma 7, che «viste le caratteristiche tecniche delle reti per la telefonia mobile e la natura di pubblico servizio dell’attività svolta, che motivano
una diffusione capillare delle stazioni impiegate a tale
scopo, gli impianti radiobase per la telefonia mobile di
potenza totale ai connettori di antenna non superiore a
300 W non richiedono una specifica regolamentazione
urbanistica».
La legge regionale della Lombardia, numero 52, del
1982, al comma 5, dell’articolo 5 ha disposto che:
«Qualora gli impianti elettrici o le relative opere accessorie interessino zone o immobili soggetti a vincolo
idrogeologico o a vincolo paesaggistico ai sensi della
legge 29 giugno 1939, numero 1497 o a vincoli derivanti dalla destinazione a riserva o a parco naturale,
ovvero nel caso in cui la loro esecuzione comporti la
necessità di procedere al taglio di boschi d’alto fusto,
l’autorizzazione prevista dalla presente legge non
può essere rilasciata se non sia stato preliminarmente
acquisto il parere degli organi e degli enti preposti alla
relativa tutela; tali pareri, se favorevoli, sostituiscono
le autorizzazioni particolari prescritte dalla legislazione vigente nelle corrispondenti materie».
Quest’ultima disposizione, subordina, quindi, l’autorizzazione alla costruzione di impianti elettrici, o
delle relative opere accessorie, che interessino zone od
immobili soggetti a vincolo idrogeologico o a vincolo
paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, numero 1497 o a vincoli derivanti dalla destinazione a
riserva o a parco naturale, ovvero nel caso in cui la loro
esecuzione comporti la necessità di procedere al taglio
di boschi d’alto fusto, al parere degli organi e degli enti
preposti alla relativa tutela. Fra questi organi non figura il comune.
Pertanto, come affermato dal consiglio di stato, sezione
V, con la sentenza del 14 febbraio 2005, numero 2005,
la normativa suddetta non consente ai comuni di introdurre limitazioni e divieti generalizzati riferiti alle
zone territoriali omogenee, né consente l’introduzione
di distanze fisse, da osservare rispetto alle abitazioni e
ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino, quando tale potere sia rivolto a disciplinare la compatibilità dei detti impianti
con la tutela della salute umana al fine di prevenire
i rischi derivanti dall’esposizione della popolazione a
campi elettromagnetici, anziché a controllare soltanto
il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla
normativa statale e a disciplinare profili tipicamente
urbanistici.
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Residui
Gradirei qualche puntualizzazione in materia di
residui.
F.T.
Risponde Piergiorgio Pizzo
L’articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo 3
aprile 2006, numero152, che ha novellato l’articolo 183,
comma 1, lettera p), del Testo unico sull’ambiente, ai fini
dell’individuazione dei sottoprodotti, enuncia criteri di
individuazione degli stessi in parte differenti rispetto a
quelli enunciati dal predetto articolo 183, comma 1, let-
tera p). La nuova normativa non richiede più, per aversi
un sottoprodotto, che la sostanza o l’oggetto debbano
essere impiegati direttamente dall’impresa produttrice
degli stessi, che la commercializzazione debba avvenire
a condizioni economicamente favorevoli e che non sia
necessario operare trasformazioni preliminari in un
successivo processo produttivo.
Ora, ai fini dell’individuazione dei residui bisogna
tenere conto di quelle operazioni che nella pratica sono
dirette a rendere compatibili detti scarti, sia sotto il
profilo merceologico, sia sotto il profilo ambientale,
con i processi produttivi propri dell’impresa che li
utilizza.
La Commissione Ce, con la comunicazione del 21 febbraio 2007, in tema di residui e di materiali difettosi,
ha affermato: «Di norma, i residui provenienti da un
processo di produzione principale, o i materiali che
presentano solo difetti superficiali ma la cui composizione è identica a quella del prodotto principale, come
le miscele di gomma o i composti per la vulcanizzazione, trucioli e pezzetti di sughero, scarti di plastica
e altre materie simili, possono essere considerati
sottoprodotti. Affinché sia così devono potere essere
riutilizzati direttamente nel processo di produzione
principale o in altre produzioni che siano parte integrante di tale processo e per le quali il loro utilizzo sia
altrettanto certo. Si può ritenere che anche questo tipo
di materiali non rientra nella definizione di rifiuto.
Laddove questi materiali richiedano un’operazione
completa di riciclaggio o di recupero, o se contengono
sostanze inquinanti che occorre eliminare prima di
poterli riutilizzare o trasformare, essi devono essere
considerati rifiuti fino al completamento dell’operazione di riciclaggio o di recupero».
In tema, si rimanda anche alla direttiva 2008/98/Ce,
recepita con il decreto legislativo numero 205, del 2010.
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Normale pratica industriale
Cosa deve intendersi per «normale pratica industriale», di cui al punto c), dell’ articolo 184-bis, comma 1, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, numero 152?
C.O.
Risponde Piergiorgio Pizzo
L’articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo 3
aprile 2006, numero152, dispone:
«È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo
183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto
che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
•
la sostanza o l’oggetto è originato da un processo
di produzione, di cui costituisce parte integrante,
e il cui scopo primario non è la produzione di tale
sostanza od oggetto;
•
è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel
corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore
o di terzi;
•
la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso
dalla normale pratica industriale;
•
l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione
della salute e dell’ambiente e non porterà impatti
complessivi negativi sull’ambiente o al salute
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umana».
La dizione «normale pratica industriale» usato dal
legislatore al punto c) del su riportato articolo 184-bis,
comma 1, se da un lato non può essere eccessivamente
circoscritta, dall’altro lato essa non deve abbracciare
qualsiasi operazione inserita comunemente nel ciclo
produttivo.
Pertanto, nella «normale pratica industriale» devono
farsi rientrare tutte quelle operazioni industriali che
possono interessare sia il sottoprodotto, sia la materia
prima, o un intermedio, o un prodotto, senza che ciò
comporti aggravi dal punto di vista dell’impatto ambientale. Quindi, ad esempio, la rifusione di uno scarto
di prodotto metallico rientra nella «normale pratica
industriale». Il trattamento è identico o assimilabile a
quello al quale l’impresa sottopone , prodotti, intermedi
o materie prime, che non si possono considerare, per la
loro origine, rifiuti.
La Corte di giustizia della Comunità europea, con la
sentenza Niselli, ha evidenziato come un’operazione
che in astratto può rientrare tra quelle indicate ai punti
da R1 a R13 dell’Allegato II alla direttiva 2008/98/Ce,
non sia incompatibile con il trattamento preliminare
di un sottoprodotto, atteso che l’operazione a cui viene
sottoposto il materiale non consente di pronunciarsi
sulla natura del materiale, in quanto diversi dei metodi
di trattamento indicati nei predetti allegati possono
applicarsi anche ad un prodotto.
COOPERATIVE
2.3
Cooperativa e società di comodo
Non ho trovato in nessuna norma (legge o decreto)
che le società cooperative possono essere classificate
fra le società di comodo. Ma non mi pare che possano
essere classificate come tali, soprattutto quelle edilizie
che, ogni anno e dopo avere assegnato gli immobili, sono
in perdita e per vari esercizi.
R.R.
Risponde Giannino Cascardo
Per trovare una risposta esaustiva e puntuale al quesito
è opportuno fare riferimento alla prassi ministeriale
che, con la circolare del 4 maggio 2007, n.25 (Agenzia
delle entrate, direzione centrale normativa e contenzioso), che tratta proprio delle società non operative, esaminando l’ambito soggettivo elenca in pratica le società
di capitali (salvo i «soggetti ai quali, per la particolare
attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma
di società di capitali») e di persone oltre alle società e
gli enti non residenti ma con stabile organizzazione nel
territori dello Stato.
Subito dopo espone le esclusioni e, fra gli altri soggetti,
in prima linea, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, oltre alle società consortili.
2.3
iscritti alla nostra, effettuava i calcoli su un imponibile
cosiddetto convenzionale.
È esatto?
P.A.
Risponde Giannino Cascardo
L’imponibile convenzionale è ormai sorpassato da un
paio d’anni.
Infatti dall’1/1/2010 l’imponibile contributivo dei
lavoratori delle cooperativa sociali è stato equiparato a
quello dei lavoratori delle altre imprese, così come ribadito anche dalla circ. Inps n. 21 del 9 febbraio scorso.
Al riguardo si può consultare sull’argomento anche
la circ. Inps 9 marzo 2007, n. 56 che aveva per oggetto
giusto il percorso di adeguamento della retribuzione
giornaliera imponibile ai fini contributivi per i lavoratori soci di cooperative per le quali sono stati adottati i
decreti ministeriali ai sensi del T.u. sugli assegni familiari. In particolare ci si riferiva al soci di cooperative
sociali ex art. 1, comma 1, lett. a) della legge istitutiva
delle cooperative sociali n. 381/1991.
2.3
Pescatori in cooperativa
Ormai tutte le agevolazioni sulle cooperative sono
ridotte ai minimi termini.
Siamo in Sardegna, abbiamo praticamente perso il
posto di lavoro in una di quelle che chiamano ristrutturazioni e ci piacerebbe sapere almeno un esempio di
agevolazione per un tipo di cooperativa per costituirne
una, magari per coltivare terreni o per allevamento di
pesci.
E.S.
Risponde Giannino Cascardo
Alcuni anni fa sono stato in Sardegna, nella provincia
di Oristano, e ho incontrato realtà cooperative di grande
rilievo fra pescatori.
Questi si erano costituiti per l’allevamento di pesci come
le orate, che poi inviavano ai mercati di tutt’Italia e anche all’estero.
Il tutto, l’inserimento del mangime nelle vasche e l’ossigenazione dell’acqua, era gestito con un programma e
con numerosi video che davano, in tempo reale, la situazione nelle singole vasche di allevamento.
Ecco, proprio nel settore della pesca, per l’anno 2012, al
contrario per altri settori della cooperazione, comprese
le cooperative sociali, esiste una retribuzione convenzionale per i pescatori della piccola pesca marittima e
delle acque interne associati in cooperativa (legge n. 250
del 1958).
Per i soci delle cooperative della piccola pesca di cui alla
legge 13/3/1958, n. 250, la retribuzione convenzionale
per l’anno 2012 è fissata in € 635,00 mensili (€ 25,39 x
25gg.).
DIRITTO CIVILE
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Retribuzione convenzionale
Una cooperativa sociale appena costituita dovrebbe
godere di agevolazioni circa i contributi da versare? Abbiamo visto che quella di provenienza di alcuni soci, ora
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4
Procedimento di arbitrato
Le parti di un arbitrato possono determinare regole procedurali per disciplinare lo svolgimento dello
5 - X- 12 Marzo 2012
http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it
stesso?
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R. F.
Risponde Marina Nitrola
Sì: l’art. 816-bis del codice di rito civile riserva alle parti
il potere di dettare le norme che gli arbitri devono osservare nella conduzione del procedimento. Tale potere
prevale su quello degli arbitri nel senso che, qualora le
parti fissino determinate direttive, i giudicanti dovranno attenervisi.
Le parti possono, nel compromesso o nella clausola
compromissoria, delineare i contorni dello schema procedimentale entro il quale gli arbitri dovranno agire,
restringendo o ampliando le maglie dei poteri di questi
ultimi. A titolo esemplificativo: le parti potrebbero conferire agli arbitri il potere di assegnare termini perentori o prevedere che venga obbligatoriamente esperito un
tentativo di conciliazione.
Questo potere «normativo» riconosciuto alle parti assume particolare rilievo ove si consideri che esse sono
libere di stabilire se, nel procedimento arbitrale, devono
essere rispettate le forme previste a pena di nullità per i
giudizi ordinari.
A mente dell’art. 829, n. 7, Cpc, in virtù del quale le parti
possono perfino determinare nullità «nuove» rispetto a
quelle positivamente previste, si coglie l’importanza del
limite temporale posto alle parti per la determinazione
delle norme procedimentali.
Come accennato, esse devono provvedere nel compromesso, nella clausola compromissoria o, comunque, con
«atto scritto separato purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale» (art. 816-bis, comma 1, Cpc).
Gli arbitri devono, infatti, essere in condizione di conoscere preventivamente le «regole del gioco» a cui dovranno attenersi, per valutare l’ipotesi di non accettare
l’incarico, ove non ne ravvisino l’opportunità.
Il potere normativo delle parti incontra anche dei limiti
sostanziali: esse restano vincolate dai principi di ordine pubblico processuale e non possono, in alcun caso,
derogare al principio del contraddittorio. Le parti non
godono, infine, del potere di negare l’applicazione o modificare il contenuto di norme inderogabili, ad esempio
quelle che regolano la ricusazione degli arbitri o quelle
che vietano a questi ultimi di emanare provvedimenti
cautelari.
4
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Dichiarazione di indipendenza
Sono stato nominato arbitro e mi si richiede una «dichiarazione di indipendenza»: di che si tratta?
M.B.
Risponde Marina Nitrola
A chiunque venga nominato arbitro si richiede imparzialità ed indipendenza rispetto alle parti: requisiti che
devono sussistere al momento dell’accettazione dell’incarico e per tutta la durata del procedimento, fino alla
pronuncia del lodo finale o, comunque, alla conclusione
del procedimento stesso.
Qualora un arbitro abbia un qualsiasi dubbio in ordine
alla propria capacità di essere imparziale o indipendente, dovrebbe non accettare l’incarico o, se l’arbitrato è
già iniziato, rinunciarvi.
Esiste, però, una vasta gamma di situazioni in cui l’arbitro, pur considerandosi imparziale ed indipendente e
ritenendo, pertanto, di poter accettare l’incarico o continuare a svolgerlo, versa in situazioni tali da far insorgere, agli occhi delle parti, dubbi in merito.
In simili casi è opportuno che, i fatti o le circostanze
suscettibili di mettere in discussione perfino la sola
«apparenza» di imparzialità, siano oggetto di dichiarazione da parte dell’arbitro, che dovrà rendere una c.d.
«disclosure» diretta alle parti, all’istituzione arbitrale
(o ad altra autorità di nomina) nonché ai co-arbitri.
Oggetto della dichiarazione dovranno essere tutti i
fatti e le circostanze suscettibili di ingenerare dubbi in
merito all’imparzialità e all’indipendenza dell’arbitro,
che dovrà aver cura di indicare i soggetti coinvolti, i rapporti professionali o personali intercorrenti con questi,
nonché i dati temporali relativi a detti rapporti. Qualunque dubbio in merito all’opportunità di dichiarare o
meno i fatti e le circostanze in parola, andrebbe risolto a
favore della dichiarazione.
Si segnala, infine, che nella compilazione della disclosure e nell’individuazione del suo oggetto, un utile
riferimento è dato dalle «linee guida sui conflitti di interesse nell’arbitrato internazionale», elaborate dall’International Bar association in ragione della delicatezza
e della rilevanza internazionale del tema.
4
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Sospensione del procedimento
Gli arbitri possono concedere una sospensione del
procedimento su richiesta delle parti?
E.V.
Risponde Marina Nitrola
Certamente: si parla, in tal caso, di sospensione c.d.
«concordata».
L’istituto della sospensione del procedimento arbitrale è
disciplinato dall’art. 819-bis Cpc, che fornisce un elenco
di ipotesi in cui gli arbitri, con ordinanza motivata, devono o possono disporla.
Gli interpreti sono soliti distinguere tra sospensione
«necessaria» e «discrezionale»: la prima riguarda le
tre ipotesi contemplate dal primo comma del citato art.
819-bis: quando il processo, se la lite fosse pendente di
fronte all’autorità giudiziaria ordinaria, dovrebbe essere sospeso a norma dell’art. 75, comma 3 Cpp; qualora
sia necessario risolvere una questione pregiudiziale su
materia non arbitrabile e, infine, nel caso in cui gli arbitri sollevino una questione di legittimità costituzionale
Gli arbitri godono, invece, di discrezionalità nel disporre la sospensione qualora nel giudizio arbitrale venga
invocata l’autorità di una sentenza e questa è impugnata (art. 819-bis, comma 2 Cpc) o qualora una parte sia
venuta meno e gli arbitri abbiano assunto i provvedimenti necessari alla ricostituzione del contraddittorio
(art. 816-sexies).
Sebbene sul punto non vi sia alcuna espressa previsione,
è opinione comune che gli arbitri possano concedere una
sospensione Cd «concordata» tra le parti e da queste richiesta - ad esempio nel caso in cui vogliano approfondire ipotesi transattive - in ragione della natura pattizia
dello stesso strumento arbitrale.
Gli arbitri dovranno, comunque, tenere in debita considerazione la scadenza del termine per la pronuncia
del lodo, poiché l’art. 820, comma 3 Cpc fa conseguire
la sospensione di detto termine solo nelle ipotesi di sospensione espressamente previste. Se del caso, le parti
che intendano chiedere una sospensione concordata,
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potranno contestualmente prestare il proprio consenso
ad una proroga del termine per la pronuncia del lodo.
Rapporti di forte tensione fra genitori e nonni possono
integrare un giustificato motivo per escludere o limitare
la frequentazione.
DIRITTO DI FAMIGLIA
4.7
Sottrazione di minori
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Vorrei sapere se in caso di sottrazione internazionale
di un minore questi ha diritto ad un’audizione davanti
al giudice per spiegare se è d’accordo o meno a tornare
dal genitore affidatario.
D.D.
Risponde Debora Ravenna
La risposta è positiva. La Corte di cassazione con la
sentenza n. 17201/2011 ha stabilito che: «Nel procedimento previsto dalla legge n. 64 del 1994 (di ratifica
della Convenzione de L’Aia del 25 ottobre 1980) in tema
di sottrazione internazionale di minori, non sussiste
l’obbligo del giudice di procedere all’audizione del minore, in quanto l’art. 7, comma 3, di detta legge prevede
che il Tribunale per i minorenni può disporla, qualora
la ritenga opportuna, tenuto conto dell’età del minore,
dell’esigenza di evitargli ulteriori traumi psichici e della celerità del procedimento; tuttavia, detta audizione,
già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento
necessario, nelle procedure che li riguardino, ai sensi
degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25
gennaio 1996, ratificata con la legge 20 marzo 2003,
n. 77, salvo pericolo di danno per l’interessato, con la
conseguenza che tale adempimento è necessario anche
nel procedimento per la sottrazione internazionale di
minori, per poter valutare in esso, ex art. 13, comma 2,
della cit. convenzione, anche l’eventuale opposizione del
minore al ritorno, salvo ragioni di inopportunità o danno, e non può essere escluso con mero riferimento al dato
anagrafico del minore».
4.7
---------------------------
Frequentazione nonni-nipoti
Nostro figlio è mancato da un anno, a questo immenso dolore se ne aggiunge un altro non meno pesante: il
divieto di nostra nuora di frequentare il nipotino.
Abbiamo strumenti legali per poterlo vedere?
P.O.H.
Risponde Debora Ravenna
L’ordinamento italiano non prevede il diritto dei nonni di frequentare i nipoti, offre una tutela indiretta
all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori,
mediante il riconoscimento della legittimazione a
sollecitare il controllo giurisdizionale ai sensi dell’art.
336 c.c. sull’esercizio della potestà dei genitori. Potestà
che il giudice può limitare, consentendo ai nonni di
frequentare i nipoti qualora ritenga che tale rapporto
sia nell’interesse dei minori, che gli stessi ne traggano
beneficio o per lo meno non sia ad essi pregiudizievole. Il
rifiuto del/dei genitore/i di consentire la frequentazione dei propri figli minori con i nonni può ritenersi giustificato solo in presenza di serie e comprovate ragioni che
sconsiglino di assicurare e regolamentare i rapporti.
DIRITTO E SPORT
22
Conservazione documenti
Per quanto attiene alla conservazione della documentazione amministrativa, contabile e fiscale da parte di una associazione sportiva dilettantistica, occorre
fare riferimento alle norme in materia relative alle imprese commerciali oppure esistono norme specifiche?
O.A.
Risponde Maurizio Mottola
Nell’ordinamento civilistico e tributario vigente non
sono presenti specifiche normative in materia dedicate
agli enti non commerciali come le associazioni sportive
dilettantistiche.
Ne consegue che in tema di conservazione della documentazione amministrativa, contabile e fiscale occorre
fare riferimento a quanto disposto per le imprese commerciali.
Per quanto attiene la disciplina del codice civile, ai
sensi dell’articolo 2220, l’imprenditore deve custodire
e conservare le scritture e i documenti contabili e la
corrispondenza commerciale per un periodo pari a 10
anni (per le scritture contabili dalla data dell’ultima
registrazione effettuata).
Con riferimento invece alla disciplina fiscale, ai sensi
del combinato disposto dell’art. 22 dpr 600/73 e dell’art.
39 dpr 633/72, le scritture contabili obbligatorie e la
relativa documentazione (contabile e commerciale)
debbono essere conservate fino alla definizione degli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta
(quindi anche oltre il periodo di dieci anni nel caso di
accertamenti non ancora definiti alla scadenza di tale
periodo).
22
---------------------------
Convocazione delle assemblee
Quali sono le modalità attraverso cui procedere a
convocare regolarmente l’assemblea dei soci e il consiglio direttivo di una associazione sportiva dilettantistica?
P.L.
Risponde Maurizio Mottola
Le modalità di convocazione dell’assemblea dei soci e
del consiglio direttivo sono disciplinate dallo statuto,
ovvero il documento che raccoglie gli accordi interni
finalizzati a regolare, tra l’altro, il funzionamento e le
attribuzioni degli organi sociali.
Il codice civile non prescrive alcuna formalità in merito
applicabile alle associazioni sportive dilettantistiche
mentre la normativa tributaria, al comma 8, lettera e)
dell’articolo 148 dpr 917/1986 – Tuir (Testo unico delle
imposte sui redditi), dispone uno specifico obbligo in
tema di convocazioni assembleari.
Ai sensi dell’articolo citato, nello statuto di una asso-
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ciazione sportiva dilettantistica devono essere previste
«idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari», in ottemperanza al principio di democrazia
interna su cui si fonda l’intero ordinamento di un ente
non commerciale di tipo associativo.
Ne consegue che le modalità di convocazione sono assolutamente libere e possono tradursi in affissioni presso
la bacheca della sede sociale, comunicazioni via posta
elettronica (certificata e non), a mezzo fax o lettera raccomandata, se idonee a porre tutti gli aventi diritto nelle
condizioni di partecipazione ed esprimere il voto.
È chiaro che qualora lo statuto prevedesse specifiche
modalità di convocazione, queste dovrebbero essere
rispettate al fine di rendere validamente costituite le
assemblee e regolarmente adottate le conseguenti deliberazioni.
22
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Atleti tesserati e soci
È necessario che gli atleti partecipanti ad attività
sportive organizzate da una associazione sportiva dilettantistica siano anche soci dell’associazione stessa?
Soprattutto al fine di godere delle agevolazioni tributarie applicabili alle attività sportive svolte verso gli
associati?
R.Z.
Risponde Maurizio Mottola
Gli atleti che partecipano alle manifestazioni sportive
organizzate da una associazione sportiva dilettantistica non devono essere necessariamente associati alla
stessa, essendo previsto a loro carico esclusivamente
l’obbligo di tesseramento alla federazione di riferimento.
In linea di principio non è possibile obbligare qualcuno
ad associarsi ad un ente, poiché, nel rispetto dei principi
ispiratori della vita associativa, per potersi associare
l’interessato deve manifestare la propria volontà mediante presentazione di apposita e formale domanda,
da sottoporre alla approvazione dell’organo direttivo.
Dal punto di vista fiscale non si pone alcun problema
in quanto, come disposto dall’art. 148, comma 3, dpr
917/1986 e dall’art. 4, comma 4 dpr 633/1972, non si
considerano commerciali (e quindi non sono imponibili
ai fini delle imposte dirette e indirette) le attività svolte
(in diretta attuazione degli scopi istituzionali) sia verso
gli associati che verso gli atleti non associati ma tesserati alla federazione di riferimento.
600/1973. La predetta norma, al comma 2 stabilisce
che, indipendentemente alla redazione del rendiconto
annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono
redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto, dal quale devono
risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in
modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative
a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne
di sensibilizzazione indicate nell’art. 143, comma 3,
lettera a), del dpr 917/1986. Pertanto, in base alle indicazioni normative richiamate, il rendiconto economico
finanziario annuale è sempre obbligatorio per gli enti
non lucrativi, anche quando svolgono esclusivamente
attività commerciali. Al rendiconto annuale è necessario aggiungere quello relativo alle raccolte occasionali
solo nell’ipotesi in cui si realizzino tali manifestazioni.
2.5
---------------------------
Scritture contabili
Un ente non lucrativo che svolge esclusivamente
attività istituzionale non commerciale, chiede di sapere se è obbligato alla tenuta delle scritture contabili
fiscali.
G.H.
Risponde Andrea Liparata
Gli obblighi in materia di scritture contabili fiscali sono
stabiliti dall’art. 20 del dpr 600/1973. La predetta disposizione, infatti, al comma 1 stabilisce l’applicazione
delle disposizioni di cui agli artt. 14 , 15 , 16 , 17 e 18 del
dpr 600/1973, in materia di scritture contabili fiscali,
relativamente alle attività commerciali eventualmente
esercitate, anche dagli enti soggetti all’Ires, che non
hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. In base ai riportati obblighi normativi, appare evidente, che gli adempimenti in materia
di scritture contabili fiscali, trovano applicazione solo
nell’ipotesi in cui l’ente non lucrativo ponga in essere
attività di carattere commerciale non prevalenti, ma
idonee a determinare in capo al sodalizio, la produzione
di redditi di impresa. Ne consegue, che l’ente di cui al
quesito, sarà esonerato dagli adempimenti in materia
di scritture contabili fiscali, purché in capo allo stesso,
non si determinino i requisiti di imponibilità stabiliti
dall’art. 55 del dpr 917/1986.
2.5
---------------------------
Attività d’impresa
ENTI
In quali circostanze è imputabile in capo a un ente
non lucrativo lo svolgimento di attività d’impresa?
S.C.
2.5
Obbligo di rendicontazione
Un’associazione ente non lucrativo, che svolge esclusivamente attività istituzionale, è obbligata alla redazione del rendiconto annuale?
G.P.
Risponde Andrea Liparata
La disciplina in materia di obblighi di rendicontazione
degli enti non lucrativi, è stabilita dall’art.20 del dpr
Risponde Andrea Liparata
Lo svolgimento di attività commerciali in capo a un ente
non lucrativo deve essere valutato secondo i criteri stabiliti dal diritto tributario per la definizione di reddito
d’impresa. Pertanto, si ha attività di impresa laddove
ricorrano le condizioni stabilite dall’art. 55 del dpr
917/1986. Più in dettaglio, sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali.
Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva,
delle attività indicate nell’art. 2195 cc, e delle attività
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indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art. 32del
dpr 917/1986, che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche
se non organizzate in forma d’impresa.
In aggiunta, sono commerciali, i redditi derivanti
dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano
nell’art. 2195 cc e quelli derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e
altre acque interne.
2.5
---------------------------
Attività commerciali occasionali
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Un ente non lucrativo che svolge occasionalmente
attività commerciali è obbligato alla tenuta delle scritture contabili fiscali e all’apertura della partita Iva?
U.I.
Risponde Andrea Liparata
Lo svolgimento di attività commerciali di carattere
occasionale, generalmente, non comporta la produzione di redditi di impresa ai sensi dell’art. 55 del dpr
917/1986 e conseguentemente, non determina obblighi di tenuta della scritture contabili fiscali, indicate
dall’art. 20 del dpr 600/1973. Infatti, lo svolgimento di
attività commerciali occasionali, comporta, per l’ente
non lucrativo, la produzione di redditi diversi, così come
definiti dall’art. 67 comma 1 lett. i) del dpr 917/1986.
Analogamente, ai fini Iva, non si realizzano completamente i presupposti per l’applicazione del tributo. Infatti, le attività commerciali di natura occasionale, sono
carenti del requisito soggettivo, necessario, insieme con
quelli oggettivo e territoriale a determinare la rilevanza
Iva delle operazioni poste in essere. È tuttavia opportuno evidenziare, che in presenza di un affare rilevante,
secondo la definizione fornita dalla prassi tributaria,
anche un’attività commerciale di carattere occasionale
può determinare la produzione di reddito d’impresa.
2.5
---------------------------
Affare rilevante
Un ente non lucrativo chiede di sapere quali sono i
presupposti idonei a configurare un’attività commerciale occasionale come di impresa
L.P.
Risponde Andrea Liparata
È opportuno precisare che la normativa tributaria
non fornisce dei criteri quantitativi precisi e validi
alla definizione dì affare rilevante idoneo a configurare attività di impresa, anche se occasionale. Infatti,
la normativa tributaria, si limita a definire le attività
commerciali idonee a configurare reddito d’impresa,
e per marginalità, quelle occasionali, diversamente,
produttive di reddito diverso. La definizione di cosa
sia un affare rilevante, deve essere ricercata nella
prassi amministrativa. Al riguardo, nella Risoluzione Agenzia entrate n. 126/E del 16/12/2011, si
afferma che l’evoluzione della giurisprudenza e della
prassi, considera i requisiti di abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica in senso
relativo, pertanto l’esistenza di reddito d’impresa può
realizzarsi anche in presenza di un unico affare, caratterizzato da rilevanza economica e dalla complessità delle operazioni in cui si articola, che implicano
la necessità di compiere una serie coordinata di atti
economici. In estrema sintesi, si ha attività di impresa, anche in presenza di un unico affare caratterizzato da rilevanza economica e complessità delle operazioni necessarie alla sua effettuazione. Ovviamente,
dalla qualificazione delle attività come commerciali,
generalmente, ne consegue rilevanza tributaria, sia
ai fini Ires sia Iva.
2.5
---------------------------
Contabilità separata
Un ente non lucrativo, obbligato alla tenuta della
contabilità separata per attività commerciali e istituzionali, chiede di sapere se è tenuto a duplicare
registri contabili e piano dei conti.
P.S.
Risponde Andrea Liparata
L’art. 144 del dpr 917/1986 impone agli enti non
commerciali di tenere una contabilità separata per
le attività di carattere commerciale eventualmente
esercitate. La gran parte delle problematiche in materia di corretta definizione di un sistema di rilevazione separato deriva dall’esigenza di confermare la
possibilità di ritenere rispettato il predetto obbligo
di legge anche in presenza di un unico impianto contabile. Gli elementi chiarificatori, circa la definizione
delle modalità di tenuta di una contabilità separata,
sono indicati nell’intervento interpretativo contenuto
della rm 13/3/2002, n. 86/E in risposta ad un’istanza di interpello proposta da un’azienda ospedaliera.
In tale sede, l’Agenzia delle entrate, richiamando il
disposto dell’art.144 comma 2 dpr 917/1986, che
prevede l’obbligo della contabilità separata, afferma
che tale norma intende favorire la trasparenza della
contabilità commerciale degli enti non lucrativi, al
fine di evitare ogni commistione con l’attività istituzionale. Conseguentemente, la tenuta di un unico
impianto contabile, associato ad un unico piano
dei conti, quest’ultimo strutturato al fine di poter
garantire in ogni momento le voci destinate all’attività commerciale, non deve ritenersi di ostacolo alla
eventuale attività di controllo esercitata dagli organi
competenti. Infatti, secondo l’Agenzia delle entrate,
la tenuta di una contabilità separata, non prevede la
necessità di istituire un libro giornale e un piano dei
conti separati per ogni area di attività, dovendosi ritenere sufficiente l’utilizzazione di un piano dei conti,
dettagliato nelle singole voci, in grado di consentire
la distinzione delle diverse movimentazioni relative
a ciascuna attività.
FISCO
15.1
Residenza obbligatoria
In quanto militare, ho l’obbligo di fissare la residenza
presso il comune di servizio, anche se ho l’appartamento di proprietà in altro comune, ove risiede la mia
famiglia. Ho diritto ai benefici connessi all’Ici per detto
appartamento, abitazione principale?
B.M.
9 - X- 12 Marzo 2012
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Risponde Giovanni Pizzo
L’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, numero 504, numero 504, afferma che «per
abitazione principale si intende quella nella quale il
contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente». Al dubbio se la dimora abituale dovesse o meno
essere identificata con la residenza anagrafica, dato che
normale mete la richiesta dei benefici per l’abitazione
principale avveniva per immobili presso i quali il contribuente non risultavano avere la residenza anagrafica, la Corte di cassazione, con la sentenza del 10 marzo
2000, numero 2814, aveva precisato in ordine all’articolo 43, del codice civile («il domicilio di una persona è
nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei
suoi affari. La residenza è nel luogo in cui la persona
ha la dimora abituale») che «il legislatore ha inteso
inequivocabilmente fare riferimento alla residenza
effettiva, mentre la residenza anagrafica può costituire
semplicemente un indizio (presunzione) per la sua individuazione; indizio che può essere superato sulla base di
qualsivoglia elemento di convincimento idoneo a dimostrare la dimora abituale di un soggetto in luogo diverso
dalla residenza anagrafica».
Il legislatore, poi, al fine di sciogliere i dubbi interpretativi sorti intorno al concetto di abitazione principale,
con la legge 27 dicembre 2006, numero 296 (articolo 1,
comma 173, lettera b) ha puntualizzato che per abitazione principale si deve intendere quella nella quale il
soggetto passivo ha la propria residenza anagrafica. È
ammessa, nella fattispecie, la prova contraria.
L’articolo 1 del decreto legge 27 maggio 2008, numero
93, convertito nella legge 24 luglio 2008, numero 126,
rubricato «Esenzione Ici prima casa), ha disposto che:
«a decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta
comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo
30 dicembre 1992, numero 504, l’unità immobiliare
adibita ad abitazione principale del soggetto passivo»
(comma 1).
Al comma 2, detta legge precisa: «Per unità immobiliare
adibita ad abitazione principale del soggetto passivo
si intende quella considerata tale ai sensi del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, numero 504, e successive
modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal
comune con regolamento vigente alla data di entrata
in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di
categoria catastale A1, A8, A9 per le quali continua ad
applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi
2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992».
Il ministero dell’economia e delle finanze, in ordine alla
fattispecie prospettata, con risoluzione numero 4/DPF,
del 18 ottobre 2007, ha precisato, dopo aver constatato
che il legislatore, con la legge numero 296, del 2006, ha
introdotto soltanto una presunzione semplice, superabile mediante prova contraria dal contribuente, che
anche i militari, per avere i benefici Ici, prima casa, se
residenti anagraficamente in altro comune, devono dimostrare di avere mantenuto la dimora nel comune ove
è ubicato l’immobile.
PREVIDENZA
in Germania. Sono rientrato in Italia nel mio paese di
origine dove risiedono i miei parenti ed i miei due figli.
Avendo un reddito annuo molto basso e non possedendo
una casa di proprietà mi sono rivolto ad un patronato
per richiedere l’assegno sociale. Il patronato mi ha
risposto che non ho i requisiti previsti dalla legge. Cosa
mi consiglia di fare.
V.S.
Risponde Sandra Mauro
Il diritto all’assegno sociale sorge nei confronti del cittadino italiano che ha compiuto 65 anni di età, risiede effettivamente e abitualmente in Italia e possiede un reddito di importo inferiore ai limiti stabiliti annualmente
dalla legge. L’assegno sociale è quindi una prestazione
di carattere assistenziale che viene riconosciuta ai cittadini che si trovino in condizioni economiche disagiate ed
abbiano situazioni reddituali previste dalla legge. L’assegno sociale per l’anno 2012 risulta pari a euro 429,00
mensili. Pertanto il limite del reddito per il richiedente
non coniugato è di euro 5.577,00 annui. Occorre precisare che a partire dal 1° gennaio 2009 per far sorgere il
diritto all’assegno sociale occorre aver soggiornato legalmente e in via continuativa in Italia per almeno dieci
anni. Il riconoscimento dell’assegno è soggetto pertanto
alla verifica di suddetti requisiti che viene fatta annualmente. L’assegno sociale è infatti sempre liquidato con
carattere di provvisorietà.
3.1
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Tredicesima per la colf
Nel mese di maggio 2011 ho assunto una colf per le
esigenze domestiche di mia madre. Dopo un mese di
lavoro ha subito un incidente e quindi non ha lavorato
per circa tre settimane. Rientrata a lavorare nell’ottobre si è ammalata per dieci giorni. Oltre allo stipendio
ed ai contributi mi chiede anche la tredicesima. Sono
obbligata per legge a questo ulteriore costo? Peraltro
sono venuta a conoscenza che lavora anche per un’altra
persona.
B.V.
Risponde Sandra Mauro
Ai fini previdenziali il datore di lavoro è obbligato nel
caso di lavoro domestico a versare i contributi all’Inps.
Detti versamenti vanno effettuati per trimestri solari
entro il decimo giorno dalla fine del trimestre. L’obbligo
contributivo sorge su ciascun datore di lavoro qualora
la colf - come nel caso di specie - intrattenga più rapporti
di lavoro. La tredicesima mensilità è dovuta dal datore
di lavoro presso il quale la colf presta servizio e se la stessa svolge lavoro domestico per più famiglie ogni datore
di lavoro è tenuto ad effettuare il calcolo della quota di
tredicesima sulla base della retribuzione oraria corrisposta. La tredicesima mensilità corrisponde ad un
dodicesimo dell’intera retribuzione annua e va pagata
entro il mese di dicembre, in occasione delle festività natalizie. La tredicesima mensilità matura anche durante
le assenze per malattia, infortunio sul lavoro e maternità, nei limiti del periodo di conservazione del posto.
---------------------------
3.1
3.1
Assegno sociale 2012
Contributi volontari
Ho 66 anni e dal 1980 al 2007 ho lavorato e abitato
Nel gennaio 2010 sono stato autorizzato ai versa-
10 -X - 12 Marzo 2012
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menti volontari per raggiungere il diritto alla pensione
di anzianità.
A fine 2012 dovrei così maturare 36 anni di anzianità
contributiva e 60 anni di età. La riforma Monti coinvolge anche me?
S.S.
Risponde Sandra Mauro
In linea di principio il lavoratore il cui rapporto di lavoro soggetto all’obbligo assicurativo Ivs sia interrotto o
cessato, può conservare i diritti derivanti dall’assicurazione obbligatoria o perfezionare i requisiti contributivi
necessari a conseguire il diritto a pensione richiedendo
all’Inps l’autorizzazione al versamento di contribuzione volontaria.
I contributi volontari consentono quindi al lavoratore
di non avere buchi contributivi e di raggiungere così la
pensione senza slittamenti temporali.
La contribuzione volontaria è pienamente equiparata
a quella obbligatoria sia per il raggiungimento del
diritto alla pensione che per la misura della pensione
stessa. Nel caso di specie occorre far riferimento a
quanto previsto nell’articolo 24 del decreto Monti alla
lettera d) del comma 14, che esclude dall’applicazione
delle nuove norme sulle pensioni i lavoratori autorizzati al versamento dei contributi volontari entro il 31
ottobre 2011.
Con riferimento al regime Iva dei distacchi di personale, l’art. 8, comma 35, della legge n. 67/1988 dispone che
«non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul
valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a
fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo
costo».
Al riguardo, si rileva che l’Agenzia delle entrate,
negli anni, ha sempre interpretato la disposizione
ritenendo che l’operazione di distacco sia fuori campo di applicazione dell’Iva nella sola ipotesi in cui
l’impresa distaccataria rimborsi alla distaccante
una somma esattamente pari al costo retributivo e
previdenziale dei dipendenti distaccati; diversamente, il riconoscimento di un corrispettivo maggiore o minore dovrebbe comportare, a detta dell’Agenzia stessa, l’inapplicabilità della disposizione sopra
richiamata, e l’assoggettamento a Iva dell’intero
importo pattuito.
Il predetto principio è stato, di recente, ribadito anche dalla Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza
n. 23021 del 7 novembre 2011, con la quale la Suprema corte ha rettificato i differenti orientamenti
esposti in passato con le sentenze nn. 19129 e 19132
del 2010.
SANITÀ
13
REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE
1.1.4
Distacco e rimborsi
Le retribuzioni corrisposte al dipendente distaccato
presso un’altra società italiana del gruppo concorrono
integralmente alla formazione del reddito del lavoratore?
Nell’ipotesi in cui l’impresa distaccataria rimborsi
alla distaccante il costo del personale distaccato, qual è
il regime Iva applicabile al predetto rimborso?
S.N.
Risponde Andrea Bonino
Ai sensi dell’articolo 30 del dlgs n. 276/2003, «l’ipotesi
del distacco si configura quando un datore di lavoro, per
soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente
uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per
l’esecuzione di una determinata attività lavorativa»,
fermo restando che il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo riservato al
dipendente distaccato.
Ai fini fiscali, risulterà, pertanto, applicabile l’ordinaria disciplina recata dall’art. 51 del Tuir, in materia di
lavoro dipendente, in base alla quale il reddito del lavoratore è costituito da tutte le somme e i valori percepiti
nel periodo di imposta, fatte salve le eccezioni esplicitamente previste dalla norma stessa.
Al riguardo, si ritiene che, risultando il distacco assimilabile, in ambito tributario, all’ipotesi del trasferimento della sede di lavoro, possa trovare applicazione
la disciplina dell’art. 51, comma 7 del Tuir, che esclude
da imposizione al 50%, per un importo complessivo non
superiore ad euro 1.549,37, l’indennità di trasferimento
corrisposta per il primo anno.
Servizi di assistenza domiciliare
Quali sono i servizi di assistenza domiciliare che possono essere erogati dalle farmacie?
P.F.
Risponde Gabriele Gelosa
Il decreto legislativo 153/2009 individua tra i nuovi
servizi previsti per le farmacie anche la partecipazione
delle stesse alla erogazione dell’assistenza domiciliare
a favore di pazienti residenti o domiciliati nel territorio
della sede di pertinenza di ciascuna farmacia.
Viene consentito alle farmacie di attivare i seguenti
servizi:
- dispensazione e consegna domiciliare di farmaci e
dispositivi medici;
- preparazione e consegna a domicilio delle miscele per
la nutrizione artificiale e dei farmaci antidolorifici, nel
rispetto delle relative norme di buona preparazione;
- dispensazione per conto delle strutture pubbliche dei
farmaci a distribuzione diretta;
- messa a disposizione di operatori socio-sanitari, di
infermieri e di fisioterapisti per la effettuazione a domicilio di specifiche prestazioni professionali richieste dal
medico di famiglia.
Questi provvedimenti sono stati assunti nell’ottica di
favorire la deospedalizzazione dei pazienti, creando un
servizio domiciliare parallelo a quelli finora esistenti a
carico delle strutture pubbliche.
13
Pubblicità prodotti cosmetici
Quali sono i limiti della pubblicità dei prodotti cosmetici?
N.S.F.
11 - X- 12 Marzo 2012
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Risponde Gabriele Gelosa
In materia di etichettatura e pubblicità dei cosmetici, è
vietato impiegare diciture, denominazioni, o altri segni
figurativi, che attribuiscano a tali prodotti caratteristiche diverse da quelle proprie dei cosmetici. Pertanto, i
messaggi che si riferiscono ai prodotti cosmetici, presenti
sia sull’etichetta o in altri stampati o ancora su testi di
carattere pubblicitario, non possono vantare finalità diverse da quelle di pulire, profumare, modificare l’aspetto,
proteggere o mantenere in buono stato le parti esterne del
corpo. Conseguentemente, la presentazione e la denominazione dei cosmetici non devono indurre i consumatori a
confondere i prodotti per la cosmesi e l’igiene personale con
i farmaci dal momento che gli stessi non possono vantare
proprietà terapeutiche. Chiunque contravviene alle disposizioni in materia di pubblicità (ad esempio, attribuire
finalità terapeutiche a un prodotto cosmetico) rischia una
sanzione amministrativa da un minimo di 516 euro a un
massimo di 2.582 euro ed è tenuto a pubblicare una rettifica con gli stessi mezzi utilizzati per la pubblicità; in caso di
mancato adempimento della pubblicazione della rettifica,
la sanzione amministrativa sarà raddoppiata.
13
---------------------------
Farmaci per le dislipidemie
Sono prescrivibili a carico del Ssn i farmaci usati
per le dislipidemie a base di Omega-3?
A. A.
Risponde Gabriele Gelosa
Recentemente che sul sito internet dell’Aifa è stata
pubblicata una nota avente ad oggetto «Precisazioni Aifa su Nota 13» che si riferisce appunto ai
farmaci ipolipemizzanti.
L’Aifa precisa che la nota 13 disciplina le sole indicazioni terapeutiche riguardanti le Dislipidemie,
suddivise in 4 casistiche (ipercolesterolemia poligenica, dislipidemie familiari, iperlipidemie in
pazienti con insufficienza renale cronica e iperlipidemie indotte da farmaci).
Nel caso dei farmaci a base di Omega-3 che presentano due indicazioni terapeutiche per patologie
non direttamente assimilabili, l’Aifa chiarisce che:
- l’indicazione circa la «Ipertrigliceridemia» è regolamentata dalla nota 13;
- l’indicazione «Prevenzione secondaria nel paziente con pregresso infarto del miocardio» è soggetta
alla valutazione clinica del medico ed è quindi
rimborsata alla luce di tale evidenza clinica.
Pertanto, nel caso in cui il medico ritenga di prescrivere un farmaco a base di Omega-3 per la
prevenzione secondaria del paziente infartuato, il
prodotto potrà essere rimborsato in classe A, senza
la nota 13.
I lettori possono inviare i loro quesiti anche via E-mail, all’indirizzo [email protected]
GLI ESPERTI DEL QUESITARIO
Giuseppe Aliano: Riscossione contenzioso; Gianluca Alparone: Agevolazioni;
Stefano Baruzzi: Fiscalità degli immobili;
Andrea Bonino: Agenti e lavoro dipendente;
Camera Arbitrale Milano: Arbitrato e conciliazione; Mario Caprini: Sicurezza sul lavoro;
Giannino Cascardo: Cooperative; Antonio
Ciccia: Diritti del consumatore e tutela della
privacy; Matteo De Donatis: Beni culturali;
Claudio Della Monica: Diritto e Previdenza;
Ciro D’Ardia: Rimborsi Iva; Luciano De
Angelis: Revisione e libere professioni;
Simone Del Nevo: Dogane, commercio
estero e trasporti; Stefano Farnè: Qualità
Salute e sicurezza sul lavoro; Christina
Feriozzi: Registrazioni contabili e imposte
dirette; Gianni Ferrari: Borsa e prodotti
finanziari; Sebastiano Garufi: Fiscalità internazionale; Stefano Graidi: Diritto tributario
internazionale; Andrea Liparata: Enti non
commerciali; Stefano Malatesta: Diritto del
lavoro; Sandra Mauro: Previdenza; Uberto
Meraviglia Mantegazza: Diritto tributario
internazionale; Pierluigi Marchini: Azienda
e bilancio; Sergio Mogorovich: Diritto
tributario; Marco Nessi: Diritto d’impresa e
Iva; Lorena Pellissier: Iva intracomunitaria
e internazionale; Paola Pizzighini: Diritto
del lavoro; Giovanni Pizzo: Tributi locali;
Piergiorgio Pizzo: Ambiente; Fabrizio
Poggiani: Agricoltura; Debora Ravenna:
Diritto di famiglia; Giuseppe Rosignoli:
Agenti; Alberto Traballi: Fiscalità dell’impresa; Riccardo Tofani: Diritto commerciale;
Andrea Toscano: Dogane, commercio
estero e trasporti; Tamara Vallini: Redditi da
lavoro autonomo; Giovanni Zangrilli: Iva,
Ddt, scontrini e ricevute
Debora Ravenna
Avvocato cassazionista del Foro di Milano
con attività prevalente in diritto di famiglia.
Mediatore professionista. Giudice di Pace
a Monza. Componente della Commissione
del CSM per la Formazione della Magistratura Onoraria della Corte d’Appello di Milano.
Fondatrice e referente del Centro Studi
dell’Ufficio del Giudice di Pace di Milano e di
Monza. Componente dell’Osservatorio sulla
Giustizia civile di Milano. Giornalista pubblicista, dal 1994 collabora con il settimanale
economico-giuridico ItaliaOggi Sette.
È sposata ed ha due figli.
12 -X - 12 Marzo 2012
http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it
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