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Le nuove società di comodo
Le nuove società di comodo di A LESSANDRO FELICIONI http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it PREMESSA Conto alla rovescia per le istanze di disapplicazione delle società di comodo; dopo il tourbillon delle novità dello scorso anno è giunto il momento di presentare, per chi ne ha possibilità, l’istanza volta a rendere inefficaci le penalizzazioni; istanza che va presentata entro il 22 marzo se si vuole avere la sicurezza che l’iter burocratico si concluda prima della scadenza del versamento delle imposte dirette di luglio. In verità quest’anno la problematica è doppia: oltre alla scadenza imminente per presentare l’istanza, si prospetta un tour de force anche in sede di determinazione dei versamenti in acconto, dal momento che le nuove regole entrano in vigore quest’anno ma riverberano i propri effetti anche sugli acconti, costringendo i contribuenti a fare calcoli ed ipotesi di ardua soluzione. La stretta sulle società di comodo si affianca e completa la nuova disciplina dell’assegnazione dei beni ai soci; entrambe le normative, infatti, intendono colpire la fittizia intestazione di beni a società laddove, nella realtà, gli stessi sono a disposizione delle persone fisiche di riferimento. ASPETTI GENERALI La disciplina delle società non operative venne originariamente introdotta dai commi 1, 2, 3, 3-bis, 4 e 4-bis dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994 n. 724. Tale disciplina ha subito negli anni diverse modifiche normative, in particolare recentemente ha subito cambiamenti principalmente ad opera dell’art. 35, commi 15 e 16 del dl 4/7/2006 n. 223 (convertito, con modifi- cazioni, dalla legge 4/8/2006 n. 248), dell’art. 1, commi 109 e seguenti, della legge 27/12/2006 n. 296 (finanziaria 2007) e, ultimamente, del dl n. 138 del 2011 , la cosiddetta manovra di Ferragosto dello scorso anno. Da un punto di vista operativo la disciplina prevede per le società che non rientrano nelle cause di esclusione, non hanno optato per lo scioglimento o trasformazione agevolata oppure non hanno presentato interpello con esito favorevole, la verifica dello status di società non operativa attraverso un test di non operatività di cui al comma 1 dell’art. 30. L’obiettivo di tale test è verificare se nell’ultimo triennio (compreso l’esercizio per cui è operata la predetta verifica) la media dei ricavi, incrementi di rimanenze e proventi (esclusi quelli di carattere straordinario) risultanti dal conto economico, sia almeno pari al valore determinato mediante applicazione alla media triennale dei valori attribuibili agli aspetti patrimoniali, specificamente previsti dal comma 1 dell’art. 30, delle percentuali ivi indicate. Il mancato superamento del test di operatività implica per il contribuente specifiche conseguenze ai fini delle imposte dirette (obbligo dichiarare reddito minimo presunto, limitazione nell’utilizzazione di perdite pregresse), dell’Iva (inibizione alla compensazione, richiesta rimborso, cessione credito ecc). Per la valutazione del test di operatività occorre determinare i ricavi figurativi mediante l’applicazione di alcune percentuali da applicare sulla media dell’ultimo triennio di determinate categorie di beni. In particolare è stato precisato che per l’individuazione dei beni e le immo- I tempi di presentazione dell’istanza di interpello Adempimento Per avere la risposta entro la scadenza della trasmissione Presentazione istanza interpello 3 giugno 2012 Parere della Direzione provinciale dell’agenzia 2 luglio 2012 (30 gg dall’istanza) Parere della Direzione Regionale delle Entrate (90 giorni dalla risposta della direzione 30 settembre 2012 provinciale) Per avere la risposta entro la scadenza dei versamenti 22 marzo 2012 21 aprile 2012 20 luglio 2012 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO bilizzazioni rilevanti ai fini del calcolo necessita fare riferimento a «Titoli e assimilati», «Immobili», Altre immobilizzazioni». SOGGETTI COINVOLTI Il comma 1 dell’articolo 30 individua i soggetti interessati alla disciplina delle società non operative. Si tratta, in particolare, delle società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché delle società non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato. Restano fuori, quindi, le società cooperative, gli enti commerciali e non commerciali, le società consortili e le società che non hanno una stabile organizzazione nel territorio dello Stato. La disciplina non si applica, inoltre, a quei soggetti che lo stesso articolo 30 esclude espressamente. http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Le esclusioni dirette… ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● soggetti che devono obbligatoriamente costituirsi nella forma di società di capitale i soggetti che si trovano nel primo periodo d’imposta le società in amministrazione controllata o straordinaria le società ed enti quotati in Italia le società esercenti attività di trasporto pubblico le società ed enti che controllano società ed enti quotati e le società da essi controllate anche indirettamente le società con un numero di soci pari o superiore a 50 le società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore a dieci unità le società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo le società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale le società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20% del capitale sociale le società che risultano congrue e coerenti ai ini degli studi di settore ... e quelle indirette ● ● ● ● le società cooperative le società di mutua assicurazione gli enti commerciali e non commerciali residenti le società consortili ● le società e gli enti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia. TEST DI OPERATIVITÀ E DETERMINAZIONE DEL VALORE MINIMO Il test di operatività, previsto nel comma 1 dell’articolo 30, si pone l’obiettivo di individuare se una società rientra o meno tra quelle considerate non operative. Il test consiste nel confrontare valori effettivi, risultanti dal conto economico, con valori presunti, determinati secondo i criteri previsti nel medesimo articolo 30: qualora i valori effettivi risultino inferiori rispetto a quelli presunti, la società è considerata non operativa. Per effettuare il test di operatività, il contribuente dovrà: • determinare il valore presunto • determinare il valore effettivo • confrontare il valore presunto con il valore effettivo. Per determinare il valore presunto occorre, in primo luogo, suddividere i beni in tre principali comparti: titoli e assimilati immobili e altre immobilizzazioni. Nel primo comparto (titoli e assimilati) rientrano tutti i beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), del Tuir, nonché le quote di partecipazioni nelle società di persone «commerciali». Non rientrano nel comparto in esame le azioni proprie, i crediti commerciali e i crediti per rimborsi di imposte. Nel secondo comparto (immobili) rientrano, invece, le immobilizzazioni e i beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del dpr n. 633 del 1972. In generale, ci si riferisce ai terreni, ai fabbricati e alle navi, escluse le unità da diporto. Anche su tale comparto la circolare n. 25/E ha chiarito alcuni aspetti problematici. In particolare, sono esclusi dal comparto «immobili» quelli concessi in usufrutto, a condizione che lo stesso sia a titolo gratuito e a favore di soggetti diversi dai soci o familiari. Sono escluse, inoltre, le immobilizzazioni in corso (in quanto non idonee a produrre proventi) e gli immobili merce (in quanto non compresi tra i beni indicati nel primo comma dell’articolo 30). Nel terzo comparto (altre immobilizzazioni) rientrano, infine, gli impianti e i macchinari, le attrezzature industriali e commerciali e gli altri beni indicati alla voce B, II, 4) dello stato patrimoniale. I beni concorreranno nei tre comparti sulla base del loro valore fiscale, secondo i criteri previsti nell’articolo 110, comma 1 del Tuir. Una volta che il contribuente ha classificato i beni all’interno dei tre comparti dovrà calcolare, per ciascun comparto, l’investimento medio triennale realizzato e applicare, a ciascun valore medio, le percentuali del 2 (per il comparto titoli), del 6 (per gli immobili) e del 15% (per le altre immobilizzazioni). La somma dei valori ottenuti applicando le suddette percentuali darà il valore presunto da confrontare con il valore effettivo Il valore effettivo, necessario ai fini del confronto con il valore presunto, si ottiene attraverso una media triennale dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, risultanti dal conto economico. In generale, per i ricavi occorre considerare i valori indicati 2 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO alle voci A1 e A5 del conto economico, mentre per gli incrementi di rimanenze occorre sommare le variazioni positive delle voci A2, A3 e B11 del medesimo conto economico. http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Il doppio test di operatività Primo test: ricavi minimi ● media su base triennale dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi (esclusi quelli straordinari) assunti in base alle risultanze del conto economico non inferiore ai ricavi presunti, ottenuti applicando le seguenti percentuali: ● 2% al valore medio dei titoli e delle partecipazioni anche immobilizzati e dei crediti (esclusi quelli di natura commerciale) ● 6% al valore medio delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e navi destinate all’esercizio di attività commerciali, di proprietà o in locazione inanziaria ● 5% al valore medio degli immobili classiicati nella categoria catastale A/10 ● 4% al valore medio degli immobili a destinazione abitativa ● 15% al valore medio delle altre immobilizzazioni, anche in locazione inanziaria; ● 1% al valore medio di tutti gli immobili situati in Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti Secondo test: reddito minimo Se la società non supera il test dei ricavi minimi rientra tra quelle di comodo e deve determinare il reddito imponibile minimo, applicando le seguenti percentuali: ● 1,50% al valore medio dei titoli e crediti (esclusi quelli di natura commerciale) ● 4,75% al valore medio delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e di navi destinate all’esercizio di attività commerciali, di proprietà o in locazione inanziaria ● 4,00% al valore medio degli immobili classiicati nella categoria catastale A/10 ● 3,00% al valore medio degli immobili a destinazione abitativa (categoria catastale A) ● 12,00% al valore medio delle altre immobilizzazioni, anche in locazione inanziaria ● 0,90% al valore medio di tutti gli immobili situati in Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti Nella determinazione del valore effettivo, il contribuente non dovrà considerare le componenti straordinarie di reddito. Ciò trova giustificazione nel fatto che solo la gestione caratteristica dell’impresa e le sue componenti ordinarie riescono a fornire un quadro attendibile sull’operatività o meno della società. Determinato il valore effettivo, lo stesso dovrà essere confrontato con il valore presunto: la società è considerata non operativa qualora il valore effettivo risulti inferiore rispetto a quello presunto. (vedi tabella pagina seguente) LE CONSEGUENZE DELLA NON OPERATIVITÀ La società considerata non operativa è assoggetta alla disciplina prevista nei commi 3, 3-bis e 4 dell’articolo 30, riguardanti, rispettivamente, le imposte sui redditi, l’Irap e l’Iva. La prima conseguenza della non operatività consiste nell’obbligo di dichiarare un reddito non inferiore a quello minimo, previsto nel comma 3 dell’articolo 30 in commento. Per determinare il reddito minimo il contribuente dovrà: • individuare, per ciascun comparto, il valore dell’esercizio per il quale si sta verificando la condizione di operatività • applicare a ciascun valore del comparto le percentuali dell’1,50 % (titoli e assimilati), del 4,75% (immobili) e del 12% (altre immobilizzazioni) • sommare i singoli valori. Riprendendo i valori dell’esempio precedente, la società non operativa dovrà determinare il suo reddito minimo presunto nel seguente modo. Nell’ipotesi in cui la società non operativa fruisca di agevolazioni fiscali, le stesse, ha chiarito la circolare n. 25/E del 4 maggio, assumono rilevanza anche nella determinazione del reddito minimo. Altra importante conseguenza della non operatività è prevista nel comma 3 dell’articolo 30, e riguarda la limitazione prevista per le perdite degli esercizi precedenti: tali perdite, infatti, possono essere computate in diminuzione soltanto della parte di reddito eccedente quello minimo. Una delle principali novità introdotte dalla legge finanziaria 2007 riguarda la necessità, per le società non operative, di dichiarare anche ai fini Irap un valore minimo imponibile. Tale previsione normativa è contenuta nel comma 3-bis dell’articolo 30, e consiste nel determinare un valore minimo della produzione, partendo dal reddito minimo rilevante ai fini Ires, aumentato di tutte quelle componenti che ordinariamente non sono deducibili dalla base imponibile Irap (ci si riferisce, in particolare, alle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, ai compensi spettanti ai collaboratori coordinati e continuativi, ai compensi erogati per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e agli interessi passivi). Anche in questo caso, come per le imposte sui redditi, la circolare n. 25/E del 2007 ha precisato che la società potrà continuare a beneficiare delle agevolazioni spettanti. Il valore della produzione minimo (24.625), quindi, sarà decurtato di eventuali agevola- 3 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO Un esempio di applicazione http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it I DATI DI PARTENZA Valore Valore Beni Valore 2010 2009 2011 Partecipazioni 100.000 50.000 150.000 Immobili diversi da A/10 e navi 200.000 250.000 210.000 Altre immobilizzazioni 50.000 30.000 70.000 DETERMINAZIONE RICAVI PRESUNTI Beni Media Percentuale Partecipazioni 100.000 2 Immobili diversi da A/10 e navi 220.000 6 Altre immobilizzazioni 50.000 15 TOTALE DETERMINAZIONE DEL REDDITO MINIMO Beni Valore 2011 Percentuale Partecipazioni 150.000 1,75 Immobili diversi da A/10 e navi 210.000 4,75 Altre immobilizzazioni 70.000 12 TOTALE zioni spettanti ai fini Irap. La società considerata non operativa sarà assoggettata alle limitazioni previste, ai fini Iva, dal comma 4 dell’articolo 30. In particolare, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione non potrà: • essere chiesta al rimborso • essere utilizzata in compensazione o ceduta. Con riferimento al punto 1), la circolare n. 25/E del 4 maggio ha precisato che il divieto al rimborso Iva opera limitatamente all’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale, non precludendo la possibilità di ottenere rimborsi infrannuali. In teoria, quindi, la società può ottenere un rimborso Iva infrannuale, salvo poi restituirlo, maggiorato di interessi, nell’ipotesi in cui a fine esercizio risulti non operativa. Oltre alle due limitazioni sopra evidenziate, ne esiste una terza che si sostanzia nella definitiva perdita dell’eccedenza di credito Iva, la quale non potrà più essere utilizzata per compensare l’imposta a debito dei periodi successivi. Ciò si verifica quando la società è non operativa per tre periodi d’imposta successivi, nei quali sia dichiarato un volume d’affari inferiore al valore presunto, determinato secondo i criteri previsti al comma 1 dell’articolo 30. Ad esempio, qualora la società risulti non operativa nei periodi d’imposta 2006-2007-2008 e nel medesimo triennio non effettui operazioni rilevanti, la stessa non potrà più utilizzare in compensazione Iva l’eccedenza di credito esistente alla data del 31 dicembre 2008. Al riguardo, la circolare n. 25/E ha precisato che la verifica dovrà essere effettuata ogni anno con riferimento all’anno stesso e al biennio immediatamente precedente. Media di riferimento 100.000 220.000 50.000 Ricavi presunti 2.000 13.200 7.500 22.700 Reddito minimo 2.250 9.975 8.400 20.625 Cosa comporta essere società di comodo ● ● ● ● ● obbligo di dichiarare ai ini Ires/Irpef il reddito minimo e, ai ini Irap, il valore della produzione minimo determinato ai ini delle società di comodo applicazione dell’aliquota Ires maggiorata (38%) per le società di capitali (27,50 + 10,50). nel periodo in cui la società è non operativa, è possibile utilizzare le perdite di periodi precedenti in diminuzione solo del reddito che eccede quello minimo impossibilità di chiedere a rimborso, cedere o utilizzare in compensazione il credito iva divieto di riporto del credito Iva in assenza di operazione Iva attive per tre periodi di imposta consecutivi. LE NOVITÀ DELLA MANOVRA DI FERRAGOSTO Il dl 138 del 2011 ha profondamente ritoccato la disciplina delle società di comodo prevista dall’art. 30 della legge 724 del 1994. Infatti si prevede per le società di capitali non operative una maggiorazione dell’Ires di 10,5 punti percentuali e l’applicazione della disciplina inerente le società di comodo anche per le società in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi o quelle che in due distinti periodi d’imposta hanno dichiarato perdite fiscali e nel terzo un reddito inferiore al minimo determinato dall’art. 30 della legge 724 del 1994. Le condizioni di sfavore previste in questi casi operano quindi indipendentemente dal superamento del test di operatività previsto 4 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO appunto dall’art. 30. L’aliquota Ires maggiorata sarà pari quindi al 38% ed entrerà in vigore nell’esercizio d’imposta successivo al 17 settembre 2011 sia per le società che sono di comodo in quanto non superano il previsto test di operatività sia alle società che rientrano in quelle con perdite sistemiche. Occorre ribadire che la maggiorazione di aliquota del 10,5% è prevista anche alla quota di reddito applicata per trasparenza ad una società di capitali da una società di persone non operativa ( il reddito sarà tassato al 27,% ad esclusione della parte di reddito attribuito per trasparenza dalla società di persone). Per quanto riguarda invece le società di comodo che hanno scelto di optare al regime di trasparenza fiscale il reddito ai sensi degli artt. 115 e 166 del Tuir è previsto che assoggettino in maniera autonoma il reddito all’aliquota maggiorata del 10,5% e che provvedano al relativo versamento dell’imposta. Anche le società di comodo che hanno scelto di optare per la tassazione di gruppo ai sensi dell’art. 117 del Tuir, sia in qualità di consolidanti che di consolidate, dovranno assoggettare il proprio reddito all’Ires maggiorata e prevedere al relativo versamento d’imposta, mentre la società consolidante assoggettare all’aliquota ordinaria del 27,5% il reddito prodotto a livello complessivo (tale reddito sarà determinato dalla somma algebrica dei singoli redditi netti delle complessive società aderenti al consolidato). Per quanto riguarda il pagamento degli acconti per il periodo d’imposta di prima applicazione occorre assumere come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni. Pertanto i soggetti che ricadono nella normativa dovranno rideterminare l’imposta dovuta applicando la nuova aliquota maggiorata e tale valore dovrà essere preso come riferimento per il calcolo degli acconti del 2012. I soggetti che si trovano invece nella situazione di società di comodo per il mancato superamento del test di operatività possono applicare il metodo previsionale per il calcolo degli acconti per il 2012 e versare l’imposta dovuta applicando un’aliquota ires del 27,5% se ritengono di superare per il 2012 il test. Per quanto riguarda le nuove disposizioni introdotte per le società in perdita sistemica il triennio di riferimento per valutare la perdita sarà quello che va dal 2009 al 2011 e pertanto la maggiorazione del 10,5 punti percentuali sarà applicata dal quarto periodo d’imposta. La verifica nei periodi successivi verrà effettuata sempre su un triennio mobile ( di conseguenza per il 2013 il periodo di riferimento sarà il triennio 2010-2012). Se nel periodo d’imposta considerato vi sono delle cause di esclusione allora occorrerà effettuare di nuovo il calcolo sul triennio successivo (ad esempio se nel 2011 vi è una causa di esclusione occorrerà effettuare il calcolo sul triennio 2012-2014). In questo caso però occorrerà fare maggiore chiarezza, come del resto richiesto espressamente dall’associazione nazionale dei commercialisti, se è ancora possibile applicare la circolare 25 dell’Agenzia delle entrate del 4 maggio 2007. Quest’ultima stabilisce chiaramente che nella determinazione dei ricavi presunti e di quelli effettivi occorre considerare i due periodi d’imposta precedenti a quello in osservazione, anche se interessati da cause di esclusione come previsto dalla norma. Se tale clausola potrà essere applicata non sarà necessario far ripartire il computo del triennio mobile. Viene invece espressamente stabilito che sono escluse dal novero delle società che ricadono nelle norme inerenti le perdite sistemiche quelle che sono costituire nel 2010 e nel 2011 visto che manca un triennio di riferimento. Inoltre per le società in perdita sistemica possono essere applicate le cause di non applicazione previste dall’art. 30 della legge 724/1994. In ogni caso sono esclusi dalla normativa le cooperative, le società di mutuo soccorso, imprese individuali, lavoratori autonomi e enti commerciali e non commerciali residenti. L’INCREMENTO DELL’ALIQUOTA La maggiorazione dell’aliquota trova applicazione ogni qualvolta la società rientri tra quelle considerate non operative dal citato articolo 30 della legge 724 del 1994. Si ricorda, al riguardo, che lo status di operatività deve essere verificato effettuando il cosiddetto test di operatività, il quale prevede un confronto traun valore effettivo, determinato considerando ricavi, incrementi di rimanenze e proventi ordinati imputati a conto economico e un valore presunto, calcolato applicando a taluni beni e immobilizzazioni specifiche percentuali. Qualora il valore effettivo risulti inferiori rispetto a quello presunto la società è considerata non operativa ed è assoggettata a delle conseguenze rilevanti ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap e dell’Iva. Si ipotizzi una società che, nei periodi d’imposta 2010, 2011 e 2012 presenti la seguente situazione: Il primo passaggio consiste nel determinare i singoli ricavi presunti riferibili ai tre comparti, applicando le percentuali previste dal comma 1 dell’articolo 30 ai valori medi dei 3 comparti. Il valore presunto sarà dato dalla somma dei singoli ricavi presunti (2.000 + 13.200 + 7.500). Qualora la società dichiari un valore effettivo (media dei ricavi, proventi e incrementi di rimanenze nei periodi d’imposta 2010, 2011, 2012) inferiore rispetto al valore presunto (22.700), la stessa è considerata non operativa nel periodo d’imposta 2012. La società in esame - considerata non operativa sulla base del predetto test di operatività - dovrà dichiarare, tra l’altro, un reddito non inferiore a quello minimo previsto nel comma 3 del predetto articolo 30. Riprendendo i valori dell’esempio precedente, la società non operativa dovrà determinare il suo reddito minimo presunto nel seguente modo: Il reddito minimo che la società dovrà dichiarare per adeguarsi alla disciplina in commento - determinato applicando le specifiche percentuali previste dalla norma ai beni e alle immobilizzazioni dell’anno per il quale si verifica l’operatività - sarà pari a 20.625 euro. Si tratta di un reddito minimo in quanto la società dovrà dichiarare il suo reddito effettivo qualora quest’ultimo risulti superiore a quello determinato presuntivamente. Su tale reddito minimo dovrà essere applicata la maggiore aliquota Ires del 38% e non quella ordinariamente prevista del 27,5%. Come si evince dalla relazione tecnica, la maggiorazione di aliquota è applicata sul reddito imponibile dichiarato anche nel caso in cui quest’ultimo sia supe- 5 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it riore al reddito minimo. L’aliquota del 38% si applica, peraltro, anche in presenza di un reddito minimo imputato per trasparenza, mentre nel caso in cui sia stata esercitata l’opzione per il consolidato la maggiorazione dovrà essere calcolata dalla singola impresa partecipante. La nuova tassazione si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione. In altri termini, per un contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare la maggiorazione sarà applicabile a partire dal periodo d’imposta 2012. Nella determinazione degli acconti dovuti per il 2012, tuttavia, si deve assumere quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni. L’altra novità in materia di «non operative» introdotta dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2001) riguarda la possibilità che la società sia considerata di comodo - e, quindi, assoggettata alle previste limitazioni - indipendentemente dal superamento del test di operatività di cui all’articolo 30 della legge 724/1994. In particolare, la società dovrà essere comunque assoggettata alla disciplina prevista per le non operative, al pari delle società che non hanno superato il test di operatività, qualora sia in perdita per tre periodi d’imposta, così come quando, nell’arco del triennio, dichiari per due periodi d’imposta una perdita e per uno un reddito inferiore a quello minimo. Indipendentemente dal superamento del test di operatività, quindi, occorre verificare di non essere, nel triennio, in nessuna delle due condizioni sopra elencate per evitare di ricadere, a decorrere dal successivo quarto periodo d’imposta, nelle limitazioni previste in materia di società non operative. Al pari dei soggetti che non superano il test di operatività, anche alle società in perdita sono applicabili le cause di esclusione dalla disciplina delle non operative previste dall’articolo 30 della legge n. 724 del 1994. La disciplina appena evidenziata si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione. In altri termini, per un contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare le disposizioni in esame saranno applicabili a partire dal periodo d’imposta 2012. Nella determinazione degli acconti dovuti per il 2012, tuttavia, si deve assumere quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni. LE SOCIETÀ IN PERDITA PER TRE PERIODI D’IMPOSTA Oltre che alle ipotesi previste dalla normativa del 1994, la Manovra-bis fa diventare non operative le società che registrano una perdita fiscale e che continua per tre esercizi consecutivi, o anche nel caso in cui vi siano due esercizi di perdita e nel terzo, il reddito dichiarato sia inferiore a quello minimo. La dichiarazione da parte di questi soggetti di un reddito superiore a quello minimo, dovrebbe eliminare la possibilità di applicazione della normativa ordinaria. Si può dire che con tale norma, vi è una separazione tra le società che sono di comodo a causa del mancato superamento del test di operatività, e tra le società che, pur superando il test, sono in perdita fiscale. Viene introdotta una presunzione, relativa a quelle società che dichiarano perdite fiscali in modo sistematico (per tre anni consecutivi). Per tali società, la norma prescinde dal superamento del test di operatività, individuando come elemento rilevante, quello della dichiarazione di una perdita fiscale ripetuta per un triennio consecutivo, oppure, si rientra sempre nel mondo delle società di comodo, quando le perdite fiscali siano dichiarate in due periodi di imposta e nel terzo il reddito sia inferiore a quello minimo calcolato secondo le disposizioni di cui all’articolo 30 della legge n. 724 del 1994. LA TRASFORMAZIONE IN SOCIETÀ DI COMODO DEI SOGGETTI IN PERDITA COSTANTE Reddito imponibile Ipotesi 2009 2010 2011 2012 1° caso -10.000 -8.700 -1.000 S. di COMODO 2° caso -6.000 2.500 -2.100 S. di COMODO 3° caso 3.700 -2.200 -6.000 S. OPERATIVA* 4° caso 2.150 -1.500 1.250 S. OPERATIVA* *Se nell’anno 2012 la società supera positivamente il test dei ricavi. In relazione a tale seconda ipotesi, due anni di perdita più un reddito inferiore al minimo, pare che non vi sia la necessità di identificare consecutivamente i periodi di imposta in perdita, venendo assunto un arco temporale di tre periodi d’imposta per poi individuare all’interno di tale triennio le condizioni previste dalla manovra estiva. Per l’identificazione del triennio, è importante capire quale sarà quello da prendere in considerazione tenendo conto che le novità in questione si applicano dal periodo di imposta 2012 e, considerando che il legislatore richiede l’applicazione delle nuove regole già in relazione agli acconti di imposta. Sarà questa una ulteriore situazione dove potrebbe servire la formulazione di una istanza di interpello disapplicativa basata, anche, sulla giustificazione di elementi negativi o variazioni in diminuzione che hanno condotto alla esposizione di una perdita o di un reddito inferiore a quello minimo. (si veda tabella nella pagina a fianco I RIFLESSI DELLE NOVITÀ SUI PROSSIMI ACCONTI Il fatto che le modifiche normative introdotte lo scorso anno abbiano riflessi anche nel calcolo degli acconti relativi al periodo di imposta in corso (2012) impone di prendere in considerazione le nuove norme fin dai prossimi versamenti di giugno. Per determinare gli acconti Ires e Irap si dovrà infatti riavvolgere il nastro dell’ultimo periodo di imposta e considerare cosa sarebbe successo con le nuove regole; a meno che, ovviamente, non si voglia optare per il metodo di determinazione degli acconti previsionale, provvedendo a sanare in un secondo momento eventuali versamenti insufficienti. Come noto le misure di contrasto alla creazione di società non operative a fini elusivi, inasprite con il dl 138 del 2011 consistono nella maggiorazione Ires del 10,5%, in una nuova ipotesi di non operatività per chi è in perdita per tre anni consecutivi e nell’indeducibilità dei costi dei beni dati in uso ai soci a prezzi inferiori al mercato. 6 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO SITUAZIONE DI PARTENZA: (tre esercizi consecutivi in perdita) 2010 2011 2012 Reddito (Perdita) (100.000) (50.000) (10.000) In tale caso, la società rientra automaticamente nella disciplina delle società non operative Situazione di partenza: (due esercizi su tre in perdita) 2010 2011 2012 Reddito (Perdita) (100.000) (50.000) 10.000 La società dovrà veriicare che nel 2012 abbia dichiarato un reddito non inferiore rispetto a quello minimo SITUAZIONE PATRIMONIALE Reddito miniBeni Valore anno 2012 Percentuale mo Partecipazioni 100.000 1,5 1.500 Immobili diversi da A/10 e navi 200.000 4,75 9.500 Altre immobilizzazioni 50.000 12 6.000 17.000 In questa situazione, la società è considerata non operativa, avendo dichiarato nel 2010 e 2011 una perdita e nel 2012 e un reddito (10.000) inferiore rispetto a quello minimo presunto (17.000). Tali disposizioni entrano in vigore nel periodo di imposta 2012, ma, nel calcolo degli acconti da versare per lo stesso periodo, occorre tenerne conto come se esse fossero state applicabili fin dallo scorso esercizio. Cosicché, come anticipato, si dovrà rideterminare la propria situazione relativa al 2011 considerando applicabili le norme in questione; se tale rideterminazione fa scattare i presupposti di applicabilità delle norme in questione va calcolata un’imposta che costituirà la base per la quantificazione dell’acconto 2012. Pochi problemi si pongono per chi era già attratto nella morsa delle società di comodo già nel 2011, con le vecchie norme. Tali soggetti devono versare, oltre all’Ires e all’Irap sul reddito di Unico 2012, l’acconto della nuova addizionale Ires del 10,5%. Ovviamente il contribuente potrebbe non versare la maggiorazione laddove, prevedendo di sfuggire alla disciplina nel 2012 calcoli il proprio acconto con il metodo previsionale. Tuttavia anche in tale eventualità occorrerà fare i conti con la norma sulle perdite triennali che potrebbe riportare la società tra quelle di comodo nel 2012, impedendo la determinazione dell’acconto con il metodo previsionale. In ogni caso va effettuata la verifica in relazione all’eventuale indeducibilità delle spese sui beni assegnati ai soci a prezzi inferiori al valore di mercato, e tener conto di tale indeducibilità in sede di acconto. Per coloro invece che nel periodo di imposta 2011 non erano di comodo con le vecchie regole ma potrebberlo esserlo con le nuove occorre in primo luogo verificare se si era in perdita fiscale nel triennio 2008-2010. In tal caso la società diventa potenzialmente non operativa nel 2011; va calcolato un reddito minimo virtuale di tale anno e versato un acconto ricalcolato. Peraltro va versato altresì il 10,5% sul reddito minimo virtuale rideterminato per il 2011. Se, invece si sfugge alla norma sulle perdite l’acconto storico non va rideterminato, a patto che non vi siano nel 2011 beni dati in uso ai soci a canoni non di mercato; in caso contrario, il reddito effettivo va incrementato dei costi che diventano indeducibili. In ogni caso l’adozione del metodo previsionale per evitare l’applicazione della normativa sulle perdite va attentamente ponderata. Ciò perché il periodo da considerare per la verifica delle perdite è 20082010 nell’acconto storico, mentre diventa 2009-2011 nell’acconto previsionale. Chi è in perdita nel triennio 2008-2010 dovrà verificare il risultato degli esercizi 2009, 2010 e 2011: se il test è superato il 2012 sarà un periodo di operatività e permetterà il calcolo dell’acconto ignorando la nuova normativa. LA DISAPPLICAZIONE DELLA NORMATIVA L’unico rimedio concreto per evitare l’applicazione della normativa sugli enti non operativi, qualora non si superi il test di operatività, è presentare apposita istanza all’Agenzia delle entrate. Nel seguito riassumiamo brevemente la procedura da seguire e i motivi utili da inserire nell’istanza. QUANDO LA DISCIPLINA NON SCATTA la disapplicazione automatica 1) La società può presentare apposita istanza di disapplicazione in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi; 2) La società può rientrare nelle cause di esclusione automatica, previste dall’art. 30 della Legge 724/1994. In particolare, al primo comma viene espressamente previsto che la disciplina sulle società di comodo non si applica: ● ai soggetti obbligati a costituirsi sotto forma di società di capitali per la particolare attività svolta; ● alle società in amministrazione controllata o straordinaria; ● alle società che controllano altre società quotate, ovvero alle stesse società quotate; 7 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO ● ● ● ● ● http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it ● ● ● ● ● alle società con un numero di soci non inferiore a 50; alle società che nel biennio precedente non hanno mai avuto un numero di dipendenti inferiore alle 10 unità; alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo; alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione superiore al totale dell’attivo dello stato patrimoniale; alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20% del capitale sociale; alle società che risultano congrue e coerenti ai ini degli studi di settore. Ulteriori ipotesi di disapplicazione società in stato di liquidazione che con l’impegno in dichiarazione dei redditi richiedono la cancellazione dal registro delle imprese entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi successiva; società che concedono in locazione immobili ad enti pubblici ovvero locati a canone vincolato (ai sensi della legge n. 431 del 9/12/1998 o ad altre leggi regionali o statali); società che detengono partecipazioni in altre società escluse dall’applicazione e/o considerate non di comodo; società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione ad un precedente periodo d’imposta sulla base di circostanze oggettive e che non hanno subito modiicazioni nei periodi d’imposta successivi. La società interessata presenta l’istanza di interpello disapplicativo per dimostrare che il mancato conseguimento dei ricavi e del reddito minimi previsti dalla legge è in realtà dipeso da situazioni particolari, come ad esempio la crisi del settore in cui opera, che di fatto hanno reso impossibile rispettare i parametri di legge. Per i contribuenti per i quali vale una causa di esclusione «automatica» non si applica questa normativa e quindi non dovrà essere presentata l’istanza. L’ istanza deve essere presentata in tempo utile rispetto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in virtù del carattere preventivo della stessa; la risposta dovrà infatti pervenire entro il termine per la dichiarazione annuale. Con la circolare n.32 del 14 giugno 2010 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che l’istanza si intende regolarmente presentata come preventiva quando viene proposta 90 giorni prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’anno. ● ● ● ● ● ● CONTENUTO DELL’ISTANZA dati identiicativi del contribuente e del Legale rappresentante; domiciliatario, eventuale, presso il quale devono essere dirette le comunicazioni degli Ufici riguardanti il procedimento; sottoscrizione del contribuente o del suo Legale rappresentante; descrizione che sia il più possibile esauriente e completa della fattispecie che interessa il contribuente; riferimento alla disposizione dei legge di cui il contribuente chiede la disapplicazione; elementi ed i motivi per i quali il contribuente chiede la disapplicazione della normativa antielusiva con la precisazione espressa che, nel caso di specie, gli effetti elusivi non possono prodursi. I motivi che vanno indicati nell’istanza non devono necessariamente avere carattere di straordinarietà ma è sufficiente che siano adeguatamente argomentati e dimostrati in modo, il più possibile completo ed esauriente L’Agenzia delle entrate potrà chiedere ulteriori elementi istruttori ritenendo carente l’istanza presentata con conseguente sospensione del termine per l’emanazione del provvedimento da parte del direttore. Qualora la risposta dell’Amministrazione sia in senso negativo potrà essere esperito ricorso giurisdizionale soltanto contro il conseguente avviso di accertamento in quanto il diniego alla disapplicazione, di per sé, non rappresenta un atto impugnabile in via autonoma. SITUAZIONI PARTICOLARI Lo stato di liquidazione non è di per sé sufficiente per ottenere l’accoglimento dell’istanza, come è detto nella circolare 5/E/2007. Infatti l’istanza di disapplicazione potrebbe non essere accolta in assenza di adeguate iniziative volte a perseguire il realizzo del patrimonio aziendale ovvero in presenza di eventi non rispondenti alle finalità proprie della liquidazione quali, ad esempio, il godimento a titolo personale, da parte dei soci o dei loro familiari, dei beni sociali. L’operatività di una società-holding, ai fini della disciplina in parola, è subordinata tra l’altro alla circostanza che le società partecipate distribuiscano dividendi in misura superiore all’’importo presunto di ricavi attribuito alla holding in base ai coefficienti di legge. Si dovrà dunque valutare, nel merito, se e quando la mancata erogazione di dividendi costituisca una ragionevole ipotesi per ottenere la disapplicazione della normativa a favore della società. L’indagine allora si trasferirà sulle società partecipate e sulla oggettiva impossibilità di queste a distribuire detti dividendi (perché, ad es. sono in perdita). Per quanto concerne le società in stato di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa queste possono ritenersi esonerate dall’onere di presentare l’istanza di disapplicazione in virtù del loro status e delle leggi speciali che sono tenute ad applicare per la determinazione del reddito. La circolare indica alcune ipotesi per un possibile 8 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO ISTANZA DI INTERPELLO http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Spett. DIRETTORE REGIONALE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE Oggetto: istanza di disapplicazione delle disposizioni (ai sensi dell’art. art. c. 4-bis Legge 724/1994 e dell’art. 37-bis, c. 8 dpr 600/1973) La società ……………… con sede in …………………… via …………….. n° …… P. Iva …………………… PREMESSO a) che nel periodo di imposta 2011 ha realizzato un volume di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi inferiore a quello presunto dall’art. 30, L. 724/1994: - Media 2008/2009/2010 di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi effettivi: € …………….... - Valore presunto in base dall’art. 30, L. 724/1994: € ……………. b) che la società non rientra in alcuna delle cause di esclusione o disapplicazione automatica dalla disciplina; c) che si sono veriicate situazioni oggettive che hanno impedito di realizzare un volume di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi almeno pari al valore presunto dalla legge CHIEDE a codesto spettabile Direttore regionale di disporre la disapplicazione delle disposizioni di cui sopra, ai ini dell’Ires, dell’Iva e dell’Irap, sulla base delle seguenti MOTIVAZIONI (vedi tabella sotto) Il legale rappresentante accoglimento dell’istanza, vale a dire: • la società immobiliare ha iscritte in bilancio soltanto immobilizzazioni in corso di realizzazione, da destinare successivamente alla locazione ma, ovviamente, non suscettibili, al momento, di produrre un reddito, ancorché minimo; • viene dimostrata l’impossibilità, per la società immobiliare di praticare canoni di locazione sufficienti per superare il «test di operatività» ovvero per conseguire un reddito effettivo superiore a quello minimo presunto. Tale circostanza si verifica, ad esempio, nei casi in cui i canoni dichiarati siano almeno pari a quelli di mercato (ex articolo 9 Tuir); • viene dimostrata l’impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso; • L’immobile è temporaneamente inagibile. Relativamente alle seguenti cause società che concedono in locazione immobili ad enti pubblici ovvero locati a canone vincolato (ai sensi della legge n. 431 del 9/12/1998 o ad altre leggi regionali o statali); • società che detengono partecipazioni in altre società escluse dall’applicazione e/o considerate non di comodo; • società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione ad un precedente periodo d’imposta sulla base di circostanze oggettive e che non hanno subito modificazioni nei periodi d’imposta successivi. • la disapplicazione automatica è parziale, ovvero è possibile non considerare solamente le attività in oggetto in sede di determinazione del test di operatività e per il calcolo del reddito minimo presunto. Sarà cura della società «neutralizzare» l’effetto delle predette fattispecie non applicando i coefficienti di redditività sul valore dei beni interessati dalla disapplicazione e non considerando gli eventuali ricavi iscritti a conto economico e direttamente correlati ai medesimi beni. Si noti che la causa di esclusione deve verificarsi nell’anno oggetto di dichiarazione indipendente dalla loro presenza nel triennio di verifica precedente. Si precisa inoltre che per l’applicazione della normativa delle società di comodo a quelle in perdita sistemica deve essere maturato almeno un triennio dalla loro esistenza. Una società in perdita sistemica nel triennio 2009-2011 dovrà considerarsi «di comodo» dal periodo d’imposta 2012: la presenza o meno di cause di esclusione assume rilievo con riguardo all’anno 2012 nel quale dovrebbe considerarsi la società come di comodo. Non rileva a tal fine il triennio 2009-2011 preso in esame per la verifica circa il risultato fiscale negativo, che determina la presunzione di non operatività per la quarta annualità successiva. LA PRASSI DELL’AGENZIA SULLA DISAPPLICAZIONE Casistica Soluzione adottata Società immobiliare va dimostrata la richiesta in attesa di autorizza- tempestivamente avanzioni amministrative zata al Comune attualmente è prevista Contratti di locazione la causa di esclusione a canoni vincolati automatica parziale dei singoli immobili interessati Società con terreno agricolo incolto occorre dare prova della «strategia imprenditoriale idonea a rendere produttivo il terreno o ad altre iniziative conformi all’oggetto sociale» 9 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO Società che subentra l’istanza va accolta in in un contratto di lo- considerazione della impossibilità di modiicare cazione il canone Società immobiliare con canone di locazione rinnovato va provato che il canone iniziale era almeno pari al canone «di mercato» riferito all’anno di stipula iniziale e che successivamente è divenuto inferiore senza possibilità di adeguarlo http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Contratti di locazione immobiliare tra non è causa di disapplisocietà con identica cazione compagine sociale Società con blocco edificatorio sui terreni occorre provare l’acquisto in un periodo in cui i terreni erano privi dei vincoli ad ediicare le immobilizzazioni in corSocietà con bene strumentale in corso so di costruzione sono di completamento escluse dal test di operatività Società in attesa di contributi pubblici va dimostrato che la mancata erogazione dei finanziamenti costituisce motivo per cui si è rimasti inattivi, e comunque a condizione che i inanziamenti siano stati tempestivamente richiesti e che questi, già riconosciuti e imputati al bilancio della società che presenta l’istanza, non siano stati erogati per causa non imputabile alla società stessa va dimostrato che comporta la totale imSocietà in attesa di possibilità a operare autorizzazione del Ssn (l’autorizzazione non deve riferirsi a una sola delle attività svolte) Attività stagionali non vi è disapplicazione, ma i ricavi presunti vanno ragguagliati ad anno I CONTROLLI SULLE SOCIETÀ DI COMODO Le linee di intervento per il controllo delle società di comodo riguardano l’invio di questionari informativi o il reperimento di diverse informazioni sulle società intestatarie di beni, e successivamente un approntamento di un piano di controlli che il personale dell’amministrazione finanziaria svolgerà capillarmente. Pertanto non si attenderà la dichiarazione dei redditi, ma la comunicazione verrà effettuata autonomamente, e chi non adempie a quanto previsto sarà sanzionato. In questo modo le imprese potranno comunicare celermente tutti i dati necessari all’effettuazione dei controlli da parte dell’amministrazione finanziaria. Al comma 36 dell’articolo 2 del dl 138 del 2011 si prevede infatti in caso di omissione della comunicazione, o di comunicazione con dati incompleti o non veritieri, è dovuta una sanzione pari al 30% della differenza tra valore di mercato e somma pagata dai soci. Inoltre occorre ricordare che grazie alle moderne tecnologie informatiche l’amministrazione è già in grado di sapere, per alcuni beni, se questi siano di proprietà della singola persona fisica o della società. In particolari grazie ad incroci fatti con gli atti pubblici o le scritture private registrate l’Agenzia delle entrate e la guardia di finanza sono in grado di conoscere gli intestatari dei beni immobili e dei beni mobili registrati. Tuttavia è necessario effettuare una comunicazione per stabilire chi siano gli effettivi beneficiari in quanto sebbene la proprietà sia appurabile, non è dato sapere chi effettivamente fruisce di tale bene. Di conseguenza per soci e familiari diviene tassabile la quota rappresentata dalla differenza tra valore di mercato e corrispettivo annuo versato per il godimento da parte loro dei beni di impresa. Altra conseguenza è quella che per le società non sono più deducibili i costi sostenuti per tali tipi di beni. Il piano di controlli dà priorità a quelle società che sono intestatarie di beni mobili registrati o beni immobili. Successivamente potranno anche essere inseriti all’interno del piano anche i casi dubbi o le società che fungono da prestanome. Occorre inoltre ricordare che i controlli svolti avranno una duplice finalità. Infatti se da un lato sarà possibile riconoscere quali siano le società di comodo e punire quindi tali tipi di abusi, sarà inoltre possibile anche scovare eventuali contribuenti che hanno il possesso di determinati beni, ma che non sono mai stati dichiarati. In tale modo il redditometro, tenendo conto dei nuovi elementi, potrà determinare il reddito presunto di tali soggetti. COMUNICAZIONE BENI IN USO A SOCI E FAMILIARI Il contrasto alle società di comodo ed agli abusi fatti in materia di uso di beni parte dalla comunicazione da effettuare all’Agenzia delle entrate in merito alle misure di contrasto all’intestazione fittizia di beni. Il provvedimento emanato dal direttore dell’Agenzia delle entrate in data 16 novembre 2011 ha chiarito diversi dubbi in merito mostrando anche quale modello occorre compilare per effettuare la comunicazione. Per quanto riguarda i beni da indicare all’interno del modello, visto che non vi è un esplicito richiamo al tema, occorre inserire quelli concessi ai soci o ai familiari. Il provvedimento amplia i beni che dovranno essere oggetto della comunicazione visto che indica tra il novero dei beni anche: - I beni che sono stati utilizzati nell’anno 2011; - I beni utilizzati dai familiari dei soci o da soci di altre aziende collegate; - Occorre che vi sia anche una specifica indicazione dei versamenti e dei finanziamenti fatti dai soci alle società; - La comunicazione deve essere fatta anche in merito ai beni il cui possesso è cessato nello stesso periodo 10 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO oggetto di riferimento. In sostanza i beni utilizzati in un determinato periodo d’imposta devono essere comunicati entro il 31 marzo dell’anno successivo. La prima applicazione della norma si avrà al 2 aprile 2012. Infatti l’articolo 1.3 della norma prevede che la comunicazione riguardi anche i beni posseduti nel periodo d’imposta in corso alla data del 17 settembre 2011. La possibilità di fruire di un anno in più permetterà all’amministrazione finanziaria di effettuare controlli più accurati alle persone fisiche oltre che di oliare bene il sistema effettuando le dovute implementazioni in termini di software. Inoltre il provvedimento emanata dall’Agenzia delle entrate riporta anche come occorre comportarsi in casi diversi da quello classico in cui il bene sia di proprietà di un socio o di un familiare. Si tratta di: - Persone fisiche che direttamente o indirettamente posseggono partecipazioni dell’impresa concedente; Di familiari dei soci; - Soci o familiari di altre società appartenenti al gruppo. In tutti questi casi la comunicazione è obbligatoria e scatta anche il controllo in merito all’imputazione di un reddito diverso in capo ai soggetti utilizzatori oltre che il disconoscimento delle spese per l’acquisto del bene. L’intervento dell’Irdcec Con la circolare n. 25 del 31/10/2011 l’Istituto di Ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha fornito una approfondita analisi sulle novità legislative in materia di società di comodo evidenziando alcuni problemi collegati alla loro applicazione. In particolare, l’Irdcec si è soffermato sulla problematica riguardante l’applicazione per le società in perdita della disciplina dell’interpello disapplicativo. In particolare l’Irdcec ha sollevato alcuni dubbi riguardo l’applicabilità dell’interpello disapplicativo in relazione ai soggetti che nel triennio dichiarano una perdita fiscale. Laddove, infatti, non ricorra nessuna delle cause di esclusione o di disapplicazione automatica della disciplina riservata alle società di comodo (per esempio società in stato di liquidazione), le società in perdita sistematica, al fine di evitare l’applicazione della disciplina sulle società di comodo, possono presentare istanza di interpello disapplicativo al direttore regionale dell’Agenzia delle entrate competente. Ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, del dprn. 600/1973, l’istanza di disapplicazione può essere presentata in presenza di «oggettive situazioni» che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito minimo ovvero non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini dell’Iva in misura non inferiore a quella presunta in base all’applicazione degli appositi coefficienti. Si deve trattare di situazioni indipendenti dalla volontà dei soggetti interessati e non dimostrabili attraverso le risultanze contabili. Pur in mancanza di indicazioni normative, appare presumibile - secondo l’Irdcec - che le motivazioni che le società in perdita possono porre a base delle loro istanze debbano riguardare, ad esempio, la economicità del comportamento imprenditoriale, da valutare tenendo conto della complessiva situazione contrattuale e aziendale, e la presenza di situazioni particolari che potrebbero aver causato i risultati negativi. Sempre in tale contesto, resta, inoltre, da chiarire se, per le società con perdite triennali, gli interpelli eventualmente accolti negli scorsi anni si possano ritenere ancora validi, senza doverli ripresentare. Si segnala, infine, che la Corte di cassazione ha affermato, nella sentenza n. 8663 del 2011, che il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate che contiene il diniego della disapplicazione è da considerare alla stregua di un provvedimento di diniego di un’agevolazione e lo stesso risulta, quindi, autonomamente impugnabile dinanzi agli organi del contenzioso tributario. Con la ulteriore e importante conseguenza che l’impugnazione del detto provvedimento direttoriale diventa indispensabile al fine di far valere la sussistenza dei presupposti per la disapplicazione, che non sarebbe possibile in sede di ricorso avverso il successivo atto di accertamento. Tale conseguenza non si dovrebbe, però, verificare per le mancate impugnazioni dei provvedimenti di rigetto emanati prima della pronuncia della Cassazione, in quanto la stessa Agenzia delle entrate aveva affermato, nella circolare n. 7/E del 2009, la non impugnabilità di tali provvedimenti, peraltro ribadita in calce a questi ultimi. ASPETTI PARTICOLARI DELL’APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA La prassi che si è succeduta nel corso degli ultimi anni ha evidenziato che l’applicazione della normativa non è sempre di facile determinazione; ciò in quanto possono presentarsi ipotesi nelle quali o è incerta l’applicabilità stessa della normativa o è incerto il valore da assumere a base dei vari calcoli previsti. Di seguito si illustrano alcuni di tali fattispecie approfondite dall’amministrazione finanziaria. Immobilizzazioni immateriali: spese su beni di terzi Con la risoluzione n. 180/E del 24 luglio 2008, l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente definito i confini della categoria delle «altre immobilizzazioni», nell’ambito della disciplina delle società non operative. Nell’ambito del test di operatività l’ammontare complessivo di ricavi, di incrementi di rimanenze e proventi ordinari imputati a conto economico, è determinato mediante l’applicazione di alcuni coefficienti a individuate poste di bilancio, sinteticamente raggruppabili in tre comparti: «titoli e assimilati», «immobili» e «altre immobilizzazioni». Per tale ultima categoria si prevede, per l’appunto, l’utilizzo della percentuale del 15%. Relativamente alle immobilizzazioni immateriali, rientrano nel comparto in questione (quello delle «altre immobilizzazioni») in quanto suscettibili di produrre ricavi o proventi, sia quelle rappresentate da veri e propri beni (diritti di brevetto, concessioni, licenze, eccetera) sia quelle rappresentate da costi a utilità pluriennale (avviamento, costi di impianto e ampliamento, spese di ricerca, spese di pubblicità, eccetera), fra le quali sono annoverabili anche le spese capitalizzate sostenute per ristrutturare beni di terzi presi in locazione. In tale contesto, per le spese relative a più esercizi va assunto, quale ammontare su cui applicare la suddetta percentuale, quello risultante dal bilancio, vale a dire il valore contabile al netto degli importi già dedotti in precedenti esercizi. In effetti, la norma, ai fini della determinazione del valore dei beni, fa riferimento all’articolo 110, comma 1, del Tuir, secondo cui «il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte», indipendentemente dalla deducibilità di queste ultime. Agli oneri 11 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it LE NUOVE SOCIETÀ DI COMODO http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it pluriennali non può applicarsi, però, tale disposizione, considerato che questi ultimi non costituiscono «beni», nell’accezione fatta propria dal legislatore nel citato articolo 110 del Tuir. La classificazione contabile e il test di operatività Anche la corretta classificazione contabile influenza il test di operatività previsto in materia di società non operative. In particolare, si deve comunque tener conto di quei ricavi e proventi che avrebbero dovuto essere indicati nelle voci di conto economico rilevanti ai fini del test di operatività, a prescindere dalle classificazioni contabili adottate. Il nuovo criterio deve essere seguito anche con riferimento agli esercizi precedenti, in cui il test è stato compilato sulla base di dati non coerenti con i principi contabili di redazione del bilancio. L’esito del test di operatività è fondamentale per individuare l’assoggettamento o meno della società alla disciplina del reddito minimo. Il procedimento presuppone la comparazione di due risultati: quello del reddito effettivo e quello del reddito presunto. L’errata o l’omessa indicazione di alcune voci nel test in questione può comportare la sua illegittimità e, quindi, una differente determinazione dell’operatività della società esaminata. La rilevanza del risultato ottenuto dal raffronto tra i ricavi effettivi e quelli dichiarati comporta, cioè, la necessità che il test sia realizzato correttamente. A tal fine, acquisisce importanza non solo il risultato dello stesso ma anche la corretta modalità della sua determinazione, scaturente da una corretta qualificazione già in bilancio dei componenti positivi presi in considerazione: i diversi elementi devono esser stati imputati in bilancio nel rispetto dei principi contabili previsti dal nostro ordinamento. Solo così il test di operatività non potrà essere influenzato da scelte arbitrarie legate alla classificazione delle diverse voci. A tali conclusioni è giunta la risoluzione 13/2008, con la quale l’Agenzia ha chiarito che, qualora il bilancio non sia stato redatto seguendo le disposizioni civilistiche, nonché i corretti principi contabili, per la verifica del test di operatività si dovrà comunque tener conto di quei ricavi e proventi che, secondo i corretti principi contabili, dovevano essere indicati nelle varie voci del conto economico, a prescindere dalle classificazioni contabili adottate. Si faccia, ad esempio, il caso di una immobiliare, il cui oggetto sociale indicato nello statuto è la «compravendita immobiliare» e la cui attività consiste nella gestione di immobili di proprietà che, in attesa di una loro futura ed eventuale vendita, vengono concessi in locazione. La diversa qualificazione degli immobili in questione quali «immobili strumentali» o «rimanenze», a seconda della rilevanza dell’attività effettivamente svolta rispetto a quella indicata nell’oggetto sociale, comporterà una differente determinazione del test, in quanto nel primo caso gli stessi dovranno esser indicati sia ai fini del calcolo dei ricavi effettivi sia a quello dei ricavi presunti, mentre nel secondo caso saranno considerati ai soli fini del calcolo dei ricavi effettivi. A tal proposito, con la risoluzione 152/2004, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la durata pluriennale e continuativa dei contratti di locazione stipulati sull’immobile e la contestuale assenza di un qualsiasi atto di vendita, avente per oggetto anche una parte di esso, non consentono di considerare la locazione come attività sussidiaria, rientrante nell’esercizio caratteristico di un’attività immobiliare di compravendita, ma la riconducono, di fatto, nell’alveo di attività tipica di una società immobiliare di gestione, a prescindere da ogni qualificazione formale dell’attività d’impresa. In particolare, l’Agenzia, in riferimento alla formulazione contenuta nella lettera d), comma 1, dell’articolo 87 del Tuir, ha chiarito come il legislatore, facendo riferimento agli immobili «alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività d’impresa», desse rilevanza all’attività effettivamente svolta, introducendo, così, un criterio sostanziale per la verifica del requisito di commercialità. L’uso dell’avverbio «effettivamente» sottintende, dunque, la necessità di operare un esame dell’attività di fatto esercitata e dell’effettiva destinazione economica degli immobili a un’attività di costruzione o scambio, anche prescindendo, eventualmente, dalle risultanze contabili e dalla configurazione dell’oggetto sociale. Applicando tali considerazioni all’esempio costruito, appare evidente che gli immobili detenuti dalla società andrebbero classificati quali «immobili strumentali», in quanto la qualificazione di «immobiliare di compravendita» non corrisponde a un’attuale ed effettiva attività di produzione o scambio degli immobili. Al di là della classificazione operata in bilancio, un corretto calcolo del test presuppone che i valori considerati, al fine di addivenire al risultato atteso, siano tra loro uniformi e dello stesso genere. In tal senso si è pronunciata anche Assonime (circolari n. 46 del 1997 e n. 43 del 2007) che, in tema di società immobiliari e in riferimento alla imprese a oggetto misto (sia costruzione e vendita di immobili sia gestione degli stessi), ha affrontato la questione del trattamento, ai fini del test di operatività, degli immobili che, pur essendo destinati alla vendita e quindi indicati fra le «rimanenze» dell’attivo circolante, producono temporaneamente proventi da locazione; proventi, che dovrebbero - di regola - essere iscritti alla voce A5 del conto economico, fra gli altri ricavi e proventi dell’esercizio. Al riguardo, è stato argomentato che, dovendo rispettare il criterio della «omogeneità» dei dati da porre a raffronto, sembrerebbe logico ritenere che, ancorché l’immobile possa figurare iscritto tra i beni di magazzino, lo stesso debba ugualmente concorrere ai fini del computo dei ricavi presunti, alla stessa stregua di quelli iscritti fra le immobilizzazioni. Quindi, pur non volendo incidere sulla qualificazione dei beni locati come «rimanenze», gli stessi, ai fini del calcolo del test di operatività, dovranno comunque esser valutati allo stesso modo delle immobilizzazioni, in quanto è necessario che vi sia un’omogeneità tra le voci inserite nel calcolo dei ricavi effettivi e quelle inserite nel calcolo dei ricavi presunti. Per concludere, va comunque sottolineato che l’eventuale «riconsiderazione» delle voci di bilancio rispetto alla classificazione fatta dal contribuente, al fine di addivenire a un test che possa considerarsi quale specchio fedele dell’operatività della società, va valutata caso per caso, in quanto la corretta contabilizzazione di un elemento non può prescindere dalle specificità della situazione. 12 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it QUESITARIO A cura di Gilberto Gelosa http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it 10 Inviare i quesiti a: [email protected] Sommario 1 2 3 5 5 7 7 8 9 10 11 11 AGENTI E RAPPRESENTANTI Agenti e rappresentanti Agevolazioni Ambiente Cooperative Diritto civile 14.1 Cessione del contratto Un agente individuale, in accordo con l’azienda industriale preponente, ha intenzione di trasferire il mandato di agenzia al figlio. Si desidera sapere se: • sia normativamente possibile effettuare tale trasferimento; • in caso di risposta positiva, l’azienda preponente sia tenuta a corrispondere l’indennità di fine rapporto. D.R. Diritto di famiglia Diritto e sport Enti Fisco Previdenza Redditi da lavoro dipendente Risponde Andrea Bonino La risposta al primo quesito è positiva. Ai sensi dell’art. 1406 c.c., ciascuna parte può, infatti, sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta; dal momento di tale cessione, il nuovo agente subentra nei diritti e negli obblighi del cedente. Relativamente al secondo quesito, la risposta è negativa, qualora si consideri che l’art. 1751 c.c. dispone che l’indennità per la cessazione del rapporto non è dovuta «quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede a un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto di agenzia». Sanità ONLINE 15 ANNI DELL’ESPERTO RISPONDE Tutte le risposte ai quesiti dei lettori sono disponibili sul sito www.italiaoggi.it/quesitario 12 Marzo 2012 La riproduzione, anche parziale, è riservata per l’intero fascicolo http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it AGEVOLAZIONI 1.1.9 Detrazioni e cambio d’uso http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Il proprietario di un laboratorio intende demolirlo e ricostruire, mantenendo la stessa volumetria, due abitazioni. Sono applicabili le detrazioni del 36 e del 55%? S.C. Risponde Stefano Baruzzi La risposta è affermativa alle condizioni di seguito precisate. Occorre verificare se l’intervento, dal punto di vista della disciplina urbanistica, configuri una ristrutturazione edilizia (suscettibile di fruire delle detrazioni del 36 e del 55%) oppure una nuova costruzione (alla quale tali detrazioni non sono applicabili). La ristrutturazione edilizia può comportare anche cambi di destinazione d’uso, tuttavia, nel caso in cui intervenga la demolizione dell’edificio preesistente, è indispensabile che la ricostruzione sia fedele non solo nel volume ma anche nella sagoma, «fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica», secondo i dettami dell’art. 3,lett. d) del dpr n. 380/2001 (T.u. dell’edilizia). Giova ricordare che le definizioni che contano, ai fini urbanistici e tributari, sono quelle delle leggi dello stato e che, di recente, proprio in tema di ristrutturazione con demolizione, la Corte costituzionale (sent. n. 309 del 21.11.2011) ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme urbanistiche emanate dalla regione Lombardia (precisamente, degli artt. 27, 1° comma, lett. d) Up e 103 della lr 12/2005 e dell’art. 22 della lr n. 7/2010) che non rispettavano la definizione statale ma la ampliavano e, anzi, dichiaravano la cessazione della diretta applicazione nella regione della disciplina di dettaglio prevista da numerosi e basilari articoli del Tu dell’edilizia. La consulta ha affermato che sul territorio vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi, alla conservazione del paesaggio, affidato allo stato, e alla fruizione del territorio, affidato anche alle regioni (sent. Corte cost. 367/2007) e che rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi. Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa che si avrebbe tra le varie regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul paesaggio della nazione (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del territorio», per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale, e sulla sua tutela. Circa la compatibilità del cambio di destinazione d’uso con la ristrutturazione facciamo rinvio alla importante ris. Ag. 14/E/2005(trasformazione di un fienile in abitazione) che conclude ponendo la condizione che nel provvedimento amministrativo che abilita i lavori «risulti chiaramente che gli stessi comportano il cambio di destinazione d’uso del fabbricato, già strumentale agricolo, in abitativo». Qualora tale qualificazione non sia esplicitata, riteniamo possa esserne richiesto il rilascio al comune in un documento a sé stante e, in difetto, si dovrà ovviare facendo ricorso a una certificazione redatta da un professionista abilitato. Richiamiamo anche la circolare del ministero delle finanze n. 57/E/1998, par. 3.4,che precisa come nella ristrutturazione edilizia pos- sano essere ricompresi la riorganizzazione distributiva degli edifici e delle unità immobiliari, del loro numero e delle loro dimensioni, nonché il mutamento di destinazione d’uso secondo quanto disciplinato dalle leggi regionali e dalla normativa locale, nonché l’ampliamento delle superfici (ma non dei volumi preesistenti). 1.1.9 --------------------------- 36% in corso d’opera In caso di vendita di due appartamenti in corso di ristrutturazione, agli acquirenti è applicabile la detrazione del 36%? Come va suddivisa fra essi se dall’originaria unità ne sono ricavate due distinte? C.G. Risponde Stefano Baruzzi In caso di vendita o di donazione dell’immobile ristrutturato (riteniamo che la cessione con ristrutturazione ancora in corso non faccia eccezione se l’intervento viene completato, anche se da altro soggetto, in forma tale da soddisfare i presupposti di legge, realizzando quindi il recupero dell’immobile che rappresenta la finalità per cui la detrazione è stata istituita) il diritto alla detrazione del 36% (per la parte non ancora goduta dal cedente o donante) si trasferisce all’acquirente o al donatario. Peraltro, a decorrere dal 17 settembre 2011, le quote di detrazione in questione possono essere utilizzate dal venditore oppure possono essere trasferite all’acquirente persona fisica (art. 2, commi 12-bis e 12-ter del dl n. 138/2011,come modificato dalla legge n. 148/2011; cfr. istruzioni di Unico 2012, pag. 55). Occorrerà pertanto regolare espressamente nell’atto di trasferimento a chi competeranno le quote residue della detrazione. Analoga facoltà sussiste in base alla nuova disciplina sul 36%, applicabile dall’1/1/2012, come «rivisitata» (con limitate modifiche rispetto all’assetto preesistente) dall’art. 4 del dl n. 201/2011,convertito dalla legge n. 214/2011 («Salva Italia»), che ha introdotto nel Tuir il nuovo art. 16-bis, il cui comma 8 stabilisce che «in caso di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi di cui al comma 1 la detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare. In caso di decesso dell’avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene». La suddivisione fra i due appartamenti delle spese «comuni» di ristrutturazione, sostenute in ciascun anno solare (nel caso l’intervento si protragga per più anni), dovrà necessariamente essere effettuata sulla base di parametri oggettivi e significativi, quali i metri quadri o i metri cubi o similari che rispettino la proporzionalità fra l’onere complessivo e la parte di esso imputabile a ciascuna unità (cfr., in ambito Iva, l’art. 19-bis 2, 8° comma). A tal fine, reputiamo opportuno acquisire una certificazione esplicativa (munita di computo dimostrativo il più possibile analitico per categorie di opere con rispettive quantità e prezzi) del professionista tecnico abilitato che assiste il committente nei lavori, da esibire all’Agenzia delle entrate in caso di richiesta di chiarimenti o di contestazione. Eventuali spese specificamente riferibili alle singole unità immobiliari dovranno invece essere imputate in 2 -X - 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it modo diretto, senza riparto proporzionale, alle unità interessate. 1.1.9 1.1.9 Come viene trattata la detrazione del 55% tra gli acquirenti di un immobile su cui sono stati effettuati interventi rientranti nella detrazione del 55%? Come deve essere ripartita in caso di frazionamento dell’unità originaria ristrutturata e riqualificata? Possono cumularsi le detrazioni del 36 e del 55% con altri incentivi finanziari? R.O. --------------------------- 55% e ristrutturazione http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it In caso di ristrutturazione di un laboratorio dal quale si ottengono due appartamenti, il nudo proprietario che sostiene le spese può fruire della detrazione del 55% se c’è una riqualificazione energetica dell’intero edificio? Nel laboratorio erano presenti due caldaie: sostituendole con nuove caldaie e con pannelli solari si può beneficiare del 55% ? I.Z. Risponde Stefano Baruzzi Facciamo riferimento alla «guida alle agevolazioni fiscali per il risparmio energetico» dell’Agenzia delle entrate (ediz. Dicembre 2011). La detrazione del 55% può riguardare immobili di qualsiasi categoria catastale (non solo abitativi) e di essa possono fruire sia il proprietario che il titolare di un diritto reale. Tuttavia, esistono importanti limiti riconducibili al tipo di intervento. Ad esempio, non sono ammessi al 55% gli interventi di nuova costruzione e, nel caso di demolizione, si può accedere all’incentivo solo con la fedele ricostruzione, in quanto ristrutturazione ex art. 3 del dpr n.380/2001. Nelle ristrutturazioni con frazionamento e conseguente aumento delle unità il beneficio è compatibile solo con la realizzazione di un impianto termico centralizzato a servizio di tutte le unità e occorre altresì che l’immobile frazionato fosse già all’origine dotato di impianto di riscaldamento (quest’ultimo requisito non è richiesto per l’installazione di pannelli solari). È esclusa dalla detrazione la trasformazione dell’impianto di climatizzazione da centrale a individuale o autonomo. Quanto precede con riguardo alle specifiche opere relative alla sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale (detrazione massima euro 30.000) e ai pannelli solari (detrazione massima euro 60.000). Per la «riqualificazione energetica» dell’intero edificio, il massimo della detrazione è di euro 100.000 per intervento. Con tale termine si intendono quegli interventi che permettono il raggiungimento di un indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale non superiore ai valori definiti dal dm Sviluppo 11/3/2008 (i parametri cui fare riferimento sono quelli applicabili alla data di inizio dei lavori). Per la riqualificazione energetica non sono stabiliti opere o impianti da realizzare per raggiungere le prestazioni energetiche indicate: pertanto, comprende qualsiasi intervento (o insieme di interventi) che incida sulla prestazione energetica dell’edificio, realizzando la maggior efficienza energetica, anche installando impianti termici non aventi le caratteristiche previste per il singolo intervento agevolabile. La riqualificazione energetica dell’intero edificio può quindi offrire anche più elasticità rispetto ai singoli interventi agevolati dalla normativa del 55%. Molto importante è il richiamo di attenzione contenuto a pag. 11 della guida, ove – tra l’altro - si chiarisce il rapporto di «alternatività» che sussiste fra la «riqualificazione globale» e i singoli specifici interventi agevolati nonché la deroga relativa alla installazione dei pannelli solari, la cui detrazione può essere fatta valere anche in aggiunta a quella di cui si usufruisce per la qualificazione energetica dell’intero edificio. 55% e cessione Risponde Stefano Baruzzi In caso di trasferimento, per atto a titolo oneroso o gratuito, della proprietà o di un diritto reale, le quote di detrazione residue fino a pochi mesi fa «passavano» al nuovo titolare persona fisica. Tuttavia, le istruzioni alla dichiarazione dei redditi (pag. 60 di Unico 2012) hanno recepito «estensivamente», anche per la detrazione del 55% (confermando l’opinione prevalente, sia pure caratterizzata da qualche dubbio), la novità introdotta (con riferimento al solo 36%) dall’art. 2, commi 12-bis e 12-ter del dl n. 138/2011,come modificato dalla legge n. 148/2011. Pertanto, «a decorrere dal 17 settembre 2011, in caso di vendita dell’unità immobiliare oggetto dell’intervento, tali quote possono essere anche mantenute in capo al venditore»: occorrerà quindi regolare espressamente nell’atto di trasferimento a chi competeranno le quote residue della detrazione e, nel silenzio delle parti, esse continueranno a trasferirsi all’acquirente persona fisica, come già in passato. Si ricorda anche che se un determinato intervento rientra nell’ambito di applicazione sia del 36% che del 55% si può fruire per esso soltanto dell’una o dell’altra detrazione. Inoltre, dall’1/1/2009 la detrazione del 55% non è cumulabile con eventuali incentivi comunitari, regionali o locali e quindi occorre scegliere fra il 55% e gli incentivi. Anche ai fini della detrazione del 55%, per la suddivisione delle spese comuni alle due unità dovranno essere utilizzati parametri oggettivi e rappresentativi (superfici, volumi; in alcuni documenti di prassi l’Agenzia delle entrate ha richiamato i millesimi). Eventuali spese specificamente riferibili alle singole unità dovranno invece essere imputate in modo diretto, senza riparto, alle unità interessate. Per il 2012 la detrazione del 55% è stata prorogata senza alcuna modifica rispetto all’assetto che essa aveva nel 2011. A partire dall’1/1/2013 essa scomparirà nella forma sinora nota e sarà «assorbita» all’interno della detrazione del 36%. AMBIENTE 12 Costruzione di elettrodotti aerei Un comune lombardo può ancorare alla tutela del paesaggio il suo diniego alla costruzione di elettrodotti aerei? I.N. Risponde Piergiorgio Pizzo La legge regionale della Lombardia, numero 11, dell’11 3 - X- 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it maggio 2001, sulla protezione ambientale dall’esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti fissi per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione, ha stabilito, all’articolo 4, comma 7, che «viste le caratteristiche tecniche delle reti per la telefonia mobile e la natura di pubblico servizio dell’attività svolta, che motivano una diffusione capillare delle stazioni impiegate a tale scopo, gli impianti radiobase per la telefonia mobile di potenza totale ai connettori di antenna non superiore a 300 W non richiedono una specifica regolamentazione urbanistica». La legge regionale della Lombardia, numero 52, del 1982, al comma 5, dell’articolo 5 ha disposto che: «Qualora gli impianti elettrici o le relative opere accessorie interessino zone o immobili soggetti a vincolo idrogeologico o a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, numero 1497 o a vincoli derivanti dalla destinazione a riserva o a parco naturale, ovvero nel caso in cui la loro esecuzione comporti la necessità di procedere al taglio di boschi d’alto fusto, l’autorizzazione prevista dalla presente legge non può essere rilasciata se non sia stato preliminarmente acquisto il parere degli organi e degli enti preposti alla relativa tutela; tali pareri, se favorevoli, sostituiscono le autorizzazioni particolari prescritte dalla legislazione vigente nelle corrispondenti materie». Quest’ultima disposizione, subordina, quindi, l’autorizzazione alla costruzione di impianti elettrici, o delle relative opere accessorie, che interessino zone od immobili soggetti a vincolo idrogeologico o a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, numero 1497 o a vincoli derivanti dalla destinazione a riserva o a parco naturale, ovvero nel caso in cui la loro esecuzione comporti la necessità di procedere al taglio di boschi d’alto fusto, al parere degli organi e degli enti preposti alla relativa tutela. Fra questi organi non figura il comune. Pertanto, come affermato dal consiglio di stato, sezione V, con la sentenza del 14 febbraio 2005, numero 2005, la normativa suddetta non consente ai comuni di introdurre limitazioni e divieti generalizzati riferiti alle zone territoriali omogenee, né consente l’introduzione di distanze fisse, da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, quando tale potere sia rivolto a disciplinare la compatibilità dei detti impianti con la tutela della salute umana al fine di prevenire i rischi derivanti dall’esposizione della popolazione a campi elettromagnetici, anziché a controllare soltanto il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici. 12 --------------------------- Residui Gradirei qualche puntualizzazione in materia di residui. F.T. Risponde Piergiorgio Pizzo L’articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, numero152, che ha novellato l’articolo 183, comma 1, lettera p), del Testo unico sull’ambiente, ai fini dell’individuazione dei sottoprodotti, enuncia criteri di individuazione degli stessi in parte differenti rispetto a quelli enunciati dal predetto articolo 183, comma 1, let- tera p). La nuova normativa non richiede più, per aversi un sottoprodotto, che la sostanza o l’oggetto debbano essere impiegati direttamente dall’impresa produttrice degli stessi, che la commercializzazione debba avvenire a condizioni economicamente favorevoli e che non sia necessario operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo. Ora, ai fini dell’individuazione dei residui bisogna tenere conto di quelle operazioni che nella pratica sono dirette a rendere compatibili detti scarti, sia sotto il profilo merceologico, sia sotto il profilo ambientale, con i processi produttivi propri dell’impresa che li utilizza. La Commissione Ce, con la comunicazione del 21 febbraio 2007, in tema di residui e di materiali difettosi, ha affermato: «Di norma, i residui provenienti da un processo di produzione principale, o i materiali che presentano solo difetti superficiali ma la cui composizione è identica a quella del prodotto principale, come le miscele di gomma o i composti per la vulcanizzazione, trucioli e pezzetti di sughero, scarti di plastica e altre materie simili, possono essere considerati sottoprodotti. Affinché sia così devono potere essere riutilizzati direttamente nel processo di produzione principale o in altre produzioni che siano parte integrante di tale processo e per le quali il loro utilizzo sia altrettanto certo. Si può ritenere che anche questo tipo di materiali non rientra nella definizione di rifiuto. Laddove questi materiali richiedano un’operazione completa di riciclaggio o di recupero, o se contengono sostanze inquinanti che occorre eliminare prima di poterli riutilizzare o trasformare, essi devono essere considerati rifiuti fino al completamento dell’operazione di riciclaggio o di recupero». In tema, si rimanda anche alla direttiva 2008/98/Ce, recepita con il decreto legislativo numero 205, del 2010. 12 --------------------------- Normale pratica industriale Cosa deve intendersi per «normale pratica industriale», di cui al punto c), dell’ articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, numero 152? C.O. Risponde Piergiorgio Pizzo L’articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, numero152, dispone: «È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: • la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; • è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; • la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; • l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà impatti complessivi negativi sull’ambiente o al salute 4 -X - 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it umana». La dizione «normale pratica industriale» usato dal legislatore al punto c) del su riportato articolo 184-bis, comma 1, se da un lato non può essere eccessivamente circoscritta, dall’altro lato essa non deve abbracciare qualsiasi operazione inserita comunemente nel ciclo produttivo. Pertanto, nella «normale pratica industriale» devono farsi rientrare tutte quelle operazioni industriali che possono interessare sia il sottoprodotto, sia la materia prima, o un intermedio, o un prodotto, senza che ciò comporti aggravi dal punto di vista dell’impatto ambientale. Quindi, ad esempio, la rifusione di uno scarto di prodotto metallico rientra nella «normale pratica industriale». Il trattamento è identico o assimilabile a quello al quale l’impresa sottopone , prodotti, intermedi o materie prime, che non si possono considerare, per la loro origine, rifiuti. La Corte di giustizia della Comunità europea, con la sentenza Niselli, ha evidenziato come un’operazione che in astratto può rientrare tra quelle indicate ai punti da R1 a R13 dell’Allegato II alla direttiva 2008/98/Ce, non sia incompatibile con il trattamento preliminare di un sottoprodotto, atteso che l’operazione a cui viene sottoposto il materiale non consente di pronunciarsi sulla natura del materiale, in quanto diversi dei metodi di trattamento indicati nei predetti allegati possono applicarsi anche ad un prodotto. COOPERATIVE 2.3 Cooperativa e società di comodo Non ho trovato in nessuna norma (legge o decreto) che le società cooperative possono essere classificate fra le società di comodo. Ma non mi pare che possano essere classificate come tali, soprattutto quelle edilizie che, ogni anno e dopo avere assegnato gli immobili, sono in perdita e per vari esercizi. R.R. Risponde Giannino Cascardo Per trovare una risposta esaustiva e puntuale al quesito è opportuno fare riferimento alla prassi ministeriale che, con la circolare del 4 maggio 2007, n.25 (Agenzia delle entrate, direzione centrale normativa e contenzioso), che tratta proprio delle società non operative, esaminando l’ambito soggettivo elenca in pratica le società di capitali (salvo i «soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali») e di persone oltre alle società e gli enti non residenti ma con stabile organizzazione nel territori dello Stato. Subito dopo espone le esclusioni e, fra gli altri soggetti, in prima linea, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, oltre alle società consortili. 2.3 iscritti alla nostra, effettuava i calcoli su un imponibile cosiddetto convenzionale. È esatto? P.A. Risponde Giannino Cascardo L’imponibile convenzionale è ormai sorpassato da un paio d’anni. Infatti dall’1/1/2010 l’imponibile contributivo dei lavoratori delle cooperativa sociali è stato equiparato a quello dei lavoratori delle altre imprese, così come ribadito anche dalla circ. Inps n. 21 del 9 febbraio scorso. Al riguardo si può consultare sull’argomento anche la circ. Inps 9 marzo 2007, n. 56 che aveva per oggetto giusto il percorso di adeguamento della retribuzione giornaliera imponibile ai fini contributivi per i lavoratori soci di cooperative per le quali sono stati adottati i decreti ministeriali ai sensi del T.u. sugli assegni familiari. In particolare ci si riferiva al soci di cooperative sociali ex art. 1, comma 1, lett. a) della legge istitutiva delle cooperative sociali n. 381/1991. 2.3 Pescatori in cooperativa Ormai tutte le agevolazioni sulle cooperative sono ridotte ai minimi termini. Siamo in Sardegna, abbiamo praticamente perso il posto di lavoro in una di quelle che chiamano ristrutturazioni e ci piacerebbe sapere almeno un esempio di agevolazione per un tipo di cooperativa per costituirne una, magari per coltivare terreni o per allevamento di pesci. E.S. Risponde Giannino Cascardo Alcuni anni fa sono stato in Sardegna, nella provincia di Oristano, e ho incontrato realtà cooperative di grande rilievo fra pescatori. Questi si erano costituiti per l’allevamento di pesci come le orate, che poi inviavano ai mercati di tutt’Italia e anche all’estero. Il tutto, l’inserimento del mangime nelle vasche e l’ossigenazione dell’acqua, era gestito con un programma e con numerosi video che davano, in tempo reale, la situazione nelle singole vasche di allevamento. Ecco, proprio nel settore della pesca, per l’anno 2012, al contrario per altri settori della cooperazione, comprese le cooperative sociali, esiste una retribuzione convenzionale per i pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne associati in cooperativa (legge n. 250 del 1958). Per i soci delle cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13/3/1958, n. 250, la retribuzione convenzionale per l’anno 2012 è fissata in € 635,00 mensili (€ 25,39 x 25gg.). DIRITTO CIVILE --------------------------- Retribuzione convenzionale Una cooperativa sociale appena costituita dovrebbe godere di agevolazioni circa i contributi da versare? Abbiamo visto che quella di provenienza di alcuni soci, ora --------------------------- 4 Procedimento di arbitrato Le parti di un arbitrato possono determinare regole procedurali per disciplinare lo svolgimento dello 5 - X- 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it stesso? http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it R. F. Risponde Marina Nitrola Sì: l’art. 816-bis del codice di rito civile riserva alle parti il potere di dettare le norme che gli arbitri devono osservare nella conduzione del procedimento. Tale potere prevale su quello degli arbitri nel senso che, qualora le parti fissino determinate direttive, i giudicanti dovranno attenervisi. Le parti possono, nel compromesso o nella clausola compromissoria, delineare i contorni dello schema procedimentale entro il quale gli arbitri dovranno agire, restringendo o ampliando le maglie dei poteri di questi ultimi. A titolo esemplificativo: le parti potrebbero conferire agli arbitri il potere di assegnare termini perentori o prevedere che venga obbligatoriamente esperito un tentativo di conciliazione. Questo potere «normativo» riconosciuto alle parti assume particolare rilievo ove si consideri che esse sono libere di stabilire se, nel procedimento arbitrale, devono essere rispettate le forme previste a pena di nullità per i giudizi ordinari. A mente dell’art. 829, n. 7, Cpc, in virtù del quale le parti possono perfino determinare nullità «nuove» rispetto a quelle positivamente previste, si coglie l’importanza del limite temporale posto alle parti per la determinazione delle norme procedimentali. Come accennato, esse devono provvedere nel compromesso, nella clausola compromissoria o, comunque, con «atto scritto separato purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale» (art. 816-bis, comma 1, Cpc). Gli arbitri devono, infatti, essere in condizione di conoscere preventivamente le «regole del gioco» a cui dovranno attenersi, per valutare l’ipotesi di non accettare l’incarico, ove non ne ravvisino l’opportunità. Il potere normativo delle parti incontra anche dei limiti sostanziali: esse restano vincolate dai principi di ordine pubblico processuale e non possono, in alcun caso, derogare al principio del contraddittorio. Le parti non godono, infine, del potere di negare l’applicazione o modificare il contenuto di norme inderogabili, ad esempio quelle che regolano la ricusazione degli arbitri o quelle che vietano a questi ultimi di emanare provvedimenti cautelari. 4 --------------------------- Dichiarazione di indipendenza Sono stato nominato arbitro e mi si richiede una «dichiarazione di indipendenza»: di che si tratta? M.B. Risponde Marina Nitrola A chiunque venga nominato arbitro si richiede imparzialità ed indipendenza rispetto alle parti: requisiti che devono sussistere al momento dell’accettazione dell’incarico e per tutta la durata del procedimento, fino alla pronuncia del lodo finale o, comunque, alla conclusione del procedimento stesso. Qualora un arbitro abbia un qualsiasi dubbio in ordine alla propria capacità di essere imparziale o indipendente, dovrebbe non accettare l’incarico o, se l’arbitrato è già iniziato, rinunciarvi. Esiste, però, una vasta gamma di situazioni in cui l’arbitro, pur considerandosi imparziale ed indipendente e ritenendo, pertanto, di poter accettare l’incarico o continuare a svolgerlo, versa in situazioni tali da far insorgere, agli occhi delle parti, dubbi in merito. In simili casi è opportuno che, i fatti o le circostanze suscettibili di mettere in discussione perfino la sola «apparenza» di imparzialità, siano oggetto di dichiarazione da parte dell’arbitro, che dovrà rendere una c.d. «disclosure» diretta alle parti, all’istituzione arbitrale (o ad altra autorità di nomina) nonché ai co-arbitri. Oggetto della dichiarazione dovranno essere tutti i fatti e le circostanze suscettibili di ingenerare dubbi in merito all’imparzialità e all’indipendenza dell’arbitro, che dovrà aver cura di indicare i soggetti coinvolti, i rapporti professionali o personali intercorrenti con questi, nonché i dati temporali relativi a detti rapporti. Qualunque dubbio in merito all’opportunità di dichiarare o meno i fatti e le circostanze in parola, andrebbe risolto a favore della dichiarazione. Si segnala, infine, che nella compilazione della disclosure e nell’individuazione del suo oggetto, un utile riferimento è dato dalle «linee guida sui conflitti di interesse nell’arbitrato internazionale», elaborate dall’International Bar association in ragione della delicatezza e della rilevanza internazionale del tema. 4 --------------------------- Sospensione del procedimento Gli arbitri possono concedere una sospensione del procedimento su richiesta delle parti? E.V. Risponde Marina Nitrola Certamente: si parla, in tal caso, di sospensione c.d. «concordata». L’istituto della sospensione del procedimento arbitrale è disciplinato dall’art. 819-bis Cpc, che fornisce un elenco di ipotesi in cui gli arbitri, con ordinanza motivata, devono o possono disporla. Gli interpreti sono soliti distinguere tra sospensione «necessaria» e «discrezionale»: la prima riguarda le tre ipotesi contemplate dal primo comma del citato art. 819-bis: quando il processo, se la lite fosse pendente di fronte all’autorità giudiziaria ordinaria, dovrebbe essere sospeso a norma dell’art. 75, comma 3 Cpp; qualora sia necessario risolvere una questione pregiudiziale su materia non arbitrabile e, infine, nel caso in cui gli arbitri sollevino una questione di legittimità costituzionale Gli arbitri godono, invece, di discrezionalità nel disporre la sospensione qualora nel giudizio arbitrale venga invocata l’autorità di una sentenza e questa è impugnata (art. 819-bis, comma 2 Cpc) o qualora una parte sia venuta meno e gli arbitri abbiano assunto i provvedimenti necessari alla ricostituzione del contraddittorio (art. 816-sexies). Sebbene sul punto non vi sia alcuna espressa previsione, è opinione comune che gli arbitri possano concedere una sospensione Cd «concordata» tra le parti e da queste richiesta - ad esempio nel caso in cui vogliano approfondire ipotesi transattive - in ragione della natura pattizia dello stesso strumento arbitrale. Gli arbitri dovranno, comunque, tenere in debita considerazione la scadenza del termine per la pronuncia del lodo, poiché l’art. 820, comma 3 Cpc fa conseguire la sospensione di detto termine solo nelle ipotesi di sospensione espressamente previste. Se del caso, le parti che intendano chiedere una sospensione concordata, 6 -X - 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it potranno contestualmente prestare il proprio consenso ad una proroga del termine per la pronuncia del lodo. Rapporti di forte tensione fra genitori e nonni possono integrare un giustificato motivo per escludere o limitare la frequentazione. DIRITTO DI FAMIGLIA 4.7 Sottrazione di minori http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Vorrei sapere se in caso di sottrazione internazionale di un minore questi ha diritto ad un’audizione davanti al giudice per spiegare se è d’accordo o meno a tornare dal genitore affidatario. D.D. Risponde Debora Ravenna La risposta è positiva. La Corte di cassazione con la sentenza n. 17201/2011 ha stabilito che: «Nel procedimento previsto dalla legge n. 64 del 1994 (di ratifica della Convenzione de L’Aia del 25 ottobre 1980) in tema di sottrazione internazionale di minori, non sussiste l’obbligo del giudice di procedere all’audizione del minore, in quanto l’art. 7, comma 3, di detta legge prevede che il Tribunale per i minorenni può disporla, qualora la ritenga opportuna, tenuto conto dell’età del minore, dell’esigenza di evitargli ulteriori traumi psichici e della celerità del procedimento; tuttavia, detta audizione, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario, nelle procedure che li riguardino, ai sensi degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77, salvo pericolo di danno per l’interessato, con la conseguenza che tale adempimento è necessario anche nel procedimento per la sottrazione internazionale di minori, per poter valutare in esso, ex art. 13, comma 2, della cit. convenzione, anche l’eventuale opposizione del minore al ritorno, salvo ragioni di inopportunità o danno, e non può essere escluso con mero riferimento al dato anagrafico del minore». 4.7 --------------------------- Frequentazione nonni-nipoti Nostro figlio è mancato da un anno, a questo immenso dolore se ne aggiunge un altro non meno pesante: il divieto di nostra nuora di frequentare il nipotino. Abbiamo strumenti legali per poterlo vedere? P.O.H. Risponde Debora Ravenna L’ordinamento italiano non prevede il diritto dei nonni di frequentare i nipoti, offre una tutela indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori, mediante il riconoscimento della legittimazione a sollecitare il controllo giurisdizionale ai sensi dell’art. 336 c.c. sull’esercizio della potestà dei genitori. Potestà che il giudice può limitare, consentendo ai nonni di frequentare i nipoti qualora ritenga che tale rapporto sia nell’interesse dei minori, che gli stessi ne traggano beneficio o per lo meno non sia ad essi pregiudizievole. Il rifiuto del/dei genitore/i di consentire la frequentazione dei propri figli minori con i nonni può ritenersi giustificato solo in presenza di serie e comprovate ragioni che sconsiglino di assicurare e regolamentare i rapporti. DIRITTO E SPORT 22 Conservazione documenti Per quanto attiene alla conservazione della documentazione amministrativa, contabile e fiscale da parte di una associazione sportiva dilettantistica, occorre fare riferimento alle norme in materia relative alle imprese commerciali oppure esistono norme specifiche? O.A. Risponde Maurizio Mottola Nell’ordinamento civilistico e tributario vigente non sono presenti specifiche normative in materia dedicate agli enti non commerciali come le associazioni sportive dilettantistiche. Ne consegue che in tema di conservazione della documentazione amministrativa, contabile e fiscale occorre fare riferimento a quanto disposto per le imprese commerciali. Per quanto attiene la disciplina del codice civile, ai sensi dell’articolo 2220, l’imprenditore deve custodire e conservare le scritture e i documenti contabili e la corrispondenza commerciale per un periodo pari a 10 anni (per le scritture contabili dalla data dell’ultima registrazione effettuata). Con riferimento invece alla disciplina fiscale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 22 dpr 600/73 e dell’art. 39 dpr 633/72, le scritture contabili obbligatorie e la relativa documentazione (contabile e commerciale) debbono essere conservate fino alla definizione degli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta (quindi anche oltre il periodo di dieci anni nel caso di accertamenti non ancora definiti alla scadenza di tale periodo). 22 --------------------------- Convocazione delle assemblee Quali sono le modalità attraverso cui procedere a convocare regolarmente l’assemblea dei soci e il consiglio direttivo di una associazione sportiva dilettantistica? P.L. Risponde Maurizio Mottola Le modalità di convocazione dell’assemblea dei soci e del consiglio direttivo sono disciplinate dallo statuto, ovvero il documento che raccoglie gli accordi interni finalizzati a regolare, tra l’altro, il funzionamento e le attribuzioni degli organi sociali. Il codice civile non prescrive alcuna formalità in merito applicabile alle associazioni sportive dilettantistiche mentre la normativa tributaria, al comma 8, lettera e) dell’articolo 148 dpr 917/1986 – Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi), dispone uno specifico obbligo in tema di convocazioni assembleari. Ai sensi dell’articolo citato, nello statuto di una asso- 7 - X- 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it ciazione sportiva dilettantistica devono essere previste «idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari», in ottemperanza al principio di democrazia interna su cui si fonda l’intero ordinamento di un ente non commerciale di tipo associativo. Ne consegue che le modalità di convocazione sono assolutamente libere e possono tradursi in affissioni presso la bacheca della sede sociale, comunicazioni via posta elettronica (certificata e non), a mezzo fax o lettera raccomandata, se idonee a porre tutti gli aventi diritto nelle condizioni di partecipazione ed esprimere il voto. È chiaro che qualora lo statuto prevedesse specifiche modalità di convocazione, queste dovrebbero essere rispettate al fine di rendere validamente costituite le assemblee e regolarmente adottate le conseguenti deliberazioni. 22 --------------------------- http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Atleti tesserati e soci È necessario che gli atleti partecipanti ad attività sportive organizzate da una associazione sportiva dilettantistica siano anche soci dell’associazione stessa? Soprattutto al fine di godere delle agevolazioni tributarie applicabili alle attività sportive svolte verso gli associati? R.Z. Risponde Maurizio Mottola Gli atleti che partecipano alle manifestazioni sportive organizzate da una associazione sportiva dilettantistica non devono essere necessariamente associati alla stessa, essendo previsto a loro carico esclusivamente l’obbligo di tesseramento alla federazione di riferimento. In linea di principio non è possibile obbligare qualcuno ad associarsi ad un ente, poiché, nel rispetto dei principi ispiratori della vita associativa, per potersi associare l’interessato deve manifestare la propria volontà mediante presentazione di apposita e formale domanda, da sottoporre alla approvazione dell’organo direttivo. Dal punto di vista fiscale non si pone alcun problema in quanto, come disposto dall’art. 148, comma 3, dpr 917/1986 e dall’art. 4, comma 4 dpr 633/1972, non si considerano commerciali (e quindi non sono imponibili ai fini delle imposte dirette e indirette) le attività svolte (in diretta attuazione degli scopi istituzionali) sia verso gli associati che verso gli atleti non associati ma tesserati alla federazione di riferimento. 600/1973. La predetta norma, al comma 2 stabilisce che, indipendentemente alla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell’art. 143, comma 3, lettera a), del dpr 917/1986. Pertanto, in base alle indicazioni normative richiamate, il rendiconto economico finanziario annuale è sempre obbligatorio per gli enti non lucrativi, anche quando svolgono esclusivamente attività commerciali. Al rendiconto annuale è necessario aggiungere quello relativo alle raccolte occasionali solo nell’ipotesi in cui si realizzino tali manifestazioni. 2.5 --------------------------- Scritture contabili Un ente non lucrativo che svolge esclusivamente attività istituzionale non commerciale, chiede di sapere se è obbligato alla tenuta delle scritture contabili fiscali. G.H. Risponde Andrea Liparata Gli obblighi in materia di scritture contabili fiscali sono stabiliti dall’art. 20 del dpr 600/1973. La predetta disposizione, infatti, al comma 1 stabilisce l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 14 , 15 , 16 , 17 e 18 del dpr 600/1973, in materia di scritture contabili fiscali, relativamente alle attività commerciali eventualmente esercitate, anche dagli enti soggetti all’Ires, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. In base ai riportati obblighi normativi, appare evidente, che gli adempimenti in materia di scritture contabili fiscali, trovano applicazione solo nell’ipotesi in cui l’ente non lucrativo ponga in essere attività di carattere commerciale non prevalenti, ma idonee a determinare in capo al sodalizio, la produzione di redditi di impresa. Ne consegue, che l’ente di cui al quesito, sarà esonerato dagli adempimenti in materia di scritture contabili fiscali, purché in capo allo stesso, non si determinino i requisiti di imponibilità stabiliti dall’art. 55 del dpr 917/1986. 2.5 --------------------------- Attività d’impresa ENTI In quali circostanze è imputabile in capo a un ente non lucrativo lo svolgimento di attività d’impresa? S.C. 2.5 Obbligo di rendicontazione Un’associazione ente non lucrativo, che svolge esclusivamente attività istituzionale, è obbligata alla redazione del rendiconto annuale? G.P. Risponde Andrea Liparata La disciplina in materia di obblighi di rendicontazione degli enti non lucrativi, è stabilita dall’art.20 del dpr Risponde Andrea Liparata Lo svolgimento di attività commerciali in capo a un ente non lucrativo deve essere valutato secondo i criteri stabiliti dal diritto tributario per la definizione di reddito d’impresa. Pertanto, si ha attività di impresa laddove ricorrano le condizioni stabilite dall’art. 55 del dpr 917/1986. Più in dettaglio, sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 cc, e delle attività 8 -X - 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art. 32del dpr 917/1986, che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa. In aggiunta, sono commerciali, i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 cc e quelli derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne. 2.5 --------------------------- Attività commerciali occasionali http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Un ente non lucrativo che svolge occasionalmente attività commerciali è obbligato alla tenuta delle scritture contabili fiscali e all’apertura della partita Iva? U.I. Risponde Andrea Liparata Lo svolgimento di attività commerciali di carattere occasionale, generalmente, non comporta la produzione di redditi di impresa ai sensi dell’art. 55 del dpr 917/1986 e conseguentemente, non determina obblighi di tenuta della scritture contabili fiscali, indicate dall’art. 20 del dpr 600/1973. Infatti, lo svolgimento di attività commerciali occasionali, comporta, per l’ente non lucrativo, la produzione di redditi diversi, così come definiti dall’art. 67 comma 1 lett. i) del dpr 917/1986. Analogamente, ai fini Iva, non si realizzano completamente i presupposti per l’applicazione del tributo. Infatti, le attività commerciali di natura occasionale, sono carenti del requisito soggettivo, necessario, insieme con quelli oggettivo e territoriale a determinare la rilevanza Iva delle operazioni poste in essere. È tuttavia opportuno evidenziare, che in presenza di un affare rilevante, secondo la definizione fornita dalla prassi tributaria, anche un’attività commerciale di carattere occasionale può determinare la produzione di reddito d’impresa. 2.5 --------------------------- Affare rilevante Un ente non lucrativo chiede di sapere quali sono i presupposti idonei a configurare un’attività commerciale occasionale come di impresa L.P. Risponde Andrea Liparata È opportuno precisare che la normativa tributaria non fornisce dei criteri quantitativi precisi e validi alla definizione dì affare rilevante idoneo a configurare attività di impresa, anche se occasionale. Infatti, la normativa tributaria, si limita a definire le attività commerciali idonee a configurare reddito d’impresa, e per marginalità, quelle occasionali, diversamente, produttive di reddito diverso. La definizione di cosa sia un affare rilevante, deve essere ricercata nella prassi amministrativa. Al riguardo, nella Risoluzione Agenzia entrate n. 126/E del 16/12/2011, si afferma che l’evoluzione della giurisprudenza e della prassi, considera i requisiti di abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica in senso relativo, pertanto l’esistenza di reddito d’impresa può realizzarsi anche in presenza di un unico affare, caratterizzato da rilevanza economica e dalla complessità delle operazioni in cui si articola, che implicano la necessità di compiere una serie coordinata di atti economici. In estrema sintesi, si ha attività di impresa, anche in presenza di un unico affare caratterizzato da rilevanza economica e complessità delle operazioni necessarie alla sua effettuazione. Ovviamente, dalla qualificazione delle attività come commerciali, generalmente, ne consegue rilevanza tributaria, sia ai fini Ires sia Iva. 2.5 --------------------------- Contabilità separata Un ente non lucrativo, obbligato alla tenuta della contabilità separata per attività commerciali e istituzionali, chiede di sapere se è tenuto a duplicare registri contabili e piano dei conti. P.S. Risponde Andrea Liparata L’art. 144 del dpr 917/1986 impone agli enti non commerciali di tenere una contabilità separata per le attività di carattere commerciale eventualmente esercitate. La gran parte delle problematiche in materia di corretta definizione di un sistema di rilevazione separato deriva dall’esigenza di confermare la possibilità di ritenere rispettato il predetto obbligo di legge anche in presenza di un unico impianto contabile. Gli elementi chiarificatori, circa la definizione delle modalità di tenuta di una contabilità separata, sono indicati nell’intervento interpretativo contenuto della rm 13/3/2002, n. 86/E in risposta ad un’istanza di interpello proposta da un’azienda ospedaliera. In tale sede, l’Agenzia delle entrate, richiamando il disposto dell’art.144 comma 2 dpr 917/1986, che prevede l’obbligo della contabilità separata, afferma che tale norma intende favorire la trasparenza della contabilità commerciale degli enti non lucrativi, al fine di evitare ogni commistione con l’attività istituzionale. Conseguentemente, la tenuta di un unico impianto contabile, associato ad un unico piano dei conti, quest’ultimo strutturato al fine di poter garantire in ogni momento le voci destinate all’attività commerciale, non deve ritenersi di ostacolo alla eventuale attività di controllo esercitata dagli organi competenti. Infatti, secondo l’Agenzia delle entrate, la tenuta di una contabilità separata, non prevede la necessità di istituire un libro giornale e un piano dei conti separati per ogni area di attività, dovendosi ritenere sufficiente l’utilizzazione di un piano dei conti, dettagliato nelle singole voci, in grado di consentire la distinzione delle diverse movimentazioni relative a ciascuna attività. FISCO 15.1 Residenza obbligatoria In quanto militare, ho l’obbligo di fissare la residenza presso il comune di servizio, anche se ho l’appartamento di proprietà in altro comune, ove risiede la mia famiglia. Ho diritto ai benefici connessi all’Ici per detto appartamento, abitazione principale? B.M. 9 - X- 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Risponde Giovanni Pizzo L’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, numero 504, numero 504, afferma che «per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente». Al dubbio se la dimora abituale dovesse o meno essere identificata con la residenza anagrafica, dato che normale mete la richiesta dei benefici per l’abitazione principale avveniva per immobili presso i quali il contribuente non risultavano avere la residenza anagrafica, la Corte di cassazione, con la sentenza del 10 marzo 2000, numero 2814, aveva precisato in ordine all’articolo 43, del codice civile («il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale») che «il legislatore ha inteso inequivocabilmente fare riferimento alla residenza effettiva, mentre la residenza anagrafica può costituire semplicemente un indizio (presunzione) per la sua individuazione; indizio che può essere superato sulla base di qualsivoglia elemento di convincimento idoneo a dimostrare la dimora abituale di un soggetto in luogo diverso dalla residenza anagrafica». Il legislatore, poi, al fine di sciogliere i dubbi interpretativi sorti intorno al concetto di abitazione principale, con la legge 27 dicembre 2006, numero 296 (articolo 1, comma 173, lettera b) ha puntualizzato che per abitazione principale si deve intendere quella nella quale il soggetto passivo ha la propria residenza anagrafica. È ammessa, nella fattispecie, la prova contraria. L’articolo 1 del decreto legge 27 maggio 2008, numero 93, convertito nella legge 24 luglio 2008, numero 126, rubricato «Esenzione Ici prima casa), ha disposto che: «a decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, numero 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo» (comma 1). Al comma 2, detta legge precisa: «Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, numero 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal comune con regolamento vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8, A9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992». Il ministero dell’economia e delle finanze, in ordine alla fattispecie prospettata, con risoluzione numero 4/DPF, del 18 ottobre 2007, ha precisato, dopo aver constatato che il legislatore, con la legge numero 296, del 2006, ha introdotto soltanto una presunzione semplice, superabile mediante prova contraria dal contribuente, che anche i militari, per avere i benefici Ici, prima casa, se residenti anagraficamente in altro comune, devono dimostrare di avere mantenuto la dimora nel comune ove è ubicato l’immobile. PREVIDENZA in Germania. Sono rientrato in Italia nel mio paese di origine dove risiedono i miei parenti ed i miei due figli. Avendo un reddito annuo molto basso e non possedendo una casa di proprietà mi sono rivolto ad un patronato per richiedere l’assegno sociale. Il patronato mi ha risposto che non ho i requisiti previsti dalla legge. Cosa mi consiglia di fare. V.S. Risponde Sandra Mauro Il diritto all’assegno sociale sorge nei confronti del cittadino italiano che ha compiuto 65 anni di età, risiede effettivamente e abitualmente in Italia e possiede un reddito di importo inferiore ai limiti stabiliti annualmente dalla legge. L’assegno sociale è quindi una prestazione di carattere assistenziale che viene riconosciuta ai cittadini che si trovino in condizioni economiche disagiate ed abbiano situazioni reddituali previste dalla legge. L’assegno sociale per l’anno 2012 risulta pari a euro 429,00 mensili. Pertanto il limite del reddito per il richiedente non coniugato è di euro 5.577,00 annui. Occorre precisare che a partire dal 1° gennaio 2009 per far sorgere il diritto all’assegno sociale occorre aver soggiornato legalmente e in via continuativa in Italia per almeno dieci anni. Il riconoscimento dell’assegno è soggetto pertanto alla verifica di suddetti requisiti che viene fatta annualmente. L’assegno sociale è infatti sempre liquidato con carattere di provvisorietà. 3.1 --------------------------- Tredicesima per la colf Nel mese di maggio 2011 ho assunto una colf per le esigenze domestiche di mia madre. Dopo un mese di lavoro ha subito un incidente e quindi non ha lavorato per circa tre settimane. Rientrata a lavorare nell’ottobre si è ammalata per dieci giorni. Oltre allo stipendio ed ai contributi mi chiede anche la tredicesima. Sono obbligata per legge a questo ulteriore costo? Peraltro sono venuta a conoscenza che lavora anche per un’altra persona. B.V. Risponde Sandra Mauro Ai fini previdenziali il datore di lavoro è obbligato nel caso di lavoro domestico a versare i contributi all’Inps. Detti versamenti vanno effettuati per trimestri solari entro il decimo giorno dalla fine del trimestre. L’obbligo contributivo sorge su ciascun datore di lavoro qualora la colf - come nel caso di specie - intrattenga più rapporti di lavoro. La tredicesima mensilità è dovuta dal datore di lavoro presso il quale la colf presta servizio e se la stessa svolge lavoro domestico per più famiglie ogni datore di lavoro è tenuto ad effettuare il calcolo della quota di tredicesima sulla base della retribuzione oraria corrisposta. La tredicesima mensilità corrisponde ad un dodicesimo dell’intera retribuzione annua e va pagata entro il mese di dicembre, in occasione delle festività natalizie. La tredicesima mensilità matura anche durante le assenze per malattia, infortunio sul lavoro e maternità, nei limiti del periodo di conservazione del posto. --------------------------- 3.1 3.1 Assegno sociale 2012 Contributi volontari Ho 66 anni e dal 1980 al 2007 ho lavorato e abitato Nel gennaio 2010 sono stato autorizzato ai versa- 10 -X - 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it menti volontari per raggiungere il diritto alla pensione di anzianità. A fine 2012 dovrei così maturare 36 anni di anzianità contributiva e 60 anni di età. La riforma Monti coinvolge anche me? S.S. Risponde Sandra Mauro In linea di principio il lavoratore il cui rapporto di lavoro soggetto all’obbligo assicurativo Ivs sia interrotto o cessato, può conservare i diritti derivanti dall’assicurazione obbligatoria o perfezionare i requisiti contributivi necessari a conseguire il diritto a pensione richiedendo all’Inps l’autorizzazione al versamento di contribuzione volontaria. I contributi volontari consentono quindi al lavoratore di non avere buchi contributivi e di raggiungere così la pensione senza slittamenti temporali. La contribuzione volontaria è pienamente equiparata a quella obbligatoria sia per il raggiungimento del diritto alla pensione che per la misura della pensione stessa. Nel caso di specie occorre far riferimento a quanto previsto nell’articolo 24 del decreto Monti alla lettera d) del comma 14, che esclude dall’applicazione delle nuove norme sulle pensioni i lavoratori autorizzati al versamento dei contributi volontari entro il 31 ottobre 2011. Con riferimento al regime Iva dei distacchi di personale, l’art. 8, comma 35, della legge n. 67/1988 dispone che «non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo». Al riguardo, si rileva che l’Agenzia delle entrate, negli anni, ha sempre interpretato la disposizione ritenendo che l’operazione di distacco sia fuori campo di applicazione dell’Iva nella sola ipotesi in cui l’impresa distaccataria rimborsi alla distaccante una somma esattamente pari al costo retributivo e previdenziale dei dipendenti distaccati; diversamente, il riconoscimento di un corrispettivo maggiore o minore dovrebbe comportare, a detta dell’Agenzia stessa, l’inapplicabilità della disposizione sopra richiamata, e l’assoggettamento a Iva dell’intero importo pattuito. Il predetto principio è stato, di recente, ribadito anche dalla Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza n. 23021 del 7 novembre 2011, con la quale la Suprema corte ha rettificato i differenti orientamenti esposti in passato con le sentenze nn. 19129 e 19132 del 2010. SANITÀ 13 REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE 1.1.4 Distacco e rimborsi Le retribuzioni corrisposte al dipendente distaccato presso un’altra società italiana del gruppo concorrono integralmente alla formazione del reddito del lavoratore? Nell’ipotesi in cui l’impresa distaccataria rimborsi alla distaccante il costo del personale distaccato, qual è il regime Iva applicabile al predetto rimborso? S.N. Risponde Andrea Bonino Ai sensi dell’articolo 30 del dlgs n. 276/2003, «l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa», fermo restando che il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo riservato al dipendente distaccato. Ai fini fiscali, risulterà, pertanto, applicabile l’ordinaria disciplina recata dall’art. 51 del Tuir, in materia di lavoro dipendente, in base alla quale il reddito del lavoratore è costituito da tutte le somme e i valori percepiti nel periodo di imposta, fatte salve le eccezioni esplicitamente previste dalla norma stessa. Al riguardo, si ritiene che, risultando il distacco assimilabile, in ambito tributario, all’ipotesi del trasferimento della sede di lavoro, possa trovare applicazione la disciplina dell’art. 51, comma 7 del Tuir, che esclude da imposizione al 50%, per un importo complessivo non superiore ad euro 1.549,37, l’indennità di trasferimento corrisposta per il primo anno. Servizi di assistenza domiciliare Quali sono i servizi di assistenza domiciliare che possono essere erogati dalle farmacie? P.F. Risponde Gabriele Gelosa Il decreto legislativo 153/2009 individua tra i nuovi servizi previsti per le farmacie anche la partecipazione delle stesse alla erogazione dell’assistenza domiciliare a favore di pazienti residenti o domiciliati nel territorio della sede di pertinenza di ciascuna farmacia. Viene consentito alle farmacie di attivare i seguenti servizi: - dispensazione e consegna domiciliare di farmaci e dispositivi medici; - preparazione e consegna a domicilio delle miscele per la nutrizione artificiale e dei farmaci antidolorifici, nel rispetto delle relative norme di buona preparazione; - dispensazione per conto delle strutture pubbliche dei farmaci a distribuzione diretta; - messa a disposizione di operatori socio-sanitari, di infermieri e di fisioterapisti per la effettuazione a domicilio di specifiche prestazioni professionali richieste dal medico di famiglia. Questi provvedimenti sono stati assunti nell’ottica di favorire la deospedalizzazione dei pazienti, creando un servizio domiciliare parallelo a quelli finora esistenti a carico delle strutture pubbliche. 13 Pubblicità prodotti cosmetici Quali sono i limiti della pubblicità dei prodotti cosmetici? N.S.F. 11 - X- 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it Risponde Gabriele Gelosa In materia di etichettatura e pubblicità dei cosmetici, è vietato impiegare diciture, denominazioni, o altri segni figurativi, che attribuiscano a tali prodotti caratteristiche diverse da quelle proprie dei cosmetici. Pertanto, i messaggi che si riferiscono ai prodotti cosmetici, presenti sia sull’etichetta o in altri stampati o ancora su testi di carattere pubblicitario, non possono vantare finalità diverse da quelle di pulire, profumare, modificare l’aspetto, proteggere o mantenere in buono stato le parti esterne del corpo. Conseguentemente, la presentazione e la denominazione dei cosmetici non devono indurre i consumatori a confondere i prodotti per la cosmesi e l’igiene personale con i farmaci dal momento che gli stessi non possono vantare proprietà terapeutiche. Chiunque contravviene alle disposizioni in materia di pubblicità (ad esempio, attribuire finalità terapeutiche a un prodotto cosmetico) rischia una sanzione amministrativa da un minimo di 516 euro a un massimo di 2.582 euro ed è tenuto a pubblicare una rettifica con gli stessi mezzi utilizzati per la pubblicità; in caso di mancato adempimento della pubblicazione della rettifica, la sanzione amministrativa sarà raddoppiata. 13 --------------------------- Farmaci per le dislipidemie Sono prescrivibili a carico del Ssn i farmaci usati per le dislipidemie a base di Omega-3? A. A. Risponde Gabriele Gelosa Recentemente che sul sito internet dell’Aifa è stata pubblicata una nota avente ad oggetto «Precisazioni Aifa su Nota 13» che si riferisce appunto ai farmaci ipolipemizzanti. L’Aifa precisa che la nota 13 disciplina le sole indicazioni terapeutiche riguardanti le Dislipidemie, suddivise in 4 casistiche (ipercolesterolemia poligenica, dislipidemie familiari, iperlipidemie in pazienti con insufficienza renale cronica e iperlipidemie indotte da farmaci). Nel caso dei farmaci a base di Omega-3 che presentano due indicazioni terapeutiche per patologie non direttamente assimilabili, l’Aifa chiarisce che: - l’indicazione circa la «Ipertrigliceridemia» è regolamentata dalla nota 13; - l’indicazione «Prevenzione secondaria nel paziente con pregresso infarto del miocardio» è soggetta alla valutazione clinica del medico ed è quindi rimborsata alla luce di tale evidenza clinica. Pertanto, nel caso in cui il medico ritenga di prescrivere un farmaco a base di Omega-3 per la prevenzione secondaria del paziente infartuato, il prodotto potrà essere rimborsato in classe A, senza la nota 13. I lettori possono inviare i loro quesiti anche via E-mail, all’indirizzo [email protected] GLI ESPERTI DEL QUESITARIO Giuseppe Aliano: Riscossione contenzioso; Gianluca Alparone: Agevolazioni; Stefano Baruzzi: Fiscalità degli immobili; Andrea Bonino: Agenti e lavoro dipendente; Camera Arbitrale Milano: Arbitrato e conciliazione; Mario Caprini: Sicurezza sul lavoro; Giannino Cascardo: Cooperative; Antonio Ciccia: Diritti del consumatore e tutela della privacy; Matteo De Donatis: Beni culturali; Claudio Della Monica: Diritto e Previdenza; Ciro D’Ardia: Rimborsi Iva; Luciano De Angelis: Revisione e libere professioni; Simone Del Nevo: Dogane, commercio estero e trasporti; Stefano Farnè: Qualità Salute e sicurezza sul lavoro; Christina Feriozzi: Registrazioni contabili e imposte dirette; Gianni Ferrari: Borsa e prodotti finanziari; Sebastiano Garufi: Fiscalità internazionale; Stefano Graidi: Diritto tributario internazionale; Andrea Liparata: Enti non commerciali; Stefano Malatesta: Diritto del lavoro; Sandra Mauro: Previdenza; Uberto Meraviglia Mantegazza: Diritto tributario internazionale; Pierluigi Marchini: Azienda e bilancio; Sergio Mogorovich: Diritto tributario; Marco Nessi: Diritto d’impresa e Iva; Lorena Pellissier: Iva intracomunitaria e internazionale; Paola Pizzighini: Diritto del lavoro; Giovanni Pizzo: Tributi locali; Piergiorgio Pizzo: Ambiente; Fabrizio Poggiani: Agricoltura; Debora Ravenna: Diritto di famiglia; Giuseppe Rosignoli: Agenti; Alberto Traballi: Fiscalità dell’impresa; Riccardo Tofani: Diritto commerciale; Andrea Toscano: Dogane, commercio estero e trasporti; Tamara Vallini: Redditi da lavoro autonomo; Giovanni Zangrilli: Iva, Ddt, scontrini e ricevute Debora Ravenna Avvocato cassazionista del Foro di Milano con attività prevalente in diritto di famiglia. Mediatore professionista. Giudice di Pace a Monza. Componente della Commissione del CSM per la Formazione della Magistratura Onoraria della Corte d’Appello di Milano. Fondatrice e referente del Centro Studi dell’Ufficio del Giudice di Pace di Milano e di Monza. Componente dell’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano. Giornalista pubblicista, dal 1994 collabora con il settimanale economico-giuridico ItaliaOggi Sette. È sposata ed ha due figli. 12 -X - 12 Marzo 2012 http://www.milanofinanza.it - questa copia è concessa in licenza esclusiva all'utente 'bibliogr' - http://www.italiaoggi.it