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1-Il topo lagunare - Provincia di Venezia --
IL TOPO LAGUNARE. UN CASO EMBLEMATICO DI VARIAZIONE DELLE LINEE TRADIZIONALI NEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI Il mototopo, l’imbarcazione lagunare ancora più diffusa e probabilmente meno ‘originale’ della laguna, è l’esempio più classico di come si siano profondamente cambiate le costruzioni negli ultimi cinquant’anni, mescolando nomi e fatti a sembrare che non sia cambiato nulla, mentre è cambiato tanto. Il ‘topo’ nulla a che vedere col venezianissimo e familiare sorze mangiatore di formaggio. In realtà non si sa bene perché sia stato chiamato così: è un tipo di battello di remoto lignaggio, il disegno ha conferme archeologiche nel Medioevo. Nulla a che invidiare a gondole, caorline e sàndoli, attestati tutti solo in epoca più recente. Insomma, il diffusissimo mezzo da trasporto merci non ha natali particolarmente illustri, ma molto antichi. E’ nato per il remo, o per la ‘punta’1, ed adattato in misura limitata per la vela 2 , ma ha sempre mantenuto un vantaggio su altri tipi di battello per via delle dimensioni ben centrate sulle esigenze di trasporto urbano. Lungo da 6.5 a 13 metri, tipicamente, largo da 1.5 a 2.4 metri, la sua portata si è sempre collocata intorno alle 10 botti (di vino, ovviamente), cioè sui 40-50 quintali. Il vantaggio del topo sulle altre barche è semplice: è ben dimensionato per essere stabile anche se caricato sul ponte (sui trasti), un pregio questo fondamentale per scaricare sulle rive cittadine senza calare e rialzare la merce in stiva. Le botti, insomma, con un po’ di fantasia rotolano direttamente a terra, cosa questa impossibile a farsi con altri tipi di battelli che non sono sufficientemente stabili, o troppo larghi e pesanti. Il topo originario 3, non motorizzato, aveva un bel fondo piatto ed incurvato nel senso longitudinale. L’insellamento del fondo, sentinà, e le linee affinate sia a prua che a poppa sono evidenti nei piani di un topo del 1882, tratti da ‘Tipologie di natanti veneziani’, Comune di Venezia, 2001, a cura di P. Canestrelli. Si tratta di un battello che, spinto a remi e carico con difficoltà superava i 2-3 km/h di velocità.4 1 Puntàr o pontàr è il procedere spingendo il battello con una pertica infissa nel fondale, camminando sul bordo della barca da prua a poppa. Era il lentissimo modo di avanzare delle imbarcazioni più pesanti, possibile sui ridotti fondali lagunari. 2 In verità, la vela all’interno della laguna non ha mai avuto gran successo, per gli ovvi limiti di navigazione all’interno dei canali e l’impossibilità di avere piani di deriva profondi. 3 Per questi cenni sulla storia e l’evoluzione del disegno nelle carene dei topi degli ultimi cento anni sono debitore a Carlo Padoan del cantiere Murano sdf di Sacca Serenella, ed al libro ‘Tipologie di natanti veneziani’, Comune di Venezia, 2001, a cura di P. Canestrelli. 4 I topi erano armati a due remi, i più grossi a quattro. La potenza continuativa di un uomo è circa ¾ di Hp, quindi la potenza propulsiva disponibile totale ben difficilmente superava i 2-3 Hp. Negli anni Cinquanta di questo secolo apparvero i primi motori diesel mono e bicilindrici ‘ a testa calda’, molto pesanti e con potenze ridotte. Però erano motori solidissimi, relativamente affidabili e permettevano una sicurezza ben maggiore in caso di corrente e marea contraria sui lunghi percorsi, ad esempio fra Burano, la laguna Nord e la città. Topo veneziano del 1882 L’impiego di questi motori, che erano a bassi giri ed in presa diretta con l’elica, richiedeva che il motore fosse posto molto in basso nello scafo: il carter olio non aveva però spazio sufficiente nelle strette linee tradizionali. Così, si iniziò ad alterare il fondo, eliminando il sentinà da pope e creando una culla per accogliere il motore. Topo motorizzato degli anni Cinquanta Il motore aveva potenze molto basse per i criteri attuali, 15-20 Hp, e pesava dai tre ai quattro quintali. Ciò provocava due effetti: il topo si appoppava perché aveva un carico squilibrato che prima non c’era, cioè il motore. Però il topo ora andava più veloce che a remi, anche sei-otto km/h scarico, e quest’aumento di velocità lo faceva appoppare ulteriormente. Si pose pronto rimedio alterando e gonfiando le forme di poppa – e si nota chiaramente sui disegni la differenza fra il topo a remi e quello motorizzato 5. Purtroppo questo gonfiamento delle forme era molto negativo per la produzione di onde, particolarmente a quelle velocità già relativamente elevate come quelle consentite dai primi motori diesel. Pochi anni dopo l’avvento del diesel, negli anni Settanta, i motori erano molto più potenti e leggeri: si era passati da 20 Hp e quattro quintali a 40-50 Hp, con due quintali solamente. I motori erano diventati troppo veloci per essere collegati direttamente all’elica, e l’interposizione di un riduttore rendeva inutile tenere il motore molto in basso. La culla sul fondo sparì, ricomparve il sentinà da pope, ma a questo punto il mototopo aveva la tendenza ad appruarsi troppo, per la pienezza eccessiva delle forme poppiere, che servivano però adesso anche ad ospitare il riduttore-invertitore. Il rimedio quasi immediato fu di riempire anche le linee a prua, ed eliminare molto del sentinà da proa, che tendeva a sollevare la prua in velocità. Così la carena del topo si era gonfiata di qua e di là, ed era adesso anche possibile aumentarne la portata, a parità di dimensione. Tutto a discapito del moto ondoso generato e della resistenza all’avanzamento 6, ma non era un gran problema data la disponibilità di motori sempre più potenti. Evoluzione delle potenze e velocità dei topi urbani, 1940-2000 160 Anno Potenze Hp V km/h 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 3 10 20 40 60 80 120 3 6 8 10 14 15 16 Potenze Hp 120 80 40 Velocità km/h 0 1935 1950 1965 1980 1995 A nni 5 E’ da considerare comunque che alcuni topi ancora circolanti sono stati convertiti al motore successivamente, ma le linee restano quelle ‘da remo’. Solo i topi più recenti nascono ‘mototopi’ , buona parte degli altri topi ‘mototopi’ lo sono diventati nel corso della loro vita. 6 Il problema è diventato quello dell’”effetto pistone” che i topi più grossi creano, anche a velocità limitata, quando entrano nei rii più stretti. Complice anche la scarsa pulizia dei fondali, che riduce la sezione idraulica del rio, una carena più tozza e piena riduce ulteriormente la luce, e crea correnti fortemente accelerate sui fianchi della barca e sul fondo, con onde di riflusso molto alte anche a velocità decisamente basse. L’effetto sarebbe molto minore con carene più filanti analoghe a quelle originali. A metà anni ’80 comparvero finalmente, fra lo scetticismo generale, i primi topi in vetroresina. Le forme erano analoghe a quelle dei topi in legno (ma nelle linee già modificate pesantemente negli ultimi decenni). La differenza inaspettata era che gli scafi in VTR erano assai più leggeri, fino al 30% in meno, e quindi meno stabili. I topi in VTR si caricano sui trasti con più difficoltà, comunque con carichi inferiori di un ugual topo in legno. Si è cercato di ovviare rendendo le forme ancora più tozze e larghe, per dar loro più stabilità ma anche per facilitare la costruzione degli stampi. Dai 30 Hp dei topi degli anni ’70, ai 50-60 Hp dei topi degli anni ’80, ai 110-130 Hp dei topi degli anni ’90, fino ai tentativi circolanti di topi plananti dei cantieri Bovo ed Amadi, con motorizzazioni da 220-250 Hp, in cinquant’anni i topi hanno mantenuto le stesse dimensioni esterne, grosso modo le stesse portate e più o meno le stesse modalità di costruzione (per i topi in legno, almeno). Le potenze però sono diventate circa 100 volte maggiori di quelle originali, anche se la velocità , con poca sorpresa, è diventata al massimo cinque o sei volte più che non a remi. Lo stravolgimento delle linee originali, e l’uso delle forme in campi di velocità prima inconcepibili hanno avuto altri effetti: la forma della pala del timone è cambiata, perché è necessaria dare un grado di compenso o l’uomo, in velocità, non riuscirebbe più a manovrare la ribola. I fianchi si sono allargati e raddrizzati, per meglio costruirli in compensato od in VTR. La coperta a prora è stata raddrizzata, perché così è più sfruttabile per la caricazione sulle rive. La portata tipica del topo urbano è cresciuta, da 40 a 55-70 quintali, perché a parità di dimensioni il battello ha ora un peso proprio più basso e carena più piena. Insomma, del topo di prima è restato poco, se non il nome. Affermare che si tratta di un’imbarcazione ‘tradizionale’ è in effetti un po’ avventato. Difenderne poi a spada tratta il modesto impatto, perché si tratterebbe di un’imbarcazione tradizionale, è ai confini della malafede. Tutte le altre imbarcazioni lagunari, eccezione forse nemmeno per la gondola, hanno vissuto analoghe vicissitudini. In particolare sandoli, mascarete e sampierote, passando attraverso la motorizzazione hanno subito cambiamenti notevoli, di solito nelle uscite delle linee di poppa. Questo per non citare le imbarcazioni che tradizionali proprio non sono mai state, come le tope, i cacciapesca, i cofani e le patàne.