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La grande menzogna toriale del diro Rinaldi

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La grande menzogna toriale del diro Rinaldi
F A R ON OT IZ IE .I T
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G iu g n o 2 0 1 5
Redazione e
amministrazione:
Scesa Porta Laino, n. 33
87026 Mormanno (CS)
Tel. 0981 81819
Fax 0981 85700
[email protected]
Testata giornalistica
registrata al Tribunale di
Castrovillari n° 02/06
Registro Stampa
(n.188/06 RVG) del 24
marzo 2006
Direttore responsabile
Giorgio Rinaldi
Direttore editoriale
Nicola Perrelli
La grande menzognatoriale
menzogna
del diro Rinaldi
Cent’anni fa l’Italia partecipava a quel conflitto
armato che venne poi chiamato la Grande Guerra
(solo dopo l’altra catastrofica guerra, a distanza di
appena venti anni, venne aggiunta l’ulteriore
denominazione di Prima Guerra Mondiale).
Di “grande” quella guerra ha avuto solo il numero dei morti e
dei mutilati, e oggi celebrarne la data di entrata nel conflitto
assume il volto macabro della esaltazione della tragedia,
nonostante le fanfare, gli inni e gli osanna alla vittoria.
Se di celebrazione si può parlare, essa dovrà rimandarsi alla data
della fine, a quando quei soldati che furono costretti a
parteciparvi ritornarono ad essere uomini e non più bestie senza
valore.
E’ noto che nessun animale viene ucciso senza ragione, perché
un valore, seppur minimo, lo ha di sicuro.
Per gli Stati Maggiori dell’epoca, invece, i soldati non valevano
nulla, erano –quel che si dice- carne da cannone.
I piani di battaglia prevedevano di fare il conto di quante
mitragliatrici avesse il nemico in un dato settore, fare il conto di
quanti colpi potevano sparare in un certo tempo e poi mandare
all’assalto un numero maggiore di militi rispetto alle pallottole
che sarebbero state sparate nel periodo occorrente a raggiungere
la trincea avversaria.
Una pura operazione aritmetica.
Chi sopravviveva alla conquista di qualche inutile metro di
terra, aspettava tra la fame e gli stenti, in mezzo al fango e al
ghiaccio, divorato da pulci e pidocchi, l’ora che forse sarebbe
stata fatale anche per lui.
Di “grande” quella guerra ha avuto il numero dei contadini
analfabeti o che sapevano appena leggere, scrivere e far di conto
e che, soprattutto dalle regioni meridionali, vennero mandati a
farsi ammazzare per la “liberazione” di posti di cui non avevano
mai sentito parlare e che non sapevano neanche ove fossero.
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Di “grande” quella guerra ha avuto una famiglia di monarchi
che governavano la stragrande maggioranza della Vecchia
Europa: tutti cugini tra loro che fremevano a farsi guerra per
dimostrare chi fosse il più bravo, come se si trattasse di una
battuta di caccia.
Di “grande” c’era la romantica stupidità degli anarchici, pronti
ad essere strumentalizzati (armati?) dai…monarchici, che non
vedevano l’ora di avere l’occasione per dare inizio alla guerra.
Di “grande” c’era l’industria degli armamenti che non poteva
certo perdere il treno della guerra che passava, e spingeva per
salirci sopra.
Di “grande” c’era la nuova industria dei consumi, che con un
paese belligerante avrebbe visto moltiplicare i profitti e dato
nuovo sfogo alla commercializzazione di prodotti che per il
surplus si ammassavano.
Di “grande” c’era solo la ferocia della guerra che i politicanti del
tempo indicavano come una necessità per dare all’Italia le terre
cui aspirava.
Di “grande” c’era il silenzio sulle offerte dell’impero AustroUngarico di cedere all’Italia, in cambio della sua neutralità
(l’intercorrente trattato di alleanza valeva solo nel caso di
alleato aggredito ma non aggressore, come invece accadeva),
parte delle regioni rivendicate su base geografica ma non
nazionale (la corona delle Alpi, indipendentemente dalle
composizioni etniche e nazionali delle popolazioni insediate nel
territorio).
Di “grande” c’era il Patto (segreto) di Londra con il quale
l’Italia entrava in guerra a fianco di francesi, russi e inglesi
(Triplice Intesa) contro l’antico alleato austro-germanico
(Triplice Alleanza) a fronte del riconoscimento, in caso di
vittoria, dei territori agognati.
Patto svelato dai bolscevichi (nel corso della guerra la
monarchia zarista era stata abbattuta) e poi non onorato dalle
altre parti (gli Stati Uniti non lo avevano neanche firmato):
l’Italia, così, al costo di una sanguinosa guerra, ottenne più o
meno quello che avrebbe avuto senza sparare un solo colpo di
fucile se avesse dichiarato la sua neutralità per tutto il conflitto.
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Di “grande” ci fu il lascito fatto ai fascisti e ai nazisti di
un’Europa massacrata che diventò il terreno di coltura di una
nuova barbarie che portò il Continente alla completa rovina.
Da bambini ci hanno fatto mandare a memoria il “Tema del
Piave”, ci hanno riempito le orecchie e le menti di roboante
retorica patriottica e militarista e festeggiare una guerra che
nessuno ci aveva dichiarato.
A distanza di un secolo, si continua a celebrare una guerra che
portò solo morti e rovine ed ha continuato a produrre conflitti,
più o meno grandi, più o meno armati, tra popoli che hanno
dovuto subire un destino piuttosto che un altro per il semplice
tratto di una matita sulla carta geografica.
Una menzogna che alimenta menzogne è solo una grande
menzogna.
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