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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE “AMEDEO AVOGADRO” FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA E COMUNICAZIONE I molti volti della menzogna I percorsi della bugia, dalla fiaba alla letteratura, dalla filosofia alla psicologia Relatore: Tesi di Laurea: Prof. Maurizio Pagano Sonia Biondelli Correlatrice: Matr. 10021813 Prof.ssa. Cristina Meini Anno Accademico 2010 – 2011 Indice tesi INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 4 CAP.1 LA MENZOGNA NELLA FIABA E NELLA LETTERATURA ...................................................... 9 1.1. Falsità e finzione ........................................................................................................................ 9 1.2. Fiabe e bugie ........................................................................................................................... 10 1.3. La menzogna nella letteratura .................................................................................................. 13 CAP.2 LA NASCITA DELLA MENZOGNA. DAL PROTOBUGIARDO A PROMETEO ....................... 21 2.1. La prima menzogna.................................................................................................................. 21 2.2. In principio fu la menzogna ...................................................................................................... 22 2.3. Ulisse ...................................................................................................................................... 26 2.3. Animali e bugie ........................................................................................................................ 27 2.5. Gli inganni di Prometeo ............................................................................................................ 28 CAP. 3 FILOSOFIA DELLA BUGIA ................................................................................................ 31 3.1. Filosofia e menzogna ............................................................................................................... 31 3.1.2. Socrate, Platone, Aristotele ................................................................................................... 31 3.1.3. Agostino, Tommaso d'Aquino ................................................................................................ 34 3.1.4. La ripresa della menzogna nella filosofia moderna ................................................................... 38 1 3.1.5. Kant, Hegel ........................................................................................................................... 41 3.1.6. Nietzsche ............................................................................................................................. 43 CAP. 4 COME RICONOSCERE L’INGANNO .................................................................................. 45 4.1. I menzogneri e le loro vittime. Due bugiardi a confronto............................................................. 47 4.2. Che cos'è la menzogna ............................................................................................................. 49 4.3. Quando le bugie falliscono e perchè .......................................................................................... 51 4.4. Indizi che lasciano trapelare la menzogna .................................................................................. 53 4.4.1. La voce ................................................................................................................................. 54 4.4.2. Il corpo................................................................................................................................. 54 4.4.3. Il viso ................................................................................................................................... 57 4.4.4. L'asimmetria e i tempi ........................................................................................................... 59 4.4.5. Il sorriso ............................................................................................................................... 60 4.5. Gesti manipolatori e illustratori ................................................................................................ 61 4.6. Il sistema vegetativo ................................................................................................................ 62 4.7. Cadere in errore ...................................................................................................................... 63 4.8. Il poligrafo ............................................................................................................................... 64 4.9. Le tecniche utilizzate da Ekman ................................................................................................ 66 4.10. Psicologia ingenua ................................................................................................................. 68 2 CONCLUSIONI FINALI ..................................................................................................................... 70 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................... 75 3 INTRODUZIONE Lie to Me è la serie televisiva statunitense, di cui parlerò in seguito, che mi ha spinto a trattare l’argomento della menzogna presente in questa tesi. Mi sono chiesta in che modo la filosofia si sia occupata di questo argomento e credo che la tesi di Hegel sia quella che meglio rappresenti il significato di verità e, di conseguenza, anche quello dell’errore, della menzogna. Ho riletto la Prefazione alla Fenomenologia dello spirito in cui Hegel spiega che cosa sia la verità: essa rappresenta la totalità, la comprensione dell’intero ed ha un andamento circolare, mentre invece l’errore è solo una verità parziale. Egli mostra come la verità sia da riporre ad un unico aspetto, bensì nella realtà intera e totale; considera frutto di pigrizia chi in nome del “buon senso” si ferma alla superficie delle cose, senza rendersi conto che la verità non è parziale, ma è interezza. Detto ciò ho dedicato il primo capitolo alle favole e alla letteratura. Ho pensato fosse necessario ricordare come questi due generi letterari abbiano contribuito a mostrare molte facce della menzogna e le conseguenze che essa comporta. In primis abbiamo la figura emblema della bugia: Pinocchio, il burattino ribelle che “insegna” ai bambini quanto dolore possano causare le bugie, sia a noi stessi che ai nostri cari. Vi sono poi i cavalli razionali Houyhnhnm, che incontra Gulliver in uno dei suoi viaggi. Essi non concepiscono la menzogna o meglio, per loro non esiste affatto, il dire una cosa per un’altra non può essere nient’altro se non un errore, non può essere fatta volontariamente poiché sarebbe un atto privo di qualsiasi utilità. Successivamente incontriamo Humpty Dumpty, un personaggio che interagisce con Alice in Attraverso lo specchio. È un essere curioso non solo per il suo aspetto a forma di uovo ma anche per il suo modo di concepire la menzogna: egli sottolinea l’importanza della comunicazione, il mettersi d’accordo per poter partecipare insieme alla bugia in un mondo di fantasia. Lo stesso concetto viene portato all’estremo da Gianni Rodari in Gelsomino nel paese dei bugiardi. Infine mi sembrava doveroso accennare alla maschera di Arlecchino, il servo che mente ma nello stesso tempo diverte: è colui che rappresenta quella menzogna leggera e burlona che provoca riso e piacere negli spettatori. Ho proseguito il capitolo occupandomi di letteratura, compiendo un breve excursus partendo dal Decameron e più precisamente dalla novella di Cepparello. Costui è l’ignobile millantatore che grazie all’arte del mentire riesce, nonostante la vita intrisa di gravi peccati, ad essere proclamato addirittura santo dopo la 4 morte. Mi sono occupata in seguito anche di Machiavelli; l’autore nel Principe dà delle indicazioni su come un vero principe debba comportarsi per sostenere il proprio stato e, se necessario, mentire, pur di ottenere i propri fini per il bene della popolazione. Ho dedicato ampio spazio anche all’Otello, delineando minuziosamente l’inquietante figura di Jago. Quest’ultimo mente distruggendo la vita di più persone. La sua bugia però sfocia nella calunnia che è molto più grave. Essa è subdola, lavora sull’inconscio delle persone e lo manipola, non è necessario mentire ma è sufficiente insinuare dei dubbi nel prossimo, per far sì che si rovini con le sue stesse mani. Ho terminato il capitolo con Pirandello, mettendo in luce il suo pensiero che si basa sulla necessità dell’uomo di indossare una maschera per poter sopravvivere nella società e, se riesce ad accettare questo compromesso per il quieto vivere, può trovare la libertà di espressione nella follia. È da tener presente che ho scelto queste narrative perché le figure contenute in esse mettono in luce diversi volti della bugia in modo più o meno veritiero; le opere in sé sono delle finzioni, non vengono presentate come delle menzogne. Il fulcro del secondo capitolo è l’origine della menzogna. Wilde propone la figura del protobugiardo ne La decadenza della menzogna, in cui il protagonista è il primo cavernicolo che mente ai suoi compagni fondando così le relazioni sociali. In seguito ho messo in luce gli episodi in cui alcuni personaggi della Bibbia, iniziando proprio da Adamo ed Eva, mentono: Satana, Abramo, Sara, Lot, Giacobbe, Pietro, Giuda e nella genesi anche Dio stesso. Naturalmente non si può omettere il re dell’inganno: Ulisse. In prima istanza sembra che il re acheo menta per salvare sé stesso e i compagni e per poter finalmente tornare a casa; in realtà analizzando il suo comportamento emerge che mente per piacere e per avere sempre di più. Sarà proprio questa tracotanza a condurlo all’inferno nell’interpretazione di Dante. Ho destinato un breve paragrafo anche agli animali utilizzando Le virtù degli animali di Plutarco, in cui la maga Circe viene presentata come una sorta di “benefattrice” per aver trasformato gli uomini di Ulisse in animali ed aver dato loro la possibilità di vivere secondo i loro istinti, che li guidano già naturalmente verso ciò che è giusto. Il secondo capitolo termina con Prometeo, colui che ha il coraggio di ingannare gli dei ma soprattutto Zeus in favore degli uomini. Il terzo capitolo è interamente dedicato alla filosofia, a partire proprio dal filosofo che ricerca la verità per eccellenza: Socrate. Quest’ultimo vuole indicare la via della verità ai propri interlocutori anche per mezzo dell’ironia. Paradossalmente il suo comportamento viene frainteso e per questo condannato, ma egli continuerà a dimostrare fino alla morte il forte legame tra la verità e la vita. Il suo discepolo Platone seguirà le sue orme e introdurrà la 5 dottrina della “nobile menzogna” ovvero la menzogna che funge da medicina e può essere utilizzata solo dai governanti. Il filosofo cerca la causa della menzogna nelle cose stesse e afferma che la vera menzogna coincide con l’ignoranza; mette anche in luce come il contrasto tra filosofia e bugia sia da sempre e per sempre insanabile. Successivamente Aristotele delinea nell’Etica nicomachea diversi tipi di bugiardo e mette in rilievo come la menzogna comporti anche un grave problema per la società. Ho ritenuto poi molto importante la tesi di S. Agostino esposta nel De Mendacio, egli diversamente dagli autori precedenti, ritiene che sia fondamentale la presenza della volontà per decretare o meno la menzogna. Espone inoltre sempre nell’opera citata pocanzi, otto tipi di menzogna in ordine di gravità decrescente. Tommaso d’Aquino riprende S. Agostino nella Summa Theologica, apportando delle innovazioni al suo pensiero. Per quanto riguarda invece i filosofi illuministi, Montaigne condanna la menzogna perché priva gli uomini di quella comunicazione necessaria che in realtà dovrebbe unificarli. Anche Montesquieu è dello stesso parere, mentre invece Bacone pone in risalto il fatto che la bugia vince sulla verità perché quest’ultima è dolorosa e spesso insostenibile. Senza dubbio però la prima è sintomo di debolezza. Vi è poi Cartesio che nelle Meditazioni Metafisiche attribuisce la certezza del Cogito alla garanzia divina poiché Dio non ci può ingannare: il problema dell’uomo quindi alberga nella volontà di avere sempre di più. Noi vorremmo in sostanza sapere più di quanto non ne sappia il nostro intelletto. Nonostante tutto ciò l’uomo si trova comunque costretto a dissimulare, poiché non ha la certezza del mondo che lo circonda. Il cerchio dei filosofi moderni si chiude con Rousseau, colui che non teme la verità; egli afferma riguardo alla bugia che mente chi ha la volontà di ingannare il prossimo. Abbiamo poi Kant, Hegel e le loro opinioni completamente opposte riguardo al problema che stiamo trattando. Il primo non ammette alcun tipo di menzogna e secondo lui non è nemmeno possibile accettare un menzogna a fin di bene o necessaria, altrimenti si darebbe adito ad un altro di fare lo stesso. La bugia non è giustificabile in alcun caso. Hegel a proposito afferma che dipende dal fatto che ognuno sia in grado o meno di dire la verità. Il tutto dipende dalla persuasione e cognizione che si ha. Il tutto termina con Nietzsche che in Verità e menzogna in senso extramorale afferma che il fine dell’intelletto è quello di conservare l’individuo utilizzando la finzione. Chi si serve di quest’ultima però è più debole di chi non la utilizza, poiché essa è un meccanismo di difesa e chi non ne fa uso ha il coraggio di affrontare la dura verità con tutto ciò che questo comporta. L’ultimo capitolo è interamente dedicato a Paul Ekman. Prima ho citato la serie Lie To Me: essa si basa sul lavoro di Paul Ekman, un importante studioso del comportamento non verbale e 6 delle sue funzioni comunicative. Egli è colui che ha scoperto gli indizi che lasciano trapelare la menzogna e principalmente le sei emozioni di base universali. Naturalmente la serie si basa su dati reali ma rimane chiaramente una finzione. Per capire meglio il metodo di studio utilizzato da Ekman, oltre a leggere i suoi libri ho preferito frequentare due corsi specializzati all’Università di Trieste, dove un gruppo di ricercatori si dedica allo studio del metodo Facs. Vi sono molti metodi per misurare i movimenti facciali che risultano dall’azione dei muscoli. Il sistema di misura inventato da Ekman e Friesen «Facial Action Coding System – FACS» è il più comprensivo, completo e versatile: un analista FACS disseziona un’espressione osservata, decomponendola in specifiche AU (unità d’azione) che hanno prodotto il movimento. La menzogna si confronta con il concetto di verità e con quello di libertà, con i campi del sapere e con quelli del potere. Vorrei che questa argomentazione ed in particolare le riflessioni dei vari filosofi in merito alla tematica trattata, ci inducessero a riflettere seriamente sul ruolo che la bugia assume quotidianamente nelle nostre vite, ma più precisamente sull’influenza che essa ha sulla nostra società. La menzogna si identifica come abbiamo visto nel “voler aver di più”, ed è proprio contro questo desiderio che nasce l’impresa critica della filosofia. La bugia riguarda il nostro modo di essere e mentire, ed in una civiltà così tecnologica significa sacrificare la nostra identità in favore di una totalmente nuova, con il rischio di smarrirsi e di non ritrovarsi più. La società odierna ci insegna a non interrogarci più, cercando di farci assorbire tutto ciò che ci viene proposto. Sono sicuramente positive le innovazioni dei mass media, di internet e della pubblicità, ma rischiano di far scomparire il confine tra menzogna e verità. Può sembrare efficace anche il modo in cui la televisione ci pone di fronte alle crude realtà in cui molti popoli soffrono o si trovano in situazioni di disagio, il problema è che il tutto viene inserito tra uno spot che ci propone la nuova crema antirughe o il nuovo tipo di aspirapolvere. Anche il linguaggio stesso che dovrebbe fungere da accordo naturale tra gli uomini diventa sempre più convenzionale. Siamo sommersi di “reality show” che ci vengono erroneamente presentati, proprio come dice il nome, come delle vere realtà. Sempre più spesso sembra che la verità non abbia più peso. Il vero problema di tutto ciò è che non veniamo illusi subendo delle menzogne vere e proprie, ma ci vengono presentate delle lucide sincerità che in realtà ci ingannano, proprio come nel caso dell’Otello. Le bugie e le verità vengono quotidianamente costruite e presentate, in realtà però esse possono essere decifrate solo guardando all’intenzione di chi agisce, non possono essere giudicate in sé. Sicuramente così facendo diventano delle convenzioni che possono rendere più semplice ed accettabile la quotidianità, senza dover avere il coraggio di sopportare un’esistenza complessa e difficile. 7 Attualmente l’interesse purtroppo è rivolto sempre di più a ciò che si fa piuttosto che alle ragioni per cui lo si fa. Secondo il Robinson di Defoe «La menzogna è uno dei più scandalosi peccati che intercorrono fra uomo e uomo, un crimine di natura assai vasta e dalle tinte fosche, che conduce a innumerevoli altri peccati, in quanto viene praticato per ingannare, offendere, tradire derubare, distruggere ecc.. In questo senso, la menzogna è ciò che nasconde tutti gli altri crimini, è la pelle di pecora che ricopre il lupo, la preghiera del fariseo,il rossore della prostituta, il sorriso dell’assassino, il mantello del ladro; è l’abbraccio di Gioab e il bacio di Giuda; in un parola, è il peccato preferito dagli uomini e il tratto distintivo del Diavolo, *…+ è il dire il falso senza sentirsi perciò stesso in colpa né verso Dio né verso gli uomini».1 Sono inquietanti la vacuità e la futilità delle motivazioni per cui si mente: si mente per ottenere sempre di più e si finisce per mentire anche per abitudine. Il paradosso è che in realtà noi siamo perennemente alla ricerca della verità, vorremmo essere come gli Houyhnhnm, ma la società a quel punto diverrebbe tanto trasparente e virtuosa quanto crudele, e non saremmo in grado di resisterle. Termino con le parole di Lessing che credo siano così significative da non aver bisogno di alcun commento: «La verità non è ciò che un uomo possiede o crede di possedere ma è lo sforzo sincero che egli ha impiegato per conquistarla, è ciò che fa il valore di un uomo *…+ non è attraverso il possesso ma attraverso la ricerca della verità che aumentano e si fortificano le sue potenzialità, e solo in questo incremento delle potenzialità consiste la sua sempre crescente perfezione, *…+ al contrario, l’esercizio del possesso rende inerti, pigri e superbi».2 1 Defoe Daniel, Le avventure di Robinson Crusoe-Le ulteriori avventure-Serie riflessioni, Einaudi, Torino, 1998. 2 Tagliapietra Andrea, Che cos’è l’illuminismo? I testi e la genealogia del concetto, Mondadori, Milano, 2000, p. 63. 8 Capitolo 1 LA MENZOGNA NELLA FIABA E NELLA LETTERATURA «Come mai sapete che ho detto una bugia?». «Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie. Vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo».3 Carlo Collodi «Mentire, significa abitare la distanza che intercorre tra apparenza e realtà e, quindi, uscire dall’ingenuità di quanti credono che le cose sono ciò che appaiono».4 Umberto Galimberti 1.1. FALSITA’ E FINZIONE Credo sia utile precisare fin da subito la differenza che intercorre tra falsità e finzione, poiché in questo primo capitolo il discorso apparirà (volutamente) intrecciato: ho utilizzato come esempio delle favole e dei romanzi per mostrare svariate facce della menzogna, che in alcune opere emergono in modo particolare rispecchiando o meno la realtà. Vorrei però puntualizzare che le favole, le narrazioni, i romanzi ecc.. non sono propriamente delle menzogne, sono delle finzioni. 3 4 Collodi Carlo, Pinocchio, Polistampa, Firenze, 1883. U. Galimberti, Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano, 1989. 9 A questo proposito credo pertanto che le parole di Rousseau (Rêveries IV), riprese fedelmente da Serie riflessioni di Robinson Crusoe di Defoe, possano aiutarmi ad illustrare meglio il concetto: «Mentire senza profitto, né pregiudicare sé o altrui non è mentire: non è menzogna, bensì finzione, *…+ le finzioni che hanno un contenuto morale si chiamano apologhi o favole, e poiché tale contenuto si chiama avvolgere verità utili in forme sensibili e piacevoli, non si curerà in tal caso di nascondere la menzogna di fatto, che è solo l’abito della verità, e chi diffonde una favola come favola non mente in alcun modo. Esistono altre finzioni perfettamente futili, come la maggior parte dei racconti e dei romanzi, che senza contenere nessun vero insegnamento non hanno altro scopo che lo svago. Scevre di qualsiasi utilità morale, le si valuteranno soltanto dall’intenzione dell’autore, se egli le spaccia affermativamente come verità reali, non ci si potrà esimere dal rinfacciargli che si tratta di vere menzogne».5 Le finzioni si collocano nello spazio che intercorre tra la verità e la menzogna, rappresentando quei fatti privi di conseguenze per chiunque, falsi o veri che siano. Rousseau (Reveries IV) dice di aver spesso spacciato varie favole ma afferma di non aver mai mentito. Non a caso oggi con il termine Fiction si intende la narrazione di eventi immaginari, in netto contrasto con la narrazione di eventi reali. Una larga parte dell’attrattiva della fiction è l’abilità di evocare l’intero spettro delle emozioni umane nelle forme narrative di romanzi, racconti, novelle, favole, fiabe, film, fiction televisive, fumetti, cartoni animati, videogiochi, e possono essere in parte basate su fatti reali, ma contengono sempre elementi immaginari. 1.2. FIABE E BUGIE Tutti noi, o quasi, siamo nati e cresciuti con le fiabe. Esse ci hanno fatto addormentare, interessare e imparare. Il termine latino «fabula» indicava in origine una narrazione di fatti inventati. La favola ha pertanto la stessa etimologia della "fiaba". Sebbene favole e fiabe abbiano molti punti di contatto, oltre alla comune derivazione, i due generi letterari sono diversi.6 Molti credono che siano destinate ai più piccoli, ed è vero; in realtà costituiscono 5 Tagliapietra Andrea, Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Mondadori, Milano, 2008, p. 346. 6 La fiaba è un tipo di narrativa originaria della tradizione popolare, caratterizzata da componimenti brevi e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici come fate, orchi,giganti e così via. Si distinguono 10 anche, e soprattutto, delle vere e proprie lezioni di vita per gli adulti. In questi racconti, scritti da un determinato autore, o frutto di un sapere popolare che esprime e riporta la tradizione di un popolo, vengono proiettati gli elementi dell’inconscio personale e gli archetipi dell’ inconscio collettivo. La fiaba per l’anima, che per sua natura vive nei contrasti, deve essere come un benefico messaggio: la paura e il male non devono essere evitati giacché fanno parte della vita. Essa ci insegna che esistono ma che possono essere vinti. Queste narrazioni contengono verità profonde velate da allegorie e simboli ed il loro fine è quello di insegnare i pericoli della vita. Credo che le fiabe rappresentino uno dei primi approcci che abbiamo avuto con la menzogna. Fin da piccoli dobbiamo cercare di comprendere che esistono delle realtà che non possono essere evitate, siamo noi che dobbiamo capire come rapportarci ad esse. Una di queste è proprio la bugia, esiste e non può essere eliminata. Molte storie ci insegnano il modo migliore per evitarla ed affidarci alla sincerità, il loro fine è nobile. Il vero paradosso è che se cerchiamo sul dizionario dei sinonimi e dei contrari7 il termine “fiaba”, alcuni dei sinonimi sono proprio menzogna e bugia. Ovviamente quando si parla di bugie il primo personaggio a cui pensiamo è Pinocchio, il burattino che non vuole né crescere né obbedire, al quale si allunga il naso ogni qual volta egli dica delle bugie8. Pinocchio è, ovviamente, il re delle bugie. Così come bugiardi sono i personaggi negativi del libro: Lucignolo, il Gatto e la Volpe, Mangiafuoco, l'Omino di Burro. Ma nello stesso romanzo, la falsità è ampiamente adoperata anche dai personaggi positivi. Geppetto, immagine della paternità frustrata, si racconta un sacco di bugie, costruendo con le proprie mani un burattino di legno e fingendo (e pretendendo) che sia il suo bambino. Così come bugiarda è anche la Fata Turchina, che si finge morta un paio di volte, poi si finge lavandaia, poi si fa negare a Pinocchio dalla sua cameriera, la lumaca. Ma queste menzogne, degli adulti, anzi, delle figure genitoriali, sono sempre giustificate, perché a fin di bene, perché amorevoli, perché educative. Il povero burattino è un po’ il simbolo dell’inganno proibito, si cerca di mostrare ai bambini attraverso questa fiaba che le bugie possono diventare causa di molti mali, per se stessi e per gli altri, inoltre vengono sempre smascherate. In realtà Pinocchio non è un mentitore dalle favole, i protagonisti delle quali sono in genere animali antropomorfizzati o esseri inanimati e il cui intento allegorico e morale è più esplicito. 7 Dizionario sinonimi e contrari, Rusconi Editore, Milano, 2003. 8 La “sindrome di Pinocchio”è la malattia che porta gli adulti ad incatenarsi in una vita così piena di bugie da rendere impossibile la sincerità. 11 matricolato, è solo un “ragazzino” che compie tutte le marachelle possibili e dice poche, pochissime bugie. «La bugia è la caratteristica dello stereotipo degli stereotipi: nella lotta tra i simboli del bene e quelli del male,nella fatica di trasformare la scorza di legno in corpo di bambino, i lettori hanno privilegiato tra tutte la simbologia del naso a causa delle piccole, quasi innocenti bugie dette da Pinocchio»9: i genitori spaventano i bambini dicendo loro che mentendo si allunga il naso, questo comporta che ai piccoli vengono proibite le bugie proprio attraverso una minaccia bugiarda. Interessante e originale è la visione della menzogna che emerge nei Viaggi di Gulliver10 di Jonathan Swift. Gulliver dopo aver attraversato molte peripezie ed aver incontrato strani popoli giunge presso la comunità degli Houyhnhnm che sono dei cavalli razionali, degli esseri saggi. Essi non sono capaci di dubitare e di non credere. La bugia per loro è impossibile perché è inutile. Se una persona dice loro una menzogna, quest’ultima non viene percepita come ciò che è ma come un errore, uno sbaglio, non viene intesa come atto volontario, anzi è un atto che diminuisce la formazione di una persona, inutile, che rende vano l’uso della parola. Per Houyhnhnm come per gli stoici, la verità è ovvia ed evidente. La menzogna fa sì che il linguaggio perda la caratteristica di fornire conoscenze, si priva l’altro di ottenere le informazioni necessarie di cui ha diritto e necessità, inoltre il bugiardo matricolato non viene più creduto, (è famosa a proposito la storiella “Al lupo! Al lupo!”). Ho trovato molto profondo e assolutamente vero quanto originale, il modo in cui viene considerata la falsità in Attraverso lo specchio11, la continuazione di Alice nel paese delle meraviglie, uno dei miei racconti preferiti da bambina. Alice incontra un personaggio a forma di uovo, Humpty Dumpty. Quest’ultimo sottolinea quanto sia fondamentale mettersi d’accordo per far sì che avvenga la comunicazione in un mondo del tutto immaginario: il bugiardo non è e non può essere un solitario; basti pensare a quando i bambini giocano e si accordano nel far finta di essere in una determinata situazione. Sarà un esempio banale ma mi ricordo quando da piccola io e le mie amiche preparavamo in camera il tavolino, le tazzine e la teiera, fingendo di bere il thè. È chiaro che ciò che mancava era proprio il thè ma nella stesso tempo la bevanda era assolutamente superflua, l’importante era che fossimo tutte d’accordo. Se una di noi avesse chiesto dove fosse il thè allora il castello sarebbe immediatamente 9 Bettetini Maria, Breve storia della bugia, Da Ulisse a Pinocchio, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001, p. 37. 10 Swift Jonathan, I viaggi di Gulliver, Feltrinelli, Milano, 1997. 11 Carroll Lewis, Through the Looking-Glass, and What Alice Found There, HarperCollins, New York, V edition, 1993. 12 crollato. Humpty Dumpty inventa parole e significati ma non può essere ingannato e non può ingannare, perché manca l’accordo sui significati, quindi la comunicazione diventa impossibile. Questa concezione viene portata all’eccesso da Gianni Rodari in Gelsomino nel paese dei bugiardi 12dove vi è un pirata di nome Giacomone, che, stanco di navigare, decide di occupare un paese sulla terraferma ed inizia a stipulare una serie di leggi tra cui quella di riformare il vocabolario. Questo atto implica il cambiamento di significato delle parole: pirata significa gentiluomo, le rose si chiamano carote e così via. La comunicazione quotidiana però non regge dato che la legge non si fonda su un reale accordo, quest’ultimo non è riconosciuto o accettato da chi comunica con parole e gesti. Gianni Rodari come altri autori, «ha mostrato situazioni in cui la bugia non si poteva dare per eccesso o per difetto, per l’assenza della concezione del mentire stesso, e quindi l’impossibilità di distinguere la menzogna dall’affermazione vera, o per il moltiplicarsi di bugie, che si vanificano l’una con l’altra»13. Terminerei questo breve excursus sui racconti di fantasia con Goldoni. Ciò che rende uniche le sue commedie è proprio l’intreccio che si crea tra le bugie del padrone Lelio con quelle del suo servo Arlecchino. Il primo è un millantatore matricolato mentre Arlecchino è fautore della menzogna spiritosa e riparatrice, tanto da essere definita da lui stesso “spiritosa invenzion” (utilizzata in particolare per conquistare la cameriera Colombina). Entrambi ingannano ma la differenza tra i due balza subito all’occhio: mentre il servo diverte, Lelio, che a causa delle sue bugie vedrà la propria reputazione sgretolarsi (pur essendo un abilissimo mentitore), desta preoccupazione al padre, che, stufo delle continue manipolazioni del figlio, teme per la reputazione della famiglia, composta da onesti commercianti. Mentendo si perde la credibilità che è la principale dote di un commerciante e chi mente non vende più. La commedia Il Bugiardo14 termina con le parole del cavaliere Ottavio : «Le bugie rendono l’uomo ridicolo, infedele, odiato da tutti». 1.3. LA MENZOGNA NELLA LETTERATURA La letteratura mostra la realtà ma nello stesso tempo è intrisa di menzogne e inganni, rispecchiando così perfettamente l’esistenza dell’uomo. Nel XVI Canto della Divina Commedia, 12 Rodari Gianni, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Editori Riuniti, Roma, 1984. M. Bettetini, op. cit., p. 21. 14 Goldoni Carlo, Il bugiardo, Marsilio, Venezia, 1994. 13 13 nell’Inferno, Dante definisce la sua stessa opera: è un «ver c’ha faccia di menzogna». La letteratura è sì una “menzogna”, un artificio, che dice però la verità. Ho scelto di utilizzare come esempio alcune opere in cui l’uso della menzogna spicca in modo particolare e preponderante rispetto ad altre, in ambito religioso, politico e sentimentale. Partirei proprio dal Decameron15 di Giovanni Boccaccio, in cui è presente un gran senso dell'inganno: spesso si ricorre a bugie e tranelli studiati nei minimi dettagli per mettere in difficoltà l'antagonista, inoltre vi è anche uno stretto legame tra bugia e sacralità. È presente nel testo un vero e proprio elogio dell’artifizio, dell’ingegno e della capacità di utilizzare abilmente le parole, distorcendo la realtà e plasmandola a nostro piacimento: gli elementi del reale vengono rielaborati per dar vita ad un robusto tessuto di menzogne. Non a caso l’opera si apre con la novella di Cepparello: è un notaio bugiardo, millantatore, omicida e bestemmiatore, una pessima persona. Mente in modo spregiudicato a chiunque e non risparmia nemmeno Dio. Mentre è in Francia per affari, ospite dai due fratelli, si ammala e si avvicina alla morte. I due fratelli sono seriamente preoccupati data la condotta tenuta in vita dal notaio, sicuramente rifiuterebbe i sacramenti e l’assoluzione, il che farebbe sì che non venisse celebrato il funerale. Cepparello però ha la soluzione pronta: viene chiamato un frate anziano al quale il notaio si confessa raccontando alcuni peccatucci ma soprattutto una vita piena di opere di bene e di carità. Il funerale viene celebrato addirittura nel convento del frate. I frati e le persone iniziano a venerarlo tanto da portarlo a diventare santo a tutti gli effetti. A questo punto è lecito chiedersi quale sia la morale della novella: perché Dio decide di utilizzare come intermediario questo finto santo invece di punirlo? Dio si piega all’abilità del mentitore, è impossibile non riconoscere e valorizzare l’ingegno individuale. Comunque in ogni caso viene premiata la purità della fede: se i devoti ingannati chiedono un miracolo, pur utilizzando come intercessore un nemico di Dio senza ovviamente saperlo, possono venire esauditi poiché è la purezza della fede che conta. I santi sono un’invenzione umana, e possono essere anche cacciati all’inferno da Dio, il quale accoglie solo le buone intenzioni di coloro che rivolgono a lui preghiere. La menzogna svaluta ogni legge divina e umana. La figura di Cepparello è accostabile a quella di Giuda, poiché è traditore delle leggi divine e umane. Dalla metà del ‘300 passerei al ‘500, più precisamente al 1513, anno in cui Machiavelli scrive Il Principe16; è un trattato di dottrina politica così attuale da essere discusso ancora oggi, molti accusano questo testo di favorire la menzogna e l’inganno, in realtà Machiavelli espone le 15 16 Boccaccio Giovanni, Decameron, UTET, Torino, 1956. Niccolò Machiavelli, Il Principe, Rizzoli, Milano, 1999. 14 caratteristiche dei principati e dei metodi per mantenerli e conquistarli; per raggiungere il fine di conservare e potenziare lo Stato, giustifica qualsiasi azione del Principe, anche se in contrasto con le leggi della morale. Che gli uomini politici abbiano sempre mentito e mentono lo sappiamo, ma prima di Machiavelli la menzogna era considerata anti-etica e contro la dignità anche se accettabile, visto che per raggiungere i propri scopi veniva praticata abitualmente. Dopo di lui fu trasformata non soltanto in una necessità, ma in un vero e proprio imperativo indispensabile a qualunque uomo politico e quindi moralmente accettabile e giustificata. L’autore disse che non contano le "buone intenzioni" di un uomo politico; anche se sinceramente vuole agire per il bene del suo popolo o del suo paese, l’imperativo è che per arrivare al potere deve mentire alla gente. Il Principe è semplicemente un manuale in cui vengono dati dei consigli per l'acquisizione e il mantenimento del potere, e in cui la componente morale non trova spazio. L'opera si pone su una posizione a-morale, non è vero dunque che la menzogna è "moralmente accettabile e giustificata", perché questi aggettivi implicano un giudizio etico in un discorso, quello del Principe, che di etico invece non ha nulla. Per fare un esempio, oggi più che mai siamo sommersi di libri di cucina e programmi culinari in tv che possono insegnarci a mettere in pratica molte ricette, ma se ci mostrano come cucinare la gallina ripiena, non vuol dire che ci pongano anche il problema etico dell’allevamento e della macellazione dei polli. Inoltre non è affatto vero che per Machiavelli "il fine giustifica i mezzi" (frase che tra l'altro non è nemmeno sua), egli mostra al principe quali sono i mezzi per raggiungere un determinato obiettivo e scopo e spetta a quest'ultimo - se lo vuole - valutarli da un punto di vista etico. Ora dedicherei qualche parola ad una tragedia che secondo me è una delle più belle mai scritte: l’Otello17 di Shakespeare. Quest’opera ci permette di vedere da vicino l’apice della menzogna, il tipo di bugia che distrugge, che non implica solo il mentire in sé: il bugiardo innesca un meccanismo silenzioso che porta la vittima ad autoingannarsi. Ciò che affascina di più è la personalità di Iago, dotato di un’intelligenza diabolica che spaventa ma nello stesso tempo affascina, non è un semplice mentitore ma un vero e proprio diavolo tentatore: come il diavolo, non mostra direttamente la propria natura, al punto che tutti gli altri personaggi, Otello per primo, lo chiamano “onesto”. Questo suo sembrare onesto è il frutto della sua particolare tecnica di mentitore, è la perfetta incarnazione del “padre della menzogna”, il suo 17 Shakespeare, Otello, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2004, (trad. di Baldini G.). 15 comportamento è un’imitazione dell’astuto agire del serpente, il nemico di Dio, Satana18. Otello è un generale moro, al servizio della repubblica veneta, al quale è stato affidato il compito di comandare l'esercito veneziano contro i turchi nell'isola di Cipro, con lui vi sono la moglie Desdemona, il luogotenente Cassio e l’alfiere Iago. Quest’ultimo vorrebbe far destituire Cassio, così inizia ad architettare un piano malvagio per far credere a Otello che tra Desdemona e Cassio vi sia amore. L’ingegno di Iago non sta nel dire delle menzogne ben costruite ma è nell’utilizzo degli exempla: una bugia viene resa molto più credibile della realtà, quest’ultima spesso spiazza e sconcerta le persone mentre invece la falsità può essere resa più naturale, più umana se mescolata con la veridicità. Iago crea situazioni inoppugnabili (come quella del fazzoletto) e si limita a sottolinearle e a suggerirne un’interpretazione menzognera; i pezzi di realtà che usa, in sé neutri e innocui, una volta messi insieme scatenano pericolose passioni, è una sorta di regista. Egli riesce abilmente ad insinuare dubbi nella mente di Otello semplicemente domandando, lo porta a credere che esista un tradimento. Può sembrare paradossale ma Iago di solito non mente, almeno nel senso stretto del termine: vi è reticenza , insinuazione, e l’uso di termini che hanno più significati; è sempre il suo interlocutore a completare quell’opera aperta che egli ha saputo creare. Più che essere tradito da Iago, è Otello stesso a tradirsi e ad ingannarsi, interpretando male le parole del suo alfiere, che dal canto suo fa vedere ad Otello ciò che lui stesso vuol vedere. Se guardassimo la vicenda shakespeariana, con gli occhi di Iago e con un po’ del suo cinismo, potremmo dire che gli unici personaggi che mentono nel senso stretto del termine sono i poveri Otello e Desdemona (quest’ultima mente addirittura in punto di morte dicendo a Emilia, moglie di Iago, di essersi uccisa da sola). La menzogna più potente e pericolosa in assoluto è proprio quella di Iago descritta in questa tragedia, quella che porterà alla morte la povera Desdemona, Otello ed Emilia: la calunnia. Quest’ultima non necessita di bugie ma fornisce delle chiavi di lettura correlate ad eventi davvero accaduti, insinua sospetti, sono tante le vittime famose e non, che hanno visto le loro vite sgretolarsi davanti a sé per causa sua. Basti pensare alle conseguenze dell’opera di Martin Lutero Degli ebrei e delle loro menzogne19 pubblicata nel 1543. La forza della calunnia è paradossalmente la verità, per fare alcuni esempi storici potremmo citare l’imbarazzante sincerità di Hitler, sia nel Mein Kampf20 18 Iago dice di non essere quello che è: “I am not what I am”. Nell’Esodo Mosè chiede a Dio il nome del Signore e lui risponde “Ego sum qui sum”. L’alfiere dice esattamente il contrario non a caso, quindi incarna la figura del maligno. 19 Lutero Martin, Degli ebrei e delle loro menzogne, tr. it. di A. Malena, Einaudi, Torino, 2000. 20 Hitler Adolf, Mein Kampf, Roma, 1971. 16 che nei discorsi ai suoi adepti, oppure di Mussolini, quando si dichiarò colpevole dell’omicidio Matteotti. Bacone a proposito diceva: «Dì una menzogna e troverai la verità. Quasi fosse la simulazione il modo migliore per trovare il vero».21 La bugia, contrariamente a ciò che si possa pensare, è più credibile della realtà perché è ben costruita, è convincente e priva di contraddizioni, si avvicina molto alle aspettative del mittente. Al contrario la realtà è inaspettata, improvvisa, destrutturante e spesso anche vergognosa, si potrebbe parlare di Serendipità22, ne è un esempio la scoperta dell’America, un’esplorazione rivelatasi falsa dopo aver rinvenuto una sconcertante verità: la terra su cui i navigatori approdarono non erano le Indie ma un altro continente. Chiaramente la menzogna era molto più plausibile. Ora vorrei occuparmi della letteratura a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900, e più precisamente di Pirandello. Tutte le sue opere (mi riferisco in particolare a Il fu Mattia Pascal, Uno, Nessuno, Centomila, Enrico IV e alcune novelle come La patente ed Il berretto a sonagli) sono intrise di menzogna e sono maledettamente reali e attuali tanto da sembrare su misura anche per la nostra società moderna. Pirandello si interroga sul rapporto tra menzogna e verità: il senso comune rifiuta la finzione ma noi viviamo di finzione, siamo finzione, la nostra coscienza lo è, la verità è solo illusione. Le finzioni ci impediscono di comunicare e convivere senza che ce ne accorgiamo, però grazie ad esse possiamo rendere meno importanti le ferite che ci infliggiamo quando mentiamo o quando la bugia viene svelata. Ma qual è la verità? Esiste la verità? Ognuno di noi crede in una verità, che in fondo è quella che ognuno vede; tutto è soggettivo. Noi viviamo ogni giorno tante verità diverse, siamo quelli composti ed educati con i genitori, quelli che fanno gli spacconi con gli amici, quelli sicuri di sé con i colleghi o quelli che si commuovono di fronte ad un rimprovero. La tragedia secondo Pirandello è il vedersi vivere, i personaggi sono come se uscissero da se stessi per vedersi dal di fuori come se fossero altri e per vedere il contrasto tra la vera realtà, tra la vera vita e la maschera, che non è altro che la falsità che utilizziamo per vivere in società. Il mondo si basa sulla vita, che è divenire, è cambiamento, e sulla forma, che è quella che ci circonda, sono gli schemi sociali, le norme, la cortesia ecc.. noi siamo prigionieri di tutto ciò e siamo costretti a mentire. E se qualcuno volesse abbattere queste forme, questi schemi, che cosa succederebbe? Avrebbe difficoltà a 21 M. Bettetini, op. cit., p. 129. Il termine serendipità è un neologismo indicante la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra. Secondo Umberto Eco, in filosofia si possono distinguere pensatori sistematici e pensatori asistematici o serendipici: tra i primi rientrano per esempio Cartesio, Spinoza, Kant, Hegel, fra i secondi Montaigne. 22 17 comunicare con gli altri, secondo l’autore le uniche vie d’uscita sono il delitto, il suicidio, oppure fingersi pazzo ed esprimere liberamente le proprie idee o ancora accettare tutto in modo rassegnato. A questo proposito mi è capitato poco tempo fa di vedere un film uscito al cinema recentemente, non molto conosciuto, si intitola Il primo dei bugiardi e mostra un mondo in cui non esiste la menzogna fino a che uno non la inventa. Sembrerà banale ma guardandolo ho appreso in pieno il pensiero di Pirandello. Nella prima parte del film la terra non conosce menzogna e le persone si comportano e parlano in modo ridicolo, sembra tutto molto comico: il fidanzato va a trovare la ragazza dicendo che in realtà era stanco e preferiva restare a casa, la segretaria saluta un suo collega che viene licenziato dicendo che è felice perché non lo sopporta e lo trova molto stupido e così via. Mi sono resa conto che viviamo nella menzogna, la utilizziamo nelle piccole e nelle grandi cose, sarebbe impossibile altrimenti, quella descritta nel film è una realtà in cui sembra che le persone non siano normali, che abbiano dei problemi, è una realtà irreale. Il paradosso è che dovremmo vivere così per vivere in modo concreto e puro, e invece senza falsità avremmo enormi problemi: non potremmo andare d’accordo con colleghi, fidanzati, datori di lavoro e nemmeno con i genitori; sarebbe bello poter essere sinceri sempre, sapendo che anche gli altri lo sono con noi, vivendo appieno le nostre relazioni sociali ma non è possibile, ed è questa la vera tragedia. Per quanto riguarda la follia, essa è l’unico sguardo possibile sul mondo frantumato da una pluralità di sensi, mi viene in mente a proposito una frase di Rossana Campo in Sono pazza di te23, la protagonista la pronuncia dopo essere uscita da un manicomio che ospita la sua amica: «E una cosa mi è venuta in mente. Che quei matti volevano raccontarla la loro verità, e che pur di raccontarla erano disposti a pagare qualunque prezzo. Il manicomio, la pazzia, la solitudine. Poi avevo pensato agli altri, a quelli che stanno fuori, agli adattati. Loro invece erano disposti a qualunque cosa pur di soffocarla per sempre, la loro delusione, il loro dolore». Il folle è in realtà colui che vive davvero, che guarda il mondo da una propria prospettiva senza curarsi dei pregiudizi della società. Questa è l’unica risposta possibile alla domanda di senso in una realtà che di senso non ne ha, perché vuole imporre un’unica verità; è propria questa l’attualità di Pirandello. Vorrei citare un altro film che ho visto sempre di recente ma è del 1995 e si intitola Don Juan, ispirato al protagonista del poema "Don Juan" di George Byron, con Johnny Depp e Marlon Brando: una sera un giovane, Don Juan, con maschera, cappello e mantello tenta il suicidio per essere stato lasciato dall’amata. Viene salvato da uno psichiatra che decide di 23 Campo Rossana, Sono pazza di te, Feltrinelli, Milano, 2003. 18 prenderlo in cura all’interno della struttura psichiatrica in cui lavora, iniziano delle sedute in cui il giovane racconta la sua giovinezza in Messico, la morte del padre in duello, i mille amori, la madre chiusa in convento ed i suoi viaggi in Oriente. Il medico si lascia trasportare dal giovane, tanto da credergli anche di fronte a fatti evidenti (come la testimonianza della nonna del ragazzo che gli rivela un altro tipo di vita) evitando così di sottoporlo ai farmaci, perché gli crede o forse perché non vuole che Don Juan smetta di allietarlo con i suoi racconti. Nemmeno lo spettatore è in grado di capire se Don Juan mente o è sincero, anche la fine del film è ambigua, proprio per farci domandare se vogliamo davvero sapere la verità oppure se preferiamo abbandonarci a ciò che ci rende felici, anche se il prezzo da pagare è la menzogna: « C'è solo una cosa peggiore del dolore: il vuoto di chi vede il mondo con occhi disincantati. Quando piangerai a viso scoperto, orgoglioso di ogni singola lacrima, scoprirai che la vergogna è solo un muro di cartone, una inconsistente barriera tra la vita e non vita (il pazzo è proprio colui che, secondo Pirandello non si vergogna di vivere). Quanti hanno il coraggio di farsi una domanda e rispondersi sinceramente? La verità è una scarpa troppo stretta, un vestito troppo aderente, un peso troppo gravoso per chi vive di illusioni»24. Un tema importante legato alla menzogna è rappresentato dalla natura. Menzogna e natura sembrano apparentemente legate da un rapporto tanto pericoloso quanto affascinante. Spesso abbiamo come l’impressione che anche gli oggetti mentano: l’orologio che segna l’ora errata, la spia dell’olio che lampeggia anche se lo abbiamo appena cambiato o delle nuvole che promettevano un temporale ed ora invece lasciano spazio al sole. Questo accade perché tendiamo ad attribuire alle cose un’intenzione comunicativa, ne è un esempio L’inganno di Thomas Mann:25 Rosalie von Tümmler, vedova, vive a Düsseldorf nei primi anni Venti, insieme con i figli Eduard e Anna, ama la vita ma soprattutto la natura. Rosalie ha cinquant’anni e sta attraversando un periodo delicato, potremmo definirlo di passaggio, per una donna della sua età. Tutto cambia quando si innamora di Ken Keaton, un uomo molto più giovane di lei, reduce della prima guerra mondiale e insegnante di inglese; improvvisamente la donna rinvigorisce, è come se sbocciasse anch’ella insieme alla primavera che sta tornando, tant’è che un giorno confida alla figlia l’inaspettato ritorno del ciclo mestruale, scomparso ormai da tempo. In realtà questa sorpresa è solo l’inizio di una brutta malattia che la porterà presto alla morte. Pur essendo in fin di vita Rosalie chiede alla figlia di non odiare la natura per averla brutalmente 24 Sono parole pronunciate da Don Juan nel film in risposta alle domande dello psichiatra che vorrebbe sapere la verità sul suo conto. 25 Mann Thomas, L’inganno, tr. it. di R. Rossanda, Marsilio, Venezia, 1992. 19 ingannata, perché la sua è stata una menzogna a fin di bene, voleva nasconderle un tragico destino dandole uno spiraglio di felicità, di speranza. In prima istanza sembra che la natura voglia ingannarci, e possiamo interpretare il suo comportamento come un dono o come uno scherzo meschino. La verità però è che la natura non mente, non può mentire, siamo noi che le attribuiamo questa possibilità, non esiste alcuna natura crudele o favorevole. Nonostante questo per anni, e ancora oggi, l’uomo si arrabbia con questa forza generatrice affibbiandole colpe che non ha, solamente perché non sa contro chi inveire e se c’è qualcuno dietro di lei con cui poterlo fare, essa in realtà fa solamente il suo corso. Secondo la mitologia (alcune credenze esistono ancora oggi) in alcune parti dell’Africa e del Sud America si cerca di dare un volto e un nome alla natura individuando degli esseri, i “tricksters”, che sono sulla terra per prendersi gioco degli uomini, combinando guai, catastrofi, e soprattutto inganni, sono coloro che stravolgono l’armonia, ed il tutto è immerso in un contesto divinizzato, sacro. Prima di procedere con il capitolo successivo vorrei soffermarmi brevemente sulla differenza tra simulare e dissimulare. Pirandello ci insegna che non è possibile vivere senza maschera altrimenti saremmo troppo vulnerabili, troppo esposti. Concordo con la tesi di Torquato Accetto26, filosofo e scrittore del ‘600, questo nostro atteggiamento non è simulazione bensì dissimulazione, che è un comportamento difensivo, quasi un pregio, è l’uomo che sa aspettare, che non si adira, che nasconde le cose brutte non solo agli altri ma anche a se stesso, è il saper rendere il percorso della vita meno sgradevole possibile, mentre la simulazione equivale alla menzogna. Anche le scritture confermano questa argomentazione: Gesù dice ai suoi fratelli che non andrà alla festa dei Giudei, detta delle Capanne: «Andate voi a questa festa; io non ci vado perché il mio tempo non è ancora compiuto» (Gv 7, 8) . Gesù sa che i Giudei vogliono ucciderlo e rassicura i fratelli dicendo che non sarà presente alla festa, in realtà ci andrà di nascosto e parlerà in pubblico. Potremmo definire dissimulazione anche il Galateo27, è un manuale che insegna la buona educazione, risale al 1550 circa ma è ancora oggi attualissimo, imitato in mille forme e adattato alla nostra società odierna, è un’arte del vivere civile che insegna a nascondere ciò che non è gradito agli altri 26 27 Accetto Torquato, Della dissimulazione onesta, Einaudi, Torino, 1997. Della Casa Giovanni, Galateo, Rizzoli, Milano, 1999. 20 Capitolo 2 LA NASCITA DELLA MENZOGNA. DAL PROTOBUGIARDO A PROMETEO. 2.1. LA PRIMA MENZOGNA Chi è stato il primo a mentire? Una probabile risposta a questo quesito viene data da Oscar Wilde ne La decadenza della menzogna,28che appare nel 1889 su una rivista e viene pubblicata nel 1891 nella raccolta di saggi Intenzioni. In quest’opera abbiamo il dialogo tra Cyril, che difende la supremazia estetica della natura e Vivian (alter ego di Wilde), secondo cui la menzogna sarebbe il fine ultimo dell’arte. Il secondo gentiluomo vuole dimostrare quanto la verità distrugga il mondo, e come solo la menzogna sia un'arte degna di essere coltivata: nulla è vero, solo quello che noi crediamo lo sia. Non è l'arte a imitare la vita ma la vita a imitare l'arte e lo stesso vale per la natura. Secondo quanto Wilde racconta, il protobugiardo è colui che invece di uscire a cacciare con i propri compagni cavernicoli resta nella caverna e, al loro ritorno, inventa la propria battuta di caccia aiutandosi con mimiche e gesti, interessando ed appassionando gli altri cacciatori. È colui che ha fondato le relazioni sociali. La menzogna nasce e cresce in relazione a chi abbiamo di fronte, si innesta un dialogo che ha bisogno dell’altro per prendere forma: il cavernicolo conosce bene quelli che ha di fronte e le sue aspettative, tutto ciò gli permette di anticipare ciò che essi vogliono sentire, sapendo in che cosa sono disposti a credere. Non è possibile mentire se non si conosce l’altro, dicendo la verità non abbiamo questa opportunità. La menzogna e l’inganno fanno parte della lotta per la sopravvivenza, si cerca di modificare o privare l’informazione dell’avversario, è un comportamento complesso che necessita di ingegno, intelligenza e intelletto: la preda deve anticipare la situazione, può decidere di nascondersi invece di correre ed aspettare che il cacciatore perda le tracce, il predatore a sua volta deve entrare nella testa dalla probabile vittima ed anticipare le sue mosse. La selezione naturale prevede la nostra capacità di interpretare le mosse altrui ma, nello stesso tempo, dobbiamo rendere il nostro comportamento il meno trasparente possibile per sopravvivere. Il bugiardo si immedesima, si sdoppia e la coscienza nasce proprio dallo sdoppiamento dell’io che ci permette di osservarci dall’esterno, questa è la base dell’inganno. L’immaginazione permette all’intelligenza di esprimersi e, analogamente, mentire vuol dire creare dal nulla 28 Wilde Oscar, La decadenza della menzogna, tr. it. di M. D’Amico, in Opere. Mondadori, Milano, 1992. 21 qualcosa che prima non c’era, è una “metafora del nulla”29. Se non avessimo questa facoltà non esisterebbero la cultura, l’arte, il teatro, la letteratura, tutto ciò nasce grazie alla nostra capacità di sdoppiarci e quindi alla menzogna. Ponendo a confronto il mito della caverna di Platone30 e La decadenza della menzogna, il prigioniero platonico è costretto a uscire dalla caverna e, una volta fuori, capisce qual è la verità ed è obbligato a tornare per liberare i suoi compagni, rischiando di non essere creduto. Il protobugiardo invece non esce dalla caverna e non deve ritornare, aspetta il rientro dei cacciatori e non vi è alcuna costrizione o automatismo; egli sostituisce il dovere della verità con il piacere della menzogna, suscitando nei cacciatori incanto, entusiasmo: è proprio questa meraviglia che porta allo stupore di essere liberi. «Così l’arte della menzogna wildiana non significa starsene quietamente serrati ai ceppi dell’illusione, contemplando quel paleolitico succedaneo del cinematografo immaginato da Platone, ma liberarsene senza portare con sé la coazione dei ceppi *…+ Wilde, nella sua parabola del protobugiardo, azzarda una genealogia della cultura umana giocata sull’eccedenza del non necessario, sul lusso sovrabbondante della bugia».31 2.2. IN PRINCIPIO FU LA MENZOGNA32 La dottrina della Chiesa da sempre difende a spada tratta la verità perché chi la segue vive in corrispondenza con Dio, al contrario la menzogna viene considerata la fonte di tutti i mali. La Bibbia insegna a perseguire la via della sincerità, ne è un esempio il decalogo all’ottavo comandamento che dice: «Non pronunziare falsa testimonianza contro il tuo prossimo» (Es. 20,16), mentre nel capitolo 23 del libro dell’Esodo si raccomanda: «Non spargerai false dicerie» (Es. 23,1). Nell’Eden mentono tutti, Dio compreso, ed è infatti proprio nella Genesi che fa il primo ingresso la menzogna con Adamo ed Eva. Nel secondo libro della Genesi Dio, dopo aver creato l’uomo, lo colloca nel giardino dell’Eden, a Oriente, dando a lui il compito di custodirlo e coltivarlo, pronunciando però queste parole: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne 29 Anna Arendt, Politica e menzogna, tr. it. di M. D’Amico, SugarCo, Milano, 1985. Platone, Tutte le opere, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2000, (Repubblica VII). 31 Tagliapietra Andrea, Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Mondadori, Milano, 2008, p. 51. 32 Ivi, p. 127. 30 22 mangiassi, certamente moriresti» (Gen. 2.17). Tutti sappiamo come si è conclusa la vicenda, Eva, la prima donna creata da Dio per donare ad Adamo un aiuto che gli fosse simile, ingannata dal serpente, mangia il frutto dell’albero proibito e convince anche Adamo a fare lo stesso, disubbidendo a Dio, forse per ingenuità, forse per una forma di ribellione, di ὕβρισ verso Dio, o forse per l’angoscia data dall’aver scoperto che esiste la possibilità33. Adamo ed Eva mentono ma la prima bugia in assoluto è quella del serpente, che in seguito verrà identificato con Satana. L’animale, il più astuto di tutte le bestie create dal Signore, di preciso non formula una menzogna in sé, ma una calunnia, che, come abbiamo visto nel capitolo precedente con Iago, è di gran lunga più pericolosa. Satana infatti dice la verità quando spiega ad Eva: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen. 3,5); questa è di fatto la verità perché non moriranno concretamente mangiando i frutti, e conosceranno il bene e il male poiché lo sperimenteranno sulla propria pelle (perché non sono Dio). Il paradosso quindi è che Dio non ha detto tutto ciò che avrebbe potuto dire, ha omesso una parte di verità per mettere alla prova la coppia, ha detto loro che sarebbero morti inghiottendo il frutto, in realtà sarebbero divenuti mortali, questo segreto ha così facilitato il compito al padre della menzogna. Altri personaggi biblici mentono, uno di loro è Abramo. L’uomo all’età di settantacinque anni viene invitato da Dio a lasciare il proprio paese, Carran, per raggiungere Canaan, dove il Signore gli ha promesso che avrà luogo la sua discendenza. In seguito ad una carestia deve spostarsi in Egitto, ed è proprio qui che dice alla moglie Sarai: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando gli egiziani ti vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. Di’ dunque che sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te» (Gen. 12, 12-13). La Bibbia Tob34 nella nota spiega che gli Israeliti rimasero colpiti dall’atteggiamento di Abramo poiché il suo comportamento non è giustificabile. È da tener presente che il Clan di Abramo era esposto a 33 Secondo Søren Aabye Kierkegaard, la scoperta della possibilità (e quindi dell'angoscia), viene scoperta per la prima volta da Adamo proprio in seguito al divieto divino: prima che Dio gli proibisse di mangiare dell'albero del bene e del male, Adamo era innocente, non era cosciente delle possibilità che gli si aprivano davanti. Quando riceve la proibizione, capisce di "poter” sapere la differenza fra il bene e il male, diventa così consapevole della possibilità della libertà. L'esperienza di questa possibilità è proprio l'angoscia che è a fondamento del peccato originale: l'angoscia, il sentimento delle possibilità che gli si aprono davanti, mettono Adamo nella possibilità di peccare, di infrangere il decreto divino. Questo concetto è contenuto: Kierkegaard S., Il concetto dell’angoscia, SE Editore, Milano, 2007. 34 Bibbia Tob, Elle Di Ci, Leumann, Torino, 1997. 23 molte difficoltà in paesi forestieri, in questo modo si vuole sottolineare la protezione che Dio accorda loro. Un’altra grave bugia di Abramo, giustificabile però per fede, è quella di omettere al figlio Isacco che sarà lui l’agnello per l’olocausto, per volere di Dio; l’uomo non lo dirà nemmeno alla moglie Sara35. Anche Sara mente, dopo aver generato il riso più umano di tutta l’intera Scrittura: il Signore si presenta ad Abramo alle Querce di Mamre, nelle sembianze di tre misteriosi visitatori che, terminata la visita, gli annunciano che al loro ritorno (un anno dopo), Sara avrà un figlio. La donna, che stava ascoltando all’ingresso della tenda, ride dentro di sé perché incredula: entrambi sono troppo vecchi per avere un figlio. Il Signore si rivolge ad Abramo e domanda: «Perché Sara ha riso *…+?» (Gen. 18, 14), la donna inaspettatamente nega e mente a Dio dicendo di non aver riso. Vi è poi l’episodio biblico di Lot, nipote di Abramo, che rappresenta il tipo di menzogna necessaria che nega i legami di famiglia difendendo i valori dell’ospitalità: ciò mostra che è lecito mentire pur non rispettando la legge solo nel caso in cui venga rispettata la фφςισ, il naturale rapporto tra l’io e l’altro. Dopo essersi diviso da Abramo, Lot si stabilisce presso Sodoma: «Ora gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore» (Gen. 12,13). Una sera due uomini, che erano in realtà degli angeli, giungono in città e Lot decide di ospitarli, gli abitanti però lo incitano a consegnare loro i forestieri per poterne abusare ma lui rifiuta e dice che al posto degli ospiti possono prendere le sue figlie. Lot viene aiutato e difeso dalla prepotenza degli abitanti dai due angeli che lo esortano a lasciare la città all’alba con la propria famiglia, poiché verrà distrutta per volere di Dio. Possiamo trovare l’incondizionatezza dell’ospitalità anche da parte della prostituta Raab nel libro di Giosuè: quest’ultimo invia a Gerico due spie per osservare il territorio. I due uomini vengono ospitati da Raab dove passano la notte ma il re di Gerico ne viene a conoscenza e manda a dire alla donna di far uscire i forestiere da casa sua ed ella, dopo averli nascosti, risponde ai messi del re mentendo: «Sì, sono venuti da me quegli uomini, ma non sapevo di dove fossero. Ma quando stava per chiudersi la porta della città al cader della notte, essi uscirono e non so dove siano andati. Inseguiteli subito e li raggiungerete» (Gs. 2,5). La donna però, a differenza di Lot, mente per salvare la sua famiglia chiedendo alle spie, in cambio dell’ospitalità, di risparmiare i suoi cari durante la caduta di Gerico. 35 Kierkegaard Sören, Timore e Tremore, Mondadori, Milano, 2007. 24 Nella Bibbia vi sono poi esempi di bugia necessaria, come l’episodio in cui le due levatrici egiziane Sifra e Pua non rispettano l’ordine del faraone di uccidere tutti i neonati ebrei e mentono (Es. 1, 17-21). Preferirei però soffermarmi su un tipo di menzogna che prevede uno stratagemma simile a quello utilizzato da Ulisse per uscire dalla grotta del ciclope, il δόλοσ che viene messo nell’episodio biblico che ora citerò appartiene a un tipo di intelligenza propria di Ulisse. Il protagonista della vicenda è Giacobbe, figlio di Isacco e Rebecca, fratello di Esaù. Quest’ultimo, cacciatore, è il preferito del padre, mentre Giacobbe lo è della madre. Isacco a causa della vecchiaia è ormai cieco e chiede ad Esaù di portagli della selvaggina con la quale avrebbe dovuto preparargli un buon piatto, in cambio lo avrebbe benedetto prima di morire. Esaù parte per la campagna e la madre, che nel frattempo aveva ascoltato le parole di Isacco, esorta Giacobbe a portarle due capretti che lei stessa avrebbe cucinato, per far si che fosse proprio il suo figlio preferito a ricevere la benedizione al posto del fratello. Giacobbe obbedisce e si presenta al padre con il pasto, indossando i vestiti del fratello e con le braccia ricoperte dalle pelli dei capretti cucite appositamente da Rebecca (le braccia di Esaù sono pelose a differenza di quelle di Giacobbe) ed il padre si convince di aver di fronte Esaù e gli chiede: «Tu sei proprio mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono» (Gen. 27, 24). Il padre lo benedì. Chiaramente il personaggio che mente per eccellenza è Giuda, la sua menzogna viene considerata il peccato più grave che ha toccato l’umanità dopo il peccato originale, non a caso Dante nella Divina Commedia36 lo colloca alla fine dell’inferno, più precisamente nell’ “infernal burella”, qui il Maligno lo stritola tra le sue fauci. Ora però terminerei questo excursus della bugia nella Sacra Scrittura con la figura di Gesù. Egli è: «la via, la verità e la vita» (Gv. 14, 6), e nella Prima Lettera di Pietro l’apostolo afferma che: «egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca» (1 Pt. 2,22). È proprio Pietro colui che rinnegò il Signore per tre volte, pentendosene poi amaramente. Il nesso tra Gesù e verità è ancor più esplicita quando il Messia risponde alle domande di Pilato dicendo: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità» (Gv. 18,38). Il legame Gesù-ἀλήϑεια si oppone a quello Satana-menzogna, Gesù definisce il diavolo: «egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità» (Gv. 8, 44-46). 36 Alighieri Dante, La Divina Commedia, Garzanti, Milano, 1987. 25 2.3. ULISSE Potremmo paragonare la figura di Ulisse, l’eroe acheo narrato da Omero nell’Iliade e nell’Odissea, a quella del tipico uomo bugiardo occidentale dei giorni nostri. Prima di motivare questa analogia dobbiamo delineare la figura ingannevole di Ulisse, partendo proprio dall’inganno, che diventa sempre più complesso nel passaggio dall’Iliade all’Odissea. In quest’ultima possiamo notare come avvenga una vera e propria formazione della coscienza. L’Iliade, che risale al cosiddetto periodo geometrico maturo, intorno all’ottavo secolo a.C., vede i propri elementi concatenati in sequenze temporali e narrative ben definite e lo stesso vale per i protagonisti. Achille, l’eroe del poema, rispecchia pienamente il combattente forte, onesto, vero, colui che agisce dominato dagli istinti primordiali, ispirati dall’ira. È un personaggio frontale. L’Odissea al contrario viene collocata in un’epoca successiva quando il mondo acheo ormai era declinante e quando i primi greci si accingevano a colonizzare ed esplorare l'ignoto Mediterraneo, siamo nel settimo secolo e più precisamente nel periodo che per l’arte figurativa viene definito orientalizzante. Nell’arte orientalizzante vi sono i nodi, le curve, gli intrecci, i grovigli, e così anche l’uomo diventa curvilineo. La mente di Ulisse è obliqua e arrotondata, egli non prende di petto la realtà ma la abbraccia, la aggira, cerca di raggiungere il suo scopo per via indiretta. Odisseo è dotato di un ingegno e di una μήτισ, l’intelligenza intuitiva, che rendono il suo sguardo obliquo ed è così un maestro nel mentire. Nell’Odissea viene definito πολφτροποσ (ricco di risorse, adattabile), πολυμηχανόσ (ricco di stratagemmi), πολφτλασ (colui che sa tollerare i mali) e πολφμητισ (ingegnoso e saggio). Nella Dialettica dell’Illuminismo37 l’eroe viene visto come colui che sfida le forze naturali e divine e va oltre, trovandosi sempre a combattere contro potenze molto più forti fisicamente ma non intellettualmente. Ulisse è dotato di una dialettica che incanta, inganna e sovrasta la forza fisica; inoltre riesce a contenere gli impulsi interni e di fronte al pericolo soppesa le diverse possibilità prima di agire, ha controllo e padronanza di sé. Non inganna solo con le parole ma anche con gesti, travestimenti, modi di fare e di agire. Se intrappolato nella caverna con il ciclope vi fosse stato Achille, avrebbe immediatamente ucciso il ciclope Polifemo grazie alla propria forza e tenacia 37 Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo, tr. it. di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 1966. 26 ma sarebbe rimasto intrappolato nella grotta morendo di fame insieme ai compagni, poiché nessuno oltre al ciclope sarebbe stato in grado di togliere l’enorme pietra che bloccava l’uscita. Ulisse sa anche prevedere le mosse dell’avversario e sa quando deve fermarsi, capendo quali sono i limiti del suo potere di autocontrollo, come nel famoso episodio delle Sirene: non vuole privarsi del loro canto ma sa che diventerebbe una loro vittima, per questo si fa legare all’albero della nave. Odisseo è il tipico anti-eroe. In prima istanza può sembrare che Ulisse menta per tornare a casa, architettando il cavallo di Troia e mettendo fine a dieci lunghi anni di guerra, o per salvare la propria vita e quella dei compagni durante il viaggio. In realtà, analizzando vari episodi, emerge che mente per piacere, ma non solo, al pari del bugiardo odierno, per avere sempre di più. Era proprio necessario prima di fuggire dall’isola rivelare la propria identità a Polifemo rischiando la vita, solo per far si che fosse testimone del suo trionfo? Ovviamente no, ma Odisseo non sopporta di essere Nessuno; è talmente dipendente dalla bugia che non si ferma nemmeno di fronte al buon Eumeo, al padre Laerte e alla povera e paziente Penelope. Egli è ἄπληςτοσ (incolmabile, insaziabile), la sua anima desidera sempre di più, è dotato di un’avidità e di una ὕβρισ (tracotanza) che lo porterà oltre le Colonne d’Ercole: alla morte. Per l’appunto Dante lo colloca nel XXVI canto dell’Inferno, nella bolgia dei consiglieri di frodi a causa degli inganni perpetrati. Qui viene narrata anche la sua morte, avvenuta per aver avuto la smania di superare i limiti della conoscenza umana; egli con le sue menzogne ha provocato dolore e sofferenza ma ha anche portato all’eccesso le sue virtù. La sua follia, che possiamo spesso riscontrare anche nella nostra società, è proprio quella di essersi dimenticato di essere una semplice creatura. 2.4. ANIMALI E BUGIE Per il filosofo Plutarco di Cheronea (ca. 46 – 127), gli animali non possono mentire, le bugie appartengono esclusivamente agli uomini; se inorridiamo quando subiscono violenza non è per sensibilità, ma perché sappiamo che il male viene fatto nei confronti di qualcuno che a sua volta non lo farebbe, che agisce per istinto, per difesa o necessità.38 38 Ne sono un esempio i topi da laboratorio, se essi capiscono che la leva da loro toccata provoca dolore nei loro simili, evitano di premerla, anche se questo significa non mangiare. Ad Auschwitz un gran numero di pastori tedeschi delle SS sono stati soppressi perché si rifiutavano di mordere e aggredire i prigionieri. 27 Nel Dialogo Le virtù degli animali39 Plutarco riformula l’episodio dell’Odissea, in cui la Maga Circe trasforma i compagni di Ulisse in animali differenti a seconda del loro carattere: la donna dà la possibilità all’eroe di salvarli permettendogli di parlare con uno di loro (Grillo) a cui, per l’occasione, viene data la parola. Solo se Ulisse, grazie alla sua dialettica, riuscirà a convincere gli animali a chiedere alla maga la libertà, potranno tornare uomini. Ulisse dialoga con Grillo ma quest’ultimo vuole restare animale, offende Odisseo e la sua tracotanza, il suo non vedere la razionalità e la saggezza posseduta dagli animali: sono proprio le loro naturali inclinazioni che li guidano già verso ciò che è giusto. Essi utilizzano le strategie di sopravvivenza e non eccedono, si attengono all’equilibrio naturale che è stato loro donato. L’animale è sincero proprio perché non pecca di ὕβρισ. L’uomo al contrario non è mai appagato e questo voler avere di più, fa sì che egli propenda verso la menzogna e l’inganno, proprio perché sono questi i mezzi che gli consentono di andare oltre, ma sono anche la sua condanna. 2.5. GLI INGANNI DI PROMETEO Gli uomini sono dotati di grande intelligenza e nei secoli hanno raggiunto ormai un completo dominio sul mondo circostante. Oggigiorno sono spesso sotto accusa la scienza e la tecnica ed il loro sviluppo ha contribuito a trovare soluzioni ad innumerevoli problemi, ma si è spinto anche troppo oltre creando nuovi bisogni. Proprio nel mito di Prometeo incontriamo il legame esistente tra δόλοσ e τζχνη. Nelle favole di Esopo, Igino e Fedro si delinea il nesso tra l’originaria dotazione antropologica fornita da Prometeo all’uomo e la sua predisposizione naturale all’inganno e alla menzogna. Il nome “Prometeo” deriva da Προμηθεφσ , “colui che pensa prima”. Secondo la tradizione più accreditata, è figlio del titano Giapeto e della ninfa Climene, ma ci sono diverse interpretazioni a proposito. Egli ha in sé una duplice natura: è il mediatore tra mondo umano e mondo divino, l’amico degli uomini (pur essendo figlio di un Titano) il protettore dell’artigianato, il demiurgo. Ma, nel contempo, è l’antagonista degli dei, il ribelle, l’imbroglione. Pur appartenendo ai ribelli Titani, Prometeo si schiera dalla parte di Zeus ma prova anche una forte amicizia nei confronti degli uomini: quando suo fratello Epimeteo, “colui che pensa dopo”, riceve da Atena e dagli altri dei un numero limitato di "buone qualità" da distribuire saggiamente fra tutti gli esseri viventi, le dona agli animali dimenticandosi degli uomini, ma 39 Plutarco, Le virtù degli animali, Marsilio, Roma, 1995. 28 Prometeo rimedia, rubando dalla casa di Atena uno scrigno in cui erano riposte l'intelligenza e la memoria donandole quindi alla specie umana. Zeus però non è per nulla favorevole al genere umano, così decide di distruggerlo: non approva la benevolenza di Prometeo per le sue creature e considera i doni del titano troppo pericolosi, perché gli uomini in tal modo avrebbero la possibilità di diventare sempre più potenti e capaci. La goccia che fa traboccare il vaso è l’episodio in cui durante un sacrificio agli dei, nella piazza di Mecone, gli uomini si incontrano e decidono di spartirsi di comune accordo gli animali immolati. Prometeo, convocato in qualità di arbitro per stabilire quali parti di un toro sacrificato spettano agli dei e quali agli uomini, squarta l'animale tagliandolo in due parti. Agli uomini dà i pezzi di carne migliori, nascondendoli però sotto la disgustosa pelle del ventre del toro, mentre agli dei riserva solo le ossa che cela in un lucido strato di grasso: «Infatti, quando la loro contesa dirimevano dei e uomini mortali a Mecone, allora un grande bue, con animo consapevole, spartì, dopo averlo diviso, volendo ingannare la mente di Zeus; da una parte, infatti, carne e interiora ricche di grasso pose in una pelle, nascoste nel ventre del bue, dall’altra ossa bianche di bue, per perfido inganno, con arte disposte, nascose nel bianco grasso» (Teogonia, VV. 535-542). Quando Zeus scopre l’inganno, si infuria e lancia su tutti una terribile maledizione: da quel momento gli uomini devono sacrificare agli dei offrendo loro le parti immangiabili dell'animale sacrificato, consumandone le carni, ma i mangiatori di carne diventano per questo mortali mentre gli dei restano i soli immortali. Infine, il padre degli dei, toglie il fuoco agli uomini e lo nasconde. Prometeo decide di riportare il fuoco agli uomini ma a riguardo vi sono diverse versioni: • Prometeo si reca da Atena affinché lo faccia entrare di notte nell'Olimpo; una volta lì, accende una torcia dal carro del Sole e si dilegua senza che nessuno lo veda; • Prometeo ritrova il fuoco nella fucina di Efesto, ne ruba qualche favilla e, incurante delle conseguenze, lo riporta agli uomini. Zeus di conseguenza ordina ad Efesto di costruire una donna bellissima, di nome Pandora, la prima del genere umano, alla quale gli dei del vento infusero lo spirito vitale e tutte le dee dell'Olimpo la dotarono di doni meravigliosi. Zeus la invia da Epimeteo per punire la razza umana, alla quale Prometeo ha dato il fuoco divino. Epimeteo, avvertito dal fratello di non accettare regali da Zeus, la respinge. Il padre degli dei a questo punto fa incatenare Prometeo, nudo, con lacci d'acciaio nella zona più alta e più esposta alle intemperie del Caucaso; gli viene inoltre conficcata una colonna nel corpo. Invia poi un'aquila perché gli squarci il petto e gli 29 dilani il fegato, che gli ricresce durante la notte, giurando di non staccare mai Prometeo dalla roccia. Epimeteo, dispiaciuto per la sorte del fratello, si rassegna a sposare Pandora, ma essa apre per curiosità un vaso che Epimeteo tiene gelosamente custodito, nel quale Prometeo aveva chiuso tutti i mali che potessero tormentare l'uomo: la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte. Essi escono e immediatamente si spargono tra gli uomini; solo la speranza, rimasta nel vaso tardivamente richiuso, da quel giorno continua a sostenere gli uomini anche nei momenti di maggior scoraggiamento. Nella Teogonia40 Prometeo assolve a tre funzioni fondamentali: • Inventa il sacrificio ( mito con funzione eziologica); • Per punirlo delle sue azioni gli dei plasmano la prima donna, Pandora, causa della diffusione dei mali nel mondo; • Dona agli uomini il fuoco. Prometeo, quindi, appare come il vero fondatore della cultura umana, poiché consente l’esistenza delle tre funzioni fondamentali su cui si fonda la società: la cultura materiale, la famiglia, il sacrificio. Prometeo è il simbolo di una condizione umana: la dissociazione esistente fra l’apparenza di ciò che si lascia vedere e udire e la realtà. Questa è la condizione umana così come Zeus l’ha lentamente macchinata in risposta alle astuzie di Prometeo. 40 Esiodo, Teogonia, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 1984. 30 Capitolo 3 FILOSOFIA DELLA BUGIA 3.1. FILOSOFIA E MENZOGNA 3.1.2. Socrate, Platone, Aristotele «Il filosofo non accetta mai e in nessun modo di mentire consapevolmente: è la cosa che più detesta, poiché è amico della verità»41. Queste parole sono contenute nella Repubblica di Platone e rappresentano pienamente il rapporto tra il φιλόςοφοσ (filosofo) e la ςοφία (sapienza); quest’ultima è ciò che esiste di più vicino all’ ἀλήϑεια (verità). Il filosofo è quindi contrario allo ψεῦδοσ (menzogna). La filosofia occidentale nasce con il processo che porterà alla condanna e alla successiva morte Socrate. Egli è stato condannato dalla sua πόλισ, dai suoi cittadini che lo hanno giudicato falso, lo hanno accusato di utilizzare l’inganno per persuadere gli interlocutori. Socrate considera queste calunnie una vera vergogna poiché si è sempre servito della παρρηςία (libertà di parola) per indicare la verità al prossimo, essendo sincero fino in fondo. Il protagonista del mito della caverna di Platone incarna proprio Socrate che, dopo aver conosciuto la verità, torna per aprire gli occhi ai suoi compagni, rischiando la vita. Il filosofo avrebbe potuto fuggire evitando la morte ma ha scelto di non farlo per non cadere in contraddizione: non è sufficiente dire la verità, bisogna metterla in pratica. Egli ha così dimostrato che la verità ha a che fare con la vita: esse coincidono, sono strettamente correlate, e la messa in gioco della propria vita funge da garanzia. Inoltre l’esercizio della sincerità, il dire tutto, si collega anche con i rapporti sociali e con il potere. Socrate fa uso di una verità critica che gli permette di indurre l’interlocutore a rivedere la propria opinione, che fino a poco prima riteneva veritiera in assoluto. L’Ironia di Socrate viene erroneamente considerata una sorta di menzogna o dissimulazione, il termine εἰρωνεία infatti indica ipocrisia, falsità o finta ignoranza. In realtà l’ironia socratica ha tutt’altro significato: essa consiste nella pretesa del filosofo di mostrarsi ignorante in merito alle questioni da affrontare; questo fa sì che l'interlocutore sia costretto a giustificare 41 Platone, Repubblica VI, 485c 3-4, in Tutte le opere, A cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000. 31 dettagliatamente la propria posizione (il che lo conduce spesso a trovarsi di fronte all’infondatezza della propria tesi). L'interlocutore viene condotto a trovare da solo le risposte alle proprie domande piuttosto che affidarsi ad una autorità intellettuale in grado di offrire risposte preconfezionate. Così facendo il filosofo eleva l’ironia a metodo dialettico. Platone rifletterà costantemente sulle cause che avevano portato alla morte il maestro e proprio nei dialoghi mette in luce come non sempre si possa dire tutta la verità, è necessario a volte adottare un’altra strategia. Egli definisce la bugia nel Sofista (260 c 3-4) affermando che: «“il falso che si genera nei discorsi” deriva dal falso che si genera nel pensiero, ed entrambi derivano dal “pensare o dire ciò che non è”».42 Platone infatti cerca la causa della menzogna nelle cose stesse, che quando non sono e sono dette essere, generano la bugia. L’allievo di Socrate sarà proprio colui che introdurrà la dottrina della “nobile menzogna”. Nel secondo libro della Repubblica il filosofo critica fortemente le “favole menzognere” di Omero, Esiodo e altri poeti, spiegando che è giusto biasimare la menzogna se questa viene esibita in modo maldestro e non è simile alla realtà, il poeta invece è colui che «inventa malamente grandissima menzogna nei confronti di grandissimi dei» (Repubblica II, 382 a 1-2). Successivamente afferma che gli dei non mentono e che la menzogna è universalmente detestata sia dagli dei che dagli uomini; presenta anche una distinzione netta tra la vera menzogna e quella finta, espressa soltanto con le parole. La prima è l’ignoranza mentre la seconda è un’imitazione dell’affezione dell’anima: «Ma allora si può appunto chiamare, come dicevo, veramente una menzogna l’ignoranza che è nell’anima di chi è ingannato: perché quella che è nei discorsi è solo una imitazione dell’affezione che è nell’anima, una parvenza venuta ad essere successivamente, e non menzogna schietta» (Repubblica II 382a-b). Mentre la vera menzogna è sempre intollerabile, quella verbale può essere utile all’uomo ed essere così paragonata ad una medicina. Nel terzo libro della Repubblica Platone introduce quindi il concetto di “nobile menzogna”, spiegando che la bugia come ϕάρμακον43, non può essere affidata a chiunque: «Spetta dunque ai governanti, se mai qualcuno ne ha il diritto, mentire per ingannare i nemici o i concittadini nell'interesse della città, mentre tutti gli altri non devono fare ricorso a un simile espediente; ma diremo che per un cittadino privato mentire ai governanti è colpa uguale o anche maggiore di quella di un ammalato o di un atleta che non denunci al medico o al maestro la verità sulla propria condizione fisica, o del marinaio 42 Bettetini Maria, Breve storia della bugia, Da Ulisse a Pinocchio, Raffaello Cortini Editore, Milano, 2001, p. 6. 43 Pharmakon, in greco, è una parola ambigua, che può designare sia un veleno sia una medicina. 32 che non riferisca al timoniere sullo stato effettivo della nave e dell'equipaggio, ossia qual è la condotta sua e dei compagni di navigazione».44 Platone mette in luce come vi sia un’incompatibilità strutturale tra filosofia e menzogna: la prima è caratterizzata dalla ricerca della verità mentre la seconda dal “voler aver di più”. Vi è quindi una contraddizione insanabile tra le due, il binomio possesso-menzogna si oppone a quello verità-filosofia. Se basiamo la nostra vita sul possesso e sul voler sempre di più e quindi il nulla, rimaniamo vittime di un’illusione costante che ci oscura la via della verità. Nell’Ippia Minore45 Platone sostiene che una menzogna detta involontariamente è peggio di una vera e propria, detta intenzionalmente. È proprio il riconoscere il vero rispetto al falso che fa la differenza: solo se si possiede la verità si è capaci di ingannare. Mentitore é chi sa e può mentire. Quindi gli incapaci e gli ignoranti, stando così le cose, non possono mentire. Nel dialogo Socrate arriva a dimostrare ad Ippia, che é convinto che ci sia una distinzione nettissima tra chi mente e chi non mente, che a mentire e a dire il vero possono essere la stessa persona. Aristotele riprende il discorso dell’Ippia Minore di Platone e precisa nella Metafisica46 che chi è in grado di dire il falso, perché conosce il vero, non è insieme “veridico e falso” come suggeriva Socrate me è “colui che sa” ed è “sapiente”. Nel quinto libro della Metafisica il filosofo spiega che «falso si dice, in primo luogo, di una cosa falsa» (Metafisica V, 29, 1024 b 17-18) e questa falsità oggettiva si ottiene quando vengono unite delle cose che non possono essere unite, per esempio dire che un vaso è pieno se in realtà è vuoto. Vi sono poi degli oggetti come le pitture in prospettiva o i sogni, che si dicono falsi perché esistono «ma per loro natura sono tali da apparire non quali sono e non ciò che sono» (Metafisica V, 29, 1024 b 22-23). Infine esiste poi la “nozione falsa” ovvero nozioni che si riferiscono ad una cosa diversa rispetto a quella di cui sono la nozione reale. Per quanto riguarda l’uomo invece, «si dice falso un uomo che volentieri e di proposito fa discorsi falsi, non per altra ragione, ma proprio per dire il falso; oppure un uomo che fa sorgere in altri nozioni false, così come diciamo che sono false le cose che producono immagine falsa» (Metafisica V, 29, 1025 a 1-6). Egli quindi considera il bugiardo come colui che dice il falso volontariamente, sapendo che è falso e generando nel prossimo “nozioni false”. 44 Platone, La Repubblica, Mondadori, Milano, 2008, p. 137. Platone, Tutte le opere, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000. 46 Aristotele, La Metafisica, a cura di Mario Vegetti, La Nuova Italia, Firenze, 1975. 45 33 Anche Aristotele, come Socrate, pone la menzogna e la veridicità in un discorso che si inserisce nella vita ed ha uno stretto contatto con essa. Nel quarto libro dell’Etica Nicomachea47 spiega che vi sono agli estremi il millantatore, colui che mostra ciò che non è, e l’ironico, colui che nega i propri meriti o li diminuisce; nel mezzo invece abbiamo l’uomo sincero, che si presenta come è in verità. Quest’ultimo rappresenta l’uomo giusto, onesto. La sincerità è prima di tutto il dire la verità su se stessi, è una virtù. Vi sono due specie di millantatori che corrispondono a loro volta a due specie di bugiardi: il primo ama la menzogna in sé, l’altro desidera fama o guadagno, il primo tipo rappresenta il “bugiardo cronico”, mentre il secondo incarna colui che vuole avere sempre di più. Riaffiora quindi il tema dell’avere di più dell’uomo che desidera talmente tante cose da finire per perdersi nel nulla. La soluzione antica sarà quella di contrapporre l’illimitato dell’avere al limite dell’essere, tesi che troverà un completamento effettivo nella posizione del saggio stoico. La menzogna è un grave problema anche a livello sociale ed “è inevitabile che prima o poi da un falso bene si origini un vero male”; secondo Aristotele infatti l’individuo in realtà ha ben poca scelta, egli non deciderà di essere bugiardo in base alla verità delle cose ma secondo l’atteggiamento morale che la πόλισ e la παιδεία (istruzione) hanno avuto nei suoi confronti. 3.1.3. Agostino, Tommaso d’Aquino Agostino dedicò alla menzogna due scritti specifici: il De Mendacio48 (395 d.C.) e il Contra mendacium (420 d.C.). Nel De mendacio scrive che non è la “rerum ipsarum veritas aut falsitas”, ma la “animi sententia” a decretare ciò che è menzogna. La menzogna appartiene a noi mentre la verità è propria di Dio. Se l’uomo vive in corrispondenza con Dio invece che con se stesso, significa che vive in conformità con la verità, ma se, al contrario, basa la propria esistenza su di sè, allora vivrà in armonia con la menzogna. La bugia è il peccato. Quest’ultimo infatti si commette per avere un bene o allontanare un male, ma questi sforzi generano il risultato opposto, quindi è menzogna. Per Agostino la bugia è un problema etico, logico, ermeneutico ma soprattutto è la fonte ontologica di tutti i problemi. Egli compone il De mendacio per motivi pastorali, apologetici ed esegetici. Per quanto riguarda questi ultimi, in relazione al fatto che le menzogne della Bibbia ( Antico Testamento) fossero vere o potessero essere considerate in un altro modo, il filosofo 47 48 Aristotele, Etica Nicomachea, Laterza, Bari, 1988. Agostino, De mendacio, tr. it. di M. Bettetini, Bompiani, Milano, 2001. 34 risponde che si tratta di metafore ed allegorie, sono delle rappresentazioni figurali e come tali vanno intese. Inoltre spesso dimostrano come pur errando sia possibile ritornare sui propri passi e continuare a perseguire la retta via. Dall’opera di Agostino sopra citata possiamo individuare i tre punti fondamentali della sua teoria: 1. la menzogna coincide con l’intenzione di dire il falso; 2. è meglio sbagliarsi che mentire49; 3. chi mente fa ingiustizia perché pretende dall’altro quella fede che lui non intende mantenere; 4. non esiste bugia utile dal momento che la menzogna è un’ingiustizia. Agostino rievoca l’immagine di una caverna (che ricorda quella di Platone o del protobugiardo di Wilde), questo perché la bugia è un antro oscuro che si insinua in cunicoli cavernosi fuggendo chi tenta di arrivare alla verità. È importante però sottolineare che non tutti quelli che dicono il falso mentono, ma mente chi pensa una cosa e con le parole o con altri mezzi di espressione afferma qualcosa di diverso. Ciò che può permetterci di definire una menzogna è l’intenzionalità dell’animo: «Chi spaccia il falso per vero e tuttavia ritiene d’esser nel vero, può esser definito persona colpevole d’errore e incauta; a torto lo si dirà mentitore, poiché in ciò che afferma non v’è doppiezza di cuore e volontà d’inganno: semplicemente egli si sbaglia. Il bugiardo invece si propone d’ingannare nel dar voce ai suoi pensieri ed è questa la sua colpa».50 Gli autori preagostiniani nella valutazione della menzogna utilizzavano uno schema diadico basato sulla struttura mente-parola, per indicare colui che ha in mente la verità e pronuncia la menzogna, senza tener conto di chi involontariamente sbaglia, avendo la menzogna sia nella mente che nella parola. Le tabelle sottostanti 51 mostrano il passaggio dallo schema diadico a quello triadico di S. Agostino, proprio di una struttura mente-volontà-parola. 49 È il rovesciamento della posizione socratica dell’Ippia Minore. 50 Agostino, De mendacio, 3. Tagliapietra Andrea, Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Mondadori, Milano, 2008, p. 257-258. 51 35 Possiamo notare nella tabella sovrastante come l’intenzione di chi comunica sia dunque decisiva per Agostino. Egli, sempre nel De Mendacio, propone una classificazione delle menzogne in ordine di gravità decrescente: 1. la menzogna religiosa (per indurre qualcuno all’apostasia); 2. la menzogna maligna attiva (per fare danno a qualcuno senza giovare a nessuno); 3. la menzogna maligna passiva (per godere dell’inganno e trarne giovamento); 4. la menzogna pura (per il solo piacere di ingannare); 5. la menzogna motivata dal desiderio di piacere (menzogna sociale, per ravvivare la conversazione); 6. la menzogna benevola innocente (per beneficiare qualcuno nei beni materiali senza danneggiare nessuno; 7. la menzogna necessaria per la vita (per salvare la vita a qualcuno sottraendolo dalle mani degli assassini); 8. la menzogna necessaria per la purezza(per salvare la castità di qualcuno preservandolo dall’immunditia corporalis). In questi otto generi di bugie “chi mente pecca tanto meno quanto più sale verso l’ottavo e tanto maggiormente quanto più scende verso il primo”. Agostino ammette l’opportunità di servirsi di una “onorevole, pietosa bugia” e ammonisce in merito ai pericoli veicolati dall’eccessivo amore per la verità e dall’esagerata ripulsione per il falso. Giudica sostanziale, infine, la differenza tra il mentiens (colui che mente) e il mendax (il bugiardo), poiché quest’ultimo ama mentire e si diverte quotidianamente dicendo bugie. Vi sono così tre categorie generali di menzogne che si accostano agli otto tipi sovraesposti: vi è la bugia malvagia, quella scherzosa e quella detta per bontà, per salvare la vita al prossimo. Nel Contra mendacium la posizione del vescovo di Ippona sembra divenire più radicale. Nella seconda parte della Summa Teologica52, Tommaso d’Aquino afferma che menzogna significa “esprimere con segni esterni il contrario della verità”, e per segni si intendono parole, gesti ed espressioni. Successivamente egli spiega che gli elementi della menzogna sono principalmente tre: 52 Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, Tr. It. A cura dello Studio Domenicano, ESD, Bologna, 1984. 36 1. la falsa enunciazione; 2. la volontà di enunciare il falso; 3. l’intenzione di ingannare. Per quanto riguarda la volontà di asserire il falso Tommaso afferma che: «L’intenzione di una volontà disordinata, può mirare a due cose distinte: la prima è l’enunciazione del falso; la seconda è l’effetto proprio di tale enunciazione, cioè l’inganno di qualcuno. Perciò se nell’atto concorrono queste tre cose: la falsità di quanto viene detto, la volontà di dire il falso, e finalmente l’intenzione di ingannare, allora avremo falsità materiale, perché vien detto il falso; falsità formale, per la volontà di dirlo; e falsità effettiva, per la volontà di ingannare. Tuttavia la ragione formale della menzogna si desume dalla falsità formale, cioè dall’intenzione di dichiarare il falso. Infatti il termine deriva dal fatto che è una cosa “contro la mente”»53. Il filosofo distingue inoltre la menzogna di millanteria, quella ironica e la suddivide in base alla gravità della colpa: 1. menzogna ufficiosa (detta per giovare a qualcuno); 2. menzogna giocosa (pronunciata per divertimento); 3. menzogna dannosa (utilizzata per fare del male al prossimo). Tommaso riprende inoltre gli otto tipi di bugia contenuti nel De mendacio di Agostino, e li pone in ordine di fine: 1. menzogna contro Dio; 2. menzogna contro il prossimo senza giovare ad un altro; dannose 3. menzogna contro il prossimo giovando ad un altro; 4. menzogna detta per il piacere di mentire; 5. menzogna detta per divertire gli altri; 6. menzogna per giovare a qualcuno riguardo ai beni esterni; meno gravi 7. menzogna per salvare la vita di un uomo; 8. menzogna per salvaguardare l’onestà e la virtù54. La bugia è sempre peccato poiché la parola viene utilizzata contrariamente al fine per cui ci è stata donata dal Creatore. 53 54 Tommaso d’Aquino, op. cit. pp. 148-149. Essa ci permette di evitare i peccati carnali. 37 3.1.4. La ripresa della menzogna nella filosofia moderna In questo paragrafo vorrei concentrami sui filosofi moderni e sul loro modo di vedere la menzogna, partendo proprio dall’antesignano filosofo ideale degli illuministi: Michel de Montaigne. La sua riflessione sulla bugia si concentra nei due Essais: Dei Bugiardi e Del mentire. Nel primo afferma che chi non ha la memoria sufficientemente forte non dovrebbe cimentarsi nell’arte della menzogna, poiché mentire implica difficoltà: la bugia va studiata, memorizzata e soprattutto non va mai dimenticata. Nel caso in cui qualcuno dovesse scoprire l’inganno prendendoci alla sprovvista, dopo averci domandato informazioni sul nostro racconto inventato (che noi non ricordiamo più), ci etichetterebbe come bugiardo e verremmo condannati a non essere creduti nemmeno quando siamo sinceri. Il filosofo considera la falsità come un orribile vizio, poiché gli uomini sono legati tra loro per mezzo della parola. Nel caso in cui quest’ultima fosse falsa, la pubblica società verrebbe tradita: ogni nostro scambio sarebbe distrutto e tutti i vincoli dissolti. Questa erronea inclinazione nasce da bambino e crescendo diventa sempre più incontrollabile, tanto da arrivare a mentire inutilmente. Montaigne spiega come la bugia sia tanto dannosa per la comunicazione da rendere gli uomini estranei gli uni agli altri, tanto da arrivare ad affermare che un cane sarebbe di miglior compagnia per l’uomo rispetto ad un proprio simile. «La bugia è l’esatto contrario di quel lavoro di unificazione di sé che l’“io” di Montaigne intende perseguire attraverso l’intermittenza della scrittura che ne saggia, di volta in volta, la sincerità. *…+ Per essere autentico l’“io” dell’uomo moderno entra in conflitto con l’universale dissimulazione che scorge negli altri e che dagli altri gli viene imposta nelle politiche dalla cortesia, nelle convenienze dalla vita sociale». 55 Lo stesso Montesquieu considererà la menzogna nemica del progresso dell’umanità, chi mente ostacola il processo che è proprio della società umana ed è voluto da Dio. La società deve essere trasparente, solo così potrà migliorare. Il vero problema è che l’uomo sincero è colui che viene emarginato, non piace. Questo perché la verità è amara, spesso fa male, è umiliante e ferisce. Secondo Montaigne la parola menzognera è come la falsa moneta. Il termine moneta viene utilizzato in ogni caso, falsa o vera che sia: ogni bugia è differente dall’altra, vi sono quelle cattive e quelle necessarie, ma sempre di menzogna si tratta. Anche Bacone negli Essays riprenderà il tema della moneta: egli paragona la verità ad una perla, ma aggiunge anche che nelle mani del mercante, la falsa moneta della menzogna, fa sì 55 Tagliapietra Andrea, op. cit., p. 295. 38 che quest’ultima sia preziosa quanto un diamante o un rubino, di gran lunga più appetibili di una perla. Nel primo degli Essays, Della verità, Bacone espone il problema della bugia spiegando che essa vince sulla verità, non solo perché quest’ultima sia spesso dolorosa da affrontare ma anche, e soprattutto, per amore della menzogna stessa, perché è più appetibile il fascino della maschera rispetto alla nuda verità di un volto sinceramente esposto e quindi troppo vulnerabile. La verità è il vero bene supremo dell’uomo che si scontra però con i suoi interessi materiali; la falsità «è come la lega in una moneta d’oro e d’argento, che può far lavorare meglio il metallo, ma lo svilisce».56 Qui, nel primo degli Essays, Bacone immagina un “colle”, dove il filosofo, che possiede la verità, osserva dall’alto il mondo che è ai suoi piedi, con gli errori, le questioni civili, la falsità; nel sesto invece, Della simulazione e dissimulazione, Bacone scende dal “colle” e spiega come toccando con mano la dissimulazione, emerge che essa non è altro che un sottogenere della politica o della saggezza «poichè sapere quando dire la verità e dirla, richiede tagliente arguzia e altrettanto forte coraggio; pertanto i politici più deboli sono grandi dissimulatori»,57infatti la dissimulazione serve per coprire le debolezze legate alla forza e alla comprensione. I grandi uomini del passato erano ricchi di fama e di attendibilità, ma ora la “nobile menzogna” di Platone diventa sempre meno nobile. Inoltre il filosofo indica tre stadi per mascherarsi: il primo consiste nel non lasciarsi osservare per ciò che si è; in secondo luogo abbiamo la dissimulazione: offrire falsi indizi per camuffare il nostro “io”, ed infine si finge di essere qualcosa che in realtà non si è. Bacone conclude affermando che la dissimulazione ha tre vantaggi e tre svantaggi, i primi sono: 1. assopire l’opposizione e sorprenderla; 2. riservarsi una corretta ritirata; 3. scoprire meglio il pensiero altrui; mentre gli svantaggi… 1. non disgiunge la maschera dal timore che spesso inibisce; 2. disorienta e confonde le idee di chi comunque starebbe dalla nostra parte; 3. ci priva del credito e della fiducia. Vorrei ora soffermarmi su Cartesio e sul fatto che la menzogna per lui deve confrontarsi con la verità, intesa come certezza che alberga nella coscienza. Si desidera la verità tanto quanto la menzogna. Egli nella quarta delle Meditazioni Metafisiche,58 quella Del vero e del falso, deve 56 Tagliapietra Andrea, op. cit., p. 299 (Tagliapietra cita Bacone Essays I). Tagliapietra Andrea, op. cit., p. 302 (Tagliapietra cita Bacone Essays VI). 58 Descartes, Meditazioni Metafisiche, Laterza, Bari, 2007. 57 39 attribuire la certezza del cogito alla garanzia divina: «Per cominciare, dunque, riconosco che non può accadere che Dio mi inganni mai; che in ogni frode o inganno si trova un qualche genere di imperfezione. È vero infatti che essere in grado di ingannare sembra un indizio di acutezza o di potenza; ma volere ingannare attesta indubbiamente o malizia o debolezza, e quindi non si dà in Dio. In secondo luogo, constato che in me c’è una facoltà di giudicare che di certo ho ricevuto da Dio, al pari di tutto il resto che è in me. E allora, appunto egli non mi vuole ingannare, di certo non mi ha dato una facoltà di giudicare tale che possa darsi che io erri finché ne faccio uso corretto».59 Detto ciò ingannare non significa possedere ma voler avere di più, concetto che abbiamo incontrato più volte nel corso di questa tesi. Dopo aver avuto la certezza di Dio e del Cogito, si pone il problema della carenza della facoltà di conoscere dell’uomo e dell’errore. Noi sbagliamo perché applichiamo la volontà in misura maggiore rispetto all’intelletto. L’errore e la falsità albergano nelle opinioni degli uomini e non in Dio, semplicemente perché essi vogliono giudicare anche quando non sono in grado di farlo: «Per Cartesio ogni errore è, quindi, una sorta di autoinganno in cui la volontà vuole ciò che l’intelletto non ha *…+ la verità diviene, così, una sorta di esercizio di misura e di contenimento, in cui si vuole solo ciò che si può volere, perché l’intelletto già ne dispone e le passioni sono state messe a tacere. La certezza della verità è di non andare oltre, è non avventurarsi, è rimanere al sicuro vicino alla stufa dell’intelletto».60 Cartesio ci presenta un soggetto che è sicuro di sé, della sua verità, ma non può avere la certezza degli altri e del mondo. Rousseau, il filosofo illuminista che non teme la verità, nel prologo delle Confessioni scrive di se stesso: «Ecco il solo ritratto d'uomo, dipinto esattamente al naturale e assolutamente fedele al vero, che esiste e che mai probabilmente esisterà».61 Noi abbiamo il dovere di manifestare la verità, è possibile tacere la realtà ma non è consentito distorcerla. Egli accetta la definizione agostiniana della menzogna ma specifica che: «Dire il falso non significa mentire, se non quando vi è l’intenzione di ingannare; e l’intenzione stessa di ingannare, lungi dall’esser sempre congiunta a quella di nuocere, ha talvolta uno scopo del tutto opposto. Ma per rendere innocente una menzogna non basta che l’intenzione di nuocere non vi sia espressa, occorre anche la certezza che l’errore in cui gli interlocutori vengono fatti cadere non possa nuocer loro né altrui in alcun modo».62 Successivamente distingue: 59 60 61 62 Descartes, op. cit., p. 89. Tagliapietra Andrea, op. cit., p. 317. Rousseau Jean -Jacques, Le Confessioni, Garzanti, Milano, 2006. Tagliapietra Andrea, op. cit., p. 346 (Tagliapietra cita Rousseau Rêveries IV). 40 1. l’impostura come il mentire a proprio vantaggio; 2. la frode, come il mentire a vantaggio di terzi; 3. la calunnia, che è la peggiore, il mentire per nuocere all’altro. Terminerei questo breve excursus di alcuni filosofi moderni con Kant, il discorso che lo riguarda però, è nettamente più ampio e me ne occuperò più dettagliatamente nel paragrafo successivo. 3.1.5. Kant, Hegel Il filosofo di Kӧnigsberg si oppone rigorosamente alla menzogna, tanto da non ammettere nemmeno le bugie necessarie o a fin di bene. Egli ammette che la riservatezza e la discrezione sono virtù importanti, ma in nessun caso la bugia va tollerata, in nessuna sua forma eccetto la recitazione. Non è mai lecito mentire. Se anche colui a cui viene detta una menzogna fosse un uomo indegno della verità, commetterei un sopruso non verso di lui ma nei confronti dell’umanità. Non è possibile per Kant, come ho detto pocanzi, ammettere anche solo una piccola bugia necessaria, perché crollerebbe l’intero impianto etico, dando motivo al prossimo di agire a sua volta ingiustamente. Il filosofo definisce la menzogna: «La più grande violazione del dovere dell’uomo verso se stesso, considerato soltanto come essere morale, è l’opposto della veridicità, *…+ può essere esteriore oppure interiore. Con la prima ci si rende oggetto di disprezzo agli occhi degli altri, con la seconda, ed è ancora peggio, agli occhi propri e si ferisce la dignità umana nella propria persona»;63 egli considera quindi la menzogna come degrado e annientamento della dignità umana. Inoltre afferma che essa «come falsità deliberata in generale, non ha bisogno di essere dannosa agli altri per essere dichiarata riprovevole, perché in questo caso sarebbe una violazione dei diritti altrui».64 La posizione di Kant emerge chiaramente nella celebre controversia con Benjamin Constant, politico e amico di Madame de Staël. Constant polemizzò contro il dovere incondizionato di non mentire espresso da Kant; quest’ultimo a sua volta gli rispose con l’opuscolo: Su un preteso diritto di mentire per amore dell’umanità. Kant si domanda se è corretto tirarsi fuori dalla difficoltà con una falsa promessa rischiando che questo suo agire diventi una legge universale; afferma poi che noi desideriamo la menzogna ma non vorremmo autorizzare gli altri a mentire. Per Kant «Dire la verità è un dovere. Il concetto di dovere è inseparabile dal 63 64 Kant I., Costant B., E’ lecito mentire?, Archinto, Milano, 2009, p. 47. Ivi, p. 49. 41 concetto di diritto. Un dovere è ciò che in un essere corrisponde ai diritti di un altro. Là dove non ci sono diritti non ci sono doveri. Dire la verità è quindi un dovere, ma solo nei confronti di colui che ha un diritto alla verità. Nessun uomo, però, ha diritto ad una verità che nuoccia ad un altro».65 Successivamente chiarisce, sempre in replica a Constant, la differenza che intercorre tra verità e veridicità, affermando che «La veridicità *…+ è un dovere formale dell’uomo nei confronti di ogni altro uomo anche se a lui o ad un altro può derivarne un grave danno», in conclusione è chiaro che la menzogna «nuoce sempre a qualcuno, e se non ad un altro uomo, sempre e comunque all’umanità in generale, rendendo inutilizzabile la fonte del diritto».66 Constant attacca duramente il filosofo e la sua posizione affermando che: «Il principio morale che è un dovere dire la verità, inteso incondizionatamente e senza distinzione, renderebbe impossibile qualsiasi società. Ne abbiamo la prova nelle dirette conseguenze che un filosofo tedesco ha tratto da questo principio, arrivando ad affermare che mentire a degli assassini che ci domandassero se un nostro amico che stanno inseguendo è rifugiato in casa nostra, sarebbe un crimine».67 Kant, secondo il politico, non comprende che non è possibile separare il concetto di dovere da quello di diritto: dire la verità è un dovere verso coloro che hanno il diritto di saperla. In sintesi Kant annoda le linee della sincerità e dell’autenticità, egli vorrebbe coniugare il principio di non contraddizione alla sfera dell’agire quotidiano, questo però non è possibile se non solo formalmente. Secondo lui noi dovremmo dire sempre la verità, ma in realtà non tutto ciò che si ritiene vero poi risulta realmente vero: la veridicità si trasforma in una verità che in quell’istante a me sembra tale ma potrebbe non essere così. Il soggetto può discorrere di una cosa ma intenderne un’altra. Non è perciò possibile concepire l’autenticità come semplice e pura identità. Hegel stesso confuterà il filosofo di Kӧnigsberg. Innanzitutto dobbiamo capire che cosa intende Hegel per verità, e proprio Nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito68 egli afferma che: «Il vero è l’intiero. Ma l’intiero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Resultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto, o svolgimento 65 Ivi, p. 34. Ivi, pp. 34-35. 67 Ivi, p. 22. 68 Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze, 1973. 66 42 di se stesso»,69ciò significa che l’errore per Hegel è una verità parziale. La verità e la realtà hanno un andamento circolare, poiché si parte da un soggetto per ritornare ad esso, dopo aver capito che l’oggetto, che sembrava essere contro o indipendente da esso, non è altro che una “espressione” del soggetto stesso. La verità non è parziale, particolare. La verità sta nella comprensione dell’intero, della totalità, in cui le determinazioni particolari hanno senso. Nella sezione della Fenomenologia dello spirito dedicata alla “ragione legislatrice” afferma, a proposito del discorso fatto pocanzi riguardo alla tesi di Kant, che «in questo dovere enunciato come incondizionato viene subito messa la condizione: se egli sa la verità. Quindi il comando suonerà ora così: ognuno deve dire la verità sempre a seconda della cognizione e della persuasione che egli ne ha».70 Hegel sostiene quindi che ognuno debba dire la verità a seconda della propria persuasione e cognizione, sostenendo che «l’universalmente necessario, il valevole in sé, cui la proposizione voleva esprimere, si è piuttosto invertito in una completa accidentalità», cioè nella casualità con cui io ritengo, a seconda dei casi, di essere in grado di dire o no la verità. «Questa accidentalità del contenuto ha l’universalità soltanto in quella forma di proposizione nella quale essa viene espressa»71 e promette un contenuto che non è in grado di mantenere, e quindi contraddice se stessa. 3.1.6. Nietzsche Ho deciso di terminare il capitolo con Nietzsche, poiché ritengo molto interessante il percorso evolutivo della menzogna che emerge dai suoi scritti (pare che il suo pensiero in merito emerga già in alcuni scritti giovanili tra cui Verità e menzogna in senso extramorale).72 Il filosofo pone sotto il simbolo della menzogna tutte le forme culturali, i pensieri, le istituzioni ecc.. che non esprimono la volontà di potenza della vita. Quindi menzogna è tutto ciò che manipola e maschera la vita. Quest’ultima a sua volta però non può fare a meno di mascherarsi. Menzogna in senso extramorale vuol dire che il concetto morale di bugia racchiude in se il senso attivo e passivo della volontà di ingannare e di ingannarsi, ma va oltre il 69 Ivi, p. 15. Ivi, p. 350. 71 Ivi, p. 350-351. 72 Nietzsche Friedrich, Verità e menzogna. La visione dionisiaca del mondo. La filosofia nell'epoca tragica dei greci su verità e menzogna in senso extramorale, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2006. 70 43 campo delle relazioni umane. Il suo significato è conflittuale e implica lo sdoppiamento di ingannante e ingannato (ed anche dell’autoinganno), ad essa appartiene un intrinseco significato conflittuale. L’intelletto è finalizzato alla conservazione dell’individuo e pone le sue forze principali nella finzione, che a sua volta permette di evitare lo scontro con delle forze maggiori, ovvero le volontà di potenza contrapposte. Perciò chi utilizza la finzione è più debole di chi non la usa, perché è un meccanismo di difesa. La verità invece per Nietzsche è una sorta di patto fatto tra gli uomini e voluto dagli stessi per esistere in società come gregge. L’origine della verità sta nella volontà ma si desidera mentire e accordarsi, e le sue regole sono date dal linguaggio. L’uomo vuole la verità, la cerca, lotta per averla ma è indifferente difronte alla conoscenza pura. Inoltre anch’egli utilizza la metafora della falsa moneta rovesciandone però l’accezione tradizionale: paragona la verità ad una moneta così usurata da non permetterci di leggere nemmeno il valore nominale e quindi, viene scambiata come fosse una menzogna. Noi possediamo un forte impulso alla verità ma mentiamo a causa di una salda convinzione, come si conviene a molti. La “lode alla menzogna” di Nietzsche rappresenta un inno alla verità rovesciato, paragonabile addirittura alla bestemmia che, se pronunciata in modo consapevole, diventa un’invocazione nei confronti di un Dio più vero e più giusto. La verità verso gli altri è un sacrificio, mentre invece verso noi stessi diventa autoconservazione. Nella parte finale del pensiero di Nietzsche la menzogna viene considerata un supplemento di potenza che funge da nuovo concetto di verità. Quest’ultima è una forma di volontà, è il dire sì alla vita e ai suoi problemi più scuri e più gravi. 44 Capitolo 4 COME RICONOSCERE L’INGANNO «Se avete ragione di sospettare che una persona vi stia dicendo una menzogna, cercate di apparire come se credeste ad ogni parola che ha detto. Ciò gli darà il coraggio di continuare; diventerà più energico nelle sue affermazioni e finirà per tradirsi».73 Arthur Schopenhauer «Chi ha occhi per vedere e orecchi per udire può convincersi che nessun mortale può tenere un segreto. Se le sue labbra tacciono, parlerà con la punta delle dita; ciò che lo tradisce trasuda da tutti i pori».74 Sigmund Freud Secondo le statistiche si dicono in media tre bugie ogni dieci minuti di conversazione. Trattandosi di un dato preoccupante, ho deciso di iniziare questo nuovo capitolo con due citazioni che credo esprimano ciò che ognuno di noi avrà desiderato almeno una volta nella vita, capire se la persona che abbiamo di fronte menta o sia sincera. Questa è sicuramente una curiosità comune, che mi ha spinto a “interpellare” uno dei maggiori studiosi in campo di microespressioni ed emozioni: Paul Ekman. Egli, da semplice ricercatore accademico, è entrato a far parte della lista delle cento persone più influenti del mondo, apparsa sul Times Magazine 73 Paul Ekman, Telling lies. Clues to deceit in the marketplace, politics, and marriage, W.W. Norton & Company, New York, London, 1985 (trad. it I volti della menzogna, gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, Giunti, Prato, 2009²) p. 138. 74 Ivi, p. 206. 45 l’11 maggio 2009. Nato il 15 febbraio del 1934 a Washington (D.C.), sta tuttora dedicando la propria vita allo studio del comportamento non verbale ed alle sue funzioni comunicative. Il libro cui mi affiderò maggiormente per la stesura di questo capitolo s’intitola I volti della menzogna, gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali (P. Ekman 2009²), traduzione di Telling lies. Clues to deceit in the marketplace, politics, and marriage (P. Ekman 1985). Le relazioni e interazioni umane non dipendono solo da scambi verbali; è il nostro comportamento non verbale che permette di giudicare e di essere giudicati, di pensare delle cose ma di esprimerne altre. Solo in questi ultimi anni sono stati compiuti notevoli passi avanti nell’interpretazione della comunicazione non verbale, che in passato non aveva ricevuto l’attenzione che merita perché erano sempre stati messi in rilievo gli aspetti comunicativi verbali. Eppure i gesti non verbali sono parte integrante del nostro quotidiano, e noi crediamo di saper decodificare facilmente quelli più comuni, mentre pensiamo che gli altri siano casuali o che accedere ad essi sia impossibile. Non è così. Non a caso, quando incontriamo una persona, la prima impressione che abbiamo di lei proviene proprio dai suoi gesti, dai suoi movimenti, dal tono di voce e solo in seguito dalle parole. Ekman ha intrapreso un lungo e laborioso percorso che l’ha reso uno specialista nel riconoscere i comportamenti che indicano menzogna e dissimulazione, e a questo proposito il suo contributo è diventato indispensabile in innumerevoli campi, dalle relazioni umane alle indagini criminali. Per cogliere la vera essenza del suo lavoro è necessario andare oltre l’analisi della menzogna, considerando tutte le condizioni quotidiane in cui l’emittente utilizza delle strategie per tradurre le proprie intenzioni in messaggi che influenzano il destinatario. Per Ekman i segnali non verbali sono più credibili delle parole; quando viene suscitata un’emozione, si attiva un processo di espressione mimica in conformità a istruzioni codificate a livello neurale, che modulano le risposte a livello del comportamento osservabile. In tutto ciò interagiscono delle “regole di esibizione”che sono culturalmente determinate e dopo apprese. Esse sono intensificazione, attenuazione, neutralizzazione ma soprattutto dissimulazione e mascheramento. Prima di continuare dobbiamo fermarci un attimo e immaginare come sarebbe la nostra vita se tutti sapessero mentire alla perfezione o, al contrario, se nessuno potesse mentire affatto. Indubbiamente sarebbe inconsistente. Siamo tutti convinti che esista un nocciolo di verità emotiva, e che la maggior parte delle persone non possa o non voglia ingannarci sui propri sentimenti. È facile tradire con le idee ma non con le emozioni, se fosse semplice camuffare espressioni e gesti come siamo soliti fare con le parole, la nostra vita emotiva sarebbe molto più misera. Questo non vuole essere un elogio alla menzogna ma è 46 impossibile immaginare un mondo in cui non è possibile mentire, significherebbe trasformare il sorriso in un’espressione perfettamente attendibile, presente se c’è il piacere, assente se quest’ultimo non c’è, non potremmo nascondere i sentimenti che non vogliamo provare e nascondere quelli che segretamente proviamo. Sono assolutamente d’accordo con Ekman quando afferma che nessuno vorrebbe avere accanto a sé un marito, una moglie o un parente con la capacità di dissimulare le emozioni pari a un bambino di tre mesi. «Non siamo ne trasparenti come il lattante ne perfettamente camuffati. Possiamo mentire o essere sinceri, riconoscere le bugie o non vederle, essere ingannati o riuscire a difenderci. Abbiamo la possibilità di scelta, è questa la nostra natura»75, la verità è scritta sui nostri volti e purtroppo bisogna anche ammettere che verità e felicità spesso non vanno d’accordo. Il suo scopo nello scrivere questo testo è stato quello di riaffermare le proprie argomentazioni, mettendo in luce i pericoli legati a questa tematica, rivolgendosi non solo alle autorità governative, ma anche ad un pubblico molto più vasto. Questo pensiero è nato dopo aver invitato i funzionari del governo americano e di altri paesi ad utilizzare la ricerca scientifica sugli indizi comportamentali di menzogna con maggior cautela, soprattutto nell’ambito delle investigazioni criminali. Credo fermamente che questo lavoro possa essere utile per comprendere meglio anche molti rapporti umani. 4.1. I MENZOGNERI E LE LORO VITTIME. DUE BUGIARDI A CONFRONTO Nelle prime pagine dell’opera sopra citata, Ekman mostra come due situazioni apparentemente diverse fra loro siano in realtà analoghe. La prima riguarda la Seconda guerra mondiale. Il 12 marzo 1938 Hitler invade l’Austria, annettendola alla Germania. La Cecoslovacchia è la prossima vittima e questo significa che vi è la prospettiva di una guerra imminente nel futuro dell’Europa. Il 12 settembre 1938 il cancelliere del Reich mobilita segretamente le truppe per l’invasione, ma l’esercito non è ancora del tutto pronto, ha bisogno di guadagnare ancora un po’ di tempo. Il 15 settembre 1938, Neville Chamberlain, primo ministro inglese, incontra Hitler per la prima volta nella sua residenza estiva, sul confine austriaco, Berchtesgaden. Questo incontro porterà ad una delle firme più tragiche ed ironiche di tutta la storia. Hitler nasconde i suoi piani di guerra e Chamberlain cade nel tranello: il Führer promette la pace a patto che i cechi accettino le sue 75 Ivi, p. 207. 47 richieste. Chamberlain permette la rivendicazione di Hitler sul territorio dei Sudeti, senza che quest’ultimo debba temere ritorsioni da parte della Gran Bretagna, inoltre persuade la Cecoslovacchia a consegnare la terra senza combattere. Al suo ritorno in Gran Bretagna, il primo ministro riesce a convincere il suo gabinetto ed i francesi (alleati dei cecoslovacchi) ad accettare l'accordo. Nel suo discorso al Parlamento spiega che il contatto personale avuto con Hitler gli permette di assicurare che il Führer dice la verità. Il 1° ottobre comincia l’invasione della Cecoslovacchia da parte della Germania. Sembra quasi una barzelletta, in realtà il fatto che Chamberlain non abbia saputo capire che Hitler mentiva ha avuto conseguenze disastrose. Mary è una casalinga quarantenne caduta in depressione, viene ricoverata a seguito di vari tentativi di suicidio. Inizialmente sembra rispondere molto bene alle cure e la situazione migliora rapidamente. I medici sono positivi e le permettono dopo qualche settimana di trascorrere il week and a casa. Il giorno dopo il permesso la donna confessa di voler lasciare l’ospedale solo per suicidarsi. Resta così in terapia per altri tre mesi e poco prima di essere dimessa, durante l’ultimo colloquio con i medici, Mary sembra davvero un’altra persona, solare e serena. L’attenzione prestatale dai medici, ed in particolare dal professore che l’aveva in cura durante l’ultimo incontro, è la stessa di quello precedente in cui li aveva tratti in inganno. In entrambi i casi abbiamo gli ingannatori, Mary e Hitler, e le vittime : il medico e Chamberlain. Ora, la domanda che sorge spontanea è : le persone sono davvero in grado di mentire senza che il loro comportamento non verbale lasci trapelare quello che le parole nascondono? Per rispondere dobbiamo analizzare brevemente le due situazioni. Gli ingannatori hanno lo stesso scopo: fingere emozioni che non provano. La differenza però è che Hitler è un professionista, Mary no. Esistono delle persone che hanno un dono naturale, e il Führer era, come tutti gli attori nati, molto abile nell’ingannare, loquace, convincente, creativo. Poteva nascondere qualunque emozione, sapeva fingere non solo nelle manovre militari e diplomatiche, ma soprattutto negli incontri faccia a faccia. Quest’ultima è una caratteristica fondamentale; qualunque politico che riesca a raggiungere il potere grazie alla sua abilità nei dibattiti e nei discorsi pubblici, dotato di un immagine televisiva o radiofonica abbagliante, ha sicuramente anche un gran talento per mentire; tutto ciò però non basta, bisogna avere anche capacità strategiche, bisogna progettare le proprie mosse ma anche quelle dell’avversario. Ora focalizziamoci sulla personalità delle vittime. Il primo punto a favore del Führer è che di fronte a lui aveva una vittima “consenziente”: Chamberlain non desiderava altro, voleva credere a Hitler. Il rapporto Hitler-Chamberlain in questa vicenda, può essere spiegato con quanto 48 afferma Jean-Paul Sartre in L'être et le néant (1943) : «Colui al quale viene propinata una menzogna e colui che mente sono una sola persona», nel senso che bisogna avere qualche vantaggio, magari inconscio, per credere alle bugie che vengono raccontate. Hitler sapeva che Chamberlain aveva bisogno di fidarsi di lui, il suo rivale però non voleva rendersene conto, la sfrontata capacità di mentire del cancelliere del Reich si scontrava con i fatti, questi ultimi parlano chiaro : il Führer era chiaramente propenso da tempo ad ingannare l’Inghilterra ed era evidente fin dall’incontro di Berchtesgaden, non era necessario leggere il Main Kampf, trapelava dalle violazioni del patto navale anglo – tedesco alle menzogne sull’intenzione di invadere l’Austria. Inoltre la sua fama di grande dissimulatore era ormai nota. Un’ulteriore agevolazione consiste nel fatto che l’ingannatore non dovesse nascondere forti emozioni, risentimenti o sensi di colpa nei confronti della vittima, anzi, per lui era onorevole e doveroso ingannare gli inglesi, quindi l’unica emozione che poteva aver provato è il piacere della beffa. Infine non bisogna dimenticare che la conversazione avveniva attraverso gli interpreti, l’importanza della differenza di cultura e nazionalità quindi è fondamentale. Essa non permette di interpretare a dovere le varie sottigliezze, come il tono della voce, la mimica, i gesti, il modo di formulare il discorso o di porgere domande. A fronte di ciò che è stato detto finora viene spontaneo pensare che se Chamberlain dal canto suo può essere giustificato, il medico di Mary no. Quest’ultima infatti non è una gran mentitrice, e d’altra parte non è per nulla semplice nascondere forti emozioni, tormento, disperazione, tristezza, e soprattutto senso di colpa per mentire ad una persona per cui si prova forte stima e rispetto, come nel suo caso; senza dimenticare l’angoscia, molto nota tra le vittime di suicidio. È da tener presente poi che la vittima aveva molto da perdere nel lasciarsi imbrogliare. In realtà Ekman e il suo gruppo hanno analizzato il filmato del colloquio di Mary per centinaia di ore, ispezionandolo minuziosamente a rallentatore, fino all’istante in cui prima di rispondere alla domanda del medico sui suoi progetti futuri, è emersa una fugace espressione di disperazione, sfuggita fino a quel momento. Da qui la brillante scoperta che i sentimenti nascosti possono celarsi dietro queste microespressioni; le ricerche successive in merito ne hanno portare alle luce altre, solitamente subito camuffate da un sorriso. 4.2. CHE COS’E’ LA MENZOGNA Se cerchiamo sull’Oxford English Dictionary la voce “lie” leggiamo : «nell’uso moderno la parola è un’espressione violenta di riprovazione morale, che nella conversazione educata tende ad 49 essere evitata, sostituita spesso da sinonimi “falsehood” e “untruth” in quanto relativamente eufemistici».76 Per menzogna si intende ciò che accade quando una persona che decide di trarne in inganno un’altra senza mettere al corrente il destinatario e senza che quest’ultimo glielo abbia chiesto. Il mentitore vuole fornire un’informazione sbagliata. Sembra banale ma è importante tener conto anche del mittente, sarebbe sorprendente chiamare bugiardi gli attori. Menzogna e inganno sono esattamente la stessa cosa. Ricordiamo che se una persona ha il delirio di fingersi un’altra non è un bugiardo, anche se la sua affermazione non è vera; può anche accadere che un impostore finisca per credere alle proprie bugie, come è accaduto a Mussolini, ma dovremmo aprire un altro capitolo in merito. Ci sono due modi per mentire : falsificare e dissimulare. In quest’ultima si nascondono al destinatario alcune informazioni senza dire nulla di falso, e a volte basta di per sé per portare a termine un inganno. Non per tutti la dissimulazione è considerata una menzogna. Generalmente per mentire la si preferisce alla prima, poiché è più semplice nascondere piuttosto che riferire il falso e apparentemente sembra meno riprovevole, essendo un comportamento passivo. Solitamente quando un testimone posto sotto giuramento racconta la propria versione dei fatti iniziando con la frase “a quanto mi riesce di ricordare”, probabilmente si è già prefissato di omettere alcune parti di verità. Indossare una maschera è il modo migliore per dissimulare le forti emozioni che, se non vengono tenute a bada, rischiano di fuoriuscire e compromettere il tutto; ne è un esempio il volto totalmente inespressivo dei grandi giocatori di poker, che non possono permettersi di far trapelare alcuna emozione altrimenti gli avversari sarebbero in grado di prevedere le loro mosse: questo atteggiamento viene definito Poker Face. L’assenza di emozioni è tanto importante quanto la loro presenza. Richard Nixon, il 37° presidente degli U.S.A., fu il primo a dimettersi dalla carica in seguito allo scandalo Watergate e anni dopo negò di aver mentito, ma ammise di aver dissimulato, come tanti altri uomini politici. Falsificare invece significa andare oltre, la vera informazione viene celata e al suo posto ne viene disposta un’altra, naturalmente falsa ma presentata come reale. Per alcune menzogne però sono necessarie entrambe, come nel caso della paziente Mary di cui abbiamo già parlato in precedenza. La donna ha nascosto la tristezza e la disperazione ma ha anche finto di stare bene. Inoltre non dimentichiamo che la falsificazione deve necessariamente intervenire per occultare le prove. Entrambi gli atteggiamenti descritti permettono di aggirare gli ostacoli 76 The Compact Edition of the Oxford English Dictionary, Oxford University Press, New York, 1971, p. 1616. 50 propri della menzogna che solitamente incontriamo per primi, ovvero l’emozione che minaccia di trasparire e il panico di essere scoperti. Il modo migliore consiste nell’assumere un atteggiamento fittizio rispetto a quello che esprimerebbe l’emozione originale, per esempio con un sorriso, portare la verità all’eccesso per rendere ridicoli i sospetti altrui, in modo tale che diventi più difficile per il mittente approfondire le indagini, dire la verità solo in parte ed infine rispondere in modo evasivo in modo tale da suggerire una conclusione sbagliata. Tutti questi modi di agire possono essere utilizzati senza la necessità di falsificare, ed Ekman, ne I volti della menzogna, per dimostrare la propria teoria si rifà a due opere. La prima riguarda il tradimento nel matrimonio77, mentre la seconda è la storia realmente accaduta di Robert Leuci, un poliziotto infiltrato nella malavita.78 4.3. QUANDO LE BUGIE FALLISCONO E PERCHE’ Ora cerchiamo di capire perché le bugie spesso falliscono. I motivi sono principalmente due e riguardano il pensiero e le emozioni. Solitamente si pensa che i bravi bugiardi non cadano mai in contraddizione, che studino a memoria una versione e la ripetano agli inquirenti all’infinito, senza sbagliare di una virgola. Un metodo efficiente per smascherarli è quello di farsi ripetere il racconto al contrario: non sarebbero in grado. In realtà chi interroga sa bene che una strategia impeccabile è proprio il segno di una truffa bene preparata, in cui il sospettato ha ripassato la parte a perfezione. Per questo motivo i migliori truffatori arricchiscono la propria versione di lievi errori e incertezze, per non dare l’impressione di aver recitato. Howard Robard Hughes (1905 – 1976), imprenditore, regista, aviatore e produttore cinematografico statunitense, aveva una personalità complessa e contraddittoria, oltre ad essere eccentrico e geniale. Ebbe dei problemi con la giustizia e, durante un interrogatorio, riuscì ad impersonare il tipico onest’uomo, sincero senza nulla da nascondere, proprio parlando in modo impreciso e correggendosi di tanto in tanto, proprio perché le correzioni spontanee del discorso sono indice di verità, ed evitando le ripetizioni, tipiche di chi mente. Il suo racconto venne giudicato veritiero e solo successivamente si scoprì che stava truffando e aveva detto una bugia dopo l’altra.79 Purtroppo e per fortuna non possiamo decidere noi quando provare certe emozioni, vengono a galla e anche se riusciamo a nasconderle, potrebbe proprio essere lo sforzo stesso 77 John Updike, Marry Me, Fawett Crest, New York, 1976. Robert Daley, The Prince of the City, Berkeley Books, New York, 1981. 79 Questa vicenda è approfondita in : James Phelan, Scandals, Scamps and Scoundrels, Random House, New York, 1982. 78 51 che facciamo per coprirle a trasparire. Spesso mentendo dobbiamo nascondere imbarazzo, ma soprattutto la paura di essere scoperti. Quest’ultima è molto difficile da coprire, per questo motivo quando si sottopone qualcuno al poligrafo gli si fa credere che sia una macchina infallibile, come fanno i genitori dicendo ai bambini di non mentire perché lo scoprirebbero subito. Infatti il fattore che causa più ansia di essere smascherati è la personalità del bugiardo. Se sappiamo di aver di fronte una persona astuta e preparata, che non aspetta altro che smascherarci, la paura è l’emozione dominante. Gli “attori nati” fin da bambini sono sempre riusciti a farla franca, con i genitori, con gli amici e gli insegnanti, e quindi hanno acquisito molta più fiducia nell’ingannare il prossimo, non temono il giudizio di chi hanno di fronte. Questa è la caratteristica che accomuna i grandi esperti dell’inganno come Hitler e Churchill, che hanno la strategia giusta per ingannare e anche quella per sviare i sospetti degli avversari negli incontri faccia a faccia. Non meno importante è la posta in gioco, più è alta più l’emozione è intensa. È indifferente nel caso in cui vi sia in gioco una ricompensa o al contrario una punizione. Infine abbiamo il senso di colpa e la vergogna, quando architettiamo una bugia non possiamo prevedere se saranno più o meno forti. A volte possono diventare così potenti da indurre a confessare. Anche se è passato del tempo e nessuno ci ha scoperti, il senso di colpa resta, perché il colpevole è giudice di sé stesso. Inoltre il problema aumenta se l’educazione ricevuta dalla famiglia è stata molto rigida, se si è cresciuti con la convinzione che mentire sia uno dei peccati più terribili. È da ricordare però che chi non prova alcun senso di colpa o di vergogna per le proprie iniquità è uno psicopatico, e questo modo di essere coinvolge tutti gli aspetti della vita. È anche vero che il senso di colpa sarà minimo se non vi è alcun rispetto o stima da parte del bugiardo nei confronti della vittima. Non c’è molto imbarazzo nell’ingannare le persone che si conoscono appena o si comportano male. Altre cose sono la menzogna altruistica e quella “autorizzata”. Quest’ultima coinvolge per esempio un medico che prescrive la somministrazione di placebo al paziente80, un terrorista, un agente della CIA (che lavora costantemente tradendo la fiducia del prossimo), un giocatore di Poker o chi sta per chiudere un grosso affare (la più famosa di tutte le bugie secondo un articolo che parla delle truffe in affari è : «Questa è la mia ultima offerta!»81). Possiamo invece imbatterci nella prima quando non si dice ad un bambino, che ha appena perso i genitori, che i suoi cari sono morti, o tutte le volte che il medico non dice al paziente che gli manca poco da vivere. In 80 Le placebo sono delle pillole di zucchero che vengono prescritte come medicine. Se il paziente si sente meglio significa che è solo convinto di essere malato e la menzogna si può considerare giustificata. 81 Bruce Horowitz, «When Should an Executive Lie?», in Industry Week, 16 novembre 1981. 52 queste circostanze chi mente non ne ricaverà alcun tornaconto personale. Molto spesso il senso di colpa e il timore di essere scoperti sono inversamente proporzionali, ovvero quando il primo diminuisce il secondo aumenta e viceversa. Questo per dire che se si mente in modo legittimo o giustificato dalla situazione non vi è senso di colpa ma la posta in gioco cresce e con lei l’ansia di essere scoperti. Al contrario vi è più senso di colpa, nel trarre in inganno chi si fida di noi, però si ha meno paura di essere smascherati. È sottointeso che le non verità che fanno parte delle buone maniere, quelle che rientrano per esempio nel Galateo, non vengono considerate delle menzogne, sono solo nozioni per una buona convivenza civile. Anche se è difficile crederci esiste anche il piacere della beffa, il sentimento che suscita in noi il piacere di ingannare. Ciò che ha provato Hitler nel mentire a Chamberlain. Addirittura in alcuni individui è così forte che è accaduto che dei criminali non sono riusciti a contenere per sé la soddisfazione di essere riusciti a farla franca, così l’hanno raccontato ad amici, parenti e addirittura alla polizia, il tutto solo per far si che fosse apprezzata ed elogiata la propria astuzia. 4.4. INDIZI CHE LASCIANO TRAPELARE LA MENZOGNA È difficile riscontrare nelle persone segni della menzogna in sé, gesti o espressioni che indicano che una persona sta mentendo, esistono però indizi indiretti. Solitamente le persone prestano attenzione alle parole e alla mimica facciale, lasciandosi ingannare facilmente. Senza dubbio il bugiardo presta molta attenzione a ciò che deve dire o, meglio, non dire. Se si resta traditi dalle parole è per disattenzione o molto banalmente perché non è stata sufficientemente curata la storia che è stata inventata. Sono invece un’eccezione i lapsus. Freud 82dimostra che gli errori che commettiamo quotidianamente in realtà non sono casuali ma rivelano conflitti interni, portano alla luce ciò che si desiderava dire ma che cerchiamo inconsciamente di sopprimere e finiscono per tradirci. Il viso è il simbolo dell’identità personale, i volti sono delle icone, la sede che ospita la manifestazione delle emozioni. Non a caso quando ci si rivolge a qualcuno si vorrebbe essere guardati negli occhi per rassicurarsi che l’altro presti attenzione. Inoltre il volto è collegato direttamente a quelle zone del cervello che intervengono nelle emozioni, esse si attivano automaticamente alla nascita di un’emozione e lo stesso vale per la voce. Anche se 82 Questo argomento è contenuto in : Freud Sigmund, Psicopatologia della vita quotidiana, Bollati Boringhieri, Torino, 1973. 53 quest’ultima non viene presa in considerazione, in realtà quando si è emozionati diventa impossibile occultare i cambiamenti che avvengono in essa. Al contrario appunto voce e corpo solitamente non vengono calcolati dalle persone come possibili portatori di indizi ed è proprio per questo che chi mente cerca di controllare le parole e l’espressione del viso, perché sa che l’attenzione viene concentrata proprio lì. 4.4.1. La voce Per quanto riguarda la voce, gli indizi vocali più comuni che fanno sospettare un inganno sono le pause troppo lunghe e troppo frequenti, l’esitazione, le non parole (come «ehm», «uhm» ecc..) e le ripetizioni. La più importante è la latenza, essa indica il tempo che passa dalla formulazione della domanda alla risposta, se la bugia è costruita si cercherà di dirla in fretta, se invece è spontanea il tempo è più lungo. L’indiziato deve insospettirci se non usa metafore, utilizza molte parole negative (indice di una coscienza sporca), alterna continuamente passato e presente, non arricchisce il discorso di inserimenti contestuali, ovvero manca la precisione nei dettagli; anche il fatto di porre “quello”o “quella” di fronte alle espressioni “donna” e “uomo” non è casuale, indica che si vorrebbe prendere le distanze dalle altre persone coinvolte nei fatti. Tutto ciò potrebbe venire a galla se chi mente non ha preparato a dovere il discorso, non si aspettava quella risposta oppure teme di essere scoperto. L’elemento più importante però, secondo la documentazione di Ekman, è l’acutezza della voce. Se una persona prova rabbia, paura o turbamento la voce diventa più acuta, al contrario in caso di tristezza o dispiacere cala, mentre il suo tremore indica disprezzo e disgusto. Le ricerche in corso a proposito si stanno occupando di timbro, spettro, bande di frequenza e respirazione. 4.4.2. Il corpo Dal corpo trapelano gli indizi che mi hanno affascinata di più. È molto semplice controllare i movimenti del proprio corpo, perché la maggior parte di essi non è collegata a vie nervose che fanno capo a zone cerebrali interessate alle emozioni. In realtà il corpo lascia trapelare moltissimo proprio perché non viene considerato, siamo troppo intenti a valutare le parole e ad osservare il volto chi parla. È la discordanza tra le parole e quello che rivelano la voce, i gesti, e l’espressione facciale che ci permette di smascherare una persona. Le ricerche tra il 1914 e il 1954 non riuscirono a confermare che informazioni corrette riguardo alle emozioni o 54 alla personalità potessero essere fornite dal comportamento. Ekman, accorgendosi di poter dire durante le sedute di gruppo chi stesse mentendo e chi no, era convinto del contrario. Così, durante il primo anno di specializzazione tentò di dimostrare la propria tesi, cercando di far cambiare idea alla psicologia accademica. Volle dimostrare con un esperimento come i movimenti corporei mutino in condizioni particolari : «Per dimostrare che i movimenti corporei si alterano in condizioni di stress, ideò il seguente esperimento : si invitò un insigne docente universitario ad interrogare alcuni studenti su un argomento per loro molto delicato : che cosa avrebbero fatto dopo la laurea? Ad ogni loro possibile risposta, la reazione del professore era comunque di notevole disapprovazione. Alla prima intervista una studentessa puntò il dito medio contro il professore mantenendo la posizione per quasi un minuto. Eppure non sembrava fuori di sé dalla rabbia, né il professore dava l’impressione di averlo notato».83 Da quel momento egli ha visto lo stesso gesto in altre situazioni e oggi si è arrivati alla conclusione che i lapsus gestuali, come i lapsus linguae, sono un segno molto attendibile, possiamo fidarcene perché sono una conferma autentica di un messaggio che la persona vorrebbe rivelare. Con esso abbiamo anche la scrollata di spalle, la rotazione del palmo verso l’alto, sopracciglia sollevate, palpebra abbassata, bocca a ferro di cavallo o la combinazione della maggior parte di queste azioni magari piegando la testa di lato. È bene mettere in chiaro che questi segnali emblematici sono veri e propri gesti convenzionali che tutti all’interno di una certa cultura conoscono. Tutti sanno che alzare il dito medio significa «Vai a quel paese» e stringersi nelle spalle vuol dire «Non so che fare» e così via per tutti gli altri. Ricordiamo che gli stessi gesti sono quelli che comunemente utilizziamo deliberatamente e consciamente tutti i giorni per esprimerci, noi però stiamo parlando degli stessi gesti che vengono fatti inconsciamente, durano poco e sono incompleti, per esempio la rotazione della mano viene 83 P. Ekman, op. cit., p. 90. 55 appena accennata, se invece compiamo il gesto volontariamente la rotazione sarà completa. Se non siamo sull’avviso e non conosciamo questi gesti, non riusciremmo a scovare la menzogna in chi abbiamo di fronte, semplicemente perché non saremmo in grado di vederli. Nel primo fotogramma l’attuale presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il 3 novembre 2008, l’ultimo giorno che dava la possibilità conclusiva di appello agli elettori da parte degli aspiranti candidati alla presidenza, stava pronunciando questa frase : «Il mio avversario, il senatore McCain, ha servito il suo paese con onore». Il secondo fotogramma rappresenta ciò che accadde immediatamente dopo averla pronunciata. Come potete notare il corpo non mente. È inutile negarlo, il nostro corpo parla, potrei fare innumerevoli esempi ma ne cito solo alcuni, per la precisione mi soffermo sugli atteggiamenti più studiati. Potrei iniziare con il dire che se una persona nega leggermente con la testa prima di dire “sì” a parole, è sincero il gesto, non l’affermazione; il portare la mano alla fronte mentre si parla o si risponde indica vergogna; se si tiene la mano ferma e rigida davanti a noi, rivoti verso il mittente inconsciamente vorremmo imporgli di smettere di parlare; se frapponiamo un oggetto tra noi e chi ci interroga è perché vorremmo creare una barriera; lo stringersi nelle spalle avviene perché mentendo vorremmo occupare più spazio possibile mentre alzare una spalla sola è puro indice di menzogna; la postura rigida è utilizzata da chi ha bisogno di sembrare un leader, possiamo ritrovarla in Mussolini, Hitler o in molte altre autorità; vi è poi la ritirata gestuale, ovvero il fare un passo indietro, lo si fa quando non si crede a ciò che si dice ed infine abbiamo l’emblema di imposizione del silenzio, ci si impone di stare in silenzio ponendo le mani giunte davanti al volto, come se stessimo pregando, perché una parte di noi vorrebbe parlare. Un altro atteggiamento importante che mette in luce come il nostro corpo sia sincero anche quando mentiamo, è che mentre si dice una bugia la mente elabora ciò che dobbiamo proferire ma il corpo non mantiene il sincrono. L’immagine sottostante di sinistra ritrae un ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, durante una conferenza stampa dopo lo scandalo dovuto alla relazione con Monica Lewinsky. Il suo sguardo era rivolto verso sinistra, mentre il dito era puntato frontalmente. Successivamente la relazione fu confermata e il presidente mentiva chiaramente. Se una persona è sincera esprime parole e gesti “teatrali” simultaneamente. Lo stesso vale per la rabbia, quella vera aumenta lentamente e per gradi, quando è rapida è finta. Accanto abbiamo invece Bill Clinton nell’emblema di imposizione del silenzio. 56 4.4.3. Il viso Secondo Ekman «Il viso è capace di mentire e dire la verità e spesso fa entrambe le cose contemporaneamente. Contiene allora due messaggi: ciò che il bugiardo vuol mostrare e ciò che vuole nascondere»84. Non riconosciamo le bugie guardando il volto di chi parla perché non sappiamo distinguere le espressioni ingannevoli da quelle veritiere. Io stessa per esempio ho sempre creduto che il distogliere lo sguardo mentre si parla fosse un segno che la persona di fronte a noi sta mentendo, mentre in realtà è il contrario, vuole pensare bene a quello che dice per raccontare correttamente i fatti, se ci guarda negli occhi è perché vuole essere sicura che ci stiamo credendo e anche perché non ha bisogno di pensare, si è preparata il discorso mentalmente. Dopo averlo saputo sono riuscita a trovare la risposta a ciò che mi chiedevo da tempo riguardo ad un fatto accadutomi personalmente: mi domandavo come fosse possibile che quella persona mi abbia mentito dopo che mi parlava guardandomi negli occhi, ora lo so. Le espressioni autentiche compaiono perché il movimento dei muscoli facciali non è volontario, al contrario delle prime. Tra due estremità vi sono quelle automatiche, apprese consciamente e non, alcune imparate o imposte da bambini. Per dimostrare quanto detto pocanzi si possono consultare gli studi sui pazienti che hanno subito una lesione nei sistemi piramidali, che ridono spontaneamente ma non riescono a compiere il movimento su richiesta; accade invece il contrario se la lesione riguarda invece gli extrapiramidali. Il nostro viso è costituito da 43 muscoli che contribuiscono a creare una gamma di 10.000 espressioni. Sul volto può comparire un’emozione, ma anche due mescolate insieme. L’espressione emotiva è caratterizzata da un’intensità. Per capire le menzogne ci si concentra sempre sulle espressioni più evidenti, quelle che attirano l’attenzione, ma sono proprio i segni 84 P. Ekman, op. cit., p. 113. 57 sottili, che spesso passano inosservati, ad essere i più attendibili. L’Ekman Group, lavorando assiduamente, ha impiegato circa 10 anni per rilevare e quantificare le espressioni facciali85. Vi sono migliaia di espressioni del viso, ognuna diversa dall’altra, alcune non hanno nulla a che fare con le emozioni ma sono segnali di conversazione. Vi sono poi i segni mimici convenzionali, come per esempio la strizzata d’occhio e molti altri. È bene cominciare parlando delle microespressioni, le più inafferrabili e nello stesso quelle che forniscono il quadro completo del sentimento che l’individuo cerca di occultare; esse durano meno di un quarto di secondo e sono universali. Sono state scoperte per la prima volta dall’Ekman group esaminando il filmato di Mary, la paziente che ho menzionato all’inizio di questo capitolo; la sua microespressione indicava tristezza, ed è stata subito coperta da un sorriso. Tempo dopo altri studiosi se ne sono occupati per verificare la loro affidabilità e le hanno associate ad un processo di rimozione, ovvero hanno confermato che rivelano emozioni inconsce. Chiaramente la loro scoperta ha richiesto un gran numero di ore per rivedere lo stesso filmato. Una persona non esperta noterebbe una microespressione su un fermo immagine, pensando che sia impossibile notarle in tempo reale. In realtà è possibile per chiunque, basta fare un esercizio continuato per almeno un centinaio di facce, controllando sulle fotografie se abbiamo risposto correttamente86. Sicuramente sono più comuni le espressioni soffocate, se ci si accorge che sul nostro viso sta comparendo una data emozione, la si nasconde, mentre le microespressioni restano celate. Le sei espressioni emotive principali legate alle microespressioni sono gioia, rabbia, disgusto, sorpresa, paura, tristezza, ma ne riparleremo tra poco parlando anche di espressioni universali. Iniziamo ad analizzare il volto partendo dalla fronte. In essa abbiamo movimenti reali di paura o vergogna, in quest’ultima in particolare solitamente viene portata una mano alla fronte. Se il volto non esprime le stesse cose delle parole essa sarà normale, senza rughe e nemmeno intorno agli occhi. Un’ espressione finta non comporta alcuna tipo di ruga. Le sopracciglia in particolare ci rivelano molto, se sono oblique indicano tristezza, alzate e corrucciate paura, il loro alzarsi sorpresa sincera, si sollevano quando si conosce la risposta a ciò che si chiede, sopracciglio abbassato e dalla palpebra superiore alzata ostilità, mentre le sopracciglia alzate e 85 Esiste a proposito un corso che insegna a descrivere e misurare qualunque espressione: il FACS, The Facial Action Coding System, elaborato da Ekman e Wallace. In Italia il corso viene tenuto all’università di Trieste da un gruppo di studiosi della comunicazione non verbale che stanno compiendo ricerche in questo campo, per ulteriori informazioni http://www.facsitaly.altervista.org/index.html. 86 Per acquisire questa competenza : Paul Ekman e Wallace V. Friesen, Unmasking the Face, Consulting Psychologists Press, Palo Alto, 1984. 58 vicine fra loro indicano nervoso. Il tutto accade per pochissimo tempo. È difficilissimo se non impossibile compiere questi movimenti su richiesta senza allenamento, non a caso Darwin chiamava il muscolo che alza e abbassa le sopracciglia il “muscolo della difficoltà”. Passiamo ora alla bocca ed in particolare alle labbra, la loro contrazione indica insicurezza gestuale, non crede a ciò che ha detto, e lo stesso vale per l’arricciamento del labbro unito al fatto di non sostenere lo sguardo, ne è un esempio l’ex presidente degli Stai Uniti a fianco, George W. Bush. Inoltre mordersi le labbra è un forte segnale di ansia. Vediamo adesso il nostro specchio dell’anima, gli occhi. Dobbiamo controllare la direzione dello sguardo; gli occhi bassi indicano tristezza, bassi e sfuggenti vergogna o senso di colpa, sfuggenti disgusto. La gente continua a lasciarsi ingannare dai bugiardi che non distolgono gli occhi mentre mentono, questo atteggiamento è sempre erroneamente considerato sinonimo di sincerità. Infine il battito plurimo di ciglia equivale a nascondere qualcosa. Anche dilatare le narici significa che c’è qualcosa che vorremmo evitare di dire mentre si alza il mento quando si è arrabbiati. 4.4.4. L’asimmetria e i tempi Un altro indizio di menzogna è l’espressione asimmetrica del volto: i movimenti che appaiono sono gli stessi in entrambi i lati del volto ma in uno sono più accennati. Non c’entrano nulla con le espressioni unilaterali, le espressioni che noi vogliamo accentuare. Ciò accade solo nel caso in cui l’espressione è volontaria, ovvero l’individuo cerca di mostrare un volto che indichi l’opposto di ciò che pensa. Nel caso la mimica fosse spontanea non avremmo l’asimmetria. È da tener presente però che essa rivela che l’espressione mostrata non è sincera, non porta alla luce le emozioni nascoste. Sono inoltre fondamentali i tempi di attacco e di stacco. Le espressioni di lunga durata sono false, la mimica che esprime emozioni vere resta sul viso per meno di 5’’. Anche la collocazione è da tener presente; le espressioni devono essere sincronizzate con i movimenti del corpo, non è possibile adirarsi e nei pochi secondi successivi tirare un pugno sul tavolo, ancora meno credibile sarebbe seguire il pugno con gli occhi. 59 4.4.5. Il sorriso Il sorriso è la maschera che usiamo più spesso, indica un espressione di felicità e la si usa anche per coprire gli inganni. È utilizzato così frequentemente anche perché rientra nelle formule di cortesia, e i sorrisi, proprio perché sono collegati a degli stereotipi, di rado vengono utilizzati a fondo dai destinatari. Inoltre tutti possono tranquillamente assumerli volontariamente. Il sorriso quindi è frequente tanto per le menzogne quanto per la verità e ve ne sono oltre cinquanta tipi differenti. Ciò che ne determina il cambiamento principale è il muscolo zigomatico maggiore, quello che permette di sollevare gli angoli della bocca verso gli zigomi quando sorridiamo. Ekman mette in risalto principalmente diciotto tipi di sorriso, tra cui quello sentito, di paura, di disprezzo, smorzato, triste, di Chaplin87 e di corteggiamento che è proprio della Gioconda88. Le nozioni da tener presente in merito sono che nel sorriso finto non entrano in gioco i muscoli intorno agli occhi, non abbiamo il sollevamento delle guance, nè le borse sotto gli occhi e nemmeno le zampe di gallina o il leggero abbassamento delle sopracciglia. Se invece chi ci sta ingannando prova piacere nel farlo avrà il sorriso accennato da un lato. L’immagine sovraesposta ci mostra un sorriso autentico. Prima di procedere vorrei aprire una breve parentesi sui volti universali. Sono delle espressioni a tutto volto che coinvolgono più movimenti in più parti del volto contemporaneamente. Vi è il volto primordiale del dolore, quello dello spavento, dove tutto si blocca, le labbra si serrano, gli occhi si chiudono (solo quando tutto torna come prima si può vedere la prima cosa che i sospettati hanno in mente quando si riprendono), la rabbia, caratterizzata da labbra tese, narici allargate, 87 P. Ekman, op. cit., p. 143. Qui è possibile osservare le immagini che mostrano le differenze tra i vari sorrisi sopra citati uniti alle spiegazioni. 88 Ciò che la rende così unica è il momento scelto da Leonardo per ritrarla, la donna mostra questo sorriso seduttivo, ha il viso rivolto da un’altra parte ma lo sguardo è obliquo, rivolto verso il suo oggetto di interesse, nella realtà questo movimento è rapidissimo. 60 palpebre aperte; il rimorso, in cui gli zigomi sono alzati e gli angoli delle labbra abbassati, ed infine il disgusto: il linguaggio dell’odio. Sicuramente c’è un volto che dovremmo imparare tutti a riconoscere, quello di chi sta premeditando un atto di violenza, che è raffigurato accanto. Possiamo notare sopracciglia aggrottate, innalzamento della palpebra e tensione sotto gli occhi. Partendo da sinistra abbiamo le sei emozioni di base universali : sorpresa, paura, rabbia, disgusto, felicità e tristezza. 4.5. GESTI MANIPOLATORI E ILLUSTRATORI Vediamo ora la differenza fra gesti manipolatori e illustratori. Questi ultimi devono il loro nome al fatto che illustrano il discorso mentre viene pronunciato. Quando abbiamo una menzogna essi diminuiscono, indicano sincerità. Addirittura proprio per questo motivo alcuni politici tra cui Nixon, sono stati istruiti ad accentuare questi gesti. Cambiano da cultura a cultura, il loro stile viene acquisito, non è innato. Generalmente si utilizzano per illustrare ciò che non si riesce a dire a parole o quando si è in preda ad una forti emozioni, quali rabbia, orrore, agitazione, dolore, entusiasmo. Mentendo queste emozioni non si provano e quindi 61 anche i gesti illustratori vengono meno, lo stesso vale anche quando si fa fatica a decidere, quando si è preoccupati o si è cauti nel parlare. Sono invece rivelatori i lapsus gestuali, come abbiamo detto pocanzi, e quelli manipolatori. I secondi corrispondono al fatto di toccarsi l’orecchio, il collo, grattarsi, accarezzarsi le mani, arrotolare i capelli, massaggiarsi. Possono essere brevi o durare a lungo, appartengono a quei comportamenti che ci hanno insegnato ad evitare fin da bambini, indicano in genere ansia o turbamento ma in alcuni casi anche rilassamento, quindi, se questi atteggiamenti sono isolati, non si possono considerare attendibili al 100%. Al contrario, se un individuo è solito utilizzare gesti illustratori e tutto d’un tratto li sostituisce in favore di quelli manipolatori quasi sicuramente sta mentendo. La postura invece non tradisce, riusciamo a controllarla e governarla molto meglio di quello che crediamo. 4.6. IL SISTEMA VEGETATIVO Finora abbiamo fatto riferimento ai muscoli corporei, ora concentriamoci brevemente sul sistema vegetativo occupandoci di respirazione, deglutizione, sudorazione e per quanto riguardo il viso di rossore, pallore e dilatazione delle pupille. Sono tutte delle mutazioni involontarie che compaiono se c’è un’eccitazione emotiva ed è quasi impossibile nasconderli, per questo sono considerati indizi attendibili. In merito la vera rivelazione dell’Ekman Group consiste nell’aver scoperto che gli indizi neurovegetativi sopra elencati sono in realtà specifici per singole emozioni. Inizialmente hanno eseguito migliaia di movimenti dei muscoli visivi, filmandosi e studiando i risultati, e accorgendosi che mentre li eseguivano avvertivano dei variazioni nelle funzioni corporee, dovute all’attività del sistema nervoso autonomo. Quindi muovere di spontanea volontà i muscoli facciali produce dei cambiamenti inconsapevoli neurovegetativi. Successivamente hanno accolto degli attori in laboratorio e si è cercato di suscitare in loro sorpresa, felicità, tristezza, rabbia, disgusto, paura, chiedendo di ricordare un episodio della loro vita correlato ad una di queste emozioni. In un secondo tempo hanno chiesto loro di mimare alcune emozioni ed il risultato è stato il medesimo, per esempio per quanto riguarda le mimiche della rabbia e della paura «il ritmo cardiaco accelerava in entrambi i casi, ma la temperatura corporea aumentava per la collera e diminuiva per la paura».89 È importante controllare il battito cardiaco, perché il suo aumento indica forte tensione. È curioso a questo proposito notare che, se l’indiziato riesce abbastanza bene a mascherare le 89 P. Ekman, op. cit., p. 108. 62 proprie emozioni, per sapere se ha paura basta stringergli le mani, prima e dopo il colloquio. Se prima le aveva calde e alla fine sono diventate fredde significa che ha paura, perché in questo caso il sangue scorre via dalle estremità verso le gambe, e le mani diventano più fredde. Anche la respirazione e la deglutizione sono da tenere in considerazione, se l’individuo deglutisce dopo essere stato interpellato significa che conosce la risposta alla domanda, mentre se trattiene il respiro sicuramente nasconde qualcosa. Per quanto riguarda il viso, per il rossore ed il pallore non si sa ancora se sono correlati solo ad una attivazione emotiva in generale o se indicano precise emozioni. Il primo indica imbarazzo, vergogna, senso di colpa, collera, ma non è chiaro se si manifesti in modo diverso per ogni sentimento. In caso di collera controllata e paura entra in gioco il pallore. Infine abbiamo la dilatazione delle pupille, prodotta anch’essa dal sistema nervoso autonomo, che avviene in caso di emozione e più in particolare di eccitamento. 4.7. CADERE IN ERRORE È bene dedicare un po’di spazio ai due errori più frequenti quando si tenta di smascherare un bugiardo, “l’errore di Otello” e l’effetto Brokaw. La regola fondamentale da tener sempre presente consiste nel procedere cautamente quando si giudica qualcuno e ci si trova di fronte a degli indizi che indicano una possibile menzogna: in questi casi bisogna andare a fondo e cercare di capire meglio la loro natura. Anche gli esperti possono cadere in errore, non credendo alla verità, ovvero un “falso positivo”, pensando di aver scoperto un inganno che invece non esiste, o al contrario credere alla bugia, quindi avremmo in questo caso un “falso negativo”. Se una persona sbaglia, non significa per forza che menta, e viceversa se non commette errori non vuol dire che sia sincera. Non possiamo pretendere, dopo aver studiato i libri di Ekman o questa semplice relazione, di poter capire facilmente se chi abbiamo di fronte mente o meno. Certo abbiamo delle possibilità in più rispetto a prima di leggerli e possono tornarci molto utili, i veri professionisti si concentrano sull’indiziato non solo nel momento in cui viene interrogato, ma badano anche alla sua vita, ai suoi modi di fare, le sue abitudini, il carattere. Precedentemente abbiamo detto che la mancanza di gesti illustratori può indicare che il soggetto dica il falso, dobbiamo però prima sapere se nella vita di tutti i giorni li utilizza di consueto oppure no. È necessario quindi confrontare il comportamento che l’inquisito ha normalmente con quello che manifesta durante il colloquio. L’errore di Brokaw consiste proprio nel non tener conto delle differenze individuali. Sono esonerati i segni che permettono 63 a ciò che viene simulato di trasparire : i lapsus, le tirate oratorie incontrollate, i gesti emblematici involontari e le microespressioni. Essi sono assoluti ed hanno un preciso significato. L’errore di Otello non tiene conto invece che il sospettato possa essere sotto stress, avere sensi di colpa per altri motivi, provare disprezzo per chi lo interroga e provare altre emozioni per ragioni che non riguardano il caso in questione. Il nome deriva proprio dall’errore commesso dall’Otello di Shakespeare90, che crede che Desdemona l’abbia tradito con Cassio, prima di ucciderla vuole che la donna confessi e lei chiede di chiamare Cassio a testimoniare a suo favore per dimostrare la propria innocenza, Otello risponde che Cassio è morto, l’ha fatto uccidere, e confonde il dolore e la disperazione di Desdemona come prova dell’amore che ha per il presunto amante, in realtà essa non è triste per la morte di Cassio ma perché non ha più prove da dimostrare, la sua vita è finita. Questo solitamente capita quando si hanno già dei preconcetti, dei pregiudizi sull’interrogato. È proprio l’ansia del sospettato che può più spesso indurre in errore. Per questo è bene mettere l’indiziato a proprio agio. A questo proposito sono state formulate parecchie tecniche, tra queste vi è la “strategia del cavallo di Troia” di Ross Mullaney (è un esperto che si occupa di preparare il personale investigativo) secondo la quale bisogna fingere di credere al sospettato e assecondarlo, in modo tale da renderlo tranquillo e sicuro. Se è un bugiardo, finirà per tradirsi. Un altro metodo è quello di David Likken, ed è la “conoscenza colpevole”, ovvero chiedere dei dati di fatti che solo il colpevole potrebbe sapere, senza arrivare mai a domandare direttamente se ha commesso lui il reato in questione. Purtroppo per ora gli studi in merito sono ancora pochi. 4.8. IL POLIGRAFO La voce poligrafo è solitamente spiegata nei dizionari come uno strumento che registra tracciati di varie pulsazioni diverse in modo simultaneo. È conosciuto come la macchina della verità, il rivelatore della menzogna. È utilizzato da moltissimi enti federali e a fini investigativi. Negli Stati Uniti supera il milione di esami l’anno, nelle aziende private, nella ricerca del personale, per le indagini di criminalità interna, per promuovere i dipendenti, nelle banche e addirittura nella scelta dei dipendenti della catena McDonald. In Italia non è possibile 90 Shakespeare, Otello, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2004, (trad. di Baldini G.). 64 utilizzarlo come strumento investigativo, mentre negli USA vi è un vero e proprio abuso91. Il problema è che su oltre cinquemila articoli e libri in merito, non più di una quarantina soddisfano i minimi requisiti di rigore scientifico. Vengono applicati al soggetto quattro sensori: una cintura pneumatica o una benda attorno al petto e una allo stomaco, che misurano cambiamenti nella profondità e nel ritmo della respirazione, mentre un manicotto al braccio registra invece l’attività cardiaca. Il quarto sensore è formato dagli elettrodi metallici applicati alle dita che rilevano i minimi cambiamenti della traspirazione. Si può utilizzare questa tecnica come ulteriore supporto, ma esso non misura direttamente la menzogna, ci dice semplicemente se chi è interrogato prova una qualche emozione poiché rileva segni di alterazione neurovegetativa, di cambiamenti fisiologici. L’errore di Brokaw e quello di Otello sono quindi frequentissimi in questo caso. Inoltre l’esattezza dei risultati dipende anche dalla particolare tecnica d’interrogatorio e dalle capacità dell’esaminatore nel preparare le domande. Un’altra tecnica è quella delle domande di controllo unita all’uso del poligrafo, utilizzata soprattutto dalla polizia. David Raskin ne è il principale sostenitore. Al sospettato vengono poste domande riguardanti il delitto e domande di controllo. Si vuole creare la possibilità che l’innocente sia più preoccupato delle domande di controllo che di quelle rilevanti, mentre il colpevole sarebbe più teso per le domande rilevanti perché sono quelle che lo incastrerebbero. Si deve anche far credere al sospettato che il test sia infallibile, altrimenti se è innocente avrà timore di essere punito ingiustamente da un metodo difettoso. Ogni anno migliaia di persone vengono sottoposte a questo esame e le decisioni importanti si basano sui conseguenti risultati, nonostante non ne sia riconosciuta la validità. I problemi dei test poligrafi sono i falsi positivi, per sembrare colpevoli basta provare emozione intensa, rabbia, paura, eccitamento ecc.. Se la macchina della verità indica menzogna, dovrebbe indurre semplicemente ad approfondire le ricerche. Vi sono bugie facili o difficili da portare avanti, ma in ogni caso chi indaga utilizzando i metodi descritti in questo capitolo deve studiare la persona al di fuori del contesto dell’indagine, ma soprattutto non si deve mai basare solo su un indizio, ma su molti per poter giudicare. 91 Sidoti Francesco, Casto Angelo R., Macchina della verità inventata in Italia ha successo in USA. Perché?, Laurus Robuffo, Roma, 2007. 65 4.9. LE TECNICHE UTILIZZATE DA EKMAN Nel 1970 Ekman ha iniziato ad eseguire una serie di ricerche per verificare sperimentalmente gli indizi di menzogna che aveva scoperto analizzando filmati di colloqui con pazienti psichiatrici. Uno di questi esperimenti è descritto nei I volti della menzogna, gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali. Inizialmente chiese a dei soggetti di guardare dei documentari chirurgici molto realisti e di dissimulare le proprie emozioni, ma la prova fallì. Il motivo fu attribuito all’ansia e all’imbarazzo di stare in un laboratorio sperimentale, oltre alla posta in palio troppo piccola. Riformulò l’esperimento cambiando soggetti, scelse un gruppo di infermiere, la posta in gioco per loro era professionalmente molto alta: alcune non erano in grado di mentire, altre invece erano attrici nate. Con questa prova riuscì a dimostrare molte delle teorie che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti. Per arrivare all’anima del suo lavoro è necessario fare un ancora un passo indietro negli anni. Ekman si dedicò alle espressioni facciali dal 1966. La sua prima ricerca si basava sul mostrare delle fotografie a persone di cinque culture diverse, provenienti da Cile, Argentina, Brasile, Giappone e Stati Uniti, e chiedendo loro quale emozione emergesse da ogni espressione facciale. Risultò che in ogni gruppo culturale la maggioranza concordava nell’individuare la medesima emozione, suggerendo l’esistenza del’universalità. Questa prima ricerca portò prove concrete sull’universalità delle espressioni facciali. C’erano però persone che insinuavano che era possibile che i soggetti partecipanti alla ricerca avessero imparato le espressioni facciali all’occidentale a causa dell’influenza del cinema, in cui, soprattutto nei primi decenni del Novecento, a causa dell’assenza del parlato, le espressioni facciali degli attori erano fondamentali. Per far fronte alle critiche Ekman e collaboratori furono obbligati a trovare culture primitive che non avessero mai avuto contatti con l’uomo occidentale. Essi nel 1971 andarono nella Nuova Guinea a studiare i Fore, la popolazione adatta a questo scopo. Ekman, per procedere in questo nuovo studio, dovette modificare anche il metodo di somministrazione poiché i Fore erano una popolazione pre-letterata e quindi non poteva presentare loro una foto e una serie di emozioni scritte tra cui scegliere, come nel caso della ricerca precedente. Si ingegnò presentando tre o quattro fotografie di espressioni facciali tra le quali i soggetti dovevano indicare quelle che più si adattavano a un breve episodio emotivamente significativo che era raccontato in contemporanea. A dispetto dal fatto che i Fore fossero una civiltà primitiva e con quasi nessun contatto con l’occidente, la percentuale di associazioni corrette tra espressioni facciali e racconti raggiungeva livelli 66 elevatissimi. Ekman e i sui collaboratori fecero un altro esperimento sempre con i Fore, per eliminare altri possibili dubbi: uno degli interpreti pidgin leggeva loro una storia e chiedeva di mostrargli che faccia avrebbero fatto nei panni del protagonista. Ekman filmò nove uomini, nessuno che avesse preso parte al primo studio, e la pellicola venne mostrata in America a studenti universitari. Tutti i ragazzi identificarono correttamente le emozioni, tranne paura e sorpresa, proprio come i Guineiani. Un ultimo esperimento che placò le residue critiche di chi sosteneva la base culturale delle espressioni emozionali fu quello che Ekman condusse sui Dani, un gruppo etnico isolato situato in una parte dell’Indonesia chiamata oggi West Irian. In realtà non fu lo stesso Ekman a svolgere lo studio, ma Karl Heider, un antropologo sostenitore dell’opposto; così, se anche in quel caso fossero stati confermati gli stessi risultati avuti negli studi precedenti, tutti i dubbi sarebbero stati spazzati via. Anche in questo caso i risultati erano concordi con i precedenti. Ekman, ha analizzato come le espressioni facciali corrispondenti ad ogni singola emozione interessino gli stessi tipi di muscoli facciali e nello stesso modo, indipendentemente da fattori quali latitudine, cultura e etnia. Quello che sto per dire è l’argomento che ho studiato durante la mia partecipazione al Workshop di Trieste, dove si è tenuto un corso introduttivo avente come argomento il FACS. Esistono numerosi metodi per misurare i movimenti facciali che risultano dall’azione dei muscoli. Il sistema di misura inventato da Ekman e Friesen «Facial Action Coding System – FACS» è il più comprensivo, completo e versatile. Il FACS fu sviluppato per determinare come le contrazioni di ogni muscolo facciale, singolarmente o in combinazione con altri muscoli, cambiano le sembianze di una faccia. Gli autori hanno videoregistrato più di 5000 differenti combinazioni di azioni muscolari, esaminate accuratamente per determinare i cambiamenti più significativi che ognuna di esse apportava alla struttura del volto (si studiò anche come era possibile differenziare un movimento dall’altro). I muscoli coinvolti in questi cambi dell’apparire del volto sono combinati in una specifica Unità di Azione. La misura delle espressioni facciali nel sistema FACS è fatta attraverso le Unità di Azione, invece che con unità muscolari, in quanto ci sono buoni motivi di economia nell’attività di decodifica. Ekman e Friesen hanno calcolato 44 AU (Action Unit) che rendono conto dei cambi nelle espressioni facciali e 14 AU che descrivono i cambi nella direzione dello sguardo e nell’orientamento della testa. Un analista FACS disseziona un’espressione osservata, decomponendola in specifiche AU che hanno prodotto il movimento. L’analista vede il nastro sia al rallentatore che fermando le 67 immagini, per determinare quali unità di azione o combinazione di unità di azione sono coinvolte nei cambiamenti facciali. I punteggi, per la rilevazione di specifiche espressioni facciali, consistono nel determinare la lista di unità di azione che sono coinvolte in quell’espressione. E’ determinata anche la precisa durata di ogni azione, l’intensità di ogni azione muscolare e ogni asimmetria bilaterale. Nell’uso più esperto della metodologia FACS, l’analista riesce a determinare dai primi indizi l’unità di azione coinvolta in un movimento rapido, quando l’azione raggiunge l’apice, la fine del periodo apicale, quando inizia a declinare e quando scompare definitivamente dalla faccia. 4.10. PSICOLOGIA INGENUA Vorrei dedicare questo paragrafo conclusivo alla psicologia ingenua,92 vale a dire alla capacità naturale, propria di ogni essere umano, di interpretare i comportamenti delle altre persone e di se stessi in base all’attribuzione di stati mentali. Se Marta fa un bel sorriso davanti a una torta alla panna in pasticceria e poi guarda la mamma, ci viene naturale spiegare il suo comportamento supponendo, più o meno, che Marta desidera mangiare la torta e che crede di poter convincere la mamma attirando la sua attenzione. La psicologia ingenua non si fonda su controlli scientifici di tipo oggettivo (che d'altronde la maggior parte delle persone non sarebbe in grado di fare) ma si basa sull'esperienza personale o, secondo altri autori, sul possesso di una teoria innata della mente. Avere una buona capacità psicologica ingenua è fondamentale per saper mentire e capire l’inganno altrui. Nei capitoli precedenti è stato spesso ripetuto come la bugia sia causa del “voler avere di più” dell’uomo, ma essa è anche una poderosa tecnica di immedesimazione: noi tutti siamo psicologi ingenui quando attribuiamo agli altri o a noi stessi pensieri, desideri, speranze. Cerchiamo di decifrare il nostro atteggiamento e quello altrui attraverso degli stati mentali, questi ultimi corrispondono alle cause del comportamento. Tentiamo quindi di prevedere o spiegare un certo comportamento. Questa attività cognitiva ci porta a costruire delle rappresentazioni mentali della realtà che danno vita alla nostra capacità metarappresentazionale. Se un bambino capisce che il comportamento è determinato dagli stati mentali, ha anche la possibilità di capire che inducendo surrettiziamente stati mentali distorti, non corrispondenti 92 Meini Cristina, Psicologi per natura, Carocci Editore, Roma, 2007. 68 alla realtà, si può manipolare il comportamento altrui. Facendo credere che la pasticceria sia ancora chiusa induco Marta a smettere di chiedere la torta. Viceversa, modificando la realtà, quando una persona è assente posso indurla a credere il falso. E' quello che avviene nei vari test delle credenze false, che sono considerati una prova cruciale del pieno sviluppo della psicologia. ln una delle sue versioni più note, si mostra al bambino una scenetta che si svolge in un teatrino a forma di stanza. All'inizio entra la bambola di nome Sally, che pone una biglia in un cesto ed esce; in sua assenza un'altra bambola, Anne, sposta la biglia in una scatola. Si chiede ai bambini dove Sally cercherà la biglia: mentre i bambini più piccoli affermano che Sally cercherà la biglia nella scatola, dai quattro anni in poi tendono ad affermare che la biglia verrà cercata nel cesto. Hanno finalmente capito che Sally, non avendo visto lo spostamento, non può conoscere la realtà. Hanno capito anche che Anne ha ingannato Sally. Analoga logica sottostà al test degli Smarties: viene fatto vedere al bambino un tubetto di Smarties, contrariamente a quello che crede gli si mostra che contiene una matita. Successivamente gli si chiede che cosa crede che la sua mamma, che sta per entrare nella stanza, dirà quando le verrà chiesto che cosa contiene il tubetto. A quattro anni rispondono correttamente, avendo capito che la mamma, non avendo potuto vedere, non può sapere. Al pari del bambino stesso, la mamma è stata ingannata. Un bambino che sa comprendere queste situazioni potrà mettere a sua volta in gioco queste conoscenze per ingannare gli altri in modo sofisticato, certamente a esclusivo appannaggio degli esseri umani. All’età di quattro anni riesce invece a capire che ogni persona ha un proprio pensiero, una propria mente e di conseguenza riesce a prevedere che cosa gli altri possano pensare: capisce che la mamma, vedendo il tubetto di Smarties, senza sapere che in realtà contiene una matita, lo associa alle caramelle e pensa così che queste ultime siano il suo contenuto. 69 Conclusioni finali Prima di concludere vorrei mettere in luce le relazioni emerse da questo percorso ermeneutico che ha come protagonista la menzogna, riprendendo alcune delle tesi più importanti. Vi sono varie tematiche legate alla bugia che si intrecciano e vengono riprese in diversi ambiti. La prima riguarda il desiderio dell’uomo di voler avere sempre di più, la ὒβρισ (tracotanza) che lo porta alla menzogna e all’inganno. Abbiamo visto questo desiderio in Ulisse che è ἄπληςτοσ, insaziabile, colui che non mente per necessità ma per avere sempre di più, che non sopporta di essere “nessuno” per Polifemo, egli è l’antieroe che verrà posto da Dante nel XXVI dell’Inferno nella bolgia dei consiglieri di frodi per aver oltrepassato le Colonne d’Ercole. Troviamo la stessa tematica in Platone, Aristotele e Cartesio. Platone mette in luce l’incompatibilità tra la filosofia e la menzogna, perché lo scopo della prima è la ricerca della verità mentre quello della seconda di ottenere sempre di più; Aristotele nel quarto libro dell’Etica Nicomachea afferma che vi sono due specie di millantatori: quelli che desiderano fama o guadagno e quelli che invece vengono definiti bugiardi cronici, coloro che desiderano avere sempre di più; infine abbiamo Cartesio che dopo aver avuto la certezza di Dio e del Cogito, nella quarta delle Meditazioni Metafisiche, quella Del vero e del falso, sostiene che il problema dell’uomo si pone nella sua facoltà di conoscere. Secondo il filosofo le persone vogliono giudicare quando in realtà non sono in grado di farlo, questo accade perché applichiamo la volontà in misura maggiore rispetto all’intelletto: la nostra volontà desidera fortemente ciò che l’intelletto non ha, questo nostro atteggiamento ci spinge a prendere le distanze dalle certezze che possediamo per avventurarci nell’ignoto. Un’altra tematica importante riguarda le debolezze umane legate spesso anche al potere: esse entrano a far parte della menzogna necessaria. Pare che, secondo alcuni autori, l’uomo menta per coprire e nascondere i propri punti deboli; egli utilizza la menzogna perché non è in grado di affrontare i mali della vita e le difficoltà che gli si presentano. È una sorta di meccanismo di difesa. Questa concezione emerge dalle opere di Pirandello e dal Principe di Machiavelli. Pirandello si occupa in primis di finzione: tutti noi siamo obbligati ad indossare maschere differenti a seconda di chi abbiamo di fronte. Questo nostro atteggiamento ci difende ma nello stesso tempo ci soffoca. Vorremmo essere sinceri, vorremmo che gli altri lo fossero con noi, ma sappiamo anche che questo non sarà mai possibile. Non potremo mai liberarci da questa forma opprimente a cui dobbiamo sottostare per poter far si che le nostre relazioni funzionino. 70 In realtà vi sono due vie di fuga: il suicidio e la follia. Il trattato di dottrina politica di Machiavelli, che come abbiamo già detto in precedenza è un manuale di consigli ed istruzioni per insegnare al Principe i metodi, menzogneri e non, per mantenere il potere, si occupa in un certo senso di debolezze umane, perché, come sappiamo, i politici più deboli sono e saranno per sempre i più grandi dissimulatori. Il Principe quando venne pubblicato fece scalpore, in realtà questo concetto si avvicina molto a quello esposto precedentemente nella Repubblica di Platone, precisamente nel terzo libro, quando il filosofo introduce il concetto di “nobile menzogna”: è giustificabile la bugia come ϕάρμαχον, come medicina, ad uso esclusivo dei governanti. Anche Bacone si occupa dell’argomento e nel primo degli Essays, Della verità, sostiene quanto sia più semplice per l’uomo utilizzare la menzogna ed evitare così di trovarsi inerme di fronte ai pericoli della vita. Nel sesto invece, Della simulazione e della dissimulazione, con una metafora spiega come la bugia sia un sottogenere della politica e della saggezza, utile solo per coprire le debolezze umane. Infine abbiamo Nietzsche, secondo il quale chi usa la finzione è più debole di chi non la usa, questo perché l’intelletto per conservare l’individuo utilizza la finzione per evitare lo scontro con forze maggiori: la volontà di potenza. Chi non la usa è più esposto, più vulnerabile, ma è anche colui che ha il coraggio di affrontare la vita e le prove che essa man mano ci presenta. Spesso ci si interroga cercando di capire quando la distorsione della realtà genera la menzogna e in che modo. Agostino nel De Mendacio sostiene la tesi secondo cui per poter definire la menzogna siano fondamentali la volontà e l’intenzione di chi comunica. Inoltre a seconda dell’influenza che assume la volontà, il filosofo stila una classifica delle bugie in ordine di gravità crescente. Anche Rousseau nelle Confessioni mette in luce l’importanza dell’intenzione del mittente di ingannare. Passiamo ora ad argomenti molto attuali quali la società, il progresso, e la comunicazione. Questi ambiti vengono toccati da molti autori e filosofi. Wilde definisce il protagonista della Decadenza della menzogna, il protobugiardo, il primo cavernicolo a mentire in assoluto, colui che ha fondato le relazioni sociali. Il primitivo ha mostrato l’utilità che può avere la bugia nella società, la sua importanza è legata al fatto che senza di essa rischieremmo di non aver dialogo con l’altro, di non avere relazioni. Totalmente opposta è la precedente concezione di Swift in merito, che emerge nei Viaggi di Gulliver quando il protagonista incontra gli Houyhnhnm. Secondo questi esseri saggi la menzogna non può esistere se non come errore e, pur essendo concepita come sbaglio, essa svilisce il fine ultimo del linguaggio che è quello di diffondere la conoscenza. La pericolosità della bugia nella società viene trattata prima da Aristotele 71 nell’Etica Nicomachea e successivamente da Montesquieu. Secondo Aristotele se un uomo mente, gran parte della colpa risiede nell’atteggiamento morale della società e nell’educazione fornita dall’istruzione. Montesquieu invece sostiene che la menzogna sia nemica del progresso della società. Non può esistere il progresso senza la verità. Il vero problema è che la società, invece di prendere esempio dagli uomini onesti, li emargina, li teme. Per quanto riguarda invece la comunicazione ho analizzato l’opinione di due figure fantastiche: Humpty Dumpty, personaggio di Attraverso lo specchio, e Giacomone, appartenente a Gelsomino nel paese dei bugiardi. Il personaggio a forma di uovo crede che sia fondamentale l’accordo tra i significati per ingannare ed essere ingannati, mentre il paese di Giacomone, dopo la riformulazione del vocabolario dovuto al cambio di significato dei termini imposto dal pirata, non riuscirà più a comunicare. Ho analizzato anche la menzogna nella Sacra Scrittura ma, oltre alla Bibbia, il rapporto tra sacralità e menzogna emerge anche nel Decameron; nel primo caso, come le definirà Agostino, abbiamo delle metafore, mentre invece nell’opera di Boccaccio viene elogiato l’ingegno e l’astuzia dell’ingannatore di fronte al quale anche Dio si piega. Vi è poi la menzogna peggiore che è la calunnia. Quest’ultima è propria del diavolo ingannatore nell’Eden e di Iago nell’Otello. Anche Rousseau nelle Confessioni distingue tre tipi di menzogna ed uno di questi è proprio la calunnia, studiata ad arte esclusivamente per nuocere al prossimo. Vorrei inoltre ricapitolare il significato del termine menzogna: il termine deriva dal latino “mentio-nis” (dichiarazione) e “mendacium” (menzogna) e «indica la falsità volontaria di un discorso, con il quale si inganna chi ascolta e si fida».93 «Vi sono due specie di menzogne: le negative, che consistono nella dissimulazione di ciò che può fornire un indice della realtà; le positive, che consistono nella creazione di finzioni intercalate dall’immaginazione nella realtà».94 Secondo il Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale,95 gli elementi costitutivi essenziali sono: l’enunciazione è falsa e vi sono sia la volontà che l’intenzione di ingannare. Mentendo la parola viene utilizzata contrariamente al fine per cui è stata data dal Creatore. Come ho già affermato nell’introduzione, credo che riflettere sulla menzogna e sui suoi perché sia utile oggigiorno più che mai, per i motivi che ho già precedentemente esplicato. Vorrei 93 Livi Antonio, Dizionario storico della filosofia, società editrice Dante Alighieri, Roma, 2000, p. 84. Ranzoli C., Dizionario di scienza filosofiche, Ulrico Hoepli, Milano, 1963 pp. 721-722. 95 Mondin Battista, Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale, Editrice Massimo, Milano, 1989, p.469. 94 72 inoltre aggiungere a proposito quanto sia importante la figura del filosofo oggi, per avere una risposta ai perché antichi e nuovi. Contrariamente a quanto spesso possa sembrare, l’uomo non rinuncia ad affidarsi anche alla ragione, in un’epoca in cui l’intelletto è continuamente mortificato dalle peggiori distorsioni. In questo periodo a mio parere vanno radicalmente mutando di significato concetti tradizionali come “conoscenza”, “verità”, “esperienza”, “realtà”, “coscienza” e così via; in tutto ciò «la filosofia, e di conseguenza il filosofo, fa dunque questo: continua a tenere accesa la sua piccola lanterna, che non vince il buio ma, se possibile, lo delimita, rendendolo forse anche più misterioso, vicino e distante, ma in qualche modo identificabile nella sua non identificabilità»96. Ho potuto notare in prima persona quanto la figura del filosofo sembri spesso lontana, irraggiungibile. Solo ora mi rendo conto che non è così e quanto sia educativo lasciarsi guidare dai grandi filosofi del passato e del presente, dai loro pensieri, traendone spunto per le nostre riflessioni. Questo sarebbe utile per capire quant’è importante ragionare con la propria mente invece di seguire degli stereotipi, credendo di pensare con la propria testa quando in realtà stiamo semplicemente riflettendo i pensieri che ci vengono imposti dalla società e dai media. Credo fermamente che oggi più che mai avremmo bisogno del realismo di Hegel, spesso duro, a volte estremo, ma efficace. Penso inoltre che anche il suo modo di concepire la menzogna sia quello più veritiero. Egli esplicita chiaramente la sua concezione, asserendo che “il vero è l’intiero”: per essere davvero tale la conoscenza dovrà cogliere la realtà nella sua totalità, così ciò che è parziale viene a configurarsi come falso. Vero e falso non sono opposti, c’è un falso quando c’è un male ed il falso è un momento del vero. Per quanto riguarda invece il concetto più volte ribadito del desiderio di infinito dell’uomo, del voler avere sempre di più, per Hegel finito è ciò che letteralmente ha termine, dunque la nostra realtà è caratterizzata dalla morte, dal particolare, dal caduco. L’infinito è ciò che vorremmo essere e che non capisce limite. Per quanto riguarda gli altri autori, ritengo importante il contributo di Agostino: egli ha messo in luce quanto sia fondamentale la volontà dell’uomo nella menzogna, oltre alla mente e alla parola. La volontà, insieme ad altri fattori, è quella che gli ha permesso di classificare le bugie in ordine di gravità decrescente. Non sono favorevole alla menzogna, come il senso comune d’altronde, però non condivido le concezioni degli illuministi che ho citato: credo sia inutile e utopistico condannare la menzogna a prescindere. Nel mondo non esistono solo il bianco e i nero, vi sono per fortuna anche i grigi. 96 Articolo di Di Giacomo Achille, Che cos’è un filosofo oggi?, tratto dal resoconto di una serie di conferenze e dibattiti tenuti a Cattolica nel 1980. 73 Non bisogna inoltre dimenticare che la bugia è a fondamento di ogni arte. Gli estremi sono sempre pericolosi da seguire, è dannosa la menzogna estrema tanto quanto la verità estrema, nessuno credette a Hitler quando scrisse il Mein Kampf: «L’anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. Temi *…+ i profeti e coloro che sono disposti a morire per la verità, che di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro» c’è chi «ama in modo così lubrico la sua verità da osare tutto pur di distruggere la menzogna».97 Terminerei cercando di spiegare perché mentiamo. Credo che, eccetti casi estremi, tutti noi mentiamo per necessità, non perché abbiamo l’opportunità di mentire. Per quanto riguarda la bugia altruista, ho qualche dubbio: capita di mentire per proteggere il prossimo ma solitamente lo si fa per avere una via di fuga dalle responsabilità e dai sensi di colpa. Se non sono patologiche le menzogne possono anche essere liberatorie. Quando siamo piccoli la bugia corrisponde per noi alla fantasia, il bambino prima di capire che mentire può essere utile, ne riconosce il piacere. La domanda chiaramente sorge spontanea: perché ad un certo punto iniziamo a perdere colpi e iniziamo a lasciare tracce inconfutabili? Molto semplicemente perché l’inconscio vuole che l’inganno sia smascherato, «perché aspira alla luce del Sole, al tutto o al nulla, all’incondizionato e all’assoluto»,98 in fondo abbiamo tutti bisogno di dire e sapere la verità. 97 Eco Umberto, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1980, p.464. 98 Ekman Paul, La seduzione delle bugie, Di Renzo Editore, Roma, 1999. 74 Bibliografia Agostino, De mendacio, tr. it. di M. Bettetini, Bompiani, Milano, 2001. Alighieri Dante, La Divina Commedia, Garzanti, Milano, 1987. Aristotele, Etica Nicomachea, Laterza, Bari, 1988. Aristotele, La metafisica, a cura di Mario Vegetti, La Nuova Italia, Firenze, 1975. Bettetini Maria, Breve storia della bugia, Da Ulisse a Pinocchio, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001. Bibbia Tob, Elle Di Ci, Leumann, Torino, 1997. Boccaccio Giovanni, Decameron, UTET, Torino, 1956. Campo Rossana, Sono pazza di te, Feltrinelli, Milano, 2003. Collodi Carlo, Pinocchio, Polistampa, Firenze, 1883. Della Casa Giovanni, Galateo, Rizzoli, Milano, 1999. Descartes, Meditazioni Metafisiche, Laterza, Bari, 2007. Eco Umberto, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1980, p.464. Ekman Paul, La seduzione delle bugie, Di Renzo Editore, Roma, 1999. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze, 1973. Hitler Adolf, Mein Kampf, Ed. Homerus, Roma, 1971. Kant I., Costant B., E’ lecito mentire?, Archinto, Milano, 2009. Kierkegaard Sören, Timore e Tremore, Mondadori, Milano, 2007. Mann Thomas, L’inganno, tr. it. di R. Rossanda, Marsilio, Venezia, 1992. Meini Cristina, Psicologi per natura, Carocci Editore, Roma, 2007. Niccolò Machiavelli, Il Principe, Rizzoli, Milano, 1999. 75 Nietzsche Friedrich, Verità e menzogna. La visione dionisiaca del mondo. La filosofia nell'epoca tragica dei greci su verità e menzogna in senso extramorale, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2006. Paul Ekman, Telling lies. Clues to deceit in the marketplace, politics, and marriage, W.W. 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A cura dello Studio Domenicano, ESD, Bologna, 1984. Voltolini Alberto, Finzioni. Il far finta e i suoi oggetti, Laterza, Bari, 2010. NOTA SUI FILM UTILIZZATI E COMMENTATI: Don Juan De Marco maestro d’amore, commedia di Jeremy Leven, con Johnny Depp, Marlon Brando, Géraldine Pailhas, Talisa Soto, Faye Dunaway, durata 97 min., USA, 1995; 76 Il primo dei bugiardi, commedia di Ricky Gervais, Matthew Robinson, con Ricky Gervais, Jennifer Garner, Jonah Hill, Louis C.K., Jeffrey Tambor, Fionnula Flanagan, Rob Lowe, Tina Fey, Donna Sorbello, Stephanie March, Ruben Santiago-Hudson, durata 99 min., USA, 2009. LE FOTO UTILIZZATE NEL TESTO SONO TRATTE: dalla serie tv Lie to me, genere drammatico, di Adam Davidson, con Brendan Hines, Monica Raymund, Tim Roth, Kelli Williams, Kristen Ariza, durata 60 min., USA, 2009; dal Manuale: Paul Ekman, Wallace V. Friesen, Joseph C. Hager, Facial Action Coding System, Research Nexus division of Network Information, United States of America, 2002. 77