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Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo
CULTURA E IDEOLOGIE Avanguardia e rivoluzione F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 UNITÀ 4 Treni e manifesti Uno dei cosiddetti treni di agitazione di cui si servivano i bolscevichi per propagandare in tutto il Paese i messaggi della rivoluzione d’ottobre. 1 Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo Nel decennio 1910-1917, numerosi artisti russi aderirono o diedero vita a varie forme di avanguardia, che in comune avevano in primo luogo il rifiuto del realismo figurativo (in pittura) e delle forme metriche tradizionali (in poesia). Al di là delle molteplici differenze e divergenze, essi rifiutavano il passato ed erano ansiosi di ricostruire tutto da capo: non solo l’arte, ma anche le strutture sociali, i valori morali e le gerarchie consolidate. Pertanto, subito dopo la vittoria della rivoluzione, vari poeti e pittori si misero immediatamente a disposizione del governo, a cominciare da Vladimir Majakovskij, capo riconosciuto del futurismo russo, e furono collocati a guida delle istituzioni culturali più importanti, sia a livello centrale che in periferia. Ben presto, però, emersero i primi contrasti fra gli artisti più politicizzati e quelli che, pur guardando con simpatia al nuovo governo, volevano sviluppare in modo autonomo il proprio lavoro artistico. Si pensi, ad esempio, a Marc Chagall, che aveva respinto il realismo riempiendo le sue tele di animali colorati e di figure leggere, che si libravano nell’aria, oppure a Vassilij Kandinskij, con la sua arte astratta e geometrica. Nel giro di pochi anni, entrambi furono destituiti dai ruoli prestigiosi che erano stati loro affidati, rispettivamente a Vitebsk (città natale di Chagall) e a Mosca. Il problema stava nel fatto che, nella nascente Russia sovietica, governo e artisti più intransigenti erano convinti che l’arte dovesse essere rigidamente subordinata alle necessità politiche e ideologiche del partito-Stato, cioè trasformarsi in un efficace strumento di educazione delle masse e costruzione del consenso intorno alla rivoluzione e ai suoi obiettivi. Nei primi anni dopo la conquista del potere, i mezzi più usati furono il treno e il manifesto. I due oggetti erano strettamente connessi, visto che i cosiddetti treni d’agitazione erano vistosamente decorati ed erano dei veri poster in movimento. Tramite la ferrovia, i APPROFONDIMENTO C Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo APPROFONDIMENTO C Astrattismo bolscevichi cercavano di raggiungere gli angoli più sperduti del Paese, di far arrivare ovunque il messaggio del nuovo governo e di presentarsi come portatori di progresso e di modernizzazione. Gli artisti futuristi erano convinti che le masse fossero perfettamente in grado di comprendere il linguaggio e gli strumenti espressivi dell’avanguardia. L’esempio più famoso di questo tipo di arte – a un tempo sperimentale, politicamente schierata e comprensibile nel suo messaggio di fondo – fu Batti il bianco con il cuneo rosso!, un manifesto di propaganda elaborato da El Lissitzky nel 1919, al tempo della guerra civile. Al centro dell’immagine, un enorme triangolo rosso penetrava in un cerchio bianco, a segnalare che gli eserciti comunisti avrebbero sconfitto quelli controrivoluzionari. Non sempre, tuttavia, il messaggio era altrettanto facile da cogliere; si pensi, ad esempio, al monumento dedicato alla Terza Internazionale, dello scultore Vladimir Tatlin: progettato nel 1919-1920, consisteva solo in un’ampia struttura a forma di spirale, che si innalzava verso l’alto. Ben presto, si cominciò a criticare queste opere, definendole spaventapasseri futuristi, e si smise di sostenerle finanziariamente. Intuendo l’inizio imminente di un nuovo cor- UNITÀ 4 Il poema Lenin, di Vladimir Majakovskij IL COMUNISMO IN RUSSIA 2 DOCUMENTI Majakovskij compose il lungo poema Lenin nel 1924. Il poeta fece un notevole sforzo per coniugare innovazione stilistica e capacità di essere compreso dalle masse. L’accusa che sempre più spesso le autorità sovietiche muovevano agli artisti d’avanguardia era di essere privi di legami con il proletariato e quindi, in un’ultima analisi, di fare poesia o pittura solo per se stessi. Sempre più isolato e deluso, Majakovskij infine si suicidò il 14 aprile 1930. Per ragioni di spazio, del poema riportiamo solo pochi brevi frammenti, a titolo esemplificativo. Scriverò un giorno tante cose e tante, ma non è tempo di amorose chiacchiere. La mia forza poetica squillante tutta la dono a te, classe all’attacco. Proletario è parola goffa e angusta per quelli ai quali il comunismo è trappola. Per noi al contrario è una possente musica, che può svegliare i morti per combattere. Quando io traggo le somme di ciò che ho vissuto e frugo nei giorni il momento più nitido, sempre ricordo lo stesso minuto: il venticinque, l’inizio. […] «A tutti! A tutti! A tutti i reietti, Ai fronti di sangue ubriachi, agli schiavi di ogni genere, ai poveri dai ricchi conculcati: Il potere ai Sovieti! Ai contadini la terra! Ai popoli la pace! Il pane agli affamati! […] Sia pace alle capanne, ed ai palazzi guerra, guerra, guerra!» Lo scrittore russo Vladimir Majakovski. V. MAJAKOVSKIJ, Vita, poetica, opere scelte, Il Sole 24 ore, Milano 2008, pp. 423, 507, 513-517, trad. it. A.M. RIPELLINO Dal punto di vista stilistico, quale effetto ha ottenuto il poeta, per mezzo della sua rivoluzione grafica d’avanguardia? Lo sperimentalismo stilistico e linguistico, in questo caso, non è portato all’eccesso. Per quale motivo, a vostro giudizio, il poeta si è posto dei limiti? F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Un nuovo realismo APPROFONDIMENTO C so, fin dal 1922, un gruppo di pittori tradizionalisti si fece avanti con un programma alternativo preciso: «Dobbiamo proporre con la nostra pittura fatti reali e non costruzioni astratte che screditano la nostra rivoluzione agli occhi della classe operaia». L’ultima mostra d’arte sperimentale si tenne nel 1923; da quel momento, accusata sempre più spesso di essere piccolo-borghese, e privata del sostegno economico statale, l’avanguardia russa iniziò rapidamente a declinare e infine si spense. Al suo posto, trionfò di nuovo la tradizione realista, ritenuta più idonea a trasmettere la propaganda del partito. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 3 Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo Subito dopo la morte, avvenuta il 21 gennaio 1924, Lenin fu oggetto di un vero e proprio culto, consapevolmente contrapposto alla religione ortodossa, che soprattutto nelle campagne era ancora molto viva, malgrado gli sforzi compiuti dal regime per estirpare la fede tradizionale. Il corpo del capo bolscevico fu imbalsamato ed esposto alla contemplazione dei cittadini sovietici, come se fosse la reliquia di un santo. In un secondo tempo, venne costruito nella Piazza Rossa, davanti al Cremino, un mausoleo a forma di cubo, nel quale la salma mummificata fu collocata, e che fu per vari decenni meta di pellegrinaggio da parte di singoli e di comitive. Di Lenin, poi, si celebravano l’aspetto fisico (la fronte alta, simbolo di intelligenza), la modestia e la sobrietà di vita, e soprattutto le incomparabili doti umane e morali, tralasciando ovviamente la disponibilità all’assassinio su grande scala e la furia da cui era pervaso, quando si scagliava contro i propri avversari o contro chi, semplicemente, aveva opinioni diverse dalle sue. Lo slogan di maggior successo fu quello che insisteva su un punto centrale: Lenin, in realtà, non era morto, perché il suo spirito viveva ancora e la sua opera veniva proseguita dai nuovi dirigenti del partito e dello Stato. Questa insistenza sull’immortalità di Lenin fu ampiamente sfruttata, a partire dalla fine degli anni Venti, da Stalin. Nella mitologia che ben presto comparve intorno alla figura del potente successore di Lenin, si amava ricordare che egli avrebbe compiuto un vero giuramento al cospetto del leader rivoluzionario: proseguire l’opera del fondatore, là dove lui era stato costretto a interromperla. Stalin, insomma, cercò sempre di presentare la sua politica non come una propria originale creazione, bensì come la fedele prosecuzione della linea leninista. Tuttavia, nel corso degli anni Trenta, il numero dei ritratti e delle statue di Lenin diminuì, a tutto vantaggio di quelli in cui Stalin appariva da solo o insieme al leader bolscevico. Al contrario, tutti quei compagni e collaboratori di Lenin che erano caduti in disgrazia, o addirittura erano stati processati e uccisi, scomparvero dalle fotografie e dalle ricostruzioni ufficiali della rivoluzione. Trockij, in particolare, grazie alla tecnica del fotomontaggio, fu cancellato dalle immagini che lo ritraevano vicino a Lenin nell’ottobre 1917. A livello ideologico, l’operazione trovò infine il proprio compimento nel 1938, allorché fu pubblicato l’ufficiale volume Storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica: un breve corso, scritto da Stalin in persona. Come ha scritto l’intellettuale dissidente polacco Leszek Kolakowski, «Lenin è sempre presentato all’avanguardia della storia e Stalin immediatamente dietro di lui. Pochi individui di secondo o terzo piano, che furono così fortunati da morire prima del- UNITÀ 4 Culto di Lenin e mito di Stalin Manifesto propagandistico in cui Lenin indica la via da seguire a Stalin. Quest’ultimo cercò sempre di accreditarsi come il naturale continuatore del “padre” della rivoluzione d’ottobre. APPROFONDIMENTO C le grandi purghe, sono menzionati brevemente in punti appropriati della storia. Quanto ai leaders che veramente aiutarono Lenin a creare il partito, ad attuare la Rivoluzione e a fondare lo stato sovietico, o non se ne parla affatto, oppure sono presentati come degli infidi traditori e sabotatori che si infiltrarono nel partito e vi condussero tutta una carriera di sabotaggi e di cospirazioni. Al contrario Stalin fu fin dal principio un leader infallibile, il miglior allievo di Lenin, il suo aiutante più fedele e il suo più intimo amico». In molte occasioni, i cittadini sovietici compresero da soli quanto occorreva fare. Sono numerose, infatti, le testimonianze di fotografie o di altre immagini alterate da persone comuni, che cancellavano o coprivano con macchie di inchiostro figure diventate scomode e pericolose. In certi casi, può essere stata la paura, a indurre simili comportamenti; altre volte, invece, essi sono l’evidente segno di un’interiorizzazione del messaggio propagandato. Il Paese più felice del mondo UNITÀ 4 Manifesti per le campagne IL COMUNISMO IN RUSSIA 4 1 Riferimento storiografico pag. 10 Man mano che la rivoluzione dall’alto staliniana trasformava l’economia e la società sovietica, la propaganda di regime fu mobilitata per celebrare i successi del regime e nasconderne i drammi. La collettivizzazione delle campagne fu accompagnata non solo da una martellante campagna ostile nei confronti dei kulaki, ma anche da un’invasione di manifesti che raffiguravano contadini gioiosi e festanti, che esortavano a entrare nei kolchoz. Al centro della scena, troviamo spesso un trattore, simbolo di quella modernizzazione e di quella efficienza che, invece, mancava clamorosamente alle fattorie collettive. Un altro frequente simbolo della modernizzazione nelle campagne era una giovane figura femminile, che campeggiava al centro dell’immagine e che recava sul capo un fazzoletto rosso. Dettaglio importante, mentre nel costume contadino tipico della tradizione russa il fazzoletto era allacciato sotto al mento, il collo della giovane comunista che faceva propaganda per il kolchoz era libero, in quanto il copricapo era allacciato sulla nuca, secondo una modalità del tutto inedita, simbolo – appunto – della nuova esistenza che (secondo le affermazioni del regime) sarebbe di lì a poco iniziata per la classe contadina. La propaganda sovietica celebrò apertamente anche il canale del Mar Bianco-Mar Baltico. Il ruolo di regista dell’operazione fu assegnato a Maksim Gor kij, che nell’estate del 1933 guidò un gruppo di scrittori a visitare il canale. Insieme, questi intellettuali stesero poi un libro (intitolato Kanal imeni Stalina – Il canale Stalin) che narrava in tono epico la costruzione dell’opera. Difficoltà e carenze tecniche non vennero taciute, ma l’accento fu Lo scrittore sovietico Demjan Bednyj (al centro dell’immagine mentre sorride) in visita al canale che collegava il Mar Bianco al Mar Baltico. Insieme ad altri intellettuali, Bednyj contribuirà poi alla stesura di un libro celebrativo dell’opera. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Riferimento storiografico 2 pag. 11 UNITÀ 4 Mosca 5 Per esaltare l’industrializzazione forzata, la macchina propagandistica sovietica diede ampio risalto alle figure degli “eroi del lavoro”. Tra questi va sicuramente ricordato Aleksej Stachanov (al centro della foto) che in un giorno riuscì a estrarre una quantità di carbone 14 volte superiore alla media. Ancora oggi il termine stacanovista sta a indicare una persona che lavora moltissimo e con eccessivo zelo. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C Un rigido canone estetico Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo posto sul fatto che migliaia di cittadini sovietici erano riusciti a superare tutti i problemi e a completare l’impresa in tempi record. Mentre non si parlava, ovviamente, dei morti, non fu nascosto neppure il contributo del lavoro forzato: anzi, i detenuti vennero presentati come dei penitenti, che grazie al duro lavoro finalmente avevano compreso i loro errori politici e guardato al canale come ad un’eccezionale occasione di riscatto personale. Dopo queste prove generali, a partire dal 1934, a pittori e a scrittori (definiti da Stalin «ingegneri di anime») fu imposto un canone estetico ben preciso, che ricevette il nome di realismo socialista. Romanzi, manifesti e quadri dovevano esprimere ottimismo e presentare l’URSS come il «Paese più felice del mondo», all’interno del quale ciascun lavoratore offre con gioia ed entusiasmo il suo contributo all’edificazione del socialismo. Parallelamente all’azione degli artisti, la stampa diede molto risalto a quei lavoratori che si impegnavano con ritmi da assalto nel proprio settore. La prima figura celebrata fu quella del minatore Aleksej Stachanov, che il 31 agosto 1935 riuscì a estrarre 102 tonnellate di carbone (il 10% dell’intera produzione giornaliera della miniera) in un turno di 6 ore. Stachanov fu imitato da molti altri, ma non sempre per desiderio di emulazione o entusiasmo per la causa. Questi eccezionali lavoratori, infatti, ricevevano ricompense estremamente gratificanti, in termini sia di salario e di generi di consumo, sia di successo e di prestigio, a livello nazionale e internazionale. Negli anni Trenta, la trasformazione urbanistica di Mosca divenne uno dei veicoli più eloquenti della propaganda staliniana. Nel 1931, venne abbattuta l’imponente cattedrale di Cristo Salvatore, completata nel 1883, dopo un lavoro durato 45 anni; questo simbolo, a un tempo, dello zarismo e della Chiesa ortodossa, secondo i progetti di Stalin avrebbe dovuto essere sostituito da un Palazzo dei Soviet di dimensioni ciclopiche: la sua mole, infatti, avrebbe dovuto essere sei volte quella dell’Empire State Building e portare sulla propria cima una statua di Lenin alta 100 metri e pesante 6000 tonnellate. Compresa la statua, il palazzo avrebbe dovuto raggiungere un’altezza di 415 metri. Questo tempio della nuova religione politica non fu mai eretto, in quanto il terreno prescelto dimostrò subito di non essere in grado di reggere un edificio di tali dimensioni. I progetti di Stalin, allora, si indirizzarono verso la metropolitana della capitale, impresa che rese un effettivo servizio a una città in piena espansione, ma rivestì anche una straordinaria funzione ideologica, dal momento che le stazioni più importanti erano riccamente decorate di affreschi o mosaici che celebravano la rivoluzione, i suoi capi e i suoi trionfi. Avanguardia UNITÀ 4 APPROFONDIMENTO C Cinema e potere in URSS IL COMUNISMO IN RUSSIA 6 Manifesto russo degli anni Venti del Novecento che pubblicizza il film La corazzata Potëmkin. L’intera industria cinematografica russa (25 case produttrici, concentrate per il 90 per cento a Mosca) fu nazionalizzata nel 1919, cosicché l’unico committente di film divenne lo Stato, o meglio il Commissariato del popolo per la cultura, che controllava anche la letteratura e le arti. Lenin stesso dichiarò che il cinema era, da un punto di vista comunista, «la più importante delle arti»: e questo era ancora più vero, dal momento che solo una minima parte dei russi, negli anni Venti, sapeva leggere e scrivere. Portato nei più sperduti villaggi dal treno di propaganda, il cinema fu presentato come il simbolo della modernità, che finalmente arrivava anche in Russia, grazie al nuovo governo proletario. La vicenda del cinema sovietico ricalca in larga misura quella delle arti figurative e della letteratura. Negli anni Venti, anche in questo ambito la propaganda e la celebrazione del nuovo regime furono affidate ad artisti d’avanguardia, cioè a registi che sperimentarono nuove tecniche espressive, prima tra tutte quella del montaggio, cioè l’associazione di immagini e inquadrature girate separatamente, unite poi le une altre, al momento della realizzazione finale del film. Quest’ultimo non era più un insieme continuo di scene, al punto che a volte poteva anche assumere un andamento decisamente frammentario: nel suo effetto finale, tuttavia, questa tecnica riusciva a suscitare nello spettatore impressioni visive ed emozioni che, a quell’epoca, nessun film prodotto in Europa o in America riusciva a comunicare. Nel 1924, si avvicinò al vivacissimo mondo dei cineasti sovietici Sergej Ejzenštejn (18981948), figlio di un architetto ebreo, celebre soprattutto per gli straordinari palazzi in stile liberty che aveva realizzato a Riga, in Lettonia. Nella fase iniziale della sua produzione, le sue più famose realizzazioni furono La corazzata Potëmkin (1925) e Ottobre (1927). Il primo film narrava un episodio della rivoluzione del 1905, iniziato con l’ammutinamento verificatosi nel porto di Odessa di un equipaggio di marinai, trattati in modo altezzoso e disumano dai loro aristocratici ufficiali; il secondo ricostruiva l’assalto al Palazzo d’Inverno, nel decimo anniversario della presa del potere da parte dei bolscevichi. Per entrambi i film, Ejzenštejn fece ampio ricorso sia ad attori non professionisti, presi dalla strada in virtù delle loro caratteristiche fisiche, sia alla tecnica del montaggio. Nella sce- Un celebre fotogramma del film La corazzata Potëmkin: i cosacchi dello zar sparano sulla folla che si trovava sulla scalinata di Odessa. Come si può intuire dall’immagine, anche la madre del bimbo sulla carrozzina non è riuscita a sopravvivere al massacro e per il piccolo inizia una tragica corsa lungo la scalinata. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Il leader infallibile Tutti i negativi del Prato di Bezin furono bruciati; Ejzenštejn e Babel , tuttavia, grazie a una tempestiva autocritica non subirono conseguenze. Il regista, anzi, nel 1938 ricevette il prestigioso incarico di girare il dramma storico Aleksandr Nevskij, dedicato alla figura del principe russo che nel 1242 aveva sconfitto i cavalieri teutonici, i quali avevano tentato di invadere la Russia. Fu il primo film sonoro di Ejzenštejn, che per la colonna sonora si giovò del contributo di Sergej Prokof ev (1891-1953); fu commissionato da Stalin perché, sulla scena internazionale, la Germania si faceva sempre più arrogante e pericolosa. Il dittatore apprezzò moltissimo il prodotto finito, che trova il suo momento culminante in una spettacolare scena di battaglia che si svolge su un lago interamente gelato: sconfitti dai russi, i cavalieri tedeschi invasori sono annientati e ingoiati dalle acque che si aprono sotto di loro. Tuttavia, poco tempo dopo la realizzazione del film, Stalin decise di stipulare con la Germania un patto di non aggressione (23 agosto 1939), cosicché Aleksandr Nevskij fu ritirato dalla circolazione. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 UNITÀ 4 Film didattici APPROFONDIMENTO C Accuse di formalismo 7 Sergei Ejzenštejn. Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo na più famosa della Corazzata Potëmkin, si alternano le inquadrature dei soldati che scendono una scalinata per reprimere la rivolta popolare, con i primi piani dei volti terrorizzati di coloro che, nel giro di pochi istanti, saranno travolti dai soldati stessi. In Ottobre, invece, le immagini in cui i cosacchi disperdono con la violenza le manifestazioni bolsceviche del luglio 1917 sono intercalate da altre in cui si vede un cavallo bianco precipitare da un ponte: simbolo del potere militare e della dittatura bonapartista, l’animale stava a indicare l’imminente disfatta di Kerenskij, Kornilov e di tutti i generali bianchi che avrebbero tentato di opporsi alla volontà bolscevica di conquistare il potere. Nel 1928, alla prima conferenza del partito sul cinema, Ejzenštejn e gli altri registi d’avanguardia furono accusati di formalismo, cioè di preoccuparsi più della forma estetica del prodotto cinematografico, che del suo contenuto politico. Inoltre – come agli artisti – anche ai registi si contestò di fare opere incomprensibili per le masse. Al posto di film capaci di coinvolgere solo pochi spettatori qualificati, si impose ai registi di realizzare un cinema intelligibile per milioni. Gli anni Trenta, pertanto, videro l’URSS invasa da moltissime pellicole d’intrattenimento, in cui banali storie d’amore si realizzavano sullo sfondo di un’Unione Sovietica in cui l’industrializzazione e la collettivizzazione delle campagne permettevano a ogni individuo di vivere felice e di trovare appagamento a ogni sua aspirazione. In pratica, era l’equivalente cinematografico del realismo socialista. La commedia più famosa (Volga, Volga) fu realizzata nel 1938: pare che sia stato il film più apprezzato da Stalin, e che egli lo abbia visto centinaia di volte. Al centro di queste opere vi era un eroe o un’eroina in cui ciascun cittadino sovietico poteva identificarsi, o meglio, che doveva essere preso come esempio e come modello, perché stachanovista, lavoratore d’assalto o instancabile difensore di Stalin e delle sue realizzazioni. Emarginato e pesantemente criticato, Ejzenštejn tentò di adeguarsi al nuovo corso cinematografico sovietico realizzando nel 1936-1937 un film intitolato Prato di Bezin, destinato a celebrare la figura di Pavilk Morozov, un bambino-martire che, secondo la versione ufficiale, aveva denunciato il proprio padre perché si era opposto alla liquidazione dei kulaki e alla collettivizzazione delle campagne, ne aveva provocato l’arresto e quindi era stato ucciso dai suoi parenti. La sceneggiatura del Prato di Bezin fu preparata da Ejzenštejn insieme a Isaak Babel ; tuttavia, il film fu accusato di «scarsa coscienza bolscevica» e addirittura di essere «oggettivamente nocivo» in varie singole scene: per spezzare la resistenza dei kulaki, ad esempio, i comunisti demolivano la chiesa di un villaggio, evocando l’idea che la collettivizzazione non aveva avuto nulla di gioioso e spontaneo, bensì era stata un’imposizione dall’alto. APPROFONDIMENTO C UNITÀ 4 Un fotogramma del film Alexander Nevskij, girato da Ejzenštejn nel 1938. Film su Ivan il Terribile IL COMUNISMO IN RUSSIA 8 3 Riferimento storiografico pag. 13 Alla fine degli anni Trenta, il mito di Stalin era giunto al culmine del successo. Il realismo socialista riuscì a convincere milioni di sovietici che vivevano davvero nel Paese più felice del mondo. Tutto quello che mancava al momento attuale, seguendo il cammino tracciato da Stalin sarebbe stato presto raggiunto in un prossimo futuro; disfunzioni e carenze del sistema, al contrario, erano facilmente attribuite ai suoi subordinati, mentre era opinione condivisa che il Capo, se fosse stato informato, sarebbe tempestivamente intervenuto in favore dei lavoratori o di chi invocava fiduciosamente il suo aiuto. Negli anni 1938-1939, stando alle testimonianze dei detenuti più critici nei confronti del sistema staliniano, solo pochissimi dei comunisti arrestati, processati e condannati ai lavori forzati nel GULag assunsero atteggiamenti ostili al regime. In genere, approvavano la repressione generalizzata, ritenevano che Stalin e le autorità fossero nel giusto e che solo nel loro caso specifico avessero commesso un clamoroso errore. Consapevole dei malumori e delle perplessità che, comunque, avrebbero potuto suscitare le periodiche purghe, condotte contro esponenti del partito, dell’apparato economico e persino dell’esercito, Stalin decise di assegnare ad Ejzenštejn il compito di realizzare un film su Ivan IV, lo zar che – nel XVI secolo – per rafforzare la forza e la potenza dell’impero russo non aveva esitato a uccidere moltissimi nobili, al punto da ricevere l’appellativo di Terribile. Secondo le intenzioni di Stalin, il film avrebbe dovuto spiegare ai russi che Ivan era stato crudele per necessità, per la sicurezza dello Stato e dell’impero. Il regista, invece, trasformò lo zar in una figura tragica, che verso la fine dei suoi giorni era sempre più tormentata dai rimorsi per i crimini commessi, al punto da inginocchiarsi sotto un affresco del giudizio universale e chiedere perdono, mentre un monaco leggeva l’interminabile lista delle persone giustiziate dietro suo ordine. Profondamente deluso, Stalin proibì l’uscita del film, che sarebbe stato proiettato nelle sale sovietiche solo nel 1958, dieci anni dopo la morte del regista. L’ultimo film di Ejzenštejn, dunque, non riuscì nell’intento che si era proposto di scalfire l’immagine trionfante di Stalin, che nel 1940 era al vertice della popolarità e del successo. Nel giugno 1941, tuttavia, il mito della infallibilità del Capo rischiò di dissolversi di colpo, al momento dell’invasione nazista. L’offensiva tedesca colse i sovietici completamente alla sprovvista e riuscì a penetrare per centinaia di chilometri all’interno del Paese. Per circa due settimane, Stalin rimase silenzioso. Solamente il giorno 3 luglio, per radio, lanciò un accorato appello ai cittadini dell’URSS e, soprattutto, al popolo russo. Nei dodici minuti in cui parlò con voce monotona e lenta, il dittatore lasciò trapelare un respiro pesante e affaticato, sicché ebbe bisogno di bere più volte. Insieme al trauma dell’invasione (che lasciava ipotizzare un clamoroso errore di valutazione), quella voce che non riusciva a nascondere angoscia e preoccupazione per la gravità del momento costituì il punto più basso del mito di Stalin. Solo nel 1943, dopo la vittoria russa di Stalingrado, la sua figura riprenderà tutto il proprio smalto, e anzi potrà persino presentarsi come geniale e vittorioso stratega. Tuttavia, gli studiosi che hanno esaminato la propaganda sovietica hanno notato un significativo cambiamento; fino alla guerra, Stalin appare sempre vestito sobriamente, con una semplice giacca militare. Dopo la vittoria, ostenterà cappotti con mostrine, cappelli ricchi di fregi, giubbe cariche di decorazioni e addirittura una giacca bianca da gran maresciallo. Dopo la momentanea caduta di tono dell’estate 1941, sentì il bisogno di arricchire la sua immagine di nuovi elementi, che in passato – quando pure era padrone incontrastato dell’URSS – non aveva ritenuto necessari, per puntellare il suo prestigio e la sua autorità. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 A poco a poco feci conoscenza con le mie compagne di cella russe. Certo, erano delle Spiega il significato del proverbio «Non ben strane detenute politiche. A parte Tasso, durante la mia carcerazione alla Butirka [un si fa una frittata carcere di Mosca, n.d.r.] non udii mai una russa pronunciare una sola parola di critica nei senza rompere le confronti del regime sovietico. Avrei potuto capirle se avessero taciuto per timore delle deuova!». lazioni, ma si coalizzavano addirittura in cricche che gareggiavano nel proclamare devoPer quale motivo zione e fedeltà al Partito. Loro portavoce era Katja Semjonova. [...] Le chiesi per quale mol’autrice afferma tivo era stata arrestata. «Sono vittima di una congiura trockista. Ma questi criminali me la che le sue pagheranno. Sentiranno ancora parlare di me!», si scaldò. «Allora anche tu sei innocente compagne di come tutte noi?», continuai. Replicò eccitata: «Come puoi dire una cosa simile! Conosco prigionia erano delle solo il mio caso e quello di alcune amiche. [...]». «Ma Katia, non credi che anche le altre detenute politiche detenute di questa cella siano innocenti quanto te? Molte ti hanno già parlato delle ac«ben strane»? cuse mosse contro di loro. Non hai avuto l’impressione che siano state condannate inQuale tratto tipico giustamente?» Con un’espressione fanatica sibilò: «Non ne arrestano abbastanza! Dobdella mentalità biamo proteggerci dai traditori! Che importa se anche un paio di innocenti cadono nella comunista del rete? Non si fa una frittata senza rompere le uova!». tempo emerge Katja non aveva imparato nulla dalla sua esperienza. Era certa di non aver commesso chiaro, secondo alcun reato e comunque non era disposta a credere all’innocenza delle altre recluse. Aveva l’autrice, dal modo subito un torto ma il responsabile non era il regime, no, erano i traditori trockisti. Pur non di ragionare delle essendo membro del Partito era una fervente comunista. Considerava gli arresti in massa sue compagne di cella? di persone innocenti come un male inevitabile che bisognava mettere in conto per il raggiungimento del grande obiettivo finale. A quell’epoca, l’insensibilità per le sofferenze altrui e l’incapacità di cogliere le connessioni reali costituivano un tratto caratteristico di molte comuniste arrestate. Talvolta questo atteggiamento mi oppresse con maggior acutezza dell’esistenza miserabile condotta in prigione. M. BUBER NEUMANN, Prigioniera di Stalin e Hitler, il Mulino, Bologna 1994, pp. 32-34, trad. it. M. MARGARA Marcia orgogliosa di un gruppo di donne staliniste. Fotografia degli anni Trenta del Novecento. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C Margarete Buber Neumann era una comunista tedesca. Riparò in Unione Sovietica per sfuggire al nazismo, ma fu arrestata e spedita nel campo di lavoro di Karaganda, nel Kazakistan siberiano. Le sue memorie vennero pubblicate a Stoccolma nel 1948. Il passo che riportiamo descrive la mentalità dei comunisti sovietici (in questo caso un gruppo di donne, imprigionate insieme all’autrice) coinvolti nelle purghe staliniane degli anni Trenta. La Buber Neumann rimase colpita, soprattutto, dal fatto che pochissime delle sue compagne di sventura assumevano un atteggiamento apertamente critico e polemico nei confronti del partito e della dittatura di Stalin. La propaganda di regime, evidentemente, aveva funzionato alla perfezione e convinto persino le vittime di vivere nel «Paese più felice del mondo». UNITÀ 4 DOCUMENTI 9 Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo La mentalità dei militanti comunisti in URSS negli anni Trenta APPROFONDIMENTO C Riferimenti storiografici 1 La costruzione del Belomorkanal tra propaganda e realtà Arcipelago Gulag, di Alexandr Solzenicyn (pubblicato a Parigi nel 1973), fu un pionieristico tentativo di riunire in forma narrativa le prime testimonianze relative ai campi sovietici. Nelle pagine di in cui descrive la costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, l’autore imita volutamente il tono retorico con cui essa fu celebrata dalla propaganda di regime. Nel contempo, svela la drammatica realtà di quella grandiosa opera di ingegneria, costruita praticamente a mani nude, dal duro lavoro dei prigionieri. Intanto, senza posa, risuona nelle orecchie: «IL CANALE VIENE COSTRUITO PER INIZIATIVA E SU ORLa radio nelle baracche, sul cantiere, presso un ruscello, nell’isba della Carelia, dall’autocarro, la radio che non dorme né di giorno né di notte (immaginatevelo!), quelle innumerevoli bocche nere, maschere funeree prive di occhi (bella immagine!) urlano incessantemente quello che pensano del canale i cekisti dell’intero paese, quello che ha detto il partito. Pensalo anche tu, pensalo anche tu. «Natura domata, libertà acquistata!». Evviva l’emulazione e il lavoro d’urto! Emulazione fra le brigate! Emulazione fra le falangi (250-300 uomini)! Emulazione fra collettivi di lavoro! Emulazione fra le chiuse! Infine, emulazione anche fra la scorta armata e i detenuti! (La scorta s’impegna a custodirvi meglio?) [...] All’inizio del 1933, nuovo ordine di Jagoda: dividere tutta l’amministrazione in stati maggiori di settori di combattimento. Mandare il 50% della forza nei cantieri (ma le pale bastano?). Lavorare in tre turni (è quasi la notte polare). Dar da mangiare direttamente sul posto di lavoro (cibo freddo)! Processare per la tufta [far solo finta di lavorare, per non sprecare preziose energie, n.d.r.]. Nel gennaio è l’ASSALTO DELLO SPARTIACQUE. Tutte le falangi con le cucine e le attrezzature sono trasferite in un unico luogo. Le tende non bastano, si dorme sulla neve, poco importa, CE LA FACCIAMO! Il canale si costruisce su iniziativa... UNITÀ 4 DINE DEL COMPAGNO STALIN». IL COMUNISMO IN RUSSIA 10 La costruzione del Canale del Mar Bianco da parte dei condannati ai lavori forzati nei lager sovietici. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 A. SOLZENICYN, Arcipelago Gulag 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa, Mondadori, Milano 1995, pp. 97-103, trad. it. M. OLSÙFIEVA 2 L’impostazione del realismo socialista Con l’avvento di Stalin al potere, l’emarginazione degli artisti d’avanguardia divenne condanna senza appello. A partire dal 1934, fu imposto a tutti i pittori e gli scrittori di attenersi a un unico canone, molto legato alla tradizione e denominato «realismo socialista». Nell’agosto 1934 il realismo socialista venne formulato in modo definitivo in un discorso tenuto da Andrej Zdanov al Congresso generale degli scrittori sovietici. Zdanov, un funzionario il cui nome fu implicato in tutte le grandi epurazioni di personaggi della cultura sovietica negli anni Trenta e Quaranta, lo impose come una conseguenza delle sagge indicazioni di Stalin: «Il compagno Stalin ha definito i nostri scrittori ingegneri dell’animo umano. Cosa vuol dire? Che obblighi implica? Prima di tutto vuol dire che dovete conoscere la vita per poterla rappresentare fedelmente nella produzione artistica, per rappresentarla non accademicamente, come una cosa morta, non semplicemente come un fatto oggettivo, ma interpretando la realizzazione nel suo sviluppo rivoluzionario. La fedeltà e la concretezza storica della rappresentazione artistica devono conciliarsi nel contempo col compito di plasmare ideologicamente e istruire il popolo a operare nello spirito del socialismo. Questo metodo è ciò che noi chiamiamo realismo socialista nella letteratura artistica e nella critica letteraria». Cosa singolare, Zdanov, benché si rivolgesse a un pubblico di scrittori, si servì più volte dei termini rappresentare e rappresentazione, nonostante questo termine sembri meno applicabile alla letteratura che alle arti visive. Ma è improbabile che si sia trattato di una svista. In questo periodo decisivo la politica culturale in Germania si occupò soprattutto delle arti visive, mentre in URSS si occupò soprattutto di letteratura. […] Nella prima fase ebbero particolare importanza i metodi di condizionamento delle masse e, sotto questo aspetto, la pittura, il disegno e la scultura presentavano alcuni vantaggi sulla letteratura. Nel 1918 Lenin partì da questo presupposto, facendo del suo piano di propaganda scultoreo-monumentale il perno della politica culturale sovietica. Negli anni Trenta, però, le arti visive erano già state adattate, sotto molti aspetti, a servire le esigenze del regime: gran parte degli artisti sovietici avevano già adottato quale loro credo una fedele rappresentazione della realtà F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C UNITÀ 4 11 Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo Da Mosca giunge l’ordine n. 1: «Annunziare l’assalto ininterrotto fino alla fine della costru- Spiega le seguenti espressioni: zione!». Quando finisce la giornata lavorativa mandano nel cantiere le dattilografe, le lavandaie, «La radio che non le impiegate. In febbraio si proibiscono le visite in tutto il BelBaltLag [Lager Mar Bianco-Mar Baldorme né di giorno tico, n.d.r.], non si sa se per una minaccia di tifo petecchiale o per premere sui detenuti. né di notte» e In aprile è un assalto ininterrotto di 48 ore – urrah! TRENTAMILA UOMINI NON DORMONO! «Pensalo anche tu, E per il 1o maggio 1933 il commissario del popolo Jagoda può riferire all’amato Maestro pensalo anche tu». che il canale è stato fatto entro il termine indicato. [...] Per quanto tetre paressero le Solovki, i suoi abitanti, mandati a terminare la pena (e forse Che significato ha la vita) sul mar Bianco sentirono solo allora che la cosa diventava seria, solo allora si scoil termine «assalto» prì che cosa fosse un autentico lager quale lo conoscemmo a poco a poco tutti noi. Invece nella propaganda del silenzio delle Solovki, un incessante turpiloquio, il selvaggio rumore di liti, misto all’agisovietica? tazione educativa. Perfino nelle baracche del lager di Medvezegorsk presso l’amministra- Descrivi zione del BelBaltLag si dormiva sui pancacci a castello (già inventati), non quattro a quatsinteticamente tro ma in otto: due su ogni tavola, i piedi dell’uno verso la testa dell’altro. Invece degli edifici le differenze di pietra del monastero vi erano baracche provvisorie dove tirava vento, oppure tende, esistenti tra quando non si dormiva semplicemente sulla neve. [...] D.P. Vitkovskij, che era stato alle Sopropaganda lovki e aveva lavorato sul canale come capomastro salvando la vita a molti con la tuchta, e realtà, nella ossia registrando volumi di lavoro inesistenti, descrive così una serata: costruzione del «Alla fine della giornata lavorativa sul cantiere rimangono dei cadaveri. La neve ricopre le canale. loro facce. Qualcuno si è rannicchiato sotto una carriola capovolta, ha nascosto le mani in tasca ed è morto così. Là sono congelati in due, appoggiati uno alla schiena dell’altro. Sono giovani contadini, i migliori lavoratori che si possano immaginare. Li spediscono sul canale a decine di migliaia alla volta, e cercano di far sì che nessuno capiti nel medesimo lager con il padre: vengono separati. Viene loro subito assegnato un quantitativo di ghiaia e massi che non si potrebbe estrarre neppure d’estate. Nessuno può insegnare loro, avvertirli, essi spendono per intero le proprie forze da gente di campagna, si indeboliscono rapidamente e così muoiono assiderati, abbracciati a due a due. Di notte parte una slitta per raccattarli. I carrettieri buttano i corpi sulle slitte con un tonfo, legno contro legno. D’estate si trovano le ossa dei cadaveri non raccolti per tempo, capitano insieme alla ghiaia nella betoniera. Così sono finiti nel calcestruzzo dell’ultima chiusa presso la città di Belomorsk e là si conserveranno per sempre». APPROFONDIMENTO C UNITÀ 4 IL COMUNISMO IN RUSSIA 12 Stephan Carpov, URSS, amicizia di popoli, 1924. Il quadro è un ottimo esempio di realismo socialista: il soggetto raffigurato simboleggia l’unione delle varie etnie delle Repubbliche socialiste sovietiche. Spiega l’espressione «ingegneri dell’animo umano» e quale compito era chiamato a svolgere, sopra tutti gli altri, lo scrittore sovietico. Che cosa maggiormente colpisce nel comportamento degli scrittori sovietici riuniti a congresso, nel 1934? Che giudizio dava Gor kij sul futurismo e sugli altri movimenti d’avanguardia? sovietica molto prima del realismo socialista. Ora era necessario allineare anche la letteratura. Non deve quindi sorprendere se il metodo universale della cultura sovietica venne proclamato a un’assemblea di scrittori anziché di pittori o architetti. Il primo Congresso generale degli scrittori sovietici, tenutosi a Mosca dal 17 al 31 agosto 1934, venne messo in scena secondo principi che sarebbero diventati vincolanti per tutti i congressi e i convegni successivi. Proprio in questo congresso furono elaborati per la prima volta i concetti fondamentali del realismo socialista. Merita quindi un esame un po’ più approfondito. Il compito principale del congresso fu di incensare il capo. Ogni delibera, ogni candidatura dei futuri dirigenti del mondo letterario, ogni ordine del giorno fu approvato all’unanimità; nessuno dei seicento delegati votò contro, o si astenne, su qualcosa per tutta la durata del congresso. I principi del realismo socialista, destinati, secondo gli oratori principali, ad apportare mutamenti radicali nella cultura sovietica – e forse anche mondiale – erano fuori discussione. Tutto era già stato predisposto e ratificato, e gli ingegneri dell’animo umano non dovevano fare altro che alzare la mano e orientare i propri interventi secondo le sagge direttive di Stalin, Zdanov e Gor kij. […] Il congresso celebrò il culto di Stalin in un modo che non aveva precedenti. Tutti gli oratori principali gli attribuirono il ruolo di timoniere di tutti i settori della vita sovietica, ivi comprese l’arte e la letteratura. In apertura venne indirizzato a Stalin un saluto che, a nome di tutti i convenuti, esprimeva l’essenza reale dell’estetica totalitaria: «La parola è la nostra arma. Noi mettiamo quest’arma a disposizione dell’arsenale della lotta della classe lavoratrice. Vogliamo produrre un’arte che educhi i costruttori del socialismo e instilli nel cuore delle masse certezza e fiducia, che le renda felici e ne faccia i veri eredi della cultura mondiale». Il messaggio terminava con le parole: «Evviva la classe operaia che ti ha generato, e il partito che ti ha istruito per la felicità dei lavoratori di tutto il mondo». I sentimenti di lealtà arrivarono al punto di attribuire alla classe operaia e al partito solo il merito di aver generato e istruito il compagno Stalin. Anche la letteratura sovietica aveva bisogno di un capo, e il partito propose Gor kij. Qust’ultimo […] inaugurò il congresso e poi, dopo Zdanov, fece un intervento lungo e magniloquente, parlando di sé e del congresso come di un tutt’uno in grado di giudicare l’umanità da una posizione di verità assoluta: «Siamo i giudici di un mondo destinato a scomparire, siamo i difensori del vero umanesimo, l’umanesimo del proletariato rivoluzionario, l’umanesimo della forza chiamato dalla storia a liberare tutto il mondo dei lavoratori». Gor kij e Zdanov, indossando le vesti dei giudici, pronunciarono sulla cultura contemporanea la stessa drastica sentenza pronunciata da Hitler e Rosenberg. Zdanov definì degenerata e decadente la situazione della letteratura borghese, riferendosi al modernismo nel suo complesso. Gor kij si scagliò contro i modernisti russi, suoi vecchi nemici di prima della rivoluzione: «Il pensiero russo del periodo tra il 1907 e il 1917 fu uno dei più irresponsabili e oscuri, saturo della cosiddetta libertà creativa. Questa libertà si esprimeva nella diffusione delle idee più conservatrici della borghesia occidentale… Nel complesso il decennio 1907-1917 merita in tutto e per tutto di essere definito il più vergognoso e spregevole di tutta la storia dell’intelligencija [degli intellettuali, n.d.r.] russa». Con quest’ultima frase, che doveva costituire l’elemento di riferimento per ogni successiva valutazione della storia sovietica, Gor kij bollava d’infamia quello che di fatto era stato il periodo argenteo della poesia russa, la prima esplosione creativa dell’avanguardia nelle arti figurative e – soprattutto – lo spirito di libertà, di rinnovamento ed esplorazione che permeò questo decennio più di ogni altro periodo nella storia della Russia. I. GOLOMSTOCK, Arte totalitaria nell’URSS di Stalin, nella Germania di Hitler, nell’Italia di Mussolini e nella Cina di Mao, Leonardo, Milano 1990, pp. 105-108, trad. it. A. GIORGETTA F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Fu la radio a portare in tutto (o quasi tutto) il paese le parole accorate e insolitamente informali del compagno Stalin il 3 luglio 1941. Radio Mosca era diffusa su un ampio territorio, ma molte zone periferiche erano ancora servite da stazioni locali. Fuori delle grandi città il possesso di apparecchi pro capite era basso, ma l’ascolto collettivo in posti di lavoro e circoli ricreativi era consueto. Nei primi giorni di guerra fu ordinato che tutti gli apparecchi privati venissero consegnati alle autorità; l’unica modalità di ascolto restava la rete di radiodiffusione via cavo, collegata ad altoparlanti sistemati nelle strade e apparecchi riproduttori nelle case. Anche per questo il testo del discorso, pronunciato dopo due enigmatiche e misteriose settimane di silenzio da parte del leader in seguito all’invasione tedesca del 22 giugno, fu diffuso anche a mezzo stampa, proprio perché più capillarmente potesse raggiungere angoli e zone sperdute del paese. La guerra segnò una svolta importante nel mezzo di comunicazione radiofonico: regole, tempi e abitudini censorie, dopo una prima frenata all’efficienza del servizio d’informazione stesso, dovettero essere riviste e adattate allo stato di emergenza. […] Il paese fu colto impreparato dalla furia espansionistica tedesca: «Ci potrà essere chi si chiede: come è potuto succedere che il Governo Sovietico abbia concluso un patto di non aggressione con gente tanto fedifraga e tirannica come Hitler e Ribbentrop? Non è che l’Unione Sovietica ha commesso un errore?». Dovette retoricamente domandare Stalin alla nazione dai microfoni di Radio Mosca un paio di settimane dopo l’invasione. La sua risposta, altrettanto retorica, non poté che essere: «Certamente no!». Ma assieme al tono, al lessico e al registro utilizzato nel breve discorso, anche dichiarazioni come questa sarebbero passate alla storia per la loro anomalia. […] Affrontata la situazione internazionale, Stalin sarebbe passato al punto più emotivamente coinvolgente: l’appello al popolo per chiedere solidarietà e abnegazione totali. Ma per capirne la portata e l’impatto su chi lo ascoltava è necessario tornare all’attacco del suo discorso: a quel «Fratelli e sorelle!» messo quasi di sfuggita tra i più consueti e scontati appellativi: «Compagni! Cittadini! Combattenti del nostro esercito e della nostra flotta!». E poi, con tono familiare e domestico, pur restando ben conscio della propria posizione e dell’effetto che un tale atteggiamento avrebbe suscitato, il tocco finale nell’apertura: «Sono io che mi rivolgo a voi, amici miei!». Pronunciò parole inusitate: «Amici miei! Fratelli e sorelle!», rimandando a una situazione di rapporto non politico ma familiare, non però della scontata grande famiglia da cartolina di Stalinland. Questa volta c’è da credere Il leader sovietico Stalin fotografato durante un suo discorso. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C L’invasione tedesca dell’URSS iniziò il 22 giugno 1941. Per quasi due settimane, Stalin restò in silenzio totale. Forse, era convinto che l’offensiva nazista avrebbe travolto l’Armata rossa e sarebbe arrivata fino a Mosca. Il leader che si fece udire il 3 luglio era un uomo provato e insolitamente affaticato. Forse, in quell’occasione, Stalin superò la soglia che nessun leader carismatico, neppure il più democratico e aperto alle masse, può superare, pena la perdita di fiducia in lui e trasformazione in soggetto debole. Di qui il suo sforzo, nel corso della guerra e dopo la vittoria, di assumere atteggiamenti più solenni e marziali, di quelli tenuti in precedenza. UNITÀ 4 Il discorso di Stalin del 3 luglio 1941 13 Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo 3 APPROFONDIMENTO C UNITÀ 4 IL COMUNISMO IN RUSSIA 14 che gli accenti intimi e amichevoli mirassero altrove. «Fratelli e sorelle», con lessico e tono che, nonostante gli anni passati, tutti avrebbero riconosciuto essere quelli della vecchia chiesa ortodossa, della tradizione russa contadina. «Fratelli e sorelle», ostentando una vicinanza, una confidenza che lasciava trapelare imbarazzo, insicurezza e paura, esplicitate dalle pause per bere, nonostante la brevità dell’intervento. Tutto tra le righe, difficile da cogliere per quanto inatteso e improbabile. Pressoché inaccettabile da parte degli ascoltatori, del popolo, ma reale e inedito. Così evocato, negli anni tra il 1955 e il 1959 (in piena destalinizzazione), da Konstantin Simonov nel romanzo I vivi e i morti: «L’altoparlante era appeso nel corridoio, accanto al tavolino dell’infermiere di turno. Lo accesero al massimo volume e spalancarono le porte delle corsie. Stalin parlava con voce monotona e lenta, con un forte accento georgiano. Una volta, durante il discorso, si poté sentire il rumore di un bicchiere da cui beveva acqua. La voce di Stalin era bassa di tono e di volume; sarebbe potuto sembrare perfettamente calmo se non fosse stato per quel suo respiro pesante e affaticato e per quell’acqua che si era messo a bere durante il discorso. Ma, per quanto fosse agitato, l’intonazione del suo discorso restava uniforme, la voce sorda risuonava senza alti e bassi, né punti esclamativi». Jurij Lotman noterà che nel periodo bellico e anche dopo la guerra, nonostante la vittoria, ma proprio a causa di queste insicurezze e timori, Stalin muterà anche il proprio abbigliamento. Passerà dalla sobrietà della casacca militare di chi sta a guardare gli altri, sicuro del proprio potere e della propria forza, alla necessità del culto della personalità, sostenuta dalla solennità di una divisa, necessaria a chi si sente osservato e cerca modi e maniere per sostenere una posizione che si è, seppure lievemente, incrinata. Significative a questo proposito sono le fotografie che lo ritraggono sulla prima pagina della “Pravda”, in occasione dei festeggiamenti di novembre, nei diversi anni di guerra. Nel 1942, ormai citato come commissario del popolo per la difesa, indossa ancora la classica giacca che lo aveva contraddistinto da sempre. Nel 1943 appare con cappotto, cappello e mostrine. Nel 1944 sul petto si affollano medaglie e decorazioni. Nel 1945 è in divisa solenne bianca da gran maresciallo. G.P. PIRETTO, Il radioso avvenire. Mitologie culturali sovietiche, Einaudi, Torino 2001, pp. 175-178 Quale domanda sulle scelte strategiche del governo sovietico sorgeva spontanea, alla luce dell’invasione del giugno 1941? Perché il prestigio di Stalin e del gruppo dirigente sovietico ne poteva uscire compromesso? A quale lessico e a quali tradizioni fece appello Stalin, nel rivolgersi al popolo sovietico nel suo discorso radiofonico? Quale immagine di sé lasciò trasparire Stalin, nel luglio 1941? Come poi cercò di porvi rimedio? F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012