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bandiere extracomunitarie in navigazione in acque nazionali

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bandiere extracomunitarie in navigazione in acque nazionali
La voce del diportista
BANDIERE EXTRACOMUNITARIE
IN NAVIGAZIONE IN ACQUE NAZIONALI
N
el recente passato, sono state alla ribalta delle cronache
complesse operazioni di polizia tese a reprimere l’illecita pratica
di alcuni italiani che utilizzavano in
acque nazionali barche immatricolate sotto bandiera di Stati extracomunitari, in tal modo evadendo i diritti
doganali dovuti al nostro Stato.
Vale la pena, quindi, esaminare le
procedure previste per l’acquisto di
un’unità da diporto all’estero. Innanzi tutto, non è richiesta alcuna
autorizzazione. Però, se l’unità è proveniente da un Paese extracomunitario, l’ufficio di iscrizione darà comunicazione dell’avvenuta immatricolazione nei registri nazionali all’autorità doganale, che provvederà alla
cosiddetta operazione di importazione definitiva, determinando l’ammontare dell’IVA e degli altri eventuali diritti doganali da corrispondere. Se, invece, l’unità proviene da
Paesi dell’Unione europea, non si
pone neanche il problema, poiché
sin dal 1° gennaio 1993, a seguito
dell’abbattimento delle frontiere doganali tra gli Stati comunitari, non si
tratta in questi casi di “importazioni” (cioè, operazioni rilevanti ai fini
doganali), bensì di acquisti intracomunitari, disciplinati dalla legge n.
427/1993, che riporta le disposizioni
sull’applicazione dell’IVA alle operazioni intracomunitarie.
Grazie all’abbattimento delle frontiere doganali, le unità da diporto
battenti bandiera di uno Stato mem-
bro dell’Unione europea possono liberamente circolare nelle acque italiane e sostare nei porti nazionali,
nonché essere utilizzate senza alcun
limite da cittadini italiani.
Alle unità di bandiera extracomunitaria, invece, continuano ad applicarsi
la Convenzione di Ginevra del 1956
in materia di temporanea importazione, nonché i regolamenti CEE
2454/1993 e CE n. 993/2001, che fissano le disposizioni d’applicazione
del codice doganale comunitario.
Queste unità, quando giungono nel
primo porto italiano, devono comunicare l’arrivo all’autorità doganale
più vicina, perché possono sostare
nelle acque comunitarie (si badi bene, non solo italiane ma comunitarie) per un tempo massimo di 18 mesi (chiamato termine di appuramento). Se, cioè, l’unità dovesse arrivare
nelle acque italiane da un porto comunitario, il tempo di sosta in tale
porto deve essere computato nei 18
mesi, come pure ogni altra sosta nelle acque comunitarie. Durante la
permanenza nelle acque italiane, tali
unità sono considerate in regime di
temporanea importazione (o ammissione temporanea), cioè sono esonerate dalla corresponsione dei diritti
doganali e dell’IVA all’importazione.
Al termine dei 18 mesi, l’unità dovrà
lasciare le acque nazionali, altrimenti sarà soggetta all’importazione definitiva e alle sanzioni previste per il
reato di contrabbando.
Le unità battenti bandiera di Paesi
extracomunitari non possono essere
utilizzate in acque nazionali da cittadini comunitari. Infatti, il regolamento CEE 2454/93 prevede che, per
poter usufruire del regime di importazione temporanea senza pagamento dei diritti doganali, l’unità debba:
1) essere immatricolata in un paese
non appartenente all’Unione europea (se trattasi di mezzo non immatricolato, è sufficiente che “appartenga” a soggetto extracomunitario); 2)
essere di proprietà di un soggetto extracomunitario; 3) essere utilizzata da
quest’ultimo o comunque da un soggetto non comunitario. Quest’ultima
norma subisce due sole eccezioni: a)
soggetto comunitario che a titolo puramente occasionale utilizza la barca,
seguendo le istruzioni del soggetto
extracomunitario proprietario del bene, il quale si trova, al momento dell’utilizzazione, nella Comunità europea; b) soggetto comunitario che ha
un contratto di lavoro con un soggetto extracomunitario proprietario della barca, essendo previsto nell’ambito di tale contratto anche l’utilizzo
del mezzo per uso privato.
Se, invece, il soggetto comunitario
svolge attività di conduzione della
barca di proprietà del soggetto extracomunitario in maniera “sistematica” e, quindi, al di fuori delle due
ipotesi appena ricordate, non è applicabile il regime di importazione
temporanea e si incorre nel reato di
contrabbando.
Aniello Raiola
novembre-dicembre 2015
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