“UN VELENO IN CASA” Il cloruro di polivinile, noto anche come
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“UN VELENO IN CASA” Il cloruro di polivinile, noto anche come
“UN VELENO IN CASA” Il cloruro di polivinile, noto anche come polivinilcloruro o con la corrispondente sigla PVC, è il polimero del cloruro di vinile. Poiché la polvere di PVC che si ottiene al termine del processo produttivo è instabile al calore e alla luce, vengono aggiunti altri composti chimici che servono a conferirgli le caratteristiche commerciali necessarie per il suo uso. Per questo scopo si usano metalli pesanti o composti organici altamente nocivi in grado di provocare un’alterazione del sistema riproduttivo ed immunitario. Alla fine degli anni '90 la Comunità Europea e diversi paesi, tra cui l'Italia, hanno emanato norme per la restrizione nell'uso di ammorbidenti del PVC (ftalati) nei prodotti per l'infanzia e nei giocattoli fabbricati per bambini da 0 a 3 anni, al fine di evitare la loro ingestione durante la loro suzione o la masticazione, ma hanno permesso che questi continuassero ad essere utilizzati per altri fini, anche alimentari, come la produzione di pellicole trasparenti per alimenti. Il cloruro di polivinile è il polimero più importante della serie ottenuta da monomeri vinilici ed è una delle materie plastiche di maggior consumo al mondo. Viene impiegato in diversi settori fra cui: quello edile (tapparelle, infissi, carte da parati, pavimenti, rivestimento dei cavi elettrici, tubature), sanitario (sonde, sacche plasmatiche), automobilistico (interni delle vetture) e dei beni di largo consumo (pellicole alimentari, contenitori, bottiglie, giocattoli). Ogni mese ogni famiglia porta a casa (tra pellicole per alimenti, sacchetti di biscotti, bottiglie dell’acqua, vaschette delle yogurt, imballaggi ecc.) oltre 12 kg di PVC che dovranno essere, di conseguenza, smaltiti. È proprio nella fase di smaltimento che il PVC presenta i maggiori problemi ambientali rispetto ad altre materie plastiche: quando esso è incenerito, produce diossine, quando lo stesso viene gettato in discarica, tende a rilasciare gli additivi, utilizzati nella sua produzione, altamente tossici. Il riciclaggio del PVC è praticabile solo mediante piani di raccolta differenziata. Un consiglio utile al consumatore sarebbe quello di non acquistare pellicole alimentari contenenti PVC ma sostituirle con pellicole che siano provviste di regolare dicitura che confermi l’assenza della suddetta sostanza tossica all’interno del prodotto, che abbiano inoltre un costo più o meno uguale e le stesse caratteristiche fisiche delle pellicole di marca. Il legislatore dal canto suo, dovrebbe prescrivere che le pellicole utilizzate dai supermercati per imballare le confezioni sfuse siano veramente esenti da PVC. Ennesima circostanza questa, in cui si richiede una legislazione chiara ed attenta alle problematiche sociali nonché salutari. Helenia Palma Responsabile Servizio Civile U.Di.Con. Nazionale