9. CLIMATOLOGIA 9.1. L`atmosfera Il fatto che l`atmosfera terrestre
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9. CLIMATOLOGIA 9.1. L`atmosfera Il fatto che l`atmosfera terrestre
9. CLIMATOLOGIA 9.1. L’atmosfera Il fatto che l’atmosfera terrestre sia molto diversa da quella di tutti gli altri pianeti del nostro sistema solare, e che sia la sola ad essere così ricca di ossigeno, ha portato a pensare che la composizione chimica dell’atmosfera odierna sia in qual che modo legata alla presenza della vita sul nostro pianeta e che alla sua origine la terra avesse una atmosfera completamente diversa. Poiché l’H e l’He sono di gran lunga gli elementi più abbondanti dell’universo, è naturale credere che la atmosfera primordiale fosse una miscela di questi due gas. Ma dato che sono entrambi elementi molto leggeri si suppone che la maggior parte di essi si sia presto allontanata perché il campo gravitazionale terrestre non era sufficientemente intenso per trattenerli. In una seconda fase quindi l’atmosfera terrestre può essere stata composta dai gas emessi per l’attività dei vulcani. Questi sono in primo luogo l’H2O e poi CO2, SO2, N2. L’anidride solforosa però non resta in atmosfera perché in presenza di H tende a reagire formando acido solforico (H2SO4) che precipita con le piogge. Prima che l’H2O passasse alla forma di vapore, in pratica, l’atmosfera era composta solo da anidride carbonica e da azoto molecolare e quindi completamente priva di ossigeno libero visto che la CO2 è un gas che tende a non reagire. Infatti la presenza di materiali ferrosi non ossidati risalenti a 1,8 x109 anni fa pensare che dall’origine della terra (4 x109 anni fa) fino a quel momento non fosse presente ossigeno in atmosfera. Ma allora come si è creato l’ossigeno che ora è presente nella atmosfera? Le reazioni di produzione dell’ossigeno sono la fotolisi e alcuni processi vitali come per esempio la fermentazione delle alghe e la fotosintesi. La reazione di fotolisi è la dissociazione dell’acqua attraverso la radiazione luminosa, ma certamente non tutto l’ossigeno ha avuto questa origine. Infatti la fotolisi è autocontrollante, cioè l’ossigeno formato attraverso la reazione ha anche la capacità di bloccarla. Si pensa che l’l% dell’ossigeno presente oggi si sia formato per fotolisi. E poiché gli altri due processi presuppongono la presenza di forme di vita (seppure elementare come le alghe) si è portati a pensare che la presenza di ossigeno sia il prodotto della vita e non la causa della sua nascita come si era fino a qualche tempo fa pensato. Poiché è proprio lo strato di O3 (ozono) stratosferico che blocca le radiazioni ultraviolette provenienti dal sole, con una atmosfera come quella primordiale tutti i raggi solari cadevano sulla superficie e quindi si pensa che le prime forme di vita abbiano avuto luogo in pozze d’acqua profonde almeno una decina di metri (infatti dieci metri di acqua ferma possono bloccare la radiazione per assorbimento). Nel 1953 S. Miller fece passare una scarica elettrica attraverso un miscuglio di CH4, NH3, H2 e H2O racchiuso in un sistema isolato e dopo circa una settimana scoprì che l’acqua conteneva un insieme di piccoli composti organici, tra cui una discreta quantità di due aminoacidi semplici presenti in tutte le proteine. Se si suppone che vi fosse una forte attività temporalesca la vita può essersi formata in questo modo. I primi viventi più evoluti possono essere stati proprio le alghe le quali, come si è visto, per fermentazione producono ossigeno. A questo punto l’ossigeno poteva cominciare ad accumularsi in atmosfera, formare lo strato di ozono che impedisce all’ultravioletto di attraversare l’atmosfera, e permettere alla vita di uscire dall’acqua. L’atmosfera odierna è composta principalmente di azoto e di ossigeno presenti rispettivamente per il 78% e il 21%, poi da argon per l’1l% e infine da gas in percentuale molto più bassa, le cui concentrazioni si esprimono generalmente in parti per milioni (ppm). Questi gas sono la CO2 presente attualmente in 340 ppm, il Ne in 18 ppm, l’O3 in 50 ppm a 30 km di quota, l’H2O che passa da 10.000 ppm in prossimità del suolo a circa 1 ppm a 10 km di quota, e il CH4 in 3,5 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra ppm. L’unico gas la cui concentrazione tende ad aumentare è la CO2 e vedremo più avanti i problemi che questo aumento comporta, mentre gli altri tendono a rimanere costanti. 9.2. Struttura verticale dell’atmosfera. Grandi divisioni verticali La suddivisione più nota è quella basata sulla divisione verticale della temperatura che divide l’atmosfera in quattro regioni: la troposfera, la stratosfera, la mesosfera e la termosfera separate da tre sottili fasce di transizione che hanno il nome di tropopausa, stratopausa e mesopausa. La troposfera è la zona più vicina al suolo ed è caratterizzata da un gradiente termico irregolare ma in complesso decrescente con l’altezza. La sua temperatura media presso il suolo si aggira attorno ai 15°C e verso l’alto la sua diminuzione di temperatura avviene con un gradiente di circa 6,4°C per Km di altezza tanto che nella tropopausa la temperatura tocca valori di circa -55°C. La massa Fig.9.1 - La stratificazione dell’atmosfera in base ai valori della troposfera contiene i della temperatura e alla composizione chimica; nel grafico a 3/4 della massa dell’intera sinistra è indicata la variazione altimetrica della pressione. (Da Pinna). atmosfera terrestre ed è qui che avvengono tutti i fenomeni meteorologici più intensi. La temperatura della stratosfera si mantiene costante per circa 20 km poi comincia ad aumentare ma molto lentamente, poi più rapidamente al di sopra dei 30 km. L’innalzamento della temperatura sembra dovuto alla presenza di ozono e di ossigeno atomico e molecolare i quali assorbono le radiazioni solari nell’ultravioletto e l’atmosfera si riscalda in quanto aumenta la sua agitazione molecolare. La mesosfera è caratterizzata da una forte diminuzione di temperatura che porta, all’altezza della mesopausa, a valori di circa -75°C. Da questa altezza in poi inizia la termosfera caratterizzata da una inversione di temperatura molto marcata che la porta ad avere valori al di sopra dei 1000°C attorno ai 300 Km (Fig.9.1). 9.3. Densità e limiti dell’atmosfera Per quanto riguarda la densità possiamo ricordare che mentre presso il suolo in un cm3 di aria si trovano 2,5 x109 molecole, che si muovono con una grande velocità e subiscono un grande numero di collisioni al secondo esse si riducono a 3,5x103 a 100 Km e a 105 a 700 Km. Esiste un livello al di sopra del quale la probabilità di collisione tra le molecole diventano ridottissime per cui singole particelle possono allontanarsi liberamente con la velocità acquisita negli urti e sfuggire dall’atmosfera nello spazio esterno. Si 2 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra può dire che non esiste un vero limite superiore dell’atmosfera, dato che questa col crescere dell’altezza diventa sempre più rarefatta finché la sua densità diventa uguale a quella dell’atmosfera solare con la quale finisce per confondersi. 9.4. La troposfera Si è visto che la troposfera è caratterizzata da una diminuzione della temperatura e della pressione con l’altezza. Inoltre nella troposfera si trova la quasi totalità del vapore acqueo che l’atmosfera contiene in sè, proveniente dall’evaporazione degli oceani, dalle acque continentali e da processi vitali del mondo biologico. Secondo il meteorologo H.R. Byers l’altezza della tropopausa, limite superiore della tro-posfera, alla quale cessa la diminuzione di temperatura, rappresenta Fig. 9.2 Suddivisione verticale dell’atmosfera (da Pinna). l’altezza massima cui può estendersi il riscaldamento dell’atmosfera da parte della superficie terrestre, e corrisponde dunque alla massima estensione verticale dei moti convettivi che portano il calore verso gli strati elevati. In tal modo si spiegherebbe il fatto che al polo la tropopausa è più bassa che all’equatore (fig. 9.2). Del resto si sa anche che l’altezza della tropopausa varia col variare delle situazioni meteorologiche e risulta più alta sopra le zone di alta pressione. Se è vero che la troposfera è caratterizzata dalla diminuzione della temperatura con l’altezza, tale diminuzione non è sempre regolare e si possono avere spesso degli strati di inversione. Le cause delle inversioni sono diverse, di solito, a seconda della quota alla quale questi fenomeni si realizzano. Le inversioni al suolo si verificano durante le ore notturne e nei periodi freddi quando il suolo ha temperatura minore dell’aria sovrastante a causa dell’irraggiamento. Le inversioni in quota si verificano quando una massa d’aria si incunea sotto l’aria calda. Questi strati di Fig.9.3 Variazione del gradiente termico negli strati più bassi: a sinistra, inversione al suolo (h1 è l’altezza al la quale l’inversione inversione sono cessa e t1 la temperatura che si avrebbe al suolo se non ci fosse facilmente l’inversione); al centro, inversione in quota, nello strato compreso fra h1 e h2; a destra, surriscaldamento al suolo (il gradiente molto individuabili se forte cessa alla quota h1). (Da Pinna). si osserva la disposizione orizzontale delle nubi o dei gas. Nei pomeriggi d’estate si verifica invece il processo di surriscaldamento del suolo che porta a una forte variazione nel valore del gradiente (fig.9.3). 3 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra 9.5. La stratosfera In questa zona i fluidi atmosferici sono stratificati. Questo fatto, unito alla presenza di un gradiente termico positivo, rende la stratosfera difficilmente oltrepassabile. Dal punto di vista termodinamico una stratificazione con aumento di temperatura con la quota determina il rallentamento delle masse gassose che si muovono verso l’alto: infatti una massa che si innalza si espande e si raffredda, indipendentemente dalla temperatura dei fluidi circostanti, fino a raggiungere una temperatura minore di questi e quindi torna verso il basso. Per sfondare questo tetto occorre una alta energia cinetica: se per esempio una massa di gas è scagliata verso l’alto da una esplosione riesce a raggiungere certe quote, si rimescola con l’aria portandosi alla sua temperatura e stratificandosi a tale quota. Se qualcosa penetra nella stratosfera e non ritorna verso il basso non viene più rimosso per decine di anni. Gli aerei che volano al di sopra dei 17 km non hanno problemi di nubi nè di turbolenza. 9.6. Movimenti verticali e condizioni di stabilità e instabilità della atmosfera Tra i movimenti verticali delle masse d’aria nell’atmosfera hanno particolare importanza quelli che si verificano senza essere accompagnati da scambi di calore con l’atmosfera circostante. Tali processi si definiscono adiabatici. Se una massa d’aria si solleva essa espandendosi diminuisce la sua pressione. Dato che le molecole d’aria espandendosi compiono un lavoro, la loro temperatura si abbassa. Viceversa se la massa si sposta verso il basso si comprime ed aumentano la sua pressione e la sua temperatura. Molti fenomeni di espansione e compressione che avvengono nella atmosfera si possono ritenere adiabatici per la rapidità con cui si verificano. L’aria secca che si muove adiabaticamente ha un gradiente di 1°C per 100 m; questo si definisce gradiente adiabatico. Se dunque una massa d’aria si solleva verso l’alto in una atmosfera che ha esattamente un gradiente di 1°C ogni 100 m essa si troverà in equilibrio termico con l’aria circostante. Se il movimento avviene in una atmosfera Fig.9.4 - Il gradiente adiabatico. con gradiente termico maggiore di quello adiabatico l’aria alzandosi si raffredda, senza mai tuttavia raggiungere le basse temperature che caratterizzano l’atmosfera circostante. La massa d’aria in movimento rimane sempre meno densa di quella che la circonda, per cui viene spinta ancora più in alto e si allontana sempre più dalla sua posizione di partenza. Se lo spostamento avviene invece verso il basso la massa si riscalda, ma senza raggiungere il livello termico dell’aria circostante e quindi conserva una maggiore densità che la spinge ancora più in basso. Si dice allora che è in equilibrio instabile. 4 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra Se invece si ha un gradiente minore dell’adiabatico una quantità di aria spostandosi verso l’alto, si raffredda più della atmosfera circostante, diventa perciò più densa e più pesante; di conseguenza viene spinta di nuovo verso il basso e si avvicina alla posizione di partenza. Se il movimento avviene verso il basso la massa si riscalda più della atmosfera circostante rispetto alla quale rimane meno densa; essa è risospinta verso l’alto e si avvicina nuovamente alla sua posizione di partenza: si dice che è in equilibrio stabile (fig.9.4). I processi esposti diventano più complessi quando si prende in considerazione l’aria contenente una certa quantità di vapore di acqua. Questa infatti contiene sempre una certa quantità di energia sotto forma di calore latente di evaporazione o calore latente di condensazione qualora si verifichi uno di questi cambiamenti di stato. L’aria, a seconda della sua temperatura può contenere una certa quantità di vapore d’acqua senza che questo condensi; questa quantità è espressa attraverso la capacità igrometrica. Essa aumenta con la temperatura; così quando una massa d’aria si innalza (e quindi si raffredda) la sua capacità igrometrica diminuisce e parte dell’acqua condensa sotto forma di pioggia. D’altra parte il processo di condensazione libera il calore latente di condensazione che riscalda l’aria opponendosi al fenomeno da cui è generato. 9.7. Fattori ed elementi del clima: fattori cosmici e geografici Il clima differisce da luogo a luogo a causa delle variazioni che si hanno nella quantità nell’intensità e nella distribuzione spaziale di alcuni elementi come la temperatura, la pressione e l’umidità. Alcuni dei fattori che causano queste variazioni sono definiti cosmici perché dipendono dalla forma e dalla posizione della terra nel sistema solare; altri si considerano geografici perché connessi con i caratteri essenziali della superficie terrestre. I fattori cosmici che influenzano il clima sono: il movimento di rivoluzione della terra, l’eccentricità dell’orbita terrestre, il movimento di rotazione, l’incidenza dei raggi solari e la forma sferica della terra. Il movimento di rivoluzione si svolge lungo un’orbita ellittica il cui piano non coincide con quello equatoriale. I due piani so no inclinati tra loro di 23°27’. Ciò vuol dire che l’asse terrestre forma un angolo di 66°33’ col piano dell’eclittica. La conseguenza di ciò è che il sole è allo zenit dell’equatore solo due volte all’anno, cioè nei due equinozi, mentre nei due solstizi il sole è allo zenit dei tropici. E’ importante tener conto dell’altezza del sole all’orizzonte perché la quantità Fig. 9.5 - L’attenuazione della radiazione in arrivo è tanto maggiore uuanto maggiore è lo spessore di atmosfera che deve attraversare.(Da: di calore che PPinna) arriva in un punto qualsiasi della terra dipende dai raggi solari. Poiché l’orbita terrestre è un’ellisse eccentrica è divisa dalla linea equinoziale in due parti diseguali; la prima delle due ha minore lunghezza ed è percorsa dalla terra con velocità maggiore, mentre l’altra, più lunga è percorsa più lentamente. Da ciò deriva la diversa durata delle stagioni, cioè il fatto che nel nostro emisfero il semestre primavera-estate è più lungo di 7 giorni e 6 ore rispetto a quello autunno-inverno. 5 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra Il movimento di rotazione porta l’alternarsi dei giorno e della notte e permette una distribuzione pressoché omogenea della radiazione solare su tutto il globo. Questo porta a una variazione di temperatura durante le 24 ore, fenomeno molto sensibile allo equatore e ai tropici e di meno man mano che ci si avvicina ai poli. I raggi del sole nell’attraversare l’atmosfera sono in parte assorbiti e in parte deviati e diffusi in essa; la diminuzione del loro potere calorico sulla superficie terrestre è tanto più forte quanto maggiore è lo strato atmosferico che i raggi attraversano, cioè quanto maggiore è la loro obliquità come si può vedere nella fig.9.5. La perdita di energia che subiscono i raggi solari nell’attraversare l’atmosfera viene calcolata con la formula di Bouguer: E’ = E pm (9.1) Dove E = energia che giunge al margine esterno dell’atmosfera E’ = energia che attraversa l’atmosfera p = coefficiente di trasparenza dell’atmosfera m = spessore dell’aria mentre la quantità di energia che giunge al suolo è proporzionale all’angolo di incidenza ”i” secondo la formula: E” = E' sin i (9.2) e perciò sostituendo nella (9.2) il valore di E’ ricavato nella (9.1) si avrà: E” = E pm sin i (9.3) Si può osservare come E” è massima quando i = 90° il che accade solo tra i due tropici. Oltre i tropici E” diminuisce fino a diventare piccolissima ai poli. I fattori geografici che influenzano il clima sono parecchi. La ineguale distribuzione delle terre e dei mari comporta ad esempio delle conseguenze: i mari si riscaldano e raffreddano molto più lentamente poiché hanno una capacità termica maggiore di quella delle terre emerse e ciò è l’origine di forti contrasti climatici. I climi marittimi hanno oscillazioni annuali attenuate mentre i climi continentali sono caratterizzati da forti differenze di temperatura tra i mesi estremi. Tra gli altri fattori geografici ricordiamo le correnti marine, l’orientamento dei grandi sistemi montuosi, i laghi, il carattere del suolo, la vegetazione. 9.8 Radiazione solare e temperatura dell’aria La radiazione solare è la principale fonte di energia per l’atmosfera e la superficie terrestre. Solo una parte dell’energia emessa dal sole raggiunge la terra; il resto viene disperso lungo il tragitto terra-sole o assorbito e riflesso dall’atmosfera. La quantità di energia trasportata dalla luce solare al limite esterno dell’atmosfera, quando la terra si trova a una distanza media dal sole, è di 1367 watt/cm2 ed è detta costante solare. La radiazione solare è costituita da diverse componenti che vengono assorbite in maniera differente a seconda della loro lunghezza d’onda dagli elementi che compongono l’atmosfera. Nel visibile l’atmosfera è praticamente trasparente; nell’ultravioletto la radiazione è quasi completamente assorbita dall’ozono mentre nell’infrarosso si hanno molte bande di assorbimento da parte dell’anidride carbonica e del vapore acqueo. La figura 9.6 mostra la quantità di radiazione che giunge effettivamente sulla terra. Il 49% della radiazione che giunge al limite dell’atmosfera è riflesso e assorbito dall’atmosfera stessa, dalle nubi e dal 6 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra pulviscolo. Il restante 51% penetra l’atmosfera e il 14% giunge sulla terra dopo essere stato riflesso dalle nubi, l’11% dall’atmosfera, il 26% è radiazione diretta mentre il 4% viene riflesso dall’albedo terrestre. Come abbiamo visto la quantità di energia che giunge al suolo è massima sulla fascia tropicale, avremo quindi una eccedenza di energia in questa zona e ai poli un deficit. La terra però tende a compensare questa differenza energetica distribuendo l’eccedenza di energia su tutta la sua superficie. Dallo studio della ripartizione dell’energia solare sulla superficie terrestre si è dedotto che vi è una relazione di retta tra entità della radiazione ricevuta e temperatura: infatti nelle zone con bilancio radiativo positivo si ha un clima più caldo (fig.9.7). Fig.9.6 - La radiazione solare diretta e la radiazione La relazione che lega la diffusa in arrivo sulla superficie terrestre. (Da Pinna) temperatura all’intensità della radiazione dipende anche dalla latitudine secondo la legge: Tc = Qs(102—1.2 A) dove Fig.9.7 Distribuzione secondo la latitudine del bilancio tra l’energia solare in arrivo e l’energia dissipata nell’emisfero nord. E’ indicato il passaggio di energia verso il polo che assicura l’equilibrio termico (Da Pinna). Tc = valor medio annuo della temperatura a livello del mare in °C; Qs = valor medio annuo dell’intensità della radiazione globale in Cal/cm2 min; A = latitudine. 9.9. La pressione atmosferica e le carte isobare L’aria, poiché ha un suo peso, esercita una pressione che può raggiungere valori molto elevati a causa della grande massa della atmosfera. Ciò fu intuito per la prima volta da Torricelli che ideò il metodo per misurare tale peso. Lo strumento atto per la misurazione della pressione è il barometro, il cui funzionamento è illustrato in fig. 9.8. Esso è costituito da un tubo a U riempito di mercurio. Sulla sezione di un braccio del tubo grava la pressione atmosferica che determina l’innalzamento dei livello del mercurio nell’altro braccio, chiuso superiormente e nel quale vi è il vuoto. In condizioni statiche la pressione idrostatica è uguale in tutti i punti 7 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra del fluido, cioè P1 = P2 P1 = Patm + δgx P2 = δgx + δ gh (9.4) (9.5) dove δgx è il peso della colonna di mercurio di altezza x mentre δgh è il peso della colonna di altezza h. Da cui all’equilibrio: Patm + δgx = δgx + δgh (9.6) Patm = δgh La misura della pressione atmosferica è ottenibile dalla sola misura della quota h raggiunta dal mercurio nel tubo chiuso rispetto alla superficie libera. In condizioni standard la pressione equivale a 760 mm di Hg. Dato che un cm3 di Hg pesa 13,59 g la pressione standard è di 1032 gr/cm2. Questa unità è detta Atmosfera. Altre misure della pressione (che è una forza divisa per una superficie) sono: 1 BAR = 106 dyne/cm2 mb = millibar = 1 hectopascal Per convenzione internazionale la pressione si misura in millibar. In questa unità la pressione standard è 1013 mb. Quando si vuole studiare la situazione meteorologica in un dato momento e si vuole prevedere la sua evoluzione in un futuro immediato, è necessario conoscere la Fig.9.9 - Vari tipi di configurazioni isobariche. distribuzione geografica della pressione. Tale distribuzione si può rappresentare mediante del le carte nelle quali si tracciano delle linee dette isobare che uniscono i punti di uguale pressione. Tra i principali tipi di configurazioni isobariche si riportano quelle di fig.9.9 e cioè: a) La depressione o area ciclonica costituita da linee chiuse nella quale il valore della pressione decresce verso il centro. b) L’anticiclone, costituito pure da linee chiuse ma assai meno regolari nei quale il valore della pressione è massimo ai centro e decresce verso la periferia. c) La saccatura, dove l’area di bassa pressione si espande e deforma le isobare a forma di cuspide. d) Il cuneo o promontorio: si forma nel caso in cui l’area di alta pressione si espande da un anticiclone. e) Il pendio: un’area di pressione regolarmente decrescente. 8 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra 9.10. I venti Il vento si può definire come una corrente determinata dallo spostamento di una massa d’aria da un luogo all’altro: tale spostamento trae origine da differenze di pressione che a loro volta dipendono in gran parte da differenze di temperatura. Altri fattori importanti, tra cui la deviazione provocata dalla rotazione terrestre, influenzano in misura naturale tutti i movimenti atmosferici. Quando tra due zone esiste una differenza di pressione l’aria si mette in movimento dall’alta verso la bassa pressione per ristabilire l’equilibrio (fig.9.10). Nella realtà si nota che il vento è deviato da tale direzione dalla rotazione terrestre. Supponiamo che una particella d’aria si sposti lungo un meridiano dall’equatore verso nord. All’equatore la velocità lineare della particella dovuta alla rotazione terrestre è massima perché proporzionale alla distanza dall’asse della terra. Muovendosi verso nord raggiunge luoghi che hanno velocità lineare minore e ciò fa sì che essa si sposti con velocità maggiore rispetto a quella dei. punti del parallelo sul quale è giunta. Nel nostro emisfero le correnti d’aria tendono quindi a spostarsi verso destra, nell’emisfero boreale verso sinistra (fig.9.11). Tra i venti che interessano aree molto limitate della superficie terrestre, ma che spirano con precisa periodicità in quanto lega ti a particolari condizioni geografiche, i più frequenti sono le brezze di mane e di terna. Queste sono causate dalla differenza di capacità termica della terra e del mare (Cm » Ct) Durante il giorno, poiché il terreno si riscalda molto di più del mane, le masse d’a-ria con esso a contatto si riscaldano risalendo verso l’alto e dando 9 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra luogo, per essere rimpiazzate, ad un movimento dal mare verso la costa detto brezza di mare (fig.9.12). Durante la notte il processo si inverte: la temperatura del mare è maggiore di quella della terra, si forma una depressione sul mare che da luogo alla brezza di terra (fig. 9.13). 9.11. L’umidità dell’aria e le precipitazioni Il vapore acqueo dell’atmosfera ha origine dalla evaporazione degli oceani e in minor misura dalla evaporazione che interessa le acque presenti sui continenti. L’evapora-zione dell’acqua varia con la latitudine: è elevata all’equatore, aumen ta in corrispondenza delle zone tropicali e subtropicali aride, al di là delle quali diminuisce progressivamente in direzione dei poli. Il grado di umidità dell’aria si può e-sprimere mediante diverse grandezze, come l’umidità assoluta, Fig. 9.14 - Carta delle precipitazioni annue medie per l’Italia, Sicilia e Sardegna(Da Pinna). l’umidità relativa e l’umidità specifica. L’umidità assoluta è la massa di vapore contenuta in una unità di volume di aria e si esprime in g/m3. Si è già visto che l’umidità assoluta per un volume di aria non può aumentare all’infinito ma anzi Fig.9.15 Rappresentazione a curve isoiete delle piogge cadute sul bacino non può del Biferno nel periodo da]. 26 al 29 marzo 1928 (Servizio Idrografico) 10 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra superare un certo limite che è funzione della temperatura. Quando a una data temperatura l’aria contiene la quantità massima di vapore acqueo che può contenere si dice satura. La tensione di vapore è quella parte di pressione atmosferica che è dovuta al solo vapore e si misura in millibar. L’umidità specifica è il rapporto tra la massa di vapore acqueo e la massa di aria umida nella quale la prima è contenuta. L’umidità relativa è il rapporto espresso in percentuale tra la quantità di vapore acqueo presente in una determinata massa di aria e la quantità massima che potrebbe esservi contenuta a quella temperatura. Infine si definisce temperatura del "punto di rugiada" temperatura più bassa alla quale una massa d’aria umida può essere raffreddata, a pressione costante, senza che si abbia condensazione. Quando una massa d’aria umida si solleva nella atmosfera e espandendosi diminuisce la sua temperatura, può accadere che la quantità di vapore d’acqua presente nella massa superi il punto di saturazione. Raggiunta la saturazione ha inizio la condensazione del vapore e se vengono raggiunti valori di temperatura al di sotto di 0°C si ha la formazione di ghiaccio. Quando il fenomeno della condensazione avviene in quota si ha formazione di nubi e si originano le precipitazioni. Perché si formino le goccioline è necessario che siano presenti nella atmosfera dei corpuscoli minutissimi attorno ai quali le molecole del vapore d’acqua possono aggregarsi per dare luogo allo stato liquido. Questi nuclei sono per la maggior parte di origine terrestre e derivano da fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche e da varie attività umane come la combustione del carbone e del petrolio. A volte questi nuclei sono costituiti da inquinanti prodotti dal l’uomo e le piogge che si originano dalla condensazione attorno a questi sono le piogge acide. In genere quando si ha la formazione di nubi una possibile conseguenza è la precipitazione. Alla formazione della pioggia concorrono vari fenomeni i cui meccanismi non sono stati ancora chiariti. Infatti non è ancora noto come avviene il passaggio dalle goccioline che costituiscono le nubi, che hanno generalmente un diametro compreso tra 10 e 25 micron, alle gocce di pioggia che hanno un diametro variabile da 500 a 3000 micron. Resta cioè da spiegare da dove provenga tutta l’acqua necessaria per formare gocce il cui peso sia tale che esse non possono più essere tenute in sospensione e cadono sulla superficie. Le precipitazioni si misurano in mm e con i dati raccolti da varie stazioni pluviometriche è possibile costruire delle carte della distribuzione delle precipitazioni tracciando le linee di uguale piovosità dette isoiete (fig. 9.14 e fig. 9.15). 9.12. Misura degli elementi dei clima La misura degli elementi dei clima può essere effettuata con appositi strumenti; è possibile anche elaborare i dati ottenuti attraverso l’uso di computers. La quantità di energia solare che giunge sulla terra può essere valutata con un PIRANOMETRO; questo strumento rileva l’intensità di radiazione emesse che incide su un certo piano, da qualsiasi direzione essa provenga: infatti ha una sensibilità geometrica pari a 2 π. Il piranometro è sensibile a qualsiasi radiazione elettromagnetica non operando alcuna selezione sulle lunghezze d’onda. Esso è comunemente costituito da un Fig. 9.16 – Schema di un piranometro. sistema di termocoppie che utilizzano l’effetto Seebeck. La termocoppia è un circuito formato da due rami di metallo differente e due giunzioni (fig. 9.16). La giunzione 1 è stata dipinta di nero ed esposta alla radiazione solare, la giunzione 2 è opportunamente schermata. La giunzione 1 si riscalda in funzione della radiazione assorbita dando luogo a 11 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra una differenza di potenziale nel circuito rivelabile da un voltmetro posto in parallelo. Dal valore della differenza di potenziale si ricavano le informazioni sulla intensità della radiazione solare. Il PIROELIOMETRO è invece uno strumento che misura l’intensità della radiazione proveniente da una precisa direzione: questo è ottenibile collimando la radiazione solare attraverso un cannocchiale di apertura 0,5°. Per poter effettuare misure efficaci è necessario che il piroeliometro sia munito di un sistema ruotante che gli permetta di seguire la traiettoria solare intercettando sempre la stessa radiazione. La temperatura ambientale è misurata per mezzo di termometri; per ottenere valori attendibili è necessario che la misura avvenga lontano da fonti di calore e ad una certa altezza dal suolo. Alcuni strumenti particolari posti al suolo possono fornire un profilo della temperatura dell’aria fino a 1500 m di quota. La velocità dei vento può essere misurata con 1’ANEMOMETRO A COPPE; questo è composto da un mulinello con tre o quattro bracci che terminano con una coppa concava affinché esso giri sempre nei la stessa direzione. Dal numero di giri che il vento fa. compiere al mulinello è possibile risalire alla misura della sua velocità. La direzione dei vento è ottenuta attraverso l’analisi dei tracciato di un SINCRORIPETITORE che ripete fedelmente i movimenti di una banderuola cui è collegato. Per la misura della pressione atmosferica si fa uso dei BAROMETRI il cui principio di funzionamento è già stato descritto. Il barometro è anche provvisto di strumenti atti alle correzioni delle misure, da considerare quando fattori come la temperatura e la gravità subiscono delle variazioni che possono influenzare la pressione. Il BAROGRAFO registra la variazione di pressione nel tempo. L’umidità relativa dell’aria è misurata con 1’IGROMETRO; l’elemento sensibile di questo strumento è un fascio di capelli la cui lunghezza varia in funzione dell’umidità. Queste variazioni vengono registrate su grafico da una penna scrivente ottenendo l’andamento nel tempo dell’umidità relativa dell’aria. La misura delle precipitazioni è effettuata con un PLUVIOGRAFO che è costituito da una vaschetta di raccolta e da una bilancia che fa scattare un giogo ogni 20 gr d’acqua, cioè ogni 0,2 mm. I1 movimento del giogo è collegato a un braccio scrivente che permette di ottenere il diagramma delle precipitazioni nel tempo. 9.13. Tipi e varietà di climi: classificazione dei climi I diversi elementi meteorologici quali la temperatura, le precipitazioni, il vento, non concorrono isolatamente a formare il clima di una località della terra, bensì combinando tra loro i valori medi si ottengono un altissimo numero di combinazioni possibili. I parametri meteorologici che si considerano di solito per classificare i climi in classi sono la temperatura della aria e la piovosità. E nonostante entrino in gioco solo questi due caratteri esistono vari criteri di classificazione basati o sulla distribuzione di vari paesaggi e di modellamento del terreno, o sui fenomeni dinamici dell’atmosfera, o sul rapporto tra il clima e la distribuzione delle forme vegetali. Si può prendere come base la distribuzione della radiazione solare e si ottiene una classificazione a carattere zonale, basata sulla temperatura. Si ottengono i seguenti tipi di climi: 1) il clima tropicale (t > 20°); 2) il clima subtropicale (10° < t < 20°); 3) il clima temperato (4 mesi t > 20°, da 4 a 12 mesi 10° <t <20°, e meno di 4 mesi t < 10°); 4)il clima freddo (da 1 a 4 mesi con 10° < t < 20°, da 8 a 11 con t < 10°); 5)il clima polare (t < 10°). Oppure si può prendere come base per la classificazione la circolazione dei venti e si ottengono delle zone un pò differenti dalle precedenti: 1) la zona equatoriale dei venti occidentali; 2) la zona tropicale marginale (piogge estive e alisei invernali); 12 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra 3) la zona tropicale arida (alisei); 4) la zona subtropicale (clima mediterraneo); 5) la zona dei venti occidentali extratropicali; 6) la zona subpolare (venti orientali polari in estate); 7) la zona polare dei venti orientali. E infine si possono classificare in base al grado di umidità e di aridità attraverso il calcolo dell’indice di umidità globale. Molto spesso, tanto nei climi caldi che in quelli temperati, a una stagione con eccedenza idrica ne segue un’altra con deficit di acqua, ma si presuppone che il ripristino della riserva idrica al suolo nella stagione piovosa non possa neutralizzare la carenza d’acqua nella stagione successiva, in quanto il deficit ha inizio non appena la più piccola quantità d’acqua viene sottratta al suolo dall’evapotraspirazione. Pertanto bisogna tenere nel conto sia l’indice di umidità che quello di aridità. In base a una classificazione più qualitativa e basata su tutti i fattori climatici si ottengono i principali tipi di clima attuale: 1) i climi caldi umidi, caratterizzati dalla mancanza di un vero inverno e con una escursione annua contenuta entro limiti modesti. Un po’ più accentuata è l’escursione diurna, e molto accentuato il regime annuo delle precipitazioni; 2) i climi aridi caratterizzati da un bilancio deficitario tra precipitazioni e evapotraspirazione. Si suddividono a loro volta in climi desertici e climi della steppa; 3) i climi mesotermici umidi, caratterizzati da una grande variabilità dei tempo e della temperatura, propri delle medie latitudini. Appartiene a questo tipo il clima mediterraneo, con inverni miti e estati calde e una concentrazione di piogge nei mesi freddi; 4) i climi microtermici con inverni lunghi e freddi durante i qua li il suolo rimane quasi sempre coperto di neve. L’estate è calda e può raggiungere temperature molto elevate; 5) i climi polari con freddi intensi per quasi tutta la durata dell’anno. Si distinguono per la mancanza di un pur breve periodo caldo e per la piccola escursione diurna della temperatura. 9.14. Variazioni climatiche nel tempo: teoria di Milankovitch dei cicli climatici Sebbene le condizioni meteorologiche siano estremamente variabili, di solito una variazione notevole della temperatura o delle precipitazioni è seguita da un ritorno a valori medi o normali in tempi relativamente brevi. Sappiamo però da studi geofisici e geochimici che il clima della terra cambia radicalmente in tempi dell’ordine di migliaia o milioni di anni. Per la maggior parte della sua storia la terra sembra essere stata praticamente priva di ghiacci; a partire da alcuni milioni di anni fa però la terra è andata soggetta a glaciazioni cicliche. Al culmine di una glaciazione la temperatura della terra è inferiore di circa 2÷3°C per poi risalire lentamente in qualche migliaio di anni a valori normali. Si è cercato di dare una risposta al perché di queste variazioni climatiche così drastiche studiando dei modelli di clima legati a modificazioni di carattere astronomico. La teoria astronomica delle modificazioni dei clima considera le variazioni di quantità di energia solare ricevuta dalla terra legata a tre parametri dell’orbita terrestre attorno al sole che variano periodicamente. Il primo di questi è l’inclinazione dell’asse terrestre che ha un periodo di circa 40.000 anni; il secondo è la direzione dell’asse terrestre che ha un periodo di circa 20.000 anni (precessione degli equinozi); il terzo è l’eccentricità dell’orbita che ha un periodo di 100.000 anni. Alla luce di questa teoria è possibile calcolare l’entità delle modificazioni dei clima dovute a questi fattori per milioni di anni nel passato e nel futuro. La teoria astronomica è nota come teoria di Milankovitch, lo scienziato jugoslavo che studiò questo problema negli anni ‘20 e ‘30. Secondo la sua teoria il fattore chiave che determina il clima non è la quantità di radiazione solare complessiva che il pianeta riceve nello anno, ma la quantità di radiazione 13 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra ricevuta dall’emisfero boreale alle alte latitudini, durante l’estate. L’inclinazione dell’asse terrestre, che determina l’orientazione più o meno accentuata del polo nord verso il sole durante l’estate, è quindi il parametro che ha la massima influenza sulla quantità di radiazione che l’emisfero boreale riceve durante l’estate. La direzione dell’asse terrestre stabilisce se al perielio (punto dell’orbita in cui la terra è più vicina al sole) corrisponde l’estate australe o boreale. Mentre l’eccentricità dell’orbita Fig. 9.17 - La teoria di Milankovitch dei cicli climatici influisce sulla quantità di durante le epoche glaciali del passato più vicino afferma che radiazione che la terra riceve il meccanismo modificatore è il mutamento dell’insolazione estiva (la radiazione solare incidente) dell’emisfero boreale, al perielio, ma in misura dovuto alla variazione di tre parametri dell’orbita terrestre molto modesta in realtà, attorno al Sole. I due parametri che determinano il periodo delle fluttuazioni nell’insolazione dell’emisfero boreale sono quindi la modificazione dei l’angolo di inclinazione dell’asse terrestre, cioè l’angolo tra l’asse e il piano dell’eclittica (che stabilisce in che misura clima sul periodo di 100.000 il polo nord punta verso il Sole durante l’estate dell’emisfero anni è molto debole. boreale), e la direzione in cui punta l’asse (che determina se al perielio, il punto dell’orbita terrestre in cui la Terra è La prova più chiara a più vicina al Sole, corrisponda l’estate dell’emisfero boreale favore di questa teoria è o quella dell’emisfero australe). L’influenza modificatrice del-l’orbita (a) oscilla con questi parametri, che hanno costituita dal rapporto tra due periodi, rispettivamente, di 40.000 e di 20.000 anni. Il isotopi dell’ossigeno, O18 e rapporto tra le quantità dell’isotopo pesante ossigeno 18 e di quello più leggero ossigeno 16 nei sedimenti marini da una l'O16 nei sedimenti marini misura dei volume complessivo dei ghiacci sulla Terra. Durante (fig. 9.17). il moto verso i poli di aria satura di vapore acqueo, infatti, le molecole d’acqua che contengono l’isotopo più pesante Quando una massa tendono a separarsi prima sotto forma di pioggia, e quindi la neve che cade alle latitudini più elevate risulta arricchita di d’aria si allontana dall’equaossigeno 16. Di conseguenza nei periodi freddi, quando la neve tore le precipitazioni che da si accumula sulle terre emerse, gli oceani vengono arricchiti di ossigeno 18. Il rapporto tra gli isotopi in due carote di essa derivano contengono sedimento rappresentative trivellate in alto mare, una preferibilmente le molecole proveniente dall’Oceano Indiano meridionale (e) e l’altra dal Pacifico (d), misurato da John Imbrie e dal figlio John d’acqua composta da O18 che Z.Imbrie della Brown University, oscilla in effetti con periodi avendo massa maggiore di 40.000 e 20.000 anni, ma si potrebbe descrivere meglio come una curva a dente di sega con un periodo di circa 100.000 anni. pesano di più. Un modello del clima elaborato dagli Imbrie (b), che ipotizza un lungo periodo di ritardo prima che i ghiacci inizino ad La neve che cade alle accumularsi in risposta alla diminuzione dell’insolazione e un latitudini più elevate, invece, ritardo molto più breve per la fusione dei ghiacci dopo un aumento dell’insolazione, da un’i-dea di come le variazioni del contiene quantità maggiori di l l i d i hi i O16 essendosi le masse d’aria 18 già impoverite di O all’equatore. Per questo quando la neve si accumula sulle terre emerse, l’oceano risulta 14 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra arricchito di O18. Le variazioni dei rapporto tra i due isotopi nei sedimenti formatisi in acque profonde, riflettono quindi le variazioni complessive dei volume dei ghiacci. L’analisi della composizione isotopica dell’os-sigeno nei sedimenti marini relativamente agli ultimi 500.000 anni rivela forti oscillazioni dei volume dei ghiacci con periodi di 40.000 e 20.000 anni. Inoltre si è riscontrato un aumento regolare del volume globale dei ghiacci per circa 100.000 anni seguito da una diminuzione improvvisa. 9.15. Variazioni antropogeniche del clima Variazioni climatiche locali o planetarie possono essere provocate dall’uomo attraverso l’immissione in atmosfera di prodotti inquinanti. Abbiamo visto come il clima sia strettamente legato alla radiazione solare ricevuta dalla terra, e come questa radiazione sia quantitativamente influenzabile dalla composizione e dalle caratteristiche della atmosfera. Ogni genere di combustione brucia O2 e crea CO2. Se bruciassimo tutto il combustibile fossile disponibile sulla terra, non bruceremmo tutto l’O2 immesso nella atmosfera grazie alla fotosintesi, ma aumenteremmo comunque il tenore di anidride carbonica in aria. Attualmente la concentrazione di CO2 è di 340 ppm. Questo tipo di misura si fa in zone non inquinate per avere dei valori attendibili. Ogni anno assistiamo ad un aumento di Fig. 9.18 – I livelli di anidride carbonica e degli aerosol CO2 dovuto ad attività vulcanici possono essere in gran parte responsabili dei la umane di 1 ppm. Il pericolo lieve tendenza all’aumento delle temperature dei pianeta a partire dal 1880. .Questo periodo è stato utilizzato per comportato dalla massiccia verificare un modello di clima elaborato da James E.Hansen e presenza di questo gas in collaboratori a]. Goddard Institute for Space Studies della NASA. Alcune versioni del modello (abc) tenevano conto solo atmosfera è quello derivante dei riscaldamento dovuto all’aumento dell’anidride carbonica dall’effetto serra: il gas è (nell’ipotesi che, raddoppiando questa, la temperatura aumentasse di 2,8 gradi centigradi). Altre versioni (b3d) trasparente alle radiazioni tenevano conto anche dei riscaldamento dovuto solari in arrivo ma non all’accresciuta trasparenza della stratosfera. L’aumento della temperatura tra il 1910 e il 1940 sembra dovuto all’infrarosso in uscita dalla soprattutto alla diminuzione delle particelle nella stratosfera per scarsa attività vulcanica. Gli oceani terra. Il riscaldamento della smorzano le fluttuazioni di temperatura per la loro capacita bassa troposfera può causare termica. In due versioni del modello (a, b) si è tenuto conto solo della capacità termica dello strato superficiale un marcato aumento della degli oceani, ben rimescolato, mentre nelle altre (c, d) si temperatura sul la terra, con è supposto che le regioni superiori dei mare si mescolassero con quel le inferiori attraverso il termoclino che le conseguenze drammatiche separa. (Da: A. Ingersoll “Le Scienze”, Nov. 1983) sia per l’agricoltura che per 15 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra le specie viventi, senza considerare quali sarebbero gli effetti dello scioglimento dei ghiacci. La CO2 è un gas che tende a non reagire, pertanto si accumula nell’atmosfera senza trasformarsi; d’altra parte non tutta la CO2 che viene prodotta si accumula perché viene in parte fissata nei le acque e nelle rocce. Altri gas assorbono la radiazione emessa nell’infrarosso dalla terra, contribuendo così all’effetto serra: l’O3, il CH4, l’H2O. L’aumento di questi gas in atmosfera se non è compensato dall’aumento del particolato vulcanico negli strati alti, avrà la inevitabile conseguenza di far aumentare la temperatura della superficie terrestre (fig. 9.18). Nonostante l’ozono contribuisca all’effetto serra, è un gas di vitale importanza per la biosfera: esso infatti assorbe negli strati alti dell’atmosfera le radiazioni dell’ultravioletto impedendo ad esse di raggiungere la terra. L’ozono si forma secondo la reazione: O + O2 + M → O3 + M dove M è un catalizzatore. L’ossigeno atomico è presente negli strati alti proprio a causa della radiazione ultravioletta che spacca il legame covalente dell’ossigeno molecolare permettendo la formazione dell’O2. L’ozono d’altra parte si trasforma secondo le reazioni: O3 + hν O + O2 O3 + O O2 + O2 Questi meccanismi tuttavia sono molto lenti e non spiegano la bassa concentrazione di ozono in atmosfera. Altre reazioni che di struggono l’ozono sono possibili e avvengono tramite dei catalizzatorj: XO + O2 O3 + X Una volta in atmosfera tali catalizzatori non si trasformano e vengono utilizzati più volte: XO + O - X + O2 I catalizzatori possono essere già presenti in atmosfera come l’HO e l’H2O o venire immessi in atmosfera dalle attività umane. Una volta immessi in atmosfera vi restano, non essendo parte di alcun ciclo naturale. Tra questi troviamo NO, NO2 e cloro. I primi due provengono dalla combustione o dall’ossido nitroso secondo la reazione: N2O + O + NO + NO mentre i composti idroclorurati per fotolisi separano il cloro. L’HO e l’H2O contribuiscono per il 20% alla distruzione dell’O3, il Cl per il 20% mentre l’NO, N2O, NO2 per il 60%. Il cloro è prodotto principalmente dai gas Freon-1l e Freon-12, utilizzati come propellenti nelle bombolette spray. Gli ossidi di Azoto vengono utilizzati come fertilizzanti per il terreno ma sono anche immessi nell’ambiente dalla combustione. L’N2O attualmente in atmosfera è 300 ppm ma ne viene immesso 1,5 x 109 tonn / anno. La riduzione di questi catalizzatori che contribuiscono al la distruzione dell’O2 è fondamentale per scongiurare conseguenze potenzialmente pericolose. 16 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra APPENDICE 9.1. IMPATTO AMBIENTALE DELLE FONTI ENERGETICHE La specie che interagisce con l’ambiente in misura più marcata è sicuramente quella umana: da millenni l’uomo altera sistematica mente i delicatissimi equilibri naturali allo scopo di soddisfare le proprie esigenze che aumentano esponenzialmente nel tempo. Con lo sviluppo dei progresso, si è resa sempre più indispensabile una buona disponibilità di energia, che l’uomo può procurarsi oggigiorno in vari modi e con costi anche relativamente poco alti; una delle questioni più attuali sta nella valutazione dei costi ambientali della produzione energetica. Solo in tempi recenti l’attenzione degli esperti e quindi della opinione pubblica, si è fissata sulle profonde modificazioni indotte sull’ambiente dalle attività umane, industriali in particolare, e sull’impatto ambientale delle fonti energetiche. Il processo che l’energia nucleare ha subito in questi ultimi anni, ha acceso un vivo interesse verso la valutazione degli effetti ambientali delle altre forme energetiche, non escluse quelle troppo genericamente indicate come pulite. Verranno qui esaminati problemi di contaminazione ambientale da fonti energetiche dovuti a normale esercizio e non ad incidenti. Un primo rapido bilancio permette di affermare che i flussi globali di contaminanti verso l’ambiente dovuti ad incidenti casuali, si mantengono in genere molto più limitati di quelli emessi durante il normale funzionamento. Ciò non deve sorprendere: spesso si trascura l’importanza di esposizioni prolungate a basse dosi di inquinante che possono essere più pericolose di una intensa ma breve contaminazione. Non si può valutare il grado di inquinamento di un ambiente se non si hanno chiare quelle che sono le condizioni ambientali prima che intervengano modificazioni dirette o indirette causate dall’uomo. D’altra parte il sistema terrestre di 20 milioni di anni fa era già il risultato di profonde modificazioni naturali dovute all’evoluzione dell’ambiente stesso. L’atmosfera terrestre di 4 miliardi di anni fa era molto ricca di CO2 e di composti riducenti, mentre l’ossigeno era praticamente assente. Lo sviluppo della attività biologica, in particolare della flora, portò a graduali cambiamenti, perché la fotosintesi clorofilliana è fortemente stimolata dalla elevata concentrazione di CO2. L’ossigeno così creatosi modificò sostanzialmente l’ambiente inorganico cambiando le caratteristiche chimico-fisiche della superficie della terra. Cambiamenti sostanziali si ebbero nella evoluzione della biosfera perché la presenza di O2 permise l’evoluzione di forme di vista aerobica che a loro volta attuano la trasformazione dell’ossigeno in CO2. La composizione dell’atmosfera ha così continuato ad evolversi fino a raggiungere un equilibrio basato su azioni e reazioni di questo tipo. Sulla superficie terrestre, tra litosfera biosfera e atmosfera si è quindi stabilito un complesso equilibrio dinamico, di una estrema fragilità a causa della stretta interdipendenza di tutti i processi che hanno contribuito a conseguirlo. Negli ultimi milioni di anni, l’ambiente nel quale si evoluta l’umanità ha mantenuto caratteristiche relativamente stabili, sia per ciò che riguarda le condizioni climatiche sia per l’evoluzione geodinamica dei continenti. Negli ultimi decenni, lo sviluppo delle attività umane (in particolare industriali), la crescita demografica e l’aumento dei consumi, hanno indotto un vertiginoso aumento delle richieste di materie prime e di energia, e hanno fatto sentire pesanti effetti negativi sugli equilibri ambientali oltre a far sorgere problemi drammatici per la conservazione delle specie viventi e dell’ambiente stesso. Uno dei più importanti equilibri ambientali è l’equilibrio energetico. La nostra fonte di energia principale è il Sole: senza di esso nessuna trasformazione, in particolare di 17 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra tipo biologico, avrebbe potuto aver luogo. Ogni aspetto dell’evoluzione biochimica terrestre è stato influenzato dall’equilibrio energetico creatosi tra la terra e l'universo: tale equilibrio dipende fortemente dalla composizione dell’atmosfera, dalle caratteristiche della superficie delle terre emerse e delle acque nonché dal calore sviluppato dagli elementi radioattivi naturali all’interno della crosta. Tutta l’energia raggiante del Sole viene direttamente o indirettamente trasformata in calore, poiché anche l’energia raggiante trasformata in energia meccanica viene poi dissipata per attrito. Su questo bilancio perfettamente parteggiato ha le sue fondamenta l’equilibrio termico, il mantenimento del quale è essenziale per garantire la conservazione di ogni specie biologica. L’equilibrio termico è forse il primo a venire alterato dalle attività umane; un uso sconsiderato dei combustibili fossili e il recente sviluppo delle attività industriali hanno provocato un notevole aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera: una piccola variazione dei tenore di CO2 o delle particelle in sospensione negli strati alti dell’atmosfera, può far aumentare la frazione di energia raggiante dei Sole che viene trattenuta sotto forma di calore. Ne consegue un aumento di temperatura dell’aria e della superficie terrestre, che può far variare i rapporti tra le quantità di acqua allo stato solido liquido e gassoso, innescando processi a catena i cui effetti non sono ancora chiari. Si pensi comunque allo scioglimento di considerevoli porzioni di ghiaccio dalla calotta polare, e a quali conseguenze drammatiche potrebbe portare: il livello degli oceani si alzerebbe di parecchi metri. Variazioni climatiche anche limitate potrebbero far crollare la produttività delle aree agricole dell’America settentrionale e della Russia destinate alla produzione di cereali per tutto il mondo, aree che già di per sé presentano condizioni climatiche non ottimali. Il comportamento di un campo o di una foresta, per quel che riguarda le percentuali di energia solare riflessa, diffusa o immagazzinata, è molto diverso da quello di un gruppo urbano o industriale: questi ultimi immettono nell’ambiente una quantità di calore molto superiore alla media. Sono già state verificate variazioni apprezzabili delle condizioni climatiche locali, là dove sono cresciuti in maniera abnorme agglomerati di costruzioni o di impianti industriali. Anche un esteso ricorso alla energia solare deve confrontarsi con questo tipo di problematica; un pannello solare tende ad assorbire tutta l’energia raggiante che riceve e a trasformarla integralmente in calore che quindi cede all’ambiente; un albero utilizza l’energia solare anche per la fotosintesi clorofilliana e per il suo sviluppo, e trasforma in calore solo una parte dell’energia che riceve. Tra le alterazioni ambientali dovute all’attività umana abbiamo visto l’aumento di concentrazione della CO2, dovuto all’uso dei combustibili fossili quali carbone e petrolio. Tra le altre forme di inquinamento ambientale troviamo l’eutrofizzazione, l’inquinamento da elementi stabili tossici, da composti organici tossici e le piogge acide. L’eutrofizzazione è la variazione degli equilibri ecologici in laghi, fiumi, mari. La immissione nel corpo idrico di sostanze nutritive (per lo più composti dei fosforo) favorisce un anormale sviluppo di alcune specie di vegetali che, con la loro attività e il loro decadimento, finiscono per eliminare quasi completamente la vita aerobica per progressiva asfissia dell’ambiente. Esistono casi clamorosi di inquinamento da elementi stabili tossici: in Giappone si sono avuti centinaia di intossicati e decine di morti per ingestione di pesce contaminato con mercurio dagli scarichi di industrie chimiche. L’inquinamento da metalli pesanti delle acque naturali è stato individuato in tutte le parti dei globo ad intensa industrializzazione: nel nostro paese si pensi alla distruzione dell’ecosistema dei laghi d’Orta e di Varese o all’inquinamento da arsenico nella area di Manfredonia (FG). Ancor più inquietante è l’inquinamento su scala globale che si è già verificato sul nostro pianeta: analisi dei ghiacci e della ne ve in Groenlandia, e carotaggi di sedimenti marini sui fondali del Mar Baltico 18 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra hanno rivelato consistenti tracce di metalli pesanti fortemente tossici, quali Cu, Pb, Cd, Hg, arricchite di 5-10 volte negli ultimi decenni. Per quanto riguarda i composti organici tossici, si possono rilevare tenori apprezzabili di composti artificiali (quali DDT) anche in zone remote dei globo; tali composti hanno inoltre la caratteristica negativa di accumularsi lungo la catena alimentare. L’aspetto più preoccupante è che non si conosce il livello di contaminazione ambientale da parte di sostanze organiche disperse su scala generale e quale sia la loro tossicità per esposizioni prolungate a basse dosi. Non si sa nulla sulla distribuzione dei pesticidi dei composti fenolici, benzenici e policiclici immessi nell’ambiente dall’industria chimica e dai combustibili fossili. Sebbene si sappia che moltissimi di questi composti sono tossici, parecchi cancerogeni, nulla si sa sui loro effetti a lungo termine. Un altro fenomeno che denuncia il progressivo inquinamento cui è sottoposto l’ambiente, è il fenomeno delle piogge acide. Dall’uso dei combustibili fossili, vengono immessi nell’atmosfera composti dello zolfo e dell’azoto (SOx, NOx) che si trasformano, grazie all’ossigeno dell’aria e all’acqua in acido solforico, acido nitroso e nitrico. Il fenomeno delle piogge acide ha assunto aspetti veramente preoccupanti quando si è notata frequente la caduta di piogge con pH inferiore a 4. Gli effetti sulla agricoltura, sulle acque minerali, ma anche sul le opere d’arte sono drammatici. Tossici sono anche gli elementi radioattivi; tra quelli più pericolosi ricordiamo il Radon, il Radio, l’Uranio. Tutte le radiazioni osservabili sperimentalmente (alfa, beta, gamma, X, le radiofrequenze e naturalmente il visibile) hanno sempre fatto parte integrante dell’ambiente terrestre. Nel corso dell’evoluzione, la radioattività naturale è andata via via diminuendo grazie all’azione schermante dell’atmosfera che blocca le radiazioni dannose, ma anche perché gli elementi radioattivi diminuiscono nel tempo la loro attività. Sicuramente la radioattività naturale ha influito sulla evoluzione biologica attraverso effetti sul materiale genetico, introducendo cioè nuove mutazioni; d’altra parte sappiamo che tale influenza può rivelarsi negativa qualora stimoli un’anormale riproduzione delle cellule. Allo stato attuale l’inquinamento radioattivo da parte dell’uomo è contenuto in livelli molto bassi e le contaminazioni osservabili su scala globale sono quasi esclusiva mente dovute ad attività militari. E’ stato comunque possibile studiare il comportamento in natura di molti elementi radioattivi grazie alla esistenza di reattori nucleari naturali. Il risultato, davvero inatteso, di studi geochimici effettuati nella zona di Oklo in Giappone sede di un reattore naturale, è che sia durante che dopo il funzionamento dei reattore (circa 2 miliardi di anni), non si sono verificate migrazioni di rilievo dei diversi elementi radioattivi e stabili presenti nella zona dei reattore. Tutti gli elementi sono rimasti nel punto in cui erano o hanno subito migrazioni dell’ordine dei centimetri o dei metri, tranne gli elementi alcalini (Li, Na, K, Rb, Cs) il Mo Ca Pb Ba ed i gas. La quasi totalità degli elementi contenuti nelle scorie radioattive (compresi Pu, Sr, Am) sono rimasti sul posto e si sono tra sformati integralmente in elementi stabili. Pertanto si potrebbe ritenere che persino residui radioattivi non perfettamente sigillati in contenitori chiusi resterebbero fermi fino alla completa trasformazione in elementi stabili: basterebbe perciò collocarli in un luogo adatto dove sussistano condizioni ambientali sufficientemente stabili. Questi siti tuttavia sono molto difficili da localizzare e il problema rimane quindi un problema grave ed aperto. La produzione dell’energia è attualmente concentrata in impianti poco numerosi ma di una potenza molto elevata: questo sia per abbassare i costi di produzione sia per poter avere disponibile tutta l’energia richiesta. Queste gigantesche centrali di energia elettrica, di qualunque tipo esse siano, provocano comunque alterazioni ambientali consistenti, perché in un’area ristretta vengono convogliati enormi flussi di materia ed energia. 19 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Tab.9.1 - Rischio espresso in persone per giorno rese inabili per ogni megawatt annuo di energia prodotta e riferito alla durata dell’impianto: circa 30 anni. Stime indicative. Prof. I. Guerra Il principale problema che sorge è quello relativo all’inquinament o termico: infatti la maggior parte dell’e-nergia in gioco è trasformata in calore, e questo avviene in ogni tipo di centrale, da quella nucleare a quella geotermica. Il problema è grave sia che il calore venga smaltito nelle acque naturali, sia che venga ceduto all’atmosfera: abbiamo già visto quanto possano essere pericolose alterazioni climatiche anche solo a livello locale. Inoltre anche una parte dei flussi di materia che sono concentrati in così poco spazio viene necessariamente dispersa nell’ambiente, e tali sostanze possono essere tossiche. Certamente sarebbe possibile, con la moderna tecnologia, ridurre a zero queste dispersioni ma con costi talmente elevati da rendere i progetti inattuabili; non è invece possibile eliminare le dispersioni di calore, per fondamentali quanto noti principi di termodinamica. Poiché questo avviene per ogni forma di energia, non si può parlare di energia pulita o energia inquinante ma è obiettivamente necessario impostare un raffronto tra le entità delle perturbazioni ambientali causate dalle diverse forme di risorsa energetica. Dall’analisi della tabella allegata (tab.9.1) si può osservare come né l’energia geotermica, né la nucleare da fusione, nè la solare siano delle energie così pulite come viene spesso fatto credere. L’energia geotermica provoca infatti degli apprezzabili effetti negativi sull‘ambiente. In Italia, ad esempio, nel campo geotermico di Cesano (Roma), i fluidi rinvenuti hanno sì una temperatura alta, ma anche una salinità eccezionalmente elevata (300 mg/l) che contiene tra l’altro tenori 20 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra molto alti di elementi tossici quali il boro (10 mg/l) e l’arsenico: disperdere superficialmente o riversare nelle acque naturali i fluidi dopo la loro utilizzazione, causerebbe dei danni ambientali irreparabili. Anche per il campo geotermico dei Campi Flegrei il problema si pone in questi termini: i fluidi geotermici che vengono portati in superficie per produrre energia hanno tenori veramente molto alti di elementi e composti tossici (B, Hg, As, CO2, H2S). Parte di questi elementi tossici, specialmente i gas, vengono comunque dispersi nell’ambiente, anche se viene prevista la reiniezione in profondità dei fluidi utilizzati; d’altra parte la reiniezione può provocare movimenti dei suolo e attività microsismica. Nei fluidi geotermici vengono anche riscontrati valori molto elevati di radioattività: il solo campo geotermico di Larderello un mette nell’atmosfera circa 3000 Curie per anno di Radon, con una potenza installata di 300 MWe, mentre una centrale nucleare a fusione ne rilascia circa 900 (500 MWe). D’altra parte il problema ambientale va anche valutato nel contesto di ciascun specifico caso; la centrale di Lardarello sorge su decine di chilometri quadrati e non ha attorno a sé zone alta mente popolate. Diverso è il caso di campi geotermici sorti in aree relativamente piccole circondati da zone densamente popola te: è chiaro che in questo caso il rapporto tra benefici ottenibili e costi ambientali cambia. E’ prevedibile che l’energia da fusione nucleare provocherà immissioni nell’ambiente di sostanze tossiche sia radioattive che stabili. Un reattore di 500 MWe rilascerebbe 2,6 Curie al giorno di Trizio isotopo radioattivo dell’idrogeno che entra facilmente nella catena alimentare. Inoltre sorgerebbero sicuramente problemi per la contaminazione ambientale da parte dei metalli tossici necessari alla .costruzione degli schermi (Va, Be). Anche lo smantellamento di un reattore a fusione e la sistemazione delle parti radioattive comporterebbe una serie di problemi del tutto simili a quelli incontrati per i reattori a fissione. D’altra parte è giusto ricordare che quella nucleare non è l’unica fonte energetica a creare problemi di contaminazione radioattiva dell’ambiente: abbiamo già citato l’energia geotermica, vedremo quella da combustibili fossili. Una fonte energetica che va senz’altro discussa è il carbone. Le riserve di carbone sono così elevate da garantire una copiosa produzione energetica per centinaia di anni: questo è ciò che rende interessante lo sfruttamento di questa fonte di energia. I problemi legati alla utilizzazione di questa risorsa sono però molto vari e complessi: dagli elevatissimi costi di estrazione mineraria, alla pianificazione razionale delle infrastrutture, al le ricerche ecologiche necessarie per capire quali elementi tossici possono essere emessi e quali le loro vie più critiche verso la biosfera. Il problema ambientale è, per l’uso del carbone, veramente molto consistente. Per le attuali richieste, si prevede il ricorso a centrali a carbone con potenza di circa 2500 MWe; per una sola centrale di questo tipo occorrono circa 6 milioni di tonnellate di carbone in entrata all’anno e i milione di tonnellate di materiale in uscita tra ceneri, scorie, residui. Una centrale simile produce 100.000 tonnellate equivalenti per anno di anidride solforosa, che stando alle normative attualmente vigenti, potrebbe essere integralmente immessa nell’ambiente. Un danno ambientale ancor più consistente potrebbe essere costituito dal particolato trascinato dai fumi delle ciminiere elementi tossici quali Hg, Se, As, Cd, Sb, Pb, possono passare in atmosfera, se contenuti in particelle fini (meno di 1 micrometro) poiché per tali diametri non esistono ancora sistemi di filtraggio sufficientemente efficaci per fermarle. Inoltre sussiste i.1 problema delle ceneri e delle scorie: per la fine del secolo sono previste 5÷7 milioni di tonnellate di scorie per anno, parte delle quali radioattive, la sistemazione delle quali risulterà davvero complicata, considerando anche le dimensioni territoriali dei nostro paese. Possiamo ora parlare di rischio. Non è possibile pensare ad una fonte energetica a rischio zero: a qualsiasi attività umana corrisponde un certo valore di rischio. Possiamo separare il rischio corso dagli addetti ai lavori da quello che incombe sulle popolazioni. 21 Appunti per il corso di Geodinamica e rischi ambientali – Parte 5 Prof. I. Guerra Il rischio degli addetti ai lavori risulta essere la somma di tutti i pericoli di tutte le operazioni necessarie alla produzione, dal recupero delle materie prime alla sistemazione dei rifiuti. Per gli addetti ai lavori la fonte energetica più rischiosa è (come è possibile osservare nell’istogramma di Tab.9.1), il metanolo: sono infatti elevate le quantità di materiale maneggiato; l’energia nucleare ed il gas naturale sono le fonti energetiche meno pericolose perché è limitata la quantità di materiale maneggiato per unità di energia prodotta. Abbiamo già visto quali possono essere i rischi ambientali delle varie fonti energetiche, cioè i rischi che in tempi lunghi la popolazione può correre. Il problema dell’impatto ambientale delle fonti energetiche va quindi affrontato individuando le correlazioni esistenti tra produzione energetica, inquinamento ambientale e possibili danni alla salute dell’uomo. E’ quindi necessario avere informazioni esaurienti sui danni biologici causati non solo dagli elementi radioattivi, ma anche da quei composti stabili ma altamente tossici dei quali spesso si sottovaluta l’importanza. L’introduzione della energia nucleare a scopi pacifici ha incontrato molte opposizioni a causa dei ricordo, impresso indelebilmente nella memoria, degli orrori e delle stragi dovute all’impiego bellico di tale energia. Da qui lo sforzo e il preciso impegno per ridurre a zero il rischio connesso a questa fonte energetica: nel settore nucleare è stato per la prima volta compiuto il tentativo di impostare sistematicamente la problematica connessa ai possibili rischi (ad es. lo studio dei siti, dello stoccaggio delle scorie). Paradossalmente questo tipo di impostazione cautelativa ha innescato una reazione negativa nell’opinione pubblica: molti temono gli effetti della radioattività ma ignorano gli effetti tossici di molte sostanze già presenti nell’ambiente a bassa concentrazione. 22