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Terre e rocce da scavo: rifiuti o non rifiuti, il dilemma risolto?

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Terre e rocce da scavo: rifiuti o non rifiuti, il dilemma risolto?
DAGLI ISCRITTI
Terre e rocce da scavo: rifiuti
o non rifiuti, il dilemma risolto?
R
iassunto in italiano: la normativa italiana che regolamenta le terre e rocce da scavo, a causa delle
continue modifiche legislative, ha creato molta confusione nei vari soggetti che si trovano a gestire questi materiali. Una recente modifica normativa ha tracciato
definitivamente il confine tra rifiuti e sottoprodotti, stabilendo che solo a determinate condizioni le terre e le rocce
da scavo, possono uscire dalla normativa sui rifiuti come
sottoprodotti da impiegare nelle attività edilizie di riempimento.
Nella fase della classificazione dei materiali da scavo,
soprattutto nei casi di sospetta contaminazione, il chimico
ricopre un ruolo importante per determinare la tipologia di
materiale prodotto e quindi l’esenzione o meno dall’ambito
di applicazione dei rifiuti.
Parole chiave: rifiuti, terre e rocce da scavo.
Extended abstract
The Italian legislation regulating the land and rocks from
excavation, due to continual changes in legislation, has created much confusion among the various actors who have to
manage these materials. The new legislation has finally traced the line between waste and secondary products by stipulating that only under certain conditions of earth and
rocks excavated, may leave the legislation on waste as byproducts used in construction activities of filling. In the classification stage of excavation materials, especially in cases
of suspected contamination, the chemist has an important
role in determining the type of material and then the exemption or not the scope of the waste.
Key word: waste, land and rocks from excavation.
INTRODUZIONE
Qualsiasi attività edilizia, dalla piccola costruzione alle
grandi opere, presuppone l’escavazione del suolo e quindi
la produzione di terre e rocce che troppo spesso vengono
abbandonate illegalmente lungo i torrenti, le spiagge, sui
pendii delle colline o in aperte campagne con effetti anche
seri sugli equilibri idrogeologici di queste aree.
Le numerose variazioni legislative che si sono succedute
in pochi anni hanno contribuito a creare molta confusione
intorno alla normativa sulle terre e rocce da scavo tanto
che ditte, professionisti e enti territoriali si trovano nella
di Tiziano Granata1
condizione di non sapere come gestire questi materiali.
Il presente lavoro vuole quindi fare chiarezza sulla normativa attualmente applicabile, al fine di fornire strumenti
utili per gli operatori del settore e gli organi di controllo.
Il quadro normativo
La gestione delle terre e rocce da scavo è regolamentata
da due articoli del decreto 152/06 (noto come Testo Unico
Ambientale): l’art. 185 e 186. Essi sono stati completamente riscritti dal Decreto Legislativo n° 4/2008, che ha
tracciato definitivamente il confine tra rifiuto e non rifiuto
(o meglio “sottoprodotto” definito dall'art. 183 comma 5,
punto p).
Le Regioni e i comuni hanno poi emanato le linee guida
sull'utilizzo delle terre e rocce da scavo definendo in pratica
le procedure amministrative che permettono l’applicazione
della normativa.
Nel corso di quest’anno sono subentrate altre due modifiche legislative.
La prima, con la Legge n° 2 del 28 gennaio 2009 che
con l’articolo 10-sexies ha modificato l’articolo 185 comma
1 lett. c) del decreto legislativo n. 152 del 2006, introducendo una nuova esclusione dal campo di applicazione dei
rifiuti: la lettera c-bis) che esclude “il suolo non contaminato e altro materiale naturale escavato nel corso dell’attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà
utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso
sito in cui è stato escavato”.
L’ultima modifica è stata apportata al successivo articolo 186. Con la Legge n. 13 del 27 febbraio 2009 sono
stati introdotti i commi 7-bis e 7-ter: il primo estende l’impiego delle terre e le rocce da scavo anche agli interventi
di miglioramento ambientale e in siti non degradati; il secondo, regolamenta l’utilizzo dei residui provenienti dalle
attività di estrazione e lavorazione di marmi e pietre equiparandole, a specifiche condizioni, alle terre e rocce da
scavo.
Secondo quest’ultima ed ennesima modifica legislativa
gli interventi di miglioramento ambientale devono garantire, nella loro realizzazione finale, una delle seguenti condizioni:
a) un miglioramento della qualità della copertura arborea
o della funzionalità per attività agro-silvo-pastorali;
b) un miglioramento delle condizioni idrologiche rispetto
1
Chimico ambientale e forense. E-mail: [email protected]
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto
il 5 marzo 2009 ed è stato accettato per la pubblicazione il 30 marzo 2009.
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alla tenuta dei versanti e alla raccolta e regimentazione
delle acque piovane;
c) un miglioramento della percezione paesaggistica.
Mentre per quanto riguarda i residui provenienti dalle
attività di lavorazione ed estrazione di marmi e pietre è fondamentale garantire che nei processi di produzione non
siano stati adoperati agenti o reagenti non naturali e nel
caso di operazioni di recupero ambientale, si devono soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici, tenere conto
dei possibili effetti sull’ambiente e rispettare i valori limite,
per eventuali sostanze inquinanti presenti, così come previsto nell'Allegato 5 alla parte IV del Testo Unico Ambientale.
Rifiuti o non rifiuti?
Come molti erroneamente interpretano, l’attuale normativa non esclude automaticamente le terre e rocce da
scavo dall’ambito dei rifiuti, tanto che queste vengono
identificate e classificate come rifiuti con un apposito codice CER 17 05 04 (terre e rocce da scavo) che varia a seconda delle sostanze contaminanti contenute. A scanso di
equivoci, il legislatore al comma 5 dell’art. 186 ha infatti
puntualizzato che “le terre e rocce da scavo, qualora non
utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti
(…)”, quindi vanno smaltiti secondo quanto fissato dal Decreto n. 117 del 30 maggio 2008, che ne regola lo smaltimento finale.
Come stabilito da numerose sentenze, esiste una vasta
casistica in cui le terre e rocce da scavo sono rifiuti, perdendo così il diritto alla disciplina speciale. Un esempio frequente è il materiale proveniente dai lavori di escavazione
delle strade: esse non possono essere assimilabili alle terre
e rocce da scavo (sottoprodotto) in quanto contengono
anche pezzi di asfalto e calcestruzzo.
Lo stesso si può dire per le terre e rocce da scavo mescolate o contaminate da altri materiali classificabili come
rifiuti (es. residui provenienti dalle demolizioni edili quali
tegole, laterizi rotti, pezzi di cemento e coppi): la “miscela”
costituisce in ogni caso rifiuti da demolizioni (Corte di Cassazione, sentenze n. 23787 del 19 giugno 2007 e n. 22063
del 23 giugno 2006). Quindi l’esclusione dalla categoria dei
rifiuti avviene solo nel rispetto di determinate condizioni.
Quali sono le condizioni che le terre e rocce da
scavo devono rispettare per non essere rifiuti?
Con la nuova modifica legislativa (art. 185, c. 1, lett. cbis), le terre e rocce da scavo possono essere sottratte alla
normativa sui rifiuti se sussistono tre vincoli principali: localizzazione (materiale scavato e impiegato nello stesso
sito), caratteristiche chimico-fisiche (materiale allo stato naturale e non contaminato) e utilizzo (impiego edilizio). Se
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Il Chimico Italiano
non vengono rispettate tali condizioni il materiale diviene
giuridicamente un rifiuto (Pierobon, 2008). Nel caso si decida di impiegare il materiale di escavazione in un sito diverso da quello di origine, si applicano le condizioni previste
dal successivo art. 186.
Terre e rocce da scavo possono essere sottratte alla normativa sulla gestione dei rifiuti, solo se si intende servirsi
di tale materiale per reinterri, riempimenti, rimodellazioni,
rilevati e per interventi di miglioramento ambientale e di
siti anche non degradati.
Ma per ottenere ciò è necessario rispettare e documentare i requisiti stabiliti dal comma 1 dell’art. 186: non dover
contenere sostanze inquinanti, non provenire da siti contaminati, non modificare le caratteristiche chimico fisiche
ed ambientali del sito finale.
Inoltre luogo e modalità d’impiego devono essere previsti, progettati ed autorizzati prima dell’intervento di
scavo. Il committente o il legale rappresentante dell'impresa che produce le terre e rocce da scavo, prima dell'esecuzione dei lavori di produzione del materiale, se non
vogliono ritrovarsi nel bel mezzo di una gestione illecita di
rifiuti, hanno l’obbligo di presentare al comune competente
formale e dettagliata “richiesta di utilizzo di terre e rocce
da scavo”. Infatti, “La sussistenza dei requisiti di cui al
comma 1, - precisa la legge - nonché i tempi dell'eventuale
deposito in attesa di utilizzo (non oltre un anno, esteso a
tre in caso di impiego nello stesso progetto), devono risultare da un apposito progetto” (permesso di costruire, Dia,
VIA, VAS, ecc.) presentato all’autorità competente (Comune,
ecc.) che lo deve approvare.
In caso di lavori pubblici non soggetti a VIA e a permesso di costruire o denuncia di inizio attività, la sussistenza dei requisiti di idoneità devono risultare da un
apposito allegato al progetto dell'opera, sottoscritto dal
progettista.
Le analisi chimiche: quando sono necessarie
Abbiamo visto che uno dei requisiti indispensabili per
l’utilizzo delle terre e rocce da scavo, è quello di accertare
che non provengono da siti contaminati o sottoposti a bonifiche (art. 186 comma 1 lett. e). Questo accertamento in
alcuni casi non necessita di costose analisi chimiche. Ad
esempio se sul sito non venivano svolte attività pericolose,
l'accertamento potrà essere svolto con una semplice relazione, detta qualitativa, sullo stato dei luoghi ed il suo passato.
Se il sito di produzione ricade invece in prossimità di
aree interessate, anche in passato, da attività potenzialmente inquinanti è essenziale accertare, mediante analisi
chimiche, che il materiale da utilizzare non sia contaminato.
I certificati di analisi dovranno essere poi allegati alla relazione illustrativa sullo stato dei luoghi di produzione e attestante la compatibilità con il sito di destinazione.
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Come abbiamo visto in precedenza, la tutela ambientale
della norma si estende anche al sito finale. Le caratteristiche
chimiche e chimico-fisiche devono dimostrare che il loro
impiego nel sito prescelto sia compatibile, senza rischi per
la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate. Il tutto deve avvenire nel rispetto delle norme di tutela
delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della
fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. Purtroppo
la normativa non fissa criteri, procedure e modalità per garantire una rappresentatività del campionamento.
Secondo diversi autori, si ritiene utile procedere secondo
i due casi seguenti:
1) accertamento preliminare alle attività di scavo: le attività di campionamento dovrebbero essere condotte seguendo le indicazioni, relative ai terreni, contenute
nell’Allegato 2 al Titolo V della parte IV del D.Lgs. n.
152/2006;
2) accertamento sui cumuli di materiale già scavato: il campionamento dovrebbe essere effettuato, sui cumuli di
stoccaggio, secondo le indicazioni della UNI 10802 o
delle linee guida APAT (UNI 10802).
In entrambi i casi, per la preparazione del campione, in
linea con le indicazioni della norma UNI e dell’allegato 2
citati, si dovrebbe selezionare in campo la frazione inferiore
a 2 cm, per portarla in laboratorio. L’analisi, effettuata sulla
frazione inferiore a 2 mm, dovrebbe essere riferita alla totalità dei materiali secchi compreso lo scheletro (frazione
2 cm), utilizzando metodiche che abbiano limite di rilevabilità pari ad almeno 1/10 del limite prescritto.
Gli eventuali contaminanti da ricercare possono essere
estrapolati dall’esame del ciclo produttivo e/o dei dati storici del sito, come indicato nel citato allegato 2. Le linee
guida APAT, ad esempio per le aree in prossimità di strade
di grande traffico (fonti diffuse di contaminazione), suggeriscono di ricercare i parametri Piombo, Cadmio, BTEX ed
IPA, con particolare riferimento agli strati superficiali del
terreno (30-50 cm), che andrebbero pertanto separati dal
resto per una caratterizzazione più specifica.
Non sembra, infine, necessaria l’effettuazione dei test
di cessione, dal momento che la norma indica come parametri di riferimento solo quelli relativi alle concentrazioni
soglia di contaminazione (CSC).
Il citato test sarebbe obbligatorio se le terre e rocce fossero gestite, al di fuori del campo d’applicazione dell’art.
186, come rifiuto e sottoposti a recupero secondo la procedura semplificata, prevista dal D.M. 5 febbraio 1998: l’allegato 1 del decreto, al punto 7.31-bis, subordina
all’esecuzione del test di cessione, l’utilizzo per recuperi
ambientali [R10] o la formazione di rilevati o sottofondi
stradali [R5]. Per la formazione di rilevati o sottofondi stradali, infine, si dovrebbero verificare la presenza delle caratteristiche qualitative e prestazionali, indicate nell’allegato
C alla Circolare MATT (G.U. 25 luglio 2005, n. 171) del 15
luglio 2005 (GIAMPIETRO, 2008).
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Le procedure amministrative da eseguire
La caratterizzazione qualitativa, i luoghi di destinazione,
le modalità di deposito e movimentazione devono essere
acquisiti ed accertati in sede di valutazione del progetto,
pertanto devono far parte della documentazione progettuale trasmessa ai fini del rilascio dell'autorizzazione alla
realizzazione degli interventi. Quindi è necessario redigere
un progetto da parte di un professionista abilitato che
dovrà descrivere ed attestare l'idoneità del sito a ricevere
le terre e rocce da scavo, con tanto di relazione geologica,
cartografia, documentazione fotografica e relazione tecnica
con la descrizione fisica e urbanistica dell'area. Ogni viaggio di trasporto delle terre e rocce da scavo dovrà essere
opportunamente documentato per tracciarne la corretta gestione del materiale. A completamento il direttore dei lavori
dovrà predisporre una dichiarazione in cui attesta che il terreno derivante dallo scavo, è stato trattato in conformità al
progetto approvato e quindi secondo la richiesta di utilizzo.
Detta dichiarazione unitamente ad una copia dei documenti
di trasporto di cui sopra dovranno essere allegati alla documentazione di collaudo e attestazione di fine lavori.
1.
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5.
6.
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8.
BIBLIOGRAFIA
Corte di Cassazione, sentenze n. 23787 del 19 giugno
2007 e n. 22063 del 23 giugno 2006;
UNI 10802. Rifiuti - Rifiuti liquidi, granulari, pastosi e
fanghi Campionamento.
GIAMPIETRO, V. (2008). Terre e rocce da scavo: prime considerazioni tecniche sul secondo decreto correttivo del
T. U. Ambiente e Sviluppo, 357-361;
PIEROBON, A. (2008). Terre e rocce da scavo: ulteriori (recentissime) novità contenute nelle misure volte al sostegno dell’economia. Gazzetta Enti Locali on line;
Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 “Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia
ambientale” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24
del 29 gennaio 2008 - Suppl. Ordinario n. 24/L;
Art. 186 Decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006;
Legge 28 gennaio 2009, n. 2. “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale”. Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2008, n. 280,
Suppl. Ordinario n. 263/L;
Legge 27 febbraio 2009, n. 13. Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n.
208, recante misure straordinarie in materia di risorse
idriche e di protezione dell’ambiente. Pubblicata nella
Gazz. Uff. 28 febbraio 2009, n. 49.
Il Chimico Italiano
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