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Attori e pubblico in Plauto
PLAUTO 1 approfondimento Attori e pubblico in Plauto Cesare Questa, studioso del teatro latino e in particolare di Plauto, di cui è anche uno dei più importanti traduttori, racconta che cosa accadeva nello svolgimento di uno spettacolo, dando informazioni su pubblico e attori nello spazio del teatro. Il teatro romano dell’età di Plauto, pur non avendo una sede stabile, non era, come impianto scenico e sistemazione del pubblico, poco più degno d’una compagnia di saltimbanchi. I prologhi di parecchie commedie di Plauto ci presentano – in passi sulla cui autenticità non si dubita più – un pubblico che siede a teatro e di pubblico che siede si parla anche nel corpo delle commedie stesse: supporre in questo secondo caso che Plauto conservi immutate frasi del modello greco senza tenere conto che i suoi spettatori, almeno di regole, o non stanno seduti o siedono su sgabelli di loro proprietà che si sono portati appresso per assistere alla rappresentazione, è davvero fuor di luogo. I prologhi plautini ci riferiscono meglio su quello che era il pubblico abituale del Sarsinate: sono schiavi e liberi, ma fra questi prevale di gran lunga la gente minuta: commercianti, donnette che cianciano e disturbano lo spettacolo, balie con bambini che frignano, ritardatari che arrivano al loro posto infastidendo tutti, cortigiane ecc. L’accenno a spettatori benestanti se non è scherzoso, è eccezionale e comunque nelle parti scherzose dei prologhi (quelle appunto in cui desumiamo notizie sul pubblico) mai sono nominati senatori o cavalieri. È però evidente che in questo caso Plauto o i suoi capocomici si autocensurano: sono le strutture stesse della società romana, fondamentalmente autoritarie e comunque implicanti sincera devozione per l’élite che guida lo stato, ad impedire frizzi e qualunque allusione men che rispettosa a quella parte del pubblico che pure dobbiamo supporre anch’essa fra gli spettatori di Plauto. © SEI - Società Editrice Internazionale p.a. - Torino ▲ Alcuni attori si preparano forse per un dramma satiresco, I secolo a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale. PLAUTO 2 La commedia latina è uno spettacolo governato da un codice formale assai rigido. Gli attori portavano la maschera e la maschera non meno del costume, è fissa per ogni ”tipo” scenico: vecchio, giovane, lenone, signora per bene, cortigiana, ragazza di buona famiglia, servetta, schiavo, parassita, soldato e così via, con possibili differenziazioni all’interno di ogni “tipo”: vecchio benevolo o arcigno, giovane costumato o dedito ai piaceri… Stando così le cose, appena un personaggio entrava in scena, il pubblico riconosceva immediatamente, prima ancora ch’egli eventualmente lo facesse capire con versi indicanti la sua condizione o la sua parte nella vicenda, il “tipo” cui apparteneva. […] Anche i nomi dei personaggi servono alla loro identificazione, ma in modo molto secondario: prova ne sia che nei prologhi, là dove Plauto espone l’antefatto e le linee generali della vicenda che sta per andare in scena (scioglimento compreso, ma al pubblico interessavano le peripezie e non il previsto lieto fine), i personaggi sono sempre menzionati usando la qualifica scenica, cui corrisponde una ben precisa maschera, e non i nomi, tra l’altro difficili da ricordare. Ciò influì in modo notevole sulla tecnica della recitazione e sulla struttura stessa della commedia. Da un lato infatti consentì a Plauto di lasciare senza nome proprio figure importantissime, il protagonista addirittura (n.d.r. per esempio i Menaechmi o il vecchietto protagonista della Casina); dall’altro permise che, proseguendo di nuovo un’usanza del teatro greco, un attore recitasse più parti (purché, naturalmente, l’attore avesse tempo sufficiente per ritirarsi e cambiare maschera e vesti) e persino che una parte venisse divisa fra due attori. C. Questa, Il teatro romano all’epoca di Plauto, in Plauto, Pseudolo, Rizzoli, Milano 200612 © SEI - Società Editrice Internazionale p.a. - Torino