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prologhi commedie del
Ludovico Ariosto
La Cassaria
Prologo
Nova comedia v’appresento, piena
di vari giochi, che né mai latine
né greche lingue recitarno in scena.
Parmi veder che la più parte incline
a riprenderla, subito c’ho detto
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nova, senza ascoltarne mezo o fine:
ché tale impresa non li par suggetto
de li moderni ingegni, e solo estima
quel che li antiqui han detto esser perfetto.
È ver che né volgar prosa né rima
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ha paragon con prose antique o versi,
né pari è l’eloquenzia a quella prima;
ma l’ingegni non son però diversi
da quel che fur, che ancor per quello Artista
fansi, per cui nel tempo indietro fersi.
La vulgar lingua, di latino mista,
è barbara e mal culta; ma con giochi
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si può far una fabula men trista.
Non è chi ’l sappia far per tutti i lochi:
non crediate però che così audace
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l’autor sia, che si metta in questi pochi.
Questo ho sol detto, a ciò con vostra pace
la sua comedia v’appresenti; e inanzi
il fin non dica alcun ch’ella mi spiace.
Per ch’ormai si cominci, e nulla avanzi
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ch’io vi dovessi dir: sappiate come
la fabula che vol ponervi inanzi
detta Cassaria fia per proprio nome:
sappiate ancor che l’autor vol che questa
cittade Metellino oggi si nome.
De l’argumento, che anco udir vi resta,
ha dato cura a un servo, detto el Nebbia.
Or da parte di quel che fa la festa
priega chi sta a veder che tacer debbia.
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Ludovico Ariosto
I Suppositi
Prologo
Qui siamo per farvi spettatori d’una nuova comedia del medesimo autore
di cui l’anno passato vedeste la Cassaria ancora. El nome è li Suppositi,
perché di supposizioni è tutta piena. Che li fanciulli per l’adrieto sieno stati
suppositi e sieno qualche volta oggidì, so che non pur ne le comedie, ma
letto avete ne le istorie ancora; e forse è qui tra voi chi l’ha in esperienzia
auto o almeno udito referire. Ma che li vecchi sieno da li gioveni suppositi,
vi debbe per certo parere novo e strano; e pur li vecchi alcuna volta si
suppongono similmente: il che vi fia ne la nuova fabula notissimo. Non
pigliate, benigni auditori, questo supponere in mala parte: che bene in altra
guisa si suppone che non lasciò ne li suoi lascivi libri Elefantide figurato;
et in altri ancora che non s’hanno li contenziosi dialettici imaginato. Qui
tra l’altre supposizioni el servo per lo libero, et el libero per lo servo si
suppone. E vi confessa l’autore avere in questo e Plauto e Terenzio
seguitato, de li quali l’un fece Cherea per Doro, e l’altro Filocrate per
Tindaro, e Tindaro per Filocrate, l’uno ne lo Eunuco, l’altro ne li Captivi,
supponersi: perché non solo ne li costumi, ma ne li argumenti ancora de le
fabule vuole essere de li antichi e celebrati poeti, a tutta sua possanza,
imitatore; e come essi Menandro e Apollodoro e li altri Greci ne le lor
latine comedie seguitoro, egli così ne le sue vulgari i modi e processi de’
latini scrittori schifar non vuole. Come io vi dico, da lo Eunuco di
Terenzio e da li Captivi di Plauto ha parte de lo argumento de li suoi
Suppositi transunto, ma sì modestamente però che Terenzio e Plauto
medesimo, risapendolo, non l’arebbono a male, e di poetica imitazione,
che di furto più tosto, li darebbono nome. Se per questo è da esser
condennato o no, al discretissimo iudicio vostro se ne rimette; el quale vi
prega bene non facciate, prima che tutta abbiate la nuova fabula
connosciuta, la quale di parte in parte per sé medesima si dichiara. E se
quella benigna udienza che all’altra sua vi degnaste donare, non negherete
a questa, si confida non sia per satisfarvi meno.
Dixi.
Bernardo Dovizi da Bibbiena
Calandria
Prologo
Voi sarete oggi spettatori d’una nova commedia intitulata Calandria: in
prosa, non in versi; moderna, non antiqua; vulgare, non latina. Calandria
detta è da Calandro el quale voi troverrete sì sciocco che forse difficil vi
fia da credere che Natura omo sì sciocco creasse già mai. Ma, se viste o
udite avete le cose di molti simili, e precipue quelle di Martino da Amelia
(el quale crede la stella Diana essere suo’ moglie, lui essere lo Amen,
diventare donna, Dio, pesce ed arbore a posta sua), maraviglia non vi fia
che Calandro creda e faccia le sciocchezze che vedrete. Rappresentandovi
la commedia cose familiarmente fatte e dette, non parse allo autore di
usare il verso; considerato che e' si parla in prosa, con parole sciolte e non
ligate. Che antiqua non sia dispiacer non vi dee, se di sano gusto vi
trovate: per ciò che le cose moderne e nove delettano sempre e piacciono
di piú che le antique e le vecchie; le quale, per longo uso, sogliano sapere
di vieto. Non è latina: però che, dovendosi recitare ad infiniti, che tutti
dotti non sono, lo autore, che piacervi sommamente cerca, ha voluto farla
vulgare; a fine che, da ognuno intesa, parimenti a ciascuno diletti. Oltre
che, la lingua che Dio e Natura ci ha data non deve, appresso a noi, essere
di manco estimazione né di minor grazia che la latina, la greca e la ebraica:
alle quali la nostra non saria forse punto inferiore se la esaltassimo, la
osservassimo, la polissimo con quella diligente cura che li Greci e altri
ferno la loro. Bene è di sé inimico chi l’altrui lingua stima piú che la
propria; so io bene che la mia mi è sì cara che non la darei per quante
lingue oggi si trovano: cosí credo intervenga a voi. Però grato esser vi
deve sentire la commedia nella lingua nostra. Avevo errato: nella nostra,
non nella vostra, udirete la commedia; ché a parlare aviamo noi, voi a
tacere. De’ quali se sia chi dirà lo autore essere gran ladro di Plauto,
lassiamo stare che a Plauto staria molto bene lo essere rubato per tenere, il
moccicone!, le cose sue senza una chiave, senza una custodia al mondo;
ma lo autore giura, alla croce di Dio, che non gli ha furato questo (facendo
uno scoppio con la mano); e vuole stare a paragone. E, che ciò sia vero,
dice che si cerchi quanto ha Plauto, e troverassi che niente gli manca di
quello che aver suole: e, se così è, a Plauto non è suto rubato nulla del suo.
Però non sia chi per ladro imputi lo autore. E, se pure alcuno ostinato ciò
ardisse, sia pregato almeno di non vituperarlo accusandolo al bargello; ma
vada a dirlo secretamente nell’orecchio a Plauto. Ma ecco qua chi vi porta
lo Argumento. Preparatevi a pigliarlo bene, aprendo ben ciascuno il buco
de l’orecchio.
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