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VIAGGIARE

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VIAGGIARE
VIAGGIARE
Di Terry Speed (IMS Bulletin Volume 42, issue 7)
Viaggio molto. Troppo, dice mia moglie. E per troppo tempo. Naturalmente mi
riferisco a viaggi di lavoro e non ai viaggi fatti per scopi ricreativi. Conferenze,
workshop, seminari, incontri. Di solito racconto qualcosa, ma non sempre. A volte
mi basta ascoltare, altre volte prendo solo parte alle discussioni.
Perché lo faccio? Tanto per cominciare, rispondere affermativamente ad un invito
ritengo faccia parte del mio lavoro. Come accade ai giovani matematici e statistici,
ho sempre beneficiato di interazioni dirette e personali con persone di un certo
spessore matematico e statistico, che hanno fatto il lungo viaggio verso l'Australia
dal Regno Unito, dagli Stati Uniti o dall’Europa. Persone come I.J. Buono , M.H.
Pietra, S. MacLane, A.G. Kurosh e B.V. Gnedenko. Le chiacchierate con alcune di
queste persone hanno letteralmente cambiato la mia carriera. Se la penso così,
come posso rifiutare - come posso essere " troppo occupato " per non accettare un
invito a visitare o a tenere conferenze in qualche parte del mondo, perché troppo
lontane? Allo stesso modo, penso che un adeguato livello di partecipazione alle
conferenze è qualcosa che dobbiamo vedere come parte del nostro lavoro. Se i
nostri colleghi, o la società per la quale lavoriamo, si prenderà la briga di organizzare
un incontro su tematiche relative al settore di cui ci occupiamo, non è forse
ragionevole aspettarsi che dovremmo essere interessati a partecipare? Spero
proprio di sì. Impareremo qualcosa, soprattutto se andiamo a conferenze con un
elevato numero di partecipanti anziché quelle poco frequentate. A vantaggio di
tutti.
Un secondo motivo per viaggiare è raccontare alla gente, ciò che noi - i miei
studenti, i dottori di ricerca, i miei collaboratori ed io stesso – stiamo studiando. Ho
uno spirito abbastanza da evangelista (seppure statistico) da aver voglia di
raccontare le cose di cui mi occupo, soprattutto quelle che ritengo siano importanti
in un dato momento. Naturalmente ho sempre molto da imparare dagli altri,
quando faccio queste chiacchierate, imparo dalle loro domande e dalle discussioni
che seguono i miei interventi. Durante queste visite, a volte mi capita di reclutare
studenti, dottori di ricerca o collaboratori.
Il terzo motivo che mi spinge a viaggiare è scoprire ciò che gli altri stanno facendo.
Trovo che il modo più efficace e divertente per imparare ciò che le persone stanno
studiando è quello di ascoltarli dal vivo e parlare con loro faccia a faccia, anziché
rincorrere i loro appunti, leggere i lucidi delle loro presentazioni o i loro lavori,
quando appaiono, o ancora guardarli su YouTube.
Tutti questi motivi vi sembrano convincenti per affrontare un viaggio di natura
accademica? Spero di sì. E chi sto cercando di convincere? Avete indovinato!
Naturalmente il viaggio, quello vero, può essere qualsiasi cosa, dal brutto sogno ad
un incubo totale. Attendo con ansia il giorno in cui il teletrasporto diventerà una
realtà, quando potremo essere "risucchiati" dal posto dove vorremo andare. Fino ad
allora, cerco di organizzare le cose in modo che il mio viaggio sia più indolore
possibile. Non imbarco il bagaglio e preferisco portarlo sempre con me in aereo.
Questo limita la quantità di cose che posso portarmi, ma elimina il mal di testa da
ritardo o smarrimento del bagaglio. Sui voli lunghi cerco di dormire. Porto con me
dei libri da leggere durante gli inevitabili tempi morti, e cerco di fare tutto ciò che è
necessario per evitare di scontrarmi con le autorità. Non porto metalli o liquidi,
tolgo la cintura e le scarpe, svuoto le tasche e quando richiesto, faccio del mio
meglio per riempire correttamente i moduli da consegnare all’atterraggio. Dichiaro
tutto.
Tutto questo di solito funziona. I miei viaggi sono in genere tranquilli anzi quasi
noiosi. Ma non sempre. Il fato è dietro l’angolo, e un piccolo passo falso può avere
conseguenze reali. Nel mio ultimo viaggio, non avevo bagaglio da imbarcare (vedi
sopra). Dopo aver mostrato il passaporto e la carta d'imbarco al gate, sono entrato
in un piccolo aereo: il viaggio era breve, dagli Stati Uniti al Messico. Ma la mia borsa
era comunque troppo grande per la cappelliera dell’aereo, e così ho dovuto farla
controllare ed etichettare al gate. Mentre apponevo il cartellino, ho dovuto
appoggiare il passaporto, che avevo ancora in mano, per strappare il tagliando che
dovevo conservare in modo da recuperare il bagaglio all’atterraggio. Due ore più
tardi, mentre stavamo per atterrare in Messico , ed io avevo già compilato il modulo
di entrata in Messico, ho scoperto che non avevo più il passaporto. E non era da
nessuna parte! Così alle autorità messicane di immigrazione ho dovuto presentare la
mia patente di guida. Ovviamente mi hanno rispedito indietro. Ho preso un altro
aereo e sono tornato negli Stati Uniti.
Lì fortunatamente non ho avuto problemi ad entrare, e così sono stato in grado di
localizzare il mio passaporto, che non era molto lontano da dove l'avevo lasciato. Ho
riprenotato un volo per il Messico, e sono andato in un albergo a dormire un po’
prima di riprendere il viaggio il giorno successivo .
Non sono sicuro di quale sia la morale di questa storia. Forse questa: "le cose
accadono” anche quando si viaggia. E’ difficile che un viaggio possa essere perfetto.
State pur certi, però, che da questo viaggio così avventuroso, ho portato in dono a
mia moglie qualcosa di molto particolare…
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