Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni
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Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni BASILEA 3 E PERCORSI AGGREGATIVI PER LE BANCHE DI MINORI DIMENSIONI Relatore Dott. Cosimo Puglia Direttore Generale della Banca di Credito Cooperativo di Canosa Loconia Cattedra di Economia degli intermediari finanziari A-L Prof. Stefano Dell’Atti Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Indice 1. Premessa 1.1 BASILEA II E CRITICITÀ 1.2 PROBLEMATICHE CONNESSE 2. PROVVEDIMENTI BASILEA 3 SU PROBLEMI BASILEA II 3. RIFORME BASILEA III 4. IMPATTO E CONSEGUENZE SULLE BANCHE DI BASILEA III 5. CONSEGUENZE BASILEA III 5.1 BASILEA III E GLI STRESS TEST 5.2 GLI ESITI DEGLI STRESS TEST 6. LE POLITICHE DELLA BCE: IL QUANTITATIVE EASING 7. DISPOSIZIONI URGENTI PER IL SISTEMA BANCARIO E GLI INVESTIMENTI 8. FOCUS SUI MODELLI BANCARI ITALIANI 8.1 LE BANCHE POPOLARI 8.1.1 RIFORMA BANCHE POPOLARI 8.2 LE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO 8.3 LE BANCHE COMMERCIALI (SPA) 8.4 IL GRUPPO BANCARIO POLIFUNZIONALE 9. PERCORSI AGGREGATIVI 9.1 PREMESSA 9.2 LE AGGREGAZIONI COME PERCORSI DI SVILUPPO 9.3 PERCORSI AGGREGATIVI: CONFRONTO CON I MODELLI EUROPEI 1 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni 1. Premessa Il Comitato dei governatori delle Banche centrali, alla luce della crisi economica del 2008 ha voluto dar vita ad un nuovo insieme di regole, cui è stato dato il significativo nome di Basilea 3, al fine di rafforzare per il futuro, la struttura patrimoniale delle banche. Anche se ad oggi si è già in proiezione della nuova normativa di Basilea 4, occorre comprendere perché si è deciso di modificare ulteriormente i regolamenti già presenti in da Basilea 2, evoluzione di Basilea 1. 1.1 BASILEA II E CRITICITÀ Negli anni della recente crisi economica si avvertì sempre più forte la necessità di intervenire sul sistema economico dei Paesi in crisi con una accorta politica di sostegno alle imprese ed in tal senso il superamento delle normative stringenti dettate da Basilea II ,circa la concessione del credito, divenne un aspetto critico da affrontare. Con Basilea 2 si assegnava un coefficiente di rating all’impresa che richiedeva un finanziamento; in base a tale valutazione si stabilisce quanto l’azienda sia affidabile e quale sia il costo che la stessa sostiene nell’acquisto del denaro. Nel definire i parametri per l’assegnazione del rating risulta fondamentale per gli istituti di credito, la valutazione della capacità espressa dall’impresa di remunerare il capitale proprio e quello dei terzi (il capitale preso a prestito) prendendo quindi come indice di riferimento il rapporto tra R.O.E. e R.O.I. Inoltre la scelta delle modalità di assegnazione dei livelli di rischiosità veniva fissata dalle sedi centrali delle banche senza possibilità di scostarsene sensibilmente per le singole filiali. 1.2 PROBLEMATICHE CONNESSE L’attuazione delle normative previste da Basilea II ha comportato due problemi fondamentali: 1) difficoltà di effettuare politiche di pianificazione da parte delle imprese che vedono i tassi di interesse fluttuare pericolosamente nel breve periodo con la palese impossibilità di valutare il rendimento rendendo di fatto impossibile elaborare una scelta strategica che sia degna ti tale nome. Si giunge al paradosso che risultino più affidabili e sicure esclusivamente le aziende molto capitalizzate con la conseguenza che i soldi si danno solo a chi già li ha; 2) genericità con la quale sono stati definiti i parametri di base della valutazione del rischio; si creano così difficoltà nel processo di assegnazione del rating. Di seguito si propone uno schema semplificativo su cosa stabiliva l’Accordo in tre pilastri (pillar): 2 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Occorre ricordare come le banche effettuano in autonomia un’accurata identificazione dei rischi ai quali sono esposte, avuto riguardo alla propria operatività e ai mercati di riferimento attraverso un processo noto con il termine ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process) come previsto dalla normativa di Vigilanza prudenziale di Banca d’Italia (Circ.263/2006). Rischio di reputazione Il rischio attuale o prospettico di flessioni degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, contropar ti, azionisti della banca, investitori o autorità di vigilanza Rischio operativo Il rischio di perdite derivanti da violazioni di leggi o regolamenti,da controversie o resp. contratt.le o extra contr.le Rischio di Mercato Il rischio riferito alle variazioni di valore di uno strumento o di un portafoglio di strumenti finanziari connesso a variazioni inattese delle condizioni di mercato Rischio di Credito Comprende i rischi di controparte (il rischio che la controparte di un’operazione risulti inadempiente prima del regolamento definitivo dei flussi finanziari di un’operazione RISCHI RISCHI DI DI PRIMO PILASTRO PILASTRO Rischio di liquidità Il rischio che la banca non sia in grado di adempiere alle proprie obbligazioni alla loro scadenza Rischio di tasso di interesse Rischio derivante da attività diverse dalla negoziazione: rischio derivante da variazioni potenziali dei tassi di interesse Rischio di Concentrazione Rischio derivante da esposizioni verso controparti del medesimo settore economico, che esercitano la stessa attività o appartenenti alla medesima area geografica Rischio strategico Rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da cambiamenti del contesto operativo o da decisioni aziendali errate, attuazione inadeguata di decisioni, scarsa reattività a variazioni del contesto competitivo Rischio derivanti da cart.zione Rischio che la sostanza economica dell’operazione di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di gestione del rischio Rischio residuo Rischio che le tecniche riconosciute per l’attenuazione del rischio di credito utilizzate risultino meno efficaci del previsto ALTRI RISCHI RISCHI DI SECONDO PILASTRO 3 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Pertanto al fine di meglio comprendere le tematiche in oggetto si ripercorre una breve panoramica dei rischi previsti dalla normativa appena richiamata: a. rischio di credito Prima ancora di analizzare le componenti di tale rischio è bene chiarire cosa si intende per “rischio di credito” poiché, per quanto apparentemente semplice e delimitato, tale termine racchiude diversi significati ed è utilizzato con riferimento a diverse categorie di rischio ed a diverse tipologie di strumenti finanziari. Il concetto di rischio di credito rappresenta l’aspetto più tradizionale ed al tempo stesso rilevante dell’attività di intermediazione finanziaria. Il rischio di credito rappresenta la possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, (credito per la Banca, debito per il Cliente), generi una corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditoria. In altre parole è il rischio che nell'ambito di un'operazione creditizia il debitore non assolva anche solo in parte ai suoi obblighi di rimborso del capitale e/o al pagamento degli interessi al suo creditore. b. rischio di mercato; Per rischio di mercato si intende il rischio di variazioni del valore di mercato di uno strumento o di un portafoglio di strumenti finanziari connesse a variazioni inattese delle condizioni di mercato (prezzi azionari, tassi di interesse, tassi di cambio e volatilità di tali variabili); esso pertanto include i rischi su posizioni in valuta, in titoli obbligazionari ed azionari, così come su tutte le altre attività e passività finanziarie scambiate da una banca. I rischi di mercato vengono solitamente identificati con i rischi inerenti il solo portafoglio di negoziazione trading, inteso come l’insieme di posizioni assunte per un periodo di tempo breve, nell’intento di beneficiare delle variazioni dei prezzi di mercato; in realtà invece esse riguardano tutte le attività/passività finanziarie detenute da una banca, comprese quelle acquistate per finalità di investimento e destinate ad essere conservate in bilancio per un lungo arco di tempo. In linea generale si possono classificare cinque principali categorie di rischio di mercato : - Rischio di Cambio, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi di cambio (acquisti e vendite a pronti ed a termine, currency swap, currency…) -Rischio di Interesse, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi di interesse (titoli obbligazionari, forward rate agreement, interest rate swap,cap,floor); -Rischio Azionario, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile all’andamento dei mercati azionari (titoli azionari, stock-index future, stock optino, ecc.); -Rischio Merci, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei prezzi delle commodity (acquisti e vendite a pronti ed a termine di merci, commodity swap, commodity future, commodity option, ecc.); -Rischio di Volatilità, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni della volatilità di una delle variabili considerate sopra (currency option, opzioni su tassi di interesse, commodity option, ecc.). Per volatilità intendiamo il grado di variazione dei prezzi nel tempo di una variabile macroeconomica, di un titolo quotato o di un indice. Più ampie sono le oscillazioni dei valori 4 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni nel periodo di osservazione preso a riferimento, maggiore sarà la volatilità. Quando sul mercato azionario dominano le fasi speculative la volatilità dei prezzi dei titoli è decisamente più alta rispetto alla media. c. rischio operativo; L’incremento della complessità del sistema finanziario ha portato le banche a dedicare una crescente attenzione alla misura ed alla gestione del rischio operativo. A ciò hanno concorso innovazioni regolamentari (Accordo Basilea 2) e rilevanti investimenti richiesti da alcuni eventi straordinari, ma soprattutto il verificarsi di episodi che hanno evidenziato quanto gravi ed insidiose siano le perdite connesse a questa tipologia di rischio. Il rischio operativo, secondo quanto previsto dal Comitato di Basilea, viene definito come rischio di subire perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni. L’accordo precisa che tale definizione include il rischio legale, ma non quello strategico e reputazionale. Esso, ha definito, pertanto, i confini del rischio operativo guardando non ai suoi effetti, ma alle sue cause, ed in particolare a quattro possibili fattori di rischio: - Risorse umane : si tratta di eventi quali errori, frodi, violazioni di regole e procedure interne, problemi di incompetenza e negligenza; - Sistemi informativi : questo fattore include aspetti tecnologici, come guasti nell’hardware e software, ingressi non autorizzati di estranei nei sistemi informatici e presenza di virus, guasti alle telecomunicazioni; - Processi: questo fattore include procedure e controlli interni difettosi o inadeguati. Per esempio il rischio errori nel calcolo delle imposte dovute dalla Banca, nell’esecuzione e/o liquidazione di transazioni in titoli ed in divise estere, in errori contabili e di registrazione, o, ancora, nei sistemi di risk management; -Eventi esterni: questo fattore include le perdite dovute a cause esterne, non direttamente controllabili dal management della banca, ad esempio: modifiche nel quadro politico, regolamentare o legale che comportino nuovi costi o una riduzione dei ricavi aziendali; interruzioni del servizio da parte di fornitori esterni; atti criminali come furti, vandalismo, rapine e terrorismo. Altri Rischi rilevanti sono: -rischi derivanti da cartolarizzazioni: rischio che la sostanza economica dell’operazione di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di gestione del rischio; -rischio strategico: il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da cambiamenti del contesto operativo o da decisioni aziendali errate, attuazione inadeguata di decisioni, scarsa reattività a variazioni del contesto competitivo; -rischio di reputazione: il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, controparti, azionisti della 5 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni banca, investitori o autorità di vigilanza. rischi derivanti da cartolarizzazioni: rischio che la sostanza economica dell’operazione di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di gestione del rischio; d. Rischio di tasso di interesse Il rischio di tasso di interesse sul portafoglio bancario è il rischio derivante da variazioni potenziali dei tassi di interesse sulle attività e passività diverse da quelle allocate nel portafoglio di negoziazione ai fini di vigilanza. L’Autorità di Vigilanza richiede alle Banche di dotarsi di norme, strumenti e processi efficaci per la gestione del rischio di tasso di interesse sul portafoglio bancario. Ai fini della misurazione della propria esposizione al rischio di tasso di interesse sul portafoglio bancario, l’Autorità di Vigilanza propone una metodologia semplificata di riferimento mediante la quale stimare la potenziale riduzione del valore economico della Banca, qualora intervenisse uno shock (marcata variazione) nel livello dei tassi di interesse pari a 200 punti base. e. Rischio di concentrazione Il rischio di concentrazione è il rischio derivante da esposizioni verso controparti, gruppi di controparti connesse e controparti del medesimo settore economico o che esercitano la stessa attività o appartenenti alla medesima area geografica. Il rischio di concentrazione è connaturato allo svolgimento dell’attività caratteristica esercitata in qualità di intermediario impegnato nel processo di “trasformazione per dimensione di controparte”, consentendo infatti la destinazione della raccolta di fondi frammentati e dispersi al sostegno di investimenti concentrati e mirati a fini produttivi e finanziari.Come già detto la politica creditizia del Banco è tradizionalmente improntata ad evitare una concentrazione dei crediti in singoli settori economici nonché verso singole controparti collegate, con l’obiettivo principale di aumentare il grado di frazionamento del rischio e la c.d. “granularità” del portafoglio. f. Rischio di liquidità “Il rischio di liquidità si manifesta in genere sotto forma di inadempimento ai propri impegni di pagamento, che può essere causato da incapacità di reperire fondi ovvero dalla presenza di limiti allo smobilizzo delle attività”. “La direttiva 2006/48/CE introduce l’obbligo di definire strategie e processi per la gestione del rischio di liquidità e, in particolare, per la sorveglianza della posizione finanziaria netta della banca, e di predisporre piani di emergenza”. L’Autorità di Vigilanza (Circ. Banca d’Italia n.263/2006) ha definito specifiche linee guida per la definizione di sistemi e procedure di misurazione, attenuazione e controllo del rischio di liquidità. Il mantenimento nel breve periodo di un rapporto sostenibile tra i flussi di cassa in entrata e in uscita è presupposto fondamentale per assicurare lo svolgimento dell’operatività aziendale in condizioni di equilibrio economico e finanziario. Le tipiche azioni svolte a tal fine consistono: nella gestione del profilo degli esborsi di liquidità da effettuare; 6 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni nel monitoraggio della consistenza e del grado di utilizzo delle APM (Attività Prontamente Monetizzabili); nella gestione della riserva obbligatoria; nell’analisi della situazione della Banca nell’orizzonte tra i 3 e i 12 mesi ed esecuzione di opportune manovre correttive volte a minimizzare il rischio di liquidità. 2. PROVVEDIMENTI BASILEA 3 SU PROBLEMI BASILEA 2 Il 16/10/2012 il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria ha predisposto provvedimenti che mirano a rafforzare la regolamentazione della Vigilanza e della gestione del rischio del Settore bancario. Le riforme di pongono l’obiettivo di : Correggere la ridotta capacità predittiva nei processi di analisi dei rischi; Modificare i sistemi interni e le metodologie per la valutazione del rischio di credito (Approccio IRB di base, Approccio IRB avanzato), perché eccessivamente arbitrari; Intervenire sulla computabilità del patrimonio di qualità secondaria in misura superiore al patrimonio di qualità primaria, attraverso criteri di computabilità degli strumenti di capitale più stringenti, al fine di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività migliorare la capacità del settore bancario di assorbire shock derivanti da tensioni economiche e finanziarie, indipendentemente dalla loro origine; le banche avevano assunto rischi eccessivi senza un proporzionale incremento del livello di capitalizzazione e con capitale di bassa qualità; migliorare la gestione del rischio e la governance; nei coefficienti di ponderazione stabiliti da BASILEA II erano sottovalutati i rischi degli impieghi di natura finanziaria; ipotizzando che i mercati in cui sono trattate queste attività siano costantemente liquide ed efficienti. rafforzare la trasparenza e l'informativa delle banche. 3. RIFORME BASILEA 3 Sulla base di quanto finora esposto e sulle criticità emerse dall’Accordo di Basilea II si avvertì la necessità di introdurre delle riforme che culminarono con Basilea III. In sintesi le riforme vertono su: a. la regolamentazione microprudenziale, ossia a livello di singole banche, che concorrerà a rafforzare la resistenza dei singoli istituti bancari alle fasi di stress; b. i rischi macroprudenziali, ossia a livello di sistema, che possono accumularsi nel settore bancario, nonché l'amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo. 7 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Questi due approcci alla vigilanza sono complementari, poiché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock sistemici. L’applicazione delle nuove norme venne fissata per il 2013. S’illustra un quadro di riepilogo delle principale “Disposizioni di Vigilanza prudenziale per le banche rispettivamente per Basilea II e Basilea III. Una distinzione è dovuta, in quanto i coefficienti di riferimento sono stati drasticamente modificati, rendendo impossibile un confronto diretto tra i valori dei singoli coefficienti. 8 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni BASILEA II COEFFICIENTI PATRIMONIO DI BASE (TIER 1) 4% PATRIMONIO SUPPLEMENTARE (TIER 2) 8% PATRIMONIO DI VIGILANZA BASILEA III CAPITALE PRIMARIO DI CLASSE 1 (Common equity Tier 1- CET1) CAPITALE AGGIUNTIVO DI CLASSE 1 (Additional Tier – AT1) FONDI PROPRI COEFFICIENTI + BUFFER DI CONSERVAZIONE DEL CAPITALE PARI AL 2,5% 4.5% 7% 6% 8,5% 8% 10,5% Il Patrimonio di Vigilanza (ora Fondi Propri) Il patrimonio di vigilanza è un concetto diverso da quello di capitale. La composizione di tale voce, infatti, è dettata in modo univoco dalle istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia. Esso nasce dalla somma algebrica di due componenti: il patrimonio di base e il patrimonio supplementare. Il patrimonio di base è formato da: • capitale versato; • riserve; • fondo rischi bancari generali; • strumenti innovativi di capitale. Da tale aggregato vengono dedotte le azioni proprie, l'avviamento, le immobilizzazioni immateriali, le eventuali perdite presenti e passate. Il patrimonio supplementare è formato da: • le riserve di rivalutazione; • strumenti ibridi di patrimonializzazione e passività subordinate; • fondo rischi su crediti al netto delle minusvalenze su titoli e altri elementi negativi; • le plus/minusvalenze nette su partecipazioni. Il patrimonio supplementare può essere pari al massimo al patrimonio di base, eventuali maggiorazioni non potranno essere considerate nella somma. 9 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni L’accordo di Basilea II e la normativa di Vigilanza prudenziale si soffermano sulle soglie minime del Patrimonio di Vigilanza il quale dev’essere composto da: Il Patrimonio di Base (Tier 1) in grado di assorbire le perdite in condizioni di continuità d’impresa (going concern) dovrà essere almeno pari al 4% dell’attivo di rischio ponderato. Il Patrimonio Supplementare (Tier 2), in grado di assorbire le perdite in caso di liquidazione (capitale gone concern). Il patrimonio di vigilanza totale (Tier 1 + Tier 2) deve essere pari ad almeno l’8% dell’attivo di rischio ponderato (RWA – Risk Weighet Asset) Indice di Leva Finanziaria Basilea III, oltre ai requisiti di capitale ponderati per il rischio, introduce un indicatore minimo di leva finanziaria (leverage ratio) non aggiustato per il rischio pari al 3%. L’obiettivo è di porre un limite alla crescita del leverage dei sistemi bancari e, nello stesso tempo, di introdurre una sorta di protezione contro il “rischio di modello”, ossia che i metodi usati per la stima dei coefficienti di ponderazione sottostimino i rischi effettivi e quindi il fabbisogno di capitale. Tale misura, espressa in un rapporto massimo tra il volume delle esposizioni e il capitale, ha una importante finalità: 1) contenere l’espansione degli attivi bancari nelle fasi di elevata crescita economica, contribuendo ad attenuare i possibili effetti prociclici della regolamentazione prudenziale; 2) supplire ad eventuali carenze o imperfezioni nei modelli interni , soprattutto se applicati a comparti finanziari particolarmente complessi o innovativi. Le caratteristiche del leverage ratio sono le seguenti: – il numeratore (totale attivo) viene misurato facendo riferimento ai criteri contabili, considerata l’esigenza di costruire un indicatore non risk-based e comunque non eccessivamente complesso; – per il denominatore (capitale) è utilizzata una definizione prudenziale di capitale di elevata qualità. Ai fini del calcolo del denominatore del leverage ratio, si terrà conto dell’esposizione totale, comprensiva delle attività fuori bilancio, alle quali si applica un fattore di conversione (credit conversion factor CCF) uniforme pari al 100%. Indici per il monitoraggio del rischio di liquidità a. Liquidity coverage ratio – LCR 10 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Trattasi di un indicatore di monitoraggio del rischio di liquidità nel breve termine e che comporta alle banche detenere stabilmente (in ogni tempo t) uno stock di attivi liquidi di alta qualità sufficiente a resistere a 30 giorni di deflussi di tesoreria in situazioni di stress sia idiosincratiche sia delle condizioni di mercato. b. Net stable funding ratio - NSFR 𝑬𝒍𝒆𝒎𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒄𝒉𝒆 𝒇𝒐𝒓𝒏𝒊𝒔𝒄𝒐𝒏𝒐 𝒇𝒊𝒏𝒂𝒏𝒛𝒊𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒔𝒕𝒂𝒃𝒊𝒍𝒆 ≥ 100% 𝑬𝒍𝒆𝒎𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒄𝒉𝒆 𝒓𝒊𝒄𝒉𝒊𝒆𝒅𝒐𝒏𝒐 𝒇𝒊𝒏𝒂𝒏𝒛𝒊𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒔𝒕𝒂𝒃𝒊𝒍𝒆 Indicatore di medio lungo termine con l’obiettivo di imporre alle banche un bilanciamento fra le fonti (numeratore) e gli impieghi (denominatore) di risorse stabili, al fine di minimizzare il gap di scadenze fra attivo e passivo. La raccolta stabile disponibile (numeratore) corrisponde a quella parte di finanziamenti a titolo di capitale e di debito di cui si prevede di poter disporre in un orizzonte temporale di un anno in condizioni di stress (situazioni derivanti, ad esempio, da significative riduzioni nella redditività o nella solvibilità della banca per il peggioramento dei rischi di credito, di mercato o operativi; o dal possibile downgrading del debito emesso dalla banca). L’ammontare necessario di raccolta stabile (denominatore) è una stima del fabbisogno di finanziamenti stabili, che dipende dalla dimensione delle attività e degli impegni fuori bilancio, ponderati in base al grado di liquidità (mediante fattori definiti “required stable funding”, RSF). Un attivo con grado di liquidità elevato è più facilmente utilizzabile come fonte di risorse monetarie in condizioni di stress (es. utilizzo come garanzia di operazioni di rifinanziamento) e quindi riceverà un coefficiente di ponderazione RSF inferiore rispetto a quello assegnato alle attività meno liquide, che richiedono un finanziamento più stabile. I fattori RSF sono parametri definiti dal Comitato di Basilea che approssimano, per ogni tipologia di attivi, la quota che si ritiene non potrebbe essere monetizzata mediante la vendita o l’impiego come garanzia in condizioni protratte di tensione di liquidità (1 anno), e che quindi deve essere coperta con raccolta stabile. - Approfondimento: Il recepimento delle novità di Basilea 3 in Italia A tal proposito occorre evidenziare come la circolare di Banca d’Italia n.285 del 19 Dicembre 2013, in vigore dal 01 Gennaio 2014, raccoglie le disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche e gruppi bancari italiani, e nasce al fine di aggiornare il quadro regolamentare, rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, migliorare la gestione del rischio e la governance, rafforzando la trasparenza e l’informativa delle banche. In particolare la normativa di Vigilanza prudenziale, già disciplinata dalla Circ. 263/2006 di Banca d’Italia, recepisce due importanti disposizioni comunitarie: 11 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni - Direttiva 2013/36/UE (IV CRD) sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento; - Regolamento (UE) n. 575/2013 (CRR) che disciplina i requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento; che sostituisce la tradizionale definizione di “Patrimonio di Vigilanza” con il termine “Fondi Propri”. Le presenti disposizioni attuano quanto previsto ed introdotto dall’Accordo di Basilea III. In particolare si sofferma sulle seguenti nozioni: a. Riserve aggiuntive di capitale: 1. Riserva di conservazione del Capitale (Conservation capital buffer); 2. Riserva di capitale anticiclica (Countercyclical Buffer) b. Nuova nozione di patrimonio di Vigilanza in Fondi propri. a. Riserve aggiuntive di capitale 1. Conservation Capital buffer Consiste in un ulteriore accantonamento di risorse patrimoniali (buffer) di elevata qualità da costituirsi in periodi non caratterizzati da tensioni di mercato ed è volta a preservare il livello minimo di Capitale regolamentare in momenti di mercato avversi. È obbligatoria ed è pari al 2,5% dell’esposizione complessiva al rischio della Banca (RWA), da detenere in aggiunta al 4,5% che rappresenta il requisito minimo. Qualora il patrimonio scenda sotto a questo livello, la banca non è tenuta a ricapitalizzarsi e può continuare la propria operatività, ma sarà assoggetta a vincoli alla distribuzione del capitale. 2. Riserva di capitale anticiclica (Countercyclical Buffer) Opera come estensione del buffer di conservazione del capitale . Ha finalità macroprudenziale, ossia quella di proteggere il sistema bancario dai rischi sistemici associati a un eccesso di offerta aggregata di credito. L’ obiettivo di questo buffer è quindi principalmente quello di ridurre i rischi sistemici della prociclicità della regolamentazione del capitale. b. Fondi propri Sono dati dalla somma del Capitale Primario di classe 1 (CET 1), dal Capitale Aggiuntivo di classe 1( che costituiscono nel complesso il Tier 1) e dal Capitale di classe 2 (Tier 2). Si riportano le definizioni degli aggregati più importanti: 12 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni CAPITALE PRIMARIO DI CLASSE 1 (CET1) In pratica è dato dalla somma del Capitale proprio, riserva da sovrapprezzo azioni e riserve di capitale, (Tier 1) secondo quanto stabilito dall’art 26 e seguenti della CRR, al netto delle rettifiche di valore supplementari sulle attività valutate al valore equo (art.34 CRR); CAPITALE DI CLASSE 2 (Tier 2) tale capitale comprende componenti quali Passività subordinate e perdite nette non realizzate su attività valutate al valore equo (art 467.2 e 468.2 CRR). 4. IMPATTO E CONSEGUENZE SULLE BANCHE DI BASILEA III Tutte le operazioni che la banca compie comportano dei rischi e quindi delle possibili perdite. Più forte è il rischio più alte potrebbero essere le perdite e maggiore è la quantità di denaro che la banca deve accantonare per tutelarsi. In sintesi: Le banche dovranno quindi sostenere un incremento dei costi e questo finirà per ricadere sui loro clienti in termini di aumento delle commissioni e degli spread sui prestiti bancari; Le aziende dovranno aspettarsi di essere esaminate con più attenzione di prima quando richiederanno denaro ad un istituto di credito; Le valutazioni del rating delle imprese saranno sempre più attente e determinanti rispetto ad almeno due decisioni: se e quanto denaro prestare, e a quali costi/condizioni farlo. Per adeguarsi alle nuove regole le banche saranno costrette ad aumentare il loro capitale per coprire il deficit di patrimonio risultante da: a) l’aumento dei requisiti minimi per il CET1 e Tier I, incluso il buffer di conservazione. b) le maggiori deduzioni, che riducono l’ammontare del capitale computabile ai fini del rispetto dei requisiti; c) l’aumento dei coefficienti di ponderazione. Ne consegue che, per adeguarsi al nuovo minimo richiesto da Basilea III per il CET1, le banche dovranno aumentare tale componente del patrimonio regolamentare o ridurre l’attivo di rischio ponderato degli importi necessari per passare dal 4,5% al 7%. Particolarmente rilevante è altresì l’impatto previsto per nuovi requisiti di liquidità (la cui applicazione è, non a caso, posticipata rispetto all’entrata in vigore delle nuove regole sul capitale). I valori stimati dal BCBS ( BASEL COMMITEE ON BANKING SUPERVISION - Comitato di Basilea per la Vigilanza bancaria) per il LCR e per il NSFR risultavano nel 2010, per le maggiori banche, pari rispettivamente all’83% e al 93% (rispetto al minimo richiesto del 100%). La minore trasformazione 13 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni delle scadenze e l’aumento della detenzione di attività liquide derivanti dalla necessità di rispettare i nuovi indicatori di liquidità sono destinati ad avere effetti negativi sulla redditività delle banche (in termini di minore margine d’interesse e minore ROA). Nello stesso senso influirà la maggiore concorrenza e il conseguente aumento dei tassi passivi per le forme di raccolta considerate più stabili dalla regolamentazione, in particolare i depositi da clientela e le obbligazioni a scadenza protratta. E’ altresì prevedibile che, a parità di altre condizioni, le banche incrementino gli investimenti in titoli di Stato a scapito dei crediti alla clientela, specie quelli a lungo termine. Nel caso specifico della realtà del Credito Cooperativo si ricorda che per le BCC è previsto un regime più favorevole rispetto alle altre banche. Infatti le BCC possono, in sostanza, includere nelle loro riserve di liquidità la raccolta interbancaria non garantita (in deroga quindi al principio generale che considera quest'ultima altamente volatile in situazioni di stress), purchè le BCC stesse rispettino alcuni requisiti, tra i quali la realizzazione di un sistema di tutela istituzionale come il Fondo di Garanzia Istituzionale (FGI). 5. CONSEGUENZE BASILEA 3 Le disposizioni di Basilea I, II e III si sono poste l’obiettivo primario di ridurre i rischi delle banche e dei loro clienti, cercando di limitare in primo luogo le operazioni volte esclusivamente a conseguire un profitto speculativo, rendendole così onerose da non essere più convenienti. Tuttavia questa regolamentazione non è stata in grado di evitare le crisi finanziarie che hanno seguito: si pensi a ciò che è accaduto in Asia o in America latina (Argentina) negli anni seguenti. Basilea III, prevede un graduale incremento dei requisiti patrimoniali che ha comportato, per numerose banche, difficoltà di adeguamento a livello sistematico; dover garantire finanziamenti e operazioni rischiose con una quota maggiore di capitale, significa infatti: • incrementare il capitale proprio, operazione alquanto difficile; oppure • negare finanziamenti più rischiosi, riducendo così l’attività creditizia. Proprio la contrazione dell’attività creditizia è il maggior rischio insito in Basilea III. Se molti debitori con un rating sfavorevole si vedranno negare un finanziamento, ciò avrà ripercussioni negative sull’economia nel suo complesso. In futuro, solo le aziende con rating “ottimi” avranno accesso al sistema creditizio, mentre le altre saranno escluse o costrette a pagare interessi più elevati. Riepilogando, affermiamo quanto segue: a. Basilea III e le successive norme obbligheranno le banche a “premiare” le operazioni meno rischiose e, sul fronte opposto, a effettuare depositi a garanzia delle operazioni più rischiose talmente onerosi, da non renderle più convenienti, così che non verranno più messe in atto. 14 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni b. Le aziende dovranno migliorare il loro rating nel minor tempo possibile, al fine di garantirsi l’accesso al credito. c. Il prezzo di un finanziamento, ovvero il tasso d’interesse, sarà determinato dal rating: le imprese potranno operare per migliorare questa valutazione e, di conseguenza, il prezzo del credito attraverso atteggiamenti personali, formazione dei mezzi propri, riduzione dei prelievi del titolare, ecc. A breve termine, l’economia sarà forse frenata nella sua crescita dall’introduzione di Basilea III, ma a medio e lungo termine ciò comporterà uno sviluppo stabile, benché più moderato. 5.1 BASILEA III E GLI STRESS TEST Gli stress test messi a punto dall’ EBA (Autorità di Vigilanza Bancaria) e dalla BCE per valutare i progressi nell’applicazione degli accordi di Basilea 3, sono entrati in vigore a gennaio 2014 e saranno a regime solamente nel 2019. Sorgono tuttavia perplessità sulla reperibilità delle risorse necessarie e sugli effetti sul credito. Le banche devono disporre di un programma completo di prove di stress per il rischio di credito di controparte. Tale programma include i seguenti elementi: per tutte le controparti, le banche devono condurre con frequenza almeno mensile prove di stress sulle esposizioni relativamente ai principali fattori di rischio di mercato (ad esempio tassi di interesse, di cambio, azioni, spread creditizi e prezzi delle materie prime) al fine di individuare e, ove necessario, ridurre in modo proattivo le concentrazioni eccessive verso sensibilità direzionali specifiche; le banche devono applicare scenari di stress multifattoriali e valutare i rischi significativi con cadenza almeno trimestrale. Le prove di stress multifattoriali dovrebbero quantomeno cercare di contemplare scenari in cui: a) si sono verificati gravi eventi economici o di mercato; b) la liquidità del mercato nel suo complesso è significativamente diminuita; c) l’impatto sul mercato della liquidazione di posizioni di un intermediario finanziario di grandi dimensioni. Tali prove di stress possono essere inserite nella cornice di un esercizio di stress testing a livello di intera banca; le oscillazioni del mercato in condizioni di stress hanno un impatto non solo sulle esposizioni verso le controparti, ma anche sulla qualità creditizia di queste ultime. Con frequenza almeno trimestrale le banche devono condurre prove di stress che applichino condizioni di tensione alla variazione concomitante delle esposizioni e del merito di credito delle controparti; i risultati delle prove di stress devono entrare a far parte delle segnalazioni periodiche inviate all’alta direzione. L’analisi dovrebbe rilevare i maggiori impatti a livello di controparti nel portafoglio, le concentrazioni significative all’interno di segmenti del portafoglio (nell’ambito dello stesso settore o regione), nonché le tendenze rilevanti del portafoglio e delle controparti; 15 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Si ricorda come l’intensità degli shock dei fattori dovrebbe essere coerente con lo scopo della prova di stress. Nel valutare la solvibilità in condizioni di stress, gli shock dei fattori dovrebbero essere sufficientemente intensi da riflettere condizioni di mercato storiche estreme e/o situazioni di tensione sui mercati estreme ma plausibili. Andrebbe valutato l’impatto di tali shock sulle risorse di capitale, nonché sui requisiti patrimoniali e sugli utili. Ai fini dell’attività quotidiana di monitoraggio, copertura e gestione delle concentrazioni di portafoglio, le banche dovrebbero altresì considerare scenari meno severi ma più probabili. Infine i risultati delle prove di stress per le esposizioni significative dovrebbero quantomeno essere raffrontati con linee guida che esprimano la propensione al rischio della banca ed essere oggetto di discussioni e interventi laddove siano presenti rischi eccessivi o concentrati. 5.2 GLI ESITI DEGLI STRESS TEST L’EBA e la BCE hanno implementato questa serie di stress test, i cui risultati sono stati resi noti a ottobre 2014 e poi pubblicati nei bilanci 2014 delle banche, proprio per verificare la tenuta del sistema con le nuove regole e per monitorare il lento processo di adeguamento dei coefficienti patrimoniali. Tra i parametri della valutazione il più importante (specie per le 15 banche italiane coinvolte) è la valutazione dei Titoli di Stato in portafoglio, che potrebbe risultare molto severa e richiedere ulteriori iniezioni di capitale. Si illustrano di seguito i principali risultati delle prove di stress riguardanti le principali Banche italiane: Approfondimento: “Stress test, 13 banche non superano la prova. Disco rosso per Mps e Carige” (articolo sole 24 ore del 27 ottobre 2014 di A.Merli con un’analisi di F.Pavesi) Sono 13, di cui 4 italiane, le banche dell'Eurozona che non hanno superato l'esame dei bilanci condotto dalla Banca centrale europea. Le quattro italiane sono Monte dei Paschi di Siena, CarigePopolare di Vicenza e Popolare di Milano. L'esame della Bce, mirava a rassicurare i mercati sulla solidità del sistema bancario europeo e sulla sua capacità di fornire i finanziamenti necessari a un'economia reale in piena stagnazione La “valutazione approfondita” della Bce, realizzata nel 2014 ha coinvolto le 130 banche di cui l'Eurotower assumerà la vigilanza diretta 25, di cui 9 italiane (le altre sono Veneto Banca, Banco Popolare, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio, Popolare dell'Emilia Romagna) le banche che non superavano le soglie fissate dalla Bce. Questi devono poi presentare un piano di rientro entro il 10 novembre 2014, nel quale illustreranno gli aumenti di capitale già fatti e altre misure, come dismissioni di attivi e utili non distribuiti, che dovranno essere convalidate dalla Bce. Il lavoro della Bce, composto appunto di due parti, l'Aqr (l'esame della qualità dell'attivo) e lo stress test (con un doppio scenario, di base e avverso, che prevede shock economici e finanziari più severi), ha messo in luce la necessità da parte delle banche europee di intraprendere ulteriori azioni per rafforzarsi. L'Aqr ha portato a una riduzione del valore dell'attivo di 48 miliardi di euro, di cui 12 miliardi di euro attribuiti alle banche italiane. 16 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Lo stress test, nel caso più negativo, ridurrebbe il capitale delle banche di 263 miliardi di euro, portandolo dal 12,4% all'8,3 percento. L'impatto più significativo sarebbe sulle banche francesi (49 miliardi di euro), seguita dalle italiane (47) e dalle tedesche (46,4). «Questa revisione senza precedenti delle posizioni delle banche più grandi ha detto il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, nel presentare i risultati aumenterà la fiducia del pubblico nel settore bancario. Identificando problemi e rischi, contribuirà a riparare i bilanci e rendere le banche più robuste. Ciò dovrebbe facilitare più credito in Europa, il che aiuterà la crescita economica». La mancanza di credito, soprattutto alle imprese piccole e medie del Sud Europa, viene considerata una delle cause principali della stagnazione. La ripresa della domanda di credito per ora è modesta, 6. LE POLITICHE DELLA BCE: IL QUANTITATIVE EASING Tra le politiche più importanti annunciate dalla BCE in questi anni di crisi sicuramente occorre citare l’annuncio dell’avvio di un ampio programma di espansione quantitativa della moneta e acquisto di titoli con l’obbiettivo di riportare il livello dell’inflazione dell’area euro verso il 2 percento. Tradotto alla lettera significa “facilitazione quantitativa” o “allentamento/alleggerimento quantitativo”. Nella quantità c’è la chiave degli effetti che una manovra del genere può avere sull’economia: maggiore è la quantità di denaro che si immette con questa operazione, maggiore è la “facilitazione”. Si accompagna spesso all’espressione “iniezione di liquidità“, in opposizione ad un altro termine tecnico molto usato che è il “credit crunch”. Ciò nonostante le banche, anche per i criteri restrittivi anti-default fissati da Basilea 3, non hanno ripreso a prestare a famiglie e imprese e l’economia europea si è avviata verso la stagnazione, con l’andamento dei prezzi che in un circolo vizioso tende alla deflazione. E visto che il problema principale dell’Eurozona è stato individuato dai suoi stessi vertici nei debiti pubblici, deflazione e Pil che non cresce sono due condizioni per le quali la riduzione del debito diventa un obiettivo impossibile Se tutto procede secondo i piani del Presidente della BCE, Mario Draghi, si prevede l’acquisto di titoli di Stato da 60 miliardi al mese almeno fino al settembre 2016. Ciò comporterà i seguenti effetti: Dalla creazione di moneta al calo dei rendimenti sui titoli - Il quantitative easing consiste nel fatto che la banca centrale va sul mercato, compra titoli di cui sono pieni i bilanci delle banche commerciali e per pagarli crea moneta che immette nel sistema. La prima conseguenza è che il prezzo dei titoli sale (perché c’è più domanda) e il loro rendimento, cioè il tasso di interesse che ogni Stato paga per finanziare il proprio debito, scende. Questo, peraltro, nell’Eurozona è già avvenuto perché i mercati hanno anticipato la mossa di Draghi e si sono mossi di conseguenza. Molti titoli pubblici di Stati europei, a partire da quelli tedeschi a breve termine, offrono ormai da qualche mese rendimenti addirittura negativi. Risultato: scendono gli interessi sul debito. Cioè la zavorra che affossa i bilanci di Paesi come l’Italia. Giù anche i tassi di interesse su mutui e prestiti – A loro volta, poi, i bassi tassi sui titoli pubblici fanno calare anche il rendimento delle altre obbligazioni (quelle di banche e aziende). Alla fine, quel che accade è che scendono tutti tassi, compresi quelli a cui sono indicizzati i mutui. Un 17 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni fronte su cui le armi “convenzionali” della Bce erano ormai spuntate, visto che il tasso principale di rifinanziamento è già al minimo storico (0,05%) e abbassarlo ulteriormente non avrebbe alcun effetto. L’euro si deprezza e sale l’inflazione – Il terzo canale di trasmissione è quello che passa attraverso la valuta. Che si deprezza, perché ce n’è molta di più in circolazione. L’euro dovrebbe dunque perdere terreno rispetto al dollaro, favorendo le esportazioni. Al tempo stesso, l’aumento dell’offerta di moneta crea inflazione. Questo è uno degli obiettivi fondamentali di Draghi, visto che la Bce ha come “target” un’inflazione vicina al 2%, mentre ora nell’Eurozona i prezzi sono in discesa. E, come è noto, il calo dei prezzi innesca una spirale negativa per cui le imprese non investono, i consumatori non acquistano e l’economia ristagna. Moneta debole e un minimo di inflazione, insieme, hanno quindi effetti benefici sull’economia reale. Il che dovrebbe anche far crescere l’occupazione. Sale il valore delle case – L’effetto congiunto della riduzione dei tassi sui mutui e dell’aumento della liquidità sui mercati è un aumento del valore delle attività finanziarie e reali, comprese le case. Di conseguenza, i proprietari immobiliari – cioè l’80% delle famiglie italiane – e coloro che hanno investito i risparmi in azioni o obbligazioni societarie si ritrovano più ricchi. E dovrebbero essere indotti a spendere di più. Le banche, alleggerite dai titoli di Stato, hanno più liquidità per fare prestiti o investimenti - Infine, come effetto collaterale, i bilanci delle banche risultano alleggeriti da un eccesso di titoli di Stato. E gli istituti – ammesso che lo vogliano e che la domanda sia ripartita – sono incentivati a usare il denaro incamerato per dare più prestiti. O per investire nel mercato immobiliare e azionario. I probabili effetti del Quantitative easing in Europa e in Italia. 18 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Indubbiamente la politica di «Quantitative easing» (di seguito QE) comporterà una serie di vantaggi ma è altrettanto indubbio che l'Europa abbia una serie di problematiche che rendono questi benefici molto più blandi che negli Usa in quanto l'economia europea è diversa da quella americana. Negli Usa ci sono grandi aziende, che si finanziano principalmente (per circa l'80%) sul mercato finanziario: quando la Fed buttava sui mercati enormi quantità di liquidità, dunque, queste imprese avevano un beneficio immediato, diretto. In Europa, ed in particolare in Italia, dominano invece le piccole e medie imprese, che non si finanziano sui mercati se non marginalmente: l'80-90% del credito lo ricevono dalle banche. Affinché il beneficio del QE arrivi alle Pmi, dunque, è necessario che le banche riducano i tassi alle imprese e aumentino le erogazioni. Tuttavia tale effetto non si è ancora diffuso in modo sistematico in quanto se da inizio 2014 il rendimento dei BTP decennali è sceso dal 4,09% all'1,76%, i tassi bancari in Italia non sono calati alla stessa velocità. Questo perché le banche sono da un lato zavorrate da sempre più pesanti requisiti patrimoniali (imposti dalla stessa Bce) e dall'altro sono appesantite da 181 miliardi di crediti in sofferenza. Occorre anche sottolineare come dall'inizio della crisi, in particolare in Italia, è sparito credito per 100 miliardi di euro ed è difficile che questo gap venga colmato in fretta, date le condizioni precarie delle banche e dell'economia. Si consideri infine come in Europa il «quantitative easing» rischia di restare l'unica misura espansiva in quanto altre politiche espansive da parte dei Governi europei non sono state messe in atto per via dei stretti vincoli di Bruxelles (austerity). 7. DISPOSIZIONI URGENTI PER IL SISTEMA BANCARIO E GLI INVESTIMENTI INTRODUZIONE - Le problematiche finora discusse, la crisi economica, la difficoltà di ripresa che ha colpito famiglie imprese e grandi aziende ha comportato la necessità di attuare nuove riforma, anche e soprattutto nel sistema bancario. In Italia ci sono due tipologie di banche sotto la lente: il credito cooperativo che per natura è mutualistico e quello delle banche popolari che non sono mutualistiche pur avendo forma di cooperativa. E’ importante ricordare come quando nel 2009 è arrivata in Europa l’ondata della crisi subprime Usa, e che ha colpito le banche esposte prevalentemente ad attività di natura finanziaria, molti Paesi come Belgio, Francia, Olanda, Regno Unito e Germania, per non parlare di Irlanda e Spagna, hanno dovuto sopportare costi pubblici importanti per salvare le banche, comprensibilmente, visto che nessun governo può permettersi di far fallire una banca sistemica. Tali eventi hanno implicato un forte intervento pubblico, talora fino al 10-20% del PIL, a favore del sistema bancario, che è stato all’origine della crisi. In Italia, ad esempio, se si escludono gli acquisti di Tremonti e Monti bond da parte di Mps, non c’è stato intervento a favore degli istituti di credito prima della crisi. Dal 2011, quando si è allargato lo spread tra Btp e Bund, questo si è riflesso sulle banche con perdite sui portafogli e poi con la persistente, grave recessione economica, sono cresciute ulteriormente le partite in sofferenza già in aumento dal 2008 mettendo in grave difficoltà gran parte del sistema bancario e dunque anche le banche cooperative. 19 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni La legge bancaria in vigore nell’Ue distingue tuttora il credito cooperativo (e solo questo) dall’attività bancaria standard, svolta da imprese tipicamente quotate e orientate al profitto. Vediamo ora nel dettaglio in cosa differiscono le varie categorie bancarie. 8. FOCUS SUI MODELLI BANCARI ITALIANI 8.1 LE BANCHE POPOLARI: Le banche popolari, nel diritto italiano, sono istituti di credito, di norma costituiti come società cooperative per azioni. Si distinguono dagli istituti di credito aventi natura giuridica di società per azioni per le seguenti peculiarità: limite di possesso: ogni socio non può superare lo 0,5% del capitale sociale; Le azioni di una banca popolare devono avere un valore nominale non inferiore a due Euro. mutualità, ancorché non prevalente: la maggioranza almeno relativa delle quote (o delle azioni se lo statuto prevede la suddivisione del proprio capitale sociale in azioni) è detenuta da clienti dell'istituto, il che vale a dire che una porzione consistente dei servizi viene offerta ai soci; voto capitario: L’art. 30 del TUB stabilisce che ogni socio di una banca popolare ha diritto ad un solo voto in assemblea, qualunque sia il numero delle azioni da lui possedute. Nessun socio può detenere azioni in misura eccedente lo 0,50 per cento del capitale sociale. clausola di gradimento. La Banca d’Italia, nell’interesse dei creditori oppure per esigenze di rafforzamento patrimoniale o a fini di razionalizzazione del sistema bancario, può autorizzare la trasformazione di una banca popolare (quindi una cooperativa) in una società per azioni normale, cioè che non sia anche una cooperativa, oppure una fusione a cui prende parte anche una banca popolare e da cui risulta una società per azioni normale (art. 31, 1° comma). Le deliberazioni assembleari per la trasformazione o la fusione di una banca popolare sono assunte con le maggioranze, di solito qualificate, previste dagli statuti per le modifiche delle clausole statutarie. Nel caso di trasformazione o di fusione di una banca popolare, inoltre, è fatto salvo il diritto di recesso dei soci (2° comma). Lo stesso accertamento preventivo deve essere effettuato sempre dalla Banca d’Italia ai fini dell’iscrizione nel Registro delle Imprese del progetto di fusione o di quello di scissione di una banca popolare (o per il solo progetto di fusione di una banca di credito cooperativo) e delle deliberazioni dell’assemblea dei soci che abbiano apportato modifiche a questi progetti. La Banca d’Italia deve in questo caso autorizzare le fusioni o le scissione alle quali prendono parte delle banche (sia che abbiano forma di società cooperativa sia che abbiano una forma societaria diversa) che non contrastino con il criterio di una sana e prudente gestione delle loro attività (e fatte salve le norme del Decreto Legislativo n° 356 del 1990 sulla disciplina del gruppo creditizio) (art. 57, 2° e 1° comma, TUB). 20 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Le banche popolari devono destinare almeno il 10% degli utili netti annuali (cioè dell’importo degli utili prima del pagamento delle imposte) a riserva legale. La quota degli utili non assegnata a riserva legale, ad altre riserve, ad altre destinazioni previste dallo statuto o non distribuita ai soci (ed, ovviamente, a quella parte di utili destinata al pagamento dell’IRES – Imposta sui redditi delle società), è destinata a beneficenza o assistenza (art. 32 TUB). E’, quindi, con la destinazione degli utili a riserva che si possono utilizzare questi ultimi per capitalizzare ed autofinanziare le banche popolari. La Governance cooperativa, presta particolare attenzione ai soci e al territorio, impegno, elementi attraverso i quali esprime l'identità cooperativa e la mutualità non prevalente. Infatti da sempre sono attive nell'incentivare lo sviluppo del territorio e la crescita delle comunità di riferimento, le banche popolari adottano un modello di business incentrato sulla costruzione di rapporti stretti e duraturi con PMI e famiglie - il relationship banking - che ha favorito il continuo allargamento della propria base sociale, l'espansione delle attività e, conseguentemente, il rafforzamento costante dell'immagine della categoria. I mutamenti avvenuti nell'ultimo decennio all'interno del sistema bancario hanno influito profondamente anche sul contesto evolutivo delle banche popolari. Le realtà più grandi della categoria hanno acquisito il controllo di altre popolari e di banche locali esterne, dando luogo a gruppi bancari di rilievo nazionale. Questo processo di crescita e innovazione non ha però in alcun modo intaccato le caratteristiche tipiche del modello tradizionale di banca popolare cooperativa: relazioni solide e durature con la clientela; forte propensione al sostegno delle PMI; grande attenzione ai bisogni di servizi finanziari delle famiglie; profondo impegno sociale per le comunità locali. Le banche popolari contano oggi oltre un milione di soci e più di undici milioni di clienti. Le dipendenze delle banche popolari rappresentano il 28,3% degli di sportelli bancari in Italia, con una distribuzione capillare sul territorio ed una concentrazione maggiore nelle aree in cui si registra un'alta presenza di piccole e medie imprese. La quota di mercato dell'intermediato si approssima al 25%. 8.1.1 RIFORMA BANCHE POPOLARI Decreto legge del Consiglio dei Ministri N.45 del 20 gennaio 2015, noto come “INVESTMENT COMPACT” Rif. Articolo Sole24Ore del 20 gennaio 2015 “Cdm, 10 grandi banche popolari diventeranno Spa in 18 mesi.” di MARCO FERRANDO E CARMINE FOTINACON «Attraverso l’articolo 1 di questo decreto legge interveniamo sulle banche popolari, non su tutte ma sulle banche popolari con un patrimonio superiore agli 8 miliardi. Sono 10 in Italia che in 18 mesi dovranno superare il voto capitario e diventare società per azioni” ha spiegato il premier Matteo Renzi al termine del Consiglio dei Ministri. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha invece spiegato come la trasformazione delle principali banche popolari in Spa «renderà le banche popolari più forti». Il ministro ha inoltre aggiunto «È una misura che rafforza il sistema bancario italiano che andrà sempre meglio man mano che la ripresa si consolida, è quindi interesse del sistema bancario e dei consumatori». 21 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni «La scelta quantitativa» con l’applicazione del decreto a dieci grandi banche popolari «concilia la necessità di dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese. Andranno valutati in futuro altri suggerimenti di modifica della governance». ha aggiunto Padoan. Il decreto ha posto come oggetto della riforma le banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro e che in un periodo di 18 mesi dovranno essere trasformate in società per azioni. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le suddette banche. Si tratta delle 10 più importanti banche popolari italiane. La classifica mostra ai primi posti Ubi, Banco Popolare, Bpm e Bper tutte quotate cosi’ come le valtellinesi Creval e Popolare di Sondrio. Fuori dal listino restano le due big venete: Popolare di Vicenza e Veneto Banca. La decima, con attività tangibili per oltre 9 miliardi, è la piu’ grande popolare del Mezzogiorno: la Popolare di Bari. Il sistema delle popolari conta complessivamente su 70 istituti con 9.248 sportelli e 1,34 milioni di soci. Le banche popolari distribuiscono circa un quarto degli impieghi in Italia e hanno attivi complessivi per 450miliardi. Non sono coinvolte dalla riforma, quindi, una sessantina di banche. Quotata anche Banca Etruria, sottoposta a commissariamento e che complessivamente si posiziona al 21esimo posto tra gli istituti italiani per totale degli attivi. In base alle più recenti classifiche di Mediobanca, Banca Etruria ha crediti dubbi alla clientela per 1,69 miliardi di euro, pari al 22,9%, il livello massimo tra le banche popolari; di queste, 770 milioni di euro sono sofferenze. 8.2 LE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO: Il credito cooperativo (BCC) è un sistema a rete composto da 382 (marzo 2014) banche di credito cooperativo-casse rurali (casse Raiffeisen in Alto Adige), da strutture associative e da imprese che garantiscono al sistema prodotti bancari e finanziari. La caratteristica principale delle BCC è quella di essere società cooperative per azioni, mutualistiche e locali, sostenute dal principio "una testa, un voto". In quanto società cooperativa per azioni ( si ricorda come la denominazione di queste banche deve contenere l’espressione “credito cooperativo”) ne consegue che la responsabilità patrimoniale dei soci di una BCC che è limitata a quanto da essi conferito nel capitale sociale. Il credito cooperativo è un sistema nazionale del credito che si articola in due versanti: associativo e imprenditoriale. Il versante associativo è suddiviso in tre livelli: locale (BCC, CR, Casse Reiffeisen), regionale (federazioni locali) e nazionale (Federcasse- Federazione italiana delle BCC-CR). Le singole banche di credito cooperativo aderiscono alle federazioni locali (che rappresentano una o più regioni e in totale sono 15) che, a loro volta, sono associate a Federcasse (Federazione Italiana delle BCC-CR), che svolge funzioni di rappresentanza e tutela della categoria e di assistenza di carattere legale, fiscale, organizzativo, comunicativo e formativo a favore di tutto il Sistema del Credito Cooperativo. Il versante imprenditoriale è costituito dal Gruppo bancario Iccrea, rappresentato dalla 22 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Capogruppo, Iccrea Holding, e dalle Società da questa controllate, che predispongono prodotti e servizi a beneficio esclusivo delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali. I servizi e i prodotti alle BCC sono anche erogati da Cassa Centrale Banca e Cassa Centrale Raiffeisen dell'Alto Adige. Oggi il Credito Cooperativo italiano vanta circa una rete di 4.440 sportelli presenti sul territorio nazionale. I soci sono oltre 1.150.000 e 37.000 i dipendenti del Sistema. Il credito cooperativo, come sistema di banche che hanno la forma giuridica della società Le più grandi Bcc presenti in Italia sono: Bcc Roma (25.600 soci per 145 filiali), Banca d'Alba (42.950 soci per 70 filiali), Bcc Ravennate & Imolese (20.765 soci per 47 filiali, Cassa Padana (10.000 soci per 68 filiali). La nomina dei membri degli organi di amministrazione e controllo di una BCC spetta esclusivamente ai competenti organi sociali, cioè all’assemblea dei soci od all’organo amministrativo, secondo quanto previsto dalla legge e, soprattutto, dallo statuto o, se unico atto, dall’atto costitutivo. Si espongono di seguito i tratti fondamentali delle BCC: Il valorenominale di ciascuna azione non può essere inferiore a 25 Euro né superiore a 500 E uro (art. 33 TUB). Il numero minimo dei soci di una BCC non può essere inferiore a duecento. Per essere soci di una BCC è necessario risiedere (per le persone fisiche), avere sede (per le persone giuridiche o per gli enti privi di personalità giuridica) od operare (cioè lavorare, in forma dipendente od autonoma, per esempio come imprenditore) con carattere di continuità nel territorio di competenza della banca stessa (sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche o per gli enti privi di personalità giuridica) (art. 34, 1° e 2° comma). Ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute. Nessun socio può possedere azioni il cui valore nominale complessivo superi 50.000 Euro (3° e 4° comma). In sintesi le banche di credito cooperativo esercitano il credito prevalentemente a favore dei soci. E’ questo il requisito dell’operatività prevalente coi soci che è obbligatorio per le BCC, ma non per le banche popolari. La Banca d’Italia può però autorizzare, per periodi determinati, le singole BCC ad una operatività prevalente a favore di soggetti che non siano soci, unicamente quando sussistano ragioni di stabilità dell’attività della singola BCC (art. 35, 1° comma). Gli statuti delle BCC devono contenere le norme relative alle attività, alle operazioni di raccolta e di impiego del risparmio ed alla competenza territoriale (cioè sulla definizione dell’area in cui la BCC può esercitare l’attività bancaria), determinate sulla base dei criteri fissati dalla Banca d’Italia (2° comma). Le BCC devono destinare almeno il 70% degli utili netti annuali a riserva legale. Un’altra quota degli utili netti annuali deve, inoltre, essere corrisposta ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione nella misura e con le modalità previste dalla legge (il 4° comma dell’art. 11 della Legge 59/1992 fissa tale misura al 3% degli utili netti annuali). La quota di utili che resta dopo queste destinazioni e che non è utilizzata per la rivalutazione delle azioni o assegnata ad altre 23 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni riserve o distribuita ai soci come dividendo deve essere assegnata a fini di beneficenza o di mutualità (per esempio, in quest’ultimo caso, per erogare ai soci dei crediti agevolati) (art. 37). La Banca d’Italia può autorizzare, nell’interesse dei creditori e qualora sussistano ragioni di stabilità delle imprese bancarie coinvolte (cioè per sottrarle al rischio di una crisi attuale o potenziale), fusioni tra banche di credito cooperativo e banche di diversa natura da cui risultino banche popolari o banche costituite in forma di società per azioni (che non siano, ovviamente, cooperative) (art. 36, 1° comma). 8.3 LE BANCHE COMMERCIALI (SPA) Il loro obiettivo consiste nella crescita della ricchezza degli azionisti tramite la generazione di utili e la creazione di valore. È un modello di gestione bancario, nato verso la fine del XIX secolo. Oggi rappresenta il più diffuso modello di istituzione bancaria, impegnato nell'erogazione di molti servizi (tra cui raccolta di risparmio a breve e a lungo termine) e nella vendita di numerosi prodotti finanziari. 8.4 IL GRUPPO BANCARIO POLIFUNZIONALE Struttura societaria plurisoggettiva (art. 60) in cui l’azienda capogruppo (in genere una banca) svolge al proprio interno i processi produttivi e distributivi “portanti” e affida ad altrettante società controllate (le cosiddette “aziende prodotto”) lo svolgimento di funzioni produttive specifiche o specialistiche, come il credito a medio-lungo termine, il leasing, il factoring, alcune funzioni di investment banking ecc. Capogruppo: Banca o società finanziaria con sede legale in Italia (autonome/non controllata). Ha funzione di direzione e coordinamento, controllo strategico e gestionale. La Capogruppo risulta essere la referente della Banca d’Italia ai fini della vigilanza consolidata Società prodotto: Pluralità di imprese giuridicamente autonome ed economicamente distinte strategicamente focalizzate in una specifica area di business e collegate da significativi legami partecipativi, chiamate a realizzare un disegno imprenditoriale unitario. 9 PERCORSI AGGREGATIVI 9.1 PREMESSA Recentemente, ad un convegno delle Raiffeisenkassen altoatesine, il capo della vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, ha prospettato la creazione di un polo bancario su modelli centro-europei, forse con una capogruppo Spa quotata in Borsa. 24 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Tale sbocco che, già da tempo applicato da altri paesi Europei, dall’Austria alla Francia, non ha risolto problemi al credito cooperativo nazionale. Tuttavia la legge bancaria in vigore nell’Ue distingue tuttora il credito cooperativo (e solo questo) dall’attività bancaria standard, svolta da imprese tipicamente quotate e orientate al profitto. Le banche locali costituiscono la componente prevalente delle banche italiane less significant (LSI), ovvero degli intermediari che, nell’ambito del MVU (Meccanismo di Vigilanza Unico), restano assoggettati alla supervisione diretta della Banca d’Italia, pur prevedendosi un ruolo di sorveglianza della BCE. Delle 530 LSI italiane, circa il 90 per cento è rappresentato da banche locali e oltre il 70 per cento da BCC. La componente italiana less significant è la terza dell’area dell’euro (16 per cento del totale), dopo Germania e Austria. Ai tre paesi è riconducibile complessivamente l’80 per cento delle LSI. Nell’ultimo triennio, le tensioni sui mercati finanziari e la lunga fase congiunturale sfavorevole hanno posto le banche locali di fronte a sfide non meno difficili di quelle affrontate dalle banche più grandi. Il processo di contrazione numerica delle banche del territorio, in atto da tempo, ha registrato un’accelerazione. Per il sistema del credito cooperativo la riduzione è particolarmente evidente. Se alla fine del 2011 si contavano 411 BCC, le operazioni di aggregazione, finalizzate a risolvere situazioni di problematicità che la fase recessiva ha aggravato, ne hanno ridotto il numero fino a 376 dello scorso dicembre. L’aspetto di maggiore vulnerabilità delle banche locali è rappresentato dal marcato deterioramento della qualità dei prestiti, per effetto, innanzitutto, di due pesanti recessioni dell’economia, ma anche di scelte gestionali e allocative rappresentative di un rapporto a volte non equilibrato con il territorio di insediamento. Ciò in primo luogo a causa del materializzarsi del rischio di “cattura”: il legame con il territorio, che teoricamente dovrebbe generare vantaggi informativi in grado di migliorare la selezione del merito di credito, può viceversa comportare condizionamenti tali da compromettere l’oggettività e l’imparzialità delle decisioni di finanziamento. Si registra, inoltre, il tentativo in diversi casi di compensare le difficoltà reddituali attraverso la diversificazione dell’operatività in aree territoriali meno conosciute, perseguita mediante la concessione di crediti a controparti di dimensioni più elevate, poco note e poco meritevoli. L’esperienza della Vigilanza dimostra che l’uno o l’altro di questi effetti o, nei casi più gravi la somma dei due, sono alla base della maggior parte delle crisi delle banche di piccola dimensione. Nelle BCC l’incidenza dei crediti anomali sul totale dei prestiti è salita dal 10 al 17,5 per cento tra giugno 2011 e giugno 2014. L’accelerazione ha riguardato principalmente le sofferenze, più che raddoppiate (dal 4 al 8,4 per cento). La rischiosità dei prestiti delle banche locali, in passato più contenuta nel confronto con le altre banche, ha raggiunto livelli più elevati di quelli relativi all’intero sistema bancario (16,8 per cento), sostanzialmente allineati a quelli delle banche oggetto della recente verifica approfondita degli attivi da parte della BCE (17,4 per cento). Negli ultimi mesi, il tasso di passaggio a sofferenza, in attenuazione sia per le banche significanti, vigilate direttamente dalla BCE, sia per le altre banche less significant, è invece aumentato ulteriormente per le BCC (dal 3,6 per cento di dicembre 2013 al 3,9 25 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni per cento). Nelle BCC, il tasso di copertura delle partite deteriorate, pur essendo cresciuto nell’ultimo triennio dal 23,5 al 33,2, è ancora molto lontano dai valori delle altre banche (42,4 per cento per il sistema nazionale. Tuttavia allo stesso tempo occorre evidenziare come a fronte di coperture (coverage) dei crediti più basse il portafoglio crediti delle BCC si distinguono per una più ampia presenza di garanzie ma l’esperienza dimostra che, pur in presenza di garanzie che in astratto hanno una qualità elevata, è difficoltoso escuterle, in tempi accettabili e a prezzi congrui. Oltre a rappresentare un rischio per la stabilità, il basso livello di copertura condiziona la possibilità di realizzare operazioni di smobilizzo dei crediti deteriorati, liberando risorse per la crescita. Per le BCC, solo nell’ultimo anno si è assistito a una lieve ripresa dei prestiti totali, mentre è proseguita la contrazione dei crediti alle imprese. Nei dodici mesi terminanti a novembre 2014, il credito alle imprese si è ridotto a un tasso annuo dello 0,8 per cento (-2,5 per cento per il totale del sistema; -2,3 per cento per le banche significative). In sintesi, le banche locali italiane e, in particolare, le BCC si presentano all’avvio del MVU (Meccanismo di Vigilanza Unico) connotate da debolezze di natura sia strutturale sia congiunturale. Sul piano tecnico, esse devono fronteggiare tre principali criticità: 1) la rischiosità del credito, in considerazione dell’elevata incidenza delle partite deteriorate e del basso livello di copertura delle stesse; 2)la debolezza della redditività; 3) vincoli a una rapida ricapitalizzazione connessi con l’organizzazione cooperativa in un contesto di elevata frammentazione. Sul piano strategico e gestionale, rilevano le esigenze di ammodernamento e innovazione del modello di servizio e, conseguentemente, di adeguamento delle professionalità. Sempre più spesso tali disfunzioni sfociano in situazioni di dissesto. Ciò nondimeno, l’esame delle autovalutazioni condotte dalle banche locali continua a evidenziare in numerosi casi una consapevolezza ancora ridotta nei vertici aziendali riguardo alla necessità di migliorare in maniera sostanziale i meccanismi di governo interno. Un ulteriore aspetto di attenzione è rappresentato dalla qualità e dalla trasparenza del rapporto tra il management delle banche locali, specie cooperative, e le basi sociali. In un contesto che richiede scelte strategiche e gestionali accorte e lungimiranti, riguardanti talora la necessità di considerare operazioni straordinarie, non sempre il management mostra capacità di promuovere il coinvolgimento consapevole dei soci e di neutralizzare conflittualità e inopportuni campanilismi. 9.2 LE AGGREGAZIONI COME PERCORSI DI SVILUPPO Concluso l’esercizio di valutazione approfondita e avviato il Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU), 26 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni si definiscono ora concretamente i tratti del nuovo modello di supervisione bancaria europea ed emergono necessità di cambiamento legate al nuovo contesto e all’integrazione fra i sistemi nazionali. Le esigenze di cambiamento riguardano tutte le componenti del sistema bancario italiano e assumono specifica rilevanza per le banche locali che, rappresentate in ampia misura dalle banche di credito cooperativo, svolgono una funzione essenziale per l’economia del nostro paese, grazie al ruolo di sostegno dei territori di riferimento. Nell’intervento di Barbagallo , questo si soffermerà dapprima sulle : - principali difficoltà che il prolungarsi della crisi sta comportando per le banche locali, per effetto di debolezze sia congiunturali sia strutturali; - considerazioni sulle profonde innovazioni in atto nell’assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria e sull’impulso che ne deriva, in particolare per il sistema del credito cooperativo, a intraprendere un percorso di riforma. Il, Capo della Vigilanza bancaria e finanziaria, ha sollecitato anche per le Bcc "interventi normativi" per : 1. "favorire l'integrazione" 2. "superare gli svantaggi della piccola dimensione". In cima alla lista delle preoccupazioni Barbagallo espone quelle che da lungo tempo sottolineava la Banca d’Italia: 1) scarsa dialettica all’interno dei board e assenza di effettivi contrappesi alle figure apicali, a causa di fattori che limitano la funzionalità degli organi, quali le competenze non adeguate e non abbastanza diversificate, il limitato ricambio, anche generazionale, degli esponenti, il numero elevato di membri; 2) presenza frequente di conflitti di interesse, cui non corrisponde l’attivazione di efficaci processi interni di prevenzione e gestione; 3) carenze dei meccanismi di pianificazione, che si riflettono in ritardi e scarsa lungimiranza delle scelte strategiche; 4) debolezze nell’assetto dei controlli interni che, in assenza di adeguate risorse e professionalità, determinano il disallineamento dell’attività della banca rispetto alle strategie e alle politiche aziendali e ai canoni di sana e prudente gestione. La necessità di intervenire è ancor più forte se si considera come la lunga recessione italiana ha scalfito, e non da ieri, quel modello della banca di credito cooperativo, banca locale solida e virtuosa e immune dai contraccolpi finanziari. Non è un caso che tra le 16 banche commissariate in Italia (dal 2011 a giugno 2014), ben la metà siano banche di credito cooperativo. Non solo, secondo un’analisi del Sole 24 Ore sui dati di bilancio al 2013 elaborati dall’Ufficio studi di Mediobanca, erano ben 33 le Bcc su oltre 300 censite a mostrare a fine del 2013 un livello di crediti deteriorati preoccupante per la stabilità degli istituti. 27 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni A rendere ancora sopportabile la situazione generale delle Bcc c’è un livello di patrimonializzazione di base più elevato, in media, del resto del sistema bancario. Secondo i dati dell’Ufficio Studi di Mediobanca, infatti, a fine 2013 le Bcc, in media, avevano un patrimonio di base sugli attivi a rischio del 14,7% ben sopra molte grandi Spa bancarie. È questo per ora il cuscinetto che dovrebbe consentire di assorbire eventuali perdite senza deprimere sotto i requisiti di Vigilanza il capitale, come è accaduto per molte banche che sono dovute ricorrere a più di un aumento di capitale. Pertanto Banca d’Italia afferma come affinché il sistema delle Bcc possa competere in un mercato più integrato e concorrenziale, contribuendo validamente alla ripresa delle economie di riferimento, è necessario un riassetto più incisivo, che consenta di conseguire al più presto l’ammodernamento della gestione, il rafforzamento strutturale della redditività e la capacità, ove necessario, di reperire risorse patrimoniali anche consistenti in tempi brevi”. La strada da seguire? Il Capo della Vigilanza afferma come sia necessario il confronto con i modelli organizzativi adottati dagli altri sistemi cooperativi europei ma lo stesso “nuovo quadro normativo della gestione delle crisi offrirà strumenti nuovi e più efficaci per preservare gli interessi pubblici coinvolti nelle crisi bancarie”. Pertanto per le ragioni finora esposte la strada dell'aggregazione "non è più rinviabile". La crisi ha colto in molti casi le Bcc "impreparate" e "non in grado di contrastare le vulnerabilità strutturali con appropriate risposte operative". I modelli cooperativi europei da “osservare” come benchmark, sono accomunati da un livello di integrazione notevolmente più elevato e l'appartenenza a più ampi gruppi d'imprese non altera le connotazioni mutualistiche delle cooperative. Anzi, rafforzando "la coesione e la capacità di patrimonializzazione delle aderenti previene situazioni di vulnerabilità individuale e preserva il valore aziendale e la capacità del sistema bancario cooperativo di assolvere la propria funzione senza essere assorbito dal settore delle banche costituite in forma di società di capitali". 28 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni Occorre però individuare soluzioni, a detta del capo della vigilanza di via Nazionale, che favoriscano un assetto del sistema meno frammentato e meglio strutturato, capace di superare gli svantaggi della piccola dimensione ma allo stesso tempo di preservare i valori della cooperazione e della prossimità con il territorio che da sempre costituiscono il punto di forza delle banche locali. 9.3 PERCORSI AGGREGATIVI: CONFRONTO CON I MODELLI EUROPEI Nella nuova prospettiva imposta dall’evoluzione normativa e istituzionale europea, tutte le banche sono chiamate a riflettere sulle proprie scelte in materia di modelli di business, strategie e assetti organizzativi. Per il credito cooperativo si impone il confronto con i modelli organizzativi adottati dagli altri sistemi cooperativi europei, accomunati da un livello di integrazione notevolmente più elevato. Si possono in particolare riconoscere due “modelli”, con caratteristiche diverse ma in parte sovrapponibili. Il primo modello, più frequente, è quello del “gruppo”, declinato con istituti giuridici compatibili con le specificità della forma societaria cooperativa. Il modello si ritrova, ad esempio, in Francia, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia. Al vertice del gruppo è, nelle diverse esperienze, una società per azioni oppure una cooperativa, di norma partecipata in misura più o meno ampia dalle stesse cooperative appartenenti al gruppo, spesso quotata e quindi capace di accedere a un ampio mercato dei capitali. La capogruppo svolge anche le funzioni di istituto centrale della categoria, e quindi fra l’altro gestisce la liquidità del gruppo, monitora la situazione delle sue componenti, ne influenza il profilo di rischio. Stanti i limiti alle partecipazioni e al diritto di voto di un singolo socio in una cooperativa, il potere di direzione e coordinamento della capogruppo sulle banche controllate, che include il potere della prima di “supervisionare” le seconde, è il prodotto di accordi contrattuali (“patti di dominio”) e non di controllo azionario. Il secondo modello, quello del sistema di tutela istituzionale (o IPS), si ritrova tradizionalmente tra le Casse Reiffeisen in Germania e in Austria ma recentemente è stato adottato anche dalle Casse Rurali in Spagna (dove l’IPS si aggiunge alla struttura di gruppo). L’IPS è istituito sulla base di un accordo contrattuale (o di specifiche previsioni di legge) per garantire la liquidità e la solvibilità delle banche partecipanti al fine di evitarne il fallimento. L’autorità di vigilanza può riconoscere a tali sistemi effetti prudenziali purché siano soddisfatte condizioni, quali la capacità di fornire sostegno finanziario con fondi prontamente disponibili (quindi prevalentemente finanziati ex ante) e la disponibilità di adeguati strumenti per il monitoraggio e la classificazione dei rischi con corrispondenti possibilità di intervento. L’IPS, essendo una forma di integrazione più debole rispetto al gruppo, potrebbe rivelarsi non del tutto capace di sostenere le esigenze di ricapitalizzazione delle banche che vi partecipano, soprattutto quando interessino una parte significativa del sistema. Allo scopo, appaiono più adeguate quelle forme di integrazione che valorizzano congiuntamente l’appartenenza a gruppi bancari e il mantenimento della forma cooperativa. E’ bene notare che, nella maggior parte dei Paesi europei in cui le banche cooperative sono unite in sistema, nell’una o nell’altra forma, la coesione è rafforzata dall’obbligatoria adesione ai sistemi della specie. Ciò, lungi dall’essere percepito come un’indebita compressione dell’autonomia delle singole aziende, è al contrario considerato un essenziale presidio della mutualità. 29 Basilea 3 e Percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni L’appartenenza a più ampi gruppi o sistemi d’imprese non altera le connotazioni e le finalità mutualistiche delle cooperative aderenti; rafforzando la coesione e la capacità di patrimonializzazione delle aderenti, previene situazioni di vulnerabilità individuale; quando queste si verificano, preserva il valore aziendale e la capacità del sistema bancario cooperativo di assolvere la propria funzione senza essere assorbito dal settore delle banche costituite in forma di società di capitali. 30