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Perché nascondere la - LUISS Business School
PRIMA A CURA DI GABRIELE GABRIELLI Sommario Editoriale: Perché nascondere la fragilità umana nel lavoro? - Lo spillo - L’aforisma Prossimità: Learning 2.0: cavalcare la tigre senza finire tra le sue fauci (1)- Professioni: New skills for new jobs - Prospettive organizzative: Flexpatriate assignment - Personal skills: L’importanza di cambiare pelle -Press: La forza dell’evidenza - Pay for…I: Verso nuove forme d’informativa: l’Integrated Report- Pay for…II: Gli impatti gestionali delle operazioni di M&A Pay for…III: Executive compensation. Quando lavorare paga e appaga. Numero XXV Ottobre 2012 Editoriale di Gabriele Gabrielli Perché nascondere la fragilità umana nel lavoro? I n un recente approfondimento proposto da un quotidiano viene definita “generazione esausta” quella dei trentenni e quarantenni che non sanno più come bilanciare: da un lato, la corsa a ostacoli allestita da una società e da modelli di gestione degli affari fondati sul miglioramento continuo della performance; dall’altro, gli affetti, la famiglia, la cura di sé e degli altri beni relazionali. Una generazione, per dirla con le parole di Michela Marzano, illusa di “poter conciliare l’inconciliabile”. La vita, d’altra parte, rischia di apparire sempre più una faticosa occupazione dall’esito scontato: insoddisfazione, sensazione di non essere riusciti a far niente o poco, stress. Ci sentiamo impoveriti e svuotati da un canovaccio che conosciamo bene e che mette in scena personaggi noti. C’è chi “è stressato dall’ambizione, che dipende sempre dai giudizi altrui, uno dalla frenesia del commercio … alcuni sono continuamente occupati a creare pericoli agli altri … c’è chi si logora in una volontaria schiavitù, all’ingrato servizio dei potenti, molti non pensano che ad emulare l’altrui bellezza o a curare la propria …”. Come non ritrovarsi in questa limpida e articolata descrizione? Ce n’è per tutti. Non è però uno scritto contemporaneo e nemmeno moderno. Si tratta di un passaggio del De brevitate vitae scritto da Seneca quasi duemila anni fa. Questo per dire che il rischio di essere travolti da obiettivi falsi promossi da pratiche sociali, culturali e organizzative c’è sempre stato. E’ nella natura dell’uomo prestare il fianco al fascino dei molti idoli che costruiamo, come il successo a tutti i costi, l’eterna giovinezza, l’euforia del pensare di poter fare tutto ciò che ci piace (basta dire o scrivere “I like”) e che il mondo gira tutto intorno a noi. Sono alcuni dei rischi della post-modernità. Si possono trasformare in vere e proprie “trappole” se non c’è consapevolezza di quello che si fa e si rincorre. Occorre “risvegliarsi”, allora, per essere presenti a se stessi e al mondo. E’ questo il beneficio che porta la mindfulness, una risorsa scarsa nell’epoca attuale e per questo sempre più necessaria. Una maggiore consapevolezza si fa urgente anche nei luoghi di lavoro, un bene irrinunciabile per leader e manager che hanno la responsabilità di guidare persone e organizzazioni. In molte discussioni (anche nella rete) di questa fine estate c’è una traccia significativa della voglia di togliersi di dosso l’intorpidimento che ci rende esausti. Questo moto di consapevolezza prende forma almeno in tre direzioni. La prima: che occorre liberarsi dal “mito dell’individualismo” sfrenato che ci fa credere di poter controllare tutto quello che ci circonda e potercela fare senza l’aiuto di nessuno, vagheggiando idee e miti di onnipotenza che prendono le sembianze del delirio manageriale. La seconda: che domanda se è sensato costruire una società fondandola sul primato dei migliori. E’ davvero umano proporre modelli di vita civile e professionale ancorando il successo alla logica del prevalere su qualcun altro, perché altrimenti sei fuori? La terza: che suggerisce, infine, di rimeditare l’essenza della nostra natura illuminandola per quel che è, un dono che contiene in sé il limite, la finitezza, la fragilità e quindi anche la possibilità di sbagliare. • • • • Le implicazioni positive di questo moto di risveglio per la pratica e per il benessere personale e sociale sarebbero numerose. Vediamone alcune. Il riappropriarsi di un atteggiamento sano ed equilibrato nei riguardi del mondo (locus of control) ci aiuterebbe a comprendere meglio il significato della felice espressione di Thomas Merton che “l’uomo non è un’isola”. Non possiamo fare tutto da soli, né possiamo controllare tutte le variabili che influenzano il mondo che circonda e tanto meno modellarlo a nostro piacimento. (segue a pag. 2) Lo spillo di Pier Luigi Celli* S i fa presto a dire ‘lavoro’, con quel posto che prima o poi dovrà pure venir fuori e così anch’io mi sistemerò. In fondo sarebbe giusto, un ordine naturale per come dovrebbe girare questo mondo, se tutti avessero la loro chance e le cose riprendessero a disporsi giudiziosamente come un tempo. Io ero uno di quelli che aveva fiducia; vedrai, mi dicevo, non può essere che continui così, se sei bravo e ti fai valere, qualcuno che ti apprezzi prima o poi lo trovi di sicuro. Non ci ho fatto troppo caso ai primi rifiuti; è naturale, pensavo, come puoi pretendere di imbucare subito la porta giusta: sei alle prime armi, appena laureato, e non è detto poi che sia una gran laurea, vai a sapere cosa cercano veramente, oggi, con tutto il mondo sottosopra e la gente che ne ha troppe da pensare per rincorrere quelli che non si fermano mai. Così ho avuto pazienza. I colloqui non mi mancavano, soprattutto all’inizio; alcuni interessanti, altri noiosi, con quegli intervistatori che un po’ finivano sempre col darti sui nervi per quanto si sbrigavano a tirar via, quasi si trattasse di pratiche di scarso interesse che bisognava comunque portare alla fine. Di proposte quasi nulla. Qualche spezzone di orario a riempir buchi temporanei,alcuni mestieri che non avevano nulla a che fare con i miei studi, o incarichi per procacciare affari minuti, di nessun rilievo professionale; persino umilianti. Ho resistito. Avevo la mia dignità da difendere e un titolo di studi da onorare; per non parlare della fatica che mi era costato. Ad accorgermi che le occasioni di colloquio si stavano diradando sempre più ci ho messo un po’ di tempo. Sapete, non è che stai sempre lì a tenere la contabilità, specie se via via che i mesi passano cominci a farci l’abitudine a questa vita un po’ così, senza molti punti di riferimento, con le giornate che si ammucchiano su, tra un bar, un giro con gli amici, qualche viaggio in esplorazione qua e là, la ragazza da curare, prima, e da inseguire poi. E’ passato del tempo; più di quello consentito. Così ora sono qui, ai mercati generali, che scarico cassette di frutta e verdura alle quattro di mattina. Non è un gran che, a voler essere seri, ma è sempre meglio di niente. Mi permette una certa autonomia: posso comprarmi le sigarette, andare qualche volta al cinema e in pizzeria; persino fare il pieno al vecchio motorino ereditato da mio padre. Non ho perso la speranza, però. Sono in attesa di incontrare un pezzo grosso della regione ( almeno, è quello che continua a dirmi mia madre che gli cuce le camicie con le iniziali ) che si è impegnato a sistemarmi. Bisogna solo dargli tempo. C’è un certo affollamento di richieste; è comprensibile. Ma si avvicinano le elezioni, e questo a noi ci rincuora. *Direttore Generale LUISS Guido Carli Perché nascondere la fragilità umana nel lavoro? (segue da pag. 1) Non possiamo fare a meno dell’altro, forse nemmeno del capo. C’è qualcuno che crede davvero che esistano le bossless company, o non sono piuttosto l’espressione più evoluta del processo di orizzontalizzazione delle organizzazioni? Vivendo nell’epoca dell’interconnessione, del resto, dovrebbe essere più facile interiorizzare questa verità e comportarci di conseguenza. Per esempio, ricercando e promuovendo -anche nelle imprese e nei contesti produttivi- cooperazione e lavoro di team, anziché incentivare “giocate singole”, costruendo e sperimentando con tenacia sistemi (carriera, status, remunerazione, ecc.) che premino lo sviluppo di quella che Richard Sennet chiama “mentalità collaborativa”. Da soli o insieme? Questa domanda sintetizza bene l’opzione che organizzazioni e imprese hanno di fronte per costruire politiche di gestione e sviluppo delle persone. Non può più reggere, poi, l’ideologia dell’up or out come linea guida per costruire la società in cui viviamo e come incentivo di carriera e misura del successo. Quello che occorre sollecitare è piuttosto una appassionata attenzione e cura per tutti, un forte senso di solidarietà e capacità di valorizzare ciascuno. Anche le imprese e le organiz- Prossimità Learning 2.0: cavalcare la tigre senza finire tra le sue fauci (1) I l termine “Learning 2.0” è utilizzato per indicare, genericamente, quei sistemi che utilizzano i media digitali e, in particolar modo, i social media, per facilitare lo sviluppo dell’apprendimento informale e la creazione di community e network di apprendimento (AA.VV. 2009). La diffusione degli strumenti Web 2.0 (non solo) nei contesti formativi, suscita speranze ma anche inquietudini. Gli addetti ai lavori, come spesso accade in Italia quando si discute di innovazione (non solo nei processi di apprendimento), sembrano dividersi tra “apocalittici” (che temono la progressiva Pagina 2 zazioni - se vogliono essere responsabili, cioè portatrici di un progetto che abbia risposte verso molti e non soltanto verso alcuni - dovrebbero spingere l’acceleratore verso questa direzione non elitaria ma inclusiva. Dal “risveglio” deriverebbere anche un’altra rilevante implicazione. Saremmo attrezzati per non cadere “nella trappola della perfezione”. Perché siamo vulnerabili e fragili. Possiamo sbagliare. Talvolta si eccelle, altre volte no e “nella vita non si deve sempre e solo cercare di essere i migliori”. Conseguire risultati diversi nei molti ambiti in cui si è impegnati (nella vita personale, familiare, sociale, professionale, ecc.) è la norma e non lo “stigma” da nascondere e di cui vergognarsi, direbbe Martha Nussbaum. E’ in questa prospettiva che andrebbero anche rilette molte delle politiche di welfare aziendale, ancorando le scelte delle imprese e del management a una visione dell’uomo, prima ancora che a una delle tante e caduche teorie degli affari. Risiede in questo difetto antropologico l’essenza del diverso atteggiarsi complessivo della società e delle organizzazioni quando considerano il lavoratore come risorsa e non come persona. Il lavoratore come risorsa umana è a termine e si consuma. Il lavoratore in quanto persona no, ha valore in sé e per sempre. Il primo fallisce, il secondo sbaglia e apprende. La risorsa umana, poi, dipende solo dalla combinazione e dal posto concessole dal processo di combinazione di altri fattori, la persona invece è libera e re- A CURA DI FABRIZIO MAIMONE “digitalizzazione” dei processi formativi) e “integrati” (che, invece, sono entusiasti sostenitori della rivoluzione tecnologica). A parere di chi scrive, la verità sta nel mezzo. La bagarre scatenata, nei giorni scorsi, dal lancio della nuova versione del famosissimo “cellulare intelligente” (assurto al rango di feticcio consumistico), dimostrano che un prodotto tecnologico può diventare un fenomeno di costume, come la moda o la musica pop. Nel secolo scorso, lo psicologo russo Vygotskij ha scritto che gli strumenti materiali, come il linguaggio e i simboli, possono svolgere un ruolo di mediazione tra la persona e il suo mondo sociale e culturale. Le nuove tecnologie digitali sono diventate pervasive. I ragazzi della “generazione y”, nati dopo il 1978, sono cresciuti a pane e internet. Ma anche i cosiddetti migranti digitali, nati nell’era analogica (come chi scrive), ormai vivono immersi in una densa rete L’aforisma proposto da Franco Fontana* “...l a battaglia per la Qualità è uno dei prerequisiti per il successo delle vostre aziende e per il nostro successo collettivo”. Jacques Delors, discorso alla fondazione dell’EFQM 15 settembre 1988 *Direttore LUISS Business School sponsabile. Nell’agenda della politica e delle istituzioni, in quella dell’economia, delle imprese e del lavoro dovrebbe esserci questo impegno a “risvegliarsi”, per fondare su una diversa visione dell’uomo l’azione nelle rispettive sfere. Anche l’economia ha bisogno di una antropologia per coltivare l’umanità, piuttosto che per nasconderla o ghettizzarla. Per approfondire: • Bruni Luigino, L’impresa civile, Università Bocconi Editore, Milano, 2009 • Goffman Erving, Stigma. L’identità negata, Ombre Corte, 2003 • Marzano Michela, “La generazione esausti”, La Repubblica, 30 agosto 2012 • Merton Thomas, Nessun uomo è un’isola, Grazanti, Milano, 1998 • Monti Daniela, “Il mito dell’individualismo. Perché ci crediamo tanto?”, Corriere della Sera, 1 settembre 2012 • Nussbaum Martha C., Nascondere l’umanità, Carocci, Roma, 2005 • Nussbaum Martha C., Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma, 2006 • Rampini Federico, “Senza capo. Agli ordini del manager collettivo”, La Repubblica, 2 settembre 2012 • • • Seneca, De brevitate vitae, Rizzoli, Milano, 2012 Sennet Richard, Insieme, Feltrinelli, Milano, 2012 Siegel Daniel J., Mindfulness e cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009 di connessioni virtuali, grazie alle nuove tecnologie. Quindi, i media digitali fanno parte della nostra vita e far finta che non esistano è un esercizio vano. Anche le organizzazioni devono fare i conti con le nuove tecnologie, imparando a cavalcare la tigre senza finire nelle sue fauci. Il fatto che le nuove tecnologie siano onnipresenti, non assicura che siano buone in sé. Il sole ci dona la luce e il calore, ma Archimede, più di duemila anni fa, è riuscito a trasformare la luce del sole in una temibile arma. Qualunque mezzo può essere buono o cattivo, a seconda dell’uso che ne facciamo e dei fini che perseguiamo. Lo sviluppo del Learning 2.0 dipende (soprattutto) dai principi e dalle scelte metodologiche. Tagliando con l’accetta la nostra analisi, possiamo individuare due diverse filosofie: un approccio tecnocentrico e un approccio umanistico. L’approccio tecno-centrico prefigura l’ascesa di un nuovo tipo umano, l’homo tecnologicus che, come nella trilogia di Matrix, si dis-incarna dalla sua umanità, per divenire una specie di cyborg digitale, ancora uomo (ma per quanto ancora?) ma anche (e sempre di più) identità virtuale. (segue a pag. 3) Learning 2.0: cavalcare la tigre senza finire tra le sue fauci (segue da pag. 2) Il grande mito della letteratura cyber-punk, descritta da film-manifesto, come lo stesso Matrix e Johnny Mnemonic (ispirati da romanzi di fantascienza “cyber”). Alcuni approcci all’apprendimento mediato dalle nuove tecnologie, tendono a ridurre l’uomo alla sua dimensione cognitiva e a considerare la mente come una sorta di “sistema operativo”, riprogrammabile, utilizzando un linguaggio formale, e manipolabile (anche) attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. Abbiamo poi un approccio che possiamo definire umanistico: secondo questa prospettiva, la tecnologia è uno strumento, non un fine. Chi adotta questa filosofia, presuppone che la relazione tra uomo e tecnologia non sia di segno univoco, ma duale: la tecnologia cambia l’uomo, come sostiene De Kerckhove (1996), ma allo stesso tempo l’uso che a livello perso- nale e sociale viene fatto dei media digitali contribuisce a plasmare i media stessi, attraverso la definizione di pratiche sociali e comunicative (Gherardi 2010, Bruni, Fasol e Nicolini, 2005). Quindi, uomo e tecnologia sono interdipendenti. Le persone usando le tecnologie possono acquisire maggiore consapevolezza sulle proprie strutture cognitive e sviluppare pratiche riflessive, a livello individuale e sociale (Papert, 1980). I media possono facilitare processi di apprendimento sociale, fondati su dinamiche sociorelazionali (Siebert e altri, 2009). Chi scrive ritiene che solo un approccio che metta al centro la persona possa consentire uno sviluppo armonico e sostenibile dei nuovi sistemi di apprendimento. Un approccio di tipo inclusivo, che non faciliti la nascita di nuove forme di alienazione. Nella seconda parte di questo articolo vedremo alcuni esempi e proveremo a individuare alcune buone pratiche, per l’implementazione di sistemi di Learning 2.0 centrati sulla persona. Professioni New skills for new jobs L a crisi ha portato il tasso di occupazione medio fino al 69%, e il tasso di disoccupazione fino al 10%; ipotizzando una stabilizzazione del mercato del lavoro ora, il raggiungimento di un tasso di occupazione del 75% entro il 2020 richiede una crescita media dell'occupazione di poco superiore all'1% annuo. Colmare il divario per l'obiettivo sarà un compito facile. Poter disporre di una di una forza lavoro qualificata (sia in relazione ai sistemi professionali e produttivi tradizionali sia in ragione delle professioni emergenti, con particolare riferimento a quelle green) quale risorsa essenziale per sviluppare un'economia competitiva, sostenibile e innovativa, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, specie in tempi come i nostri di ristrettezze di bilancio e di una pressione della concorrenza mondiale senza precedenti. Il recente report di programmazione strategica in tema di occupazione (New skills and jobs in Europe: Pathways towards full employment, 2012 – Direzione Ricerca e Innovazione, Unità Scienze Sociali) individua alcune direzioni chiave alla base delle politiche nazionali ed EU in tema di sviluppo e valorizzazione delle professioni e di migliora- Pagina 3 Per approfondire: • • • • • • AA. VV. (2009),Learning 2.0: The Impact of Web 2.0 Innovations on Education and Training in Europe, JRC-IPTS Final report, European Commission; Bruni A., Fasol R., Nicolini D. (2005), Una prospettiva sociologica allo studio della telemedicina, Sociologia del lavoro, n. 98; Derrick De Kerckhove (1996), La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica, a cura di Christopher Dewdney. Genova, Costa & Nolan. Gherardi S. (2010), Telemedicine: A practice-based approach to technology, Human relations, 63(4) 501–524; Siebert S., Mills V. and Tuff C. (2009), Pedagogy of workbased learning: the role of the learning group, Journal of Workplace Learning, Vol. 21 No. 6; Vygotskij L. (1990),Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, a cura di L. Mecacci , Roma-Bari. A CURA DI VALENTINA CASTELLO mento del grado di flexicurity del mercato del lavoro (e/o dei suoi segmenti rilevanti). Esse fanno riferimento sia agli investimenti necessari per aumentare le opportunità di impiego -con particolare riferimento a giovani, adulti e migranti- sia a quelli relativi al miglioramento della qualità del lavoro, degli spazi di lavoro, della formazione. Il tema delle competenze rimane centrale sia per le professioni emergenti di alto profilo sia per i profili più dequalificati, anche e soprattutto in momenti di crisi recessiva, a sostegno della sostenibilità stessa delle politiche del lavoro e della crescita. Sulla base di una ricerca comparativa tra 17 progetti condotti a livello nazionale, il documento riporta una sintesi e valutazione critica delle principali evidenze in Europa su professioni, lavoro e competenze. In particolare, la ricerca dimostra in modo convincente, tra gli altri aspetti, che livelli di disoccupazione più bassi (e, parimenti, più alti gradi di creazione di lavoro e bacini di impiego) si correlano a: sistemi di istruzione caratterizzati da un accesso più equo all'istruzione e formazione professionale continua formazione; politiche del mercato del lavoro più ambiziose, che supportano una maggiore mobilità professionale (anche attraverso sistemi efficaci di validazione delle competenze e degli apprendiementi) e lavorativa (migliorando l'allineamento dinamico e il • • dialogo attivo nei vari segmenti del mercato del lavoro); sistemi di organizzazione del lavoro che valorizzano la “manutenzione” e lo sviluppo delle competenze e che non basta mantenere le persone in linea con le esigenze del mercato (make people fit for the market; mediante il miglioramento della loro capacità individuali), ma che è anche di grande importanza organizzare efficacemente i luoghi di lavoro in modo supportivo alle diverse esigenze ed abilità dei lavoratori (making the market fit for workers); la crescente importanza delle competenze trasversali, che attraversano i confini delle discipline e delle professioni. Il documento sottolinea con forza, infine, come solo una efficace governance delle competenze (anche in termini di sistemi negoziati di flexicurity, di workplace democracy, la ripartizione equa del rischio negli investimenti in competenze) possa garantire il riforzo reciproco tra sviluppo delle competenze e creazione di lavoro in condizioni di crescente incertezza economica. • • Pagina 4 Prospettive organizzative A CURA DI ALESSIA SAMMARRA Espatri a breve termine: che, seppur con diverse varianti, consistono in delle missioni di lavoro all’estero più lunghe di un semplice viaggio di affari ma di durata inferiore all’anno, che generalassignment mente non prevedono l’espatrio della famiglia. International Business traveller: si tratta di incarichi di lavoro che richiedono di viaggiare frequentemente fra diverse sedi senza però prevedere un vero e proprio trasferimento. internazionalizzazione Pendolari e incarichi a rotazione: si tratta a tutti dell’economia continua ad gli effetti di incarichi dual desk. accelerare il passo. Per apprezNel primo caso, gli assegnatari lavorano in due Paesi zare l’entità del fenomeno basti pensare che nel mondo trasferendosi da uno all’altro una o due volte a settioperano 82.000 gruppi multi- mana, nel secondo, vi è alternanza di brevi periodi nei nazionali che impiegano com- due posti. La ricerca ha evidenziato che queste nuove plessivamente 80 milioni di tipologie non sostituiscono gli espatri tradizionali, persone, pari al 4% della forza lavoro mondiale. che continuano ad essere considerati uno strumento Il loro fatturato corrisponde al 25% del prodotto importante nella gran parte delle imprese che si trolordo e controllano due terzi di tutto il commer- vano in uno stadio avanzato del processo di internacio di beni e servizi a livello mondiale [1]. Oltre zionalizzazione. Piuttosto costituiscono un allargaalle multinazionali un numero crescente di im- mento del portafoglio di opzioni disponibili divenuto prese, anche di piccole e medie dimensioni, gesti- indispensabile per soddisfare le maggiori esigenze di sce attività oltre i confini domestici attraverso integrazione globale delle imprese [5]. Si tratta di rapporti di import/export, contratti di subforni- forme più flessibili che rispondono anche alle moltetura internazionale, forme di delocalizzazione plici forme di internazionalizzazione cui oggi le improduttiva, alleanze internazionali, fusioni e prese ricorrono, che oltre agli investimenti diretti esteri, includono modalità “più agili” come accordi, acquisizioni cross border. La gestione della mobilità globale costituisce joint venture e progetti di collaborazione. Inoltre, una delle leve più importanti per favorire il coor- l’allargamento del portafoglio di international assidinamento delle attività internazionali e assicu- gnment ben si sposa con la necessità di allargare il rare lo sviluppo di leader con un mindset globale. bacino di persone da coinvolgere in esperienze interQuest’ultimo aspetto sta acquisendo particolare nazionali, sia perché permette di contenere gli inverilevanza poiché l’orientamento internazionale è stimenti nei programmi di mobilità globale includenconsiderato un requisito essenziale per guidare do modalità meno costose rispetto agli espatri tradiorganizzazioni che operano in uno scenario com- zionali, sia perché amplia il target di persone potenpetitivo globale. Secondo alcune ricerche, ad zialmente interessate grazie alla possibilità di sceesempio, le imprese che scelgono un amministra- gliere incarichi che, pur avendo una dimensione tore delegato con esperienza internazionale con- internazionale, garantiscono un impatto più conteseguono migliori risultati in termini di redditivi- nuto sulla vita privata rispetto agli espatri tradizionali. tà [2]. Non prevedendo il trasferimento dell’intero nucleo Per favorire la mobilità globale, oltre ai programmi di espatrio tradizionali, le imprese ricor- familiare, uno dei vantaggi dei flexpatriate assignment è rono sempre più spesso a nuovi modelli di flexpa- quello di rendere l’incarico internazionale compatibitriate assignment [3]. Fra questi si possono distin- le con la carriera del partner e/o con l’eventuale interesse dei figli a non cambiare scuola, cerchia di amiciguere almeno tre diverse tipologie [4]: zie e stile di vita. Anche per il diTab. - Vantaggi e criticità nella gestione di flexpatriate assignment pendente le esigenze di adattamento sono minori visto che l’incarico ha durata limitata o non richiede di trasferirsi completamente in altro Paese, riducendo quindi la p o r t a t a dell’eventuale shock culturale che gli espatri tradizionali normalmente comportano, almeno nella fase iniziale dell’incarico. Inoltre, i flexpatriate assignment non indeboliscono il network professionale nel Flexpatriate • • L’ • Paese di origine e soprattutto permettono di mantenere uno stretto legame con la casa madre, aspetto che potrebbe rivelarsi molto importante per le opportunità di carriera e promozioni una volta terminato l’incarico estero. Spesso gli espatriati lamentano che l’incarico internazionale, anziché garantire maggiori opportunità di crescita, finisce per diventare un ostacolo per la carriera per la cosiddetta sindrome “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. In effetti, la ricerca ha dimostrato che non si tratta di un timore del tutto privo di fondamento per chi intraprende un espatrio di medio-lungo termine (si veda anche l’articolo pubblicato nel numero 19/2011 per un approfondimento su questo tema). Occorre tuttavia evidenziare che, pur costituendo forme più flessibili, questi incarichi possono comportare un aumento significativo dello stress da lavoro e pesare negativamente sul work life balance. I viaggi molto frequenti e la necessità di assentarsi dalla famiglia spesso comportano sacrifici personali importanti. Anche sotto il profilo professionale, il titolare dell’incarico è chiamato a confrontarsi con la diversità culturale e a dover sviluppare spiccate competenze relazionali. Inoltre, i continui spostamenti e la necessità di dover gestire un più ampio portafoglio di relazioni in contesti diversi potrebbe rendere difficile mantenere il livello di produttività a cui si era abituati. A fronte di tale complessità, non sempre le organizzazioni riservano ai flexpatriate assignment la necessaria attenzione in termini di selezione e preparazione all’incarico e di supporto al dipendente durante la sua durata. Si tratta di un errore che può pregiudicarne il buon esito. Anche questi incarichi internazionali, per avere successo, richiedono un’attenta progettazione e gestione da parte della Direzione HR che deve farli rientrare a pieno titolo negli investimenti destinati a rafforzare la mobilità globale. Per approfondire: 1. Unctad (2010). World Investment Report, 2009. 2. Daily C.M., Certo S.T., Dalton D.R. (2000). International experience in the executive suite: the path to prosperity?, Strategic Management Journal, 21: 515-523. 3. Mayerhofer H., Hartmann L.C., MichelitschRiedl G. e Kollinger I. (2004). Flexpatriate assignments: a neglected issue in global staffing, International Journal of Human Resource Management, 15: 1371-1389. 4. Prandstaller F. e Quacquarelli B. (2011). Risorse Umane Internazionali, Apogeo, Milano. 5. Scullion H. e Collings D.G. (2006). Alternative forms of international assignments, in H. Scullion and D.G. Collings (eds) Global Staffing, London, Routledge. Studies, 29: 159-177. Pagina 5 Personal Skills L’importanza di cambiare pelle Quattro lessons learned sull’innovazione “A lot of people in our industry haven't had very diverse experiences. So they don't have enough dots to connect, and they end up with very linear solutions without a broad perspective on the problem. The broader one's understanding of the human experience, the better design we will have.” Steve Jobs S iamo a neanche una decina di anni fa. Passeggiando per il vostro quartiere, in una zona che frequentate poco, notate una promettente libreria, molto ben organizzata e piena di idee. Un punto vendita tradizionale che vende volumi di ogni tipo e qualche accessorio per la lettura. Ripassate di lì per caso l’altro ieri e trovate tutto completamente cambiato. Al posto del piccolo esercizio commerciale scoprite ora un ipermercato gigante, fornito di ogni tipo di prodotto e tecnologia. Incuriositi, lasciate la vostra auto nel mega parcheggio e vi affacciate al suo interno. Praticamente nulla è rimasto della vecchia libreria: il luogo è supermoderno, pieno di luci e di attrattive: vi si possono trovare dagli elettrodomestici agli oggetti di arredamento , dall’abbigliamento alla componentistica elettronica. Un grande settore è anche dedicato a libri e musica … Chissà, pensate, il vecchio negozio avrà chiuso e, al suo posto, si sarà trasferita una qualche succursale di una catena multinazionale … Ma poi vi avvicinate alla cassa e vedete che il titolare originario è lì e continua a fare il suo lavoro. Come è possibile? I nuovi proprietari gli avranno conservato il posto? Che cosa è accaduto? Lo andate a salutare e vi comunica che sì, il business è un po’ cambiato, tutto è cresciuto in maniera esponenziale, da libreria il negozio si è trasformato in piattaforma unificata multicanale, ma la squadra è praticamente la stessa dei vecchi tempi A CURA DI BARBARA PARMEGGIANI (naturalmente con tante persone in più) e le cose continuano ad andare a gonfie vele. Tanto che si sono aperti negozi simili a livello globale e gli investimenti fioccano. In che strano luogo siete capitati? Dove accadono simili avventure? Uscendo fuor di metafora, ci troviamo nello spazio siderale dell’e-commerce e il nostro simbolico “cassiere” si chiama Jeff Bezos , ovvero colui che in pochi anni ha permesso ad Amazon di realizzare una simile incredibile avventura. Molte sono le novità propagate da questo straordinario player del web, a partire dal fatto che al suo esordio, l’azienda ha saputo introdurre un algoritmo di analisi delle interazioni on-line che potesse “intuire” i gusti di ciascun singolo cliente, studiando i comportamenti d’acquisto dei suoi milioni di acquirenti. Ormai diffusa in molti altri siti è la proposta che viene mostrata ad ogni singola ricerca su Amazon: “Chi ha acquistato questo articolo ha acquistato anche …”, che stimola ad ampliare il proprio ordine e a comprare altra merce correlata alla precedente. In altre parole, ti fanno sapere che cosa vuoi tu! E di solito ci azzeccano … spingendoti ad un nuovo acquisto Una soluzione che ha fatto scuola. Ma non è certo la sola o la più importante. Il segreto è nella capacità di trasformazione e nella velocità alla quale si evolve e si cambia pelle. “Essere nati per la trasformazione richiede il coraggio di focalizzarsi prima di ogni altra cosa sul consegnare valore al cliente” sostiene Scott Anthony, uno dei guru contemporanei dei processi di innovazione nel business. “E’ proprio da lì che bisogna partire … Identificare valore significa anzitutto pensare ad una importante caratteristica o attività non supportata o mal supportata che i clienti vorrebbero trovare in un prodotto servizio, e partire da lì per individuare una soluzione ben definita, anche se profondamente diversa da ciò che siamo in grado di offrire oggi. “Se volete continuamente rivitalizzare il servizio che offrite ai vostri clienti, non potete fermavi a fare ciò in cui siete bravi” suggerisce ancora Jeff Bezos, dichiarato Person of the Year di Time Magazine nel 1999, guadagnandosi così la copertina più prestigiosa dell’Occidente, “dovete continuamente chiedervi ciò di cui i vostri clienti hanno bisogno e ciò che chiedono. Poi, non importa quanto sia difficile, è meglio che diventiate bravi a farlo!" Quali sono dunque le caratteristiche di un ambiente innovatore? Ne ho individuate almeno quattro. Il punto di partenza, come dicevamo, è l’ attitudine a focalizzarsi sui clienti e a saperli osservare in tutte le loro sfumature, in una sorta di indagine antropologica di costumi e necessità più o meno palesi. La seconda è la capacità di pensare in maniera spregiudicata (nel senso etimologico della parola,”senza pregiudizi o idee preconfezionate), in maniera aperta, non convenzionale, in grado di sfidare il luogo comune e il “si è sempre fatto così”. A ciò va coniugata poi l’abilità di trasformarsi velocemente di conseguenza, che implica una costante tensione a superare le routine inefficaci, ad adottare nuove abitudini, ad abbracciare il nuovo nella pratica quotidiana. La quanta ha a che fare con il superamento della sindrome da insuccesso. Non sempre infatti l’innovazione dipende dall’effort personale. E’ un processo che ha al suo interno un elevato tasso di aleatorietà (progetti troppo ambiziosi o costosi, timing non congruente, raggio d’azione troppo ampio, progetti che non sono “giusti” per l’azienda …). I motivi dell’insuccesso possono essere tanti, a volte pura e semplice sfortuna. Ma per affrontarli sembra importante la regola del GIORNO 26 del Little Book of Innovation: come posso motivare e retribuire l’innovazione? Risposta flash: non premiare l’innovazione a partire dai risultati ottenuti, ma ancorare i rewards ad atteggiamenti e comportamenti innovativi, anche se gli output … non sono così brillanti. Con una cultura aziendale ispirata a queste quattro caratteristiche sarà possibile assaporare in breve i vantaggi straordinari di una trasformazione tempestiva! Per approfondire: • • • • Seizing the White Space: Business Model Innovation for Growth and Renewal, Mark W. Johnson Press, Febbraio 2010. Scott D. Anthony, The Little Black Book of Innovation: How It Works, How to Do It, Harvard Business School Publishing, 2012 Matthew E. May, Guru Review: The Little Black Book of Innovation, Amex Open Forum, 24 gennaio 2012 TIME Magazine Cover: Jeff Bezos - Person of the Year, 27 Dec 1999 Press Pagina 6 A CURA DI LAURA INNOCENTI La forza dell’evidenza le persone con performance scarse traggono maggiore beneficio dai feed-back rispetto a quelle con performance elevate; i conflitti relativi al “task” migliorano le performance di un gruppo, mentre quelli di natura relazionale le penalizzano; i test che misurano l’integrità non sono affidabili poiché le persone tendono a mentire. A quanti avessero risposto affermativamente anche ad una sola di queste affermazioni gli autori rispondono facendo ricorso ad un vasto e consolidato corpo di ricerche empiriche che ne hanno dimostrato l’infondatezza. Adottare un approccio “evidence-based” richiede un cambiamento radicale rispetto alle modalità più consuete e in qualche modo rassicuranti che orientano generalmente le scelte di HRM. Significa, infatti, in primo luogo assumere una prospettiva critica non solo rispetto a ciò che non funziona nell’organizzazione, ma soprattutto rispetto a ciò che sembra funzionare. Significa non fermarsi ai risultati ma cercare risposte oggettive, dentro e fuori la propria organizzazione, che siano in grado di supportare in modo empirico le scelte effettuate. Come muoversi quindi nella direzione di un maggiore orientamento “evidence-based”? Gli autori individuano due passi fondamentali: il primo consiste nell’acquisire maggiore familiarità con gli studi e le ricerche condotte dalla comunità • • L a crescente complessità e frenesia che connota le organizzazioni del terzo millennio richiede sempre più spesso ai manager di prendere decisioni rapide, talvolta istantanee. In situazioni di forte pressione può diventare quindi difficile fare “la scelta giusta”, ovvero individuare la risposta organizzativa e/o gestionale più appropriata. Ci si affida prevalentemente all’esperienza, all’intuito, al benchmark, ma più raramente ai fatti. Questa è la tesi provocatoriamente proposta da Denise Rousseau e Eric Barends in un recente articolo apparso sullo Human Resource Management Journal. Obiettivo degli autori è esortare ad un maggior ricorso ad un approccio “evidence-based”, ovvero suscitare interesse da parte del mondo degli HR “practitioner” ad avvalersi maggiormente di evidenze emerse da studi e ricerche empiriche come elementi a supporto dei processi decisionali. Per sostenere la loro tesi gli autori propongono un breve test. È vero o falso che: • Pay for... Verso nuove forme d’informativa: l’Integrated Report di Francesco Pasquale De Mutiis I I “Report Integrato”, questa sembra essere l’ultima frontiera in tema di informativa al pubblico. Si tratta di un vero e proprio “approccio alla trasparenza”, ossia rendicontare in maniera unitaria ed integrata le informazioni finanziarie, sociali, ambientali e di governance di un’intera organizzazione. Per la prima volta le aziende si troveranno quindi a dover predisporre un unico documento di informativa con il risultato da un lato, di accrescere il livello trasparenza verso la collettività e la comunità finanziaria e dall’altro, di ridurre la complessità legata agli obblighi di informativa. Se vogliamo, il primo stadio di questa “evoluzione informativa” si è avuto con la diffusione del cosiddetto bilancio di sostenibilità (o CSR Report).Con la progressiva globalizzazione dell’economia infatti, la richiesta di una sempre maggiore trasparenza circa le attività delle aziende da parte di tutti i portatori di interesse, ha fatto emergere nelle società (soprattutto di maggiori dimensioni) l’esigenza di presentare alla comunità esterna non solo le proprie performance finanziarie, ma anche quelle più propriamente derivanti dalla gestione di attività sociali ed ambientali. Il secondo step, nel processo di evoluzione dei sistemi di scientifica di riferimento. Benché talvolta risentano di un linguaggio autoreferenziale e possano risultare astrusi nella componente statistica, gli studi e le ricerche accademiche offrono evidenze empiriche solide e affidabili che possono fornite validi spunti di riflessione per chi opera nelle organizzazioni. Il secondo consiste nell’acquisire una maggiore sensibilità alla valorizzazione dei dati empici disponibili “in house”. Talvolta può capitare che le funzioni HR non riescano – per mancanza di tempo o di una specifica sensibilità – ad “estrarre” dai molteplici dati in loro possesso indicazioni che possono essere importanti nell’indirizzare le decisioni. Si tratta in alcuni casi di provare a leggere i dati con degli “occhiali” nuovi, in altri di andare ad acquisire mirate informazioni supplementari Un orientamento “evidence-based” risulta efficace poiché consente di “separare il grano dal loglio”, identificando le pratiche realmente più adatte per ciascuna organizzazione. Inoltre, il ricorso a dati empirici consente alla funzione HR di argomentare meglio le proprie decisioni, agendo il proprio ruolo di indirizzo con crescente empowerment. Last but not least, una maggiore sensibilità agli aspetti empirici può favorire crescenti occasioni di confronto e scambio tra i mondi talvolta troppo distanti dell’accademia e dell’azienda. Per approfondire: Rousseau, D.M, Barends, E.G.R (2011). Becoming an evidence-based practicioner, Human Resource Management Journal, 3:221-235. A CURA DI GABRIELE GABRIELLI reporting, riguarda recentemente, la definizione di un modello di rendicontazione integrata che illustri in un solo documento sia le informazioni contabili e finanziarie (tipiche del bilancio civilistico) sia quelle sociali e ambientali (proprie del bilancio di sostenibilità ). E’ importante ricordare come questo approccio non si esplichi nella somma delle informazioni all’interno di un unico Report, bensì nell’integrazione; illustrando cioè quelle che sono le sinergie tra le performance finanziarie e non finanziarie e le modalità secondo cui queste si influenzano a vicenda, evidenziando non solo i risultati della gestione passata, bensì la capacità dell’impresa di creare e mantenere valore nel corso del tempo dall’interazione di questi diversi fattori. Data la portata dell’iniziativa e la numerosità degli attori coinvolti, sono stati costituiti veri e propri organismi internazionali allo scopo di studiare ed elaborare un modello di reporting coerente con le esigenze di trasparenza richiesta alle aziende di oggi, primo fra tutti è il Global Reporting Initiative (GRI)1 considerata la massima autorità mondiale in materia di rendicontazione e sostenibilità. Ilpunto di partenza del GRI è stato la creazione, nel 2010, dell’International Integrated Reporting Council (IIRC)2, un comitato che riunisce i rappresentanti dei principali gruppi di stakeholder, per discutere le componenti del nuovo modello di rendicontazione aziendale. Il ruolo dell’IIRC, così come riportato sul sito dell’organizzazione, è: “Reach a consensus among governments, listing authorities, business, investors, accounting bodies and standard setters for the best way to tackle the challenges of Integrated Repor• ting; Identify priority areas where additional work is needed and provide a plan for development; Develop an overarching Integrated Reporting framework, which sets out the scope and key components of Integrated Reporting (‘the <IR> Framework’); Consider whether integrated reporting should be voluntary or mandatory; Promote the adoption of Integrated Reporting by relevant regulators and report preparers”. Alla luce dell’attività di studio nell’ottobre 2011 l’IIRC ha lanciato un Programma Pilota della durata di due anni a cui hanno aderito 61 aziende leader a livello mondiale; tale programma ha lo scopo di facilitare la creazione di un framework globalmente condiviso per le pratiche di reporting integrato. Secondo quanto emerge dalle dichiarazioni dei leader dei suddetti istituti, entro il 2015 tutte le imprese saranno tenute a comunicare le performance ambientali, sociali e di governance, mentre uno standard per il Reporting Integrato dovrà essere sviluppato, testato e approvato entro il 2020. • • • • Per approfondire: • • https://www.globalreporting.org/Pages/ default.aspx http://www.theiirc.org/ Pay for... Pagina 7 Gli impatti A CURA DI GABRIELE GABRIELLI Fig. 1 - European M&A annual trend gestionali delle operazioni di M&A di Aldo Santalco L Forte attenzione è concentrata sul target price mentre poca viene data sulla implementazione di tali operazioni e sull’effettivo sfruttamento delle sinergie attese. L’integrazione di due aziende non può infatti trascurare, sia nella fase a priori che in quella dell’implementazione, elementi come le diverse culture aziendali e la loro compatibilità. Diversi valori, modi di lavorare, sistemi e processi se non accuratamente gestiti e comunicati, sono spesso causa di inefficienze, rallentamenti e peggioramento del clima aziendale. Tali criticità sono state confermare da una survey a livello globale sviluppata da Aon Hewitt su 123 aziende appartenenti a diversi settori in merito alle principali complessità dei processi di M&A. Con riferimento alle principali cause di insuccesso (vedi fig. 2), le aziende hanno indicato, oltre a un processo di integrazione più lungo del previsto (44%), principalmente aspetti legati all’human capital come quelli dell’integrazione culturale (33%), della comunicazione (32%) e la scarsa attenzione alle persone (30%). Con particolare riferimento alle conseguenze legate all’insuccesso nell’integrazione di diverse culture (vedi fig. 3), le aziende par- e operazioni straordinarie di Merger & Acquisition (M&A) sono per loro natura di forte carattere strategico sia per l’azienda che compra (bidder) che Fonte: Mergermarket – M&A Insider – June2012. per quella comprata/incorporata infatti molteplici sia dal punto di vista econo(target) ma possono anche essere fonti di mico che da quello del capitale umano. Dal notevoli complessità. punto di vista economico, ad esempio I recenti trend evidenziano un calo di tali un’acquisizione a un prezzo eccessivamente operazioni sia per numero che per valore alto potrebbe fortemente compromettere la economico (vedi fig. 1) oltre che a uno sposituazione economico-patrimoniale del bidder, stamento geografico verso il Continente ma sono spesso gli aspetti legati al capitale asiatico (nel 2011 Cina + 21%, India +27%). umano a essere quelli maggiormente trascuraIn Europa,a maggio 2012, il deal di maggior ti. Elementi di tipo puramente organizzativo valore è avvenuto nel settore industriale tra come l’integrazione di due strutture organizla Eaton Corporation e la Cooper Industries zative – sempre più frequentemente risolta per un valore complessivo di 9,3 miliardi di semplicemente con riduzioni del personale euro, seguito dalla recente cessione a Cassa depositi e prestiti da parte di ENI del 30% di Fig. 2 - Principali cause di insuccesso in operazioni di M&A Snam per un contro valore di 3,5 miliardi di euro. Nonostante ciò c’è da dire che l’Italia non è mai stata particolarmente influente tra i Paesi europei in questo tipo di operazioni, rappresentando soltanto il 6,3% in termini di valore rispetto all’Europa. Nei primi nove mesi del 2012, il controvalore è stato pari a 9,4 miliardi di euro, contro i 21 dello stesso periodo l’anno precedente (KPMG Corporate Finance Report). Per quanto riguarda invece i settori maggiormente interessati dalle operazioni di M&A, questi risultano essere quelli dei trasporti, dell’industria e dei beni di largo consumo. Tali operazioni, seppur siano un importante strumento per l’attuazione di delicate decisioni strategiche quali ad esempio una diver- Fonte: Culture Integration in M&A – Survey Findings Aon Hewitt 2011. sificazione di prodotto/settore/area geografinella target company – ed elementi legati ai tecipanti all’indagine hanno evidenziato ca, richiedono un’estrema accuratezza nella sistemi e ai processi – come l’integrazione delle una perdita di produttività e di concentraloro gestione sia nel momento precedente diverse piattaforme IT – rappresentano tra le zione (80%), una perdita di talenti chiave che in quello successivo alla conclusione del principali cause di insuccesso delle operazioni (78%), il fallimento nello sfruttamento delle deal. Gli impatti gestionali possono essere di M&A. sinergie auspicate (77%) e una riduzione dell’engagement della poFig. 3 - Principali conseguenze di un insuccesso nell’integrazione culturale p o la zio ne a zie ndal e (73%). Fonte: Culture Integration in M&A – Survey Findings Aon Hewitt 2011. Pay for... Pagina 8 Executive Compensation. Quando lavorare paga e appaga di Valentino Salvatore De Pietro P arlare di executive compensation significa analizzare le retribuzioni degli amministratori e dei massimi dirigenti d’impresa e confrontarli tenendo conto delle relazioni con le performance aziendali di questi. E’ un tema complesso, ma che ha alla base la correlazione tra la performance e le retribuzioni di top manager aziendali che percepiscono degli stipendi da capogiro, anche se non sono solo le retribuzioni pecuniarie a concorrere al benessere di questi individui. La strategia aziendale che sostiene a questa logica risiede nel ricercare il benessere dell’individuo, fornendogli una serie di elementi e soluzioni che, integrate tra loro permettano di incentivare al massimo il grado di soddisfazione del manager. Bisogna dunque mettere sulla bilancia le remunerazioni con le performance aziendali pianificate. Il pacchetto remunerativo di questi vertici aziendali può essere articolato come segue: c’è un compenso pecuniario fisso percepibile sotto forma di lavoro dipendente (RAL) o come compenso per la carica di amministratore (emolumento), ci sono poi dei benefici addizionali (assicurazioni, beni per la persona o la famiglia) e un compenso variabile legato alla valutazione di specifici obiettivi predeterminati. A sua volta la retribuzione variabile dipende dall’arco temporale di maturazione – è il caso dei Bonus o IBT (incentivi di breve termine) - connessi al conseguimento di obiettivi di portata annuale. L’incentivazione A CURA DI GABRIELE GABRIELLI delle posizioni aziendali apicali che ricoprono ruoli particolarmente importanti viene spesso retribuita attraverso gli ILT (incentivi di lungo termine) che permettono di ridurre i rischi di shortermism; si propone dunque un premio che viene incassato dal manager alla fine di due o tre anni. In linea di massima si può far passare l’associazione per la quale gli incentivi monetari valgono per il breve periodo mentre gli incentivi azionari sono più efficaci per il lungo. Le aziende negli anni hanno capito quanto sia importante trattenere le loro risorse chiave ed è per questo che sono nati i benefits che vanno ad aggiungersi al pacchetto retributivo dei top manager. Questi benefits negli ultimi anni hanno raggiunto livelli di soddisfazione e variabilità tale che molti dirigenti apprezzano di più l’erogazione diretta di servizi da parte dell’azienda che non esclusivamente la retribuzione in denaro. Possiamo suddividere i benefits in tradizionali e perquisites; tra i primi troviamo: i fondi pensione, il rimborso delle spese sanitarie e le coperture del rischio decesso e infortunio; le perquisites, invece, sono benefits che ricoprono un più ampio spettro di categorie: prestiti personali a tassi agevolati, buoni pasto, cellulare aziendale, gestione flessibile dei giorni di ferie, servizi di fitness e wellness, la company car e per i top manager anche l’iscrizione a club esclusivi, l’utilizzo dell’autista o del jet privato, la consulenza finanziaria legale o fiscale, ecc... Per studiare queste dinamiche in maniera sistematica la LUISS Business School ha creato un apposito Osservatorio, che con il supporto di Confindustria e di partner aziendali studia la retribuzione dei membri dei board e la corporate governance aziendale. In un recente incontro tenutosi presso la LUISS dal titolo “Far crescere le imprese per far crescere il Paese”si è discusso di executive compensation assieme ad esperti di AON Hewitt. Si è analizzato lo stato dell’economia internazionale e nazionale, soffermandosi sull’evoluzione dei sistemi retributivi e incentivanti per il management aziendale. Dalle loro analisi traspare una crisi economica italiana che risente del rallentamento dell’economia mondiale; le difficoltà italiane legate alla crescita affondano le radici nel terreno di un fortissimo debito pubblico accumulato negli anni ‘70 e ‘80. Oggi, gli investimenti sono bloccati, le nostre aziende mostrano una capacità produttiva in eccesso e qualche difficoltà di reazione nell’aggiustare le proprie strategie di mercato. I consumi sono deboli, gli investimenti in calo e il contributo positivo arriva solo dall’interscambio con l’estero. Ma esiste ancora un barlume di speranza: le PMI italiane, infatti, mostrano di essere capaci di raggiungere mercati molto lontani, sintomo di vitalità del nostro tessuto industriale. Newsletter a cura dell’ Area Executive Education & People Management LUISS Business School CURANO LE RUBRICHE: Gabriele Gabrielli Fabrizio Maimone Valentina Castello Alessia Sammarra Barbara Parmeggiani Laura Innocenti Docente LUISS Guido Carli Responsabile Area Executive Education & People Management LUISS Business School Docente Università LUMSA Docente Università de L’Aquila Docente Università de L’Aquila Docente LUISS Business School Docente LUISS Business School Coordinamento: [email protected] [email protected] tel. 06 85.225.251 fax. 06 85.225.682 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Francesco Pasquale De Mutiis Valentino Salvatore De Pietro Senior Consultant PriceWaterhouse Coopers Advisory Giornalista free lance Aldo Santalco Consultant Aon Hewitt