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Untitled - Gruppo Carige

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Untitled - Gruppo Carige
Il territorio e la sua storia
Dove pascola
un erede del “bos primigenius”
di Luigi Picone
Alla confluenza dei fiumi Aveto e Bozale
sorge il piccolo paese di Cabanne da cui
la mucca Cabannina trae il nome, in quanto
suo principale centro di allevamento
e di diffusione.
La conformazione del territorio è quella tipica delle zona
appenninica, di cui la Val d’Aveto fa parte a tutti gli effetti. Le pendici dei monti sono ricche di boschi di castagno
e faggio, con piccole radure e scarse zone coltivabili, per
lo più rubate alla vegetazione e rese utilizzabili grazie a
importanti opere di terrazzamento, elemento identificativo di tutto il paesaggio ligure dalla costa all’entroterra.
Cabanne, fin dall’antichità, ha costituito uno snodo importante per i commerci da e per Piacenza, poiché nel suo territorio passano le vie che mettono in comunicazione la Val
Fontanabuona, l’Alta Val Trebbia e il versante piacentino.
La sua ampia piana derivata dal prosciugamento ad opera dei monaci benedettini di Villa Cella nel XIV secolo fu
utilizzata da questo periodo per l’agricoltura e l’allevamento, in un primo tempo dalla famiglia dei Da Meleto, poi
dai Della Cella che diedero vita ad un’importante casata
con diramazioni a Rezzoaglio, Santo Stefano d’Aveto fino
a Chiavari, sfruttando il pagamento dei pedaggi.
In questo contesto si sviluppò, grazie ad un lungo lavoro
di selezione biologica naturale degli allevatori locali, la razza della mucca Cabannina. Recenti indagini sul DNA hanno mostrato evidenti collegamenti con l’antenato di tutti i
bovini moderni, il bos primigenius, del quale ha mantenuto le caratteristiche lattifere e l’adattamento al territorio.
A fronte
Mucca Cabannina al pascolo.
In alto Una veduta del paese di Cabanne.
L’allevamento tipico per il quale questo ecotipo ligure si è
sviluppato prevede il pascolo in aree impervie e arbustive.
Bisogna infatti ricordare che le porzioni di terreno libero dal
bosco, fino a pochi decenni fa, erano destinate esclusivamente alla coltivazione di cereali, patate e ortaggi vari.
La Cabannina, insieme ad un’altra razza autoctona, la Ottonese-Varzese, è stata allevata per la sua capacità di utilizzare le spontanee risorse del territorio con scarsissime
interazioni esterne e, nonostante ciò, produrre un latte di
buona qualità.
Anche le sue caratteristiche morfologiche rispondono alle esigenze ambientali: è di statura piuttosto ridotta, i maschi misurano al garrese 125 cm, mentre le femmine 118
cm e il peso medio di un capo è di 400 kg. Di particolare rilievo è il grande volume addominale che conferisce
all’animale una buona capacità di ingerire foraggi. Gli arti sono robusti e dotati di piedi forti e ben serrati con unghielli durissimi, caratteristica che le consente di muoversi agevolmente su terreni accidentati1.
L’attuale sistema di allevamento prevede l’affidamento sul
pascolo. All’inizio della stagione primaverile le vacche vengono condotte nelle aree più impervie, mentre a valle viene tagliato il fieno, e, successivamente, vengono pascolati i ricacci.
Quando gli attuali prati da sfalcio erano occupati da seminativi e coltivazioni non era disponibile una sufficiente scorta di fieno per l’inverno per questo motivo gli allevatori, con
una transumanza detta “sciuerno”, ormai rimasta solo nel-
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la memoria storica, portavano gli animali in piccole mandrie dalle valli dell’Aveto alle coste del Tigullio. I contadini
locali utilizzavano così il latte per l’inverno e il letame come concime per gli orti e gli uliveti. L’alimentazione invernale poteva contare su sfalci di erba fresca ed era eventualmente completata con l’integrazione di rimedi casalinghi come l’acqua della pasta, bucce di patata e crusca.
Dalla fine del XIX secolo le popolazioni bovine della Provincia di Genova, che contavano all’inizio del Novecento
40.000 capi, sono state gradualmente incrociate o sostituite con razze più produttive come la Razza Bruna, provocando così la scomparsa o la drastica riduzione di molti tipi locali come la Cabannina e la Ottonese-Varzese.
Questa pratica è stata attuata anche per altri animali allevati, provocandone quasi l’estinzione, come ad esempio per gli ovini la pecora Marrana, ridotta oggi a poche
unità o a varie razze di avicoli come la Gigante Nera o la
Bianca di La Spezia.
Un ulteriore grave arresto al mantenimento delle razze autoctone bovine avvenne nel 1963 con la legge n. 126, che
istituì una disciplina nella riproduzione bovina solo con maschi iscritti nei libri genealogici, per questo motivo gli incroci con altre razze divennero in pratica obbligatori. Nel
1964 la popolazione di Cabannine risultava ancora di 2800
unità, ma dal 1965 scompare dalle statistiche ufficiali per
l’applicazione della sopracitata legge che prevedeva l’entrata in vigore della riproduzione solo con tori muniti di libri genealogici che, per la Provincia di Genova, erano solo quelli di Razza Bruna Alpina.
Negli anni seguenti una generale e fisiologica diminuzione di capi è da attribuire anche ai cambiamenti dello stile di vita delle valli appenniniche, dove già dal dopoguerra era iniziato l’abbandono delle terre, l’emigrazione verso le città o paesi d’oltremare e l’inizio di un allevamento più intensivo, che si sviluppò grazie alla riduzione delle terre coltivate, che vennero progressivamente utilizzate per pascoli e prati da sfalcio.
Per un nuovo riconoscimento ufficiale della razza Cabannina bisogna aspettare fino al 1985 quando venne istitui-
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to il “Registro anagrafico delle popolazione autoctone e gruppi etnici a limita diffusione” in cui venne inserita anche la
Cabannina. Questo ha significato in primo luogo la difesa
delle risorse genetiche della razza e, in secondo luogo, l’identificazione e il riconoscimento delle caratteristiche morfologiche che la contraddistinguono.
Nel 1988 un censimento della Regione Liguria e dell’Associazione Provinciale Allevatori di Genova ha rilevato nel solo comune di Rezzoaglio la presenza di 679 capi; oggi, nell’intera Provincia di Genova, sopravvivono poco più di 200
mucche di razza Cabannina, su un totale di 737 bovini 2.
Per salvaguardarne la biodiversità sono state stoccate dall’Associazione Provinciale Allevatori di Genova circa un migliaio di dosi di materiale seminale. La Regione Liguria ha
attuato già da tempo dei progetti di recupero del patrimonio e ha provveduto a inserire la Cabannina nel Piano di
Sviluppo Rurale tra le razze bovine da salvaguardare.
Benché sia definita una razza a duplice attitudine per la
produzione di carne e di latte, quest’ultimo è sicuramente il suo prodotto migliore. La produzione è di circa 2030q l’anno a capo, su una media provinciale di circa 3540q l’anno. Questa differenza si può giustificare con la mole ridotta della mucca Cabannina e il tipo di alimentazione spesso grossolano. La qualità del latte è però buona,
con parametri di grasso e proteine molto vicini a quelle
di vacche propriamente da latte come la già citata Bruna e la Pezzata Rossa; queste proprietà sono una caratteristica della razza che riesce a ottimizzare le scarse risorse foraggere spontanee dell’area di allevamento.
Il formaggio prodotto ha tipicamente una forma di circa 1520 cm stagionata oltre i due mesi. La pasta è compatta ed
elastica, di colore paglierino con rade occhiature. All’olfatto evoca sentori lattici di burro e di fieno maturo accompagnati da nocciola e miele. Il gusto è estremamente saporiIn alto a sinistra Il primo contatto subito dopo il parto.
A fronte Mucche Cabannine al pascolo
e una veduta del torrente Aveto.
Il territorio e la sua storia
to. Al latte, che un tempo veniva raggruppato tra le varie famiglie in modo da poter raggiungere la quantità sufficiente
per fare una forma, viene aggiunto il caglio a una temperatura di circa 38°; viene quindi lasciato coagulare per un ora,
un’ora e mezza. Trascorso questo periodo la cagliata viene
tagliata in grani fini come chicchi di riso, quindi estratta con
grandi teli di cotone e posta in recipienti forati cilindrici detti fascelle o fuscelle, da cui fuoriesce il siero. Successivamente si provvede a pressare la forma con 5-10 kg e a rivoltarla 4 o 5 volte in una giornata. Il giorno seguente si toglie dal contenitore e si sala a secco cospargendo entrambe le facce con sale grosso. Dopo 24 ore la forma viene lavata e posta in locali appositi per la stagionatura.
Ma qual è il futuro della Cabannina? Trattandosi di una razza della quale si vogliono conservare le caratteristiche storiche, il suo adattamento al territorio e la capacità di utilizzare le scarse risorse foraggiere spontanee per la produzione di latte di buona qualità, i passi in avanti sono quelli legati al miglioramento genetico. E’ necessario, infatti, continuare nel recupero dei caratteri morfologici tipici della razza eliminando i difetti legati al meticciamento con altre.
Oltre all’aspetto del recupero morfologico possono e devono contribuire al suo mantenimento anche fattori legati allo sviluppo dell’areale in cui vive, in cui la Cabannina potrebbe dare un contributo. La Val d’Aveto, come altre valli
appenniniche liguri, ha subito, come già ricordato, una grande diminuzione di popolazione e di produttività economica,
a causa della bassa resa dell’agricoltura e dell’allevamento
in zone così impervie e difficilmente utilizzabili. Oggi si sta
sviluppando la possibilità di trovare nuove risorse e sbocchi per questi territori, il primo fra tutti è quello di riuscire
a proporre prodotti ad alta tipicità, unici e di elevata qualità, reperibili solo in un determinato luogo. Il secondo è quello di sviluppare un turismo legato all’ambiente, alle peculiarità del territorio e alla natura. Tutto questo sarà possibile solo ed esclusivamente se si riuscirà a fare sì che continuino a vivere persone che allevino mucche, coltivino campi, ricostruiscano i muretti a secco caduti, tengano in ordine i boschi e mantengano viva la memoria storica.
Forse la Cabannina, e il suo formaggio, chiamato nel dialetto locale u cabanin, potrebbe essere veramente un buon
punto di partenza per continuare la ripresa. Intanto, se vi
capita di passare da Cabanne, guardate con attenzione nei
prati e potrete fare diretta conoscenza con la piccola vacca dalle grandi qualità e dal manto castano scuro con la
tipica riga mulina color crema, che magari pascola insieme al Cavallo Bardigiano altro esemplare autoctono con una
storia da raccontare.
Note
1
Dalle caratteristiche morfologiche delle norme tecniche del registro anagrafico della Razza Cabannina.
2
Istat, Censimento dell’Agricoltura anno 2000.
Il territorio e la sua storia
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