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«Aggrediti a tradimento nella notte» (parte 1)

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«Aggrediti a tradimento nella notte» (parte 1)
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Forum D. | Panorama
Violenza al confine
«Aggrediti a tradimento nella notte»
(parte 1)
Ogni giorno il Cgcf ferma in media 40 persone ricercate e tre bande in possesso di refurtiva o arnesi da scasso.
A questi fermi si aggiungono i casi di contrabbando di armi e stupefacenti, immigrazione illegale (passatori)
o contrabbando organizzato. Che la realtà professionale di una guardia di confine possa includere situazioni
estreme è nella natura stessa del mestiere. Nei suoi 120 anni di storia, il Cgcf ha vissuto esperienze drammatiche, a volte con esito tragico. In una serie di tre episodi, Forum D. racconta le vicende vissute da guardie che
hanno pagato con il sangue il loro impegno a favore della sicurezza del Paese.
al. Nel 2010 il Cgcf ha registrato
154 casi di violenza e minacce nei
confronti di propri membri; nel 2011
sono stati 202 e l’anno successivo
235. A ciò si aggiunge un aumento
del 47 per cento del contrabbando di
Guardia di confine in servizio da sola (1920)
armi vietate: lo scorso anno i sequestri
sono stati 1931, contro i 1308 del
2011. Queste cifre dimostrano che al
confine vi è un potenziale di violenza.
Fortunatamente, nell’ultimo decennio nessuna guardia ha perso la vita
per mano di terzi,
malgrado l’aumento
della criminalità transfrontaliera. Tuttavia
ciò non è dovuto
solo alla fortuna,
ma anche e soprattutto alle capacità e
alle conoscenze di
un personale ben
formato.
Guardia di confine,
un mestiere pericoloso
La professione di
guardia di confine
non è mai stata priva
di pericoli. Fin dall’istituzione del Cgcf
nel 1894, le guardie
hanno convissuto con
la violenza, non da
ultimo perché il loro
compito principale
era quello di «scoprire, impedire e
reprimere il contrabbando». Nelle regioni
in cui, per tradizione,
il traffico transfrontaliero era particolarmente forte, la
popolazione locale
guardava le guardie con diffidenza.
Ma non solo. Spesso si è passati
anche alle vie di fatto: come si legge
nei rapporti dell’epoca, nei primi anni
di esistenza del Corpo diverse guardie
sono state assalite a tradimento,
derubate, malmenate e perfino ferite
gravemente. Anzi, talvolta erano
proprio le autorità locali a sabotare
gli sforzi finalizzati a reprimere il
contrabbando.
Sebbene la letteratura degli anni
Quaranta dipinga con tratti romantici il contesto in cui si muovevano
le guardie il lavoro quotidiano delle
guardie di confine era tutt’altro che
facile. Le condizioni lavorative erano
dure e imponevano grandi sacrifici.
Non di rado la loro l’incolumità era
messa a rischio. Soprattutto durante
le due Guerre, i confini erano irti
di pericoli e gli scontri a fuoco tra
guardie e contrabbandieri armati non
mancavano.
Il periodo della Prima
guerra mondiale
Durante il primo conflitto mondiale,
il confine nord-occidentale della
Svizzera era presidiato da circa
220 000 soldati. Una sorveglianza
intensa in una situazione di grande
tensione, che inevitabilmente divenne
teatro di tragiche fatalità mietendo
vittime sia nel Cgcf sia nell’esercito.
Quello di Edmund Zumsteg fu il primo
caso noto in cui una guardia di confine perse la vita in servizio: fu assassinato il 6 giugno 1916 da un soldato
tedesco nei pressi di Flüh (SO). Il Reich
Forum D. | Panorama
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Una guardia ferma cinque contrabbandieri
(1942)
Esercitazione per l’uso della pistola mitragliatrice LMG 18
versò alla vedova 22 000 franchi a
titolo di indennizzo. Lo stesso destino
toccò a Heinrich Kaspar, ucciso il 12
aprile 1918 vicino a Rheinfelden (AG)
da una pattuglia dell’esercito svizzero.
Miglior fortuna ebbe Aloïs Aubry,
vittima due giorni prima a Lucelle
(JU) degli spari di un soldato svizzero.
Sopravvisse nonostante le gravi ferite
riportate ma rimase invalido. La vita
di Alfred Bürki fu invece stroncata il
13 settembre 1919 nell’ufficio doganale di Thayngen-Schlatt da un colpo
partito accidentalmente da un’arma
di fabbricazione straniera, manipolata
in modo errato da un agente della
polizia militare.
Il periodo interbellico
Durante la guerra, contrabbandieri,
passatori e speculatori potevano
esportare la loro merce più o meno
legalmente, ma poi gli alleati non
tollerarono più questi traffici e
imposero regole severe. La situazione
in Svizzera era estremamente tesa
anche sul piano sociale. Nel 1918,
circa un sesto della popolazione era
indigente. Queste circostanze
portarono inevitabilmente a conflitti,
che il 12 luglio 1919 culminarono
nel ferimento grave di una guardia
di confine. Un contrabbandiere con
l’uniforme dell’esercito francese sparò
a Gottlieb Frey trafiggendogli un polmone. Dopo il 1923 divennero ricorrenti le violazioni dei confini ad opera
delle camicie nere fasciste e, dal 1933,
delle SA. Pur arrivando ogni tanto alle
vie di fatto, tali violazioni non ebbero
mai conseguenze letali.
Va comunque detto che gli autori
non sempre erano contrabbandieri.
Il 18 febbraio 1937 a Scudellate, un
uomo affetto da turbe psichiche sparò
a una guardia di nome Rosetti, ferendolo gravemente. Lo sparatore venne
arrestato in Francia.
Un apice tragico
Il progressivo razionamento dei beni
disposto dal Consiglio federale nel
settembre 1939 allo scoppio della
Seconda guerra mondiale favorì il
mercato nero. Sebbene inizialmente
la fitta sorveglianza dei confini avesse
un effetto dissuasivo, negli anni
successivi il contrabbando aumentò
in modo considerevole: nel 1945 le
guardie di confine segnalarono oltre
18 000 casi. Di pari passo si intensificò
il ricorso alla violenza e alle armi su
entrambi i fronti. Tra il 1941 e il 1945,
ben otto guardie di confine furono
assassinate nell’esercizio delle loro
funzioni: Fritz Mösli (1941), Charles
Chevalley (1942), Willy Rohr (1944),
Luigi Meschini (1945), Arthur Sauter
(1945), Giuseppe Socchi (1945), Ovidio Maggi e Hermann Noser (1945).
Ad eccezione di Fritz Mösli (ucciso da
bracconieri) e Willy Rohr (ucciso per
sbaglio da un soldato delle truppe di
frontiera), gli altri persero la vita per
mano di contrabbandieri.
Con la fine della Seconda guerra
mondiale, il confronto armato tra
guardie e contrabbandieri cessò quasi
da un giorno all’altro. La crescita
economica cominciata poco dopo
nell’Europa occidentale ridusse gli
episodi violenti al confine. La situazione divenne più tranquilla e per
qualche decennio non si verificarono
omicidi di guardie da parte di terzi.
Purtroppo, la radicalizzazione politica
degli anni Settanta riportò la violenza
al confine ad opera di terroristi e
criminali pericolosi.
Continua nel prossimo numero
36
Forum D. | Panorama
Violenza al confine
I terroristi si facevano strada sparando
(parte 2)
Ogni giorno il Cgcf ferma in media 40 persone ricercate e tre bande in possesso di refurtiva o arnesi da scasso.
A questi fermi si aggiungono i casi di contrabbando di armi e stupefacenti, immigrazione illegale (passatori)
o contrabbando organizzato. Che la realtà professionale di una guardia di confine possa includere situazioni
estreme è nella natura stessa del mestiere. Nei suoi 120 anni di storia, il Cgcf ha vissuto esperienze drammatiche, a volte con esito tragico. Nell’edizione 3/13, Forum D. ha pubblicato le vicende vissute sino alla fine
della Seconda Guerra Mondiale da guardie che hanno pagato con la vita il loro impegno. In questa edizione
vengono presentati episodi risalenti agli anni del terrorismo in Europa occidentale.
al. All’inizio degli anni Settanta la
società civile era in fermento. Gli strascichi del dopoguerra e della guerra
del Vietnam spinsero una moltitudine
di giovani a contestare le strutture
sociali dominanti. Dal fenomeno
più ampio della contestazione sono
scaturite anche organizzazioni radicali
come la «Rote Armee Fraktion» (RAF)
in Germania e le «Brigate Rosse» in
Italia, che sono state protagoniste di
brutali azioni terroristiche. C’erano
poi diversi gruppi criminali, come la
«Alfa Bande», che si mischiavano ai
terroristi.
L’ondata di violenza non risparmiò il
nostro Paese, poiché talvolta i criminali
in fuga l’avevano scelto come loro
destinazione. In questo frangente essi
adottavano una tattica ben precisa:
quando intuivano il pericolo e subodoravano l’arresto si facevano strada
sparando. E lo facevano con inaudita
freddezza, aprendo il fuoco ad altezza
d’uomo per evitare tiri a vuoto. Si capì
in fretta che questi malintenzionati,
anziché sottrarsi alle forze dell’ordine,
cercavano il confronto diretto con
queste.
1974: lotta armata al confine
Il 4 gennaio 1974 la famigerata «Alfa
Bande» commette il primo assassinio
legato alla lotta armata in Europa.
Alcuni membri della banda rapinano
una banca a Buchs (SG) e fuggono
verso il confine dopo uno scontro
a fuoco con la polizia. Giunti al
posto guardie di confine di Oberriet,
estraggono un mitra e uccidono un
frontaliere austriaco e due guardie di
confine, Niklaus Müller e Jakob Zogg.
17 luglio 1976, altro episodio efferato.
Durante il controllo di un veicolo a
Sézegnin (GE), tra uno spacciatore
francese e le due guardie di confine
Willy Girardin e Peter Frei si arriva alle
vie di fatto. Il francese apre il fuoco e
ferisce gravemente i doganieri.
Sei mesi dopo, il 5 gennaio 1977,
la guardia di confine Urs Bettschart
riporta gravi ferite mentre controlla
due passanti presso Riehen (BS). I due
individui, di identità sconosciuta e
probabilmente membri della RAF, gli
sparano a distanza ravvicinata. Bettschart aveva ritirato i loro passaporti e
intimato di seguirlo al posto guardie di confine. Il 20 dicembre dello
stesso anno, alcuni terroristi della RAF
sparano alle guardie di confine Pierre
Oberli e Marc Hayoz, in servizio presso
il posto guardie di confine di Fahy (JU).
La sciagura di Koblenz
Koblenz in Argovia fu teatro di
un’altra sciagura, avvenuta la vigilia
di Natale del 1980. Un estremista di
destra tedesco nonché contrabbandiere di armi spara a due poliziotti
nei dintorni di Koblenz. Uno dei due
muore. Durante la fuga, il tedesco
si imbatte nella guardia di confine
Joseph Arnold e lo uccide. Il suo
cadavere è rinvenuto in un bosco dei
paraggi. Poco dopo viene scoperto
anche il corpo dell’assassino, che presumibilmente si era suicidato.
Quattro anni dopo questa tragedia ci
fu un conflitto a fuoco con due feriti
nel terreno interstiziale di Pizzamiglio
(TI). I fatti: la guardia di confine Ezio
Mordasini ferma un cittadino italiano
con 3000 franchi, bottino di una
rapina compiuta poco prima in un
ufficio postale. Il rapinatore reagisce
e Mordasini viene ferito a coscia,
mano e addome. Fortunatamente
riesce a mettersi al riparo e a rispondere al fuoco. Colpisce l’aggressore
all’addome e alla spalla, così riesce a
bloccarlo fino all’arrivo dei rinforzi.
La «rovente» estate del 1987
Nell’estate del 1987 la lotta armata
contro i membri del Cgcf raggiunge
l’apice. Il 19 maggio, a La Rippe (VD)
due guardie di confine a bordo del
proprio veicolo si lanciano all’inseguimento di alcuni fuggitivi. Segue una
sparatoria, da cui come per miracolo
escono tutti incolumi.
Il 29 luglio, nel terreno interstiziale di
Fossard (GE) due sconosciuti sparano a
una guardia di confine e la feriscono in
modo serio. Impossibilitato a chiedere
aiuto per via della ricetrasmittente
fuori uso, il doganiere riesce a trascinarsi fino alla strada adiacente, dove
viene soccorso da alcuni passanti.
16 agosto, vicino alla stazione di
Chiasso. Due guardie di confine
inseguono un uomo che si era dato
alla fuga davanti a loro. È un cittadino
tedesco in semilibertà che vuole scappare in Italia. Nell’inseguimento estrae
un’arma, spara un colpo all’indietro
che ferisce di striscio alla coscia una
delle due guardie. Alla fine il fuggitivo
viene catturato.
La fine dell’estate 1987 segna una
tregua, seppure momentanea, degli
atti di violenza al confine. Due anni
più tardi, a Brusio (GR) la tensione
riesplode in tutta la sua veemenza.
Il 3 dicembre 1989 un ecoterrorista
Forum D. | Panorama
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Pizzamiglio (TI): l’auto di servizio di Mordasini trivellata di colpi
svizzero in fuga uccide la guardia di
confine Kurt Moser, allora 36enne,
con tre colpi di pistola alla testa. Il
doganiere aveva incrociato il suo
assassino durante un viaggio di servizio in direzione di Campocologno,
dove si stava recando per iniziare un
servizio di piantone dopo aver prestato
un impiego sul terreno. Due anni
dopo la polizia italiana arresta l’autore
del delitto nel corso di uno scontro
a fuoco. Nel 1993 viene condannato
a 12 anni di reclusione. Nel 2002 è
estradato in Svizzera, dove sta scontando la pena.
Il declino del terrorismo e l’avvento di nuove forme di violenza
Alla fine degli anni Ottanta, negli Stati
dell’Europa occidentale il terrorismo
di matrice politica è debellato. Le
organizzazioni terroristiche degli anni
Settanta ormai dissolte non costituiscono più un pericolo nemmeno per la
Svizzera. Ma nuovi pericoli si affacciano, con una costante: si tratta di
criminali crudeli e senza scrupoli.
Non perdetevi la terza parte di questo
contributo nel prossimo numero di
Forum D.
L’arma dell’agguato di Chiasso, una Walther P1 9 mm
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Forum D. | Panorama
Violenza al confine (parte 3)
Ucciso con 34 colpi
Ogni giorno il Cgcf ferma in media 40 persone ricercate e tre bande in possesso di refurtiva o arnesi da scasso.
A questi fermi si aggiungono i casi di contrabbando di armi e stupefacenti, immigrazione illegale (passatori)
o contrabbando organizzato. Che la realtà professionale di una guardia di confine possa includere situazioni
estreme è nella natura stessa del mestiere. Nei suoi 120 anni di storia, il Cgcf ha vissuto esperienze drammatiche, a volte con esito tragico. In una serie di tre episodi, Forum D. racconta le vicende vissute da guardie che
hanno pagato con il sangue il loro impegno a favore della sicurezza del Paese.
al. Dal punto di vista politico, i primi
anni Novanta sono stati caratterizzati
dallo scoppio della guerra civile nell’ex
Jugoslavia e dal massiccio afflusso
di richiedenti l’asilo provenienti dai
Balcani. Ma oltre ad affrontare le
ondate migratorie, in quel decennio il
Corpo ha lamentato la scomparsa di
diverse guardie di confine decedute in
servizio.
Esequie nell’anno del 700esimo
Il primo sabato di febbraio del 1991,
l’anno del 700esimo della Confederazione, è stato un giorno tragico
nella storia del Cgcf. Vent’anni dopo,
il 2 febbraio 2011, la regione gcf di
Lugano ha ricordato con una targa
commemorativa la guardia di confine
Brissago: l’ultimo saluto a Roberto Berta da
parte dei colleghi
caduta allora, rievocando così i pericoli
che questo mestiere comporta. Roberto Berta perde la vita al posto guardie
di confine di Gandria quando, di
pattuglia, ferma un’auto in entrata. Il
cittadino italiano alla guida di un’auto
immatricolata in Italia, un criminale ricercato a livello internazionale,
durante il controllo spara nove colpi,
cinque dei quali feriscono gravemente la guardia di confine. L’assassino
riesce a scappare attraverso la galleria
autostradale del San Gottardo verso
Ginevra, dove tenta di rientrare in
Italia per il valico di confine del Monte
Bianco. Nella fuga sfonda un posto di
blocco presso un luogo di controllo in
direzione della Valle d’Aosta. Dopo lo
scontro con un furgone viene infine
arrestato dalla polizia. Berta muore il
giorno stesso dell’incidente.
Dopo questo tremendo fatto di sangue, fortunatamente per sette anni
non succede nulla di particolare. Ma
il 10 febbraio 1998 passa alla storia
come il «giorno nero di Kreuzlingen».
Il doganiere tedesco Thomas
Lachmaier e la guardia di confine
Stefan Jetzer vengono uccisi al valico
di confine di Kreuzlingen-Seestrasse/
Konstanz da un collezionista d’armi
italiano residente in Svizzera. L’uomo, probabilmente psicolabile, già la
mattina aveva detto al suo collega di
voler scappare. La scintilla che ha fatto
scattare la follia omicida deve essere
stata la telefonata via ricetrasmittente
I colleghi in raccoglimento attorno alla
salma di Stefan Jetzer
Forum D. | Panorama
che il doganiere tedesco aveva fatto
alla centrale per comunicare la scoperta di 1000 proiettili e chiedere rinforzi.
Subito dopo i due doganieri vengono
investiti da una scarica di colpi, 34 per
la precisione, sferrati con una pistola
«Glock 18». Stefan Jetzer riesce a
malapena a estrarre l’arma di servizio
e tirare un colpo, ma ormai è troppo tardi. Lo squilibrato tenta la fuga
ma, giunto davanti alla barriera di un
passaggio a livello e visto l’arrivo imminente di una pattuglia di doganieri
tedesca, si toglie la vita. Nel veicolo
dell’uomo vengono rinvenuti una
mitragliatrice H&K dotata di mirino e
silenziatore, un fucile semiautomatico
a canna liscia e tamburo, due revolver,
cinque pistole, un fucile d’assalto e
5000 proiettili.
Circa un anno dopo, il 16 luglio 1999,
un’altra guardia di confine è vittima
del gesto di un folle appassionato di
armi, che presumibilmente le contrabbandava. La zona di confine di Ruggeller Riet nel Principato del Liechtenstein
in passato è sempre stata utilizzata
dai passatori. Pertanto le due guardie
di confine in servizio pensavano di
avere a che fare con uno di questi.
Nel bagagliaio di un cittadino tedesco di 42 anni avevano trovato una
scatola vuota con la dicitura «Smith &
Wesson», una fabbrica statunitense di
L’arsenale di armi dell’assassino di Ruggell
armi leggere. Ciò li aveva indotti a effettuare un controllo più approfondito.
In quel momento non potevano ovviamente sapere che l’individuo fermato
aveva precedenti penali in Germania
per truffa, furto, danneggiamento e
violazione di domicilio e che nella sua
auto trasportava due revolver, una
mitragliatrice e 70 cartucce per revolver. Quando le guardie di confine si
avvicinarono per procedere al controllo
fisico, l’uomo reagì provocando una
colluttazione. Le guardie riuscirono ad
ammanettarlo lo stesso. Una di loro
si diresse verso il veicolo di servizio
per chiedere rinforzi, mentre l’altra
guardia, Andreas Flütsch, rimase accanto al sospettato, il quale – ancora
oggi non si sa bene come – a un certo
punto estrasse l’arma e sparò alle due
guardie. Flütsch, colpito mortalmente
alla testa e al petto, si accasciò a terra
senza vita. Il suo compagno si salvò
grazie alla ricetrasmittente che fece da
scudo deviando la traiettoria della pallottola. Questo gli permise di replicare
agli spari ferendo mortalmente l’omicida con tre colpi di pistola.
Solo quattro mesi dopo, il 21 novembre, il Cgcf è colpito da un nuovo
lutto. Un malvivente tuttora ricercato
tenta di sottrarsi a un controllo nelle
retrovie del valico di confine di Meyrin/
Mategnin (GE). La pattuglia delle guar-
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die di confine, grazie a una scorciatoia, riesce a sbarrare la strada con il
veicolo di servizio. Alla guida della sua
auto immatricolata in Francia, l’uomo
sfonda il posto di blocco investendo
la guardia di confine Eric Magnin
che, dopo essere stata trascinata per
30 metri, muore sul colpo lasciando
la moglie e una figlia di otto anni.
Nemmeno tre mesi dopo, nel gennaio
2000 a Fossard (GE), si sfiora una tragedia simile. Le due guardie in servizio
riescono a scansare all’ultimo secondo
un’auto in fuga buttandosi di lato.
Decessi legati a voli in elicottero
Eric Magnin è stata l’ultima guardia
di confine deceduta per atto violento.
Ma purtroppo non è stato l’ultimo
decesso di quel decennio. Infatti il
25 maggio 2001, Marcel Schöni,
Alain Ducommun e Dominique Meier
hanno perso la vita durante un volo di
ricognizione nel territorio comunale di
Delémont (JU). L’elicottero dell’esercito
Alouette III ha centrato una linea telefonica ed è precipitato. Nell’incidente
muore anche un pilota militare. Circa
dieci anni dopo si verifica un altro incidente aereo. Il collega Stefan Steiner
stava frequentando come uditore un
corso di perfezionamento presso il
comando della polizia tirolese. Il 30
marzo 2011, l’elicottero sul quale
viaggiava insieme a quattro colleghi austriaci cade nel lago di Achen
presso Achenkirch in Tirolo (Austria).
Muoiono tutti e cinque gli occupanti
del velivolo.
Il rischio c’è sempre
I membri del Cgcf sono consapevoli
dei rischi legati alla loro professione,
tuttavia li assumono lo stesso. Del
resto è indispensabile che ci siano persone disposte a farlo e lo Stato deve
imporre l’applicazione dell’ordinamento giuridico per garantire la sicurezza
dei cittadini del nostro Paese. In ogni
caso, nell’attività quotidiana la morte
non è considerata un rischio professionale ineluttabile, perciò formazione,
equipaggiamento e tecnica d’impiego
vengono continuamente aggiornati
e ottimizzati per ridurre per quanto
possibile tale rischio.
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