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«Aggrediti a tradimento nella notte» (parte 1)
38 Forum D. | Panorama Violenza al confine «Aggrediti a tradimento nella notte» (parte 1) Ogni giorno il Cgcf ferma in media 40 persone ricercate e tre bande in possesso di refurtiva o arnesi da scasso. A questi fermi si aggiungono i casi di contrabbando di armi e stupefacenti, immigrazione illegale (passatori) o contrabbando organizzato. Che la realtà professionale di una guardia di confine possa includere situazioni estreme è nella natura stessa del mestiere. Nei suoi 120 anni di storia, il Cgcf ha vissuto esperienze drammatiche, a volte con esito tragico. In una serie di tre episodi, Forum D. racconta le vicende vissute da guardie che hanno pagato con il sangue il loro impegno a favore della sicurezza del Paese. al. Nel 2010 il Cgcf ha registrato 154 casi di violenza e minacce nei confronti di propri membri; nel 2011 sono stati 202 e l’anno successivo 235. A ciò si aggiunge un aumento del 47 per cento del contrabbando di Guardia di confine in servizio da sola (1920) armi vietate: lo scorso anno i sequestri sono stati 1931, contro i 1308 del 2011. Queste cifre dimostrano che al confine vi è un potenziale di violenza. Fortunatamente, nell’ultimo decennio nessuna guardia ha perso la vita per mano di terzi, malgrado l’aumento della criminalità transfrontaliera. Tuttavia ciò non è dovuto solo alla fortuna, ma anche e soprattutto alle capacità e alle conoscenze di un personale ben formato. Guardia di confine, un mestiere pericoloso La professione di guardia di confine non è mai stata priva di pericoli. Fin dall’istituzione del Cgcf nel 1894, le guardie hanno convissuto con la violenza, non da ultimo perché il loro compito principale era quello di «scoprire, impedire e reprimere il contrabbando». Nelle regioni in cui, per tradizione, il traffico transfrontaliero era particolarmente forte, la popolazione locale guardava le guardie con diffidenza. Ma non solo. Spesso si è passati anche alle vie di fatto: come si legge nei rapporti dell’epoca, nei primi anni di esistenza del Corpo diverse guardie sono state assalite a tradimento, derubate, malmenate e perfino ferite gravemente. Anzi, talvolta erano proprio le autorità locali a sabotare gli sforzi finalizzati a reprimere il contrabbando. Sebbene la letteratura degli anni Quaranta dipinga con tratti romantici il contesto in cui si muovevano le guardie il lavoro quotidiano delle guardie di confine era tutt’altro che facile. Le condizioni lavorative erano dure e imponevano grandi sacrifici. Non di rado la loro l’incolumità era messa a rischio. Soprattutto durante le due Guerre, i confini erano irti di pericoli e gli scontri a fuoco tra guardie e contrabbandieri armati non mancavano. Il periodo della Prima guerra mondiale Durante il primo conflitto mondiale, il confine nord-occidentale della Svizzera era presidiato da circa 220 000 soldati. Una sorveglianza intensa in una situazione di grande tensione, che inevitabilmente divenne teatro di tragiche fatalità mietendo vittime sia nel Cgcf sia nell’esercito. Quello di Edmund Zumsteg fu il primo caso noto in cui una guardia di confine perse la vita in servizio: fu assassinato il 6 giugno 1916 da un soldato tedesco nei pressi di Flüh (SO). Il Reich Forum D. | Panorama 39 Una guardia ferma cinque contrabbandieri (1942) Esercitazione per l’uso della pistola mitragliatrice LMG 18 versò alla vedova 22 000 franchi a titolo di indennizzo. Lo stesso destino toccò a Heinrich Kaspar, ucciso il 12 aprile 1918 vicino a Rheinfelden (AG) da una pattuglia dell’esercito svizzero. Miglior fortuna ebbe Aloïs Aubry, vittima due giorni prima a Lucelle (JU) degli spari di un soldato svizzero. Sopravvisse nonostante le gravi ferite riportate ma rimase invalido. La vita di Alfred Bürki fu invece stroncata il 13 settembre 1919 nell’ufficio doganale di Thayngen-Schlatt da un colpo partito accidentalmente da un’arma di fabbricazione straniera, manipolata in modo errato da un agente della polizia militare. Il periodo interbellico Durante la guerra, contrabbandieri, passatori e speculatori potevano esportare la loro merce più o meno legalmente, ma poi gli alleati non tollerarono più questi traffici e imposero regole severe. La situazione in Svizzera era estremamente tesa anche sul piano sociale. Nel 1918, circa un sesto della popolazione era indigente. Queste circostanze portarono inevitabilmente a conflitti, che il 12 luglio 1919 culminarono nel ferimento grave di una guardia di confine. Un contrabbandiere con l’uniforme dell’esercito francese sparò a Gottlieb Frey trafiggendogli un polmone. Dopo il 1923 divennero ricorrenti le violazioni dei confini ad opera delle camicie nere fasciste e, dal 1933, delle SA. Pur arrivando ogni tanto alle vie di fatto, tali violazioni non ebbero mai conseguenze letali. Va comunque detto che gli autori non sempre erano contrabbandieri. Il 18 febbraio 1937 a Scudellate, un uomo affetto da turbe psichiche sparò a una guardia di nome Rosetti, ferendolo gravemente. Lo sparatore venne arrestato in Francia. Un apice tragico Il progressivo razionamento dei beni disposto dal Consiglio federale nel settembre 1939 allo scoppio della Seconda guerra mondiale favorì il mercato nero. Sebbene inizialmente la fitta sorveglianza dei confini avesse un effetto dissuasivo, negli anni successivi il contrabbando aumentò in modo considerevole: nel 1945 le guardie di confine segnalarono oltre 18 000 casi. Di pari passo si intensificò il ricorso alla violenza e alle armi su entrambi i fronti. Tra il 1941 e il 1945, ben otto guardie di confine furono assassinate nell’esercizio delle loro funzioni: Fritz Mösli (1941), Charles Chevalley (1942), Willy Rohr (1944), Luigi Meschini (1945), Arthur Sauter (1945), Giuseppe Socchi (1945), Ovidio Maggi e Hermann Noser (1945). Ad eccezione di Fritz Mösli (ucciso da bracconieri) e Willy Rohr (ucciso per sbaglio da un soldato delle truppe di frontiera), gli altri persero la vita per mano di contrabbandieri. Con la fine della Seconda guerra mondiale, il confronto armato tra guardie e contrabbandieri cessò quasi da un giorno all’altro. La crescita economica cominciata poco dopo nell’Europa occidentale ridusse gli episodi violenti al confine. La situazione divenne più tranquilla e per qualche decennio non si verificarono omicidi di guardie da parte di terzi. Purtroppo, la radicalizzazione politica degli anni Settanta riportò la violenza al confine ad opera di terroristi e criminali pericolosi. Continua nel prossimo numero 36 Forum D. | Panorama Violenza al confine I terroristi si facevano strada sparando (parte 2) Ogni giorno il Cgcf ferma in media 40 persone ricercate e tre bande in possesso di refurtiva o arnesi da scasso. A questi fermi si aggiungono i casi di contrabbando di armi e stupefacenti, immigrazione illegale (passatori) o contrabbando organizzato. Che la realtà professionale di una guardia di confine possa includere situazioni estreme è nella natura stessa del mestiere. Nei suoi 120 anni di storia, il Cgcf ha vissuto esperienze drammatiche, a volte con esito tragico. Nell’edizione 3/13, Forum D. ha pubblicato le vicende vissute sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale da guardie che hanno pagato con la vita il loro impegno. In questa edizione vengono presentati episodi risalenti agli anni del terrorismo in Europa occidentale. al. All’inizio degli anni Settanta la società civile era in fermento. Gli strascichi del dopoguerra e della guerra del Vietnam spinsero una moltitudine di giovani a contestare le strutture sociali dominanti. Dal fenomeno più ampio della contestazione sono scaturite anche organizzazioni radicali come la «Rote Armee Fraktion» (RAF) in Germania e le «Brigate Rosse» in Italia, che sono state protagoniste di brutali azioni terroristiche. C’erano poi diversi gruppi criminali, come la «Alfa Bande», che si mischiavano ai terroristi. L’ondata di violenza non risparmiò il nostro Paese, poiché talvolta i criminali in fuga l’avevano scelto come loro destinazione. In questo frangente essi adottavano una tattica ben precisa: quando intuivano il pericolo e subodoravano l’arresto si facevano strada sparando. E lo facevano con inaudita freddezza, aprendo il fuoco ad altezza d’uomo per evitare tiri a vuoto. Si capì in fretta che questi malintenzionati, anziché sottrarsi alle forze dell’ordine, cercavano il confronto diretto con queste. 1974: lotta armata al confine Il 4 gennaio 1974 la famigerata «Alfa Bande» commette il primo assassinio legato alla lotta armata in Europa. Alcuni membri della banda rapinano una banca a Buchs (SG) e fuggono verso il confine dopo uno scontro a fuoco con la polizia. Giunti al posto guardie di confine di Oberriet, estraggono un mitra e uccidono un frontaliere austriaco e due guardie di confine, Niklaus Müller e Jakob Zogg. 17 luglio 1976, altro episodio efferato. Durante il controllo di un veicolo a Sézegnin (GE), tra uno spacciatore francese e le due guardie di confine Willy Girardin e Peter Frei si arriva alle vie di fatto. Il francese apre il fuoco e ferisce gravemente i doganieri. Sei mesi dopo, il 5 gennaio 1977, la guardia di confine Urs Bettschart riporta gravi ferite mentre controlla due passanti presso Riehen (BS). I due individui, di identità sconosciuta e probabilmente membri della RAF, gli sparano a distanza ravvicinata. Bettschart aveva ritirato i loro passaporti e intimato di seguirlo al posto guardie di confine. Il 20 dicembre dello stesso anno, alcuni terroristi della RAF sparano alle guardie di confine Pierre Oberli e Marc Hayoz, in servizio presso il posto guardie di confine di Fahy (JU). La sciagura di Koblenz Koblenz in Argovia fu teatro di un’altra sciagura, avvenuta la vigilia di Natale del 1980. Un estremista di destra tedesco nonché contrabbandiere di armi spara a due poliziotti nei dintorni di Koblenz. Uno dei due muore. Durante la fuga, il tedesco si imbatte nella guardia di confine Joseph Arnold e lo uccide. Il suo cadavere è rinvenuto in un bosco dei paraggi. Poco dopo viene scoperto anche il corpo dell’assassino, che presumibilmente si era suicidato. Quattro anni dopo questa tragedia ci fu un conflitto a fuoco con due feriti nel terreno interstiziale di Pizzamiglio (TI). I fatti: la guardia di confine Ezio Mordasini ferma un cittadino italiano con 3000 franchi, bottino di una rapina compiuta poco prima in un ufficio postale. Il rapinatore reagisce e Mordasini viene ferito a coscia, mano e addome. Fortunatamente riesce a mettersi al riparo e a rispondere al fuoco. Colpisce l’aggressore all’addome e alla spalla, così riesce a bloccarlo fino all’arrivo dei rinforzi. La «rovente» estate del 1987 Nell’estate del 1987 la lotta armata contro i membri del Cgcf raggiunge l’apice. Il 19 maggio, a La Rippe (VD) due guardie di confine a bordo del proprio veicolo si lanciano all’inseguimento di alcuni fuggitivi. Segue una sparatoria, da cui come per miracolo escono tutti incolumi. Il 29 luglio, nel terreno interstiziale di Fossard (GE) due sconosciuti sparano a una guardia di confine e la feriscono in modo serio. Impossibilitato a chiedere aiuto per via della ricetrasmittente fuori uso, il doganiere riesce a trascinarsi fino alla strada adiacente, dove viene soccorso da alcuni passanti. 16 agosto, vicino alla stazione di Chiasso. Due guardie di confine inseguono un uomo che si era dato alla fuga davanti a loro. È un cittadino tedesco in semilibertà che vuole scappare in Italia. Nell’inseguimento estrae un’arma, spara un colpo all’indietro che ferisce di striscio alla coscia una delle due guardie. Alla fine il fuggitivo viene catturato. La fine dell’estate 1987 segna una tregua, seppure momentanea, degli atti di violenza al confine. Due anni più tardi, a Brusio (GR) la tensione riesplode in tutta la sua veemenza. Il 3 dicembre 1989 un ecoterrorista Forum D. | Panorama 37 Pizzamiglio (TI): l’auto di servizio di Mordasini trivellata di colpi svizzero in fuga uccide la guardia di confine Kurt Moser, allora 36enne, con tre colpi di pistola alla testa. Il doganiere aveva incrociato il suo assassino durante un viaggio di servizio in direzione di Campocologno, dove si stava recando per iniziare un servizio di piantone dopo aver prestato un impiego sul terreno. Due anni dopo la polizia italiana arresta l’autore del delitto nel corso di uno scontro a fuoco. Nel 1993 viene condannato a 12 anni di reclusione. Nel 2002 è estradato in Svizzera, dove sta scontando la pena. Il declino del terrorismo e l’avvento di nuove forme di violenza Alla fine degli anni Ottanta, negli Stati dell’Europa occidentale il terrorismo di matrice politica è debellato. Le organizzazioni terroristiche degli anni Settanta ormai dissolte non costituiscono più un pericolo nemmeno per la Svizzera. Ma nuovi pericoli si affacciano, con una costante: si tratta di criminali crudeli e senza scrupoli. Non perdetevi la terza parte di questo contributo nel prossimo numero di Forum D. L’arma dell’agguato di Chiasso, una Walther P1 9 mm 42 Forum D. | Panorama Violenza al confine (parte 3) Ucciso con 34 colpi Ogni giorno il Cgcf ferma in media 40 persone ricercate e tre bande in possesso di refurtiva o arnesi da scasso. A questi fermi si aggiungono i casi di contrabbando di armi e stupefacenti, immigrazione illegale (passatori) o contrabbando organizzato. Che la realtà professionale di una guardia di confine possa includere situazioni estreme è nella natura stessa del mestiere. Nei suoi 120 anni di storia, il Cgcf ha vissuto esperienze drammatiche, a volte con esito tragico. In una serie di tre episodi, Forum D. racconta le vicende vissute da guardie che hanno pagato con il sangue il loro impegno a favore della sicurezza del Paese. al. Dal punto di vista politico, i primi anni Novanta sono stati caratterizzati dallo scoppio della guerra civile nell’ex Jugoslavia e dal massiccio afflusso di richiedenti l’asilo provenienti dai Balcani. Ma oltre ad affrontare le ondate migratorie, in quel decennio il Corpo ha lamentato la scomparsa di diverse guardie di confine decedute in servizio. Esequie nell’anno del 700esimo Il primo sabato di febbraio del 1991, l’anno del 700esimo della Confederazione, è stato un giorno tragico nella storia del Cgcf. Vent’anni dopo, il 2 febbraio 2011, la regione gcf di Lugano ha ricordato con una targa commemorativa la guardia di confine Brissago: l’ultimo saluto a Roberto Berta da parte dei colleghi caduta allora, rievocando così i pericoli che questo mestiere comporta. Roberto Berta perde la vita al posto guardie di confine di Gandria quando, di pattuglia, ferma un’auto in entrata. Il cittadino italiano alla guida di un’auto immatricolata in Italia, un criminale ricercato a livello internazionale, durante il controllo spara nove colpi, cinque dei quali feriscono gravemente la guardia di confine. L’assassino riesce a scappare attraverso la galleria autostradale del San Gottardo verso Ginevra, dove tenta di rientrare in Italia per il valico di confine del Monte Bianco. Nella fuga sfonda un posto di blocco presso un luogo di controllo in direzione della Valle d’Aosta. Dopo lo scontro con un furgone viene infine arrestato dalla polizia. Berta muore il giorno stesso dell’incidente. Dopo questo tremendo fatto di sangue, fortunatamente per sette anni non succede nulla di particolare. Ma il 10 febbraio 1998 passa alla storia come il «giorno nero di Kreuzlingen». Il doganiere tedesco Thomas Lachmaier e la guardia di confine Stefan Jetzer vengono uccisi al valico di confine di Kreuzlingen-Seestrasse/ Konstanz da un collezionista d’armi italiano residente in Svizzera. L’uomo, probabilmente psicolabile, già la mattina aveva detto al suo collega di voler scappare. La scintilla che ha fatto scattare la follia omicida deve essere stata la telefonata via ricetrasmittente I colleghi in raccoglimento attorno alla salma di Stefan Jetzer Forum D. | Panorama che il doganiere tedesco aveva fatto alla centrale per comunicare la scoperta di 1000 proiettili e chiedere rinforzi. Subito dopo i due doganieri vengono investiti da una scarica di colpi, 34 per la precisione, sferrati con una pistola «Glock 18». Stefan Jetzer riesce a malapena a estrarre l’arma di servizio e tirare un colpo, ma ormai è troppo tardi. Lo squilibrato tenta la fuga ma, giunto davanti alla barriera di un passaggio a livello e visto l’arrivo imminente di una pattuglia di doganieri tedesca, si toglie la vita. Nel veicolo dell’uomo vengono rinvenuti una mitragliatrice H&K dotata di mirino e silenziatore, un fucile semiautomatico a canna liscia e tamburo, due revolver, cinque pistole, un fucile d’assalto e 5000 proiettili. Circa un anno dopo, il 16 luglio 1999, un’altra guardia di confine è vittima del gesto di un folle appassionato di armi, che presumibilmente le contrabbandava. La zona di confine di Ruggeller Riet nel Principato del Liechtenstein in passato è sempre stata utilizzata dai passatori. Pertanto le due guardie di confine in servizio pensavano di avere a che fare con uno di questi. Nel bagagliaio di un cittadino tedesco di 42 anni avevano trovato una scatola vuota con la dicitura «Smith & Wesson», una fabbrica statunitense di L’arsenale di armi dell’assassino di Ruggell armi leggere. Ciò li aveva indotti a effettuare un controllo più approfondito. In quel momento non potevano ovviamente sapere che l’individuo fermato aveva precedenti penali in Germania per truffa, furto, danneggiamento e violazione di domicilio e che nella sua auto trasportava due revolver, una mitragliatrice e 70 cartucce per revolver. Quando le guardie di confine si avvicinarono per procedere al controllo fisico, l’uomo reagì provocando una colluttazione. Le guardie riuscirono ad ammanettarlo lo stesso. Una di loro si diresse verso il veicolo di servizio per chiedere rinforzi, mentre l’altra guardia, Andreas Flütsch, rimase accanto al sospettato, il quale – ancora oggi non si sa bene come – a un certo punto estrasse l’arma e sparò alle due guardie. Flütsch, colpito mortalmente alla testa e al petto, si accasciò a terra senza vita. Il suo compagno si salvò grazie alla ricetrasmittente che fece da scudo deviando la traiettoria della pallottola. Questo gli permise di replicare agli spari ferendo mortalmente l’omicida con tre colpi di pistola. Solo quattro mesi dopo, il 21 novembre, il Cgcf è colpito da un nuovo lutto. Un malvivente tuttora ricercato tenta di sottrarsi a un controllo nelle retrovie del valico di confine di Meyrin/ Mategnin (GE). La pattuglia delle guar- 43 die di confine, grazie a una scorciatoia, riesce a sbarrare la strada con il veicolo di servizio. Alla guida della sua auto immatricolata in Francia, l’uomo sfonda il posto di blocco investendo la guardia di confine Eric Magnin che, dopo essere stata trascinata per 30 metri, muore sul colpo lasciando la moglie e una figlia di otto anni. Nemmeno tre mesi dopo, nel gennaio 2000 a Fossard (GE), si sfiora una tragedia simile. Le due guardie in servizio riescono a scansare all’ultimo secondo un’auto in fuga buttandosi di lato. Decessi legati a voli in elicottero Eric Magnin è stata l’ultima guardia di confine deceduta per atto violento. Ma purtroppo non è stato l’ultimo decesso di quel decennio. Infatti il 25 maggio 2001, Marcel Schöni, Alain Ducommun e Dominique Meier hanno perso la vita durante un volo di ricognizione nel territorio comunale di Delémont (JU). L’elicottero dell’esercito Alouette III ha centrato una linea telefonica ed è precipitato. Nell’incidente muore anche un pilota militare. Circa dieci anni dopo si verifica un altro incidente aereo. Il collega Stefan Steiner stava frequentando come uditore un corso di perfezionamento presso il comando della polizia tirolese. Il 30 marzo 2011, l’elicottero sul quale viaggiava insieme a quattro colleghi austriaci cade nel lago di Achen presso Achenkirch in Tirolo (Austria). Muoiono tutti e cinque gli occupanti del velivolo. Il rischio c’è sempre I membri del Cgcf sono consapevoli dei rischi legati alla loro professione, tuttavia li assumono lo stesso. Del resto è indispensabile che ci siano persone disposte a farlo e lo Stato deve imporre l’applicazione dell’ordinamento giuridico per garantire la sicurezza dei cittadini del nostro Paese. In ogni caso, nell’attività quotidiana la morte non è considerata un rischio professionale ineluttabile, perciò formazione, equipaggiamento e tecnica d’impiego vengono continuamente aggiornati e ottimizzati per ridurre per quanto possibile tale rischio.