...

La roba - Principato

by user

on
Category: Documents
55

views

Report

Comments

Transcript

La roba - Principato
APPROFONDIMENTI
Giovanni Verga
Autore
La roba
Giovanni Verga
(1840-1922)
Opera
La roba in Novelle
Edizione
Principato, Milano
1986
Traduzione A. CANNELLA
TAGS
Ambientata nella Sicilia di fine Ottocento, la novella che ti proponiamo
ha come personaggio protagonista un contadino arricchito, Mazzarò. Un
tempo poverissimo, egli ha dedicato tutta la sua vita ad accumulare “roba”
– terreni, case, animali – schiacciando ogni sentimento umano sotto il peso
di un’inesorabile legge economica. Prossimo a morire, conclude da sconfitto
la sua esistenza interamente dedicata alla “roba”.
racconto
lavoro
LINK
L’ampia descrizione iniziale: la sintassi
La novella La roba si apre
con un’ampia descrizione
del paesaggio. Sul piano linguistico la frase iniziale è
una costruzione sintattica
complessa. È un “periodo
lungo”, la cui funzione è di
accompagnare e commentare lo svolgersi lento del
cammino del viandante e di
cogliere la successione monotona dei particolari del
paesaggio.
Osserva la rappresentazione grafica qui di seguito riprodotta.
Dal punto di vista sintattico
«il viandante» è il soggetto di
una frase ipotetica (il cui verbo è «se domandava»), a cui
seguono, dopo una serie di
subordinate secondarie, l’interrogativa diretta e la frase
principale. Come si vede
dalla rappresentazione grafica, la proposizione principale somiglia a un ponte che poggia su due piloni, una proposizione relativa
(«che andava») e una proposizione ipotetica («se domandava»), per introdurre
«Il viandante che andava
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
se domandava,
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
infine il discorso diretto formato da una domanda («Qui
di chi è?») e da una risposta
(«Di Mazzarò»).
Ciascuno dei due piloni è
costituito da cinque segmenti linguistici in cui domina l’accoppiata sostantivo-aggettivo. Per esempio
nella proposizione relativa
troviamo: «mare morto»,
«stoppie riarse», «aranci
sempre verdi», «sugheri grigi», «pascoli deserti».
Nel periodo, le proposizioni
sono legate per polisinde-
to, vale a dire tramite la ripetizione della congiunzione “e” («e le stoppie... e gli
aranci... e i sugheri e i pascoli...»).
Attraverso tale costruzione
sintattica, il panorama delle
diverse località della Piana di
Catania sembra dilatarsi e
ingrandire a vista d’occhio.
Riduzione e adattamento da
Giovanni Verga, Novelle, a cura di Attilio Cannella, Principato, Milano 1986.
lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto,
e le stoppie riarse della Piana di Catania,
e gli aranci sempre verdi di Francofonte,
e i sugheri grigi di Resecone,
e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello,
per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal
caldo,
nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell’immensa
campagna,
e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda,
e il lettighiere canta la sua canzone malinconica
per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria:
– Qui di chi è?
sentiva rispondersi: – Di Mazzarò»
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
1
Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini,1 steso là come un
pezzo di mare morto, e le stoppie2 riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri3 grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia
della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i cam- 5
panelli della lettiga4 suonano tristamente nell’immensa campagna, e i muli
lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone
malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria:5 – Qui di chi
è? – sentiva rispondersi: – Di Mazzarò. – E passando vicino a una fattoria
grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a 10
stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava: – E qui? – Di Mazzarò. – E cammina e cammina,6 mentre la malaria vi pesava sugli occhi, e vi scuoteva all’improvviso l’abbaiare di un cane, passando per una vigna che non finiva
più, e si allargava sul colle e sul piano, immobile, come gli7 pesasse addos- 15
so la polvere, e il guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il capo sonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse:
– Di Mazzarò. – Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l’erba non
spuntava mai, e la raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò.
E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come il fuoco, e la campagna 20
si velava di tristezza, si incontravano le lunghe file degli aratri di Mazzarò che
tornavano adagio adagio dal maggese,8 e i buoi che passavano il guado9
lentamente, col muso nell’acqua scura; e si vedevano nei pascoli lontani
della Canziria, sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle
mandrie di Mazzarò; e si udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole, 25
e il campanaccio che risuonava ora sì ed ora no,10 e il canto solitario perduto
nella valle. – Tutta roba di Mazzarò. Pareva che fosse di Mazzarò perfino il
sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a
rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo11 nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande 30
la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. – Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato un baiocco,12 a vederlo;
e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a
1. Biviere di Lentini: il lago di
Lentini, ora prosciugato, nella Piana di Catania, in cui si
trovano anche le altre località citate in seguito.
2. stoppie riarse: l’insieme degli steli di erba o di cereali
che restano nel campo dopo
il taglio o la mietitura sono
secchi, aridi (riarsi).
3. sugheri: alberi simili alla quercia dalla cui corteccia si ricava il sughero.
4. lettiga: tipo di carrozza, trainata da cavalli o muli e condotta dal “lettighiere”.
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
5. sonno della malaria: l’effetto
della malattia è spesso un’invincibile sonnolenza.
6. E cammina e cammina:
l’espressione, tipica delle fiabe, contribuisce a collocare
gli eventi in una dimensione
atemporale.
7. gli: le, riferito alla vigna (con
la libertà grammaticale della
lingua parlata).
8. maggese: campo lasciato senza semina per un anno perché riacquisti fertilità con il
riposo.
9. guado: punto di un corso
d’acqua che può essere attraversato da persone e animali.
10. che risuonava ora sì ed ora
no: che si udiva a intervalli, a
causa della distanza e della
direzione del vento.
11. assiolo: piccolo uccello notturno.
12. non gli avreste dato un baiocco: aveva un’apparenza così misera che non lo avreste tenuto in nessun conto, non gli
avreste dato un centesimo. Il
«baiocco» era una moneta di
rame di scarso valore.
Verga, La roba
2
riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era ric35
co come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo.
Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba,
dove prima13 veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll’acqua, col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che14 tutti si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro,
quelli che ora gli davano dell’eccellenza, e gli parlavano col berretto in ma- 40
no.15 Né per questo egli era montato in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore;16 ma egli portava ancora il berretto, soltanto
lo portava di seta nera, era la sua sola grandezza,17 e da ultimo era anche arrivato a mettere il cappello di feltro, perché costava meno del berretto di se- 45
ta. Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista
lunga – dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche,18 senza contare gli uccelli del cielo e
gli animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua
bocca la quale mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane 50
e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all’impiedi, in un cantuccio del magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del
grano, che non ci si vedeva, mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello,19 nelle calde giornate del- 55
la messe.20 Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che
del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed
alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle
spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì,21 quando aveva 60
dovuto farla portare al camposanto.
Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba,
quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio,
a star colla schiena curva 14 ore, col soprastante22 a cavallo dietro, che vi pi- 65
glia a nerbate se fate23 di rizzarvi un momento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare
della roba; e adesso i suoi aratri erano numerosi come le lunghe file dei corvi che arrivano in novembre; e altre file di muli, che non finivano più, portavano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel fango, da ottobre a 70
marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare, come non si possono contare le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia
13. prima: prima di diventare
ricco, quando era un povero
bracciante che lavorava la terra altrui.
14. che: così che.
15. col berretto in mano: a capo
scoperto, in segno di soggezione e rispetto.
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
16. cattivo pagatore: chi non paga creditori o lavoranti, o li
paga male e in ritardo.
17. grandezza: lusso, spreco.
18. bocche: quelle dei contadini che lavorano e vivono sulle terre di Mazzarò.
19. corbello: cesto di vimini.
20. messe: mietitura.
21. tarì: moneta in uso in Sicilia fino al 1860.
22. soprastante: sorvegliante,
sovrintendente ai lavori.
23. se fate: se cercate.
Verga, La roba
3
accorrevano dei villaggi interi alle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare,
nella campagna, era per la vendemmia di Mazzarò. Alla messe poi i mietitori di Mazzarò sembravano un esercito di soldati, che per mantenere tut- 75
ta quella gente, col biscotto24 alla mattina e il pane e l’arancia amara a colazione, e la merenda, e le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate,
e le lasagne si scodellavano nelle madie25 larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava a cavallo dietro la fila dei suoi mietitori, col nerbo in
mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e badava a ripetere. – Curviamo- 80
ci, ragazzi! – Egli era tutto l’anno colle mani in tasca a spendere,26 e per la
sola fondiaria il re si pigliava tanto che a Mazzarò gli veniva la febbre, ogni
volta.
Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire27 tutto; e 85
ogni volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di 12 tarì d’argento; ché lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba, e andava a comprare la carta sudicia28 soltanto quando aveva da pagare il re, o gli altri; e alle fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza giorna- 90
ta per lasciarli sfilare, e il santo,29 colla banda, alle volte dovevano mutar
strada, e cedere il passo.
Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col
non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria,
coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la piog- 95
gia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei30 avesse al mondo; perché non
aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.
Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, per- 100
ché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone
che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e crudo31 ne’ suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di
tutti quei boschi, e di tutte quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando
veniva nelle sue terre a cavallo coi campieri32 dietro, pareva il re, e gli pre- 105
paravano anche l’alloggio e il pranzo, al minchione,33 sicché ognuno sapeva l’ora e il momento in cui doveva arrivare, e non si faceva sorprendere
colle mani nel sacco.34 – Costui vuol essere rubato per forza! diceva Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di dietro,
24. biscotto: galletta, sorta di
pane non levitato, secco e duro che veniva consumato come colazione dai salariati.
25. madie: recipienti di legno.
26. a spendere: non certo per
se stesso, ma per le spese necessarie per acquistare altre
proprietà o per pagare le tasse, fra cui l’imposta sui terreni (la «fondiaria»).
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
27. per farcelo capire: per contenerlo (dal latino capere:
prendere, contenere).
28. carta sudicia: la carta moneta, considerata sudicia perché sgualcita e sporcata da
tanti passaggi di mano.
29. il santo: la processione religiosa con la statua del santo.
30. ch’ei: che egli.
31. nudo e crudo: poverissimo.
32. campieri: guardie campestri, sorveglianti.
33. minchione: ingenuo, sciocco, persona facile da ingannare.
34. colle mani nel sacco: a rubare.
Verga, La roba
4
e si fregava la schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchione se ne stia 110
a casa», – «la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare». Invece egli, dopo
che ebbe fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare
la messe, o la vendemmia, e quando, e come; ma capitava all’improvviso, a
piedi o a cavallo alla mula, senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e
dormiva accanto ai suoi covoni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gam- 115
be.
In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba
del barone; e costui uscì35 prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non firmasse delle carte bollate,36 e Mazzarò ci metteva sotto la sua 120
brava croce.37 Al barone non rimase altro che lo scudo di pietra38 ch’era
prima sul portone, ed era la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo
a Mazzarò: – Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per te. – Ed era vero;
Mazzarò non sapeva che farsene, e non l’avrebbe pagato due baiocchi. Il ba125
rone gli dava ancora del tu, ma non gli dava più calci nel di dietro.
– Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò! – diceva la
gente; e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri, quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come quella testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte,
meglio di una macina del mulino, per fare la roba; e se il proprietario di 130
una chiusa limitrofa39 si ostinava a non cedergliela, e voleva prendere pel collo40 Mazzarò, dover trovare uno stratagemma per costringerlo a vendere, e
farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca. Ei gli andava a vantare, per esempio, la fertilità di una tenuta la quale non produceva nemmeno
lupini,41 e arrivava a fargliela credere una terra promessa,42 sinché il pove- 135
ro diavolo si lasciava indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra, e
ci perdeva poi il fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se l’acchiappava43 –
per un pezzo di pane.44 – E quante seccature Mazzarò doveva sopportare!
– I mezzadri che venivano a lagnarsi delle malannate,45 i debitori che mandavano in processione le loro donne a strapparsi i capelli e picchiarsi il pet- 140
to per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da mangiare.
– Lo vedete quel che mangio io? – rispondeva lui – pane e cipolla! e sì
che ho i magazzini pieni zeppi, sono il padrone di tutta questa roba. – E se
gli domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: – Che, vi 145
pare che l’abbia rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle? – E se gli domandavano un soldo rispondeva che non
l’aveva.
35. uscì: fu estromesso, perse.
36. carte bollate: atti di vendita
delle terre.
37. croce: la firma di Mazzarò,
che era analfabeta.
38. lo scudo di pietra: lo stemma
nobiliare.
39. una chiusa limitrofa: un poIl laboratorio del lettore
© 2010 Principato
dere confinante.
40. prendere pel collo: pretendere una cifra eccessivamente alta.
41. lupini: pianta dai semi gialli commestibili.
42. una terra promessa: fertile,
preziosa come la terra pro-
messa da Dio al popolo di
Israele nella Bibbia.
43. acchiappava: prendeva.
44. per un pezzo di pane: per pochi soldi.
45. malannate: annate di scarsi
raccolti.
Verga, La roba
5
E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti46 ce ne
volevano per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva co- 150
me un fiume dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re, ché il re non può né venderla, né dire
155
ch’è sua.
Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra
doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che
ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col
mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli oc- 160
chi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: – Guardate chi ha i giorni lun165
ghi!47 costui che non ha niente!
Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima,48 uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me!
46. tanti: così tanti.
47. chi ha i giorni lunghi: chi ha
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
la giovinezza davanti a sé.
48. che era tempo di lasciare la
sua roba per pensare all’anima:
che era gravemente malato.
Verga, La roba
6
Guida alla lettura
Le coordinate
La novella La roba (1880), dal titolo quanto mai significativo, ha come sfondo sociale la realtà delle campagne siciliane alla fine dell’Ottocento. Inclusa nelle
Novelle rusticane (1883), delinea un brevissimo ritratto di un uomo e di una situazione sociale che mostra con chiarezza da quale realtà nascano molte delle
storie verghiane. Il mondo rappresentato è arcaico, basato sul duro rapporto dei
padroni con i contadini e con i mezzadri: è presente l’inesorabile legge economica della “roba”, così come la decadenza dell’antica casta nobiliare, incapace di
controllare i propri beni e sostituita da uomini nuovi, determinati e furbi.
Fra costoro, Mazzarò, il personaggio protagonista della novella.
L’articolazione dei contenuti
Sul piano della struttura la novella può essere divisa in tre parti. Seguiamole
distintamente, prestando attenzione sia alla vicenda sia al linguaggio
Prima parte (righe 1-32) Nella parte iniziale della novella il protagonista è presentato innanzitutto attraverso l’elencazione della sua “roba”, delle sue ricchezze.
Quindi, tramite due periodi con identico inizio («Pareva che...»), immediatamente successivi, viene espresso ciò che la gente pensa delle ricchezze di Mazzarò: le sue proprietà sono tante che sembra gli appartengano anche il sole, gli insetti, la terra stessa.
Rispetto alla varietà sconfinata dei beni posseduti, Mazzarò è «un omiciattolo» meschino e insignificante, reso deforme dalla grossa pancia. Osserva il linguaggio: la descrizione dell’aspetto fisico del personaggio, viene introdotta da
un’avversativa («Invece»), quasi si contrapponesse all’enorme quantità di beni da
lui posseduti.
Osserva anche le seguenti espressioni popolari, tipiche del linguaggio parlato, riferite a Mazzarò.
«era ricco come Il paragone non è dispregiativo, ma elogiativo; fa riferimento
un maiale»
alla grossezza dell’animale e alle molte cose che se ne possono
ricavare.
«aveva la testa Mazzarò ha la testa piccola, ma di molto valore; egli è abilissic’hera un
mo negli affari, tanto è lucido e acuto, ma anche duro e tenace
brillante»
nel fare i propri interessi.
Seconda parte (righe 33-140) La seconda parte della novella è dedicata al
racconto della carriera di Mazzarò. Sul piano delle tecniche narrative questa parte è una lunga analessi (o flash-back): il narratore torna indietro nel tempo e ripercorre
le vicende del personaggio da quando, poverissimo, ha acquistato via via un’immensa proprietà, grazie alla sua intelligenza e alla sua durezza. Mazzarò vive nell’ansia di accumulare “roba”; non denaro, che disprezza e considera «carta sudicia», ma beni fondiari, proprietà terriere. Attaccato fanaticamente ai beni materiali,
dispettoso e crudele con gli altri, non concede nulla neppure a se stesso.
Divenuto ricco, la gente, che fino a poco prima gli aveva dato «calci nel didieIl laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
7
tro», cambia atteggiamento: si rivolge a lui usando espressioni di rispetto («gli davano dell’eccellenza») e togliendosi il berretto. Osserva la sottile ironia con cui viene costruita la figura di Mazzarò. Nel mondo agricolo rappresentato nella novella, il berretto viene portato dai contadini; il cappello di feltro, invece, è uno dei segni distintivi dei benestanti, dei signori. Anche Mazzarò talvolta usa il cappello di
feltro, ma solo perché è avaro: il cappello di feltro costa infatti meno del berretto di seta. In ogni caso, nei mesi estivi, quando fa molto caldo, Mazzarò non indossa né il berretto né il cappello, ma si aggira per le sue proprietà «colla testa dentro un corbello», vale a dire usando come cappello un cesto di vimini.
I beni di Mazzarò aumentano sempre più, ed il personaggio diventa «il padrone di tutta la roba del barone». Emerge in questo punto della novella il tema
del passaggio di molte proprietà dalla classe nobile, inetta e in declino, a una nuova classe media di proprietari terrieri, molto più abili a far fruttare le terre. Fu questo un fenomeno che si verificò nel Meridione d’Italia nella seconda metà dell’Ottocento e che spesso rese ancora più dure le condizioni dei contadini, soggetti
ora a uno sfruttamento maggiore.
Terza parte (righe 141-152) Mazzarò ha un unico assillo: invecchiare («che cominciasse a farsi vecchio»), e perdere con la morte i suoi averi accumulati in anni
di fatica e di risparmio. Per tutta la vita si è dedicato interamente alla “roba”, sacrificandole ogni affetto, senza godere nulla di quanto ha ossessivamente ammassato.
Quando gli dicono che è ormai prossimo a morire, egli vede sfuggire la giovinezza di colpo. La vista di un ragazzo povero il quale, però, essendo giovane, ha
ancora molto tempo da vivere («ha i giorni lunghi»), scatena l’invidia e l’odio di
Mazzarò. L’ultima scena sancisce la sconfitta del personaggio: egli deve affrontare da solo il regno dei morti e abbandonare la “roba”, alla quale ha dedicato tutta la vita. Da qui l’ira («uscì nel cortile come un pazzo»), i gesti grotteschi con cui
tenta rabbiosamente di distruggere ciò che ha faticosamente conquistato e la folle invocazione finale: «Roba mia, vientene con me!».
Lo stile: il ritmo e il punto di vista narrativo
Il lettore, con lo stesso ritmo lento con cui il viandante percorre le terre a sud
della piana di Catania, viene a conoscenza delle immense proprietà di Mazzarò e
sente parlare di lui come fosse un personaggio da favola. Dal racconto, fatto dalla voce stessa della gente di campagna, emerge poi finalmente la figura del personaggio protagonista. Il suo punto di vista si insinua nella voce del narratore quindi, attraverso la tecnica del discorso indiretto libero, è Mazzarò stesso che sembra
parlare di sé, raccontare le sue fatiche, le sue lotte, fino alla sconfitta finale.
Tuttavia, nel corso del racconto, il narratore esprime diversi punti di vista: qui
di seguito sono evidenziate alcune delle tecniche narrative utilizzate da Verga nel
corso della novella.
Il narratore esprime un punto di vista “paesano”
Esempio 1
«una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi».
Il narratore assume un punto di vista interno, limitato. Osserva, nella valutazione delle proprietà di Mazzarò, la presenza di paragoni tipici del linguaggio poIl laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
8
polare: la fattoria, con le galline a folti gruppi, è talmente vasta e ricca di edifici da
assomigliare a un paese e i magazzini sono così spaziosi da ricordare delle chiese.
Il narratore esprime un punto di vista “regredito”
Esempio 2
«Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto».
Il narratore esprime valutazioni e giudizi sulla base di un’ottica stravolta, che
conosce solo la legge materiale dell’interesse economico, e ignora ogni sentimento
disinteressato. Osserva la mentalità deformata, con cui vengono valutati gli affetti familiari; non sposarsi equivale a risparmiare e tutto ciò che viene detto della madre di Mazzarò è la spesa per la sepoltura.
Il narratore esprime il punto di vista di Mazzarò
Esempio 2
«Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra
che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i
tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena
curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a
nerbate se fate di rizzarvi un momento».
Attraverso il discorso indiretto libero il narratore esprime il punto di vista del
personaggio protagonista. Osserva: il punto di vista espresso non è quello di un
narratore che guardi dal di fuori, ma quello dello stesso Mazzarò, il quale mette
l’accento sulla propria fatica di un tempo. Egli ha sperimentato sulla propria pelle i meccanismi dell’accumulazione della “roba” e dello sfruttamento, nutrendo
dentro di sé un fortissimo desiderio di rivalsa («ci aveva pensato e ripensato tanto»).
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
9
Attività
Comprendere
e analizzare
1 Contenuti e tecniche. Indica se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F).
a. Mazzarò è un uomo arido di cuore.
V F
b. Il narratore è Giovanni Verga.
V F
c. Il discorso è condotto in prima persona da Mazzarò.
V F
d. Quando diventa ricco Mazzarò muta profondamente il suo stile di vita. V F
e. Il barone e Mazzarò sono due esempi di ricchi molto diversi fra loro.
V F
f. La vita dei personaggi è condizionata dai meccanismi economici.
g. Con questa novella Giovanni Verga esprime una visione serena
e fiduciosa della bontà degli uomini.
V F
V F
h. Il berretto di seta è l’unico segno esteriore della ricchezza di Mazzarò. V F
i. Di fronte alla morte, Mazzarò è un vincitore.
V F
2 Il paesaggio. Ripercorri con le tue parole la varietà del paesaggio che ci viene presentato all’inizio della novella. Che cosa osserva il viandante che percorre quelle terre? A chi appartengono i vigneti, gli uliveti, i boschi, i magazzini e le terre che si estendono a perdita d’occhio?
3 La roba. Secondo alcuni critici la lunga descrizione iniziale della novella è la
presentazione di un “paesaggio-roba”. Qual è la tua opinione? Concordi con tale
definizione della critica? Motiva la risposta, anche in relazione ai contenuti della novella.
4 Mazzarò. Anche il protagonista è per certi aspetti un “uomo-roba”. Ripercorri
l’ascesa economica e sociale di Mazzarò rispondendo alle seguenti domande.
a. Gli esordi. Qual è la sua condizione sociale di origine? Qual è il suo
lavoro da ragazzo? Perché era scalzo?
b. La ricchezza. In che modo Mazzarò accumula tanta “roba”? A quali
disumani sacrifici si sottopone? Come si comporta nei confronti dei
mezzadri che lavorano per lui? Perché non ha mai in tasca soldi?
c. La follia. Come si conclude la novella? Perché Mazzarò si dispera e
impreca? Qual è il significato del folle gesto di ammazzare le bestie?
5 Un omiciattolo. Individua ed evidenzia nella novella i tratti descrittivi dell’aspetto fisico di Mazzarò. Spiega quindi quale immagine emerge del personaggio,
in contrapposizione ai suoi immensi possedimenti.
6 Le abilità. Mazzarò ha la testa come «un brillante». Eppure, per firmare gli atti di acquisto delle proprietà del barone, «ci metteva sotto la sua brava croce»: perché? Quali sono le conoscenze e le capacità del personaggio? Che cosa sa o non sa
fare? In quali campi mostra di essere particolarmente abile?
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
10
7 Il barone. Il personaggio è il tipico esempio della vecchia aristocrazia siciliana ormai in decadenza. Delinea la personalità del barone rispondendo alle domande.
Come si comporta il barone nei confronti delle sue proprietà? Perché
disprezza qualunque attività produttiva a favore dei simboli esteriori del
potere, come per esempio lo stemma nobiliare?
8 I ruoli. Mazzarò e il barone sono antagonisti: perché? Qual è il comportamento dell’uno nei confronti dell’altro? Chi, alla fine, ha la meglio fra i due?
9 Il linguaggio. Ti proponiamo alcune frasi tratte dal racconto: indica per ciascuna il significato corretto delle parole o espressioni qui evidenziate. Scegli fra le
tre alternative.
a. «se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa,
sotto il cielo fosco dal caldo»
l terso
l offuscato
l nitido
b. «il guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il capo sonnacchioso»
l abbarbicato
l supino
l prono
c. «Perciò adesso, quando andava a cavallo dietro la fila dei suoi mietitori, col nerbo in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo»
l frusta
l rabbia
l zappa
10 Il linguaggio. Completa la seguenti similitudini tratte dalla novella. Aggiungi il secondo termine di paragone, qui mancante, scegliendo dal seguente elenco disordinato.
chiese; le lunghe file dei corvi che arrivavano in novembre; tinozze;
una chiesa; una nebbia; un bosco; un fanciullo; un fiume
a. «Poi veniva un uliveto folto come
»
b. «un cantuccio del magazzino grande come
»
c. «tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe
ed alte come
»
d. «i suoi aratri erano numerosi come
»
e. «le lasagne si scodellavano nelle madie larghe come
»
f. «magazzini grandi come
»
g. «il denaro entrava ed usciva come
dalla sua
casa»
h. «gli oliveti che velavano la montagna come
»
11 Lo stile. Analizza le seguenti frasi e indica qual è il punto di vista narrativo scegliendo fra le tre alternative.
a. «Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cica-
le che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo
breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo nel bosco».
l Il narratore esprime il punto di vista di Mazzarò.
l Il narratore esprime il punto di vista della gente, dei paesani.
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
11
l Il narratore esprime il punto di vista del barone.
b. «Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita
ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste
ancora, dovete lasciarla!»
l Il narratore esprime il punto di vista di Mazzarò.
l Il narratore esprime il punto di vista di Giovanni Verga.
l Il narratore esprime il punto di vista del viandante.
Spunti per...
12 Confrontarsi. Nel testo sono presenti alcune ripetizioni. L’espressione «di
Mazzarò» compare dodici volte. La parola “roba”, che non a caso dà il titolo alla
novella, è ripetuta per ben ventiquattro volte, spesso rafforzata dall’aggettivo possessivo “sua”. Secondo te, qual è il significato di questo uso? Perché Giovanni Verga insiste così tanto sulla parola “roba” e sul fatto che tutta quella “roba” sia «di Mazzarò»?
13 Scrivere. Mazzarò appare succube della “roba”, quando ne diventa signore non
meno di quanto ne era schiavo. Traccia un ritratto del personaggio (10-15 righe):
con puntuali riferimenti al testo evidenzia gli aspetti della sua psicologia, quindi poni in primo piano la sua dedizione assoluta alla “roba” e la spietata logica del profitto che guida le sue azioni.
Il laboratorio del lettore
© 2010 Principato
Verga, La roba
12
Fly UP