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la grande scommessa - Bresso a misura di
28 Aprile 2016 Crisi allo scoperto - quando entrano nella sede new yorchese di Lehman Brothers, dopo il fallimento e il licenziamento dei dipendenti. Di adulto, nel mondo raccontato da Adam McKay, non c’è proprio nulla. Ci sono ragazzini troppo cresciuti che non conoscono il senso di parole come responsabilità, come morale, come etica. Eterni adolescenti incapaci di comprendere le conseguenze dei loro gesti, resi ciechi dalla prospettiva del guadagno, della BMW serie 7, di un aereo privato, di strip club e ville con piscina destinate a rimanere vuote. Per giocare, c’è il cinema. La finanza e l’economia, quelle, dovrebbero essere qualcosa di più serio. Al cinema posso viaggiare nello spazio o perdere il lavoro, e di conseguenze reali non ce ne solo; mentre per ogni gioco di Wall Street, la vita e i lavori di milioni di persone sono a rischio. Qui c’è Brad Pitt in persona a ricordarlo: e che sia Hollywood a doverlo ribadire, continua a essere un paradosso. (Federico Gironi, ComingSoon.it) Ci sono film che non si amano, ma si ammirano. È questa la sensazione che ci accompagna nel raccomandare attenzione per La grande scommessa, una farsa acida, cinica, a tratti sguaiata e grottesca incentrata sugli annessi e i connessi della spaventosa crisi che devastò Wall Street nel 2008 e ancora oggi minaccia la stabilità anche politica mondiale. [...] (Valerio Caprara, Il Mattino) Provando a non farsi spaventare dai tecnicismi, che avrebbero bisogno di una visione con manuale a fronte, vediamo che La grande scommessa ci illustra come la recente crisi delle quattro piccole banche italiane sia, con la sua gravità, una pinzillacchera rispetto ai movimenti finanziari che determinarono dal 2007 la grande crisi americana, le cui responsabilità non sono state pagate. La narrazione segue le mosse di vari soggetti, a partire dallo stravagante finanziere Christian Bale (tra gli altri figurano Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt), che dal 2005 prevedono il baratro cui condurrà la bolla immobiliare e la disinvolta concessione di mutui, e dunque, facendosi ridere dietro, scommettono sulla prospettiva di rovina. Non senza, tocco moralista immancabile, qualche remora etica. Incalzante e brutale, solo se appunto non ci si lascia troppo intimidire da un linguaggio apparentemente riguardante i giochi perversi di un manipolo di addetti, il film spiega cose che hanno pesantemente toccato la vita di milioni di persone. (Paolo D’Agostini, La Repubblica) per info 02.66502494 [email protected] facebook.com/CircoloCineBresso 25aRASSEGNA Cineforum 2015-2016 BRESSO LA GRANDE SCOMMESSA The Big Short Regia: Adam McKay Sceneggiatura: Michael Lewis, Charles Randolph Fotografia: Barry Ackroyd Montaggio: Hank Corwin Musica: Nicholas Britell Interpreti: Brad Pitt, Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell, Marisa Tomei Origine: USA (2015) Il regista: Adam McKay Nasce a Philadelphia nel 1968, con la vocazione dell’attore comico. Fonda il gruppo di improvvisazione teatrale Uptight Citizens Brigade, tra i cui membri c’è anche Amy Poehler e con cui si esibisce all’Improv Olympic di Chicago. Passa poi alla celeberrima compagnia teatrale Second City (dai cui ranghi è uscita gente come John Belushi e Bill Murray). E’ sempre in veste di attore che McKay si presenta al Saturday Night Live, dove viene invece assunto come scrittore di sketch, dal 1995 al 2001. Per tre stagioni dello show è anche autore capo. Dirige anche numerosi corti per il SNL e appare diverse volte davanti alle telecamere, spesso nei panni di Keith, uno spettatore maleducato che insulta le star durante i loro monologhi d’apertura. Il debutto al cinema come sceneggiatore e regista (e con ruoli cammeo in questo e nei film successivi) avviene assieme a Will Ferrell con Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy, del 2004, seguito da Fratellastri a 40 anni (2008), I poliziotti di riserva (2010) e Anchorman 2 (2013). Con Ferrell fonda anche il canale internet Funny or Die, per cui scrive e dirige numerosi corti. Scrive anche per lo show di Michael Moore The Awful Truth. Da produttore ha all’attivo le serie Big Lake, l’irriverente Between Two Ferns With Zach Galifianakis e numerosi film, tra cui The Wedding Party, Il dittatore, Hansel e Gretel - Cacciatori di streghe e Grimsby -Attenti a quell’altro. Nel 2015, abbandonando le sue commedie divertenti, spesso grottesche e politicamente scorrette, adatta per lo schermo il libro di Michael Lewis The Big Short, La grande scommessa, sul gruppo di speculatori di Wall Street che intuì l’imminente esplosione della bolla dei mutui subprime. Nel film, prodotto dalla Plan 9 di Brad Pitt, dirige in scioltezza un cast di ottimo livello, conquistandosi gli elogi della critica e il gradimento del pubblico, oltre a numerose candidature ai principali premi cinematografici, tra cui Oscar (regia e sceneggiatura) e Golden Globe (sceneggiatura). La critica: Immaginate che Michael Mann si metta in testa di voler raccontare in un film la crisi finanziaria del 2008: quella legata ai mutui subprime, che ha portato al fallimento di banche d’affari ritenute inscalfibili, ha creato milioni di disoccupati e una depressione di cui sentiamo le conseguenze ancora oggi. E che ha svelato il volto oscuro del capitalismo finanziario. Immaginate, però, che prima di mettersi al lavoro sul film, Mann abbia battuto la testa, abbandonato la tradizionale serietà (magari spettacolare ma pur sempre sobrio), per diventare un buontempone che, magari, non disdegna un consumo massiccio d’erba. Ecco, in quel caso il risultato del lavoro del regista sarebbe forse simile a quello che è riuscito ad Adam McKay: uno che viene dal Saturday Night Live e da mille collaborazioni con Will Ferrell, che ha co-sceneggiato Ant-Man, e che questa volta ha cambiato genere centrando un equilibrio difficilissimo tra momenti comici, bizzarrie, drammaticità, e ricostruzione cronachistica e dettagliata degli avvenimenti e dei meccanismi f inanziari, dalla verbosità quasi sorkiniana. La grande scommessa è un film a suo modo sovversivo: perché racconta nel dettaglio, e con un linguaggio cinematografico hollywoodiano comprensibile a chiunque, le profonde e perverse storture di un sistema capitalistico andato fuori controllo; e perché lo fa con un linguaggio cinematografico che se ne infischia delle regole tradizionali e risente dell’evoluzione recente dei linguaggi audiovisivi. La storia, che segue le vicende parallele e incrociate di diversi investitori e gestori di fondi che scommisero sul crollo delle obbligazioni bancarie sui mutui immobiliari, intuendo prima di tutti l’imminenza di una crisi che andò poi ben oltre le loro previsioni, è infatti raccontata attraverso la voce di uno di loro, interpretato da Ryan Gosling. Che però si fa narratore onniscente solo saltuariamente, e non si fa alcun problema ad abbattere la quarta parete esattamente come fa Frank Underwood in House of Cards, ma con maggiore ironia. Nei punti in cui i tecnicismi finanziari rischiano di mandare in bambola lo spettatore, ecco che McKay tira poi fuori dal cilindro dei siparietti esplicativi, il primo dei quali vede protagonista una Margot Robbie che sorseggia champagne in vasca da bagno tanto per dare l’idea del tono. Inaspettatamente, però, gli anarchismi formali di McKay e le leggerezze del film (che ha qualche momento di pura comicità) non sviliscono i suoi contenuti e la loro serietà; perfino la loro drammaticità: al contrario li aiutano e li supportano. Rendono il film meno pamphlet a tema e a scopo indignazione, regandogli un profilo entertainment-oriented che fa penetrare la lama più in profondità: “faccio finta d’intrattenerti mentre t’indottrino”. La fusione dei registri de La grande scommessa si concretizza soprattutto nel personaggio (e nell’interpretazione) di Steve Carell, gestore di un fondo di Wall Street reso a tratti esilarante da un cattivo carattere al limite del patologico, dotato di spessore psicologico grazie a un trauma familiare e rappresentante lo sguardo più sconcertato e critico di fronte alla stupidità e alla fraudolenza delle grandi banche. Ancora più che nel precedente Foxcatcher, l’attore divenuto celebre per i ruoli comici conferma la stoffa che gli permette di affrontare senza patemi anche quelli drammatici, rivaleggiando alla pari con un Christian Bale che siamo più avvezzi vedere in parti impegnate. Ma mentre nel personaggio di Bale, assieme allo sgomento di fronte alla profondità dell’abisso prevale il disincanto, in quello di Carell che in partenza viene descritto come un pessimista già consapevole del marcio del mondo in cui lavora - si esprimono la rabbia, la frustrazione, l’incredulità e l’impotenza degli uomini comuni, di chi il film lo guarda e anche la crisi l’ha vissuta da spettatore. “Non me l’aspettavo così.” “E cosa pensavi di trovare?” “Non so, degli adulti.” Così si dicono altre due figure di primo piano del film due ragazzi del Colorado che sognavano di scalare Wall Street, rimasti coinvolti anche loro nel grande gioco che ha portato la