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Anima, civiltà, paesaggio nella visione
ANIMA, CIVILTÀ, PAESAGGIO NELLA VISIONE DI OSWALD SPENGLER di Alfonso Piscitelli * Every major civilisation develops on a given landscape and its own landscape is the expression of its peculiar soul. The civilisation-soul-landscape triangle is the crucial aspect in Oswald Spengler’s studies and philosophy this article aims at investigating. The starting point is the analysis of his masterpiece “Decline of the West”, where he examines human civilisations as if they were living organisms. Some have compared the faults and merits of Spengler’s philosophical historiography to those of Hegel’s historicist philosophy: they both see distorted aspect of the “System”, but they also recognise various elements of genius hidden throughout the fabric of the System itself. T ra i tanti autori che hanno indagato il problema della connessione tra il paesaggio naturale e le forme della cultura umana, Oswald Spengler è forse quello che a tale connubio ha saputo conferire la maggior carica di profondità e di fatalità. Nel suo capola__________________ * Docente di scienze sociali, si occupa di tematiche geopolitiche. Collabora all’Indipendente e alla trasmissione L’Argonauta di Radio1 Rai. Anno III - n. 7 Ogni grande civiltà sorge su un determinato paesaggio e in esso esprime una peculiare sua anima. Proprio questa triangolazione civiltà-anima-paesaggio è un aspetto centrale degli studi e della filosofia di Oswald Spengler che viene esaminato in questo articolo, partendo dall’analisi del suo capolavoro ( Il Tramonto dell’Occidente) in cui studia le civiltà umane in base ad un principio di analogia che le accomuna agli organismi viventi. C’è chi assegna a Spengler e alla sua storiografia filosofica gli stessi pregi e difetti attribuiti alla filosofia storicista di Hegel: rileva cioè il carattere forzato di molti aspetti del “sistema”, ma coglie le numerose considerazioni di genio sparse tra le maglie del sistema stesso. SILVÆ 117 Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler voro Il Tramonto dell’Occidente1 Spengler studia le civiltà umane in base a un principio di analogia che le accomuna agli organismi viventi. Anno III - n. 7 1. Le civiltà come organismi Come farfalle in un campo, così le civiltà spuntano sul terreno dell’umanità in senso lato: ognuna di esse ha una sua indistinguibile forma, che si manifesta fin dal principio nella fase alta della propria storia (la “Kultur”) e che si dispiega nelle creazioni della religione, della morale, dell’arte, della scienza e della tecnica. Quando una civiltà ha espresso le sue potenzialità più alte essa giunge ad una fase di maggiore esteriorità: l’arte e la poesia ripiegano nel classicismo, il pensiero esaurisce la sua creatività e rifluisce in un peculiare fideismo, la tecnica produce creazioni gigantesche, ma prive ormai di un significato interiore (è questa la fase della cosiddetta “Zivilisation”). In politica dominano le potenze del denaro e a quel punto una nuova barbarie scuote, dal basso o dall’esterno, equilibri sociali da lungo tempo rodati e perciò stesso logori. Il Tramonto dell’Occidente è opera “wagneriana”, per l’ampiezza delle dimensioni, per l’epicità dello stile, e anche per il destino ineluttabile che essa sembra indicare alla civiltà euro-occidentale. Spengler ne pubblicò la prima edizione quando le sorti della Germania nella prima guerra mondiale non erano ancora state decise, eppure erano facilmente prevedibili. La seconda edizione, di molto accresciuta, comparve quando il caos del dopoguerra investiva in pieno la Germania di Weimar, ma anche la Francia e la Russia; mentre l’Italia si incamminava nell’esperimento del “cesarismo”,2 ovvero della dittatura plebiscitaria di Benito Mussolini. Per i suoi ammiratori, il pensiero di Spengler ha qualcosa di profetico: egli in effetti previde le forme delle dittature carismatiche; il prevalere assoluto degli ideali della tecnica su ogni altra forma di considerazione umanistica; intuì che l’Occidente proprio nel momento della massima esternazione del suo potere materiale superava il punto più alto della sua parabola. Spiegò con cento anni di anticipo certe dinamiche teologiche che spingono il cristianesimo di oggi a battere in ritirata di fronte al ribollente espansionismo dell’Islam; intuì che il Ventesimo secolo sarebbe stato degli Americani. 118 SILVÆ Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler 2. Il Nilo, le stelle, il giardino, la maya Per Oswald Spengler, parlare di umanità in generale non rende onore alla dignità della nostra specie. L’“umanità” in generale è solo un concetto zoologico, e per comprendere appieno le potenzialità degli uomini, le loro capacità creative, la straordinaria varietà dei sentimenti morali dei gusti è necessario far riferimento al concetto di “civiltà”. Da un lato Spengler dà per certo che i valori delle civiltà siano relativi, d’altra parte è pronto a cogliere nella vita delle varie civiltà analogie strutturali, punti di passaggio, di evoluzione e di crisi che in maniera sempre diversa si ripetono. La vita di Caravaggio fu molto diversa da quella di Colombo e tuttavia entrambi ebbero una infanzia, entrambi una adolescenza carica di premonizioni delle loro facoltà, entrambi in vecchiaia si ritrassero dalla vita consegnando all’umanità un lascito immortale. Allo stesso modo la civiltà greca e quella sorta dalle invasioni germaniche dell’alto medio evo pur seguendo strade diverse mostrano significative Anno III - n. 7 Per i detrattori, Spengler era invece il classico esponente dell’irrazionalismo tedesco che paradossalmente si esprimeva nella costruzione di sistemi complessi, affascinanti nel loro artificio.3 Benedetto Croce considerò Il Tramonto dell’Occidente come un’opera di supremo dilettantismo, davvero “decadente” nella sua ambizione di aver scoperto la “formula” della vita delle civiltà. Una formula per giunta dedotta dal ciclo delle esistenze vegetative: nascita-crescita-fioritura-fruttificazione-declino-morte. Tra amanti e nemici del filosofo della storia si colloca ovviamente una terza categoria di critici che assegna alla storiografia filosofica di Spengler gli stessi pregi e difetti già in passato attribuiti alla filosofia storicista di Hegel; che rileva cioè il carattere forzato di molti aspetti del “sistema”, ma coglie anche le innumerevoli considerazioni di genio disseminate tra le maglie del “sistema”. In questo articolo considereremo un aspetto centrale del discorso di Spengler: la triangolazione tra forme esteriori di una civiltà, l’anima di una civiltà, il paesaggio. Ogni grande civiltà ha un’anima e un paesaggio: sorge su un determinato paesaggio e in esso esprime una peculiare “anima”. SILVÆ 119 Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler Anno III - n. 7 analogie di sviluppo. Omero e Dante Alighieri sono poeti dell’origine; Aristotele è l’autore della grande sintesi sistematica della saggezza antica; Immanuel Kant è il suo corrispondente europeo. A sua volta Napoleone appare sul quadrante della storia europea “alla stessa ora” in cui apparve Alessandro Magno nella storia antica. Questi accostamenti possono sembrare a prima vista bizzarri o concettuosi, ma lasciamo a chiunque voglia leggere le 1.500 pagine de Il Tramonto dell’Occidente la curiosità di sperimentare quanto grande sia l’ingegno con il quale Spengler dal suo punto di vista li giustifica. Vi è un tratto profondamente artistico nel modo di procedere di Spengler. Non a caso egli si riconduce a Goethe, artista e pensatore di talento. Spengler non crede che esista una “storia mondiale” che come un filo unico inanelli tutte le esperienze, tutte le vicende personali e collettive. Crede che la storia sia più simile a un caleidoscopio di “mondi culturali” profondamente individualizzati. Le civiltà sono come affreschi; e, come negli affreschi del Rinascimento, il paesaggio non è solo uno “sfondo”, ma è un elemento carica di “qualità” e di “forma”. Il quadro di civiltà più antico che ci sia stato tramandato è quello che sorge lungo le sponde del Nilo.4 Quella egizia non è una civiltà “desertica”; il deserto appare agli Egizi come il confine esterno, garante di uno splendido isolamento, e all’occorrenza come una entità nemica. Il deserto è rosso come il dio Seth, assassino di Osiride, e molte delle “piaghe d’Egitto” ancor prima di essere attribuite nella Bibbia a Jahvè vennero considerate dagli Egizi come le periodiche sciagure inferte dal rosso e arido deserto. Tuttavia la terra d’Egitto non è rossa e arida, ma nera e feconda: in quanto tale essa è “un dono del Nilo”. Spengler traccia un parallelo tra la natura geografica dell’Egitto – che si snoda lungo la snella traiettoria del Nilo – e la tendenza alla bidimensionalità propria dell’arte egizia. Il Nilo è una via che attraversa il deserto, allo stesso modo le figure dell’arte nei loro profili, nella loro assoluta assenza di plasticità si allineano lungo una dimensione bidimensionale, ovvero si dispongono lungo una traiettoria. Ma l’anima egiziana è completamente immersa nell’attesa dell’aldilà, è assorta nella preoccupazione di esorcizzare la caducità della vita. Pertanto la “via” alla quale alludono innumerevoli affreschi e scritti come il Libro Egizio dei Morti è essenzial- 120 SILVÆ mente la via che conduce all’aldilà attraverso il varco della morte. È dunque una via sacra. Altro protagonista simbolico del paesaggio culturale egizio è il Sole: sono molteplici le figure divine che incarnano tratti solari. Del resto una civiltà affascinata dal problema della morte non può che essere sensibile al significato di un “numen” che ogni sera, al tramonto, sembra affrontare il dramma della morte senza mai perdere il suo splendore di vita. Nella piena maturità della civiltà egizia, le figure divine tendono a confluire nell’archetipo del Sole. Questa convergenza è ciò che con termine un po’ improprio si definisce “monoteismo solare”. L’altra grande civiltà che appare agli albori della storia sulle sponde dell’Eufrate non è segnata dall’isolamento, come quella egizia: lo spazio mesopotamico è aperto da ogni lato. Molteplici popoli vi si stanziano, passano dal nomadismo alla stabilità territoriale, dalla fase barbarica a quella della assimilazione della cultura. Tutti questi popoli sono accomunati da una sorta di rapimento per gli spazi stellari. L’egiziano tende a proiettare la luce abbagliante della regione nilotica nel mondo dell’aldilà; il babilonese invece è più legato alla vita terrena e negli astri, nella parata delle costellazioni che ogni notte si manifesta, cerca appunto i significati arcani di ciò che accade nel presente, la radice di eventi futuri. L’astrologia babilonese, la scienza astrale dei Caldei diventa così il frutto più maturo dell’area di civiltà che sorge in Mesopotamia con i Sumeri e trova il suo estremo sviluppo storico (la sua “Civilization”) con gli Akkadi. In India invece il legame della cultura con lo spazio circostante assume un carattere “antitetico”. Una volta superata la fase giovanile (quella dei conquistatori Indo-Europei, così simili agli Achei di Omero e ai Vikinghi), l’India sviluppa una cultura che tende a superare ogni legame con la natura. Gli Dei, gli spiriti dell’India sono lussureggianti come la vegetazione del Punjab, ma appunto lo yogi seguace di Patanjali o l’asceta buddhista cercano di superare la loro sfera di influenza e di proiettarsi in una dimensione assoluta oltre il tempo e lo spazio. La natura, benché affascinante nei suoi colori, nei suoi umori, è “Maya” ovvero illusione destinata a incantare o a perire: l’anima dell’indiano si proietta di là da essa.5 Anno III - n. 7 Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler SILVÆ 121 Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler Per la civiltà millenaria della Cina la terra non è invece una illusione nefasta: è il luogo naturale degli uomini, una dimora da coltivare e da arricchire. Spengler attribuisce all’anima cinese una sorta di tendenza al “collezionismo”. Il paesaggio cinese tende così a diventare così “giardino”, cioè luogo in cui le piante, gli elementi architettonici, i fregi vengono accostati con cura (e tale tendenza si proietta dalla Cina al Giappone). Ovviamente ogni giardino, come spazio armoniosamente curato, richiede un muro di cinta; allo stesso modo la Cina richiede una grandiosa “muraglia”. Anno III - n. 7 3. Paesaggio antico e moderno Le pagine più interessanti del Tramonto dell’Occidente sono probabilmente quelle in cui Spengler pone a confronto la civiltà antica (storicamente compresa tra la calata degli Indo-Europei in Grecia e il tardo Impero romano) e la civiltà europea (che incomincia con la Wanderung dei Germani e proseguirà, ipotizza Spengler, ancora altri due secoli). Lo spirito dei Greci e dei Romani è concentrato sul “presente”. Egli ama le forme perfette che si manifestano in questo mondo alla luce del giorno. Mentre l’Egizio volge il suo sguardo al mondo dell’aldilà, mentre l’indiano cerca di sottrarsi alla “maya” del divenire, l’uomo antico si cala nel tempo presente e percepisce l’elemento divino nelle forme concretamente percepibili. Lo “spazio” concepito dai Greci è uno spazio che ha una forma ben precisa, dunque un principio e una fine. Il Greco non ama l’illimitato: solo ciò che ha un limite, dunque una forma ha per lui un significato e un valore. Il suo spazio politico è compreso nell’orizzonte della Polis, la città-Stato. Il suo spazio geografico ha anch’esso un limite: si ricordi il “Non plus ultra”, posto da Ercole alle Colonne di Gibilterra. La statua greca e il tempio greco esprimono ancor meglio della filosofia questa predilezione dell’uomo antico per lo spazio definito, per la forma precisa. La statua dell’uomo nudo, dalle perfette proporzioni, illustra l’ideale divino dei Greci: attraverso la perfetta fisionomia delle forme l’anatomia viene innalzata ad uno splendore metafisico. Il tempio greco è fondamentalmente una casa: la casa in cui abita la divinità; anch’esso è regolato da precise proporzioni, assolutamente lontane da ogni tentazione di gigantismo. Non a caso i Greci percepiro- 122 SILVÆ no Alessandro Magno come il distruttore della loro civiltà: egli abbatte le Poleis, si lancia in una folle avventura di conquista, apre il mondo greco agli spazi sconfinati dell’Oriente. E non a caso i moderni ameranno Alessandro come un grande eroe romantico, rapito e alla fine travolto dalla sua sete di infinito. La tendenza fondamentale della civiltà europea-moderna è appunto la tendenza all’illimitato. Ciò che per i Greci era un “niente”, lo spazio infinito, per il moderno è fonte di estasi e di misteriosi presentimenti. La civiltà nata dall’alto medio evo in tutte le sue manifestazioni centrali tende all’illimitato. Le cattedrali gotiche non hanno una forma in sé conclusa come il tempio greco, ma quasi si slanciano verso l’infinitamente lontano. Il sentimento moderno del mondo sorge dalle grandi esplorazioni oceaniche che infrangono il limite greco, il “non plus ultra”, e gettano luce su continenti ignoti negli stessi anni in cui gli scienziati neo-platonici del tardo rinascimento scardinano l’astronomia antica. La terra non è più il centro di un universo racchiuso in sette sfere nella cintura delle costellazioni, ma è uno scoglio che ruota nell’immensità. Spengler, morto negli anni Trenta, non fece in tempo a vedere l’era delle esplorazioni spaziali, e la conquista della Luna svoltasi sotto l’egida del suo connazionale von Braun, ma nelle pagine finali del Tramonto pregusta l’ebbrezza di quest’ultimo sconfinamento. Nella percezione del paesaggio propria all’uomo europeo, che egli definisce “faustiano” dal nome del celebre personaggio di Goethe (il “doktor Faust”) l’illimitato è il tema dominante. La tecnica promette una potenza illimitata, la scienza si lancia alla scoperta dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, la storia naturale retrocede di millenni, poi addirittura di milioni di anni. L’economia insegue anch’esso il suo desiderio faustiano di illimitato con il mito della crescita indefinita del PIL. Oggi la civiltà che da dodici secoli galoppa in questa corsa frenetica sembra stanca. Molti segnali, alcuni dei quali funesti, sembrano presentare il conto di questa tendenza all’illimitato. Il colonialismo europeo ha abbattuto i confini che separavano i popoli e i continenti: oggi miriadi di uomini si riversano nelle terre delle antiche potenze coloniali, con un ritmo frenetico che lascia poco tempo per cercare i giusti equilibri di in- Anno III - n. 7 Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler SILVÆ 123 Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler tegrazione. La crescita dell’economia sembra essere giunta ad un muro, che si chiama sostenibilità ambientale. Lo sviluppo vertiginoso della tecnologia sembra essere giunto ad un limite oltre il quale i “mezzi” sfuggono di mano ai loro creatori e si innalzano a “fini” in sé, procedenti con cieca fatalità. La crisi demografica dell’Occidente ricorda con impressionante analogia quella dell’Impero Romano, alla quale invano Augusto cercò di porre rimedio con la sua legge “de maritandis”. Siamo giunti al fatale tramonto? Oswald Spengler aveva previsto la conclusione della vita biologica dell’“organismo” europeo, tuttavia la sua intelligenza era assai remota dalle becere credenze degli autori “apocalittici”. Il tramonto di una civiltà non è la fine del mondo, se in grembo ad una civiltà millenaria che segue il suo corso fatale comincia a germogliare una nuova “anima di civiltà”6 su un rinnovato “paesaggio”. Note 1 Apparso nella prima edizione nel 1918, Il Tramonto dell’Occidente fu presto venduto in centomila esemplari, nonostante il momento non fosse proprio adatto alle approfondite letture. O, forse, proprio per questo… “Cesarismo” è un termine utilizzato da Spengler per indicare la figura di un dittatore carismatico che riesce ad affermarsi col favore degli strati popolari in una fase in cui gli equilibri tradizionali di casta sono già compromessi: il riferimento storico è ai tiranni delle Poleis greche, ai grandi tribuni della storia romana, e ovviamente allo stesso Gaio Cesare. Data questa connotazione di partenza Spengler nutrì (ricambiate) simpatie per il dittatore italiano Benito Mussolini, al contrario fu sempre alieno da qualsiasi apprezzamento nei confronti di Adolf Hitler. Sulle relazioni complesse di Spengler con il suo tempo cfr. A. Romualdi, “Correnti politiche e ideologiche della destra tedesca dal 1918 al 1932”, Ed. L’Italiano, 1981. 2 Sulle critiche al pensiero di Spengler cfr. l’introduzione (a cura di Stefano Zecchi) all’ultima edizione de Il Tramonto dell’Occidente, Guanda, 1999. 3 Le scoperte degli ultimi anni hanno smentito l’ipotesi che le civiltà umane siano sorte nel bacino tra l’Eufrate e il Nilo. Il ritrovamento di una complessa struttura megalitica risalente al 5000 a.C. nell’area di Dresda suggerisce che una forma altissima di civiltà si era irradiata nell’Europa Centrosettentrionale nel periodo successivo alla fine della Glaciazione (che per Spengler segna gli albori della preistoria umana). 4 Anno III - n. 7 Questa interpretazione di Spengler viene sostanzialmente confermata dall’opera del grande storico delle religioni Mircea Eliade, che peraltro in India visse negli anni della giovinezza, 5 124 SILVÆ Anima, civiltà, paesaggio nella visione di Oswald Spengler studiando il sanscrito e praticando lo yoga. Cfr. Eliade (intervista con C.H. Rocquet), La prova del labirinto, Jaca Book, 1990 e Eliade, Lo Yoga, Immortalità e Libertà, BUR, 1995. Un interessante e per certi aspetti provocatorio sviluppo delle tesi di Spengler è contenuto nell’opera dell’autore Guillaime Faye, Archeofuturismo, Ed. Barbarossa, 1999. 6 Bibliografia BUSCAROLI, P. (1989) - Paesaggio con rovine, Camunia. ELIADE, M. (1990) - (intervista con C.H. Rocquet) La prova del labirinto, Jaca Book. ELIADE, M. (1995) - Lo Yoga, Immortalità e Libertà, BUR. EVOLA, J. (2002) - Oswald Spengler, Fondazione, J. Evola. FAYE, G. (1999) - Archeofuturismo, Ed. Barbarossa. GALLI, G. (1989) - Hitler e il nazismo magico, Rizzoli. ROMUALDI, A. (1989) - Correnti politiche e ideologiche della destra tedesca dal 1918 al 1932, Ed. L’Italiano. SPENGLER, O. (1993) - A me stesso, Adelphi. SPENGLER, O. (1994) - Anni della Decisione, Ar. SPENGLER, O. (1999) - Il Tramonto dell’Occidente, Guanda. Anno III - n. 7 SPENGLER, O. (2003) - Eraclito, Adelphi. SILVÆ 125