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“Ritornare alla terra”, come e perché

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“Ritornare alla terra”, come e perché
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 - DCB - Perugia
Anno XIX n.2/2013 - €22,00
Anno XI X n. 2/2013
“Ritornare alla terra”, come e perché:
dall’agricoltura sociale alle pratiche biologiche
nuovi modelli economici per l’occupazione
Carlo De Angelis
Paolo Ramundo Orlando
Roberto Sinibaldi
Barbara Romagnoli
Marta Di Pierro
Giacomo Lepri
La sfida dei governi locali per la difesa delle
risorse ambientali: il ruolo delle smart cities
Paolo degli Espinosa Andrea Zatti
L’educazione permanente condizione essenziale
per lo sviluppo sostenibile: il Progetto BigFoot
nell’ambito del Programma Grundtvig
Andrea Crescenzi
La governance sul clima dopo “Kyoto”: il principio della responsabilità comune ma
differenziata e la sua applicazione in materia di
cambiamenti climatici
ISSN 1123-5489
Edoardo Berionni Berna
Edizioni Alpes Italia
Via Cipro 77 – 00136 Roma
Tel./Fax: 06.39738315
[email protected]
www.alpesitalia.it
Edizioni Alpes Italia
Via Cipro 77 – 00136 Roma
Tel./Fax: 06.39738315
[email protected]
G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
“Ritornare alla terra”, come e perché
Le potenzialità dell’agricoltura sociale in Italia e in Europa................................7
di Carlo De Angelis
Dall’occupazione delle terre a nuovi modelli culturali di sviluppo......................29
di Paolo Ramundo Orlando
La Cooperativa “Il Trattore”: dall’orto all’agricoltura sociale..............................43
di Roberto Sinibaldi
Ritorno all’apicoltura applicando pratiche biologiche.........................................49
di Barbara Romagnoli
Occupazione, tutela degli habitat e del paesaggio, inclusività sociale:
valori e attività di “Agricoltura Nuova”..................................................................61
di Marta Di Pierro
Sulla riappropriazione delle terre pubbliche.
Una risorsa per il presente...................................................................................69
di Giacomo Lepri
Sviluppo sostenibile
La sfida dei governi locali per la difesa delle risorse ambientali
Priorità del capitale umano, nella prospettiva della città intelligente
per uno sviluppo sostenibile.................................................................................84
di Paolo degli Espinosa e Andrea Zatti
L’educazione permanente condizione essenziale
per lo sviluppo sostenibile
Il Progetto BigFoot finanziato dal Programma di formazione permanente
Grundtvig...............................................................................................................120
di Andrea Crescenzi
Diritto internazionale dell’ambiente
La governance sul clima dopo “Kyoto”
Il “principio della responsabilità comune ma differenziata” e la sua applicazione
in materia di cambiamenti climatici ...................................................................128
di Edoardo Berionni Berna
Sommario
Economia, ambiente e cultura
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Nessun vagheggiamento bucolico, nessun occhieggiamento di tendenza, nessuna indulgenza al buonismo pittorico dell’agricoltura, né tantomeno filtri
mitizzanti del lavoro nei campi. Ma, da quello che ci propongono i nostri
Autori, il ritorno alla terra appare quasi una necessità, certamente un’opportunità.
Nel dossier – curato da Roberto Sinibaldi – sono prospettate, con linguaggi
molto diversi, sperimentazioni e storie, a volte quasi intime, di coloro che
hanno fatto esperienze, o che ne vorrebbero fare, nell’agricoltura.
Carlo De Angelis, Paolo Ramundo Orlando, Barbara Romagnoli, Roberto
Sinibaldi, Marta Di Pierro e Giacomo Lepri ci descrivono percorsi, sensazioni e aspettative di un mondo che, almeno nella sua condivisione, potrebbe e
dovrebbe diventare di tutti.
Nella decadenza dell’ex trionfante industrialismo occidentale, processi
molecolari di cambiamento sono in atto da tempo. Gli obiettivi sono ridare
dignità e senso al lavoro, talvolta alle proprie vite. Si tratta di riconquistare prospettive positive, orizzonti culturali nuovi, mettersi in relazione ai
luoghi fisici e produrre beni materiali. Tutto il contrario di quello che una
certa prevalenza sottoculturale (specialmente televisiva) ci ha instillato per
decenni.
L’agricoltura da diecimila anni accompagna la vita dell’uomo, le tecniche
sono cambiate, sono migliorate le produzioni, ma più di tutto sono cambiate
le funzioni.
Oltre il cibo, l’agricoltura modella il paesaggio, protegge il territorio, tutela
l’ambiente, difende le bellezze naturali, esalta le ricchezze culturali, salvaguarda la biodiversità, di specie e di ecosistema, preserva le qualità percettive dei luoghi.
L’agricoltura può anche significare turismo di qualità e prospettare tanti altri
stimoli con le fattorie sociali e le fattorie didattiche. Tutti servizi avanzati
che si fondano comunque sul bene più antico e prezioso che abbiamo: la
terra e il millenario patrimonio culturale che vi è innestato.
Rivitalizzare le campagne può essere una delle “grandi opere” su cui puntare
nel nostro Paese, anche se non è, e non potrà essere, un fenomeno di massa.
Economia, ambiente e cultura
“Ritornare alla terra”,
come e perché
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Certamente può creare nuove economie valorizzando insospettabili risorse
oggi abbandonate. Dare impulso a quell’esigenza di cambiamento degli stili
di vita, che molto spesso si pone a base di un ripensamento globale del nostro modello economico. Fornire informazione, promuovere la conoscenza,
incentivare la partecipazione, sollecitare la tutela, creare un senso identitario, sono tutti elementi della catena che conduce alla piena consapevolezza
culturale dei problemi accennati. Certamente non tutti risolvibili con un
ritorno alla terra, ma che trovano in questo snodo un elemento importante
di condivisione collettiva, per contrastare l’ignavia dantesca della nostra
politica.
In Italia abbiamo perso oltre un milione e mezzo di ettari di suolo agricolo
negli ultimi sessant’anni; negli ultimi dieci anni si sono perse un terzo delle
aziende agricole esistenti e il calo del reddito prodotto dalle stesse aziende
è stato di oltre il 25%. La multifunzionalità in agricoltura risulta invece in
controtendenza, con incoraggianti indici di crescita. Purtroppo, la PAC (Politica agricola comunitaria) 2014-2020 non sembra sostenere con convinzione questa che invece si prospetta come una delle maggiori opportunità per
un rilancio dell’agricoltura e di tutti i derivati valori ambientali e culturali
connessi. Ed è un vero peccato, o meglio, una miope scelta regressiva, anche
perché la PAC ha un valore di 53 miliardi di euro, pari a circa il 40% del
bilancio globale dell’Unione europea.
In quello che un refrain definisce il “comune agricolo più esteso d’Europa”,
ossia Roma, gli sviluppi di attività come quelle descritte in questo dossier,
non sono solo un caso di studio, ma rappresentano un esempio operativo che
produce reddito e occupazione, in molti casi con volumi economici di una
certa importanza. La capitale, con quasi tre milioni di residenti, è un mercato esteso e particolarmente fertile per sperimentazioni e innovazioni. Quello che colpisce è che si potrebbe fare assai di più. Basterebbe recuperare e
lavorare le centinaia e centinaia di ettari di terre incolte e abbandonate che
aspettano da decenni di essere dissodate, per coltivare verdure e pomodori
e non case e strade. Una soluzione semplice, quasi una via obbligata, per i
giovani agricoltori, per il mondo dell’associazionismo e delle cooperative, per
molti singoli operatori.
G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
di Carlo De Angelis
Presidente CNCA Lazio, Consigliere del Forum Nazionale dell'Agricoltura Sociale
L’agricoltura sociale (AS) si presenta come un fenomeno complesso, difficilmente
riducibile alla pura prospettiva economica “tradizionale” e non risulta inoltre sufficiente l’analisi dell’AS dal punto di vista strettamente socio-sanitario. Entrambe le
visioni non danno conto di tutti i risultati e gli effetti di tali esperienze.
Per capire in profondità il ruolo e prospettive dell’AS occorre quindi adottare una
prospettiva sociale ampia, che valuti gli effetti sul benessere e sulla qualità della
vita delle persone, una prospettiva che superi le visioni settoriali e l’ottica della
“contabilità”.
La crisi generale e radicale del sistema economico e finanziario che caratterizza
questa fase a livello mondiale accresce sempre più l’esigenza di ripensare l’attuale
modello di sviluppo delle società occidentali, guardando così alla costruzione di un
sistema economico sostenibile. L’agricoltura sociale si pone in questo quadro come
uno dei possibili strumenti di risposta ai bisogni crescenti della popolazione sia in
termini di produzione agricola sostenibile dal punto di vista sociale, economico e
ambientale, sia in termini di offerta di servizi socio-sanitari. Essa mira infatti a riunificare bisogni, identità, tutele ed istanze di libertà per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro più o meno elevate abilità. In questo si ritrova il valore del lavoro
non solo come fonte di reddito individuale, ma anche come elemento fondante di una
società più giusta, più coesa e sostenibile.
Cos’è l’agricoltura sociale?
In Italia, l’AS comprende l’insieme di pratiche svolte da aziende agricole, cooperative
sociali e altre organizzazioni del Terzo Settore, in cooperazione con i servizi sociosanitari e gli enti pubblici competenti del territorio, che coniugano l’utilizzo delle
risorse agricole e il processo produttivo multifunzionale con lo svolgimento di attività
sociali finalizzate a generare benefici inclusivi, a favorire percorsi terapeutici, riabilitativi e di cura, a sostenere l’inserimento sociale e lavorativo delle fasce di popolazione svantaggiate e a rischio di marginalizzazione, a favorire la coesione sociale, in
modo sostanziale e continuativo. In queste esperienze risalta la valorizzazione delle
identità locali, di nuove culture e la partecipazione di giovani e donne impegnati nella
realizzazione di interventi fortemente innovativi per quanto riguarda le produzioni di
beni, l’erogazione di servizi, la creazione di spazi di confronto con i consumatori e la
creazione di forme alternative di mercato (filiera corta, GAS, ecc.), per affermare un
nuovo modello di agricoltura.
L’agricoltura sociale comprende una pluralità di esperienze non riconducibili ad un
modello unitario, quanto al tipo di organizzazione, di attività svolta, di destinatari, di
fonti di finanziamento, ma accomunate dalla caratteristica di integrare nell’attività
agricola attività di carattere sociosanitario, educativo, di formazione e inserimento
lavorativo, di ricreazione, diretti in particolare a fasce di popolazione svantaggiate o
a rischio di marginalizzazione.
Economia, ambiente e cultura
Le potenzialità dell’agricoltura
sociale in Italia e in Europa
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Tali esperienze si collegano ad una attitudine antica dell’agricoltura – da sempre
caratterizzata dal legame tra azienda agricola e famiglia rurale e da pratiche di solidarietà e mutuo aiuto – che oggi si presenta come una ulteriore declinazione del
concetto di multifunzionalità, capace di fornire risposte ad ulteriori bisogni della società, soprattutto in ragione dei cambiamenti che interessano e interesseranno negli
anni a venire il sistema del welfare.
Le prime esperienze della moderna AS in Italia possono essere individuate nell’attività che le cooperative sociali agricole, sorte negli anni ’70 del secolo scorso, hanno
fatto nel campo dell’inserimento lavorativo di persone con difficoltà di vario tipo.
Negli anni a queste realtà si sono aggiunte e affiancate tante altre esperienze, realizzate da cooperative sociali, imprese agricole, associazioni, fondazioni, ecc.
Non esiste un dato certo sul numero delle realtà che fanno AS in Italia, ma da rilevazioni fatte in alcune Regioni (Lazio, Toscana, Lombardia, Sicilia) possiamo stimare la
presenza di circa un migliaio di esperienze.
La cooperazione sociale rappresenta sicuramente la forma più diffusa di gestione
dell’AS e in tale ambito abbiamo diverse ricerche e dati. Dalle analisi dell’Università
della Tuscia e in particolare dal Prof. Saverio Senni, impegnato da sempre in tale
ambito, abbiamo estratto le seguenti tabelle e grafici.
Tab. 1
Risultati dell’Indagine
ISTAT del 2003 sulla
cooperazione sociale
in agricoltura.
La cooperazione sociale in agricoltura
(Indagine ISTAT, 2003)
Le cooperative sociali in attività al 31 dicembre 2003 sono:
– 3.707 cooperative sociali di tipo A (+ 13,7 % rispetto al 2001);
– 1.979 cooperative sociali di tipo B (+ 8,3 % rispetto al 2001);
– 249 cooperative sociali di tipo misto;
– 224 consorzi di cooperative sociali.
Tab. 2
Cooperative sociali di
tipo B “agricole”: numeri, localizzazione,
tipologie di lavoratori.
in agricoltura.
Le cooperative sociali di tipo B “agricole”
– Al 2005 ne sono state censite 571 (23,7%) distribuite per macroregioni (cfr. Grafico 1).
– Sono localizzate prevalentemente nel Nord (60%) e al Centro (23%).
– Coinvolgono oltre 8.000 lavoratori svantaggiati.
– Tipologie di “svantaggio”:
– 35,4 % persone con disabilità;
– 26,8 % persone con problemi di dipendenza;
– 17,9 % pazienti psichiatrici;
– 8,3 % detenuti /ex-detenuti.
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31%
23%
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
28%
La diversificazione delle attività
Le esperienze di agricoltura sociale in Italia riguardano molteplici ambiti di attività,
che possono essere così riassunti:
formazione e inserimento lavorativo: esperienze orientate all’occupazione di
soggetti svantaggiati o con disabilità relativamente meno gravi (tirocini, borse
lavoro, assunzioni per disabili, detenuti, tossicodipendenti, migranti, rifugiati);
riabilitazione/cura: esperienze rivolte a persone con disabilità (fisica, psichica,
mentale, sociale), con un fine principale socio-terapeutico (laboratori sociali,
centri diurni, comunità alloggio);
ricreazione e qualità di vita: esperienze rivolte ad un ampio spettro di persone
con bisogni più o meno speciali, con finalità socio-ricreative, tra cui particolari
forme di agriturismo sociale, le esperienze degli orti sociali peri-urbani per anziani;
educazione: azioni volte ad ampliare le forme ed i contenuti dell’apprendimento
per avvicinare alle tematiche ambientali persone giovani o meno giovani (fattorie
didattiche, centri estivi);
servizi alla vita quotidiana: come nel caso degli “agri-asili” o di servizi di accoglienza diurna per anziani.
Anche sul piano organizzativo l’agricoltura sociale si esprime in una molteplicità di
modelli, nati essenzialmente sulla base di iniziative spontanee.
Si tratta, spesso, di realtà aggregate – nel senso che coinvolgono imprese o cooperative sociali agricole, ma anche servizi sanitari pubblici, associazioni e altre realtà del
territorio – che utilizzano le norme attualmente vigenti a livello nazionale o regionale
per formalizzare accordi o protocolli.
Grafico 1
Distribuzione delle
cooperative sociali di
tipo B “agricole” per
macroregioni.
(Fonte: ISTAT, Rilevazioni
delle cooperative sociali,
2003).
Economia, ambiente e cultura
18%
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
157
160
141
140
120
100
80
63
60
71
39
40
20
0
Prima del
1982
Grafico 2
Evoluzione temporale
della cooperazione
sociale “agricola”.
Nel grafico si evidenzia
il numero crescente
delle Cooperative nel
settore dal 1982.
(Fonte: ISTAT, Rilevazioni
delle cooperative sociali,
2003).
19821986
19871991
19921996
Dopo il
1996
Oltre la fase dei pionieri
L’agricoltura sociale, in questi anni, è andata sempre più espandendosi in Italia e in
Europa. Essa costituisce un momento importante per realizzare esperienze di integrazione culturale, sociale ed economica tra attività produttive agroalimentari in
senso stretto e processi di inclusione delle fasce deboli della società con percorsi
formativi e occupazionali. Sono fiorite nel nostro Paese molteplici esperienze che
ci fanno dire oramai di aver superato ampiamente la fase pionieristica ed episodica. In questi ultimi anni il dibattito, ricco di stimoli culturali e valoriali, ha tra l’altro
messo in evidenza la necessità, non più prorogabile, di realizzare, con la più ampia
partecipazione dei reali soggetti impegnati, un luogo di confronto, elaborazione e
rappresentanza dell’AS. Questo ha portato a coagulare le molte sensibilità presenti
tra le realtà operative intorno all’obiettivo della costituzione di
un Forum nazionale, avviato a Firenze, nell’ambito di Terrafutura, il 21 maggio nel 2011. In questo periodo il Forum si è dotato
di una specifica Carta dei Principi dell’agricoltura sociale, come
fonte valoriale di riferimento per gli aderenti, gli operatori economici e culturali, che qui riportiamo.
La Carta dei Principi dell’agricoltura sociale
Agricoltura multifunzionale
L’AS punta a valorizzare l’agricoltura multifunzionale nel campo dei servizi alla persona, potenziare la produzione agricola
di qualità, sperimentare e innovare le pratiche agricole nel rispetto delle persone e dell’ambiente, integrare la produzione di beni e servizi con la
creazione di reti informali di relazioni.
L’AS promuove stili di vita sani ed equilibrati e tende all’innalzamento della qualità
della vita locale nelle aree rurali e peri-urbane attraverso la creazione di contesti di
coesione sociale e l’offerta di servizi per le persone e le popolazioni locali.
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Economia, ambiente e cultura
Welfare partecipativo
L’AS si lega ad un modello di welfare territoriale e di prossimità, basato sull’azione
pubblica di regolazione e salvaguardia delle tutele dei cittadini a partire dalle fasce
deboli e vede protagonisti gli operatore, le istituzioni locali, il Terzo Settore e gli altri
soggetti del territorio. L’organizzazione del sistema di welfare è finalizzata al benessere delle persone, alla realizzazione di comunità accoglienti, che partecipano alla
sua definizione e ne usufruiscono; essa valorizza l’interazione e la relazione tra i diversi soggetti coinvolti nei processi di costruzione, realizzazione e utilizzo dei servizi.
Salute e benessere
L’AS, proponendo attività a contatto con piante e animali, contribuisce al miglioramento del benessere individuale e di tutti gli esseri viventi e delle condizioni di salute
delle persone coinvolte nei processi di terapeutici, riabilitativi e di cura.
Riconoscimento e tutela dei beni comuni
L’AS riconosce e valorizza il patrimonio dell’agricoltura, costituito dai beni naturali
(terra, acqua, paesaggio, ecc.), dai beni materiali (attrezzi, edifici, varietà vegetali,
razze animali) e dall’insieme delle conoscenze, dei valori, delle tradizioni (beni immateriali) che caratterizzano tale settore. L’AS valorizza il territorio che, in quanto
habitat dell’uomo e sistema nel quale si intrecciano natura e storia, considera patrimonio culturale e bene comune.
Produzione di beni relazionali
L’AS produce contestualmente cibo e beni relazionali mediante processi agricoli sostenibili. L’AS infatti, consente di costruire e consolidare relazioni significative tra
persone diverse per provenienza, esperienza, capacità, problematiche e prospettive,
contribuendo alla crescita del capitale sociale del territorio.
Agricoltura e legalità
L’AS si impegna nella lotta contro tutte le illegalità e in particolare contro la criminalità organizzata, che mina nel profondo i valori della società e le prospettive di
futuro. L’AS collabora con tutte le realtà che operano sui terreni confiscati alle mafie,
sostenendo le iniziative e promuovendo i prodotti.
Un modello di coesione sociale
L’AS opera con un ampio spirito di cooperazione ed inclusione verso tutti i cittadini,
senza discriminazione alcuna di sesso, di razza, di religione, e politica e pone al
centro del suo sistema di servizi e di produzione la persona, nella sua unicità ed
individualità, come portatrice di istanze e di diritti. Per questo le attività proposte
sono sempre inserite in una progettualità più ampia, che coinvolge tutti i soggetti del
territorio, con l’obiettivo di dare risposte alle esigenze dei singoli e allo stesso tempo
produrre benessere e coesione sociale.
Grafico 3
Valore della produzione
delle cooperative sociali
“agricole” (migliaia di euro).
(Fonte: ISTAT, Rilevazioni delle cooperative sociali, 2003).
Ricavi dalle vendite e dalle prestazioni
Ripartizioni territoriali
Di fonte pubblica
Di fonte privata
Altro
Totale
Totale per
coop.
N. coop.
Nord-ovest
53.959
41.334
4.382
99.675
678
147
Nord-est
56.753
42.380
19.650
118.784
900
132
Centro
35.190
23.779
3.927
62.896
582
108
Mezzogiorno
11.780
3.592
2.173
17.545
209
84
ITALIA
157.682
111.085
30.132
298.899
635
471
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Grafico 4
Le tipologie di soggetti
svantaggiati coinvolti
nelle coop. sociali “agricole”.
(Fonte: ISTAT, Rilevazioni
delle cooperative sociali,
2003).
Agricoltura e ambiente
L’AS si sviluppa su una logica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, con
particolare attenzione alla tutela e conservazione delle risorse naturali per le generazioni future in ogni singolo territorio. In particolare, l’AS tende prioritariamente e
progressivamente a una produzione con metodo biologico, capace di salvaguardare
allo stesso tempo la salute di tutti gli esseri viventi e l’ambiente. L’AS inoltre tutela il
contesto ambientale attraverso la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale,
la promozione delle tipicità e delle eccellenze del territorio.
Educazione e formazione
L’AS promuove azioni per avvicinare alle tematiche ambientali, agricole e sociali tutte le persone, in particolari quelle più giovani; a tal fine organizza attività educative
e formative, in collegamento con le scuole e le altre agenzie formative del territorio.
Sviluppo di reti e comunità
Le realtà che operano nell’ambito dell’AS lavorano valorizzando le esperienze reciproche in un’ottica di scambio e reciprocità, favoriscono la nascita di reti, gruppi
territoriali o tematici, aggregazioni di soggetti interessati ad approfondire le tematiche connesse con l’AS e ad avviare collaborazioni e progettualità comuni. Tali realtà
tendono alla creazione di filiere agricole e sociali etiche.
Tutela della persona e del lavoro
L’AS è attenta ed impegnata nella ricerca di opportunità occupazionali per persone
svantaggiate, considerando il lavoro un valore e non un costo dell’impresa. Le realtà
che agiscono nel contesto dell’AS rispettano i diritti contrattuali e legislativi dei lavoratori, senza discriminazione alcuna e favoriscono la crescita professionale delle
persone coinvolte nei processi produttivi.
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Economia, ambiente e cultura
L’agricoltura sociale in Europa
La presenza delle esperienze di AS nel resto dell’Unione europea è assai diversificata.
In Norvegia ed Olanda, ad esempio è riconosciuta dal sistema socio-sanitario pubblico. In Belgio, esiste una rete fiamminga di “green care”, e l’AS è integrata nelle
politiche agricole che riconoscono l’impegno degli agricoltori che ospitano persone
in situazione di disagio affidate dai servizi pubblici. In Germania, Slovenia, Irlanda è
presente nelle strutture pubbliche come strumento inclusivo capace di sviluppare le
capacità residue delle persone svantaggiate.
In Olanda il punto di forza dell’esperienza delle Care Farms (Fattorie sociali) è rappresentato dal fatto che sono accreditate come vere e proprie strutture sanitarie.
Con la formula del “personal budget” le persone in difficoltà che intendono prendere
parte a questo tipo di attività pagano la prestazioni giornaliere, di tipo terapeutico/
occupazionale all’azienda che le accoglie. Lo Stato finanzia la cura, il disabile beneficia del contatto con il mondo del lavoro e con la terra e l’agricoltore percepisce un
guadagno, ricavandone un compenso erogato dal settore pubblico che si configura come una integrazione al reddito agricolo aziendale. Negli ultimi anni il numero
di strutture è cresciuto in modo esponenziale passando dai 75 nel 1998 ai 900 nel
2008 con oltre 12.000 persone accolte. Nel 2007 il Governo olandese ha stanziato la
somma di tre milioni di euro all’anno per 3 anni a sostegno dell’agricoltura sociale
come strumento sia di crescita del mercato biologico, sia di sostegno alle persone
in difficoltà.
In Francia è presente l’esperienza di “Réseau Cocagne”, una rete di circa 80 realtà
agricole denominate “Jardins de Cocagne”. Le “Jardins de Cocagne” sono progetti di
agricoltura biologica gestiti da organizzazioni senza fini di lucro aventi la primaria
Grafico 5
Metodo di produzione
agricolo adottato.
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Scheda
Agricoltura Capodarco Società Cooperativa Sociale
Agricoltura Capodarco è una cooperativa sociale di tipo B che si è insediata
nel territorio di Grottaferrata (RM) più
di 30 anni fa (1978). Sorta intorno ad un
piccolo nucleo di soci della Comunità
Capodarco di Roma, è divenuta negli
anni parte integrante del tessuto sociale
e produttivo del territorio. La mission
della Cooperativa nasce dalla condivisione dei principi fondanti la Comunità di Capodarco, dove
i temi dell’accoglienza e della solidarietà verso e con chi vive in condizione di svantaggio si fondono con un’azione costante, orientata all’inclusione sociale ed all’integrazione lavorativa. L’impegno
quotidiano della Cooperativa si concretizza, dunque, attorno al raggiungimento di due importanti
obiettivi, che sono la centralità della persona ed il rispetto dell’ambiente, finalità che convergono
nell’Agricoltura sociale. La Cooperativa è impegnata in prima persona nell’attuazione dei principi
e delle prassi dell’Agricoltura Sociale, che utilizza le pratiche agricole al fine di generare benessere
per la comunità locale e realizzare interventi di rilevanza sociale rivolti a persone in condizione di
disagio.
Dal 1978 a oggi, Agricoltura Capodarco ha via via ampliato la propria compagine sociale, che attualmente conta un numero complessivo di 33 soci, di cui la maggior parte lavoratori; tra questi sono
presenti persone appartenenti a categorie svantaggiate (almeno il 30%)
Parallelamente, grazie al consolidamento della realtà aziendale ed all’incremento delle attività produttive, nel corso degli anni l’organico della Cooperativa è sensibilmente cresciuto: nel 2009 i lavoratori – soci e non soci – sono pari a 30 unità, di cui oltre l’87% dipendenti.
Di questi, numerosi sono i lavoratori con disabilità fisiche e mentali, gli immigrati ed, in genere,
persone a rischio di esclusione sociale.
Agricoltura Capodarco è articolata in settori, ciascuno rappresentato da un referente, che risponde
alle politiche e strategie indicate dal Consiglio di Amministrazione, a sua volta nominato dall’Assemblea dei soci.
Questi i settori in cui è organizzata la Cooperativa:
✓promozione di interventi per l’inclusione sociale;
✓produzione agricola e trasformazione dei prodotti;
✓commercializzazione e distribuzione;
✓ristorazione, convegnistica ed organizzazione di eventi (feste, manifestazioni, etc.);
✓fattoria didattica (realizzazione di laboratori educativo-didattici);
✓animazione territoriale.
L’integrazione tra i vari ambiti di lavoro della Cooperativa ne fanno un esempio riconosciuto di Fattoria sociale, dove la sfera produttiva risulta strettamente funzionale allo sviluppo di quella sociale
e viceversa.
Le attività principali della della Cooperativa sono:
Promozione di interventi per l’inclusione sociale
La Cooperativa è da sempre impegnata nella progettazione e gestione di percorsi di orientamento, formazione ed inserimento al lavoro rivolti a soggetti in situazione di disagio (disabili, persone con problemi di dipendenze, detenuti/ex detenuti, migranti, persone a rischio di emarginazione). L’obiettivo
comune ad i vari interventi è l’inclusione sociale di soggetti deboli, attraverso lo strumento dell’agricoltura, il cui carattere multifunzionale offre molteplici occasioni di integrazione.
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Produzione agricola e trasformazione di prodotti agroalimentari
L’attività agricola, tutta garantita da certificazione biologica - Ente certificatore: Suolo e Salute -, si
sviluppa attorno alle seguenti produzioni:
✓coltivazione di prodotti orticoli a pieno campo ed in serra, per un totale di circa 25 ettari;
✓produzione di due linee di vino Frascati Doc Superiore, ricavato dai vitigni Malvasia del Lazio, Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano e Bombino, coltivati in una tenuta di circa 5 ettari [ In occasione
6° edizione di BiodiVino - importante rassegna sui vini provenienti d agricoltura biologica, tenutasi nel
luglio 2009 -, il vino Biancodarco è stato premiato con una “medaglia d’argento” e l’etichetta San Nilo
con il riconoscimento di “gran menzione”];
✓produzione di succo d’uva, nella variante Malvasia - Trebbiano e Sangiovese;
✓produzione di olio extra vergine di oliva, dalla conduzione di 11 ettari di uliveto;
✓allevamento avicolo a terra di circa 800 galline ovaiole l’anno, 200 polli ruspanti a rotazione quadrimestrale e poi ancora conigli, tacchini e anatre, alimentati con prodotti naturali e mangimi vegetali;
✓produzione di miele, secondo i metodi dell’apicoltura tradizionale, con un impianto di 100 arnie dislocate in diverse aree del territorio dei Castelli Romani;
✓produzione di biscotteria tipica locale per un totale di circa 1,5 quintali annui;
✓lavori di manutenzione aree verdi private e pubbliche: appalti con il Comune di Grottaferrata ( contratti per l’esecuzione dei lavori riferiti alla manutenzione aree verdi comunali e potatura alberature
comunali).
Commercializzazione e distribuzione
Tale attività si esprime attraverso l’esercizio di una serie di pratiche e strumenti, tutti orientati alla
promozione della filiera corta, quali:
✓gestione del punto vendita aziendale, che - sotto il comune denominatore della certificazione biologica
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La sede di Agricoltura Capodarco
Società Cooperativa Sociale a
Grottaferrata di cui l'Autore fa
parte.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
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- ospita non solo le produzioni interne ma anche prodotti provenienti da altre cooperative sociali e dal
commercio equo e solidale;
✓promozione e distribuzione presso i Gruppi di Acquisto Solidali (GAS) nel territorio della Provincia
di Roma;
✓attraverso Biosolidale Srl (società partecipata), gestione della piattaforma logistica dei prodotti da
agricoltura biologica presso il Centro Agroalimentare di Roma;
✓distribuzione di orto-frutta a certificazione biologica presso negozi e mense scolastiche della Provincia, per tramite di Biosolidale Srl.
Ristorazione, convegnistica ed organizzazione di eventi
Nel 2004 Agricoltura Capodarco ha inaugurato l’agriturismo, che ad oggi vanta una struttura ricettiva
di circa 220 posti di capienza, utilizzata per attività di ristorazione, convegnistica ed organizzazione
di eventi vari. Dispone, inoltre, di un ampio spazio esterno attrezzato, adibito ad area picnic, che viene
utilizzato sia per feste private, che per l’organizzazione di eventi e manifestazioni promossi dalla stessa
Cooperativa in ambito musicale, culturale, della tradizione locale e, naturalmente, culinario.
Tra le varie iniziative organizzate, alcune di esse hanno assunto negli anni carattere ricorrente, come
ad esempio:
✓Festa del 1° maggio dell’Agricoltura sociale, divenuta un appuntamento per i numerosi amici/sostenitori della Cooperativa, oltre un’occasione offerta a giovani, famiglie e gruppi di amici all’insegna del
divertimento genuino, del mangiar sano e della buona musica, conditi dall’atmosfera bucolica della
campagna;
✓Festa del vino, organizzata nel periodo di spremitura del vino nuovo (nei mesi di ottobre/novembre);
✓Festa di San Giovanni, promossa in collaborazione con l’Ente Parco dei Castelli Romani, in occasione
del solstizio d’estate, che cade nel mese di giugno.
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Fattoria didattica
Tale ambito di intervento è rivolto prevalentemente a scolaresche ed a gruppi organizzati di bambini
ed adolescenti, stimolati attraverso un’esperienze diretta ad acquisire nuove conoscenze, a sviluppare
abilità mai sperimentate ed a relazionarsi con le molteplici forme che regolano la natura. L’offerta
didattica è articolata in una serie di percorsi, che variano seguendo i criteri della stagionalità e della
tipicità, tra cui sono un esempio quello dedicato alla scoperta dei profumi dell’orto, della produzione
dei frutti, delle fasi di lavorazione del miele, dell’olio, del vino, etc.
Animazione territoriale
Nell’ottica della promozione dell’agricoltura sociale, la Cooperativa partecipa a manifestazioni e fiere, organizzate sia sul territorio regionale che nazionale, le quali abbracciano i temi della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.
Tra queste, di particolare rilievo sono:
✓BiodiVino, rassegna dei vini biologici;
✓Terra Futura, Fortezza da Basso-Firenze;
✓Vinitaly, Salone internazionale del vino e dei distillati-Cremona;
✓Mercato della Terra di Ciampino;
✓Eataly Roma: installazione orto a cura del Laboratorio Sociale “Viva-IO”.
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Scheda
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Economia, ambiente e cultura
finalità di promuovere inclusione sociale e inserimento
lavorativo di fasce marginali della popolazione. La rete
dei “Jardins” si sostiene in larga parte con un capillare
sistema di vendita diretta ai consumatori, definiti “consumattori”. Tale modalità ha avuto un felice riscontro
di mercato al punto che esiste una lista di attesa di cittadini interessati all’acquisto. Le potenzialità di mercato di simili esperienze si intersecano dunque con altre
dinamiche quali quella della crescita del movimento
per il consumo responsabile e dei gruppi di acquisto
che si vanno diffondendo nei vari Paesi europei.
È evidente quindi che l’agricoltura sociale in tutta Europa è ancora in una fase sperimentale e che esistono
una molteplicità di riferimenti e riconoscimenti non
omogenei nei singoli Paesi. Manca peraltro un quadro
di riferimento normativo condiviso che permetta la diffusione e il consolidamento dell’esperienza dell’AS in
Europa.
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), ha
adottato il 13 dicembre 2012 il Parere d’iniziativa sul tema “Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie”. Il documento è stato redatto a conclusione
dei lavori di analisi dell’AS nei diversi Paesi europei, che ha visto anche il coinvolgimento del Forum nazionale agricoltura sociale. Il parere presenta le caratteristiche
principali dell’AS in Europa e una serie di proposte e raccomandazioni nei confronti
della Commissione, tra i quali la definizione di un quadro giuridico di riferimento e la
possibilità di un sostegno pubblico alle iniziative che si sviluppano nei diversi Paesi.
La valutazione dell’agricoltura sociale
La ricerca sull’AS è recente e non esistono ancora esperienze articolate di valutazione che tengano conto dei molteplici fattori in campo e affrontino il tema da un punto
di vista articolato e multidisciplinare.
I benefici delle pratiche di orticoltura e di terapia assistita con gli animali sono oggetto di analisi da diversi anni. In generale, emerge una validità della terapia orticolturale sul piano cognitivo, psicologico, fisico e sociale; in particolare essa produce
benefici in termini di benessere individuale e miglioramento della qualità della vita
attraverso la riduzione dello stress e il miglioramento della coesione sociale.
Anche le indagini relative ai benefici derivanti dalle terapie assistite con gli animali
fanno riferimento a setting specifici in ambienti confinati. I risultati mostrano benefici sia sul piano cognitivo sia su quelli fisico e psicologico.
A livello nazionale non esiste una tradizione consolidata di valutazione delle terapie
che impiegano piante o animali, anche se nell’ultimo decennio si sono moltiplicate
le esperienze sia in contesti protetti (ospedali, centri riabilitativi, ecc.) sia in contesti
produttivi (cooperative, imprese, ecc.). In molti casi si assiste a una raccolta dati e informazioni sui processi attivati e sui risultati ottenuti non supportata da un adeguato
approccio metodologico. In altri casi a un attento metodo e a eccellenti risultati non
corrisponde un adeguato sforzo di comunicazione e confronto con la comunità scientifica, tale da confermare la validità del lavoro svolto.
Per quanto riguarda le esperienze realizzate all’interno di contesti produttivi, aziende o cooperative sociali agricole, in cui il processo produttivo riveste un ruolo fonda-
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Economia, ambiente e cultura
mentale, mancano invece al momento azioni sistematiche di monitoraggio e valutazione che considerino tutte le variabili in gioco. Il progetto “Valutazione delle pratiche
innovative di agricoltura sociale” (Giarè, Macrì -INEA 2012) è partito proprio dalla constatazione della mancanza di evidenze scientifiche che confermino la validità delle
pratiche di AS in contesti produttivi sia sui beneficiari sia sul contesto.
La ricerca “Definire il valore del territorio agricolo della Provincia di Roma” (Provinciattiva di Roma 2012) attraverso tre studi di caso cerca di attribuire al territorio
agricolo della Provincia di Roma un valore – quantificabile economicamente – che
tenga conto dei benefici di difficile quantificazione economica. Una metodologia di
ricerca in grado di attribuire un valore economico complessivo al territorio agricolo
provinciale, che, al mero valore di compravendita dei terreni e a quello della produzione, affianchi altri benefici – sociali, ambientali, culturali – che l’agricoltura offre a
vantaggio della collettività, ma che normalmente non sono quantificati economicamente e, quindi, non riconosciuti e non valorizzati adeguatamente.
L’importanza dello sforzo metodologico dell’attribuire un valore economico complessivo al territorio agricolo diventa più evidente quando ci si riferisce alle pratiche
di agricoltura multifunzionale e, in particolare, di agricoltura sociale e di cui spesso
non si riconosce il valore collettivo.
Grafico 7
Modalità di vendita
dei prodotti agricoli.
Provinciattiva SpA,
costituita nel 2007, è la
Società della Provincia
di Roma dedicata a
sostenere e valorizzare
i processi produttivi
dell’Amministrazione
provinciale e a promuovere nuovi modelli
per la crescita e lo sviluppo socio-economico
del territorio.
Agricoltura Capodarco
produce olio extra vergine
di oliva dagli 11 ettari di
oliveto che gestisce.
(Foto Archivio Cooperativa
Agricoltura Capodarco).
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Grafico 6
Attività connesse
più frequenti.
Il quadro normativo sull’agricoltura sociale
L’agricoltura sociale si è sviluppata in Italia in assenza di un quadro di riferimento legislativo. A livello nazionale nell’ambito della passata legislatura, a seguito di
un’indagine conoscitiva della Commissione Agricoltura, è stato presentato un progetto di legge, Testo unificato elaborato dalla XIII Commissione in sede referente (6
novembre 2012) dal titolo “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”. Il progetto
di legge, che recepisce diverse proposte avanzate dal Forum, non è stato purtroppo
ancora discusso e approvato dal nuovo Parlamento.
Peraltro il Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, adottato su iniziativa del
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e approvato dalla Commissione europea il 12 gennaio 2007, cita espressamente l’agricoltura sociale nell’Asse
III, quale strumento per migliorare l’attrattività dei territori e per la diversificazione
dell’economia rurale.
Inoltre il 16 febbraio 2007 il Consiglio dei Ministri ha approvato il programma “Guadagnare salute”, finalizzato a coordinare un approccio multisettoriale alle tematiche
attinenti alla tutela della salute, nel quale si sottolinea la necessità di promuovere
la multifunzionalità in agricoltura e in questo ambito espressamente le “fattorie sociali”.
Alcune Regioni (Toscana, Lazio, Campania, Veneto, Sardegna, Valle d’Aosta) hanno
inoltre avviato attività di ricognizione e/o promozione dell’agricoltura sociale, mentre misure specifiche per la promozione dell’AS sono presenti in diversi Piani di sviluppo rurale già approvati dalle Regioni ed attualmente in fase di attuazione.
A livello regionale sono state elaborate norme per il riconoscimento delle fattorie
sociali (Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana) e altre Regioni sono in procinto di emanare delle disposizioni specifiche.
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Le potenzialità espresse dall’agricoltura sociale sono oggi evidenti, c’è una costante
crescita del fenomeno su tutto il territorio nazionale, seppure con presenze diseguali tra le diverse Regioni ed anche nell’ambito degli stessi confini regionali.
Il livello di interesse maturato dall’agricoltura sociale vede protagonisti – pur se da
differenti punti di osservazione – gli operatori agricoli, i consumatori, i cittadini fruitori di servizi sociali, i soggetti del Terzo Settore, i referenti istituzionali, ecc.
L’eterogeneità e la consistenza degli attori coinvolti hanno fatto sì che l’attenzione
per l’agricoltura sociale sia notevolmente cresciuta, alimentando la nascita di un
vero e proprio movimento, animato da una fitta rete di soggetti che operano nell’ottica della promozione e diffusione dell’agricoltura sociale. Tale fermento si manifesta, tuttavia, come una rappresentazione a macchia di leopardo, in ragione delle
consistenti differenze nazionali, che sono la conseguenza del grado di sviluppo e di
innovazione dei territori regionali tanto in materia agricola, che delle politiche sociali
e socio-sanitarie.
Dalle ricerche condotte emergono una serie di considerazioni, in particolare che l’agricoltura sociale è caratterizzata da:
dimensioni produttive normalmente contenute;
varietà di forme giuridiche e organizzative attivate;
metodi di produzione rispettosi dell’ambiente;
tecniche produttive intensive di lavoro;
una significativa quota di occupazione femminile;
produzioni ad elevato valore aggiunto;
diversificazioni di attività connesse a quella propriamente agricola;
realtà spiccatamente ‘aperte’ al territorio;
una tensione all’integrazione in reti locali, alla collaborazione e alla partnership;
sostenibilità economica ma non massimizzazione del profitto, quindi centralità
del “valore“ dei beni e servizi prodotti.
Dal punto di vista della diffusione dell’AS e della tipologia delle produzioni è possibile
affermare che:
l’agricoltura sociale è più diffusa nelle Regioni: Emilia Romagna, in primis, Toscana, Lazio, Piemonte, Lombardia, Veneto e Sicilia;
nelle Regioni meridionali l’agricoltura sociale appare più strettamente connessa
alla gestione di terreni e beni confiscati alle organizzazioni mafiose;
gli ambiti produttivi in cui risultano maggiormente efficaci gli inserimenti al lavoro di soggetti deboli sono: l’orticoltura e la trasformazione dei prodotti ortofrutticoli;
le bio-fattorie sociali assumono, nella maggior parte dei casi, caratteri dimensionali piuttosto ridotti, anche in considerazione della scarsa disponibilità della
risorsa fondiaria e del capitale iniziale di investimento.
Questa fotografia dell’agricoltura sociale ci conferma che è fortemente legata alla
centralità della funzione produttiva; l’agricoltura sociale è parte dell’agricoltura multifunzionale, è una sua espressione, e proprio questo che gli consente di combinarsi
con gli interventi di carattere sociale e/o sociosanitario, valorizzandone i risultati.
Dobbiamo anche dire che i prodotti dell’agricoltura sociale sono nella maggior parte dei casi prodotti biologici. Questa è la naturale conseguenza dell’approccio dei
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Conclusioni
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produttori che con la scelta della produzione biologica, che è tutela dell’ambiente
e della biodiversità, realizzano una maggiore sensibilità e solidarietà e quindi un
atteggiamento aperto all’accoglienza delle diversità. D’altra parte il riconoscimento
e il rispetto dell’uomo e delle diversità non può essere disgiunto dalla tutela della
natura.
In ultimo, l’agricoltura sociale ha un ruolo di agente di sviluppo locale in grado di
dialogare con:
il mondo agricolo e le sue realtà produttive;
le politiche pubbliche, nei differenti ambiti di intervento, da quello sociale, a
quello sanitario, educativo, della formazione, dell’occupazione, etc.;
la dimensione comunitaria.
L’agricoltura sociale migliora quindi il livello di qualità della vita della popolazione
locale; aumenta il potere attrattivo di un territorio e allo stesso tempo sperimenta
pratiche di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.
È ragionevole affermare che l’introduzione di specifiche norme possa rappresentare
una leva positiva nel processo di diffusione del fenomeno ed è inoltre necessaria per
scongiurare facili degenerazioni e/o distorsioni. Peraltro è ormai ricco il quadro di
leggi regionali esistenti e in procinto di definizione, così come risultano già depositate in Parlamento diverse proposte di legge, e si è da poco conclusa un’indagine
conoscitiva da parte del Parlamento.
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Siti agricoltura sociale
www.forumagricolturasociale.it
www.agricolturacapodarco.it
www.agrya.wordpress.com
www.lombricosociale.info
www.agrietica.it (DEAR, Università della Tuscia)
www.avanzi.unipi.it (Centro Avanzi dell’Università di Pisa)
www.consorzioalbertobastiani.it
http://sofar.unipi.it (Il progetto europeo SoFar–Social Farming)
www.farmingforhealth.org (La Comunità di pratiche “Farming for Health)
www.inea.it
www.aiab.it
www.cnca.it
www.alpa.it
Economia, ambiente e cultura
In una situazione di crisi rilevante come quella attuale, crisi economica certamente
ma anche crisi ecologica, crisi di relazioni sociali e del modello di welfare, l’AS può
rappresentare un modo diverso di agire il cambiamento.
L’agricoltura sociale può rappresentare un esempio concreto di un nuovo modo di
sviluppo e del buon vivere, mettendo al centro il rispetto della persona, della natura
e dell’ambiente.
Questo ragionamento è valido in generale e a maggior ragione per le aree rurali del
nostro paese.
In Italia le aree rurali affrontano delle sfide strutturali, in particolare l’invecchiamento e lo spopolamento. La concentrazione di anziani va di pari passo con la povertà.
Il fenomeno dell’invecchiamento è accompagnato allo spopolamento. La concentrazione di anziani ha aumentato la richiesta di servizi sanitari, cure mediche e servizi
sociali. La popolazione locale migra verso i centri urbani per accedere a servizi efficienti e di qualità. La stessa dinamica riguarda i servizi sociali, insufficienti e dislocati non razionalmente sul territorio.
D’altra parte la percentuale di lavoratori stranieri che vivono nelle aree rurali è costantemente aumentata. Gli immigrati rappresentano un’opportunità per ripopolare
le aree rurali e per arricchirle con culture differenti. Tuttavia sono già presenti tensioni nelle zone rurali, in assenza di politiche sociali rivolte all’inclusione e di contrasto alla discriminazione delle comunità immigrate.
In questa situazione, soprattutto per le persone disabili, in particolare con disagio psichico e disabilità mentale, e per le altre persone in
situazione di disagio sociale (tossicodipendenti, ex detenuti ecc.), è
difficile trovare risposte ai propri bisogni. Nelle aree rurali risultano
più diffuse le inefficienze dei servizi sociali, le mancate risposte ai
bisogni e i ritardi nell’applicazione di nuove metodologie d’intervento
(informazioni da Sintesi Rapporto OCSE – Italia 2009).
L’agricoltura sociale, può rappresentare una risposta anche alla crisi
del tradizionale sistema di protezione sociale, ai mutamenti sopravvenuti cui sono esposte le aree rurali, da un punto di vista demografico (invecchiamento della popolazione e flussi migratori), socio-economico (crisi dell’agricoltura tradizionale) e degli stili di vita.
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Riferimenti bibliografici
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welfare, Roma, AIAB, 2008.
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Society. Journal of Therapeutic Communities, 2008, 29: 310 323.
• Hassink, J. and M. van Dijk, Farming for Health. Green Care Farming across Europe and the United States of
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Disponibile all’indirizzo (ultima consultazione 15/4/2011): http://www.ncfi.org.uk/uploads/Reports/SocialFarmingingNorthernIrelandreport.pdf, Sempik, J., Aldridge, J. and Becker, S., Social and Therapeutic Horticulture: Evidence and Messages from Research, Reading: Thrive; Loughborough: CCFR, 2003.
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• Van der Ploeg J.D., “Esiste un nuovo paradigma di sviluppo rurale?”, in Gaudio G., Cavazzani A. (a cura di),
“Politiche, Governance e innovazioni per le aree rurali”, Collana Studi & Ricerche INEA, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 2006.
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di Paolo Ramundo Orlando
Cooperativa braccianti agricoli organizzati-Co.br.ag.or.
Nel 1976, in seguito agli anni in cui i grandi movimenti giovanili avevano aperto la conoscenza diretta della realtà sociale, iniziarono ad emergere forti esigenze comuni,
che avevano bisogno di efficaci e rapide soluzioni.
Una delle principali riguardava il lavoro, che aldilà delle sue connotazioni di classe,
mancava soprattutto per le nuove generazioni.
Incontrandoci all’ufficio di collocamento, tra noi, giovani di allora, nacque subito la
volontà collettiva di esprimere i nostri interessi e organizzarci per renderli pubblici
e sollecitarne adeguate soluzioni da parte delle istituzioni e delle forze economiche
e finanziarie.
Il movimento dei disoccupati organizzati di Roma, aperto al confronto con le forze
sindacali e in conflitto con i detentori del potere, diede origine a numerose iniziative
con presidi e cortei nei luoghi di lavoro e presso le sedi istituzionali della città.
Per rendere evidente e positiva la nostra volontà operativa, iniziammo a pulire le
strade, gli ospedali e incontrammo una donna che vedendoci un giorno in azione, con
un po’ di contrasto e ironia ci disse: “ma andate a zappare”.
La frase, ironica e provocatoria, ci colpì e fu un pretesto per mettere in evidenza un
settore economico – quello dell’agricoltura – che era stato molto emarginato, quasi
dimenticato, negli anni del movimento di protesta di studenti e operai.
Iniziammo subito a studiare un’ipotesi per praticare uno sciopero alla rovescia: lavorare su terreni non coltivati col fine di creare occupazione e produzione alimentare.
Alcuni dei disoccupati organizzati conoscevano delle realtà agricole abbandonate da
molto tempo, che potevano diventare luoghi per la manifestazione che avevamo intenzione di fare.
La Federbraccianti ci consigliò di costituirci in cooperativa per dare maggiore valore
all’istanza di valorizzazione della terra che avevamo individuato.
Fu il notaio a suggerirci il nome Cooperativa braccianti agricoli organizzati, Co.br.ag.or.
Il 3 aprile del 1977 arrivammo nell’area dismessa del Santa Maria della Pietà, a nord
di Roma, con striscioni e bandiere. Ci sistemammo nel vecchio centro aziendale, che
trovammo in condizioni di pesante degrado.
I terreni erano pieni di erbe infestanti, con diffuse zone a discarica, il tutto abbastanza repellente. Ci guardavamo un po’ sconcertati: essere assunti in luoghi di lavoro
organizzati e funzionanti era più auspicabile. Ma uno degli associati scrisse subito su
un muro: “Sei felice? Naturalmente, lavoro senza padrone!”.
L’idea di creare un’azienda democratica con pratiche e finalità condivise, nonostante
le evidenti difficoltà, ci incoraggiava e rinforzava il nostro obiettivo.
Nelle vicinanze del centro aziendale erano presenti, vicino a un rigagnolo d’acqua di
provenienza ospedaliera, degli ortolani, ai quali comunicammo la nostra idea di voler subito lavorare la terra e seminarla. Questi ci offrirono sul momento delle vanghe
e zappe con le quali iniziammo a pulire un po’ di terreno. Un nostro amico di Lanuvio,
Economia, ambiente e cultura
Dall’occupazione delle terre
a nuovi modelli culturali di
sviluppo
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Il punto vendita dei prodotti
biologici della Co.br.ag.or.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
L’azienda “Co.br.ag.or” si trova all’interno della
Riserva naturale dell’Insugherata, è un’azienda
agrituristica che coltiva con metodi di agricoltura
biologica ed integrata, grano, ulivi, frutta, vite ed
ortaggi di stagione. La trasformazione delle olive
in olio viene effettuata direttamente in azienda.
Si allevano vitelli ed animali da cortile.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
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Economia, ambiente e cultura
L’Espresso, 5 giugno 1977.
L’Unità, 27 ottobre 1977.
che aveva condiviso e apprezzato la nostra iniziativa, portò un piccolo trattore di sua
proprietà con cui arò tre ettari di terreno, sui quali seminammo piselli.
Il movimento dei disoccupati continuava la sua forte mobilitazione e noi eravamo in
stretto contatto con gli organismi di rappresentanza Federbraccianti e Costituente
contadina.
Nelle assemblee sulle questioni agrarie, con sempre più persone interessate, veniva
rimarcata l’esigenza di far partire dei corsi di formazione per avviare nuove pratiche
agricole soddisfacenti sotto tutti i punti di vista.
La battaglia contro le terre incolte e mal coltivate doveva prevedere una linea politica
democratica, con regole di concessione d’uso, di aiuti finanziari e di assistenza tecnica.
I terreni in cui tutti i giorni ci incontravamo per incentivare la nostra iniziativa suscitarono solidarietà e attenzione di una associazione di disabili, che considerava
importante l’eventuale coinvolgimento dei suoi aderenti nel lavoro in campagna, che
ritenevano molto adatto alla socializzazione necessaria al miglioramento della loro
esistenza. Quasi tutti i giorni veniva a trovarci un gruppo di giovani disabili accompagnati da qualche genitore, che si dilettava a preparare il pranzo per tutti.
I terreni di proprietà pubblica provinciale, in cui eravamo insediati, erano governati
da politici di sinistra, che mai invocarono l’intervento delle forze dell’ordine e consideravano giusta la motivazione di fondo dell’occupazione giovanile. La cessazione
dello stato di abbandono e degrado dei terreni pubblici, che potevano essere di nuovo coltivati, era un obiettivo condiviso. Nel contempo la Regione Lazio aveva fondi
finanziari per favorire attività di formazione e sostegno alla realizzazione di progetti
agricoli economicamente validi.
Con l’appoggio della Lega delle cooperative attraverso frequenti incontri, assemblee e dibattiti venne programmata la modalità di attuazione del nostro progetto
aziendale.
Frattanto erano cresciuti i piselli e gli ortaggi della prima esperienza lavorativa. Il
campo dei piselli da raccogliere a mano era fuori misura e, ispirati a coinvolgere
i cittadini che vivevano in prossimità, decidemmo di offrire a tutti la possibilità di
raccoglierli. Vennero in tanti a conoscerci e solidarizzare, grandi e piccini, che ogni
tanto, quando tornano a visitarci, ci ricordano l’evento dei piselli.
Anche la stampa seguiva la nostra vicenda con articoli di aperto sostegno e di informazione, sottolineando la novità della riscoperta dell’agricoltura da parte dei movimenti dei disoccupati.
Politici e studiosi avvertivano che i nuovi interlocutori non erano esclusivamente di origine
rurale, ma piuttosto di provenienza cittadina e con una buona preparazione culturale.
Nei loro scritti si ponevano domande sulle modalità di integrazione col mondo contadino.
La nuova politica agro alimentare, secondo noi, doveva valorizzare la ricchezza disciplinare per sviluppare nuove dimensione del lavoro e delle qualità che ne scaturivano. Quattro mesi di lotta e puoi guardare più lontano del titolo di un paginone di Lotta
continua che comunicava la lunghezza dei tempi di attesa per la regolarizzazione e
il conseguente aiuto pubblico indispensabile per il programma aziendale proposto.
Il movimento per la terra era ormai diffuso in tutto il Paese, al convegno organizzato
dalla costituente contadina ad Irsinia, a metà d’ottobre ’77, parteciparono 1500 giovani aspiranti agricoltori.
Pochi giorni dopo il ritorno a Roma, un gruppo di agricoltori di Maccarese (una località non lontana dalla capitale) dotati di sei trattori, vennero ad arare i “nostri”
terreni, spinti semplicemente dalla loro straordinaria solidarietà. Questo ci permise
di seminare, rafforzando il nostro legame con il luogo presidiato. Qualcuno di noi
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Economia, ambiente e cultura
Coltivazione di ortaggi
nei terreni della
Co.br.ag.or.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
provò anche a guidare il trattore, anticipando un ruolo che avremmo potuto avere nel
desiderato futuro.
La memorabile presenza dei trattoristi meritò un articolo su l’Unità, di aperto sostegno – finalmente – al nostro progetto.
Nei corsi di formazione ai quali, come soci della cooperativa, partecipavamo con
l’aiuto di esperti agronomi, iniziammo a studiare il piano di ristrutturazione della ex
azienda agricola provinciale.
Il terreno, di medio impasto e dotato di sostanza organiche e di elementi minerali,
poteva essere utilizzato per culture ortofrutticole e cerealicole. Vennero ipotizzate
lavorazioni e concimazioni con sovesci di residui vegetali ed organici, rotazioni colturali per consentire una resa produttiva soddisfacente e di qualità naturale.
Le possibilità di irrigazioni risultavano positive per la falda prevista a settanta metri
di profondità con un impianto di distribuzione semi fisso per coprire la metà circa
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Economia, ambiente e cultura
Testimonianze
Le fattorie didattiche
di Micol Massarelli e Valentia Innocenti
Ci siamo avvicinate alla fattorie didattiche grazie alla Co.br.ag.or., una realtà agricola che abbiamo
iniziato a frequentare, non solo per lavoro, ma anche per passione.
Il primi contatti e collaborazioni iniziarono qualche anno fa durante gli studi universitari. Inizialmente erano delle occasioni per staccarsi della routine cittadina e trascorrere qualche ora rilassante
a contatto con la natura e i bambini.
Terminato il percorso universitario abbiamo scelto di continuare ad approfondire questa collaborazione trasformandola in un vero è proprio lavoro. Un lavoro interessante, stimolante non solo per
noi che lavoriamo, ma soprattutto per i visitatori che possono godere del parco agricolo imparando
a conoscere le attività produttive e di trasformazione che si svolgono al suo interno.
Le fattorie didattiche, quindi, sono per noi un luogo di incontro, di scambi di esperienze tra educatori, agricoltori, bambini, insegnanti e adulti, oltre a essere un luogo pedagogico, educativo e dimostrativo in cui si può imparare direttamente dall’esperienza e dalla pratica.
Cerchiamo sempre di stimolare la curiosità e l’osservazione della natura che ogni giorno si rivela
sempre diversa ai nostri occhi.
Nelle poche ore di immersione nel mondo agreste i bambini vivono un’esperienza completa che stimola totalmente i loro cinque sensi e il cui ricordo perdura nel tempo, il semplice ascolto del ronzio
delle api può sembrare un’esperienza banale ai più, ma non è cosi per chi è abituato per anni all’inquinamento acustico delle città. Attraverso esperienze del genere si riacquista una consapevolezza
dei processi naturali, infatti i chicchi di grano che scivolano tra le mani, il riconoscere i vari tipi di
essenze attraverso l’olfatto, l’immergere le mani nell’impasto di acqua, farina e vino mentre si preparano i biscotti, l’assaggio dei diversi tipi di miele e dell’olio appena spremuto, l’ascolto del ragliare
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dell’asino o stringere tra le mani la farina appena macinata, stimola
ogni volta una curiosità diversa.
Per un bambino è fondamentale crescere a contatto con la natura
e gli animali imparando a rispettarli e soprattutto a conoscerli,
per questo sono importanti non solo le fattorie didattiche ma
anche i centri estivi, infatti ci siamo rese conto come, soprattutto in periodi prolungati di contatto con la campagna, i
bambini acquistino un’autonomia e un rapporto con la
natura davvero incredibile.
Bambini di soli quattro anni imparano ad essere autonomi nelle piccole attività quotidiane che si svolgono
in fattoria: annaffiare le piantine, apparecchiare per
il pranzo, dare da mangiare alle galline e agli asinelli, dai quali ricevono in cambio affetto e tante
coccole. Inoltre imparano ad orientarsi e a conoscere le verdure e i frutti che li circondano, scoprendo finalmente da dove viene la prugna, la pera o la pesca,
che possono raccogliere direttamente dall’albero e mangiare per la
merenda. Insomma, la cosa che ci ha entusiasmato di più e ci ha dato modo
di riflettere è quanto la campagna sia una vera scuola di vita, non solo per i bambini,
ma anche per gli adulti.
Economia, ambiente e cultura
Testimonianze
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Testimonianze
Perché l’agricoltura e perché l’agricoltura biologica? di Francesca Zubbani
Ecco due domande a cui ora, a distanza di anni, posso dare una risposta.
Ho iniziato a lavorare in cooperativa nel 1979 a 28 anni dopo un lavoro in ufficio noioso e deprimente, anche se ben retribuito. Ho lasciato il lavoro e sono andata a raccogliere pomodori: ero così
felice che cantavo a squarciagola. Mi piaceva tutto: raccogliere, seminare, zappare, guidare il trattore,
montare impianti d’irrigazione, spannocchiare il mais, intrecciare cipolle. Tornavo la sera a casa con
il sorriso, tutta impolverata d’estate e tutta infangata d’inverno: questa era vita, la mia vita. In fondo
l’unica esperienza “agricola” che avevo avuto prima era stata l’orto di mio padre nella casa al mare
e allora da dove mi veniva questa passione? Mia nonna Maria era una contadina veneta, andavo a
trovarla d’estate nella grande casa di campagna a Maserada, fuori Treviso. La casa era pregna del
profumo delle melanzane cotte nell’aceto e stese ad asciugare, da fare sottolio per l’inverno. Forse è
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questo che ho nel sangue. Sono stati anni di costruzione, di crescita, di fatica, di crisi e di soddisfazioni. Qui sono nati i miei figli, li ho allattati in mezzo ai campi tra un lavoro e l’altro. Sono cresciuti
assaggiando la verdura cruda dalla pianta: piselli, fave, carciofi, melanzane, pomodori e tanta frutta.
Hanno imparato a conoscere i frutti delle stagioni; quanto fa bene la pioggia dopo la siccità; quanto
è devastante la furia del vento quando fa volare le serre; quanto può distruggere in pochi minuti la
grandine e quanto è magico il periodo delle fioriture. E i “bagni” nei mucchi di grano appena trebbiato, steso sull’aia ad asciugare al sole. Gli storni che si posano a migliaia sul campo di grano appena
seminato, che riuscivo a far alzare in volo con urli acutissimi. E tutti gli animali che vivono intorno
a noi, che ogni tanto incrociano le nostre strade: l’istrice, la volpe, il piccolo riccio, la rana, il rospo e
le cornacchie che vanno ad “assaggiare” sempre la pesca più bella.
E allora ecco perché l’agricoltura deve essere pulita e allo stesso tempo polverosa e fangosa, ma senza
chimica, piena di erbe spontanee, di fiori, di insetti e di animaletti. Deve essere un paesaggio ricco e
vario, da far dire al visitatore: “Questo posto è bellissimo!”
Economia, ambiente e cultura
Testimonianze
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Economia, ambiente e cultura
dell’area coltivabile. La produzione lorda vendibile prevista garantiva retribuzione per 15 soci lavoratori e progressivi investimenti.
Continuavamo ad incontrarci per bonificare l’area e sistemare il casale nel
quale alcuni soci abitavano nonostante
la mancanza di acqua ed energia elettrica.
Partecipavamo a molti incontri con
nuove realtà cooperative che apprezzavano e condividevano il nostro comportamento. Sentivamo un forte bisogno di avere attrezzature adeguate alla
notevole dimensione aziendale, di 60
ettari, che senza una regolare concessione purtroppo non potevamo avere.
La Provincia, pur essendosi dichiarata
favorevole, per la forte opposizione del
centro-destra non riusciva a deliberare la concessione, nonostante la Legge
285 per l’occupazione giovanile votata
all’unanimità nel Parlamento.
I terreni coltivabili nel Piano regolatore avevano destinazione non agricola e
non potevano essere concessi con contratto agrario.
Un aspetto importante della nostra
iniziativa metteva in evidenza la difesa
ambientale dalle ipotesi edificatorie,
che accrescevano il valore finanziario
dei terreni sia pubblici sia privati, che
tutti consideravano prioritario e irrinunciabile; la nostra lotta contro il predominio assoluto della rendita e del profitto
trovava espressione nella nostra iniziativa.
Nel periodo di attesa di concessione dei terreni, venne promossa una attività di formazione per giovani agricoltori, con un contributo regionale che collettivamente utilizzammo per acquistare strumenti di lavoro e un trattore, che ci permise di avviare
la produzione di ortaggi da vendere.
Alcune persone che lavoravano al carcere minorile pagarono in anticipo i prodotti,
contribuendo a finanziare le spese e ricevendo un buono di acquisto dilazionato.
Stare insieme in campagna ci piaceva. Il grande spazio verde e libero in cui operavamo era una salvezza per l’occhio e per la mente rispetto allo spazio edificato della
città, prevalentemente chiuso a ridosso delle reti stradali.
La terra veniva arieggiata ed ammorbidita per seminare e trapiantare e dai suoi diversi colori nascevano suggerimenti sulle coltivazioni più adatte. I lombrichi erano
presenti e rassicuravano sulla giusta qualità biologica delle sostanze per nutrire la
vegetazione. Le informazioni che i tecnici offrivano nei corsi suscitarono delle riflessioni sulle modalità naturali di preparazioni dei terreni. Al contrario, in quegli anni
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Economia, ambiente e cultura
Le prospettive geometriche delle coltivazioni in
piena terra.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
gli agricoltori usavano metodi industriali, che miravano soprattutto alla crescita del
rendimento e della produttività.
Fra noi cominciò ad emergere un interesse verso pratiche agricole che salvaguardassero l’ambiente, la salute, la qualità, non guidate dallo sfruttamento delle risorse fino
al loro completo esaurimento. Volevamo che le risorse naturali fossero costantemente
restituite con le successioni colturali e non surrogate con prodotti artificiali di sintesi.
Sul campo confinante con l’ospedale San Filippo scorreva dell’acqua che poteva esserci utile per irrigare, fattore essenziale per l’ortofrutticoltura. Ma dopo qualche
indagine capimmo che l’acqua aveva a che fare con la camera mortuaria. Questo ci
dissuase dall’uso e anzi ci spinse a chiederne la canalizzazione al depuratore.
Il San Filippo non rispettava la sua circostante area esterna, dove molti scaricavano
rifiuti. Una realtà pubblica così importante, con funzioni socio sanitarie, circondata
da acqua sporca e immondizie era inaccettabile e ci chiedevamo perché le aree verdi
pubbliche fossero così maltrattate. L’impegno che stavamo assumendo del rilancio
dell’ex azienda agricola del Santa Maria della Pietà si ampliava. Il tema della sconfinata periferia urbana che si espandeva nell’Agro romano lo sentivamo proiettato
direttamente nel nostro futuro.
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Il lavoro nei campi.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
Le nostre relazioni personali erano soggette a un deciso mutamento, le scelte di
vita e di modesto guadagno erano difficili da condividere, anche se la vita in città
continuava.
Finalmente arrivò la tanto attesa concessione in comodato dei terreni. Organizzammo una grande festa, erano presenti rappresentanti istituzionali ai quali confermammo che grazie alla loro decisione avremmo fatto rinascere un luogo agricolo di
pregio, importante per la città.
La Regione Lazio avviò subito il sostegno tecnico finanziario che avevamo richiesto
con un progetto. La situazione cambiò totalmente.
Avviammo l’impianto di irrigazione, ma l’acqua trovata non era molta e dovemmo
ridimensionare le previste colture irrigue. L’idea che guidava il nostro programma
aziendale era pluricolturale che con le sequenze stagionali ci consentiva di distribuire il lavoro in continuità annuale con una conseguente offerta di numerosi prodotti.
La vendita diretta in quella fase non aveva rilevanza, gli unici che ne usufruivano
erano i genitori dei soci, che però non pagavano, e i dipendenti del carcere minorile,
che avevano anticipato gli acquisti.
La maggior parte della raccolta veniva portata di notte ai mercati generali, anche
perché agli inizi degli anni ‘80 la filiera corta non esisteva. Noi però, ci chiedevamo
in che modo avviarla.
In una zona pianeggiante vicino al casale avevamo installato anche delle serre, adottando tecniche di trapianto e preparazione di piantine locali con irrigazione a pioggia,
o a goccia, consigliati da un aggiornatissimo tecnico agrario dell’Ersal.
La maggior parte del terreno veniva seminato con orzo e grano, con lavorazioni di
ridotta profondità, la piantagione di alberi richiedeva lavorazioni profonde ed ade-
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Economia, ambiente e cultura
guate concimazioni e non partì subito. Sui terreni a riposo pascolavano pecore di due
allevatori che vivevano in prossimità; uno di loro aveva anche dei cavalli che a volte
portava da noi per divertimento dei nostri amici che spesso venivano a trovarci.
Si lavorava molto e la maggior parte delle risorse serviva per organizzare le attività,
la paga era ridotta ma l’azienda così funzionava.
Qualcuno dei soci non era contento e senza protestare se trovava altro si allontanava.
I soci erano iscritti all’Inps come braccianti e versavamo contributi relativi alle giornate lavorative effettuate; in campagna non si lavora sempre, il freddo e la pioggia
condizionano le attività.
Per avviare le coltivazioni degli alberi da frutta era necessario approfondire la lavorazione del terreno, che fu mosso a più di un metro di profondità con un trattore
gigantesco.
Alberi di pero, pesco, melo e vite iniziarono ad arricchire le nostre competenze cambiando il paesaggio agrario.
Io che racconto avevo molti amici, conosciuti durante i miei studi di architettura,
che apprezzavano la mia scelta giudicandola significativa per la valorizzazione degli
spazi urbani.
Mi chiesero di scrivere qualcosa sulla mia esperienza e così fiorirono anche gli articoli.
Il Piano regolatore di Roma fu rivisto e nella seconda metà degli anni ’90 l’amministrazione formulò la variante delle certezze, che modificò la destinazione urbanistica
dell’area di Casal del Marmo, trasformandolo in parco agricolo urbano.
Se non ci fosse stata questa modifica l’azienda agricola sarebbe stata annullata
dall’amministrazione provinciale, che non aveva rinnovato il contratto di concessione alla Cooperativa.
Nella Co.br.ag.or. si
usano anche piccole
e leggere macchine
agricole.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
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Le proprietà pubbliche in cui lavoravamo, contigue al Parco dell’Insugherata, furono successivamente integrate all’omonimo Parco regionale, rafforzandone la difesa
ambientale.
La nostra attività, nonostante forti incertezze e controversie, cresceva sia dal punto
di vista produttivo alimentare a filiera corta, sia per l’integrazione di attività di servizio didattiche, ricreative e gastronomiche.
Il successo economico e multifunzionale dell’azienda ha sicuramente contribuito al
rinnovo del contratto di concessione di uso agrario da parte della Provincia, che festeggiammo con numerosi protagonisti della nostra storia. Molti sottolinearono la
soddisfazione, il piacere, e qualcuno anche la felicità, per un’esperienza come la
nostra e l’importanza della valorizzazione dell’Agro romano. Un’importanza che non
riguardava solo il passato, ma soprattutto il futuro della città metropolitana di Roma.
È rincuorante e soddisfacente pensare alle migliaia di quintali di alimenti biologici
prodotti dalla Co.br.ag.or e alla forte attrazione che i luoghi esercitano nei cittadini,
che mostrano sempre più interesse a sostenere il paesaggio agrario come luogo
urbano.
Questo l’elenco dei fruttiferi messi a dimora: 600 peri, 100 fichi, 740 peschi, 100 susini, 340 mandorli, 400 meli, 160 cachi, 100 agrumi, 60 varietà storiche, 310 albicocchi,
1600 olivi, 70 castagni. All’olio prodotto direttamente in azienda abbiamo aggiunto i
nostri mandarini e i nostri peperoncini, la cosa è molto piaciuta. Trasformiamo pomodori, olive, frutta e carciofi, che insieme al miele delle essenziali api, hanno una
forte domanda a prezzo soddisfacente per noi e dei compratori, perché non vi sono
passaggi commerciali che necessariamente accrescono il prezzo finale.
Il nostro ristorante è sempre pieno, per il gusto e il benessere generato dalla freschezza di ciò che cuciniamo e per la variabilità delle localizzazioni, in base al clima,
dei posti dove si mangia e si beve.
L’area è completamente pulita e sicura, non essendo prossima al traffico veicolare
– un tempo c’erano ben altri progetti di infrastrutture stradali – che siamo riusciti
a tenere lontano per salvaguardare l’agricoltura dall’inquinamento e proteggere le
aree con funzioni ambientali rigenerative.
Nel biologico da noi praticato la difesa delle piante dagli agenti patogeni non è facile.
Per qualche specie le perdite a volte sono consistenti, ma la varietà ci aiuta a compensarle, il policolturale ha questo evidente vantaggio. La ricerca di piante resistenti
è indispensabile, ma non sempre funziona, è un settore di ricerca da far sviluppare
in modo ancora più innovativo.
La nostra particolare storia e localizzazione favoriscono una grande socialità, rafforzata con l’apertura in giornate celebrative: Capodanno, Primo maggio, manifestazioni ed eventi a cui hanno partecipato numerosissime persone, con musica, messaggi,
danze e giochi, che suscitavano una forte simpatia, relazioni amichevoli e attenzioni.
Attualmente si è costituito un comitato dei cittadini che vuole promuovere una valorizzazione e fruibilità di tutta l’area agricola del parco di Casal del Marmo, con una
rete di percorsi liberi e agevolati, ciclabili e pedonali per la mobilità sostenibile.
La storia va avanti!
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di Roberto Sinibaldi
Condirettore, Responsabile Aree protette e sostenibilità, GAZZETTA ambiente
“Il Trattore” nasce nel gennaio del 1980 per iniziativa di un gruppo di giovani, allora
ventenni. Alcuni – l’anima agricola – erano appena usciti dall’Istituto Agrario di via
Ardeatina, a Roma; altri provenivano da esperienze di volontariato e servizio civile e
da organizzazioni che si occupavano di lotta all’emarginazione, erano l’anima sociale
del gruppo. Da allora queste due anime convivono e caratterizzano ancora la “missione” della Cooperativa.
Questi giovani occuparono un casale abbandonato presso il Forte Ostiense, sempre a
Roma e misero a coltura tre ettari di terreno, incolto e abbandonato da anni. L’inizio,
come in tutte le imprese giovanili, fu difficile e tormentato e dopo molti turn over si
consolidò un gruppo che è riuscito nel tempo a dare risposte concrete alla disoccupazione giovanile, anche grazie al sostegno di alcune istituzioni allora sensibili
all’occupazione e all’inserimento nel mondo del lavoro di soggetti, prima emarginati.
L’esperienza all’Ostiense durò circa cinque anni, perché il ministero della Difesa decise di riprendere possesso dell’ex Forte e la presenza dei giovani agricoltori era
considerata incompatibile con i progetti che la Difesa aveva sull’area.
Nel 1985 i giovani agricoltori furono costretti ad abbandonare i terreni che avevano
dissodato e resi di nuovo fertili e produttivi per l’agricoltura, lavorandoli fino ad allora. In accordo con l’Assessorato ai Servizi sociali del Comune di Roma si trasferirono
in un terreno a via del Casaletto, sempre a Roma, anch’esso incolto ed abbandonato
da decenni. Era di proprietà di un vecchio Ente assistenziale, semireligioso e in via di
scioglimento, che forniva assistenza a bambini orfani.
Dopo aver stipulato un contratto di affitto e aver concordato con l’Assessorato l’inserimento lavorativo nella Cooperativa di alcuni “utenti” dell’Ente assistenziale che
ancora erano ricoverati presso quella struttura, cominciarono subito i lavori di recupero e bonifica dell’area, di ripristino di un vecchio pozzo di irrigazione e quindi di
coltivazione dei quattro ettari di terreno utilizzabili.
Fin dall’inizio la scelta fu quella dell’agricoltura biologica. Furono escluse le serre
e fu preferita un’agricoltura in piena terra e stagionale. Furono banditi diserbanti,
pesticidi, concimi e antiparassitari di origine chimica, conservanti e additivi, nel rispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo e degli animali. Attraverso uno degli
Enti preposti al controllo e alla certificazione dei prodotti agricoli ottenuti con metodi
di coltivazione biologica, la Cooperativa Il Trattore fu tra le prime aziende agricole del
Comune di Roma ad avere la certificazione biologica dal Ministero dell’agricoltura.
Ma il solo reddito agricolo non consentiva di garantire uno stipendio a tutti i soci e
nemmeno consentiva una reale integrazione dei soci con difficoltà. Si iniziò quindi
anche una attività di servizio nella manutenzione del verde, che ancora oggi è la
parte trainante dell’attività economica della Cooperativa.
Gli operatori della Cooperativa cominciarono con dei piccoli appalti. Prima con il
Comune di Roma, poi altri contratti, con condomini nel quartiere nel quale coltivavano la terra, o con singoli privati ed infine con contratti con società e clienti più
grandi. La manutenzione del verde, che all’inizio sembrava un tentativo obbligato,
Economia, ambiente e cultura
La Cooperativa “Il Trattore”:
dall’orto all’agricoltura sociale
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Economia, ambiente e cultura
divenne ben presto uno degli ambiti nel quale più
facilmente si riuscì ad inserire il maggior numero
di soci con disagio sociale o psichico, garantendo
loro occupazione e salario. Attualmente la cooperativa occupa stabilmente ventitre soci, quindici a
tempo pieno e otto part-time, tutti con contratto a
tempo indeterminato.
Da alcuni anni, anche grazie all’istituzione della
Riserva naturale “Valle dei Casali” e alla sensibilità dell’Ente della Regione Lazio RomaNatura, che la gestisce, la Cooperativa si è
trovata a misurarsi anche con l’opportunità di aprire lo spazio agricolo, che prima
era riservato alla sola produzione, anche al territorio, alle scuole e alla cittadinanza.
Nei primi anni del 2000 partì così l’esperienza delle “fattorie didattiche”. Un progetto coordinato da RomaNatura. In questi anni la Cooperativa ha ospitato migliaia
di bambini delle scuole materne ed elementari, che hanno visitato gli orti nei campi, hanno fatto un’esperienza manuale seminando e piantando nello spazio definito
“Orto dei bimbi”, che è stato specificatamente riservato alle loro sperimentazioni.
Negli ultimi tre o quattro anni le visite delle scuole hanno subito un calo: le difficoltà
economiche della scuola ha ripercussioni anche su questo tipo di attività. Così i cooperatori de Il Trattore si sono organizzati e vanno loro negli istituti scolastici. Il programma è semplice: si impianta un orto scolastico e in tre o quattro incontri si concima, semina, raccoglie e si insegna la cura e manutenzione delle piante ai ragazzi e
ai bambini più piccoli. Per le scuole l’impegno economico è molto ridotto, la logistica
non prevede spostamenti dei piccoli allievi e in molti casi il piacere e l’entusiasmo di
gustare i pomodori prodotti nell’orto fa proseliti per il mondo dell’agricoltura.
L’attività della Cooperativa, partita come agricola, si è pertanto diversificata sempre
più, arrivando a configurarsi come “agricoltura sociale”, cioè l’insieme delle attività
che attraverso il processo produttivo agricolo, generano benessere nei confronti non
solo dei consumatori, ma soprattutto di persone svantaggiate o a rischio di esclusione, per cui soggetti a bassa contrattualità vedono accrescere le proprie possibilità di
inclusione sociale.
L’apertura dell’azienda agricola al territorio, inoltre, si concretizza anche attraverso
una risposta che la Cooperativa riesce a dare a quei cittadini che consumano alimenti
sicuri e non restano solo clienti, ma si informano e cercano un rapporto diretto con
l’agricoltura (orti urbani, GAS, lavoro part-time in campagna). Questi cittadini sono diventati nel tempo una base di sostegno, una granitica sicurezza dal punto di vista del
consenso sociale, per la presenza di un’attività agricola in un quartiere densamente
popolato come quello nel quale si trova la Cooperativa. Sono gli “utenti informati”,
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Economia, ambiente e cultura
che garantiscono con il loro interesse e la loro partecipazione, una continuità agli
orti de Il Trattore. Un indicatore è la percentuale di vendita diretta dei prodotti dell’orto, venduti sul posto agli abitanti del quartiere per il 95% della produzione agricola.
Una filiera cortissima che assicura un saldamento culturale con le attività della Cooperativa. Il restante 5% del prodotto va in un paio di punti vendita biologici, a Roma, e
rifornisce l’attiguo ristorante, sempre bio, gestito dai cooperatori “cugini” della Valle
dei Casali. Un ciclo chiuso che salvaguarda qualità e freschezza.
Come in tutte le cose, naturalmente esistono dei punti critici, dei punti di debolezza.
Per esempio, alcuni soci sono arrivati in Cooperativa per necessità di lavoro, chi in
attesa di qualcosa di meglio o di diverso, chi perché non aveva altre possibilità che
questa. Una scelta di necessità che ha sottratto convinzione a questi partecipanti e
abbassato il loro grado di coinvolgimento in un progetto che, appunto, non avevano
scelto e sostenuto su una condivisa idealità di base.
La Cooperativa ha cercato di coinvolgere sui propri obiettivi tutti gli operatori e la
scommessa è stata quella di garantire un salario e dignità sociale a tutti i lavoratori,
attraverso le diverse attività che sono state intraprese: agricoltura, manutenzione
del verde, fattorie sociali, orti urbani. Ma non basta, c’è bisogno anche di una serie di
investimenti che possano garantire continuità e sviluppo di tutte le attività.
La Cooperativa ha presentato, ai competenti Assessorati del Comune di Roma, un
progetto di riqualificazione di tutta l’area (a carico della stessa Cooperativa), che nel
rispetto dei vincoli ambientali e della vocazione agricola del territorio possa dare ulteriori possibilità di lavoro e di riflesso incrementare i servizi che poi la Cooperativa
garantisce alla collettività (produzione di cibo sano, rispetto e valorizzazione del territorio, nuove possibilità di occupazione per soggetti con disagio). Accanto ai campi
Punto vendita della
Cooperativa Il Trattore
a via del Casaletto 400
(Roma).
(Fonte: Archivio fotografico Il Trattore).
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Economia, ambiente e cultura
Villa York in una foto
degli anni '70.
(Fonte: Archivio fotografico Il Trattore).
coltivati si estendono, per esempio, i quaranta ettari di Villa York completamente
abbandonati da tempo immemore. Pagando un affitto la Cooperativa potrebbe coltivarli. Per il Comune, ma soprattutto per la collettività, sarebbe sempre meglio che
continuare a tenerli abbandonati.
La risposta della politica finora
è stata balbettante, lacunosa
e intempestiva. Eppure basterebbe poco per aggiungere
qualità, profitto, occupazione e
benessere sociale a un’attività
che finora si è distinta proprio
per questo. Tra l’altro, come
accennato, senza costi per le
casse pubbliche!
Un’altra grande contraddizione
deriva dal servizio di manutenzione del verde dei Parchi
del Comune di Roma, per cui,
a fronte di molte assicurazioni
verbali e degli impegni assunti formalmente, di affidare alle
cooperativa sociali il 5% dei
pubblici appalti, nella realtà
le cose sono molto diverse. Le
cooperative sociali, e in particolare anche Il Trattore stanno vivendo una fase di grande difficoltà, perché si sono drasticamente ridotti gli affidamenti in essere e non c’è
all’orizzonte alcuna nuova prospettiva, nemmeno di riconfermare quelli storicamente acquisiti. Questo chiaramente crea una forte instabilità e, assieme agli enormi
ritardi nei pagamenti (dai quattro agli otto mesi di attesa), mette in grave crisi le
strutture più piccole. Il ricorso alle banche non è sempre agevole, ma soprattutto
espone a pericolosi sbilanciamenti economici e fiscali soggetti che, come Il Trattore,
hanno nel lavoro quotidiano il perno delle loro attività.
La Cooperativa fornisce un servizio sociale, che produce anche un notevole risparmio economico nella gestione di alcuni servizi. Si pensi soltanto alla gestione di persone svantaggiate, che invece di essere ospitate in costose strutture protette, rimanendo spesso inattive per gran parte della loro giornata, sono occupate in attività
lavorative nei campi, all’aperto. Questa alternativa, denominata tirocini terapeutici
esterni, alleggerisce i costi sociali della loro gestione e le persone intessono una
rete di relazioni che è un elemento basilare per il loro recupero a una vita fatta di
occupazione, rapporti umani, dignità del lavoro. L’utente, la persona svantaggiata,
invece di un sussidio percepisce così quasi uno stipendio. In genere lavora inizialmente un paio di volte a settimana, se la cosa funziona si arriva fino a un massimo di
20 ore settimanali, che in pratica significa tutte le mattine. Anche dal punto di vista
sanitario i benefici sono immediatamente percepibili: il lavoro nell’orto e gli intensi
rapporti quotidiani attenuano ansie e insicurezze delle persone più fragili, allontanando il ricorso ai farmaci.
Qualcuna di queste persone è diventata socio della cooperativa, qualcuna anche consigliere del Consiglio di amministrazione della Cooperativa Il Trattore. Un successo
da tutti i punti di vista.
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Economia, ambiente e cultura
Tutto questo non viene adeguatamente riconosciuto alla Cooperativa, che al contrario potrebbe svolgere un ruolo ancora più forte, innovativo e sicuramente positivo
per le persone svantaggiate, le loro famiglie e, più in generale, la società. Basterebbe che alla Cooperativa sia affidato qualche nuovo lavoro, potrebbero implementarsi automaticamente il numero degli occupati svantaggiati. Non si tratta di litanie
per avere “i finanziamenti”. Sarebbe sufficiente recuperare qualche brandello di
terreno incolto e in abbandono per avviare un progetto che – a parole – tutti dicono
di sostenere.
Sulla base di una situazione di questo tipo, molti si arrenderebbero, circoscrivendo il
proprio campo d’azione al proprio orto, in questo caso in senso non solo metaforico.
Ma la cooperativa è formata da ex giovani che, pur avendo qualche anno in più dalle
prime occupazioni delle terre, hanno mantenuto intatto l’iniziale spirito pionieristico.
L’esperienza collettiva e i personali percorsi di vita di ciascuno inducono a riflessioni,
valutazioni, ragionamenti, comparazioni. Alla fine i cooperatori appaiono concordi
quando si pone l’interrogativo sulle prospettive per il futuro: aumentare la produzione agricola, mettendo a coltura anche altri terreni per ora marginali, impiantare un
frutteto, sperimentare assieme all’agricoltura biologica anche quella biodinamica,
trovare altri terreni da coltivare, ospitare altri orti urbani, aprire un piccolo vivaio,
collaborare con scuole o istituti per espandere l’esperienza dell’orto didattico (simpaticamente soprannominato “orto in condotta”), acquisire nuovi contratti di manutenzione del verde pubblico e privato che possano garantire continuità e certezze…
Insomma i progetti non mancano, le prospettive sono chiare, la volontà e l’entusiasmo sono contagiosi.
Gli orti della Cooperativa
Il Trattore.
(Fonte: Archivio fotografico Il Trattore).
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Economia, ambiente e cultura
Per avere un quadro maggiormente definito sui progetti e le attività della Cooperativa basta scorrere il bilancio sociale. Quello del 2012 è un corposo documento
di molte pagine, che tratteggia la storia, le strategie e le prospettive che si sono
dati i cooperatori. All’ultimo capitolo sono analizzate le “Prospettive future di miglioramento”. Un’analisi senza fronzoli delle difficoltà, con l’indice puntato verso le
amministrazioni pubbliche che “per favorire il privato profit, ha scaricato sul sociale
la generale riduzione delle risorse…”. Una ricetta classica, ma che mina alla base il
contratto sociale che lega i cittadini alle loro istituzioni.
Di qua dalla palizzata che separa la politica dal lavoro nei campi, i cooperatori, le
persone svantaggiate e le loro famiglie, c’è energia e passione; dall’altra parte c’è
uno Stato disattento e in eterno ritardo. Bisogna abbattere quella palizzata e rendere
chiaro anche all’impalpabile decisore politico che l’agricoltura sociale, specialmente
in una città come Roma, non può arretrare, non può attendere. Non si tratta più di
esempi o casi di studio, ma della vita delle persone. Che non può che migliorare per
sottrazione, togliendo il superfluo e recuperando i valori ancestrali che legano l’uomo all’uomo, l’uomo alla terra.
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di Barbara Romagnoli
Giornalista, Apicoltrice
Una domenica di maggio, sveglia poco prima delle sette. Un caffè veloce e poi via,
a controllare che non ci siano sciami in giro. Ad una manciata di metri dagli alveari
ce n’è proprio uno fra gli ulivi. Le api penzolano su un ramo grande che non si può
tagliare ed è troppo alto per mettere un portasciami a terra dove indirizzare le api.
Allora prendiamo un portasciami di polistirolo, le corde e una scala e vediamo di trovare un’altra via per recuperare le api in fuga: può cominciare anche così una qualsiasi giornata della bella stagione, per chi ha scelto di dedicarsi alla cura delle api.
È il tempo in cui le famiglie crescono, stanno strette nelle vecchie mura e il nucleo familiare si divide e dà origine ad
una nuova famiglia. La regina vola via
con un bel po’ di api operaie, alla ricerca di una nuova casa. Noi apicoltori cerchiamo di intercettare lo sciame appena
lascia l’arnia e lo rimettiamo in “cassa”,
dove la giovane famiglia è in condizione
di riprendere il ciclo produttivo. Quello sull’ulivo non è uno sciame difficile,
in mezz’ora è dentro il portasciami e lo
sistemiamo fra gli altri alveari. A questo
punto possiamo iniziare la visita e il controllo di tutto l’apiario biologico.
Le nostre api vivono nelle campagne di
Oriolo Romano, a circa 60 km da Roma,
in un territorio agreste caratterizzato
dalla presenza di molti alberi centenari,
fra cui lecci, querce, olmi, castagni, tassi,
ligustri, peri selvatici e l’eccezionale faggeta che si estende per oltre 150 ettari a
soli 450 metri di altitudine. L’apiario ha
ottenuto la certificazione biologica anche
perché siamo nella “Valle del Mignone” –
zona a protezione speciale e con vincolo
idro-geologico – che fa capo all’università agraria di Oriolo. Non ci sono in questa
zona strade ad alta intensità di traffico,
insediamenti industriali né agricoltura
intensiva. Le api bottinatrici trovano il
loro cibo sulle tante specie di trifoglio
presenti in queste zone, sui fiori di prugno selvatico, sui rovi di more e orchidee selvatiche, sui cardi e la vitalba. Volano
anche sulla lavanda, il rosmarino, l’erica, la salvia e i fiorellini di campo.
Il logo dell’azienda
Romagnoli con il logo di
certificazione europeo
per i prodotti biologici in
vigore da luglio 2010.
Sciame sul pergolato.
(Foto di Andrea Capocasale).
Economia, ambiente e cultura
Il ritorno all’apicoltura
applicando pratiche biologiche
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
E non mancano gli alberi di castagno, le rose selvatiche, il lauro, il timo e la melata,
una secrezione zuccherina che attira molto le api, soprattutto quando trovano poco
nettare in giro. Lo scorso anno la siccità e quest’anno le molte piogge stanno mettendo a dura prova le fioriture stagionali, per cui le api possono ricorrere anche alla
melata per produrre il miele di cui hanno bisogno.
Le nostre api hanno sofferto un po’ l’inverno e iniziano ora a volare sui melari, la
parte di arnia sopra al nido dove ci sono solo i favi per far deporre il miele.
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Economia, ambiente e cultura
A lavoro nell’apiario
Romagnoli.
(Foto di Andrea Capocasale).
Per rafforzarle e per evitare che la varroa, malattia endemica delle api, prenda il sopravvento, scegliamo di trattare le nostre famiglie con dell’acido ossalico, consentito
in apicoltura biologica perché è un principio attivo naturale che non lascia residui nel
miele, a differenza di altri trattamenti chimici come gli antibiotici.
Vola via tutta la mattinata, le famiglie sono una trentina e nell’aprirle una ad una
controlliamo anche che siano in buona salute, con covata fresca e con la regina
non vecchia.
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
L’Intervista
Intervista a Lucia Piana, docente dell’Albo degli Esperti di
Analisi sensoriale del miele
Apicoltura non significa solo allevare api. Apicoltura è un insieme di attività con le quali chi si prende cura delle api vuole anche promuovere i prodotti dell’alveare, valorizzare la cultura che la comunità dentro l’arnia esprime con la sua organizzazione e con il suo sistema di vita, ma anche divertirsi
con la biodiversità espressa dal miele.
In Italia esiste l’Albo degli Esperti di Analisi sensoriale del miele, una sorta di sommeliers del miele.
Le modalità di assaggio professionale del miele sono state configurate negli anni Settanta da Michel
Gonnet, ricercatore esperto in miele (Station de Zoologie et Apidologie de l’Institut National de la
Recherche Agronomique, Montfavet), e permettono di riconoscere l’origine botanica dei mieli attraverso l’uso dei nostri sensi, orientandoli a una valutazione il più possibile dettagliata e rispondente
ad un alfabeto comune di riferimento che ha come codice comune la ruota dei sapori e degli odori.
Gli esperti di analisi sensoriale del miele sanno, infatti, che non è solo “dolce”, ma anche salato,
amaro, con diversi gradi di acidità, che variano in base all’origine nettarifera. L’Italia grazie alla sua
biodiversità e alla sua ricchezza vegetale produce moltissime qualità di mieli, che sono differenti nel
colore – dal trasparente al marrone scuro –, nel gusto, nella consistenza e, in base al rapporto degli
zuccheri presenti, possono essere più o meno liquidi o cristallizzati.
Da trent’anni, Lucia Piana, docente dell’Albo ed esperta di fama internazionale, attiva nell’International Honey Commission, gira l’Italia facendo corsi di primo e secondo livello per accedere all’Albo
nazionale degli assaggiatori di miele. Ha scritto insieme ad altri un originale librino che si chiama
Mielicromia [Mielithun edizioni], realizzato nella forma di un “pantone” dei mieli, una sorta di bussola per iniziare ad orientarsi fra pollini, aromi e colori.
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Da quando hai cominciato a oggi, dal tuo osservatorio privilegiato, ci puoi dire se è in atto un
ricambio generazionale e di genere nell’apicoltura?
Se prendiamo come riferimento il momento in cui ho iniziato (attorno al 1977) certamente sì. Proprio in quegli anni c’è stato un ritorno alla terra da parte di molti giovani “alternativi” e alcune
di quelle esperienze, nate come cooperative giovanili, sono oggi protagonisti del settore apicoltura
(per esempio Conapi). A parte queste esperienze, che rimanevano comunque minoritarie rispetto
al panorama generale, se devo descriverti l’apicoltore medio di allora era una persona abbastanza in
là con gli anni, di basso livello culturale e sicuramente di genere maschile. C’erano anche allora le
aziende intestate alle mogli degli apicoltori, ma generalmente per motivi fiscali e le donne magari
coadiuvavano i mariti, ma le vere conduttrici di azienda erano assai rare.
Il cambiamento maggiore è avvenuto con il diffondersi della Varroa, che ha eliminato dal panorama
apistico gli apicoltori non sufficientemente motivati o che non avevano accesso all’informazione o
assistenza tecnica. Direi che il cambio generazionale c’è stato, anche semplicemente per motivi anagrafici. Restano sicuramente delle zone d’Italia dove le cose non sembrano cambiate, per esempio
anche in termini di sommerso, ma nella maggior parte dei casi il panorama di oggi è molto diverso
rispetto a quello di allora.
Dal mio particolare osservatorio, noto che genere di persone che partecipano ai corsi di assaggio,
una volta era solo un’elite di apicoltori particolarmente evoluti rispetto alla media, che impegnava
il proprio tempo sull’argomento della conoscenza del prodotto, mentre oggi la maggior parte delle
persone che si affaccia al mondo dell’apicoltura vede come un obbligo il fatto di approfondire le
proprie competenze e seguire un corso di assaggio. Elemento non secondario da sottolineare: ci
sono molte più donne di un tempo e spesso sono le protagoniste delle azioni che qualificano la
produzione.
Pensi sia possibile per un/una giovane che oggi ha difficoltà a trovare lavoro, pensare di ricavare
un reddito dall’apicoltura?
Guardando un po’ il panorama generale, sembra che la produzione di miele e altri prodotti delle api
senta la crisi meno rispetto ai settori commerciali, industriali o di servizio. La situazione migliore mi
sembra, oggi come in passato, quella del reddito complementare. Questo perché l’apicoltura, come le
altre attività agricole, magari regge meglio la crisi economica generale, come sta dimostrando adesso, ma è soggetta agli andamenti climatici e alle avversità naturali e il reddito non è costante nelle diverse annate. Le aziende agricole di piccole dimensioni godono di agevolazioni che consentono una
maggiore redditività, rispetto ad aziende più grandi e strutturate. Poi non sarebbe prudente iniziare
con un numero elevato di alveari, visto che è necessario impadronirsi della tecnica per arrivare a una
produzione più abbondante e stabile. La risposta dunque è sì, ma con investimenti cauti e graduali.
Economia, ambiente e cultura
L’Intervista
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Alcune colonie sono decisamente brillanti e non possiamo non esserne orgogliosi.
Prendiamo appunti, come sempre, per avere un diario dello stato dell’arte delle
famiglie. Il lavoro di cura è faticoso, ma dà soddisfazione, soprattutto se è fatto per
scelta e con passione. Ad esempio, anche se non ci sono ancora le temperature estive, lavorare con la maschera tutta la mattina sotto il sole è come fare una sauna in
un hammam, per cui ci si ferma per mangiare qualcosa e una rinfrescata.
Abbiamo pensato di spostare qualche famiglia in una postazione in mezzo al bosco a
circa 3 km, per cui dobbiamo farlo verso sera, quando le api bottinatrici rientrano ed
è possibile chiudere l’arnia per lo spostamento. Il pomeriggio allora lo dedichiamo a
piccoli ma importanti lavori di manutenzione: pulizia dei portasciami, degli apiscampo – che consentono di recuperare i melari senza api in tempi brevi –, sistemazione
di cassette usate per il trasporto, controllo degli escludiregina. Si fanno le sette, l’ora
giusta per spostare le arnie nell’altra postazione e quando finiamo sta tramontando
il sole.
È una domenica di quelle che si potrebbe andare al mare o a fare una gita fuori porta, invece ho lavorato quasi dieci ore, sono un po’ stanca fisicamente ma è come se
avessi ricaricato le pile del cervello, con ossigeno ma anche belle emozioni, curiose
osservazioni e comprensione di come funziona questo affascinante super organismo, l’alveare. Perché la teoria serve ma non è sufficiente, l’osservazione costante
degli alveari è la pratica di conoscenza migliore per lavorare con le api, sono fra gli
insetti più studiati al mondo ma ancora non del tutto compresi.
A 39 anni, giornalista precaria e mille altri lavori per vivere, rimango meravigliata
ogni volta che sollevo il coperchio di un’arnia e vedo quel brulichio di piccole “individue” solerti e sempre in movimento. Quattro anni fa ho scelto di dedicarmi a loro
anche immaginando la possibilità di ricavarci un reddito alternativo ai miei lavori
precari, consapevole che i lavori agricoli sono in balia delle variabili del clima, che
l’apicoltura in particolare è un lavoro stagionale che tiene occupati nei mesi primaverili ed estivi e che non è facile “tornare alla terra”, dopo aver pensato di fare
altro nella vita e senza quel sapere contadino proprio di chi dalla terra non si è mai
allontanato.
Non sono partita da zero perché mio padre è apicoltore da quasi 40 anni, da sempre
ho seguito il suo lavoro da lontano, affascinata ma non interessata. Poi un giorno ho
deciso di fare un corso base e capirne di più. E mi sono ritrovata con tante e tanti
della mia età, precari o disoccupati, alla ricerca di un’altra via. È stata un po’ una
sorpresa trovarmi con molte giovani donne in quello che ho sempre visto, attraverso
mio padre e i suoi colleghi, come un mondo prevalentemente maschile.
Marina Turi, studiosa di statistica, su Treccani Magazine, citando i dati definitivi del
6° Censimento Generale dell’Agricoltura, divulgati dall’Istat, afferma: “Mostrano un
settore in evoluzione negli ultimi 10 anni, periodo influenzato dalla crisi economica, dalla
volatilità dei prezzi, dalla nuova politica agricola comunitaria (PAC) e dalle sfide della sostenibilità ambientale. Il numero delle aziende agricole in Italia è sì calato del 32,2%, ma
ad abbandonare i campi sono stati più gli uomini che le donne: le aziende agricole condotte da donne sono quelle che più resistono alla crisi e che diminuiscono in percentuale
minore rispetto a quelle a conduzione maschile (-29,6% contro il -38,6%), passando così
dal 30,4% al 33,3%. E in agricoltura il lavoro delle donne cresce soprattutto al Sud: valori
superiori alla media si registrano nel sud con il 34,7% e nel centro Italia con il 31,9%.
Forza lavoro femminile maggiormente rappresentata dalle aree multifunzionali del
settore, ovvero l’agriturismo (39,2%) e il biologico (32,4%), ma anche dal florovivaismo
(23,6%) e dal comparto del vino (23,1%). La maggior parte di loro (29,5%) ha meno di 40
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G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
Una procedura per il recupero dello sciame: alcune api
entrano subito nell’arnia di
polistirolo, altre salgono su
pian piano.
(Foto di Andrea Capocasale).
Economia, ambiente e cultura
anni, il 28,9% ha fra 40 e 54 anni mentre le over 55 sono il 26,7%. Inoltre fra le più giovani,
sotto i 40 anni, il 10% sono laureate”.
Per quanto riguarda l’apicoltura, non ci sono dati specifici su quante donne sono
coinvolte, i dati Istat sugli agricoltori italiani divisi per Regione e classe d’età ci dicono che nel Lazio ci sono 8.831 agricoltori fino ai 40 anni e a livello nazionale gli
alveari biologici sono circa 100mila [Sinab, 2011]. Nel compiere la mia formazione
come apicoltrice ho fatto corsi un po’ in tutta Italia e nello scambiare informazioni
e opinioni con le altre donne abbiamo convenuto su come anche questo settore sia
faticoso per noi donne. Si ritrovano logiche di potere e modalità relazionali tipiche
degli uomini, ma siamo determinate a farci spazio.
A Brescia ho conosciuto Alessandra, 38 anni, che di professione fa l’apicoltrice, anzi
alla domanda “che lavoro fai?” risponde “la mamma e l’apicoltrice” perché ha due
bimbe, e quando si è trattato di scegliere fra la triade lavoro fisso/figlie/api ha scelto
il binomio figlie/api, riprendendo in mano una tradizione contadina familiare dopo aver studiato e lavorato in un ufficio. E non si è pentita, nonostante l’agricoltura ha le sue variabili che non consentono un
reddito fisso, nonostante è difficile allevare api nella
patria della monocoltura del mais, fra concianti e
pesticidi, e nonostante il mondo dell’apicoltura sia
ancora un mondo molto maschile. È una donna caparbia: “Forse qualcuno non ha ben chiaro un concetto: senza agricoltura non si mangia. Neppure il
più ricco sceicco con i rubinetti d’oro o il più potente
presidente potrebbe vivere senza agricoltura, o meglio, senza i prodotti che la terra dà. Ricchissimi o
poverissimi, siamo degli eterni feti attaccati al suo
cordone ombelicale. La terra vive senza l’uomo.
Nessun uomo vive senza la terra. E avvelenare lei
vuol dire avvelenare noi stessi. Il gesto ecologico
estremo sarebbe ‘non esserci’, per questo la nostra
vita nei confronti della terra deve essere percorsa in
punta di piedi. Stando attenti a disturbare il meno
possibile ogni equilibrio. Senza la boria che accompagna chi crede di esserle indispensabile o chi è
convinto che senza ‘pesticidi’ o ‘ogm’ la terra non
saprebbe prendersi cura di noi.”
I pesticidi sono i nemici giurati delle api e proprio
di recente l’Europa ha messo al bando per due anni
quelli più nocivi per la salute delle api. Si tratta di
Imidacloprid e Clothianidin prodotti dalla Bayer e
del Thiamethoxam della Syngenta. I trattamenti con
i cosiddetti neonicotinoidi saranno permessi solo
nelle coltivazioni che non attirano le api, come nel
caso dei cereali invernali, delle varietà coltivate in
serra e per la produzione di sementi.
Non è ancora chiaro a tutti che la maggior parte del cibo che mangiamo dipende
in modo significativo dall’opera delle api e degli altri insetti impollinatori, tutti loro
compiono un servizio chiave per gli ecosistemi. Senza l’impollinazione effettuata da-
Al centro della foto un’ape attaccata
dalla varroa, acaro parassita esterno.
La varroa si può riprodurre solamente in una colonia di api mellifere, si
attacca al corpo dell’ape e la indebolisce succhiandone l’emolinfa
(Foto di Andrea Capocasale).
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“ R I TO R N A R E A L L A T E R R A”, C O M E E P E R C H É
Economia, ambiente e cultura
Alveari colorati nell’azienda
Romagnoli.
(Foto di Andrea Capocasale).
gli insetti, infatti, circa un terzo delle colture a scopo alimentare dovrebbe essere
impollinato con altri mezzi, oppure avremmo una produzione di cibo significativamente inferiore.
Ma non sono solo i prodotti chimici usati in agricoltura a rappresentare un pericolo
per la salute delle api, anche in apicoltura ci sono dei prodotti che andrebbero eliminati del tutto, soprattutto quando i residui li ritroviamo nel miele come gli antibiotici,
usati per eliminare la varroa, già vietati per legge in Italia, ma che poi rientrano
dalla finestra o attraverso l’importazione di miele da paesi in cui è consentito usare
gli antibiotici, o perché alcuni apicoltori sono convinti della bontà del loro uso e li
utilizzano illegalmente.
Soprattutto nelle vecchie generazioni si trovano curiosi paradossi per cui ci si ritrova
con apicoltori che danno consigli su dove mettere piante nettarifere accanto agli
alveari e poi suggeriscono l’uso del diserbante per contrastare l’erbacce!
Non c’è dubbio che fra i giovani di ritorno all’apicoltura c’è una sensibilità diffusa diversa, siamo in tanti convinti della necessità di pratiche biologiche, rispettose
dell’ambiente e del territorio.
Nel direttivo dell’Aral, associazione regionale apicoltori Lazio, adesso c’è anche Loretta Proia, giovane apicoltrice biologica, 35 anni.
Aveva iniziato la carriera universitaria in scienze naturali poi, più che scegliere l’apicoltura, sono state “le api che mi hanno scelto”, racconta Loretta. “Forse perché sono
sempre stata legata alla terra e se pensavo ad un lavoro non mi sarei mai immaginata
dentro un ufficio, circa 12 anni fa sono arrivate le api e con loro la passione”.
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Il Progetto “Fattorie apistiche didattiche”-FAD
Da qualche mese gli apicoltori dell’Associazione regionale apicoltori del Veneto sono impegnati nella realizzazione di un progetto ambizioso. Il loro entusiasmo nel proporlo ha già coinvolto diverse
aziende e singoli apicoltori sparsi in tutta Italia.
L’idea è creare una rete nazionale di Fattorie apistiche didattiche per valorizzare il ruolo dell’apicoltura nelle esperienze di didattica con le generazioni future, in particolare i progetti di didattica che
riguardano le scuole.
L’intento è anche quello di creare una situazione di regole condivise, con una carta della qualità che
garantisca accoglienza, sicurezza e qualità nella didattica. È questo probabilmente il passaggio più
faticoso perché ci sono alcune Regioni che sono avanti anni luce rispetto ad altre, il Lazio purtroppo rientra in quelle meno organizzate. Non esiste una carta di qualità regionale, né una normativa
chiara sulle fattorie didattiche.
Nonostante queste difficoltà, il gruppo di lavoro si sta ampliando e pian piano si cercherà di partecipare anche a dei bandi di finanziamento europei.
In sintesi i punti principali del Progetto FAD-Fattorie apistiche didattiche:
- Conservare e salvaguardare la biodiversità della vita;
- Garantire e testimoniare lo stato di salute del territorio;
- Ricercare, scambiare e diffondere la cultura dei saperi del territorio;
- Valorizzare le tecniche che danno produzioni biologiche;
- Migliorare la nostra qualità della vita;
- Conservare le tradizioni rurali valorizzando le “Piccole Produzioni Locali”;
- Rendere il paesaggio più accogliente per tutti;
- Creare, scambiare e fornire una formazione continua;
- Oggi più che mai, creare nuova occupazione per le nuove generazioni;
- Diversificare le produzioni per integrare il reddito aziendale;
- Creare stimoli ed emozioni per motivare i giovani;
- Sperimentare con i sensi, seguire i ritmi lenti della natura;
- Seguire l’esempio dell’alveare: unire le forze per fare insieme, scambiando esperienze e idee costruttive.
Economia, ambiente e cultura
Scheda
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Economia, ambiente e cultura
Essere produttrice biologica ha un valore aggiunto?
“Direi che il marchio bio più che altro certifica il lavoro svolto dagli apicoltori che credono
in una conduzione biologica dell’azienda, ma non credo che influisca molto sui consumatori”. Anche lei, in quanto donna, ha faticato a entrare nel mondo associativo: “se sei giovane sei classificato come inesperto e poi se sei donna è ancora peggio, non considerano
che puoi fare questo lavoro tutto da sola senza nessun aiuto. Hanno una visione piuttosto
limitata delle capacità di una donna. Per fortuna, una volta fatta la conoscenza, si ricredono, ma ci vuole del tempo”.
E tanta pazienza, aggiungo io. La stessa che è necessaria per riuscire ad ascoltare,
quando meno lo si aspetta, il canto della regina. Un suono acuto e non particolarmente delicato che emettono le api regine. Una vibrazione acustica che serve loro
per comunicare, molto probabilmente è il modo per invitare i fuchi a volare quando
si tratta di una regina vergine che deve compiere il volo nuziale, ma potrebbe essere
anche un segnale di aiuto che suggerisce alle operaie che la regina ha bisogno di
sostegno.
La comunicazione fra api è ancora molto studiata ed è fra gli aspetti più affascinanti
del mondo dell’alveare: attraverso le danze le api parlano fra loro, un linguaggio
complesso che si esprime anche attraverso diversi “dialetti” così come avviene per
la comunicazione umana. A vederle lavorare tutte insieme, non viene da pensare che
ci sia troppa incomunicabilità, piuttosto che abbiano trovato un buon equilibrio fra
segnali ormonali, danze e ronzii.
G A Z Z E T TA A M B I E N T E N 2 // 2 0 1 3
di Marta Di Pierro
Responsabile della Certificazione biologica di "Agricoltura Nuova"
“… non c’è nulla di più inedito di quanto è stato già pubblicato, niente di più attuale di
quanto è stato dimenticato, niente di più istruttivo di quanto rievoca scampati pericoli e
mette in luce congenite malformazioni mentali, e quindi ci incoraggia a proseguire nella
giusta battaglia”. (Antonio Cederna)
Per chi, come me, ha circa 30 anni, Agricoltura Nuova esiste da una vita; nonostante
ciò, è il think-tank agricolo più moderno che conosca. La Cooperativa Agricola Sociale Integrata Agricoltura Nuova nasce il 2 luglio del 1977 dopo mesi di riunioni, incontri, discussioni. Fu una decisione presa solo qualche mese dopo la scoperta che negli
anni ’60 il Comune di Roma aveva acquistato la tenuta La Perna favorendo le grandi
proprietà assenteiste e l’edificazione. “Si doveva occupare e bloccare il progetto delle
Tre Decime, bisognava rimettere a coltura la nostra terra, la terra del Comune di Roma”,
racconta Pietro Patacconi, uno degli artefici della Cooperativa.
In una lettera aperta del 1° gennaio ’78 possiamo leggere il punto di vista e i sentimenti che animavano quelli che, allora, erano ragazzi di circa 20 anni. “Parlare
di giovani, di occupazione, di agricoltura è diventato negli ultimi tempi luogo comune
ed i partiti democratici in primo luogo si sforzano con la politica di emergenza e unità
nazionale di trovare soluzione ai gravi problemi del Paese e dei giovani. Si è più che mai
consapevoli che il Paese ha bisogno di uno sforzo comune di tutti, ma soprattutto dei giovani che devono poter trovare spazio per liberare positivamente tutte le loro energie, per
misurare le loro capacità, per avere un ruolo costruttivo nella società. […] La Cooperativa
Agricoltura Nuova, formata da giovani disoccupati, braccianti e contadini è stata forse
uno dei primi esempi di questa nuova volontà costruttiva dei giovani”.
Questo fu quel che accadde: semplicemente, si occuparono i terreni su cui, tuttora, insiste la Cooperativa Agricoltura Nuova, terreni destinati alla lottizzazione e alla cementificazione sui quali si voleva costruire un quartiere per le migliaia di abitanti che, seguendo un percorso più volte battuto, si sarebbero trasferiti dalla campagna alla città.
“La cooperativa di Decima, senza finanziamenti, senza adeguati mezzi meccanici, ha
messo a coltura, dal 2 luglio del ’77, 180 ettari di terreno di cui 20 a ortaggi, 20 ad erbaio,
15 a mais, ed i restanti a granaglie. È stato uno sforzo immenso che però ha reso in poco
più di un anno un fatturato di 90 milioni, la maggior parte dei quali, per scelta consapevole dei soci, reinvestiti per consolidare l’azienda” si legge nella lettera. L’occupazione
bloccò lo sviluppo edilizio, riportò la destinazione d’uso dei terreni ad agricola e pose
le basi per la successiva trasformazione dell’area nella riserva naturale di Decima
Malafede (1997).
In questa zona possiamo trovare ora le maggiori aree boschive dell’Agro Romano, le
quali costituiscono una delle maggiori foreste planiziali del bacino del Mediterraneo.
Economia, ambiente e cultura
Occupazione, tutela degli habitat
e del paesaggio, inclusività
sociale: valori e attività di
"Agricoltura Nuova"
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Economia, ambiente e cultura
Torre Perna, il silo e la
stalla in una foto del
1978.
(Fonte: Archivio fotografico
di Agricoltura Nuova).
Uno studio del WWF testimonia il grande bacino di biodiversità con oltre 800 specie
vegetali registrate. Ma Decima Malafede può anche vantare insediamenti umani che
risalgono alla prima preistoria e resti di ville romane che, nell’alto medioevo, vennero trasformate in grandi casali, edifici fortificati e torri in grado di assicurare il controllo del territorio e delle strade tanto che questa zona può essere presa a modello
dell’evoluzione complessiva dell’Agro Romano.
Il primo presidente della Cooperativa racconta come in quegli anni il recupero delle
terre incolte “avesse motivazioni diverse da quello dell’immediato dopoguerra, quando
il bisogno di terra era legato alla miseria, allo sfruttamento, all’emancipazione sociale
e culturale”.
Negli anni ’70, “le ragioni principali erano il rilancio dell’agricoltura, il ritorno dei giovani
alla terra, la qualità del cibo e degli alimenti, la salvaguardia del territorio, dell’ambiente
e del paesaggio agrario”. Ragioni ancora vive nell’attività produttiva, sociale, politica
e civica della cooperativa ai nostri giorni.
I soci della Cooperativa si propongono dal ’77 – cito dallo Statuto – di consentire
ai propri soci l’occupazione permanente in agricoltura, la massima redditività del
lavoro e la massima produttività della terra; di perseguire l’interesse generale della
comunità alla promozione umana ed alla integrazione sociale dei cittadini attraverso
la gestione di attività produttive nelle quali realizzare l’integrazione e l’inserimento
di persone socialmente svantaggiate, con particolare attenzione a persone portatrici
di handicap, psichici e/o fisici; di valorizzare i prodotti provenienti dall’attività dei
soci produttori agricoli e da questi conferiti alla cooperativa provvedendo alla loro
trasformazione e commercializzazione.
I tempi sono cambiati e la cooperativa ha avuto modo di allargarsi e ampliare gli orizzonti. Soprattutto, i soci fondatori che erano all’epoca giovani uomini e donne sono
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Economia, ambiente e cultura
diventati adulti, genitori, nonni. I nuovi soci sono nati e affrontano un mondo diverso
da quello di 30 anni fa.
Lo scopo dell’occupazione in agricoltura rimane un caposaldo della cooperativa, così
come la possibilità di un reddito dignitoso dal lavoro nei campi e la giusta produttività
della terra, nel rispetto di essa e delle persone che la lavorano. Ognuno di questi
obiettivi ha preso nei decenni un nuovo significato. Lavorare in agricoltura, rispettando le capacità produttive naturali e guadagnando un reddito dignitoso, non è solo
un modo di creare occupazione ma anche di tutelare gli habitat e i paesaggi, conservare il suolo e i bacini idrici, affermare uno stile di vita sostenibile, un patrimonio
culturale, un’identità, un patto sociale.
Nel tempo l’occupazione in agricoltura si è diversificata secondo tutte le direzioni
consentite dallo sviluppo multifunzionale. Da oltre trent’anni, la cooperativa si occupa di ristorazione arrivando oggi a gestire due ristoranti con punte di 400 coperti
durante il periodo estivo, un bar e un servizio mensa aziendale aperto anche ad avventori esterni. Molto attivo anche il settore dei catering e della gestione d’eventi. Dal
2002, Agricoltura Nuova fa parte della Rete delle Fattorie Educative di RomaNatura
(l’Ente Regionale per la Gestione del Sistema delle Aree Naturali Protette nel Comune di Roma) e accoglie in media ogni anno 10.000 bambini provenienti dalle scuole
romane. Da sempre si pratica la condivisione dei saperi, nella consapevolezza che
sia fondamentale per i bambini imparare a conoscere, amare e rispettare il patrimonio naturale che in futuro sarà affidato loro.
L’interesse alla promozione umana ed alla integrazione sociale, attraverso la gestione di attività produttive nelle quali effettuare l’inserimento di persone svantaggiate, è
un obiettivo che, dall’inizio, viene realizzato quotidianamente. Negli anni, Agricoltura
Nuova ha mantenuto la caratteristica di essere una realtà estremamente inclusiva:
in primis, è riuscita a mantenere tra i soci i rapporti tipici delle piccole comunità evitando l’instaurarsi dei caratteristici rapporti aziendali e favorendo l’inserimento; in
seconda istanza, i processi produttivi sono stati sviluppati e allargati fino a individuare mansioni e tempi adatti alle caratteristiche personali dei lavoratori svantaggiati.
Sotto questo aspetto, l’impegno della cooperativa sta diventando sempre più grande.
La capacità delle aziende agricole di promuovere vari servizi – culturali, educativi,
assistenziali, formativi – al fianco della tradizionale funzione produttiva di beni alimentari è stata ormai più volte dichiarata. Nello specifico, le potenzialità di Agricoltura Nuova di generare benefici e servizi per i gruppi vulnerabili della popolazione
non sono ancora state sfruttate se non in maniera marginale. Così come è ancora
limitata la divulgazione del bagaglio di conoscenze della cooperativa sui processi
di produzione biodinamica, sulla ricerca e la sperimentazione di innovazioni per favorire lo sviluppo sostenibile, sul consumo critico e i gruppi di acquisto solidali, sul
percorso per la preservazione dell’ambiente e della vocazione del territorio.
Inalterata dagli anni invece la scelta cooperativa che rimane attuale e condivisa. La
forma cooperativa non è solo una maniera di ridurre il rischio imprenditoriale attraverso l’interazione con altre persone. La discussione, il confronto, la diffusione
della conoscenza, le esperienze e la loro condivisione, sono tutti modi per arricchirsi
umanamente, professionalmente e per fare sistema. Essere contemporaneamente
titolari e dipendenti responsabilizza e inorgoglisce. Il sistema cooperativo di produzione agricola permette di perseguire uno scopo economico senza venir meno alla
solidarietà e alla mutualità tipica dei rapporti umani in ambiente rurale.
Ad oggi, l’azienda produce cereali, latte, miele, frutta, olio d’oliva, uova, legumi, carni e ortaggi di stagione e alleva pecore, vitelli, maiali, capre, galline e api, tutto con
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metodi rigorosamente biologici. Da poco ha inoltre iniziato a produrre terriccio da
compost, olii essenziali, lana. Molti prodotti, quali i cereali e il latte, vengono trasformati direttamente in azienda in pane, pasta, dolci, formaggi, ricotta, yogurt e vengono venduti nello spaccio aziendale o serviti nel menù del ristorante e del servizio
catering.
Per superare i vincoli derivanti dalla vendita ai grossisti la cooperativa dispone di
quattro punti di vendita diretta: due nelle sedi dell’azienda e due nei mercati rionali
di Roma70 e Tor De Cenci. Inoltre, grazie all’idea del Cassettone Bio – una cassetta
di frutta e verdura biologica di stagione a prezzo fisso – la cooperativa è stata uno
dei motori dello sviluppo dei gruppi d’acquisto a Roma, che, fino a quel momento,
erano pochi nuclei, spesso in difficoltà nel reperire i prodotti e che andavano avanti
soprattutto per la tenacia di chi ne faceva parte.
Fermando il brulicare della Cooperativa in un’immagine, per comprenderla ed osservarla meglio, avremo sotto i nostri occhi una cartina con tre aree colorate tutte
appena a ridosso del Raccordo anulare. La prima sarebbe la sede storica, nell’area
di Decima, sulla Pontina. Una seconda area colorata sarebbe sull’Ardeatina, proprio
di fronte al Santuario del Divino Amore. E la terza, sarebbe a Castel di Guido, dove la
cooperativa ha recuperato un oliveto abbandonato e lo coltiva per il Comune di Roma.
A Decima si svolge la maggior parte delle attività produttive: lì infatti troviamo i campi seminati – grano tenero, grano duro, orzo, segale o quel che prevede il piano
colturale dell’anno in corso – insieme al molino e al forno. Poi le serre e l’orto, le
mucche da carne, le pecore da latte – e la sala per la mungitura, il caseificio, le celle
di stagionatura, diverse in base alla tipologia del formaggio che si vuole ottenere
– i maiali, gli alveari, il laboratorio per la smielatura. L’azienda è sempre aperta e,
secondo il modello del parco agricolo urbano, le aree sono fruibili e gli spazi e le attività invogliano alla frequentazione della fattoria grazie a un’area pic-nic, un parco
avventura, il ristorante, l’area di addestramento cani, il circolo ippico, il punto per la
vendita diretta, la fattoria didattica. Gli spazi diventano polifunzionali e si trasformano in sala convegni, palco, teatro, area gioco per feste e centri estivi…
La fattoria di Agricoltura Nuova non è più solo luogo di produzione agricola ma anche energetica e di contenuti culturali ed ambientali: ecco che nella fattoria trovano
spazio il fienile fotovoltaico e un centro sperimentale per le energie alternative con un
interessante sistema d’impianti dimostrativi per la produzione di acqua calda e di energia, ricavati dal sole e dal vento. Il nostro impegno per l’ambiente riguarda anche la
gestione del ciclo dei rifiuti sia con progetti futuri – come ad esempio il digestore
anaerobico – che con progetti che vanno avanti ormai da oltre 10 anni: è dal 2002 che
un impianto di compostaggio trasforma circa ventimila tonnellate l’anno di residui
di potatura in fertilizzanti usati per mantenere e aumentare la fertilità dei terreni.
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Queste attività danno un contributo importante per la raccolta differenziata dei rifiuti
di Roma e dintorni perché tali residui non finiscono più in fumo o in discarica ma
vengono valorizzati e reinseriti nel ciclo dei nutrienti.
Siamo di fronte all’esempio forse più ampio e completo di quello che l’agricoltura
multifunzionale può proporci. Questo soprattutto grazie a tre componenti chiave della storia della cooperativa: il tessuto urbano che la circonda, la capacità di precorrere i tempi che ha permesso di iniziare questo processo, insieme alle esperienze di
agricoltura sociale, molto molto prima che se ne iniziasse a parlare e la decisione
– tuttora valida – di reinvestire gli utili. E, piace sottolinearlo, questo concetto dell’investire su terreni e cose che mai saranno di proprietà, sul bene pubblico, soprattutto
vista l’abitudine di tanta parte della nostra società di sgranare parole come in un rosario: quasi che ripetere green economy, impresa sociale, cooperativa, terre pubbliche, senza fare, senza far seguire azioni, possa bastare a cambiare lo stato dei fatti.
È stata proprio questa tensione al fare che ha dato vita alla sede di Castel di Leva,
sull’Ardeatina, sempre su terreni in affitto. Lì, oltre ai campi coltivati e al pascolo
per le pecore si può trovare il vivaio, il ristorante, il punto vendita, il distillatore e le
fila di lavanda, rosmarino e delle altre aromatiche, l’area addestramento cani, l’area
camper, il parco avventura, gli orti urbani.
Agricoltura Nuova coltiva i suoi terreni secondo il metodo biologico dalla fine degli
anni ‘80. Punti fermi dell’agricoltura biologica sono la stagionalità dei prodotti, la
biodiversità, la concezione della terra come elemento vivo, il rispetto degli animali,
dell’aria e dell’acqua e il rispetto per le future generazioni. Ma tutto ciò perderebbe
di significato senza altre componenti che caratterizzano la nostra struttura produttiva e distributiva: la diversificazione della produzione agricola e dell’allevamento, la
trasformazione interna all’azienda dei prodotti e la vendita diretta.
Fienile fotovoltaico.
(Fonte: Archivio fotografico
di Agricoltura Nuova).
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Agricoltura Nuova ha
realizzato il Laboratorio
dell'Energia, una sorta di
centro sperimentale per
le energie alternative con
un sistema d’impianti
dimostrativi per la produzione di acqua calda
e di energia, ricavati dal
sole e dal vento.
(Fonte: Archivio fotografico di Agricoltura Nuova).
Il nostro concetto di biologico va oltre il rispetto del disciplinare, è un modello di
“sviluppo” agricolo a tutto tondo e, soprattutto, è un modo di fare che ci porta a
convogliare le nostre energie in un processo che è anche un agente di cambiamento.
Coltivare, allevare e produrre nel rispetto della vita ci spinge costantemente verso
nuovi modelli di sviluppo più sostenibili ed etici.
Il processo di produzione che seguiamo è basato sul metodo organico-biologico ed
è imperniato sulla filiera che fa dell’azienda agricola un luogo di produzione, trasformazione e vendita – andando oltre la semplice apposizione su un’etichetta di un
marchio di garanzia e cercando il contatto diretto con il consumatore.
Tra le principali aziende italiane anche per quanto riguarda la filiera corta, siamo orgogliosi di poter controllare – avendo allungato la filiera di produzione – l’intero ciclo
produttivo di una così vasta gamma di prodotti, garantendone la qualità, limitando
inquinamento e utilizzo delle risorse, e mantenendo un alto livello occupazionale.
Il caseificio di Agricoltura Nuova ne è un ottimo esempio: nasce nel 1986 a seguito
della volontà di chiudere il ciclo del latte ovvero di effettuare tutti i passaggi che
portano dal gregge, al latte, alla caseificazione, alla vendita diretta. All’epoca la cooperativa aveva un gregge di 500 pecore e produceva latte che vendeva a un caseificio
industriale. In seguito al modificarsi della dieta e all’importazione di latte dall’estero,
il prezzo del latte iniziò a scendere; ad oggi, il latte continua ad avere circa il prezzo di
un quarto di secolo fa. Divenne dunque necessario “industriarsi” nell’eseguire i vari
passaggi produttivi acquisendo in questo modo conoscenze antiche e accumulando i
giusti compensi di ogni trasformazione.
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Economia, ambiente e cultura
Un ciclo chiuso garantisce il controllo di
tutti i passaggi produttivi e quindi totale
tracciabilità del prodotto. Inoltre, permette di uscire dalla logica della grande distribuzione che tiene sotto scacco i piccoli produttori: un formaggio buono, sicuro
e ad un prezzo decente per produttore e
consumatore.
Grazie a questa scelta, il formaggio della cooperativa non
è una merce di cui tagliare i costi e incrementare guadagni, ma un prodotto
fatto a mano, curato in ogni passaggio come ogni prodotto Made in Italy che si rispetti. Dall’86 a oggi i formaggi della cooperativa sono migliorati sempre più come
attestano i vari premi vinti grazie a primo sale, caciotte e pecorini.
Nel tentativo di un continuo miglioramento del nostro modo di fare agricoltura continuiamo a sperimentare, analizzare, guardarci intorno come oltre 35 anni fa, quando
eravamo alle prime armi e accettavamo di buon grado l’aiuto dei contadini di Maccarese. Adesso siamo curiosi di sperimentare nuove tecniche colturali e abbiamo
iniziato ad avvicinarci alle tecniche di agricoltura biodinamica. Siamo inoltre sempre
alla ricerca di varietà colturali antiche e dimenticate: nel 2009 abbiamo coltivato
grano monococco – che però dava rendimenti troppo bassi per mantenere la nostra
politica del biologico per le famiglie – e stiamo ora riproducendo il seme del monococco nudo, una varietà di monococco che dovrebbe permetterci di superare questa problematica. Allo stesso tempo, partecipiamo ad un gruppo di ricerca condotto
dagli agricoltori per gli agricoltori volto alla ricerca di innovazioni per l’agricoltura
contadina.
Operai al lavoro nel caseificio
di Agricoltura Nuova aperto
nel 1986.
(Fonte: Archivio fotografico di
Agricoltura Nuova).
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Economia, ambiente e cultura
Siamo sempre molto attivi anche per quanto riguarda l’impegno sociale. Al di là
dell’inserimento lavorativo, che comunque continua nella quotidianità del lavoro d’azienda, abbiamo iniziato un percorso con gli istituti penitenziari della Regione Lazio,
firmando un protocollo d’intesa con il Garante dei detenuti ed il provveditorato con l’obiettivo di mettere a sistema
e far fruttare i tenimenti agricoli delle carceri mettendo a
disposizione know how e struttura commerciale. Ad oggi,
abbiamo rapporti settimanali con il carcere femminile di
Rebibbia per il quale commercializziamo conigli e funghi.
Di fondamentale importanza inoltre, soprattutto dal punto di vista di quei trentenni per cui Agricoltura Nuova è
sempre esistita, è la capacità della Cooperativa di stare
al passo con i tempi. Da una parte, Agricoltura Nuova
continua, raccolto dopo raccolto, a “dar sostanza” al concetto di sovranità alimentare,
dall’altro è in prima linea nel
dibattito politico sul destino
delle terre pubbliche, delle
politiche alimentari, del ricambio generazionale in agricoltura sia portando avanti la
Vertenza per la Salvaguardia
dell’Agro Romano e il movimento ad essa collegato, sia
partecipando
attivamente
alla vita associativa dell’AIABAssociazione Italiana per l’Agricoltura Biologica e, tramite
questa, a La Via Campesina, movimento internazionale che rappresenta i contadini
del mondo nel dibattito con le istituzioni di governance globale.
Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica: siamo anche molto testardi, piuttosto disordinati, spesso anacronistici, talvolta luddisti informatici e quasi sempre non
brillantissimi nella comunicazione… e come cooperativa abbiamo tanti altri difetti
che vi invitiamo a venire a conoscere.
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Sulla riappropriazione delle
terre pubbliche. Una risorsa
per il presente
di Giacomo Lepri
Presidente della Cooperativa romana agricoltura giovani-Co.r.ag.gio.
"Ogni pensiero sorge nella mente e nel suo sorgere mira a passar, fuori della mente,
nell’atto; proprio come ogni pianta, germinando, cerca di salire alla luce".
(Ralph Waldo Emerson)
Introduzione
Un percorso costruito sul valore dello spazio, del territorio e degli elementi dell’ecosistema. La passione per l’agricoltura, messa a sistema in un impegno che va
oltre quello strettamente occupazionale, con uno sguardo attento alle esigenze di
autosufficienza alimentare e di rispetto per l’ambiente. Di questi elementi si sono
imbevuti i due anni della Cooperativa Co.r.ag.gio.(Cooperativa romana agricoltura
giovani), e l’esperienza personale di cinque anni dedicati all’agricoltura.
Questa relazione si propone come resoconto della vertenza “Terre pubbliche ai giovani agricoltori”, affrontata insieme ai numerosi protagonisti di un movimento eterogeneo e trasversale.
Importante chiarire i contesti economici e antropologici in cui ci siamo mossi, attraverso i percorsi congiunti dell’analisi e della proposta, della teoria e della pratica.
Abitanti della società di massa, siamo stati abituati da un trend mediatico tipico ad
essere attratti da notizie forti, dal tono quasi scandalistico, da prima pagina, che
parlano di occupazioni, grandi manifestazioni, di eventi eccezionali. Non è mai stata questa la vera e profonda forza della “Co.r.ag.gio.”, motore di sensibilizzazione,
prima anche che venisse costituita
la cooperativa agricola. La storia la
fanno i gesti quotidiani, le piccole
cose, le minuziose azioni di studio e
pratica. Per questo si è deciso di lavorare sui contenuti e sulle proposte
di volta in volta veicolate attraverso
una comunicazione diretta alla cittadinanza. Per la stessa ragione si
è prestata attenzione al dialogo tra
generazioni, guidati dalla prudenza,
capace di saggiare stati d’animo e
dare il tempo necessario all’assimilazione per chi guarda o vive le nostre esigenze.
La battaglia “Terre pubbliche ai nuovi
agricoltori” è riuscita a imporsi nella sensibilità dei cittadini prima, e
Un'iniziativa pubblica della Cooperativa Co.r.ag.gio. per
ampliare il consenso
sulla coltivazione delle
terre pubbliche a i nuovi
agricoltori,
(Fonte: pagina Facebook
Presidio permanente di
Borghetto San Carlo!
Terre pubbliche ai giovani
agricoltori).
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nell’agenda politica dopo. Nelle ultime campagne elettorali, ad esempio, i candidati alle comunali di Roma (di ogni schieramento) non hanno potuto fare a meno di
promettere la gestione delle terre ai nuovi contadini, stimolati dall’impegno di due
anni di lavoro del “Coordinamento romano per l’Accesso alla terra”. Nel Consiglio della
Regione Lazio, ora, si riscontrano i primi feedback grazie anche ad una proposta di
legge per mettere a bando le terre pubbliche.
Nel frattempo la qualità dell’informazione sul tema è migliorata (per quanto sia
perfettibile; spesso viene riversata in contenitori di “moda e costume”, preferendo
all’analisi socio-economica, un approccio superficiale): i media fanno rimbalzare dichiarazioni, inviti ad eventi pubblici, campagne sulla risorsa terra “del Comune agricolo più grande d’Europa” (formula divenuta d’obbligo per chi parli di Agro romano,
eppure ignorata per lunghissimo tempo).
Questi elementi, tra gli altri, significano una cosa: il concretizzarsi dell’accesso alle
terre pubbliche e la realizzazione di aziende agricole multifunzionali in grado di garantire servizi alla città, non sono solo l’aspettativa di chi come noi non possiede
mezzi e fondi necessari per fare impresa, ma lo è anche per coloro che vivono la
Capitale e per essa immaginano un modello di sviluppo economico sostenibile.
Un ruolo fondamentale in questo contesto così favorevole è giocato paradossalmente
dalle criticità, se utilizzate come opportunità di riscossa: la disoccupazione giovanile,
con la disillusione che ne consegue, la crisi ambientale, con ampie ricadute sulla
salubrità dei luoghi di vita, la crisi della città e dell’urbanizzazione incontrollata, che
rende spaesati gli abitanti delle metropoli, la crisi dell’agricoltura “convenzionale”,
piegata agli imperativi della produttività e del mercato, quindi dannosa per l’ambiente, oltre che poco competitiva sul mercato globale. Le soluzioni ci sono, e partono
dal riconoscimento delle risorse: nuove generazioni professionalizzate da esperienze lavorative o con importanti titoli di studio (spesso poco spendibili), spazi verdi di
proprietà pubblica (molti abbandonati), domanda crescente di prodotti e servizi di
qualità e di prossimità geografica nelle grandi città configurate come mercati esigenti e vivi, una coscienza ambientalista oramai diffusa che vede l’agricoltura come
necessariamente organica, biologica, o in generale, qualsiasi sia la declinazione, rispettosa dell’ambiente.
Si impone, a conclusione di questa introduzione, un’ultima riflessione per chi vive
sulla pelle, assieme alla bellezza, i disagi e le problematiche del mondo dell’agricoltura. A cominciare dagli ostacoli del mercato e da quelli di natura burocratica. Vi è
una netta differenza, infatti, tra chi vagheggia sulla messa in produzione della terra
come fuga romantica e chi invece è capace di riconoscere la durezza del lavoro pur
saldamente legato alla passione individuale. Per questo è importante una analisi
delle tendenze di costume e delle retoriche (di marketing e di convenzionalità sociale) che ruotano intorno ad un mondo che rischia di essere mal compreso e svilito, sia
dai detrattori che dalle esaltazioni bucoliche diffuse in contesto urbano. È necessario
concentrarsi sull’educazione dello spirito del tempo così attento all’ecologia, ma che
spesso riproduce logiche intrinseche a una struttura sociale ed economica iniqua
e immobile nelle sue gerarchie e nella gestione dei poteri, che si riveste tuttavia di
immagini e fascinazioni. Il “contadino” diviene così oggetto di marketing, spendibile
in termini pubblicitari anche per la commercializzazione di prodotti poco o niente
inerenti l’agricoltura. Così Il paesaggio agricolo è fotografato dietro la corsa di nuove
automobili, che intasano un mercato saturo di beni di lusso, inopportuni nello stato
di crisi attuale; nuove tariffe di telefoni cellulari vedono i comici travestiti da contadini; i mercati del biologico parlano di chilometro zero, ma trasportano merci al
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Risorsa Terra
Stime agricoltura oggi
È bene quantificare geograficamente e dal punto di vista occupazionale i numeri
dell’agricoltura oggi, per comprenderne la rilevanza.
Con le sue 2.656 aziende agricole, un numero di occupati nel settore di 3.000 unità
(i dati non tengono conto dei lavoratori in nero, una grossa fetta dell’universo agricolo) e una superficie agricola del 45% sul totale dell’estensione del Comune (di cui
43.271 ettari di SAU al 2010), Roma si attesta essere il terzo Comune agricolo d’Europa. Capofila del continente, prima della separazione dall’area urbana di Fiumicino.
Nel panorama misto di piccole aziende ad impronta familiare e grandi aziende professionali, oggi si inserisce inoltre la dimensione dell’orto familiare che ha iniziato
la sua fase di legittimazione con l’attenzione posta, da associazionismo e amministrazioni, sull’esigenza dell’autoproduzione e della cura dello spazio urbano, anche
per il valore sociale (il senso di comunità) che sono capaci di generare nel contesto
collettivo.
Un fenomeno interessate è l’abbassamento dell’età dei conduttori agricoli a livello
nazionale, con un rinnovamento che si avverte nelle esigenze sempre più emergenti
di diversificazione delle attività aziendali: il 2,5% ha meno di trent’anni (un dato in
crescita), il 73% delle aziende private sono state rilevate da giovani con titoli di studio
universitario, il 33% sono infine le aziende agricole a conduzione femminile. Gran
parte dei fondi dell’Unione europea attraverso la PAC, materializzati regionalmente
nei fondi del Piano di Sviluppo Rurale, vanno proprio a premiare multifunzionalità
(vedi le attività di agriturismo) e la giovane età di chi gestisce le aziende. Risorse
preziose che però, in assenza di adeguati controlli, rischiano di esaurirsi nelle mani
sbagliate. Le furbizie, difatti, non mancano. Dalle intestazioni fittizie delle aziende a
giovani conduttori (assenti), ai voli pindarici dei commercialisti che riescono a indicare come prevalente l’attività agricola, ad esempio, su ristorazione e servizi allo scopo
di ottenere il riconoscimento (e gli sgravi fiscali ad esso connesso) di agriturismo.
E non dovrebbe stupire questo genere di “tentazione” se si considera la precarietà
delle garanzie economiche per gli agricoltori, ma di certo sarebbe il caso di affinare
gli strumenti di controllo, come anche i parametri per assegnare i fondi, magari
con quell’attenzione ai piccoli e piccolissimi produttori realmente bisognosi di un
sostegno istituzionale, a tutto svantaggio del latifondismo ancora così diffuso in Italia, sostenuto dai finanziamenti del “disaccoppiamento” (ossia la non sempre felice
destinazione finale degli aiuti agricoli europei che, sganciati definitivamente dalla
Economia, ambiente e cultura
centro di Roma, quando invece la campagna rimane non visitata e poco conosciuta,
nonostante sia alle porte della città. Il prefisso bio diviene un obbligo nei salotti in
cui si veste di etica il consumo di prodotti cosmetici. Le nuove diete, una necessità
in luoghi concettualmente lontani, divengono sfoggio sociale di una consapevolezza
che fa spesa nei “supermercati del bio”, poco accessibili alle classi popolari, anche
perché più costosi, quasi un nuovo obolo per lavare la coscienza.
Le domande emergono: a quali produttori giovano le logiche di marchio per come
attualmente impostate? Quali produttori riescono a entrare nel mercato del prodotto
agricolo di lusso ben confezionato? A quali classi di consumatori si rivolge tutta questa qualità dei prodotti e della vita? Quale città dimentica delle sue risorse agricole
territoriali ospita questa “sensibilità verde”?
Parte della risposta è data dalla forbice tra benessere e disagio e viene riconfermata
nell’osservare chi sta in fila nei discount dei prodotti a buon mercato.
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produzione, molte volte finiscono per perdere qualsiasi legame con l’attività agricola) dell’ultima PAC (Fischler, 2003), e così spesso decisamente “poco agricolo”.
Le terre pubbliche
Agricoltura, lavoro e diritti. Sono le diverse facce di una risorsa troppo a lungo sprecata: le terre pubbliche.
Quasi 42.000 ettari, nel Lazio, si trovano sotto il controllo di enti pubblici, facendo
così piazzare la nostra Regione al secondo posto in Italia. Peccato non esista un
sistematico censimento (magari con sistema GIS) di questo patrimonio, nonostante
la chiara indicazione agli enti locali di pubblicare elenchi dei beni a disposizione,
secondo articolo 66 del Decreto Legge n. 1 del 2012.
A livello nazionale, inoltre, da quattro anni il Governo e i Ministri delle politiche
agricole che si sono succeduti promettono ai giovani i 380.000 ettari a destinazione
agricola in possesso solo dell’Agenzia del Demanio. Eppure dai loro cassetti non è
uscito un solo metro quadro di terra. Ha cominciato il Ministro Zaia annunciando, nel
giugno del 2009, l’operazione “Rinascimento Verde”. A seguire la coppia TremontiRomano, Ministri dell’economia e delle politiche agricole del governo Berlusconi,
che annunciarono l’alienazione delle terre pubbliche e i suoi presunti benefici al bilancio dello Stato, con una nuova disposizione di legge. Fino al Ministro Catania con il
governo Monti. E lo stesso segnale sembra arrivare oggi dalla Ministra De Girolamo.
Ma torniamo al caso Roma. Nonostante la densità dell’edificazione porti la sua
Provincia al settimo posto tra le zone più cementificate d’Italia, resta un Comune a
vocazione agricola e con una straordinaria disponibilità di terre pubbliche. Non mi
riferisco ai fazzoletti di terra, schiacciati dai palazzi, a più riprese “offerti” nell’ultimo anno sotto il titolo “adozione volontaria
di aree verdi di proprietà pubblica” (e quindi sotto la piena responsabilità degli stessi ai cittadini) con un paio di bandi a voler
placare la fame di terra. Parliamo piuttosto di consistenze come
i 200 ettari di Tor Marancia, i 22 ettari di Borghetto San Carlo e
gli altri 600 ettari circa che insieme a i primi due esempi compongono la lista delle aree di compensazione sul territorio capitolino (di cui scriverò più avanti). Esistono poi i terreni confiscati
alle mafie (18 solo a Roma), e quelli sotto il controllo dell’Agenzia regionale per lo
Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura nel Lazio (Arsial) pari a 409 ettari, in parte
concentrati in alcuni grossi appezzamenti (Mazzalupetto, La Castelluccia, Quarto degli Ebrei, Capocotta che è oggetto di un’inchiesta giudiziaria, ecc.).
Insomma, le terre pubbliche ci sono. I primi strumenti per riconoscerle e darle in
gestione pure. Così come la volontà di coltivarle. Ma allora, cosa manca? Sicuramente una chiara posizione sulla gestione di un patrimonio che rischia di essere
svenduto, anche per la paura di affidarlo agilmente a nuovi attori a sfavore dei soliti
noti. Il Coordinamento romano Accesso alla Terra ha ribadito la sua netta contrarietà
a qualsiasi forma di vendita, ma finora ha fatto i conti con l’inerzia delle amministrazioni locali. Un immobilismo inaccettabile ai tempi del disagio sociale ed economico
vissuto dai giovani disoccupati.
Il valore della terra
Che valore ha la terra? Come si misura in termini economici? E come si configura la
sua accessibilità?
In cinque anni nella Capitale il prezzo delle terre è cresciuto del 25% (fonte: Agenzia
del Territorio). Costi proibitivi per i giovani agricoltori, ma ancora appetibili per chi
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spera nei cambi di destinazione d’uso a fine edificatorio, forte di quella rete di amministratori che ha ignorato quanto invece la potenziale redditività agricola accrescerebbe il valore economico delle terre.
Il prezzo medio in Italia di un ettaro di terra agricola è stimato tra i 18 e i 20mila euro,
contro i 7/8mila euro del resto d’Europa. A Roma addirittura il valore di quell’ettaro
arriva in media a 50mila euro. In questo scenario, un giovane non può che sentirsi
lontano dalla possibilità di produrre quel ‘Made in Italy’ che ha fatto grande il bel
Paese. Attualmente la Cooperativa Co.r.ag.gio. non dispone delle cifre necessarie ad
acquistare le terre. Siamo un’eccezione? Non si direbbe a leggere lo studio di Provinciattiva Spa (nell’ambito del Progetto strategico della Provincia di Roma), che spiega
come accanto alle terre da affittare aumenti anche la richiesta di un uso gratuito. La
contropartita non è affatto al ribasso. Provinciattiva Spa ha ricalcolato il valore del
territorio agricolo considerando una serie di variabili (dall’occupazione alla manutenzione delle aree, passando per le opportunità turistiche, culturali e ambientali)
partendo da tre casi studio (aziende agricole su terreni pubblici): il valore reale è il
quadruplo di quello attribuito finora dal mercato. Con le terre del Comune di Roma
che valgono quasi tre miliardi di euro (dei dieci in tutta la Provincia di Roma).
E in mano a chi finisce allora tanta preziosa terra, con i prezzi che corrono? Anche
in Europa si assiste al tanto evocato fenomeno del “Land grabbing”. È il 3% dei proprietari di terreni a possedere la metà delle superfici agrarie europee. Complici anche le modalità di gestione e distribuzione dei sussidi della Politica agricola comune (Pac), come sopra accennato parlando di “disaccoppiamento”. Allo stato attuale
questi favorirebbero le grandi aziende agricole, effettuando il finanziamento non più
alla produzione (per colpire giustamente i drammatici effetti dell’iper-produttivismo
dell’agricoltura industrializzata), ma al fondo rurale, emarginando però di fatto le
aziende di piccole dimensioni.
Tanta terra, tanto costosa, tanto forte la voglia di tornare ad essa. Come fare?
Risorsa lavoro
Voglio leggere la disoccupazione non soltanto come un problema, ma come una risorsa, uno stimolo per re-inventarsi in scenari inediti, magari proprio nel mondo
agricolo. E forse proprio questo stato di crisi del lavoro porta ed ha portato (esem-
Borghetto San Carlo in
una veduta aerea.
(Fonte: pagina Facebook
Presidio permanente di
Borghetto San Carlo!
Terre pubbliche ai giovani agricoltori).
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Economia, ambiente e cultura
plare il caso della Cooperativa Co.br.ag.or. e dei suoi quasi 60 ettari occupati nel
1977) ad un ritorno alla terra vista come miraggio. È il ritorno ai mestieri una prospettiva auspicabile nella crisi di un terzo settore incapace di crescere all’infinito.
Una soluzione che fa inoltre evitare il rischio di vederci tutti consumatori (ma di
cosa?) incapaci di produrre e riprodurre le risorse indispensabili alla sopravvivenza.
I numeri parlano chiaro. Dai dati Istat, in Italia nelle fasce giovanili (tra 15 e 24 anni)
le persone in cerca di lavoro sono 656 mila. Il tasso di disoccupazione, in aumento, è
del 40,5%. Non va meglio per i laureati e per i lavoratori “con esperienza”, investiti
da precarietà e redditi sufficienti a sopravvivere.
In controtendenza il comparto agricolo, con un aumento del 4% dei dipendenti in agricoltura. Il 26% ha sotto i trent’anni e, secondo le stime
di Coldiretti, ci sono 200.000 potenziali posti di lavoro.
Se non bastassero le cifre valga la testimonianza diretta: in media arriva un curriculum a settimana indirizzato alla Cooperativa (senza terra) Co.r.ag.gio. e alla Cooperativa Co.br.ag.or., assieme a una continua
richiesta diretta. E questo anche per una ritrovata dignità del lavoro
agricolo, un tempo motivo di imbarazzo per i figli degli agricoltori che
videro le prime due riforme agrarie italiane. Di nuovo, i dati tornano
utili: secondo i rilevamenti della Swg per Coldiretti su oltre 1.600 intervistati, più di un quinto preferirebbe il lavoro agricolo a un impiego
in banca. Da un’inchiesta di Repubblica dal titolo “I nuovi contadini”,
apprendiamo che sono il 50% i giovani tra i 18 e i 34 anni che preferirebbero l’agricoltura ad altri tipi di lavori, il 28% gli italiani (quindi non
più solo giovani e non necessariamente disoccupati) che scambierebbero il proprio lavoro con quello agricolo e, un dato curioso, l’85% dei
genitori consiglierebbero un futuro in agricoltura al proprio figlio. A dimostrazione
che il fare ciò che piace rende più grandi i risultati, le aziende guidate da giovani registrano + 79% di fatturato e + 55% di assunzioni (Coldiretti) rispetto alle altre, questo
perché costruite sull’innovazione, sulla multifunzionalità e sull’utilizzo dei mezzi tecnologici contemporanei (si pensi all’influenza oggi del marketing in rete).
Numeri e storie che rafforzano la battaglia per l’accesso alle terre pubbliche. La
battaglia di chi ha noia di stare a guardare la crisi, ed inventa proposte.
Un percorso di Coraggio
Paolo Ramundo, sullo sfondo dei campi gentilmente coltivati di quella che era la tenuta di Casal del Marmo (a Roma), mi invitò a partecipare ad uno scambio di idee
sull’agricoltura, i giovani e le potenzialità dell’Agro romano. Era la primavera del 2011.
Già da qualche anno lavoravo come bracciante e come cuoco nella cooperativa Co.br.
ag.or. gestita da lui e dalla tenace Francesca Zubbani. Avevo scelto il lavoro agricolo
per affiancare il mio percorso di studi in antropologia, che ho costruito sull’attenzione
alle tematiche dell’urbanizzazione e della vita delle metropoli contemporanee.
Insieme ad altri giovani partecipammo a quell’incontro. Era in germe lo sviluppo
del Coordinamento romano per l’Accesso alla Terra, di cui noi, con quella che poi si
chiamò Cooperativa romana Agricoltura Giovani, eravamo la parte attiva nella ricerca di impiego in una azienda agricola pubblica a carattere multifunzionale. Gruppi di
giovani contadini o aspiranti tali, cooperative agricole storiche nate da occupazioni di
spazi pubblici a Roma durante gli anni ’70, realtà associative rappresentative della
categoria agricola (CIA), organizzazioni sindacali e associazioni ambientaliste (tra
cui FLAI CGIL e Territorio Roma), si sono poi unite in una vertenza nata la stagione
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Particolare del murales
realizzato sul viale dei
Cavalieri di Vittorio
Veneto (Roma).
(Fonte: pagina Facebook
Presidio permanente di
Borghetto San Carlo!
Terre pubbliche ai giovani agricoltori).
successiva a quegli incontri, volta a riappropriarsi delle terre pubbliche per l’insediamento di attività agricole condotte da giovani agricoltori.
La nostra prima iniziativa fu il grande murales che a settembre realizzammo sul
bordo del viale dei Cavalieri di Vittorio Veneto (la rampa per Monte Mario, a Roma).
Vennero famiglie, bambini, amici e per la prima volta anche la stampa (lì le prime interviste che ci davano la misura dell’interesse suscitato), un centinaio in tutto: c’erano i disoccupati dell’Eutelia, associazioni di quartiere, il neonato Coordinamento per
l’Accesso alla Terra. Emergevano chiari gli scopi: favorire l‘insediamento di impresa
giovanile, priva dei mezzi economici per ricorrere a percorsi di natura privata; fare
agricoltura d’avanguardia in città, come strumento per migliorare la qualità della
vita e per contrastare attività speculative sulle aree agricole urbane o periurbane,
soggette ad un continuo sfruttamento per finalità di natura edilizia.
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Economia, ambiente e cultura
Copia del murales
(la metà dell’originale) cancellato dal
Dipartimento Decoro
urbano del Comune
di Roma, stampato su
uno striscione.
(Fonte: pagina Facebook
Presidio permanente di
Borghetto San Carlo!
Terre pubbliche ai
giovani agricoltori).
Il murales di 25 metri per 2, venne però cancellato dal Dipartimento “Decoro urbano”
qualche mese dopo, nonostante fosse autorizzato, come autorizzate sono tutte le nostre manifestazioni per scelta di legittimità oltre che di legalità. Ma non ci perdemmo
d’animo e ne stampammo una copia (la metà dell’originale) su uno striscione che
esponiamo come segno di riconoscimento nelle iniziative più importanti. Sapevamo
inoltre che il murales era solo l’inaugurazione di un cammino, un segno tangibile del
ritorno dei colori nella città grigio-cemento.
La prima sfida per molti di noi “giovani” (che si gioca tutt’oggi) fu con se stessi:
credere che lo studio delle risorse pubbliche “disponibili” (o almeno esistenti) si potesse realmente tradurre nell’opportunità di lavorare la terra, facendo reddito anche
con altre attività connesse come la didattica, la ristorazione, il turismo verde e lo
sport all’aria aperta. Venivamo dalle più disparate provenienze formative e sociali,
parte di una generazione sfiduciata nel presente e spaesata sul futuro, quando non
anche cinica e nichilistica. La fase decostruttiva è comprensibilmente dietro l’angolo, ma insieme ad essa si sviluppa, come sempre, una parte propositiva. Chi di noi
non ha ceduto alla prima è ancora nel percorso della Co.r.ag.gio. e della vertenza.
Dualistica era (e lo è ancora) anche la risposta che veniva dall’esterno. Da una parte
l’interesse e la sensibilità crescente dei cittadini, dall’altra la resistenza di sistemi
lobbistici e il silenzio delle istituzioni che frenavano le nostre richieste.
È stato un inverno difficile, quello tra il 2011 e il 2012, e non è mancato qualche attrito nel Coordinamento romano per l’Accesso alla Terra. Alcuni spingevano già per
l’occupazione, un’opzione (stranamente) frenata dai più giovani. Per una ragione su
tutte: eravamo impreparati e volevamo evitare azioni “prepotenti” anche quando legittime, credevamo invece nel dialogo con tutte le forze sociali, e contavamo su una
più estesa partecipazione delle persone. Il concetto stesso dell’occupazione ci metteva a disagio, e non solo per le difficoltà che avremmo dovuto affrontare senza un
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Economia, ambiente e cultura
riconoscimento di titolarità sulle terre, ma anche perché la nostra era una battaglia
collettiva per i diritti. “Semplice”, quindi, da digerire senza la necessità di imporla.
Volevamo costruire un nuovo modello di attivismo, realmente partecipato e nel rispetto di quanti vivono nei quartieri dove insistono le terre pubbliche.
La richiesta fondamentale del gruppo si concretizzava nel frattempo all’interno della
“Vertenza per la Salvaguardia dell’Agro romano-Terre pubbliche ai nuovi agricoltori”,
tesa a far procedere le istituzioni nella direzione dell’acquisizione e della concessione di terreni pubblici (abbandonati) tramite l’elaborazione di un bando trasparente
e di respiro metropolitano, sviluppando altresì politiche di accesso e sostegno al
credito. Unendo il diritto al lavoro alla tutela del paesaggio. Migliorando, attraverso i
servizi, la qualità della vita urbana come suggerisce un’agricoltura multifunzionale.
Con queste richieste nel febbraio del 2012 presidiammo parte dei 200 ettari di Tormarancia; e agli occhi dell’opinione pubblica iniziavamo ad essere “quelli del presidio”. Con l’apporto della Cooperativa Agricoltura Nuova, che nel frattempo si era
unita alla Vertenza, organizzammo i preliminari del sit-in che tenemmo vivo per una
settimana, prima della grande nevicata a Roma. La nostra era un’operazione di valore simbolico che ottenne un importante impatto mediatico, favorì la coesione del
gruppo, rinsaldò le alleanze, ne creò di nuove, ci mise a contatto con numerosissimi
cittadini. L’idea che si affermò da lì in poi fu quella del ‘parco agricolo’ su terreni
pubblici, fruibile dalla cittadinanza e controllato dall’amministrazione col fine di garantire funzioni e scopi sociali.
Tra le altre iniziative che hanno tenuto costante l’attenzione sul tema, permettendoci
di crescere nelle nostre specializzazioni, si ricordano: l’esecuzione di miglioramenti
urbani come la piantumazione di aiuole pubbliche e la costruzione di strutture pubbliche (come il forno in terra cruda situato ai piedi della sede del Parco dell’Appia antica),
flash-mob “carnevaleschi” come il sit-in all’entrata del Ministero delle politiche agricole
nell’estate 2012, vestiti da “vecchi” (a dire che tanto lunga è l’attesa per la lista di terre
da dare ai giovani che ci siamo invecchiati), o il sit-in al Foro Boario. Il tutto sempre punteggiato da fiere e feste rurali (con la nostra cucina estemporanea), dibattiti pubblici,
convegni e confronti da noi organizzati o dove siamo stati invitati come relatori.
Dalle analisi del gruppo e dalle inchieste giornalistiche del mensile Paese Sera è
poi emerso il caso Arsial: l’ente che doveva occuparsi dello sviluppo agricolo del
Lazio e che invece si era accomodato nell’immobilismo amministrativo. Noi, invece,
abbiamo ritenuto una follia il sipario calato su risorse e beni per milioni di euro che
aspettano, magari, di essere svenduti con procedure poco trasparenti. L’Arsial ha
una disponibilità immensa di terre agricole, come sopra descritto. Nel febbraio 2013
abbiamo organizzato un flash-mob sotto gli uffici dell’Ente, travestiti da fantasmi, a
ironizzare sugli “avventori invisibili” che hanno beneficiato delle risorse Arsial. Lì
abbiamo chiesto la pubblicazione di tutte le proprietà agricole dell’Agenzia al fine di
darle in gestione, ma non alienarle. Ci è stata consegnata una prima lista, decisamente insufficiente. Per questo, con il cambio di amministrazione regionale, abbiamo fissato un nuovo incontro da cui ci aspettiamo maggiore serietà.
Altra tappa importante, oltre le manifestazione politiche, è stata la tre giorni di seminari lo scorso inverno. Una di queste giornate si è svolta nel bel paesaggio del
litorale agricolo romano, nella Fattoria Verde: fattoria sociale situata nei 2000 ettari
dell’azienda di Castel di Guido, tra i più controversi scenari della gestione pubblica
delle risorse regionali, su cui l’osservazione rimane vigile. I seminari, con il supporto
di professionisti dal mondo dell’agricoltura, hanno innanzitutto avuto scopo formativo per i partecipanti, ma si sono pure rivelati fonte di nuove umane conoscenze
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e adesioni: il numero dei membri della Co.r.ag.gio. è raddoppiato, dimostrando la
capacità di essere punto di ascolto, realmente aperto alla partecipazione.
Le riunioni sono divenute straordinariamente partecipate, e trovo commuovente, vivendo il tutto dai suoi faticosi inizi, vedere quanta passione ora si condivide e si è
riusciti a trasmettere. Per quanto sia lontana quella primavera di due anni fa, rimane
sempre e credo sempre ci sarà, la difficoltà di mantenere il punto sull’utopia perseguita: i risultati non si ottengono nell’immediato se si sceglie di seguire una strada
“paziente” e salda al tempo stesso, che passa attraverso percorsi amministrativi e
il rispetto delle leggi. Neanche se ci sono 10.000 adesioni a una petizione che abbiamo lanciato insieme all’associazione ambientalista Terra! Onlus e a quella antimafia
daSud. La fame di terra morde, il tempo scorre e la pazienza di molti non è infinita.
In generale, resiste più a lungo chi è abituato ad avere poco o niente, ed è disposto a
spendersi in maniera totalizzante, puntando in alto.
Contestualmente cresce poi però il numero dei lavori di ambito agricolo che come
servizi offriamo a chi ci ha conosciuto grazie all’efficace comunicazione intrattenuta.
E si aspetta di ottenere il risultato più grande: la libertà di lavorare per se stessi e
per gli altri, di restituire un bene pubblico al suo padrone legittimo, la collettività, di
fare grande la città dell’Agro romano, di avviare una sperimentazione all’avanguardia, che divenga modello generalizzabile, lavorativo ed urbanistico. Si punta ad un
New Deal agricolo contemporaneo, e perché no, ad una Terza Riforma Agraria.
Il resto è storia di oggi. La cooperativa Co.r.ag.gio. insieme ad altre realtà (Coop.
Me&Tree, Biosfera Onlus, Ass. Amaltea, Coop. Co.br.ag.or. e Studio agronomico Agrifolia) ha elaborato un progetto applicabile all’area evidenziata da un presidio permanente, Borghetto San Carlo, nel quadrante nord di Roma (compensazione edificatoria,
ceduta al Comune di Roma): ben 22 ettari di pregiato suolo agricolo che affacciano
sulla via Cassia 1450 (appena fuori il Grande Raccordo Anulare), inserita senza soluzione di continuità nel Parco regionale di Veio, quarto per estensione nel Lazio e di
impareggiabile bellezza. Una terra pubblica fin qui abbandonata a un triste degrado.
Borghetto san Carlo, la battaglia da vincere, il bene da liberare!
Un cancello chiuso e un presidio permanente. Borghetto San Carlo è il simbolo di
chi vuole riprendersi le terre pubbliche, con una rivendicazione che sta unendo chi fa
(o vorrebbe fare) agricoltura e i cittadini che si accorgono della bellezza degli spazi
verdi e che troppo a lungo gli sono stati negati.
Con fatica abbiamo studiato per due anni il posto e le sue caratteristiche, normative
e agronomiche. È stato riconosciuto come “principe” dei terreni di compensazione
edilizia, aree verdi pagate dai cittadini col cemento, assunte dal Comune di Roma in
cambio della possibilità per i costruttori che ne erano proprietari di spostare “diritti
edificatori” altrove. In una posizione favorevole, inserito com’è tra città pienamente
edificata e Parco di Veio. Da quest’ultimo ente abbiamo ricevuto nell’estate scorsa
un Nulla Osta per svolgere attività di promozione agricola, didattiche ed artistiche.
A questo Nulla Osta si è affiancato il benestare del Dipartimento X del Comune di
Roma (Tutela Ambiente e Verde). Unico ostacolo la vicenda che vede ancora il bene
in “custodia” ad un noto costruttore romano, incapace di spendere entro i tempi concordati (la primavera di quest’anno) i più di 2milioni di euro per la ristrutturazione
dei casali e per servizi nell’area verde. Presupposto, questa spesa, per la consegna
definitiva a Roma e ai suoi cittadini.
Il progetto sull’area ha messo in gioco le conoscenze e le capacità accumulate nel
tempo, volendo essere quindi un modello per pensare la possibilità di lavoro sui
terreni pubblici con una azienda all’avanguardia. Per questo si pensa ad esso come
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Il progetto
L’azienda agricola “Borghetto San Carlo” è stata, storicamente, una delle aziende
più attive e fiorenti del comprensorio di Veio, fin dai primi del ‘900 ad indirizzo seminativo-zootecnico e ortivo, con impiego di coloni stabili e braccianti. A partire dagli
anni ’80 le previsioni di espansione edilizia nell’area, decadute con l’istituzione del
Parco regionale, hanno condotto all’abbandono dei terreni e del casale. Il progetto
proposto suggerisce la creazione di una vera e propria “porta” per il Parco di Veio,
ricco di testimonianze archeologiche oltre che di biodiversità.
Gli elementi che hanno guidato sotto il profilo agricolo il progetto si originano dalle
necessità di: differenziare i beni prodotti direttamente in azienda, i quali dovranno
essere quanto più indirizzati alla vendita diretta al pubblico evitando, se possibile, il
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progetto pilota per capire su quali caratteristiche costruire le assegnazioni dell’interezza del patrimonio disponibile a quest’uso. Per questo il progetto è stato presentato nella discussione del Piano del Lavoro dalla FLAI CGIL, altro importantissimo
partner a sostegno della vertenza e dei suoi protagonisti, in prima fila anche a sostenere i giorni del presidio.
La proposta è la seguente: “realizzazione di un’azienda agricola multifunzionale a gestione cooperativa, garante produzione agroalimentare ed attività connesse (articolo
2135 del Codice civile), conservazione biodiversità, didattica ambientale, agricoltura sociale ed ippoterapia, turismo arboreo, parco avventura, ciclopedonalità, manutenzione
del verde pubblico, attività cinofile, servizi per i cittadini del quartiere (tra cui orti sociali),
percorsi guidati nel parco, rilancio del turismo dell’Agro romano in contesto urbano”.
Con il presidio di Borghetto san Carlo abbiamo contribuito a stimolare il dibattito
nelle politiche, alla ricerca di nuove regole a gestire una risorsa tanto importante:
qui i dibattiti tra Parlamento e Senato sul tema del consumo di suolo agricolo; l’impegno dei Municipi del Comune di Roma nel garantire una più partecipata gestione
del verde; l’accoglienza in Comune della necessità di elaborare bandi e procedure di
assegnazione di beni che devono essere a pieno titolo riconosciuti come acquisiti al
patrimonio, ed in tempi brevi (ci sono stati garantiti pubblicamente 100 giorni di attesa dalla nuova amministrazione del Comune di Roma); prendono contatto con noi
comitati di quartiere, associazioni e fondazioni intente a voler collaborare come parte attiva delle nostre proposte; la Regione discute una legge sull’accesso alla terra
pubblica. Insomma, parafrasando: abbiamo fatto il concetto di agricoltura pubblica,
ora bisogna fare l’accesso alla terra. E i presupposi che ci sono non possono essere
traditi, non senza conseguenze.
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mercato all’ingrosso; indirizzare le produzioni verso beni ad elevata redditività e che
possano essere trasformati direttamente in azienda; avvicinare il cittadino all’agricoltura al fine di mostrare come una corretta gestione del sistema agricolo permetta la conservazione ed il mantenimento dei nostri paesaggi; gestire l’intero sistema colturale attraverso metodi di coltivazione sostenibili e rispettosi dell’ambiente
(agricoltura biologica, agricoltura biodinamica, agricoltura integrata, eccetera).
Ecco una sintesi del progetto a titolo esemplificativo. A cominciare dalle coltivazioni,
diversificate in frutteto (per frutta secca ed a polpa), coltivazione di orticole da pieno
campo e leguminose da granella, coltivazione di piante aromatiche ed officinali (vista la presenza anche di terreni esposti a nord e con caratteristiche orografiche non
adatte alle coltivazioni più produttive). Accanto alle produzioni vegetali sarà possibile
allevare in azienda specie zootecniche da cortile, evitando quindi allevamento intensivo: anche in questo caso la scelta degli animali da allevare sarà indirizzata verso
specie e razze autoctone che, nel loro possedere caratteristiche di rusticità, ben si
adattano ai metodi di allevamento biologici e tradizionali. Anche nelle scelte legate
all’allevamento animale si cercherà di mantenere in azienda la contemporanea presenza di diverse specie, con il preciso intento di poter apprezzare gli animali anche
a fini didattici e sociali (fattoria didattica, attività di terapia con gli animali, eccetera).
Sempre in relazione alla presenza del Parco di Veio, parte delle superfici aziendali
potranno anche essere utilizzate al fine di realizzare un piccolo vivaio ad indirizzo
forestale e per la produzione di piantine in vaso. Riguardo il vivaio forestale, verrà
proposta all’Ente Parco la produzione di specie forestali autoctone ed ottenute con
materiali prelevati direttamente all’interno del Parco.
La raccolta (delle varietà arboree, ma anche delle varietà orticole) potrà coinvolgere
la cittadinanza (soprattutto le scuole e le famiglie) in uscite organizzate, anche insieme all’Ente. Tali operazioni potranno essere così oggetto di veri e propri laboratori
botanici ed escursionistici.
Oltre alle specie forestali in azienda sarà possibile ottenere piccole produzioni di
piantine da orto per la vendita diretta in azienda, per disporre di materiale autoprodotto. In particolare tale aspetto risulta legato alla possibilità, per la produzione
delle specie orticole, di partire direttamente dal seme certificato biologico, oppure
ottenuto da produttori di varietà locali e tradizionali. Per questo più semplice sarà
la possibilità di realizzare in azienda orti sociali, oppure, per i cittadini che abbiano
la disponibilità di aree a verde all’interno della propria abitazione, di utilizzare “Borghetto San Carlo” ed i suoi lavoratori come punto di riferimento per l’ottenimento del
materiale vegetale da utilizzare, con la possibilità di ottenere consulenze riguardo
agli aspetti agronomici.
Per la vendita diretta dei prodotti aziendali, la localizzazione all’interno del Parco
regionale di Veio suggerisce di utilizzare le opportunità offerte dall’Ente, con un
proprio regolamento approvato per la concessione del marchio del Parco, accessibile anche ai prodotti agroalimentari. Immaginiamo un punto vendita che possa
qualificarsi come “vetrina” dei prodotti agricoli del Parco stesso, con una gestione
associata insieme ad altri imprenditori agricoli operanti nell’area protetta, e quale
sbocco commerciale privilegiato sul mercato romano. Fare rete da una posizione
vantaggiosa, valorizzare le risorse del territorio, dare risalto ai contadini locali, i veri
esecutori del paesaggio, sono tra le opportunità che offre Borghetto San Carlo. Si
intende inoltre proporre le produzioni elaborate sul posto come punto di riferimento
per i Gruppi di Acquisto operanti a Roma e provincia, per la qualità delle referenze e
lo spirito solidaristico che ne animerà la conduzione.
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Fondamentale la realizzazione di attività che riguardano la ristorazione e l’educazione alimentare: il bello dell’agricoltura è che la si mangia, e mangiando si impara!
Cucina multifunzionale come risposta alla cura dell’intera filiera dell’alimentazione,
dalla produzione, alla lavorazione semplice ed elaborata, alla divulgazione e alla
ristorazione. L’area ristorazione potrà inoltre funzionare come punto di riferimento
per i visitatori del parco di Veio, per la realizzazione di eventi a tema, per laboratori di
formazione dedicati alla divulgazione della cultura alimentare. Saranno predisposte
strutture accessibili all’uso pubblico, come forni per la cottura in proprio. Ritornare
alla lavorazione locale dei prodotti della campagna dell’agro romano è, oltre che
un’idea, una necessità del periodo storico, economicamente fragile, per un mercato
della produzione agroalimentare gravato da importazioni massicce.
Altro protagonisti: i bambini, con l’attenzione alla loro preziosa cura, alla loro formazione. Saranno loro, domani, a dover prendere le redini del rapporto con l’ambiente.
Come campeggia nella sala del ristorante di Agricoltura Nuova:”La Terra non l’abbiamo in eredità dai nostri genitori, ma presa in prestito dai nostri figli” (da un proverbio
dei Nativi americani). Numerose esperienze già realizzate hanno con successo avvicinato il mondo dell’agricoltura a quello dell’infanzia, più nello specifico al mondo scolastico. L’agriasilo, le fattorie didattiche, ed i Centri estivi, sono formule per
“educare” bambini e ragazzi (e non solo) a un modo di vivere sostenibile partendo
dai gesti quotidiani.
Altri esempi di attività che si intende proporre, sono i Parchi Avventura, attività di
orienteering, organizzazione di Campi Avventura, Tree Climbing, sui bellissimi pini, ora
abbandonati, dei viali del Centro agricolo. Il progetto di Borghetto San Carlo prevede
inoltre la creazione di un Centro di cultura cinofila che, coinvolgendo attivamente la
cittadinanza, possa offrire cultura, spazi e servizi accessibili diventando riferimento
per ogni ambito di interesse del rapporto uomo/cane, con una biblioteca tematica
specializzata e l’offerta di servizi dedicati ai proprietari di cani. A completare il quadro,
le attività di agricoltura sociale, in particolare concentrate sulle abilità della Onlus
Biosfera, pet-terapy ed ippo-terapia. Ma anche inserimento lavorativo per soggetti
svantaggiati e attività all’aria aperta con la confidenza al mondo agricolo.
Parlando di numeri, così importanti se si ha la volontà di gestire una risorsa di tutti,
abbiamo elaborato stime legate agli investimenti iniziali necessari per l’inizio delle
attività, sia i possibili nuovi posti di lavoro connessi alle singole attività. È bene precisare che le valutazione economiche sono state effettuate nella condizione aziendale
successiva agli interventi di ristrutturazione edilizia così come previsti dagli accordi
di compensazione. In base alla nostra proposta lo sviluppo del progetto porterebbe
alla realizzazione di circa 35 nuovi posti di lavoro, e senza considerare la miriade di
soggetti coinvolgibili in altre attività che si potrebbero proporre ed integrare nel Parco
agricolo. Una volta restituito alla sua vocazione con lo sviluppo delle attività descritte,
il luogo sarà messo a disposizione per la collaborazione e l’inserimento di associazionismo locale ed attività suggerite dagli abitanti, garantendo l’impiego di ulteriore forza lavoro, volontaria o retribuita, a seconda degli scopi sociali dei soggetti avventizi.
Consideriamo che nulla di queste proposte è dato acquisito, se non dopo un impegno di istituzioni capaci di ascoltare le tante voci che in questi tre anni hanno accompagnato e costruito questo percorso. Rappresentative le 10.000 firme della petizione per le Terre pubbliche e per Borghetto san Carlo, proposta da Co.r.ag.gio.,
Terra!Onlus e daSud (http://www.change.org/it/petizioni/terrepubbliche-ai-giovaniagricoltori-il-comune-di-roma-non-abbandoni-il-patrimonio-agricolo). Un risultato
straordinario questo, che attesta la nostra predominanza sulla consapevolezza delle
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tematiche e sulla compattezza della forza sociale popolare trainata, in grado di imporsi nel dibattito politico.
Per i canali di finanziamento intenderemo rivolgerci, in primo luogo, al Programma
di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Lazio, agli strumenti finanziari messi a
disposizione da ISMEA per il primo insediamento dei giovani imprenditori agricoli, ad
ulteriori opportunità di finanziamento per l’imprenditoria giovanile accessibili tramite la Camera di Commercio di Roma e l’agenzia finanziaria regionale FILAS.
Ma è soprattutto a forme dirette di azionariato popolare che avremmo desiderio di
rivolgerci: sarebbe bello che l’azienda fosse in tutto e per tutto dei cittadini, che potrebbero così investire in essa, magari trattenendo parte dei prodotti aziendali, o
potendo fruire delle attività proposte. È il ruolo delle Fondazioni, partner delle amministrazioni, dei progetti di crowdfunding, del coinvolgimento diretto dei sostenitori
della petizione quello su cui vogliamo maggiormente puntare, per far navigare il
progetto sul fiume dirompente della volontà delle persone.
Conclusione: parole precise, fatti precisi
La soluzione che proponiamo ai problemi della disoccupazione, dell’ambiente e dell’urbanistica romana si dimostra valida solo e soltanto con una sua esecuzione immediata:
pretendiamo risposte rapide ad una situazione di emergenza evidente. La strada percorsa ci legittima inoltre a fare da apripista con una sperimentazione da realizzare in
tempi diversi da quelli tipici di una grande amministrazione come quella di capitolina.
Le rivendicazioni si incardinano su tre pilastri principali: l’accesso e il diritto alle
informazioni, che con sforzo volontaristico il “Coordinamento romano per l’Accesso
alla Terra” sta ottenendo; l’accesso alla terra, strumento fondamentale per aprire un
nuovo ciclo di gestione della risorsa pubblica; l’accesso al credito, necessario per la
realizzazione di progetti seri di agricoltura in città.
Al primo pilastro risponde la realizzazione di un catasto o piano regolatore agricolo,
per disegnare obiettivi e caratteristiche territoriali certi.
Al secondo pilastro risponde l’elaborazione di bandi e forme si assegnazione in tempi stretti, concertati con le parti sociali, trasparenti, disegnati su progetti pilota ed
accessibili a nuovi soggetti economici.
Al terzo pilastro risponde la volontà delle istituzioni e degli enti di farsi garanti per
ricevere finanziamenti e nell’elaborare strategie di credito efficaci per lo sviluppo di
impresa con funzione pubblica.
Richiediamo all’amministrazione due impegni precisi: vigilare sulla trasparenza e sulla celerità ed efficacia nella salvaguardia dei beni pubblici da non vendere, contro ogni
interesse privato e speculativo, completando, tra l’altro, l’acquisizione nella cosa pubblica di risorse come Borghetto San Carlo; sostenere e rendere immediato lo sviluppo
di un primo progetto pilota, così da ripagare degli sforzi, diventati stimolo per l’amministrazione, di tutti quei giovani che si sono impegnati nel far emergere il problema e
la risorsa delle terre pubbliche, in controtendenza al contesto generalizzato di pigrizia,
disillusione ed allontanamento dall’impegno civico e politico delle nuove generazioni.
Il sostegno alla nascita di un primo progetto pilota è l’opportunità per l’amministrazione
pubblica di dimostrare finalmente rinnovata forza, di contro alla debolezza ed alla scarsa dignità mostrata finora nell’incapacità di gestire l’interesse privato dei poteri forti.
L’attenzione dei media è puntata sulle terre pubbliche e le proposte di esperti e cittadini sono ormai emerse ed apprezzate.
E allora Coraggio! Fuori dal seminato.
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