Aspetti problematici derivanti dal rapporto tra l`azione civile nel
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Aspetti problematici derivanti dal rapporto tra l`azione civile nel
Che il legislatore non nutra un particolare favore per l’azione civile nel processo penale lo si ricava, in primis, dal disposto di cui all’art. 652 c.p.p. il quale prevede che la sentenza irrevocabile di assoluzione faccia stato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno in ordine all’accertamento che il fatto non sussista, che non costituisca reato o che l’imputato non l’abbia commesso, “sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75, comma 2”. E proprio l’art. 75 c.p.p. si occupa di regolare i “rapporti tra azione civile e azione penale” (l’articolo è così rubricato). Vediamone il contenuto. A mente del primo comma di tale articolo è possibile trasferire nel processo penale l’azione civile proposta innanzi al Giudice civile fintantoché in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito, anche non passata in giudicato. Se invece l’azione civile non viene trasferita nel giudizio penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile, il giudizio prosegue in sede civile (art. 75, comma II). Il caso in cui il danneggiato abbia proposto l’azione in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, è disciplinato dal terzo comma dell’art. 75 c.p.p. Esso prevede che, in tali ipotesi, il processo civile sia sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge. A tal proposito è opportuno evidenziare che la costituzione nel processo penale si intende revocata se la parte promuove azione davanti al Giudice civile (art. 82, comma II, c.p.p. Riguardo a quanto sopra evidenziato, alcune specifiche particolarità si verificano in caso di giudizio abbreviato. Se il danneggiato si è costituito parte civile nel processo penale e l’imputato opta per il giudizio abbreviato, l’art. 441 c.p.p. offre una scelta al danneggiato che comporta diverse conseguenze. Secondo il comma 2 di detto articolo, la costituzione di parte civile intervenuta dopo la conoscenza dell’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, equivale ad accettazione del rito. Tuttavia, il successivo comma quarto, offre alla parte civile la possibilità di non accettare il rito abbreviato, senza le preclusioni di cui all’art. 75, comma terzo c.p.p. Pertanto, se la parte civile non accetta il rito abbreviato, ciò, oltre a comportare revoca della costituzione di parte civile (anche implicita, in assenza di dichiarazione formale), evita che il giudizio civile, iniziato dal danneggiato successivamente, venga sospeso e, inoltre, non comporta gli effetti pregiudizievoli, di cui al citato art. 652 c.p.p. di un giudicato assolutorio dell’imputato nei confronti del danneggiato. Sempre in tema di rapporti tra azione civile in sede penale e civile, si segnala una recente pronuncia della Corte di cassazione in tema di sospensione necessaria del processo civile nel caso di precedente costituzione di parte civile in sede penale, nell’ipotesi di esercizio dell’azione civile nei confronti degli altri coobbligati. I Supremi Giudici, in tale caso, ritengono inoperante la sospensione del processo civile in quanto il disposto di cui al comma terzo dell’art. 75 c.p.p. non trova applicazione allorquando il danneggiato eserciti l’azione civile in sede civile non solo contro l’imputato, ma anche contro altri coobbligati e ciò tanto se il cumulo soggettivo così realizzato dia luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, quanto se dia luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario, restando, altresì, in ogni caso irrilevante che alcuno o tutti fra i coobbligati fossero stati citati nel processo penale come responsabili civili (Cass. sez. III, ordinanza 26 gennaio 2009, n. 1862). La pronuncia di cui sopra, per l’intersecarsi di questioni che attengono a principi propri del processo civile con quelli dell’azione civile nel processo penale, ci conduce dalla tematica del rapporto tra l’azione civile nelle due diverse sedi al secondo degli aspetti che si intende con la presente trattare: alcune delle differenze tra i due distinti giudizi. Sebbene la tematica sia alquanto specifica, una recente sentenza (Cass. sez. IV, 6 novembre-17 dicembre 2009, n. 48308), offre lo spunto per trattare il caso della morte dell’imputato qualora il danneggiato si sia costituito parte civile. E’ noto che, nel caso del processo civile, operano gli istituti della successione nel processo (art. 110 c.p.c., dell’interruzione (art. 299 e ss. c.p.c.) e della sua estinzione (artt 307 e ss. c.p.c.) Tuttavia, la Corte di Cassazione, ritiene inapplicabili detti istituti in sede penale, con la conseguenza che la morte dell’imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione, unitamente al rapporto processuale penale, anche di quello civile inserito nel processo penale; l’esistenza e la permanenza in vita dell’imputato, infatti, fungono da presupposto processuale della sentenza e della sussistenza del rapporto processuale anche civilistico. Cosicché, cessando ogni rapporto processuale nei confronti dell’imputato nel processo penale (per il suo fisicamente venir meno), viene a cessare anche quell’elemento di collegamento che consentiva di far accedere a quello il rapporto processuale civile nei suoi confronti; conseguenza, questa, che esplica i suoi effetti anche nei confronti del responsabile civile, atteso che la posizione di questo (soggetto che, a norma delle leggi civili, deve rispondere per il fatto dell’imputato – artt. 185 c.c. e 83, comma 1, c.c. è intimamente connessa e collegata quella dell’imputato (Cass. cit.). Tale interpretazione, conforme alla natura dei due distinti giudizi e alle norme che li regolano, costituisce, a nostro avviso, un ulteriore effetto sfavorevole, e per ciò deterrente, per il danneggiato che intenda azionare le sue pretese restitutorie e/o risaricitorie in sede penale. Altro argomento di particolare rilievo, sempre in tema di differenze tra azione civile in sede penale ed in sede civile, concerne l’esecutività della sentenza di condanna di primo grado. Secondo il disposto dell’art. 282 c.p.c. “La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”. E’ noto il principio in base al quale le uniche sentenze ad avere efficacia anticipatoria rispetto al momento del passaggio in giudicato siano le pronunce di condanna suscettibili secondo i procedimenti di esecuzione disciplinati dal terzo libro del codice di rito civile. Pertanto, al di fuori delle statuizioni di condanna consequenziali, le sentenze di accertamento (così come quelle costitutive) non hanno l’idoneità, con riferimento all’art. 282 c.p.c. ad avere efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato (ex plurimis, Cass. civ. sez. II, 26 marzo 2009, n.7369). Posto, quindi, che nel processo civile le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive tra le parti, vediamo ora la disciplina della esecutività della sentenza di primo grado di condanna per la responsabilità civile resa nel giudizio penale. Contrariamente a quanto dispone l’art. 282 c.p.c., l’art. 540 c.p.p. prevede la condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno sia dichiarata esecutiva solo a richiesta della parte civile e qualora ricorrano giustificati motivi. Tuttavia, ai sensi del comma 2 del predetto art. 540 c.p.p. la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva. Per provvisionale deve intendersi la condanna dell’imputato o del responsabile civile al pagamento di una somma, a richiesta della parte civile, nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova. Infatti, qualora le prove acquisite non consentano la liquidazione del danno, il Giudice pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al Giudice civile, salva la statuizione sulla provvisionale di cui sopra. E’ evidente lo svantaggio per il danneggiato costituito parte civile, rispetto al giudizio civile, in caso di condanna generica dell’imputato o del responsabile civile al risarcimento del danno da parte del Giudice penale. Infatti, nel giudizio civile, la sentenza di condanna di primo grado sarebbe provvisoriamente esecutiva, mentre nel caso di pronuncia ai sensi dell’art. 539 c.p.p. il danneggiato è costretto ad attendere il passaggio in giudicato della sentenza del Giudice penale e poi riassumere la causa innanzi al Giudice civile per la liquidazione del danno. Non solo, ma anche qualora il Giudice penale dovesse liquidare il danno, senza tuttavia dichiarare la provvisoria esecutività della sentenza, perché non ravvisa giustificati motivi, il danneggiato dovrebbe attendere il passaggio in giudicato della sentenza penale prima di intraprendere azione esecutiva, contrariamente a quanto dispone il citato art. 282 c.p.c. per il giudizio civile. Analogo discorso vale per la condanna alle spese processuali relative all’azione civile nel processo penale: condanna esecutiva nel processo civile, non in quello penale, salve le eccezioni sopra evidenziate. Sempre in tema di condanna alle spese processuali, è prassi (ora corroborata da recenti modifiche del codice di procedura civile) che esse seguano la soccombenza nel giudizio civile. Nel giudizio penale, invece, se la parte civile è vittoriosa, nulla quaestio: il comma primo dell’art. 541 c.p.c. dispone che con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il Giudice condanna l’imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale. Tuttavia, nel caso di assoluzione dell’imputato, la condanna della parte civile alla rifusione delle spese processuali da quello sostenute, verrà disposta “sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale”. E’ raro, tuttavia, vedere riconosciuto all’imputato assolto il ristoro delle spese sostenute, com’è altrettanto inusuale assistere alla condanna del querelante nel caso di assoluzione del querelato, siccome disposto dall’art. 542 c.p.p. In tema di misure cautelari volte a garantire il credito del danneggiato, ci si riferisce in particolare al sequestro conservativo, tra il processo civile e quello penale si riscontrano differenze soltanto in ordine ad aspetti procedurali evidentemente connessi ai due differenti riti, senza tuttavia ravvisare sostanziali divergenze negli effetti e nei presupposti. L’unico aspetto che merita una certa attenzione, in relazione allo scopo della presente, è il seguente. Nel giudizio penale, il danneggiato potrà richiedere al Giudice la misura cautelare soltanto una volta instaurato il processo e, quindi, solo in presenza di un’imputazione e dopo la costituzione di parte civile. Chiaro è infatti il disposto di cui al comma 2 dell’art. 316 c.p.p. laddove stabilisce che “la parte civile può chiedere il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell’imputato […]”. Pertanto, il danneggiato non ancora costituito parte civile perché il procedimento è ancora in fase di indagini, non potrà richiedere al Giudice penale il sequestro conservativo. Potrà tuttavia agire in sede civile in via cautelare ai sensi dell’art. 671 c.p.c. E’ altresì vero che, tale opzione, comporterà per il danneggiato, successivamente, gli ostacoli di cui al primo comma del precitato art. 75 c.p.p. qualora si verifichino le ipotesi ivi contemplate. Infatti, il provvedimento di sequestro ante causam disposto dal Giudice civile, perde efficacia se non viene iniziato il giudizio di merito entro i termini previsti dal codice di procedura a pena di decadenza, costringendo così il danneggiato ad effettuare in anticipo la scelta tra azione civile in sede civile o penale, ancor prima cioè che siano chiuse le indagini preliminari e senza avere piena contezza dei relativi risultati. Dal punto di vista della tutela offerta a colui che vanta un credito in relazione alla commissione di un reato a suo danno, vanno ricordate anche alcune norme del codice penale volte a garantire detto credito e a togliere efficacia ad eventuali atti dispositivi compiuti dal reo in danno dei terzi. Le norme di riferimento sono gli att. 189 e ss. c.p. Comunque, in tema di atti a titolo gratuito od oneroso compiuti dal colpevole prima e dopo il reato in danno dei terzi, l’art. 195 c.p. non fa che richiamare, per ciò che concerne il regolamento dei diritti di costoro, le leggi civili. Evidente è il rimando agli artt. 2901 e ss. c.c. in tema di azione revocatoria. Quelli sopra evidenziati non sono che alcuni degli aspetti problematici relativi ai rapporti tra l’azione civile nelle due differenti sedi. E’ evidente, comunque, che la scelta della costituzione di parte civile in luogo dell’ordinaria azione innanzi al Giudice civile, può comportare delle importanti limitazioni per il danneggiato. La scelta di quest’ultimo deve pertanto essere ponderata e valutata alla stregua delle conseguenze che tale scelta comporta nonché dei vantaggi che con detta iniziativa si intendono perseguire.