Nuove metodiche per la valutazione della testimonianza, dell
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Nuove metodiche per la valutazione della testimonianza, dell
IX Congresso Giuridico-Forense per l’aggiornamento professionale CNF – Roma 20-21-22 Marzo 2014 Sessione di Diritto Processuale Penale – Approfondimenti sulla prova nel processo penale Tavola Rotonda del 21 marzo 2014 ore 16,30 18,30 Testimonianza e ruolo della Psicologia Giuridica Coordinatore Avv. Ettore Tacchini Nuove metodiche per la valutazione della testimonianza, dell’interrogatorio e dell’esame dell’imputato Avv. Prof. Natale Fusaro Nel nostro ordinamento l’assunzione della prova testimoniale trova un preciso limite nell’art.188 c.p.p. in virtù del quale non possono essere utilizzati “metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti” e ciò a prescindere dall’eventuale consenso della persona interessata. La ratio di tale disposizione normativa, richiamata anche dall’art. 64 2° comma c.p.p. che fissa le regole generali per l’interrogatorio, è quella di evitare che nel procedimento e nel processo vengano introdotte prove che si sono formate attraverso il ricorso a metodiche in grado di influenzare la capacità della persona di autodeterminarsi liberamente, limitando l’esercizio delle sue facoltà mnemoniche e valutative. In particolare si fa riferimento a tutte quelle tecniche quali l’ipnosi, il lie detector e la narcoalanalisi o “siero della verità.” Più recentemente, la continua evoluzione in campo scientifico ha portato allo sviluppo di nuove metodiche basate sulle neuroscienze, di certo meno invasive, sulle quali comunque ci si interroga circa il grado di affidabilità e la loro valenza a fini probatori. Tra queste nuove tecniche particolare interesse ha suscitato lo IAT (Implicit Association Test), strumento utilizzato dai consulenti della difesa nel processo per calunnia a carico della Signora Annamaria Franzoni1. Il test in argomento ideato dal Prof. Giuseppe Sartori – Ordinario di Neuroscienze Cognitive nell’Università di Padova, sarebbe in grado di accertare la credibilità del teste, stabilendo se il medesimo, stia mentendo o meno, attraverso la rilevazione e registrazione dei tempi di reazione attuati in risposta a frasi che descrivono eventi autobiografici. In particolare, mediante i tempi di 1 Nello specifico il tipo di test somministrato alla Signora Franzoni è un’evoluzione dello IAT, elaborata nel 2008 e denominata aIAT (autobiographical IAT) o anche FIAT (forensic IAT). 1 risposta registrati dallo strumento, i ricordi veri verrebbero raggiunti in modo più semplice e diretto, quindi più velocemente, rispetto a quelli falsi. Nel caso di specie, il ricorso a tale metodo non ha consentito di dirimere il dubbio relativo al fatto se l’imputata avesse mentito consapevolmente o meno nel momento in cui aveva indicato come autore del delitto in danno del figlio un’altra persona. L’esito del processo di primo grado si è infatti concluso con la condanna ad 1 anno e 4 mesi di reclusione, avendo stabilito il giudice che i risultati ottenuti con il test dello IAT, presentati come dati certi, non avessero invece una forza probatoria tale da consentire di ritenere l’innocenza dell’imputata. Il ricorso a tale metodica, rientra nel concetto di prova atipica, disciplinato dall’art.189 c.p.p. che, regolando l’istituto, richiama a sua volta il disposto dell’art.188 c.p.p., in ordine alla libertà morale della persona, che, costituisce un limite invalicabile in relazione all’eventuale assunzione di tali mezzi di prova. Sul punto, autorevole Dottrina2 ha avuto modo di affermare che il risultato di un accertamento neuroscientifico può, e deve, essere assunto dal giudice come solo indizio sulla base del quale sviluppare poi il ragionamento logico-giuridico, unitamente però a tutti gli altri elementi probatori. L’indizio neuroscientifico, infatti, da solo non costituisce una base sufficiente per fondare la decisione del giudice, il quale deve sempre attribuire un significato normativo al dato scientifico utilizzato, così come ricordato nella sentenza del GUP del Tribunale di Como che, per primo ha assunto una decisione di parziale infermità di mente grazie anche alle conclusioni raggiunte dalla perizia che è stata redatta mediante l’utilizzo di tecniche neuroscientifiche. Nella sentenza in esame (Trib. Como, 20-5-2011) si legge che: “Una volta ottenuto l’ausilio della scienza psichiatrica che individua i requisiti bio-psicologici di una eventuale anomalia mentale, resta al giudice il compito di valutare la rilevanza giuridica dei dati forniti dalla scienza ai fini della rimproverabilità dei fatti commessi al suo autore, sulla base del complesso delle risultanze processuali e della valutazione logica e coordinata di tutte le emergenze.3” Se così non fosse il rischio sarebbe quello di giungere ad una deriva tecnicistica, costituita da un “neuroriduzionismo” o “neuroscientismo.” Lo strumento di accertamento preso in considerazione ha come oggetto di verifica la capacità del teste a rendere testimonianza, ciò deve però necessariamente tenere conto del disposto dell’art. 196 c.p.p., il quale, pur consentendo al giudice di ordinare accertamenti opportuni al fine di verificare 2 Marta Bertolino, “Prove Neuro-psicologiche di verità penale” , Diritto penale contemporaneo, p.17. Trib. Como, 20-5-2011, in Riv. it. med leg., 2012, con nota di G. MESSINA. Nel quale si sottolinea come siano stati proprio gli sviluppi metodologici attivati dalla sentenza Franzese del 2002 a consentire di fronteggiare pericolose influenze scientiste (P. TONINI, L’influenza della sentenza Franzese sul volto attuale del processo penale, cit., p. 1225 s.) 3 2 l’idoneità fisica o mentale del teste, pone il limite dei “mezzi consentiti dalla legge” e richiama oltre all’art.189 c.p.p. anche l’art. 220 c.p.p. che, come è noto, vieta il ricorso alla perizia volta a stabilire le “qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.” A quanto sopra, deve aggiungersi il divieto di cui all’art.188 c.p.p. che, non solo esclude il ricorso a mezzi che possano incidere sulla capacità del soggetto di ricordare e valutare i fatti, ma precisa anche che tale divieto non viene meno neanche con il consenso della persona interessata. L’intervento affronterà e svilupperà tali tematiche anche con riferimento alla fase di indagine dove risulta fondamentale il disposto del sopra menzionato art. 64 c.p.p., il quale, come è noto , dispone che, neppure con il consenso della persona interrogata, possono essere utilizzati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. 3