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e volo lassu - Comune di Ferrara
E VOLO LASSU’ (un volo iniziato nel 1969) “E volo lassù, là dove osano solamente le aquile, là dove le nubi assumono le forme più strane, alcune somigliano tanto alla mia Bestia, là dove l’aria è fresca e leggera, il mio naso ne divora una quantità illimitata, là dove non esiste tormento, ma solamente un’esagerata voglia di vivere. Vivere per non spegnermi mai; vivere per rimanere sempre giovane dentro. E volo ancora più in alto, quando ingrano l’ultima marcia; tossisce il 5 e 20, ma non molla di certo, anzi tira fuori le ali, splendide e alate, lentamente riprende quota, vuole portarmi lassù, là nel punto più alto dell’Universo, dove, tanto per intenderci, non osano nemmeno le aquile. Che meraviglia! Arriviamo ad un passo dal sole… Qui non esiste la nebbia, non esiste la pioggia, solo un lieve soffio di vento, che porta quel poco di neve, per nulla gelata, ma tanto, tanto calda, a sfiorarmi la pelle. Posso persino toccare una stella! Mi sembra di tornare bambino… Da qui scruto il Mondo, la vita, le persone, da qui posso osservare, senza il timore di essere giudicato, solo qui, in questo luogo incantato ed incontaminato, mi sento un uomo invincibile, che non teme niente e nessuno. Mi sento onnipotente! Ma il tempo inesorabilmente scorre… Quando le ali si chiudono, il mio 5 e 20 mi riporta a terra, per farmi tornare alla vita normale, che non sarebbe poi tanto piacevole, se non avessi una meravigliosa famiglia al mio fianco. Per fortuna ho una moglie e due figlie stupende! Volete sapere cosa penso realmente? Che nessuno possa capire veramente, cosa si prova a guidare una Bestia come la mia. E’ molto difficile da spiegare. Quasi impossibile.” La storia che ho deciso di narrarvi, ebbe inizio quarant’anni fa, in una fredda mattina invernale, quando un giovane ragazzo di nome Gabriele, ventiquattro anni appena, decise di dare una svolta alla propria vita. Una svolta che avrebbe sicuramente lasciato il segno, soprattutto in seno alla propria famiglia. “Cosa!? Ma sei forse impazzito!?” Furono le crude parole, conseguenza di quel folle pensiero sconsiderato. Folle per il padre, folle per la madre, folle per i nonni. Folle per tutti, tranne che per lui; lui che aveva preso una decisione definitiva e non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo. Del resto, Silvia, giovane donna conosciuta appena un anno prima in una delle discoteche più in voga a quel tempo, il famoso Disco Verde di Copparo, era dalla sua parte. Lei aveva accettato di buon grado la decisione dell’allora fidanzato e lo appoggiava completamente. Per lui di folle in quella decisione non c’era nulla, perché quello era sicuramente il sogno più grande, che il suo giovane cuore pareva possedere. L’unione dei due e la cocciutaggine di Gabriele ebbero la meglio, sui nefasti pensieri dei famigliari… “Non voglio di certo proibirti di seguire le mie orme, ma devi sapere che anni di grandi sacrifici, sia economici che fisici, ti attendono. Guardami: a iò tirà grand i miè fiò a pan e murtadela! Ti senti pronto ad affrontare tutto questo?” Bastò un cenno affermativo col capo e l’armonia tornò a farla da padrone tra lui ed il padre. Un padre camionista, dunque, che all’inizio non volle che il figlio facesse lo stesso mestiere. Egoismo? Neanche per sogno. Al contrario, la colpa era da attribuire al troppo amore che nutriva nei suoi confronti. Sapeva cosa l’avrebbe atteso e desiderava solo metterlo in guardia… “Del resto, se non si è mossi da una passione esagerata è un tipo di mestiere che io stesso sconsiglierei”, ammette Gabriele, mentre mi racconta l’inizio della sua avventura. Gli chiedo ingenuamente il perché della sua affermazione, ma il gesto con il quale mi risponde è piuttosto eloquente. Probabilmente le soddisfazioni economiche, non rispecchiano la fatica fatta per cercare di raggiungerle. Mentre parliamo, un fiocco di neve mi bagna la testa. Nevica! Ripeto: nevica! Gabriele non sembra nemmeno udire le mie urla disperate, con le quali vorrei dissuaderlo dalle sue intenzioni. Lui fa finta di non ascoltarmi, perché in realtà ha già deciso e non saranno certamente due fiocchi di neve e le mie forti grida, a fargli cambiare idea. Scrollo le spalle, me ne torno in cabina al caldo, ma quando non lo vedo tornare, scendo nuovamente e gli tengo l’ombrello, mentre cerca di cambiare alla svelta, quella gomma appena forata. Guarda l’ombrello e sorride; tutto questo gli ricorda quello che la moglie fa spesso per lui, quando, nei momenti di difficoltà, l’aiuta a riparare il camion, pur essendo poco pratica in materia. Ma la forza di volontà spesso supera qualsiasi limite umano… “Marco, non devi mai scordare che per fare mestieri come questo, l’unione famigliare è fondamentale. Remare tutti dalla stessa parte è essenziale e, per fortuna, nel mio caso è così. Sapessi quanti colleghi a causa di questo lavoro, hanno mandato all’aria la propria famiglia.” Sorrido e dentro di me, mi convinco della bontà delle sue parole. Cambiata la gomma a tempo di record, esultiamo e torniamo in fretta in cabina, per scaldarci le mani. Il giorno è ormai finito, la notte incombe, Gabriele mi mostra, con un certo orgoglio, il letto della sua Bestia. Lenzuola pulite, l’aspetto è piuttosto confortevole, un cuscino che emana un dolce profumo di bucato, l’aspetto è piuttosto invitante. E’giunto il momento di coricarsi, una lunga notte di sonno, purtroppo lontano dalla Home Sweet Home, lo aspetta… La mattina si sveglia e come da prassi si dirige in stazione, lasciandomi a guardia della sua Bestia, che deve purtroppo rimanere in fila al porto di Venezia, in attesa di scaricare. Gabriele torna in treno nella sua Ferrara, portandosi appresso tanta speranza… “Allora com’è andata?” “E’ nata! E’ nata! L’ho tenuta tra le mie mani. Vedessi com’è bella!” Gabriele è tornato ed è elettrizzato, perché Gianna, la seconda figlia, è nata e lui era presente. Finalmente! Purtroppo, mi dice, Serena, la figlia più grande, l’aveva vista quando era già nata. In quel periodo, infatti, era a Torino ed era arrivato a casa in ritardo. Un pizzico di tristezza si materializza in quella goccia d’acqua salmastra, che lentamente gli scende dall’occhio destro, rigandogli il volto… “Purtroppo, il nostro mestiere è fatto così!” La bocca sembra voler consolare, la mente affranta e delusa. Mi dispiace vederlo così, ma riesco in fretta a fargli tornare il sorriso quando gli ricordo che con Gianna, nonostante il lavoro, non ha fallito ed era presente. Sorride. Il sorriso ben presto diventa una fragorosa risata, quando gli torna in mente, quell’epica frase, rimasta per sempre celata nella sua ferrea memoria. “Col toccamano mi sono arrangiato, ma il giorno del matrimonio ci devi essere!” Il parroco era stato chiaro in merito. Si era arrangiato con Silvia ed i due testimoni, visto che Gabriele era bloccato in porto a Genova, ma per il matrimonio non poteva di certo soprassedere. Quando poi, Gabriele, mi chiede di non ricordare questa avventura alla moglie, anche a me scappa da ridere. Questa volta sono io a ricordargli che il suo è un mestiere fatto così! Lui apprezza e, dopo aver avuto il via libera ed aver finalmente scaricato a Venezia, abbandona il porto, dicendomi che a breve saremmo tornati a Ferrara, per vedere la figlia nata da poco. Prima però, dobbiamo sbrigare una pratica molto importante: le dimissioni. Gabriele, infatti, non può più essere il presidente della cooperativa PORTUENSE, che gli ha dato tante soddisfazioni, ma ha anche aperto una ferita profonda in seno alla propria famiglia, in quanto, essendo la carica non retribuita, deve continuare a lavorare col camion per guadagnare il denaro necessario per vivere. Ma quelle riunioni incessanti, quei continui discorsi, quegli interi week-end sottratti inevitabilmente agli affetti più cari, stanno lasciando il segno e lui, dall’alto della sua convinzione che un uomo non è tale se trascura la propria famiglia, ha deciso di abbandonare. E decide di farlo alla grande! Andiamo di corsa a Lignano dove, dinnanzi ad una vasta folla, tiene l’ultimo discorso da Presidente, visto che, ad insaputa di molti, è già dimissionario. Un vero successo, tanti applausi, la speranza di aver finalmente trovato la guida giusta, la tristezza di non sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta di Gabriele sul palco… Ma non c’è tempo per la commozione; dobbiamo scappare di corsa a Ferrara, è giunto il momento di riabbracciare le figlie e la moglie. Gabriele non sta più nella pelle; la felicità che in quel momento colma il suo cuore, è indescrivibile. Ma grigie nubi stanno imperversando sulla sua serenità famigliare… Anno 2005. Accadde che non sempre si decida di smettere di lavorare perché si è diventati improvvisamente lavativi, ma al contrario perché si crede troppo nel proprio lavoro. E quando il volante del camion sembra impazzito e la Bestia da amica diventa nemica, la ferita è troppo grande per essere rimarginata. Fermarsi perché le spese superano i guadagni: sembra impossibile, eppure è così! Dopo anni di onorata carriera, il 5 e 20, come adora definirlo Gabriele facendo riferimento alla cilindrata del camion, sembra non possedere più le ali. Quelle ali che permettevano al camionista di volare sovente lassù, là nel punto più alto dell’Universo, dove, tanto per intenderci, non osano nemmeno le aquile. Quelli purtroppo sono solamente ricordi lontani, ora la realtà e ben differente. Gabriele non riesce più a staccare i piedi da terra; sembra che qualcuno glieli abbia incollati. E la povera Bestia è ancora laggiù, ferma da tempo, in attesa che le grigie nubi si dissolvano, per lasciare posto ad un magnifico sole. Solo in quel caso i due, 5 e 20 e Gabriele, potranno ricominciare a volare. E sarà un volo ancora più leggiadro e speciale, di quelli che hanno già fatto in passato, quando vivere era più facile e si poteva toccare addirittura il sole con un dito. Ed io che fine ho fatto? Quando siamo giunti ad Ambrogio, paese natio di Gabriele, il camionista, dall’alto della sua ingenuità di padre, ha commesso l’errore di farmi vedere Gianna, la figlia più piccola. Ed ora vi sto narrando questa storia speciale, da una calda e comoda casa altrettanto speciale, nella quale vivo da un anno e mezzo circa, con la figlia appena citata. Quando si dice il destino! E pensare che quel giorno, in cui Gabriele tornò a casa di fretta per riabbracciare la neonata, io non dovevo nemmeno esserci perché avevo appena cinque mesi. Ed invece ero lì, presente, anche se nessuno se ne era accorto… “Sai cos’hai Marco di me?”, mi chiede sovente Gabriele. “No, non lo so.” “Niente!” E dopo una breve risata, ce ne andiamo a trovare la Bestia, per complimentarci con lei. Del resto, è per merito suo se oggi tutto questo è divenuto realtà. Grazie 5 e 20! “Al và come un cacia. Là fat l’Apenin vuland!”