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Anna Ciliberti, La classe come ambiente comunicativo - E

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Anna Ciliberti, La classe come ambiente comunicativo - E
Anna Ciliberti, La classe come ambiente comunicativo.
In: Ciliberti A., Pugliese R., Anderson L., 2003, Le lingue in classe, Roma,
Carocci, pagg. 43-55.
1. La natura della classe
Per spiegare la natura della classe gli studiosi hanno adottato definizioni e metafore assai
diverse tra loro: la classe è stata paragonata ad un laboratorio, oppure è stata vista come
contesto sociale naturale, come ‘barriera corallina’, come (sub-) cultura o ‘piccola cultura’.
A ciascuna di queste metafore o definizioni sottostà una precisa visione di contesto, di
rapporti tra interattanti, di funzioni e di priorità. Una visione della classe come contesto
sociale naturale, ad esempio, focalizza l’attenzione su una caratteristica particolare: la
predicibilità delle norme sottostanti le dinamiche sociali che si realizzano al suo interno
(Pontecorvo, 1999); una visione di classe come ‘laboratorio’ presenta invece gli insegnanti
come sperimentatori e gli studenti come oggetti di esperimento. Alcune di queste
definizioni sono state criticate in quanto ignorano la “realtà sociale dell’apprendimento
linguistico così come esso è creato e sperimentato congiuntamente da insegnanti ed
allievi” (Breen, 1985: 141). È infatti un interesse fondamentalmente antropologico e
sociologico quello che sembra oggi prevalere nello studio della classe.
In questo estratto ci soffermeremo sulla classe in quanto ‘ambiente comunicativo’:
adotteremo cioè una visione che si focalizza sulle attività di co-costruzione dialogica ed
esperienziale di saperi. [...]
2. La classe come ‘ambiente comunicativo‘
L’attività educativa può essere definita come un processo comunicativo in cui qualcuno
aiuta qualcun altro ad acquisire o a sviluppare delle conoscenze, dei saperi, delle capacità
interpretative.
Un primo modello dell’educazione considera le conoscenze ed i saperi da trasmettere
come dei fatti oggettivi, da acquisire per accumulazione. Si tratta di una concezione che
ha avuto molta influenza sia nella determinazione dei contenuti di apprendimento che nello
stabilire le pratiche didattiche da adottare per trasmetterli. Cito liberamente da Wells
(1999: 135-37): la funzione dell’educazione (nel modello in questione n.d.c) è quella di
assicurarsi che lo studente acquisisca i saperi ritenuti utili ed importanti; insegnare
consiste nell’organizzare quello che deve essere appreso in porzioni sequenziali della
giusta misura, fornendo occasioni per praticarle ed impararle. Il processo comunicativo,
che è al centro dell’attività educativa, è unidirezionale -procede cioè esclusivamente
dall’insegnante agli allievi- e consiste fondamentalmente in un trasferimento di
conoscenze da una fonte autorevole (docente o libro) ad un apprendente-recipiente
relativamente passivo.
A questa concezione di insegnamento/apprendimento come trasmissione ed
appropriazione, spesso acritica, di conoscenze si contrappone un altro modello che
configura invece l’insegnamento/ apprendimento come una attività di co-costruzione
dialogica ed esperienziale di saperi culturalmente, storicamente e situazionalmente
determinati, ed in cui il discente viene guidato alla scoperta di nuove conoscenze e ad
una loro rielaborazione autonoma. Si parla infatti di ‘guided construction of knowledge’
[‘costruzione guidata dei saperi’], titolo di un noto libro di Neil Mercer (1995). In questa
prospettiva, l’interazione verbale può venire utilizzata come indicazione dei processi di
apprendimento; chi si pone in questa ottica analizza cioè il rapporto tra l’interazione in
classe e l’apprendimento, interrogandosi su che cosa indichino, ai fini dell’apprendimento
o della motivazione, le azioni dei partecipanti. [...]
3. Rapporto tra interazione ed apprendimento
La visione della classe come ambiente comunicativo presuppone una concezione di
apprendimento come progressiva partecipazione degli allievi ad una comunità discorsiva
particolare. La costruzione delle conoscenze da parte degli allievi - si sostiene - avviene
infatti attraverso la partecipazione ad un costante dialogo con l’insegnante, con i testi di
studio, con i compagni. Si postula cioè una stretta relazione tra la dimensione cognitiva e
quella interazionale, tra l’acquisizione ed il funzionamento delle interazioni. Quest’ultimo è
analizzato sia dal punto di vista del che cosa vien detto durante lo svolgersi
dell’interazione, sia dal punto di vista del come è strutturata la partecipazione degli
interattanti all’evento linguistico. Ad esempio, nelle classi di lingua non materna
l’apprendente formula costantemente delle ipotesi relative alla L2, ipotesi che vengono
verificate e ristrutturate durante le interazioni e che danno luogo a pratiche discorsive
specifiche; queste ultime offrono così una sorta di cornice per la costruzione
dell’interlingua.
In una prospettiva interazionista, dunque, l’interazione verbale e le forme che essa
assume possono essere utilizzate dall’insegnante, o dal ricercatore, come indicatori di
processi cognitivi ed esperienziali. Ponendosi in quest’ottica, ci si potrà interrogare cioè su
che cosa indichino le ‘azioni’ degli apprendenti relativamente alla loro comprensione del
compito proposto, alle richieste sociali che vengono loro rivolte, al loro apprendimento,
alla loro socializzazione. Osservando la classe, si potrà così rilevare la maggiore o minore
efficacia delle pratiche pedagogiche analizzando le modalità con cui gli apprendenti
replicano/ non replicano alle domande dell’insegnante, continuano/ non continuano il suo
discorso o quello di altri studenti. I processi di apprendimento potranno inoltre manifestarsi
attraverso comportamenti di presa d’atto di quanto l’insegnante richiede, o si attende, che
venga fatto, cioè da azioni - verbali o meno - coerenti con la comunicazione in corso.
Inoltre, si manifesteranno discorsivamente nel ‘ricordare con gli altri’, nel descrivere, nel
collegare una situazione presente ad una passata, nello spiegare, nel valutare, ecc.
L’osservazione
dell’interazione
in
classe
potrà
mettere
così
in
luce:
(a) quali pratiche interazionali producono migliori occasioni di partecipazione e dunque,
presumibilmente, di apprendimento;
(b) quali forme partecipative sono più idonee a raggiungere lo scopo di apprendimento che
l’attività persegue. [...]
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