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Società della carità, soci e amici
La vocazione rosminiana Grillo parlante o … pensieri sparsi L’impegno primario del rosminiano è un sincero cammino di santità personale, con fiducia in Dio e nella consapevolezza della propria povertà. 15. Società della carità, soci e amici ... La “società della carità” e i suoi “soci” Rosmini definisce gli appartenenti all’Istituto della carità come sodales, cioè “soci/amici”, appartenenti alla societas a caritate noncupata, cioè alla società che prende il nome dalla carità. Vorrei riflettere un po’ con voi su questo. Potrebbe sembrare riduttivo definire i membri di una famiglia religiosa soci e non ad esempio “fratelli”. Potrebbe sembrare una definizione priva di calore, che delinea un legame formale e quindi meno stretto. Approfondendo però ciò che Rosmini dice della società, si scopre che così non è. Per farlo, ci facciamo aiutare dalla definizione che ne dà nella Filosofia del diritto: «[Il vincolo sociale] è formato da più persone cospiranti in un fine, e aventi la consapevolezza e volontà di cospirare congiuntamente nel detto fine»1. Posta la premessa che per essere soci è necessario cospirare allo stesso fine, per noi la perfezione evangelica, il padre aggiunge che in realtà questo solo non basta: per fare società i sodales dovranno avere anche «consapevolezza e volontà di cospirare congiuntamente nel detto fine». E per chiarire il suo pensiero offre un paragone: «Se lavorassero più dotti in diverse parti del mondo per venire a capo d’un trovato utile all’umanità ma l’uno non sapesse dell’altro, né lavorassero a forze unite, sì bene ciascun da sé, col proprio ingegno; le loro volontà cospirerebbero certamente in uno stesso fine, ma non formerebbero tuttavia società fra loro». Per un rosminiano è dunque importante, nell’indirizzare mente, cuore e forze alla perfezione, ricor1. A. ROSMINI, Filosofia del diritto, voll. 6, in “Edizione Nazionale delle opere edite e inedite di A. Rosmini Serbati”, XXXV-XL, Cedam, Padova, 1969, parte II, libro I, nn. 34-49, vol. XXXVII, pp. 725ss. Simile la definizione che Rosmini da della società nel Compendio di etica: «Vincolo di società chiamasi quello mediante il quale le persone umane si uniscono e legano fra loro, affine di godere insieme que' vantaggi che si posson cavar dalle cose. L'essenza dunque della umana società consiste in questo, che più persone siano tra di loro così congiunte, che costituiscano insieme una sola persona collettiva. Il fine della società è il bene comune, ad ottener il quale tutte le individuali persone travagliano insieme a forze unite; e il sostegno o fondamento ne é la mutua benevolenza che dicesi sociale, ossia l'amor del bene della società», A. ROSMINI, Compendio di etica, in “Opere edite ed inedite di Antonio Rosmini”, n. 29, Città Nuova, Roma, 1998, n. 451. dare che non è solo, che ha ricevuto un dono comune ad altri, chiamati come lui a svilupparlo ciascuno nella propria unicità. I rosminiani non sono eroi solitari e, quando anche la carità chiedesse loro di operare individualmente, lo fanno sapendo di far parte di un popolo di chiamati, la Chiesa, e in essa dell’Istituto. E tuttavia secondo il padre nemmeno questo è di per sé sufficiente perché si possa parlare di una società. Infatti, pur sapendo di avere una chiamata comune, l’uomo può ancora usare di questa conoscenza e dei suoi doni per i propri esclusivi interessi, nell’illusione che questi possano prescindere dal bene dei fratelli, e così, anziché costruire il bene, può distruggerlo2. Dunque, perché si possa veramente vivere la carità, è necessario che la chiamata e i doni di Dio siano unite ad una scelta libera e precisa di cercare il bene comune, nella consapevolezza che è solo in questo modo che si realizza la societas. È l’importanza della volontà, del consentimento e della retta intenzione, fondamentale al punto che Rosmini aggiunge, quasi cadendo in contraddizione con se stesso, che quando anche capitasse che più persone non sapessero di essere molte ad aspirare ad un fine comune, ma lo condividessero di fatto seppur inconsapevolmente, aperte e intimamente felici di condividerlo anche praticamente quando fosse possibile, questo costituirebbe già una forma di autentica unione di intenti. Si può essere rosminiani al limite senza conoscersi, ma non senza desiderarlo. La societas richiede poi che le persone pongano di fatto qualcosa in comune, perché solo ciò che è messo concretamente in comune perfeziona gli atti precedenti, lega le volontà, causa della società, le unifica e ne cementa la solidarietà3. Dunque il rosminiano, che ha come fine il bene nella comunità e gode di condividere la propria chiamata purificando il cuore da ogni antagonismo o invidia, deve unire alla condivisione del fine quella dei mezzi. Il modello primo ed ultimo di questa unione perfetta lo ha poi offerto Dio stesso in Gesù, nel mistero dell’Incarnazione4, in cui natura divina e natura umana vivono in un’unica persona, e in cui la volontà-persona umana, proprio perché parte di una umanità perfetta e totalmente orientata al bene, cede completamente il primato alla volontà-persona divina. Qui si realizza il bene sociale sommo, nella comunione di tutto Dio con tutto l’uomo, nel sommo grado, in quanto subordinato alla perfezione del principio di Dio amore, vivente ed operante in un uomo totalmente libero. Come vediamo, dunque, società e sodales sono tutt’altro che termini e concetti sminuenti del legame che ci unisce nella carità. Anzi ci portano ad una totalità del dono che abbraccia tutte le dimensioni della persona. Non a caso il padre fondatore, nello stesso contesto, ci offre una distinzione fra vera societas e alcuni tipi di società apparenti5: coesistenza, convivenza, diritto, convenzioni, signoria, beneficenza, semplice amicizia, società dei malvagi (oggi diremmo associazioni a delinquere, bande, gangs)6: tutte realtà presenti anche nel nostro mondo, ma che in un modo o nell’altro non realizzano una piena comunione del tipo di quella descritta, anche se possono costituirne dei surrogati più o meno utili e più o meno innocui. Siamo chiamati alla totalità dell’offerta nella totalità della condivisione, e anche questo è remare controcorrente ed essere segno profetico, come raccomandava il Santo Padre ai cresimandi di Roma qualche domenica fa7: parte della nostra missione specifica di religiosi nella Chiesa universale 8. 2. Così il padre nel testo citato: «Se queste persone cospiranti a quell'utile trovato sapessero benissimo l'una dell'altra, e gareggiassero eziandio a chi prima il raggiunge, non vi sarebbe ancora per questo solo società ma più tosto disunione fra loro, e proprietà […]. Ciascuno tenderebbe a far sì che la scoperta fosse sua propria, e non agli altri comune». 3. Rosmini presenta qui come esempio quello che succede quando più persone contraggono un debito o posseggono qualcosa “in solido”: «Più debitori, ciascun de' quali è obbligato per tutta la somma, si dicono obbligati in solido, o sia so lidarj. Allo stesso modo si possono dire possessori solidarj, o comproprietarj, quelli che posseggono un terreno od altra realitá indivisamente»: A. R OSMINI, Filosofia del diritto, cit., parte II, libro I, vol. XXXV II, n. 37, p. 726. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., n. XXXVIII, vol. II, libro II, parte I, sez. I, nn. 679-708, pp. 901-911. Cfr. Ivi, nn. 40-49, pp. 726-729. Ivi, n. 48, pp. 728-729. PAPA FRANCESCO, Omelia della Santa Messa con il rito della Confermazione, Piazza S. Pietro, domenica 28 Aprile 2013. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa. Lumen Gentium, n. 43. 4. 5. 6. 7. 8.