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Cavalieri Mamelucchi e Samurai

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Cavalieri Mamelucchi e Samurai
Cavalieri
Mamelucchi
e Samurai
a p. 1 e in quarta di copertina - Incisione preparatoria raffigurante l’armatura detta "di Antonio I Martinengo" alla Armeria Reale
di Torino, tratta da Abiti e Fogge civili e militari dal I al XVIII secolo di F. Stibbert
a p. 18 - Foto dell’armatura di Ascanio Maria Sforza conservata all’Armeria Reale di Torino, tratta da Armeria Reale di Torino,
(Perini, Venezia 1865), corretta da F. Stibbert nel 1874
a p. 24 - La Cavalcata nel Salone dell’Armeria del Museo Stibbert di Firenze
a p. 32 - Armatura da cavaliere, Lombardia, 1540-1550 ca. Firenze, Museo Stibbert (cat. 4)
a pp. 56, 112 - Armatura equestre a piastre e maglia, Sind, terzo quarto del XVIII secolo. Firenze, Museo Stibbert (cat. 42)
a p. 70 - Tosei gusoku (armatura moderna), Giappone, fine XVII-prima metà del XVIII secolo. Firenze, Museo Stibbert (cat. 75)
a p. 88 - Emakimono (rotolo orizzontale), part., Giappone, prima metà del XVII secolo. Firenze, Museo Stibbert (cat. 109)
Cavalieri, Mamelucchi e Samurai
Armature di guerrieri d'Oriente e d'Occidente
dalla collezione del Museo Stibbert
a cura di Enrico Colle
ISBN 978-88-8347-770-6
© 2014 Consorzio di Valorizzazione Culturale La Venaria Reale
© 2014 s i l l a b e s.r.l.
www.sillabe.it
stampato presso Genesi, Città di Castello
Ristampa
Anno
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023
sillabe
Cavalieri, Mamelucchi e Samurai
Armature di guerrieri d’Oriente e d’Occidente
dalla collezione del Museo Stibbert di Firenze
Reggia di Venaria, Sale delle Arti
25 ottobre 2014 - 8 febbraio 2015
La mostra è realizzata dal Consorzio La Venaria Reale e dal Museo Stibbert di Firenze
in collaborazione con l’Armeria Reale di Torino
A cura di
Enrico Colle
Comitato scientifico
Enrico Colle, Soprintendente del Museo Stibbert di Firenze
Mario Epifani, Direttore dell’Armeria Reale di Torino
Gian Carlo Calza
Francesco Civita, Museo Stibbert di Firenze
Riccardo Franci, Museo Stibbert di Firenze
Martina Becattini, Museo Stibbert di Firenze
A cura di
Enrico Colle
in collaborazione con l'Armeria Reale di Torino
Museo Stibbert onlus, Firenze
Fotografie
Archivio Armeria Reale di Torino: foto Studio Gonella
Archivio fotografico Museo Stibbert
Rabatti & Domingie, Firenze
Antonio Quattrone, Firenze
Sergio Piccioli Fotografo
Si ringrazia Werelde Museum, Rotterdam, per la
disponibilità delle foto dei pezzi nn. 72, 73, 75, 77, 78, 87
sillabe
Direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare
Redazione: Barbara Galla
Progetto grafico: Susanna Coseschi
Consiglio di Amministrazione
Claudia De Benedetti, Enrico Filippi, Antonella Parigi, Luigi Quaranta
Collegio dei Revisori dei conti
Giuseppe Mesiano, Mario Montalcini, Lionello Savasta Fiore
Segreteria organizzativa e redazione catalogo
Simona Di Marco
Manutenzioni delle opere del Museo Stibbert
Tomaso François
con la collaborazione Alessio Cenni
Promozione culturale del Museo Stibbert
si ringrazia
Ente Cassa di Risparmio di Firenze
e inoltre
Accademia Antinori, Baldi Home Jewels, Fashion Institute of
Technology, Fondazione Bruschettini, Fondazione Federico
Del Vecchio, Giusto Manetti Battiloro Spa
e con loro
Paolo Fresco, Niccolò Pandolfini, Bonaccorso Vitale
Brovarone con Elinor de Spoelberch
Prevenzione e protezione
Gianfranco Lo Cigno (resp.), Carlo Riontino
Inaugurazione
Sonia Amarena (resp.), in collaborazione con Agenzia Uno
Comunicazione e Stampa
Andrea Scaringella (resp.), Matteo Fagiano, Cristina Negus,
Carla Testore con M. Clementina Falletti, Costantino Sergi,
Alessandra Zago
Direttore
Alberto Vanelli
Traduzioni
Language Point
Organizzazione generale
Gianbeppe Colombano
Grafica in mostra
MyBossWas
Segreteria scientifica
Silvia Ghisotti, Donatella Zanardo
Realizzazione dell’allestimento
Bond srl
Progetto di allestimento e direzione lavori
Giovanni Tironi con Claudio Marino e Michele Gueli Magma Progetti
Trasporti
Cronwn Fine Arts
Coordinamento dell'allestimento
Francesco Bosso (resp.), Paolo Armand, Fabio Soffredini
Organizzazione della mostra
Schede
Francesco Civita (42-60 e 62-116), Mario Epifani (1 e 7),
Riccardo Franci (2-6 e 8-39), Alberto Tosa (41 e 61)
Presidente
Fabrizio Del Noce
Organizzazione, coordinamento trasporti e accrochage
Tomaso Ricardi di Netro (resp.), Giulia Zanasi (registrar),
Patrizia Raineri
Catalogo
Saggi
Martina Becattini, Gian Carlo Calza, Francesco Civita,
Enrico Colle, Mario Epifani, Riccardo Franci
Consorzio di Valorizzazione Culturale La Venaria Reale
Immagine della mostra
Federico Sacco - Showbyte srl
Coordinamento progetto grafico
Domenico De Gaetano (resp.), Chiara Tappero con Anna Giuliano
Amministrazione
Francesca Cassano, Stefania Mina
Gare amministrative
Salvatore Bonaiuto con Alessandra Del Soldato
Servizi educativi
Silvia Varetto
Controllo climatico e servizi impiantistici
Giorgio Ruffino con Alberto Miele
Assicurazioni
Catani Gagliani snc
Studio Pastore Insurance Broker
Assistenza al montaggio e monitoraggio delle opere
Fondazione Centro per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali La Venaria Reale
Servizio di gestione
ATI La Corte Reale, Telecontrol, Manital – Res Nova
Ringraziamenti
Nicoletta Mantovani, Assessore Cooperazione e Relazioni
Internazionali del Comune di Firenze
Lia Brunori, Vicedirettore della Galleria dell'Accademia di
Firenze
Stefano Damonti, Assessorato Cooperazione e Relazioni
Internazionali del Comune di Firenze
Mario Turetta, Direttore Regionale per i Beni Culturali e
Paesaggistici del Piemonte
Edith Gabrielli, Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed
Etnoantropologici del Piemonte
ISCR di Roma: Gisella Capponi, Daila Radeglia e Maria
Vera Quattrini Il Consorzio di Valorizzazione Culturale La Venaria Reale è composto da
La Reggia di Venaria Reale è dichiarata Patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco
La mostra Cavalieri, Mamelucchi e Samurai. Armature di guerrieri d’Oriente e d’Occidente
presenta il tema delle armature e dei loro corredi come autentiche “opere d’arte” attraverso
una chiave di lettura per certi versi inedita, che rientra perfettamente nella mission della
Venaria Reale di cogliere ed offrire opportunità di conoscenza e di confronto curiose e molteplici: attraverso una prospettiva inusuale ed allo stesso tempo spettacolare, non solo si
permette di ammirare preziosi manufatti risalenti ad un lungo periodo compreso tra Cinquecento e Ottocento, ma si consente anche di scoprire e capire le differenze (e somiglianze)
tra usi, costumi e valori di società e “mondi” distanti tra loro.
Le magnifiche armature italiane, tedesche, indiane, giapponesi e della tradizione islamica
esposte alle Sale delle Arti, provengono dalla grande collezione del Museo Stibbert di
Firenze: alla Venaria hanno l’opportunità di “dialogare” con opere analoghe dell’Armeria
Reale di Torino, l’altra importante collezione storica di questo tipo presente in Italia. Anche
questo confronto offre nuovi spunti didattici e di divulgazione che si son voluti consapevolmente perseguire.
Ringraziamo il curatore Enrico Colle per la sua indispensabile quanto eccellente collaborazione, insieme agli enti ed agli uffici che hanno concorso alla realizzazione del progetto,
nella convinzione che anche questa iniziativa troverà l’attenzione e l’interesse del nostro
pubblico, ormai sempre più numeroso ed affezionato.
Fabrizio Del Noce
Presidente La Venaria Reale
Alberto Vanelli
Direttore La Venaria Reale
Cavalieri, Mamelucchi e Samurai
L’armeria Stibbert
Fonti storiche e iconografiche per il suo allestimento
Enrico Colle
11
La “Reale Armeria” di Torino nella seconda metà dell’Ottocento:
formazione e promozione di una raccolta dinastica
Mario Epifani
19
La collezione Stibbert
Martina Becattini
25
Le armi e le armature in Europa
Riccardo Franci
33
L’armatura mediorientale
Francesco Civita
57
Armi e armature in Giappone
Francesco Civita
71
Cortigiane, mercanti, cavalieri nel Giappone del Seicento e Settecento
in due rotoli del Museo Stibbert
Gian Carlo Calza
89
Schede
94
Enrico Colle
L’arte della guerra ha accomunato molta storia dell’umanità ed ha avuto una forte valenza magica, alchemica e religiosa. Le armi infatti hanno da sempre
rappresentato forza e potere e la loro realizzazione
è stata accompagnata da una costante ricerca sia sui
materiali da impiegare nella costruzione sia sulle decorazioni che le abbellivano. Non a caso per secoli le
armerie reali sono state al centro degli interessi dei
sovrani europei che, come avvenne per l’Armeria Reale di Torino, venivano esibite con vanto al pari delle
altre raccolte artistiche.
La mostra vuole presentare, in una efficace sintesi,
proprio l’aspetto artistico ricoperto dalle armature e riproporre tre mondi a confronto: quello europeo, quello
medio orientale e quello altrettanto raffinato dei Samurai giapponesi, evidenziando così le differenze tra
il guerriero europeo rigido entro la sua armatura modellata in modo statuario, il combattente mediorientale rivestito di maglie metalliche rinforzate con piastre
d’acciaio nei soli punti vitali per meglio muoversi in
combattimento e il Samurai giapponese che privilegiava nel suo armamento difensivo una figurazione
fantastica dai profili geometrici che riduceva ad una
astrazione forzosa le proporzioni umane.
Tutte le armature scelte per l’allestimento della mostra
(italiane, tedesche, islamiche, indiane e, soprattutto,
giapponesi) condividono il gusto dell’ornato anche
prezioso e delicato mescolando decorazioni e vanità,
bellezza e funzionalità espresse con mezzi riscontrabili nelle altre arti suntuarie e documentate attraverso
il confronto di raffinati esemplari, scelti tra i molti conservati nel Museo Stibbert, e provenienti dalle citate
aree geografiche: si tratta di opere di grande importanza storico artistica le cui tipologie spaziano dal XVI
secolo all’Ottocento documentando la costante ricerca da parte degli artigiani e degli artisti impegnati nella
loro fabbricazione ad inventare forme e decorazioni
sempre nuove e variate.
Ed è proprio questo l’elemento alla base della creazione da parte di Frederick Stibbert del suo museo che
si differenzia dalle grandi armerie contemporanee per
l’attenzione da parte del collezionista nell’inserire ciascuna opera scelta per la sua raccolta all’interno di un
percorso storico artistico che coinvolge l’ornato delle
sale e la disposizione delle armature stesse intese non
come mero arredamento o testimonianza dei passati
fasti dinastici, ma quali elementi dinamici di un’evoluzione dei costumi militari attraverso i secoli.
I precedenti per l’allestimento di questo eccentrico Museo, a lungo studiato in ogni dettaglio dal suo creatore,
dovranno dunque essere rintracciati nei precoci interni
neogotici ideati, tra il 1749 e il 1776, da Horace Walpole
per la sua residenza di Strawberry Hill, dove l’armeria,
formata anche attraverso pezzi fatti acquistare a Firenze tramite il residente inglese Horace Mann, occupava
un posto importante all’interno dell’edificio e fu per lungo tempo la prima allestita da un privato attuando una
inedita rivisitazione storica delle armerie medioevali1.
Secondo l’idea dello stesso Walpole la sua armeria doveva infatti “bespeaks the ancient chivalry of the lords
of the castle”2; non solo, essa doveva anche far calare
il visitatore in un’atmosfera medievale, in linea con le
altre sale del castello, attraverso una sapiente illuminazione filtrata dai vetri colorati delle finestre e delle
lanterne. In una lettera indirizzata a Horace Mann nel
giugno del 1753 Walpole così descrive la disposizione
della collezione: “The hall and staircase are the chief
beauty of the castle. Imagine the walls covered with (I
call it paper but it is really paper painted in perspective
to represent) Gothic fretwork: the lightest Gothic balustrade to the staircase, adorned with antelopes (our
supporters) bearing shields; lean windows fattened
with rich saints in painted glass, and a vestibule open
with three arches on the landing place, and niches full
of trophies of old coats of mail, Indian shields made of
rhinoceros’s hides, broadswords, quivers, long bows,
11
10
L’armeria Stibbert
Fonti storiche e iconografiche per il suo allestimento
l’epica rivissuta attraverso le trasposizioni letterarie di
Walter Scott da lui molto amato5. Come aveva messo in
luce Lionello Boccia6 a quell’epoca, e probabilmente fin
dai tempi in cui compiva i propri studi in Inghilterra, egli
aveva potuto ammirare, direttamente o attraverso dipinti, l’allestimento delle armature reali nella Round Tower
a Windsor Castel, o nelle sale del castello di Hampton
Court; ma ad impressionarlo fu soprattutto, la Line of
kings nella Torre di Londra, dove erano stati sistemati,
tra il 1807 e il 1826, uno accanto all’altro i simulacri dei
monarchi inglesi a partire da Guglielmo il Conquistatore,
e la Horse Armoury nelle due varianti del 1827, opera di
sir Samuel Rush Meyrick, e quella più tarda, del 1890,
realizzata da lord Arthur Dillon con figure di armati in
piedi e a cavallo ordinatamente disposte in lunghe serie
con panoplie di armi appese alle pareti.
Sir Samuel Meyrick e il figlio Llewellyn furono i collezionisti privati cui Stibbert fece, più di ogni altro, riferimento per la creazione della sua armeria: nella residenza
neogotica di Goodrich Court , Samuel Meyrick progettò,
ancor prima di costruire l’edificio, la disposizione della
sua armeria in ogni dettaglio pubblicando nel 1830 un
catalogo fornito di incisioni (fig. 2) che documentano
l’assetto che essa avrebbe dovuto avere. Tra queste,
come ha ben evidenziato Boccia, ve n’è una che ritrae
due giostratori vicino a cinque figure armate in una
disposizione poi adottata nel 1885 circa da Frederck
Stibbert per l’allestimento della Cavalcata. Parte delle
armi della collezione Meyrick furono acquistate, dopo il
1871, da Richard Wallace per la sua casa museo terminata qualche anno dopo, nel 1775, e anch’essa divenuta punto di riferimento per gli studi di Stibbert. Non solo,
durante i viaggi che egli intraprese nelle varie capitali
europee, Stibbert poté ammirare l’Armeria Reale di Madrid, allora visibile secondo il riordinamento voluto, tra
il 1875 e il 1884, da Alfonso XII con il blocco compatto
dei cavalieri al centro del salone, poi ripreso, senza l’inserimento dei cavalieri, nella sistemazione della Salle
Pierrfonds nel Musée de l’Armée a Parigi; in Germania
l’armeria del castello di Erbach dove i preziosi cimeli
guerreschi erano montati su apposite mensole appese
lungo le pareti, e in Italia la collezione approntata da
Poldi Pezzoli nel suo palazzo milanese (fig. 3) secondo
quel gusto per il revival gotico, inaugurato dalle sce-
Fig. 1 - J. Carter, The Armoury at Strawberry Hill, 1788
ca, acquerello su carta dello scalone di Strawberry Hill
Fig. 2 - J. Skelton, L'atrio di Goodrich Court, 1830 ca, incisione
nografie di Alessandro Sanquirico, che caratterizzerà
molti degli interni lombardi di metà Ottocento.
Si trattava di armerie allestite in modo altamente spettacolare, con grande uso di manichini e trofei d’armi,
ma tra queste quella che affascinò maggiormente Stibbert fu l’Armeria Reale costituitasi a Torino nel corso dei
secoli e collocata nel 1837 nella Galleria affrescata da
Claudio Francesco Beaumont, con cavalieri in armature
disposti ai lati delle pareti lunghe della sala su cavalli
rampanti7. L’interesse del collezionista anglo fiorentino
per l’Armeria torinese è infatti documentato dalla serie
quasi ininterrotta di lunghe soste che egli compì nella
città piemontese tra il 1873 e il 1902 nei viaggi che lo
dovevano portare a Parigi e a Londra8. Durante questi
soggiorni egli ebbe modo, oltre che di incontrare studiosi e antiquari del settore, di ammirare con tutta calma le
armature conservate nella Galleria sabauda, spesso disegnando i modelli via via presi in considerazione o apportando delle modifiche di suo pugno alle foto dell’epoca che ritraevano i cavalieri (fig. 4) per farle poi incidere
a stampa per la sua opera postuma dedicata agli Abiti
e Fogge civili e militari dal I al XVIII secolo. Qui infatti si
13
12
arrows and spears – all supposed to be taken by Sir
Terry Robsart in the holy wars”3.
Tale scenografico allestimento (fig. 1), smembrato nel
1842 in seguito alla vendita all’asta dell’intera collezione, fu successivamente ampliato con l’aggiunta di
altre armature acquistate grazie all’opera di diversi
agenti attivi in Europa, o direttamente presso amici inglesi, e poi accuratamente ricomposte e commentate
dallo scrittore nella sua guida alle collezione data alle
stampe nel 1774, seguita da una versione rivisitata
e ampliata del 1784 e da una serie di acquerelli che
illustrano l’insieme delle sale e alcuni particolari delle
armature più importanti.
Si iniziava quindi con Walpole quel lungo percorso di rivalutazione delle varie tipologie di armi, non più intese
come oggetti esotici da inserire tra le curiosità scientifiche nei gabinetti dei collezionisti, come era avvenuto fino
ad allora, ma come vere e proprie opere d’arte in grado
di rievocare epoche lontane troppo a lungo dimenticate
dagli storici ma dense di eventi politici e militari alla base
della nascita del mondo contemporaneo.
Dopo la morte di Walpole, nel 1797, Strawberry Hill fu
una delle più celebrate residenze d’Europa e l’armeria
in essa contenuta, anche se non di grandi proporzioni, ma composta da un artistico miscuglio di armature
europee e orientali, ispirò la creazione di analoghe collezioni, come quella del pittore Richard Cosway, amico
di Walpole, che realizzò nella sua casa di Londra un
raffinato “armour closet”, presto seguito da altri artisti
dell’epoca come Johann Zoffany e Philippe-Jacques de
Loutherbourg e da nobili quali George Greville, Earl of
Warwich, nel cui castello completamente rinnovato in
stile neomedioevale trovava posto un’armeria storica,
oppure i tedeschi Franz I di Erbach-Erbach, committente della sontuosa Rittersaal nel castello di Odenwald
presso Darmstadt, e poi il principe Leopold Friedrich
Franz di Anhalt-Dessau, che dispose la sua collezione
di armi europee nella residenza goticizzante a Worlitz
e, agli inizi dell’Ottocento, il langravio Wilhelm IX di
Hessen-Kassel, anch’egli collezionista di varie tipologie di armamenti delle epoche passate poi spettacolarmente sistemate nel maniero neogotico di Loewenburg
vicino a Kassel4.
La riscoperta del Medioevo avviata durante la seconda
metà del Settecento in Inghilterra, e successivamente
nel resto d’Europa, dovette quindi giungere, attraverso
testimonianze letterarie e figurative, fino ai primi anni
sessanta dell’Ottocento quando Frederick Stibbert cominciò a coltivare la sua passione per le armature e per
Fig. 3 - Foto dell'Armeria Poldi Pezzoli, 1881 ca
Fig. 4 - Foto dell’armatura detta "di Antonio I Martinengo", tratta da Armeria Reale di Torino (Perini, Venezia
1865), corretta da F. Stibbert nel 1874
le quali spicca l’edificazione del Borgo Medioevale del
Valentino realizzato dall’architetto nel 1884 in occasione dell’Esposizione Nazionale torinese di quell’anno.
Una commissione costituita da Vittorio Avondo, raffinato conoscitore di arti minori medioevali, da Federico Pastoris, pittore di scene storiche ambientate sullo
sfondo dei castelli valdostani, e dal poeta Giuseppe
Giacosa, aveva infatti affidato a D’Andrade il progetto di costruire un castello medioevale con tutto il suo
borgo con il proposito di mostrare al pubblico “lo svolgimento delle arti decorative in Italia dal X al XVII secolo,
colla costruzione di diversi corpi di fabbricato collegati
insieme, disposti, decorati e arredati esternamente e
nell’interno secondo il carattere delle epoche comprese
in detto periodo”9. Tale spettacolare ricostruzione colpì
sicuramente la fantasia di Stibbert che volle riproporre
i particolari dei volti degli eroi e delle eroine di La Manta, affrescate in uno degli ambienti del citato castello,
anche nella sala al secondo piano dell’armeria che poi
destinò a contenere la sezione giapponese.
Nell’allestimento del suo museo, attuato a partire dai
primi anni ottanta del secolo, egli infatti tenne presente quanto aveva visto durante i viaggi, ma rielaborò gli
spunti presi secondo un suo personale progetto dove
la linea altamente coinvolgente presente nelle grandi
armerie europee è associata ad un resa più dinamica
impressa negli atteggiamenti degli armati all’interno del
salone e ad una maggiore attenzione alla ricostruzione
storica, attuata attraverso gli strumenti d’indagine allora a disposizione, come la documentazione pittorica
quattro-cinquecentesca e la trattatistica del tempo rappresentata dai testi di Samuel Rush Meyrick, Charles
Alfred Stothard, Boutell, Jahn Hewitt, Eugène ViolletLe-Duc e Jacob Heinrich von Hefner-Alteneck10.
La collezione Stibbert nasceva dunque sotto il segno
delle grandi raccolte radunate tra la fine del Settecento e la prima metà del secolo seguente in Europa – e
non a caso egli scelse, come era avvenuto per l’armeria di Walpole più di un secolo prima, di inserire vetrate colorate alle finestre al fine di rendere più variopinta
la visione dell’insieme – riuscendo però a superare la
fase romantica di tali insiemi per approdare ad una
visione più positivistica e quindi in linea con gli interessi di Stibbert verso gli studi sulla storia del costume. Come ebbe a scrivere nel 1925 il barone Charles
Alexander de Cosson, allora il più celebre collezionista e conoscitore d’armi, l’idea di Stibbert fu quella di
esibire le armature come esse dovevano essere state
portate dagli uomini nelle varie epoche e di mettere in
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14
trovano raffigurati, oltre ai particolari dei volti degli eroi
e delle eroine tratti dagli affreschi di La Manta, anche le
armature equestri appartenute al cardinal Ascanio Maria Sforza Visconti (foto a p. 18), ad un anonimo cavaliere, allora ritenuto erroneamente Antonio I Martinengo, e
al principe Tommaso di Savoia Carignano.
L’eco ancora viva degli allestimenti neogotici voluti da
Carlo Alberto e affidati all’architetto di corte Pelagio
Palagi, insieme alla trattatistica di corte costantemente
tesa a celebrare i fasti militari di casa Savoia, dovettero
affascinare Stibbert se per la creazione di due dei cavalieri, ancora oggi presenti nella Sala della Cavalcata,
egli prese come modello la statua equestre di Emanuele Filiberto del Marochetti e la posa del cavallo su
cui fu montata l’effige del principe Tommaso di SavoiaCarignano in atto di spiccare un salto, inserendole in
una sorta di immaginaria “Line of heroes” – come la
definisce Lionello Boccia – dove trovavano posto anche un condottiere ispirato all’affresco di Paolo Uccello
raffigurante Giovanni Acuto, un gendarme ripreso dal
monumento al Colleoni del Verrocchio, e un cavaliere
la cui sistemazione fu influenzata dai ritratti dell’Imperatore Massimiliano d’Austria.
Inoltre il gusto neogotico che appassionava il collezionista trovava in Piemonte sempre nuovi spunti che potevano andare dai celebrati affreschi del castello di La
Manta alle ricostruzioni in stile di Alfredo D’Andrade tra
dove i revivals stilistici divenivano parte integrante del
racconto storico.
Le teorie estetiche elaborate in Inghilterra nel corso
della seconda metà dell’Ottocento non furono adottate solo per la realizzazione della Cavalcata, ma
anche nell’allestimento delle nuove sale giapponesi.
Come ha messo in luce Martina Becattini14, l’idea di
inserire le armature dei Samurai in un contesto fortemente connotato dalle decorazioni neogotiche si rifà
alle teorie estetiche anglosassoni che vedevano negli
ideali di religiosità e spiritualismo, tipici del mondo cavalleresco europeo, delle notevoli similitudini con le
regole che disciplinavano la vita dei Samurai nell’età
feudale giapponese.
Come è noto il successo del japonisme iniziò all’incirca
con l’Esposizione Universale di Parigi del 1867, dove fu
presentata per la prima volta una gran quantità di oggetti della civiltà nipponica; essi ebbero una forte attrattiva,
non solo per collezionisti del calibro di Frederick Stibbert, ma anche per gli studiosi e per gli artisti occidentali, soprattutto inglesi, i quali iniziarono per primi una
catalogazione scientifica dei numerosi manufatti giapponesi importati sul mercato europeo. I principali protagonisti di questo movimento anglo-giapponese furono
l’architetto William Burges ed i designers Edward William Godwin e Christopher Dresser le cui opere furono
certamente conosciute da Stibbert, il quale, sulla scia
del successo delle loro creazioni, decise di affiancare
alle decorazioni neotrecentesche presenti sulle pareti
della sala da lui destinata a raccogliere la collezione di
armature Samurai, i decori ripresi dagli ornati presenti
nei templi giapponesi.
L’eclettismo stilistico che aveva informato la creazione
della casa museo investì anche la parte dell’armeria
destinata ad esporre le collezioni mediorientali: per la
decorazione della sala con la cavalcata islamica fu infatti scelto di adottare il gusto moresco e più in particolare furono copiati gli ornati delle sale dell’Alhambra
ammirati da Stibbert diversi anni prima, nell’agosto del
1861, durante un soggiorno a Granada15. Il voluttuoso
sogno turco che aveva uniformato molti dei salotti nei
palazzi nobiliari europei della prima metà dell’Ottocento, riprende vigore negli ultimi decenni del secolo, spogliandosi però di tutte le reminiscenze romantiche per
adattarsi alla nuova sensibilità estetica della ricca borghesia italiana. Ora non sembra più sufficiente l’intimità
dei piccoli salotti o delle semplici delizie degli edifici collocati all’interno di un parco, ma si costruiscono interi
castelli secondo un fiabesco stile moresco degno dei
racconti delle Mille e una notte, come accade a Sammezzano di Reggello, nel Valdarno, dove il marchese
Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona creò, entro
il 1873, una villa in cui tutti gli ambienti presentavano
decori nello stile mudéjar direttamente ricavati dagli interni arabo-ispanici16.
Partendo dunque dallo studio delle armerie reali e delle contemporanee collezioni d’armi, Stibbert, attraverso una sua geniale interpretazione delle nuove concezioni espositive elaborate dai teorici ottocenteschi,
riuscì a creare un museo all’avanguardia che riesce
ancora oggi a trasmetterci la temperie storica durante
la quale ciascun oggetto esposto nel variegato percorso delle sale era stato pensato e realizzato, secondo
un programma altamente educativo perseguito con
tenacia da Frederick Stibbert durante tutta la sua vita
e ribadito nel testamento.
L’esposizione allestita nelle sale della reggia di Venaria
Reale mira dunque a ricreare il fascino delle splendide
armerie europee dove, accanto ad armature da parata,
potevano convivere, in scenografici allestimenti, armature provenienti da popolazioni lontane quale testimonianze di culture diverse, ma altrettanto importanti.
Le armi, come gli abiti, in quest’ottica interpretativa,
diventano così una manifestazione di ricchezza e di
prestigio in quanto nei secoli passati ci si abbigliava
e ci si armava per apparire e quindi la mostra, intesa come una sorta di storia del costume guerresco,
potrà offrire al pubblico una occasione per osservare
il passato di popoli così distanti geograficamente tra
loro attraverso una prospettiva inusuale e allo stesso
tempo spettacolare.
S.W. Pyhrr, The Strawberry Hill Armoury, in M. Snodin, C.E.
Roman (a cura di), Horace Walpole’s Strawberry Hill, Yale University Press, 2009, pp. 221-234.
2
Ivi, p. 221.
3
“L’ingresso e la scalinata sono la principale bellezza del castello. Immagina le pareti ricoperte con (la chiamo carta ma
è in realtà carta dipinta con prospettive che raffigurano) incorniciature gotiche: la più leggera delle balaustre gotiche per
la scalinata, adornata con mensole che ospitano scudi; esili
finestre impreziosite da ricchi santi in vetro dipinto, ed un vestibolo aperto con tre archi sul piano superiore e nicchie piene
di vecchie cotte, scudi indiani in pelle di rinoceronte, spadoni,
faretre, lunghi archi, frecce e lance, tutti ritenuti trofei di Sir Terry Robsart, conquistati durante le guerre sante ”. La citazione
è stata tratta da S.W. Pyhrr, The Strawberry, cit., pp. 222-223.
4
Ivi, pp. 231, 233 note 63-68.
5
Per una approfondita ricostruzione della vicenda biografica
del collezionista si rimanda a S. Di Marco, Frederick Stibbert.
Vita di un collezionista, Torino 2008.
6
Cfr. L.G. Boccia, Un “caso museale”, lo Stibbert, in “L’Ippogrifo”, aprile 1988, I, pp. 91-107 e lo scritto dello stesso autore
pubblicato postumo La Cavalcata, in "Museo Stibbert-Firenze", 9, 2004, pp. 5-18.
7
Per le notizie sull'Armeria Reale di Torino, vedi il saggio di
Mario Epifani in questo stesso volume.
8
Nell’Archivio Stibbert è conservata tutta la documentazione
relativa ai viaggi di Stibbert e ai suoi acquisti.
9
Il brano riportato è stato ripreso da R. Maggio Serra, Torino
1884: perché un castello medioevale?, Torino 1985, p. 6.
10
Cfr. S. Di Marco, Frederick Stibbert. Vita, cit., pp. 112 e 129,
nota 26. La biblioteca di Stibbert è stata oggetto di una approfondita catalogazione condotta da L. Desideri, S. Di Marco, La
libreria di Frederick Stibbert, Firenze-Milano 1992 dove, oltre
ai testi citati, sono presenti molti altri sullo stesso argomento
oggetto di studio da parte di L.G. Boccia, Armamentaria: punti di un tragitto disciplinare, in “Labyrinthos. Studi e ricerche
sulle arti dal medioevo all’Ottocento”, 1988-1989, 13-16, pp.
437-454.
11
C.A. de Cosson, The Stibbert Collection. A Little-Known Florentine Museum, in “The Italian Mail”, 1925, pp. s.n.
12
Cfr. Il cav. Federigo Stibbert, in “La Nazione”, 12 aprile 1906.
Il necrologio è stato riportato per esteso da S. Di Marco, Frederick Stibbert. Vita, cit., p. 128.
13
Cfr. E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1815 al 1900, Milano 2007, pp. 245-251
e, dello stesso autore, Neogotico lorenese, in “Artista”, 2011,
pp. 80-87.
14
Cfr. M. Becattini, Villa Stibbert. Decorazioni di interni e architettura, Livorno 2014, p. 70.
15
Cfr. M. Becattini, Villa Stibbert. Decorazioni, p. 66.
16
Cfr. E. Colle, Il mobile dell’Ottocento, cit., pp. 111-122.
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luce la loro natura artistica presentando “the decorative magnificence of the armament of bygone days”11.
Lo scopo della collezione stibbertiana infatti non era
quello di celebrare i fasti dinastici familiari, ma quello
ben più moderno di far percepire ai visitatori, attraverso un’ambientazione coinvolgente, l’evoluzione
della storia delle armature e a tal fine egli credette
opportuno completarle anche con rifacimenti in stile.
Nel necrologio apparso sulla Nazione all’indomani
della sua morte, e riportato da Simona Di Marco, si
legge infatti come Stibbert fosse solito dire agli amici
che con “questo Museo” egli aveva voluto “accrescer
valore al patrimonio artistico di Firenze” aggiungendo
“un’altra attrattiva, che rimanesse perenne nella città nostra” per tutti coloro che visitavano la città “per
amore di contemplare, di studiare opera d’artisti, o
d’artefici insigni” e insieme di “perpetuare il suo nome
nelle generazioni, che saranno beneficate per l’effetto
della sua opera di Bellezza e Civiltà”12.
Il gusto neogotico, che in Toscana aveva goduto di
una vivace fortuna critica durante tutta la Restaurazione rivive ora una nuova stagione che coinvolge
architetti, ornatisti e colti collezionisti13. Tale orientamento è documentato in special modo dall’intensificarsi dei restauri degli antichi castelli medioevali ad
opera di facoltosi committenti come Temple Leader a
Firenze o Bettino Ricasoli a Siena. Non solo, il completamento in parte filologico e in parte immaginoso
delle facciate di Santa Croce e di Santa Maria del
Fiore costituì una linea stilistica apertamente condivisa da Stibbert il quale vedeva nel recupero neogotico
fiorentino la base per la diffusione delle nuove teorie
estetiche elaborate in Inghilterra. Così la creazione
della statua del San Giorgio, ultimata nel 1888 con
l’inserimento del drago, frutto di un fantasioso assemblaggio tra un coccodrillo impagliato e vari corni di
animali, rientra in quella particolare visione pittorica
adottata da artisti, ad esempio Giuseppe Catani Chiti, che piegavano la tradizione artistica locale verso
l’estetismo e l’esoterismo preraffaellita coltivato in
gioventù anche da Alessandro Franchi e Gaetano
Marinelli, sicuramente conosciuti da Stibbert che fu
anche pittore allievo di Servolini.
Nella creazione dell’ampia sala della Cavalcata egli
liberò tutta la sua fantasia creativa per dar corso a una
visione evocativa e scenografica che, dalle suggestioni troubadour, si snoda attraverso il romanticismo pittorico toscano per approdare alle moderne soluzioni
formali tipiche della contemporanea pittura di storia
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