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Armando Polito

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Armando Polito
’a fresella
di
Armando Polito
G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
’a fresella
Questo lavoro è l’estratto di uno più ampio (La friseddha) dedicato
dall’autore, salentino (di Nardò, in provincia di Lecce), all’argomento e fa
parte della sezione La friseddha nell’arte.
L’umile quotidianità della specialità gastronomica oggetto di
questo lavoro rende la frisella, (1) già nell’immaginario collettivo, una
protagonista improbabile di un testo poetico, dal momento che la poesia,
volendo schematizzare al massimo, si occupa di temi più elevati
imperniati, per successiva schematizzazione, sul binomio essenziale
amore e morte. Non sorprende, perciò, che essa compaia per lo più come
figurante anche nella poesia cosiddetta popolare.
Le più antiche testimonianze in tal senso che sono riuscito a
reperire sono in dialetto napoletano ma anche le successive, raffrontate
con quelle (poche, a dire il vero) di altri dialetti, dimostrano, ove ce ne
fosse stato bisogno, la magica creatività di questa lingua.
La prima risale probabilmente al XVI secolo e ha la paternità di
Velardiniello (2):
Storia de’ cient’anne arreto, 18
Dov’ è lo tiempo de li Baccanale,
Dov’è il tempo dei Baccanali,
li scisciole, freselle, e le mmagnose,
i ciccioli, friselle, e le magnose (3).
li musece a cantà lo Carnevale
i musici a cantare il Carnevale
co ccetole accordate a le bavose?
con cetre (4) accordate con le bavose? (5)
Co ll’ autre cchelle, tutte a li stivale,
Con le altre quelle, tutte instivalate,
co chille mazze de fronnelle e rrose,
con quei mazzi di foglie e rose
fatta ch’ aveano po’ la matenata,
fatta che avevano poi la mattinata
facevano na bella preteiata.
facevano una bella sassaiola.
---------(1) È questa, insieme con frisa, la trascrizione italiana della voce che fino a qualche
anno fa era presente solo nei dizionari gastronomici; può sembrare strano, ma
proprio frisa è nata da frisella che, pure, sembra il suo diminutivo. In realtà, gli
ingredienti, le dimensioni, il metodo di cottura, le modalità di consumo di
entrambe coincidono perfettamente. E allora? Basti qui pensare che la questione
etimologica è così complicata (con proposte che mettono in campo i protagonisti
più disparati, dai fagioli ad Enea, tanto per fare solo due esempi) che ad essa è
dedicato un intero capitolo del lavoro citato in copertina.
(2) Probabilmente si riferisce, come si capirà leggendo le altre note, alla congruenza
con la friseddha, ma anche al fatto che Velardiniello sarebbe lo pseudonimo
(per altri non sarebbe esistito) di un ignoto che avrebbe introdotto le sue
villanelle (o frottole, componimenti poetici di origine popolare, con metro vario e
senza uno schema fisso di rime, costituiti da un insieme di pensieri e fatti
bizzarri, senza nesso tra loro) nella canzone. Le varianti con cui è stata
tramandata, con le altre, anche la villanella 18, non escludono l’ipotesi
dell’origine anonima, ossia popolare e trovano giustificazione nella tradizione
orale con le alterazioni e gli equivoci che essa comporta.
Armando Polito: Frisella.
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G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
(3) Scisciole sono i ninnoli, ma non escluderei un significato traslato gastronomico
(quasi variante di sciosciole) frutta secca, in armonia con freselle (che però, è
sostituito in una delle tre tradizioni testuali con frisilli (trine). La magnosa è un
crostaceo; nome scientifico Scyllarus latus; tuttavia, non è da escludere che
magnosa vada inteso come fazzoletto ripiegato da portare in testa (forse dal
latino magna=grande, importante, come il latino medioevale grandiòsa da
grandis); il che propone il problema di una probabile doppia chiave di lettura,
la cui consapevolezza nella fase creativa e in quella di tradizione è difficilmente
dimostrabile.
(4) Il dubbio nasce dal fatto che una citola compare nel Glossario del Du Cange come
Instrumenti musici species (specie di strumento musicale) e viene riportata
anche una citazione in francese risalente al 1214:...envelopa si de paroles,/plus
douces que sons de citoles (mise insieme così delle parole,/più dolci di quanto non
siano le citole); quest’ultima è un’indicazione troppo generica per individuare
con precisione lo strumento in questione. Tuttavia, da un punto di vista
filologico, non ci sono difficoltà insormontabili: cetra è dal latino cìthara(m), a
sua volta dal greco kiyãr (kitàra); citola fa pensare ad una trafila
cìthara(m)>cìthala(m)>citla(m) (sincope di -a-)>cìtola(m) (epentesi di -o- per
compenso).
(5) Sempre nel glossario del latino medioevale citato nella nota precedente compare
la voce baudosa, anch’essa, come citola, Instrumentum musici species,
accompagnata dalla citazione tratta da un manoscritto del 1343: Quidam
baudosam concordabant/plurimos cordas cumulantes./Quidam triplices cornu
tonabant,/quaedam foramina inclaudentes/ … (Certi accordavano la
baudosa/toccando insieme parecchie corde./ Certi tuonavano col corno a volume
triplo/chiudendo certi fori…/. Ne approfitto per notare che nel testo citato c’è un
evidente errore (probabilmente di stampa): plurimos per plurimas (attributo di
cordas che è femminile), come dimostra anche la struttura compositiva del resto
della citazione che contiene sempre un accusativo plurale con l’attributo
collocato in posizione iniziale (quaedam foramina e così per tutto il testo citato).
Anche in questo caso le indicazioni non consentono di farsi un’idea dello
strumento musicale se non che, come probabilmente anche la citola precedente,
appartenesse alla famiglia degli strumenti a corda. Non escluderei, per bavosa,
un errore di trascrizione o, nel caso in cui il testo sia stato recuperato da una
cinquecentina (andata perduta?), un errore di stampa presente in quest’ultima.
Non è nemmeno da escludere, sempre a corroborare il sospetto di una possibile
doppia chiave di lettura, che bavosa sia da interpretare come sorta di bavaglino
facente parte della divisa dei musicanti.
Armando Polito: Frisella.
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Più di un secolo dopo incontriamo Felippo Sgruttendio de Scafato (1):
Corda VI, 3
…. …….
Bene mio, tu che puoie co chisso canto
le tigre fa' tornare de freselle,
famme Renza piatosa: che sto chianto
l'ha tenuto pe baia e bagattelle.
….. …..
Bene mio, tu che puoi con questo canto
trasformare le tigri in friselle, (2)
rendimi Renza pietosa: che questo pianto
lo ha considerato sciocchezza e bagattelle.
Corda VI, 4
….. …..
E già tu saie comme pe Cecca io canto,
che m'ha fatto ste fecate freselle,
e saie c'ha riso cchiù quann'agg'io chianto,
parennole ste pene bagattelle.
….. …..
E già tu sai come per Cecca io canto,
che m’ha ridotto il fegato a frisella,
e sai che ha riso di più quando io ho pianto,
sembrandole queste pene bagattelle.
Corda VI, 29
So' fatto già ped essa na fresella,
Sono diventato già a causa sua una frisella,
Di poco posteriore è la voce di Nicolò Capasso (1671-1745) (3):
Da De la guerra de Troia, libro IV:
…. …..
Ma si mmatteva quarche cacasotta,
Ma se incontrava qualche cacasotto
te la faceva na nsaponatella,
te la feceva un’insaponatina,
che si era muollo, comm’a na recotta,
che se era molle, come una ricotta,
lo facea tuosto chiù de na fresella:
lo rendeva duro più di una frisella:
….. …..
(1) È lo pseudonimo dell’autore, la cui identità è controversa, de La tiorba a taccone, una
raccolta di sonetti e canzoni in dialetto napoletano che venne per la prima volta
pubblicata, vivente l'autore, nel 1646. La tiorba è uno strumento musicale della famiglia
dei liuti, il taccone è il plettro. L’opera, in 10 corde, affronta diversi temi: in vita e in
morte di Cecca, l’amore, la bellezza della donna, il dialogo con gli accademici, la vita nei
quartieri popolari di Napoli, la musica, il ballo popolare; evidenti sono le analogie
ironiche, se non satiriche col Canzoniere di Petrarca.
(2) Qui della frisella è colto il suo significato etimologico, legato più alla friabilità che alla
durezza; in Sgruttendio è una costante, come risulta dai due pezzi successivi.
(3) Studioso di diritto (Commentaria de verborum obligationibus; De fideicommisso
prohibitorio; De iure accrescendi inter egatarios; De vulgari et pupillari substitutione;
Diatribas de poenitentii, et remissionibus; De iure patronus; De Tribunali Inquisitionis),
dedicò il suo tempo libero alla composizione di argute poesie dialettali e al rifacimento
in dialetto napoletano dell’Iliade.
Armando Polito: Frisella.
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Per il teatro, la preziosa testimonianza di Eduardo Scarpetta
(1853-1925)(1):
da Nu frongillo cecato, atto III scena I:
Antimo: Pecché?
Carmela: Chella porta sta tieneme ca te tengo, lo cane tene forza indiavolata, e si arriva ad ascì me
mangia no porpone.
Antimo: E me faje parlà co te, chille li gamme meje ne fa doje freselline. Dunche te diceva… non è
cosa, po’ ne parlammo cchiù tarde, chillo cancaro de cane me fa mettere paura... no muorzo de cane
nce mancarria. Addio Carmeluccia mia. Passa llà, passa llà, puozze passà no guaio.
Carmela: È ghiuto mpazzia lo paglietta. Passa llà, accoccia llà, nce mancava pure lo cane.
da Tre cazune furtunate, atto II, scena VI:
Andrea: Tarallini, freselline, zucchero e butirro, vì che bella cosa! Tengo lo tortaniello, la palatella; a
bacchettina, la gallettella, zucchero e butirro.
Pulcinella: (È arrivato un altro proprietario!).
Andrea: Compagne belle, comme jamme, che se dice?
Michele: Che s’adda dicere Ndrè, nce stammo cuntanno li guaje nuoste.
Andrea: E tenite guaje vuje? Affronta a me tenite guaje? Io non aggio cchiù addò sbattere co la capa.
La lucannera avanza quinnece juorne de lietto, e non me vò cchiù rivedere. Lo panettiere addà avè 24
lire e non me vò fà cchiù credenza. Chiste so’ ancora li taralle e le freselline de quatte juorne fa.
Compagne, ve lo dico in confidenza, io non tengo cammisa da sotto.
Pulcinella: E che fa, mò non se porta cchiù la cammisa.
Andrea: L’autriere me magnaje no soldo de ficosecche, e aiessera, no soldo de rapeste e duje taralle de
chisti ccà.
Andrea: Mò sti taralle e sti freselline che me so’ rimaste, so tuoste manco na preta, che ne faccio? A
uno a la vota me li sto magnanno io, che aggio da fà, quanno songo fernute, me vengo li ppanare, e
stateve bene.
Pulcinella: Posizione burrascosa!... Andrè, permette?
Andrea: Serviteve.
Michele: Songo co lo ppepe?
Andrea: Nzogna e pepe, pigliate... Taralline, freselline, zucchero e butirro, se squagliene mmocca.
Pulcinella: Me ne so’ accorto. Cheste pe li squaglià nce vò l’acqua vollente.
Michele: Basta, Pulecenè, vengo pur’io a lo tribunale pe sentì la causa de chillo
giovene, a che ora jate?
Pulcinella: Npunto miezojuorno.
Michele: Allora mò me vaco a fà la barba, po’ me metto no matinè e esco.
Aspettateme, sà.
Pulcinella: Fa ambressa.
Michele: Andrè, statte buono.
Andrea: Salute. E co tutta la miseria mia, sto sempe allegro. (Dà la voce.) Palatelle, bacchettelle,
gallettelle, zucchero e butirro, tengo lo biscotto co l’ammennole, tengo le fresella co lo pepe, comme se
sfruculeje la fresellina. Bella cosa.
Pulcinella: (Vì che coraggio, chiste so’ tuoste e fetene de perimme).
Scena VII
Pulcinella: Va buono. Tu a lo tribunale vuò venì?
Armando Polito: Frisella.
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Totonno: Comme non voglio venì. Mò arricetto lo puosto e nce ne jammo.
Andrea: Tengo lo tarallo co li passe, a bacchetta co lo burro, a fresella co lo ppepe, comme se sfreculeje
la fresellina, gallettelle, zucchero e butirro.
Scena VIII
Carlo: Cameriere?
Carmeniello: Comandate.
Carlo: T’aggio portato lo biglietto, anzi mò ci scriviamo pure quattro parole, damme no poco lo
calamaro co la penna.
Carmeniello: Subito.
Carlo: Aggio fatta na corsa pe gghì a la casa, sto una zuppa. L’aggio trovata che se steva
mmesuranno la vesta pe stasera. Che cos’è neh, perché sei ritornato? No, niente, m’era scordata na
cosa.
Andrea: Taralline, bacchettelle, freselline!...
Carlo: Po’ m’ha ditto: Senti, Cocco, io stasera ho invitato alcuni amici miei, antichi di famiglia... si
canterà... si suonerà... e indovina chi verrà, chi farà parte della festa?...
Andrea: Lo taralle co li passe.
Andrea: La fresellina chiena de pepe...
Carlo: La fresellina chiena de pepe... Deve tenere stima e rispetto per il marito. Quando non tiene
queste cose, allora non si maritasse. Avimmo fatto n’auti quatte chiacchiere e me ne so’ ghiuto. Mò
vedimmo si l’adderizzo.
Carlo: E me pare che putarrisse cammenà nu poco.
Andrea: Sissignore. (Statte a vedé che no nioziante non se po’ abbuscà no soldo aunestamente).
(Dando la voce e andandosene.) Taralline, freselline zucchero e butirro, viene guaglione che nce
azzecca lo bicchieriello.
----(1) Specializzato nel tradurre nel dialetto napoletano moltissime pochades francesi, la sua
commedia più celebre, Miseria e nobiltà, è paradossalmente anche l'unica originale del
suo repertorio.
Armando Polito: Frisella.
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Il nostro viaggio continua con Giovanni Capurro (1859-1920)(1):
Matenata ‘e vierno Mattinata d’inverno
O’ friddo scioscia, taglia proprio ‘a faccia:
pe’ ll’aria cupa cupa, senza sole,
‘e ppagliuchelle, ‘e fronne, ‘e piezze ‘e carta
votano attuorno.
Arravugliato ‘int’a ‘na petaccella (2)
‘e scialle viecchio, tutto spertusato, (3)
‘o lavurante corre, scarfa ‘e mmane
forte c’ ‘o sciato.
Ma ‘e mmane, rosse comme è russo ‘o naso,
so già gelate, che buò dà calimma! (1)
Forze ‘o ri sordo ha dato a ‘e figlie, e penza
‘a presa ‘e rumma!
Luntano siente ‘na voce: - C’ ‘o brodo
‘a fresellina, chiena ‘e sale e pepe!E ‘i piezze ‘e neve comme a sciucchetielle
chioveno ncuollo!
Il freddo sferza, taglia proprio la faccia:
per l’aria cupa cupa, senza sole,
le pagliuzze, le foglie, i pezzi di carta
girano attorno.
Avvoltolato in una pezza
di scialle vecchio, tutto bucato,
il lavorante corre, scalda le mani
forte col fiato.
Ma le mani, rosse come è rosso il naso,
sono già gelate, che vuoi dare calore!
Forse la moneta da due soldi ha dato alle figlie,e
pensa
al bicchierino di rum!
Lontano sente una voce con il brodo
la frisellina, piena di sale e pepe!E i pezzi di neve come a fiocchetti
piovono addosso!
--------(1) Autore delle due raccolte di poesie Napulitanate e Carduccianelle , scrisse il testo di
molte canzoni, tra cui, in lingua, Fili d’oro (1912) e in napoletano Lilì Kangy (1905) e, la
più famosa di tutte, ‘O sole mio (1898) con musica del posteggiatore Eduardo di Capua.
(2) Arravuglià è da un latino *adrevoliàre (composto dal classico ad=verso e *revoliàre, dal
classico revòlvere, a sua volta composto da re-=di nuovo e vòlvere=girare), attraverso i
passaggi *adrevoliàre> *arrevoliàre> *arravoliàre> *arravuliàre> arravuglià.
Petaccella è diminutivo di un latino *pitàccium, dal classico pittàcium=pezzo di cuio,
tela o carta, dal greco pittãkion (pittakion) =foglio scritto.
(3) Spertusà è da s- intensiva (dal latino ex=fuori da) e pertùsu (variante antica dell’attuale
pertugio), dal latino pertùsu(m), participio passato di pertùndere=bucare, composto da
per=attraverso e tùndere=battere.
Armando Polito: Frisella.
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È la volta di due grandi della poesia napoletana: Salvatore di
Giacomo (1860-1934)(2) e Ferdinando Russo (1866-1927)(3); del
primo:
Irma
Irma
D’ ‘a lucanna, aieressera,
mmiez’ ‘a via nne fuie cacciata:
mmiez’ ‘a via sulagna e nnera
tutt’ ‘a notte Irma è restata.
Tutt’ ‘a notte ha fatto ‘a cana:
sotto e ncoppa ha cammenato
na serata sana sana.
E nisciuno s’è accustato...
Irma: nomme furastiero:
“Psst! Siente!...” E rire... e chiamma...
C’ha dda fa’ si ha perzo ‘o scuorno?
C’ha dda fa’? Se more ‘e famma.
Mmerz’ ‘e nnove s’ha mangiata
na fresella nfosa all’acqua. (1)
E mo, comme a na mappata,(2)
sta llà nterra. E dorme, stracqua.
Dalla locanda, ierisera,
in mezzo alla via fu cacciata:
in mezzo alla via solitariae nera
tutta la notte Irma è restata.
Tutta la notte ha fatto la cagna:
sotto e sopra ha camminato
per una serata intera.
E nessuno si è accostato…
Irma: nome forestiero:
“Psst! Senti!...” E ride…e chiama…
Che deve fare se ha perso il pudore?
Che deve fare? Ha fame.
Verso le nove si è mangiato
una frisella bagnata nell’acqua.
ora, come un fagotto,
sta lì per terra. E dorme, stanca.
-----------
(1) Calimma, se sul piano semantico non pone problemi, è di controversa etimologia: M.
Nigro nel suo Dizionario Etimologico del Dialetto Cilentano, Centro Grafico
Meridionale, Agropoli, 1990 lo fa derivare dal provezale calima=ardore, da un latino
*calìna, a sua volta dal greco kËm (càuma)=calore, da k¤v (càio)=bruciare; J.B.
Belot nel suo Dictionnaire Al-Fared Arabe-Francais, Librarie Orientale, Beyreuth, 1964
dall’arabo qala=friggere; il Rholfs nel suo Vocabolario dei dialetti salentini, Congedo
editore, Galatina, 1976 (voce attestata anche nella variante calìme nel Leccese e, con
calìma, in calimi nel Brindisino, tutte nel significato di aria buona, terreno adatto,
vigore, energia) non fornisce alcuna ipotesi etimologica, ma dà l’impressione di
associarlo a clima (dal latino clima=inclinazione del cielo, clima, a sua volta dal greco
kl¤m (clima)=inclinazione, latitudine, da kl¤nv (clino)=inclinare. Vero è che tutte le
etimologie riportate, a parte quella presunta del Rholfs che comporterebbe l’epentesi di
-a- (clima>calìma), conducono ad una radice cal- cui si ricollega pure il latino
calère=essere caldo, in pieno vigore. Vale la pena ricordare, infine, che calìma è il nome
di un vento caldo di origine sahariana tipico delle Canarie.
(2) Alcuni versi del 1885, non particolarmente amati dall'autore (tanto da non essere inseriti
nelle raccolte da lui curate personalmente), sono stati musicati da Francesco Paolo Tosti
per quella che resta una delle più famose canzoni in dialetto napoletano: Marechiaro,
dal musicista tarantino-napoletano Mario Pasquale Costa di cui ricordiamo le bellissime
Era de maggio, Luna Nova e Serenata napulitana, da G. F. Buongiovanni Palomma ‘e
notte.
(3) Fu autore anche del testo di numerose canzoni, fra cui Scetate (1887) musicata da Mario
Costa.
Armando Polito: Frisella.
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Ferdinando Russo
'O pilo
Cu na zéfera ‘e viento m'è arrivato (3)
nu pilo biondo e riccio.
L'aggio acchiappato a vuolo,
'e spiccio 'e spiccio,
e Il'aggio addimmannato:
- Pilo piluzzo, dimme addò si' nato: si' nato ncopp’ ‘a fessa 'e na puttana
o ncopp’ ‘o cazzo tuosto 'e nu surdato?
0 na bella guagliona, cu na mana,
sciacquànnose ‘a fresella (4)
(pe levà nu chiattillo) t'ha sceppato?...
Ma ched'è, nun rispunne, parlo i’ sulo?
Aggio capito, va' ... Si' pilo 'e culo. -
Il pelo
Con una folata di vento mi è arrivato
un pelo biondo e riccio.
L’ho acchiappato al volo,
lesto lesto,
e gli ho chiesto:
Pelo peluzzo, dimmi dove sei nato:
sei nato sulla vulva di una puttana
o sul cazzo duro di un soldato?
O una bella ragazza, con una mano,
sciacquandosi la fica
(per togliere una piattola) ti ha strappato?
Ma che è, non rispondi, parlo io soltanto?
Ho capito, và…Sei pelo di culo.-
(1) nfosa corrisponde all’italiano infusa.
(2) mappata è da mappa nel significato obsoleto di tovaglia o tovagliolo usato specialmente
per coprire gli altari o nel paramento degli officianti, dal latino mappa(m)=tovagliolo.
Dalla voce napoletana è nato poi il regionale meridionale mappatella (fagottino;
estensivamente, pranzo al sacco di contadini, operai o, anche, gitanti, tradizionalmente
contenuto in un involto fatto con un grosso tovagliolo.
(3) zèfera: corrisponde all’italiano zefiro (variante letteraria di zeffiro) dal latino
zèphyru(m)=vento di ponente, dal greco z°furow (zèfiuros).
(4) è, insieme con quello di ferita, che incontreremo più avanti, uno dei significati metaforici
della voce nascente da un rapporto di somiglianza (una delle due parti, quella superiore,
in cui la frisa viene tagliata nella parte mediana con un filo prima della cottura,
presenta, di solito, a cottura avvenuta, un buco centrale); l’altro, quello di colpo,
percossa, allude, invece, alla sua proverbiale durezza (in dialetto salentino: nd’ha
ccazzare friseddhe toste! = ne devi masticare bocconi duri!, riferito a chi assume
atteggiamenti da adulto prima del tempo).
‘O luciano d' 'o Rre (1)
'E state, tuorno tuorno all'ustricare,
muntagne 'e freselline e tarallucce.
L'addore 'e purpetielle e fasulare
faceva addeventà pisce 'e cannucce!
E nterra 'a rena sciascìava 'o mare;
e, appriesso, 'o ballo d' 'e ttarantellucce;
e nu suono 'e chitarra e tammurriello,
e na magnata d'ostreche 'o Castiello….
Il luciano del re
D’estate, intorno intorno all’ostricaro,
montagne di friselline e tarallucci.
L’odore di polipetti e fasolare (2)
faceva diventare pesci di cannucce!(3)
E sulla sabbia sciabordava il mare;
e, poi, il ballo delle tarantellucce;
e un suono di chitarra e tamburello,
e una mangiata di ostriche al Castello…
(1) è il titolo di un poemetto, pubblicato nel 1910, in cui il protagonista è un vecchio
ostricaro di S. Lucia (da cui luciano) nostalgico dei tempi di Federico II di Borbone, che
pare, a Santa Lucia andasse a comprare di persona i frutti di mare per la mensa reale.
Armando Polito: Frisella.
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(2) mollusco con conchiglia bivalve; nome scientifico Callista Chione o Meretrix Chione o
Pitar Chione, famiglia delle Veneridi, ordine delle Veneroidi; quanto all’etimologia
potrebbe essere una forma aggettivale dal latino phasèlus=fagiolo, dal greco fãshlow
(fàselos).
(3) pesce di cannuccia è quel pesce che abbocca facilmente all’amo.
Passione
Màlia s’è mmisa cu nnu mammamia
nce sta perdenno salute e denare…
E fosse niente si n‘ ‘a vattaria!
ma chillo ‘a vatte, m’ha ditto ‘o cumpare.
Amalia si è messa con un guappo
ci sta perdendo salute e denari…
E sarebbe niente se non la percuotesse!
ma quello la percuote, mi ha detto il compare.
Dice c’ ’a fa murì! Meglio sarria!
Io, pe mme, me jarria a ghiettà a mmare!
Cierte ssevizie nun ‘e suffrarria…
Chillo ‘a mbriaca ‘e paccarune amare!
Dice che la fa morire. Meglio sarebbe!
Io, per me, mi andrei a gettare a mare!
Certe sevizie non le soffrirei…
Quello la ubriaca di schiaffoni amari!
Cierte ffreselle ‘a sera, quanno vene,
ca ‘n’uocchio ‘un vede a n’auto, traballanno,
mbriaco nfino ‘a cimma d’ ‘e capille!
Certe friselle a sera, quando viene,
che un’occhio non vede l’altro, barcollando,
ubriaco fino alla cima dei capelli!
Ma ‘ntanto chella scema lle vo’ bbene!...
e che credite, ca se va lagnanno?
P’essa ‘e schiaffe so’ meglio d’ ‘e squasille.(1)
(1) squasille: vezzi, moine.
Ma intanto quella scema gli vuole bene!...
e che credete, che si va lagnando?
Per lei gli schiaffi sono meglio delle carezze.
Armando Polito: Frisella.
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Passo ora al testo di una canzone scritta nel 1944 da Edoardo
Nicolardi e musicata dal consuocero, il grande compositore E. A.
Mario (1884-1961) autore, fra l’altro, della celebre Voce ‘e notte
del 1904:
Tammurriata nera
Je nun capisco e vote che succede
e chello ca se vede
nun se crere nun se crere.
È nato nu criaturo è nato niro
e a mamma ‘o chiamma Ggiro
sissignore ‘o chiamma Ggiro
Seh vota e gira se
seh gira e vota se
ca tu ‘o chiamme ciccio o ‘ntuono
ca tu ‘o chiamme peppe o ggiro
Seh na uardata se
seh na ‘mpressione se
va truvanne mo’ chi è stato
c’ha cugliuto bbuono o’ tiro
chillo o fatto è niro niro,
niro niro comm’a cche
Io non capisco a volte che succede
e a quello che si vede
non si crede non si crede.
È nato un bambino, è nato nero
e la mamma lo chiama Ciro
sissignore, lo chiama Ciro
Seh, gira e rigira, seh
seh, gira e rigira seh:
che tu lo chiami Ciccio o Antonio
che tu lo chiami Beppe o Ciro
Seh uno sguardo seh
seh un’impressione seh
vai cercando ora chi è stato
che ha colpito bene il bersaglio
quell’affare è nero nero
nero nero come non si sa che.
E ddice ‘o parulano embè parlamme (1)
pecchè si arraggiunamme
chisti fatte nce spiegamme.
Addò pastin’ ‘o grano ‘o grano cresce (2)
riesce o nun riesce
sempe è grano chello ch’esce
E dice il contadino: Beh, parliamone
perché se ragioniamo
questi fatti ci spieghiamo.
Dove semini il grano il grano cresce
buona o cattiva riuscita
sempre grano è quello che esce.
Seh dillo a mamma sè
seh dillo pure a me
conta o’ fatto comm’è gghiuto
si fuje Ciccio ‘Ntuono o Ggiro
chillo ‘o fatto è niro niro,
niro niro comm’a cche
Seh, dillo a mamma, seh
seh, dillo pure a me
racconta il fatto com’è andato
se fu Ciccio, Antonio o Ciro
quello, il fatto è nero nero
nero nero come non si sa che
’E ssignurine ‘e Caporichino
fann’ammore cu ‘e marrucchine
‘e marrucchine se vottano ‘e lanze
‘e ssignurine cu ‘e panze ‘nnanze.
Le signorine di Capodichino
fanno all’amore coi marocchini
i marocchini si buttano di slancio
le signorine restano incinte.
American express
damme ‘o dollaro ca vaco e pressa
ca sinnò vene ‘a pulis
mett’ ‘e mmane arò vò isso.
American express
dammi il dollaro che vado di fretta
sennò viene la polizia
e mette le mani dove vuole lei.
Ajere ssera a piazza Dante
Ieri sera a piazza Dante
Armando Polito: Frisella.
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a panza mia era vacante
si nunn’era p’ ‘o contrabbando
je mo’ ggià stevo ‘o campusanto.
la mia pancia era vuota;
se non fosse per il contrabbando
io ora starei già al camposanto.
E llevate ‘a pistuddà (3)
e llevate ‘a pistuddà
pisti pacchin mamà
e llevate ‘a pistuddà.
E togliti la pistuddà
e togliti la pistuddà
pisti pacchin mamà
e togliti la pistuddà.
Sigarette papà
caramelle mammà
biscuit bambino
e dduje dollare ‘e ssignurine.
Sigarette papà
caramelle mammà
biscotto bambino
e due dollari alle signorine.
A Cuncetta e Nanninella
lle piacevano ‘e caramelle
mo’ s’appresentano pe’ zetelle
vanno a fernì ‘ncopp’ ‘e burdelle.
A Concetta e Nanninella
piacevano le caramelle
ora si presentano per ragazze da marito
vanno a finire nei bordelli.
E ssignurine napulitane
fanno ‘e figlie cu ’e mericane
‘nce verimme ogge o dimane
‘nmiezo a Porta Capuana.
Le signorine napoletane
fanno i figli con gli americani
ci vediamo oggi o domani
in mezzo a Porta Capuana.
E Ciurcillo o viecchio pazzo
s’è arrubbato ‘e matarazze
e l’America pe dispietto
nce ha scippato ‘e pile ‘a pietto.
E Churcill il vecchio pazzo
si è venduto i materassi
e l’America per dispetto
gli ha scippato i peli dal petto.
Ajere ssera magnaje pellecchie
‘e capille ‘ncopp’ ‘e rrecchie
‘e capille ‘e capille
e ‘o ricotto ‘e cammumilla
‘o ricotto ‘o ricotto
e ‘a fresella cu ‘a carnacotta
‘a fresella ‘a fresella
e zì monaco tene ‘a zella (4)
tene ‘a zella ‘nnanze e arreto
uffa uffa e comme fete
e lle fete ’e cane muorto
uè pe ll’anema e chillemmuorto.
Ieri sera ho mangiato bucce
coi capelli sulle orecchie
i capelli i capelli
e il decotto di camomilla
il decoto il decotto
e la frisella con la carne cotta
la frisella la frisella
e lo zio monaco ha la rogna
ha la rogna davanti e dietro
uffa uffa e come puzza
e gli puzza di cane morto
oh, per l’anima di chi gli è morto.
E llevate ‘a pistuddà
e llevate ‘a pistuddà
pisti pacchin mamà
e llevate ‘a pistuddà.
E togliti la pistuddà
E togliti la pistuddà
pisti pacchin mamà
E togliti la pistuddà .
Armando Polito: Frisella.
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(1) parulano è colui che viene dalla zona denominata ‘e pparule (le paludi), zona a ridosso di
Napoli (l’attuale Ponticelli) che ancora oggi conserva quella denominazione e dalla
quale partivano i venditori di frutta e ortaggi coltivati in quella zona molto fertile e
vicina alla città. Per estensione con parule si intendono gli orti in Campania.
(2) pastinà=piantare, dal latino pàstinum=marra del vignaiolo; zappatura della vite. Qui la
voce ha subito uno slittamento semantico per metonimia progressiva (dallo strumento
al lavoro specifico e da questo al significato generico di piantare, seminare, coltivare);
nel dieletto salentino pàstanu/pàstane/pàstene indica la vigna giovane.
(3) Si tratta della napoletanizzazione del ritornello della canzone Pistol packin’ mama di Al
Dexter (al vertice delle classifiche USA il 30 Ottobre 1943, la cui versione più famosa è
cantata da Bing Crosby assieme alle Andrews Sisters), probabilmente molto popolare
tra i soldati americani giunti a liberare Napoli. Il testo originale inglese era infatti:
Lay that pistol down, babe,
Lay that pistol down.
Pistol packin’ mama,
Lay that pistol down.
(4) dal latino psila(m)=tappeto o coperta pelosi da una sola parte., dal greco cilÒw
(psilòs)=spoglio, senza alberi, da c¤v (psio) o c¤zv (psizo)=nutrire; questo verbo è a
sua volta è connesso con cãv (psao)=sfregare, ripulire, consumarsi e con c≈r
(psora)=scabbia [da cui cvr¤siw (psorìasis)=scabbia (da cui l’italiano sporiasi)], a sua
volta connesso con cvmÒw (psomòs)=pezzetto di pane o altro (quest’ultima voce spiega
il passaggio semantico dall’originario nutrire (c¤v) a spoglio (cilÒw) attaverso
consumarsi (cãv).
Armando Polito: Frisella.
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La contemporaneità ha la voce di Mario Russo: (in Bollettino
Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Napoli e
Provincia Anno 74 - Nuova serie N. 7, agosto 2004, pg. 32):
"Nun v'avite lamentà d'a malatia,
“Non vi dovete lamentare per la malattia.
ringraziate 'o Signore si essa è
ringraziate il Signore se essa è
bbona e nun è malamenta".
benigna e non maligna”.
Io chesta cosa 'a predecavo a gente
Io questa cosa dicevo alla gente
comme 'o prevete fa a spieca 'e l'omelia.
come il prete fa la spiegazione all’omelia.
Mo pare che è arrivato 'o turno mio :
Mi pare che è arrivato il turno mio:
aggia fà e cunte cull'iperglicemia !
devo fare i conti con l’iperglicemia!
P' 'a verità quanno s'è appresentata
Per la verità quando si è presentata
Aggio avuto na bella botta 'nfronte,
ho avuto una bella botte in fronte,
ma 'a predeca vale pure pe chi 'a fa,
ma la predica vale pure per chi la fa,
nun sulo pe chi 'a sente.
non solo per chi la sente.
Allora, si 'a matina s'è spalummata 'a pastarella, (1)
Allora, se al mattino si è consumata la
pasterella,
j' dint 'o latte m'arrangio c' 'a fresella,
io nel latte mi arrangio con la frisella,
ma, 'nnanze' 'a miseria
ma, davanti alla miseria
e chiste duje spaghette
di questi due spaghetti
'e scarpe mme vanno overamente astrette.
le scarpe mi vanno veramente strette.
(1) spalummà: da s- intensivo (dal latino ex=fuori) e palòmma=colomba, farfalla [dal latino
*palùmba(m), dal classico palùmbe(m)=colombo selvatico, corradicale di
pàllidus=pallido, da pallère=esser pallido].
Spalummà, dunque, significherebbe prendere il volo come una farfalla, sparire; a tal
proposito viene subito in mente la analoga metafora sulla volubilità e volatilità
dell’amore femminile presente nella celebre canzone Palomma ‘e notte, il cui testo fu
ispirato agli autori (S. Di Giacomo-G. F. Buongiovanni) dalla traduzione, fatta proprio
da S. Di Giacomo nel 1904 (‘A farfalla) di un poema in dialetto veneziano di Vittoria
Aganoor Pompilj (La Pavegia).
Armando Polito: Frisella.
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e di Aggeo (in Bollettino Ordine dei medici-chirurghi e degli
odontoiatri di Napoli e Provincia, Anno 74 - Nuova serie N. 10,
novembre 2004, pg. 32).
In ricordo di Antonio Labadia
Nun l'assaggiammo cchiù
a notte 'uardia 'nzieme
chella fresella accussì sapurita
ca tu purtave cu tonno e pummarole…
Né te truvammo cchiù affianco , sempre pronto
cu na resella è llabbre
pe’ na dieta, n'aiuto, nu cunziglio…
Nun scrivarraje maje cchiù 'ncoppo è riviste
ddoje righe, nu lavoro d'endocrinologgia…
Né ce ne jammo cchiù a Venezia o a Torino
a nu congresso,
né a dummeneca ò stadio o a corza d'è cavalle…
amico mio sincero, pate carnale e caro,
tu semplice e ruspante, religioso, fino 'a fine
devoto 'a Padre Pio, m'he ditto ll'ato juorno
tra lanzate 'e dolore,
cu na semplicità ca spaventava
È troppo tarde, Aggè, pure pe nu miracolo !!!…
Da stamattina è quatte nun staje sciatanno
cchiù ll'aria 'e sta vita, o core s'è fermato
ahimè, pe ssempe!
Sti ccarne toje fernescono 'e patè:
ma so certo ca tu
ce staje uardanno doce 'a 'nfunno 'o cielo,
addò tu sì turnato, anema pia,
int'à luce 'e Ddio nuosto
tutta ll'eternità…
Armando Polito: Frisella.
Non l’assaggiammo più
la notte di guardia insieme
quella frisella così saporita
che tu portavi con tonno e pomodori.
Né ti trovammo più a fianco sempre pronto
col sorriso sulle labbra
per una dieta, un aiuto, un consiglio…
Non scriverai mai più sulle riviste
due righe, un lavoro di endocrinologia…
Né ce ne andremo più a Venezia o a Torino
a un congresso,
né la domenica allo stadio o alla corsa dei
cavalli…
amico mio sincero, padre carnale e caro,
tu semplice e ruspante, religioso, fino alla fine
devoto a padre Pio, mi hai detto l’altro giorno
tra lancinanti dolori,
con una semplicità che spaventava
“È troppo tardi, Aggeo, pure per un
miracolo!!!...
Dalle quattro di questa mattinanon non stai
respirando
più l’aria di questa vita, il cuore s’è fermato
ahimè per sempre!
Queste tue carni finiscono di patire:
ma sono certo che tu
ci stai guardando dolce dal fondo del cielo,
dove tu sei tornato, anima pia,
nella luce del nostro Dio
per tutta l’eternità.
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G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
Passo ora ad una poesia inedita di Salvatore Luciano:
L'attacco ‘e guerra ‘o dà Coppola Rossa, (1)
capo scugnizzo e miez' 'a Ferrovia
e già se vere ‘e fà na primma mossa
‘e Taliane avanzano ‘ nTurchia !!!
L’attacco di guerra lo dà Coppola Rossa
caposcugnizzo del quartiere Ferrovia
e già si vede fare una prima mossa:
gli Italiani avanzano in Turchia!!!
È ‘o capo d' 'e turchine,'o figl' 'e Iossa …
nu babbasone ‘e miezo a Vicarìa , (2)
ha fatt' ‘o trabuchetto cu ' ‘ na fossa,
e tira ‘e Taliane ‘a chella via !
E il capo dei Turchi, il figlio di Iossa…
un omaccione del rione Vicaria
ha fatto il trabocchetto con una fossa
e attira gli Italiani su quella strada!
Ma già Coppola Rossa, ‘o cumannante,
capisce ‘o trainiello e s'arenzèa ,
po' tutt' assieme dice: “Avante … avante !
Curaggio , Taliane , a menà botte…
Ma già Coppola Rossa, il comandante,
capisce il tranello e si defila,
poi all’improvviso dice: “Avanti…avanti!
Coraggio, Italiani, a menare botte…”
E correno vricciate , è ‘na trubèa , (3)
se sentono jastemme ‘e cape rotte !
Ttè..ttè ?? Ttè..ttè ?? Tte..ttè ?? tenit’ ‘e mmano!
Arriva ‘a miezz' ‘o campo ‘nu ferito;
ccà rispetammo ‘o turco e ‘o taliano .
Cu a Croce Rossa nun ce stà partito !
E corrono pietrate, è un temporale,
si sentono bestemmie di teste rotte!
Ttè…ttè?? Tte…tte?? Tte…ttè?? Fermatevi!
Arriva dal campo un ferito;
qui rispettiamo il turco e l’italiano.
Con la Croce Rossa non ci sta partito!
Allora Bammeniello , ‘o capitano,
guaglione ‘e farmacista, già struito ,
vere ‘a fresella grossa e dice: “Chiano, (4)
ccà ce vò pezza ‘nfosa dint' 'acito!!
Allora Bambinello, il capitano,
garzone di farmacista, già istruito,
vede la ferita grossa e dice: “Piano,
qui ci vuole una pezza bagnata nell’aceto!!”
Ma ccà ‘e sciaccate , arrivano a diecina;
e Bammeniello mèreca ‘e struppèa, (5)
… acito non fa effetto, ch'arruvina ! …
Ma qui i feriti arrivano a decine
e Bambinello medica e rabbercia
l’aceto non fa effetto, che rovina!
‘O sang scorre e chiammano co' ‘a fretta
‘o cumannante , ‘o quale decretea :
“Purtatele ‘o spitale cu a carretta !!”.
Il sangue scorre e chiamano in fretta
il comandante il quale decreta:
“Portateli all’ospedale con la carretta!”.
-------------
(1) soprannome molto diffuso non solo tra gli scugnizzi, ma anche tra i guappi. Coppola
rossa era la denominazione del poliziotto militare inglese, per il berretto rosso che
portava.
(2) forse da un latino *babasòne(m), da una radice bab- che indica balbuzie o stupidità.
(3) suggestionato dal neritino trubbàre (deformazione di turbare) che indica l’annuvolarsi
del cielo o l’intorbidirsi del vino o dell’acqua, avevo pensato che fosse per metatesi -ur>-ru- dal letterario turbo (per turbine), come nomea da nome; poi il competente amico
napoletano Raffaele Bracale mi ha convinto che trubbèa è dal greco trop¤ (tropàia),
femminile singolare da trop›ow (tropàios)=tremendo [in particolare il nesso ≤
trop¤ (e tropaia) è usato in senso sostantivato, sottintentendo pnoÆ (pnoè)=soffio,
col significato di il vento che muta direzione, il vento dal mare; tale significato,
oltretutto, è confermato dalla voce latina (Plinio) maschile plurale tropaei (alla lettera
Armando Polito: Frisella.
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ritornanti). Non è per piaggeria ma per sincera gratitudine, oltre che per profonda
stima, che a questo punto sento il dovere di ringraziare anche gli amici napoletani
Aniello Langella, Vincenzo Marasco e Salvatore Argenziano senza il prezioso contributo
dei quali questa ed altre mie incursioni in territorio napoletano non sarebbero potute
avvenire o avrebbero senz’altro avuto esiti ridicoli non solo per gli addetti ai lavori.
(4) suggestiva metafora che sfrutta la conformazione della parte superiore della fresella col
suo buco (la ferita) e la circostante superficie rugosa che ricorda la carne martoriata.
(5) si direbbe a prima vista da struppià=storpiare, ma si oppongono motivi semantici (la
voce dal contesto nel suo complesso e dalla vicinanza di mèreca ha chiaramente un
significato positivo, esattamente il contrario di struppià), a meno che non si voglia
mettere in campo un uso sarcastico; più praticabile mi pare considerare la voce gergale,
da un omofono struppià corripondente all’italiano stroppare, termine marinaresco
indicante l’atto di legare un oggetto di bordo con uno stroppo (corto pezzo di cavo
legato ad un anello), dal latino medioevale stroppum=legame, e questo dal greco
strÒfow (strofos)= corda intrecciata, da str°fv (strefo)=girare. Ma, dirà qualcuno,
come giustificare la i di struppià con l’italiano stroppare? Questa i potrebbe essere
dovuta ad un incrocio del latino medioevale stroppum col classico stròphion=fascia del
seno, corda (a sua volta dal greco strÒfion (strofion) =fascia usata come reggiseno,
benda sacerdotale, guantone usato dai pugili, diminutivo del precedente strÒfow.
L’amico Salvatore Argenziano , interpellato in merito, mi ricordava che verbi come
struppià, passià, manià derivano da forme iterative originariamente in -idiare (suffisso,
aggiungo io dal greco - ¤zv (izo)); ora, se è certo che passià e manià derivano
rispettivamente da *passidiàre e manidiàre (da cui in italiano passeggiare e maneggiare)
la controversa etimologia di storpiare (e quindi di struppià) non consente, a mio avviso,
di fare parallelismi fonetici sicuri, ma l’osservazione dell’amico mi dà adito di ipotizzare
che la i in più del presunto omofono sia dovuta ad una formazione iterativa simile alle
precedenti: stroppare> stroppidiàre> stroppià> struppià. Un’ultima considerazione:
questa voce, se di omofono si tratta, dev’essere di formazione abbastanza recente
perché, a differenza dell’altra, l’ho incontrata solo in questo testo che ho reperito sulla
rete; un motivo in più perché il suo autore, quando e se leggerà queste righe, si faccia
vivo a svelare, se possibile, l’arcano.
Armando Polito: Frisella.
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e al testo un po’ kitsch di una canzone di T. Tamarro e C. Barbarulo:
L’animale
Io m’aizo 'e quatto ‘a notte
sulamente pe’ magnà:
tengo 'na fetente 'e famme
ca 'nun me fa arraggiunà
Io mi alzo alle quattro di notte
solamente per mangiare
tengo una fetente di fame
che non mi fa ragionare.
So’ ’ngrassato ‘e trenta chile,
non ce ha faccio proprio cchiù:
dint’ ’o scuro d’ ’a cucina
sento addore d’ ’o ragù.
Sono ingrassato di trenta chili
non ce la faccio proprio più:
nello scuro della cucina
sento l’odore del ragù.
Mo’ me piglio ‘na furchetta
e m’appizzo ‘na purpetta;
vaco ‘e pressa, spiccio spiccio
e me faccio ’nu saciccio.
Mo mi prendo una forchetta
e m’infilzo una polpetta;
vado di fretta, svelto svelto
e mi faccio un salsicciotto.
Po' scummoglio ’na tiella, (1)
ce sta pure ‘a tracchiulelle; (2)
’nu bicchiere ‘e vino ’e votte
e me faccio ciuotto ciuotto. (3)
Poi tolgo il coperchio ad una teglia,
ci stanno pure la costina di maiale;
un bicchiere di vino di botte
e mi faccio satollo satollo.
E mia moglie a dint’ ‘o lietto
dice:- Vienete a cuccà-.
Io le rico: - Statte zitta,
sto fernenno ‘e strafucà-.
E mia moglie da dentro il letto
dice:-Vieni a coricarti-.
Io le dico:- Stà zitta,
sto finendo di strafogarmi-.
Ce sta ‘o stock cu’ ‘e patane,
’a saciccia ‘mmiezo ‘o ppane;
quanta rrobba m’aggia fà
primma ‘e me venì a cuccà!
Ci sta lo stoccafisso con le patate,
la salsiccia in mezzo al pane;
quanta roba mi devo fare
prima di venirmi a coricare!
Pecché songo n'animale…
Perché sono un animale…
E po’ arapo l’armadietto:
stanno ‘e paste cu’ ‘o babbà;
chesta è robba ca se jetta
forse è meglio a s’ ‘o magnà.
E poi apro l’armadietto
ci sono le paste col babà;
questa è roba che si getta,
forse è meglio che lo si mangi.
Mo me faccio ‘nu gelato,
duie cannuole e ‘na cassata,
po’ ce dongo n’ata botta
a chella torta cu ‘a ricotta.
Mo mi faccio un gelato,
due cannoli e una cassata,
poi do un’altra botta
a quella torta con la ricotta.
Pecché songo n’animale...
Perché sono un animale…
Armando Polito: Frisella.
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Mulignane, pruvolone,
purpetiello cu’ 'o limone,
’a ‘nzalata, ‘a cutaletta,
’na sasiccia e ‘na purpetta,
Melanzane, provolone,
polipetto col limone,
l’insalata, la cotoletta,
una salsiccia e una polpetta.
po’ ‘nu piezzo ’e parmiggiano,
duie friarielle ‘mmiezo ‘o ppane, (4)
quatto mele, doie banane,
’nu prusutto sano sano.
poi un pezzo di parmigiano,
due broccoli di rapa in mezzo al pane
quattro mele, due banane
un prosciutto intero intero.
Callo ‘e trippa, murtadella,
supressate, casatiello, (5)
mulignane a fungetiello,
panzarotti e zeppulelle,
Callo di trippa, mortadella,
soppressate, pane di Pasqua,
melanzane a funghetto,
panzerotti e zeppole,
capunata cu’ ‘a fresella,
quattro chile ‘e muzzarelle;
è zumpato ‘nu buttone,
sta scuppianno ‘o pantalone
caponata con la frisella
quattro chili di mozzarelle;
è saltato un bottone,
sta scoppiando il pantalone.
Pecché songo n’animale...
Perché sono un animale…
-----------
(1) da un latino *excumvolviàre (classico ex=fuori da, senza+convòlvere= avvolgere)
attraverso la trafila *excumvolviàre>*excummolviare (assimilazione –mv->-mm)->*
excummoliàre (sincope di –v-)>scummoglià (aferesi di e-).
(2) pezzi di costato di maiale o di vitello con residui di carne; tracchiulella è doppio
diminutivo (attraverso un inusitato tràcchiula) di tracchia, che è dal greco trãxhlow
(trachelos)=collo (da cui in latino tràchala=dal collo grosso, nomignolo di Costantino il
Grande); la vera trachiulella (umida) è quella ricavata dal collo, rispetto a quella (secca)
ricavata dal costato.
(3) ciuotto forse corrisponde all’italiano ciotto (più usato il diminutivo ciottolo),
probabilmente da una voce preindoeuropea.
(4) friariella: da frìere=friggere, con evidente riferimento al suo destino di cottura.
(5) casatiello: diminutivo del latino caseàtu(m)=ricco di formaggio, con evidente
riferimento al pecorino usato, tra gli ingredienti, con particolare abbondanza. La
presenza di sugna, salame e uova rende questo piatto piuttosto pesante per la
digestione, tant’è che a Napoli ad una persona dal carattere poco sopportabile si dice:
“sì pproprio ‘nu casatiello!”.
Armando Polito: Frisella.
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G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
Ecco ora due versi della parte rap della canzone Femmeniè (1) di
S. Tretola e L. Pastore interpretata dal gruppo dei Katanka,
anche se il testo mi appare più kitsch del precedente (2):
ventinove stecchetella (3)
‘o vascuott e ‘a fresella (4)
ventinove carne fritta
il biscotto e la frisella
-----------
(1) il femmeniello è il travestito che si prostituisce.
(2) d’altra parte, basta prendere in considerazione i titoli di alcune loro interpretazioni: A
canzona r’o cazzo, Pe ‘na sfaccimma ‘e cacata, Senza mutanda.
(3) il 29 nella Smorfia napoletana corrisponde a ‘o ppate de’ ccriature (il pene); stecchetella
è vezzeggiativo femminile di stecchetto, diminutivo di stecco (nel significato popolare di
pezzo di carne fritta infilata su un bastoncino) e lega il suo valore metaforico al
precedente 29.
(4) vascuotto e fresella (biscotto e frisella) completano la metafora sessuale
precedentemente inaugurata dal 29.
Armando Polito: Frisella.
20
G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
Chiudo in bellezza le testimonianze napoletane contemporanee con
Achille Serrao (1)
Po’ vene juorno.
Poi si fa giorno.
Cammenata ca me struppèa o suonno
na notte sì e n’ata notte pure
passiata va’ sapé comme cumposta
ncopp’a chest’ossa ...
e dint’ô suonno raggiunià su queste ossa…
e sta vita, e chella ca nce steva ma nun sia
maje s’avesse a lepetà, dicive scutulianno
o janco e chella capa
janca, d’’a vita a venì
nun bella, a verità, e mmanco malamènte
sulo nu poco lasca... lasca sì...
parlammo d’ ’e fatte che se nfossano
comm’a néglia mpannuta e nun se nténneno
chiù manco a vicino, d’ ’e ccose piccerelle
ca nce sfessano (na malatìa e còre... na fresélla
chistu mese... ll’àsema ca vò dòrmere e nun fa
Andirivieni che mi storpia il sonno
una notte sì e un’altra pure
pressione di passi vai a sapere come composta
e nel sonno ragionare
di questa vita, e quella che ci stava ma non sia
mai s’avesse a ripetere, dicevi scuotendo
il bianco di quel capo
bianco, della vita a venire
non bella, la verità, e manco insopportabile
solo un poco fiacca…fiacca sì…
parliamo dei fatti che si accumulano
come una nebbia appannata e non si capiscono
più manco da vicino, delle cose piccoline
che ci affaticano (una malattia di cuore…un
colpo
questo mese…l’asma che vuole nascondersi e
non fa
dormire, rampa per rampa lo sgombero
del quartiere)…e ci rodemmo con una voce
arrochita al meglio
per non farci sentire per non far sentire
il male, e tanto, che il dolore fa
quando ti tormenta in fondo alla luce.
Poi si fa giorno.
durmì, tésa pe’ ttésa o cagno
d’ ’o quartiére)... e rusecammo cu’ na voce
abbrucata ncopp’ô mmeglio
pe’ nun ce fa sentì pe’ nun fa sèntere
o mmale, e ttanto, c’ ’o dulore fa
quanno te zuca nfunno a lummèra.
Po’ vene juorno.
--------(1) Nato a Roma nel 1936, Dopo alcuni volumi di poesia in lingua (si segnalano, fra questi:
Lista d'attesa del ‘79 e L'altrove il senso del 1989), ha pubblicato raccolte di poesia in
dialetto campano (dell'area casertana): Mal'aria del 1990, 'O ssupierchio (Il superfluo)
del 1993, 'A canniatura (La fenditura) dello stesso anno e Cecatèlla (Mosca cieca) del
1995, tutti confluiti in Semmènta vèrde (Semenza verde) del 1996. Un compendio di
tutta la sua poesia può leggersi nell'antologia La draga le cose, Caramanica editore,
Minturno (LT), 1997.
Nel 2005 ha scritto una riduzione teatrale della vita di Salvatore Di Giacomo,
rappresentata lo stesso anno dagli studenti del DAMS dell'Università di Roma Tor
Vergata, poi pubblicata nel 2006 dalle Edizioni Cofine col titolo Era de maggio.
Riduzione in quattro atti dalla vita e dall'opera di Salvatore Di Giacomo.
Ha pubblicato, inoltre, i libri di racconti Scene dei guasti (1978) e Retropalco (1995). Ha
curato nel 1992, per l'Editore Campanotto di Udine, l'antologia di poesia neodialettale
Via Terra. È stato tradotto in francese, inglese, spagnolo, olandese e serbo croato.
Nel 2001 ha vinto l' XXIX edizione del Premio Scanno, sezione Tradizioni popolari.
È direttore della rivista Periferie e del Centro di documentazione della poesia dialettale
Vincenzo Scarpellino.
Armando Polito: Frisella.
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G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
e Raffaele Bracale (2)
’O Giurnale
Quanno, â matina, m’accatto ’o giurnale
me penzo sempe ca, m’ànno ’mbrugliato…
pecché – a pparte ’a data ch’è cagnata –
p’ ’o riesto, può giurarce, è tale e cquale!
’E stessi ccose senza zuco e ssale,
’o bblocco fatto d’ ’e disoccupate,
’a solita intervista ô deputato:
Armando Polito: Frisella.
Il giornale
Quando, di mattina, mi compro il giornale
penso sempre che, mi hanno imbrogliato…
perché - a parte la data che è cambiataper il resto, puoi giurarci, è tale e quale!
Le stesse cose senza sugo e sale,
il blocco fatto dai disoccupati,
la solita intervista al deputato:
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G. DF. – S. A. per www.vesuvioweb.com
La soluzione è nel patto sociale…
E po’? N’inchiesta, ’o sciopero, ’o casino,
’a principessa fatta a… zucculella
La soluzione è nel patto sociale…
E poi? Un’inchiesta, uno sciopero, il casino,
la principessa che si comporta come una
zoccoletta,
’a Resistenza (ancora!) ’na scartina
la Resistenza (ancora!), una scartina
ca fa’ o cantante e s’azzuppa ’a fresella,
che fa il cantante e prende per il culo,
deragliamente ’e trene, ’nu sprufunno
deragliamenti di treni, una frana,
e ’o scandalo d’ ’o monsignore ’e turno!
e lo scandalo del monsignore di turno!
(2) Nato a Napoli nel 1945 dove ha compiuto gli studi laureandosi in giurisprudenza. Ha
lavorato per oltre un ventennio presso il maggior istituto di credito del mezzogiorno e si
è dimesso nel 1992 per impegnarsi più attivamente in campo artistico, spaziando dalla
pittura alla fotografia, dalla narrativa alla poesia ed al teatro. Ha collaborato a vari
giornali e riviste napoletani con articoli di costume ed ha ricevuto in vari concorsi
nazionali attestazioni e premi sia come poeta che come pittore, sia come regista che
come autore teatrale. Per il teatro, ha scritto e rappresentato una mezza dozzina di
lavori tutti portati in iscena, con la sua regia, dalla compagnia napoletana L'Applauso.
Ha pubblicato presso l’editore I.G.E.I. di Napoli, i volumi di narrativa Napule: e
ghiammo annanze, Pianti e putipù (vincitore nel 1994 del 1° premio Città di Pompei) ed
i volumi di versi Conti e canti, La Tombola.
Immagini. Collezione di Sergio della Valle
Armando Polito
Armando Polito: Frisella.
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