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Infermieristica di comunità - Facoltà di Medicina e Chirurgia

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Infermieristica di comunità - Facoltà di Medicina e Chirurgia
UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
III anno - 2° semestre Canale B – A.A. 2012/2013
Corso Integrato di Infermieristica applicata all’Area Emergenza
INFERMIERISTICA PREVENTIVA E DI COMUNITA’
I parte
Infermieristica di comunità
Docente: Dott.ssa Giovanna M. Pace
[email protected] - Tel.338-8611423
Presentazione del corso
Obiettivi previsti dall’Ordinamento Didattico
1. Definire il significato di educazione e di promozione della salute
2. Descrivere le tappe storiche di evoluzione del concetto di salute, educazione sanitaria e
promozione della salute
3. Spiegare il contributo dell’infermiere nella prevenzione primaria, secondaria e terziaria delle
malattie
4. Possedere strumenti di lettura della comunità
5. Apprendere le fasi fondamentali della programmazione di un intervento di educazione
terapeutica
6. Conoscere la metodologia della ricerca scientifica e l’importanza delle evidenze scientifiche
nell’assistenza infermieristica
7. Conoscere gli elementi dell’informazione scientifica: gli studi primari e secondari
8. Saper formulare le domande giuste: quesiti di background e di foreground, il modello PICO
9. Saper ricercare i documenti scientifici nella banca dati Medline
10. Saper riconoscere e ricercare le linee guida in internet
Contenuti
1. Il concetto di salute: evoluzione storica, comportamenti di salute, stili di vita e determinanti
della salute
2. Promozione della salute: definizioni comparate
3. I documenti OMS sulla strategia della salute per tutti
4. Cenni sui riferimenti normativi più significativi nazionali ed internazionali nel campo della
salute
5. La comunità, gli attori della comunità
6. Modelli di riferimento per il nursing di comunità (la teoria del self-care- Orem, Roy, ecc…)
7. L’infermiere di comunità: autonomia e valorizzazione della professione
8. La funzione educativa dell’infermiere finalizzata all’autocura-adattamento della persona e
della famiglia
9. La progettazione di un processo di educazione terapeutica
10. Le fasi della metodologia della ricerca scientifica: revisione della letteratura, quesito di
ricerca, disegno della ricerca, raccolta, analisi ed elaborazione dei dati, divulgazione risultati
della ricerca
11. Gli elementi dell’informazione scientifica: studi primari e studi integrativi
12. La ricerca bibliografica
Metodi didattici
1. Lezioni frontali, in cui vengono presentati dal docente, in forma parzialmente partecipata,
i concetti metodologici fondamentali del corso
2. Lavori di gruppo
3. Consultazione di materiale bibliografico (Internet)
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
2
Indicazioni per la verifica dell’apprendimento

Materiale di studio
1. Dispensa: sintesi delle lezioni
2. Libri di testo
2.1 M. Pellizzari. L’infermiere di comunità: dalla teoria alla prassi, Mc Graw-Hill, Milano 2008
2.2 A. Ferraresi. R. Gaiani. M. Manfredini. Educazione terapeutica. Carocci Faber 2004
2.3 J.F.d’Ivernois. R.Gagnayre. Educare il paziente. Un approccio pedagogico. Mc Graw-Hill
2004
2.4 J.A.Fain, “La ricerca infermieristica, leggerla, comprenderla e applicarla”, 2^ ed, McGraw
Hill, 2004 – capitoli n. 2 – 3 – 6 – 7 – 8 – 9 – 10 – 11 – 12 – 15 (sintesi)

Modalità
1. Esame scritto
2. Esame orale
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
3
Programma
I parte
Infermieristica preventiva e di comunità
Premessa
Profilo Professionale dell’Infermiere
Evoluzione del concetto di salute e promozione della salute
Strategia della salute per tutti: I 21 Obiettivi regionali OMS
Comunità e community care
Infermieristica comunitaria: definizioni, finalità e obiettivi
Infermieristica comunitaria: competenze ed ambiti di intervento
Modelli concettuali per il nursing di comunità
Infermieristica comunitaria europea:alcuni esempi
Infermieristica di distretto
La continuità delle cure nella rete dei servizi
Infermieristica di famiglia
Ambiti e natura delle attività dell’infermiere di famiglia
L’infermiere di famiglia nella strategia del “Health 21: la salute per tutti nel 21° secolo”
La ricerca infermieristica applicata all’infermieristica di comunità
Bibliografia
II parte
Educazione sanitaria ed educazione terapeutica
Premessa
Educazione alla salute
Educazione terapeutica del paziente
Criteri raccomandati dall’OMS
Le professioni sanitarie nel processo educativo
La metodologia del processo educativo e le sue fasi
1. Diagnosi educativa
1.1 Strumenti di indagine rivolte al singolo
1.2 Strumenti d’indagine rivolte al gruppo
2. Progettazione attività educativa
2.1 Definizione degli obiettivi educativi / di apprendimento
2.2 Negoziazione degli obiettivi e contratto educativo
2.3 Valutazione risorse disponibili
2.4 Scelta della metodologia educativa
2.5 Progettazione logistica-organizzativa
3. Attuazione progetto educativo
3.1 Tipologie dei metodi e tecniche pedagogiche
3.2 Incontro informativo/educativo
3.3 Lezione partecipata
3.4 Addestramento
3.5 Informazioni scritte
3.6 Counseling motivazionale breve
3.7 Metodi e tecniche pedagogiche
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
4
4. Valutazione
4.1 Aree di indagine della valutazione
4.2 Il gradimento dei partecipanti
4.3 L’apprendimento dei partecipanti
4.3.1 Apprendimento cognitivo
4.3.2 Apprendimento delle abilità gestuali
4.3.3. Apprendimento competenze relazionali
4.4 Trasferibilità
4.5 Indicatori di risultato
L’educazione terapeutica nei differenti contesti organizzativi
La cartella educativa
Esempi di progetti educativi
Bibliografia
III parte
L’infermieristica basata sulle evidenze
Il ruolo dell’EBN per la crescita professionale
Cosa sono le evidenze scientifiche
La metodologia della ricerca infermieristica
Studi primari: osservazionali e sperimentali
Gli elementi essenziali di uno studio clinico: popolazione, intervento, out come, potenza
La formulazione dei quesiti di background e di foreground
La ricerca bibliografica nella banca dati Pubmed – Medline
Strategia di ricerca: ricerca libera (Text word) - Operatori logici - Termini Mesh – Limiti – Clipboard
Studi secondari o integrativi: Revisioni sistematiche – Linee Guida
Le banche dati per la ricerca studi integrativi
Siti di interesse infermieristico
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
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I parte
Infermieristica preventiva e di comunità
◙ Premessa
Le finalità generali dei servizi sanitari sono quelle di permettere a ciascun individuo di realizzare
pienamente il proprio potenziale di salute attraverso il perseguimento di 2 obiettivi:
 Promuovere e proteggere la salute degli individui lungo il continum della loro vita
 Ridurre l’incidenza delle malattie e traumi.
I valori di base che caratterizzano questi sistemi sono:
1. la salute come diritto fondamentale di ogni essere umano;
2. l’equità rispetto alla salute e la solidarietà tra i paesi;
3. la partecipazione e la responsabilità degli individui nel contribuire a potenziare la salute della
collettività.
Il miglioramento della salute, quindi, rappresenta un obiettivo per tutti i paesi del mondo in modo
globale e, rispetto a fasi di sviluppo precedenti, si riscontra, da parte del sistema sanitario pubblico,
una significativa attenzione verso i servizi territoriali e all’assistenza domiciliare e di comunità in
particolare.
Le premesse generali e necessarie per parlare di infermieristica di comunità, intesa come pratica
olistica finalizzata ad orientare persone, famiglie, gruppi e comunità verso attività di promozione
della salute e prevenzione della malattia, sono quelle di conoscere gli orientamenti e le potenzialità
del Profilo Professionale dell’Infermiere (DM 739/94) rispetto a questo ambito, guardare alla salute
come un diritto fondamentale che caratterizza il nostro tempo, vedere come il concetto di salute si
è evoluto e quali sono i documenti più significativi che hanno palesato e caratterizzato le politiche
per la salute e che hanno permesso di delineare lo scenario entro cui è stato possibile sviluppare
temi legati alla promozione ed educazione alla salute.
◙ Profilo Professionale dell’Infermiere (DM 739/94)
PROFILO PROFESSIONALE
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
(D.M. 739/94)
L'infermiere è l'operatore
sanitario responsabile
dell'assistenza generale
infermieristica.
L'assistenza infermieristica
preventiva, curativa,
palliativa e riabilitativa è di
natura tecnica, relazionale,
educativa.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
Giovanna M. Pace
PROFILO PROFESSIONALE
(D.M.739/94)
• Identifica i bisogni di assistenza
infermieristica della
persona e
della collettività
• Pianifica, gestisce e valuta l’intervento
assistenziale infermieristico
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
6
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
PROFILO PROFESSIONALE
(D.M.739/94)
PROFILO PROFESSIONALE
 L’infermiere agisce sia individualmente
sia in collaborazione con altri operatori
sanitari e sociali
 Per l’espletamento delle funzioni si
avvale, ove necessario, dell’opera del
personale di supporto
• Svolge attività in strutture sanitarie
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
pubbliche o private, nel
territorio,
nell’assistenza domiciliare
• Contribuisce alla formazione del personale
….. anche attraverso la ricerca
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
PROFILO PROFESSIONALE
(D.M.739/94)
Ambiti di approfondimento culturale ed operativo:
 Sanità Pubblica




(D.M.739/94)
PROFILO PROFESSIONALE
(D.M.739/94)
Riconoscimento formale dello status di
professione autonoma dotata di:
 propria area di competenza
 specifiche metodologie operative
 completa responsabilità
Pediatria
Geriatria
Psichiatria
Area Critica
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
PROFILO PROFESSIONALE
(D.M.739/94)
Lo sviluppo di competenze esperte in ambito tecnico,
educativo, relazionale e palliativo può favorire programmi di
assistenza preventiva e riabilitativa continuativa ed integrata
per persone con problemi di self care legati a:




stati di cronicità
trattamenti complessi
fasi terminali di malattia
comportamenti a rischio per la propria salute.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
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◙ Evoluzione del concetto di salute e promozione della salute
Per vedere riconosciuta la salute come diritto fondamentale di ogni cittadino occorre attendere il
1945 quando ne viene sottolineata l’importanza come bene primario della popolazione, attraverso
la stesura della Carta costitutiva dell’ONU e la decisione di istituire un’organizzazione mondiale a
tutela della salute: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Un anno dopo (1946) a New York si celebra la prima Conferenza mondiale della sanità e viene
rilasciata una prima definizione di salute; la stessa cioè viene concepita come:
“uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente come assenza di
malattia o infermità”.
Questa definizione venne ribadita nel 1978 ad Alma Ata in occasione della Conferenza
Internazionale sull’Assistenza Sanitaria di Base (ASB), considerata quest’ultima uno strumento
essenziale affinché ogni Stato potesse raggiungere l’obiettivo salute per tutti nell’anno 2000.
Questa Conferenza espresse la necessità di un urgente azione nazionale ed internazionale per lo
sviluppo e la realizzazione dell’ASB nel mondo e particolarmente nei paesi in via di sviluppo. L’ASB
venne considerata, quindi, come un fattore fondamentale per promuovere la salute di tutte le
popolazioni, lasciando ampia autonomia agli Stati nella definizione di politiche e linee operative
locali.
Un'altra tappa storica viene raggiunta nel 1986 con la stesura della Carta di Ottawa (Canada) dove
si tenne il primo Congresso Internazionale sulla Promozione della salute.
Ancora una volta viene riconfermato il ruolo fondamentale della salute come risorsa e bene
prezioso della persona e della società, in prospettiva del miglioramento della qualità della vita.
In questa occasione viene ribadita anche l’importanza della corresponsabilizzazione dei diversi
settori della società per segnare il passaggio dal concetto di sanità a quello di salute.
La Carta di Ottawa definisce la “promozione della salute” un processo che rende l’individuo in
grado di aumentare il controllo sulla propria salute e migliorarla” (1986). Altresì, questo documento
integra e rivede la precedente definizione di salute, sostenendo che:
“Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, l’individuo o
il gruppo deve essere capace di realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri
bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di adattarsi ad esso”..
Viene data importanza alla soggettività, che influisce sulla salute in quanto il modo di percepire la
realtà da parte dell’individuo incide sul raggiungimento del benessere.
Numerose sono state le tappe che hanno continuato a segnare lo sviluppo di nuove politiche
pubbliche per la salute, tra cui la 2ª Conferenza internazionale sulla promozione della salute tenuta
ad Adelaide (Australia), con l’emanazione delle cosiddette Raccomandazioni di Adelaide, 1988. La
conferenza raccomanda fortemente che l’Organizzazione Mondiale della Sanità continui lo sviluppo
dinamico della promozione della salute attraverso le strategie descritte dalla Carta di Ottawa.
Nel panorama delle politiche pubbliche della salute, infine, è stata decisiva la Dichiarazione
Mondiale sulla Salute del 1998 che ha comportato per l’Europa la stesura del programma Salute
21– Salute per tutti nel XXI secolo (Health 21- Health for all in the 21st century).
Il documento ribadisce l’importanza di proseguire con interventi di educazione alla salute,
fondamentali per aiutare le persone a conoscere e assumere responsabilmente stili di vita e
comportamenti finalizzati alla promozione del bene salute.
Rispetto al concetto di salute si dà importanza ad una dimensione trans culturale legata alle
popolazioni, che rende necessario una maggiore interazione tra il settore sanitario e gli altri campi
dell’agire umano, quindi una dimensione transdisciplinare che oggi si richiede all’intervento
sanitario.
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
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Per rafforzare ed aggiornare gli obiettivi delle precedenti conferenze ed adattarli ancora una volta
ai cambiamenti che la società globale suggerisce, nel 2005 a Bangkok, viene redatta in occasione
di un meeting promosso dall’OMS, La Carta di Bangkok “La promozione della salute in un
Mondo Globalizzato”. La stessa ribadisce i concetti fondamentali della Carta di Ottawa del 1986
ma cerca di adattarli al nuovo contesto globale per la promozione, differente da quello esistente in
quegli anni.
La Carta di Bangkok evidenzia 4 impegni fondamentali:
4. rendere la promozione della salute parte integrante della politica interna ed
esterna;
5. rendere la promozione della salute una responsabilità centrale per tutti i governi;
6. rendere la promozione della salute un punto chiave per la comunità e la società
civile;
7. rendere la promozione della salute un requisito per le buone pratiche dell’impresa
privata. Il settore privato deve avere la responsabilità di assicurare salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro e di promuovere la salute e il benessere dei propri
dipendenti, delle loro famiglie e della comunità.
La salute, pertanto, in questo scenario va intesa non come fenomeno statico di dominio esclusivo
dei servizi sanitari, ma come processo dinamico e multidimensionale individuale e allo stesso
tempo sociale.
Al riguardo, l’Oms, sottolinea come “sia impossibile parlare di salute senza tener conto degli stretti
legami tra diversi aspetti affettivi, comportamentali, psicologici, sociali della vita dell’uomo e di
come la promozione della salute debba uscire dall’ambito dei sistemi sanitari per essere invece
interesse delle singole persone, dei gruppi sociali organizzati, dei sistemi politici-amministrativi”
(OMS- Health for All by the Year 2000).
Su quanto delineato impatta il ruolo della SANITÀ PUBBLICA, intesa come:
“scienza e arte di prevenire le malattie, di prolungare la vita e di promuovere la salute attraverso gli
sforzi organizzativi della società”.
La stessa ha bisogno di ridefinire la propria missione e cogliere le nuove sfide legate
all’ampliamento concettuale e di ruolo che fanno di questa disciplina un settore scientifico
multidisciplinare in grado di integrare e coinvolgere diverse organizzazioni e professionalità, in
sintonia con i contenuti della Dichiarazione di Alma Ata e della Carta di Ottawa, che riconoscono, il
ruolo dei determinati sociali, economici e politico-ambientale sulla salute di una popolazione
(Tab.I).
Tab. I Determinanti della salute
Non modificabili
•
•
•
Genetica
Sesso
Età
Socio-economici
• Povertà
• Occupazione
• Esclusione
sociale
Ambientali
• Aria
• Acqua e
alimenti
• Abitato
• Ambiente
sociale e
culturale
Stili di vita
•
•
•
•
•
•
Alimentazione
Attività fisica
Fumo
Alcol
Attività sex
Farmaci
Accessi ai servizi
•
•
•
•
•
Istruzione
Tipo di S.S.N
Servizi sociali
Trasporti
Attività ricreative
La sanità pubblica deve tener conto delle interconnessioni tra salute, ambiente, economia,
sviluppo, scelte politiche, ricerca e deve leggere la promozione della salute come processo tramite
il quale si può garantire alle persone l’opportunità di aumentare il controllo sulla propria salute, e
quindi di migliorarla, compiendo scelte attive e consapevoli a sostegno del benessere, non solo per
se stessi, ma per tutta la collettività di cui fanno parte.
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
9
I domini principali della sanità pubblica sono:





Promozione della salute (azioni su aria, acqua, cibo, malattie infettive, risposta nelle
emergenze, radiazioni, sostanze chimiche e tossiche, salute ambientale;
Miglioramento della salute (miglioramento della qualità della vita)
Riduzione delle disuguaglianze;
Tutela del lavoro, della casa, della famiglia/comunità, degli stili di vita, dell’istruzione;
Produzione di servizi sociali e sanitari di qualità ( programmazione servizi, efficacia clinica
ed assistenziale, clinical governance, efficienza, ricerca, audit e valutazione).
In ambito italiano le politiche per la salute si fondano sul diritto alla salute sancito dall’art. 32 della
Costituzione, erogato e garantito dal SSN istituito attraverso la prima riforma sanitaria (L.833/78).
Con il SSN, in linea con i principi dell’Assistenza Sanitaria di Base, si intende garantire a tutti i
cittadini la tutela della salute attraverso un sistema quasi totalmente pubblico finalizzato a
promuovere la salute, prevenire le malattie e a riabilitare le persone, stimolando la partecipazione
dei cittadini e realizzando forme di assistenza ospedaliera e territoriale.
◙ Strategia della salute per tutti: I 21 Obiettivi regionali OMS
Nel Programma Salute 21– Salute per tutti nel XXI secolo (1998), vengono individuati 21 obiettivi
per la salute per tutti che fanno riferimento ai bisogni dell’intera regione Europea e propongono
azioni necessarie per migliorare la situazione. Essi rappresentano un “quadro di base” su cui
misurare i progressi fatti nel miglioramento e nella promozione della salute.
Al suo interno si ritrovano due obiettivi principali:
- promuovere e proteggere la salute degli individui per tutto il corso della loro vita
- ridurre l’incidenza di patologie e traumi maggiori e alleviare la sofferenza che ne deriva.
In questo documento sono stati individuati 21 obiettivi per la salute che, rispondono a specifici
bisogni della regione europea, costituiscono le linee guida per sviluppare politiche nazionali non
soltanto sanitarie e ne rappresentano, contemporaneamente, il criterio di valutazione.
Solidarietà ed equità nella salute
Solidarietà ed equità nella salute
Salute 21 - OMS
Salute 21 - OMS
Obiettivo 1
Solidarietà
Solidarietà per la salute nella
Regione Europea:
Europea:
per il 2020, l’l’attuale differenza nello
stato di salute fra gli Stati Membri
della Regione Europea dovrebbe
ridursi di almeno 1/3.
Obiettivo 2
Equità
Equità nella salute: per l’l’anno
2020, la differenza di salute fra
gruppi socioeconomici
all’
all’interno dei singoli Paesi
dovrebbe essere ridotta di almeno
¼ in tutti gli Stati Membri,
innalzando sostanzialmente il livello
di salute dei gruppi svantaggiati.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
10
Miglior salute per la gente regione europea OMS
Obiettivo 3
Inizio sano della vita:
vita:
Salute 21 - OMS
per l’l’anno 2020, tutti i
neonati, gli infanti e i
bambini in età
età prescolare
nella Regione dovrebbero
godere di migliore salute,
garantendo loro un sano
inizio della vita.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Miglior salute per la gente regione europea OMS
Miglior salute per la gente della regione eu. dell’OMS
Salute 21 - OMS
Salute 21 - OMS
Obiettivo 5
Sano invecchiamento:
per l’l’anno 2020, le persone
ultra65nni dovrebbero avere
la possibilità
possibilità di godere il
proprio pieno potenziale di
salute e di svolgere un ruolo
sociale attivo.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Obiettivo 6
Migliorare la salute mentale:
per l’anno 2020, il benessere psicosociale
della gente dovrebbe essere migliorato e
dovrebbero essere disponibili e accessibili
alle persone con problemi mentali servizi
migliori e più comprensivi.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Miglior salute per la gente regione europea OMS
Salute 21 - OMS
Obiettivo 8
Ridurre le malattie non-contagiose:
per l’anno 2020 la morbilità, invalidità e
mortalità prematura dovute alle principali
malattie croniche dovrebbero essere
ridotte al minor livello possibile in tutta la
Regione.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
11
Miglior salute per la gente regione europea OMS
Obiettivo 9
Ridurre le lesioni da
violenza e incidenti:
Una strategia multisettoriale
per la salute sostenibile
Salute 21 - OMS
per l’l’anno 2020 vi dovrebbe
essere una diminuzione
significativa e sostenibile
delle lesioni, invalidità
invalidità
e morti dovute a incidenti o
a violenza nella Regione.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica Preventiva e di Comunità
Dott. ssa Giovanna M. Pace
Salute 21 - OMS
Obiettivo 10
Un ambiente fisico sano e sicuro:
per l’anno 2015 la popolazione della Regione
dovrebbe vivere in un ambiente fisico più
sicuro, con esposizione a contaminanti
pericolosi per la salute a livelli che non
superino standard concordati internazionali
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
12
Cambiare la focalizzazione:
un settore sanitario orientato ai risultati
Cambiare la focalizzazione:
un settore sanitario orientato ai risultati
Salute 21 - OMS
Salute 21 - OMS
Obiettivo 15
Un settore sanitario integrato:
per l’l’anno 2010 la popolazione della Regione
dovrebbe avere un accesso molto migliore a
cure primarie orientate alla famiglia e alla
comunità
comunità, sostenute da un sistema di ospedali
flessibile e rispondente.
Obiettivo 16
Gestire per la qualità delle cure:
per l’anno 2020, gli Stati Membri
dovrebbero assicurare che la gestione del
settore sanitario da programmi sanitari
rivolti alla popolazione alla cura dei singoli
pazienti a livello clinico, sia orientata verso
risultati di salute.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Cambiare la focalizzazione:
un settore sanitario orientato ai risultati
Cambiare la focalizzazione:
un settore sanitario orientato ai risultati
Salute 21 - OMS
Obiettivo 17
Finanziare i servizi sanitari e allocare le risorse:
per l’l’anno 2010 gli Stati Membri dovrebbero
avere meccanismi di allocazione delle risorse e di
finanziamento sostenibili per sistemi sanitari
basati sui principi della equità
equità nell’
nell’accesso,
dell’
dell’efficacia in rapporto ai costi, della solidarietà
solidarietà
e della qualità
qualità ottimale.
Salute 21 - OMS
Obiettivo 18
Sviluppare le risorse umane per la salute:
per l’l’anno 2010 tutti gli Stati Membri
dovrebbero avere garantito che gli
operatori sanitari e le figure
professionali di altri settori abbiano
acquisito conoscenze adeguate,
attitudini e capacità
capacità per proteggere
e promuovere la salute.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Gestire il cambiamento per la salute
Gestire il cambiamento per la salute
Salute 21 - OMS
Obiettivo 19
Ricerca e conoscenze per la salute:
per l’l’anno 2005, tutti gli Stati Membri
dovrebbero avere sistemi di ricerca,
informazione e comunicazione che
sostengano meglio l’l’acquisizione,
l’effettiva utilizzazione e la diffusione di
conoscenze per sostenere la salute per
tutti.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Obiettivo 20
Mobilizzare partners per la salute:
per l’anno 2005 l’implementazione delle politiche
per la salute per tutti dovrebbe impegnare
individui, gruppi ed organizzazioni attraverso i
settori pubblico e privato, e la società civile in
alleanze e compartecipazioni per la salute.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Gestire il cambiamento per la salute
Salute 21 - OMS
Obiettivo 21
Politiche e strategie per la salute per tutti:
per l’l’anno 2010, tutti gli Stati Membri
dovrebbero essersi dotati a implementare
politiche di salute per tutti a livello di Stato,
regioni e comunità
comunità locali, sostenute da
appropriate infrastrutture istituzionali, processi
manageriali e conduzione innovativa.
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
Salute 21 - OMS
◙ Comunità e community care
Generalmente con il termine “comunità” si intende la località in cui una persona vive o i residenti di
un territorio. Si parla di comunità, inoltre, non solo in termini di referente geografico ma anche in
termini di componenti emozionali, legate alle relazioni umane ed esperienziali, tanto da far pensare
alla comunità più come “esperienza” che come luogo fisico.
Secondo una definizione sociologica la comunità può essere riferita ad un aggregato di persone
che vivono in un’area geografica ben determinata.
Una definizione di comunità che può essere messa in relazione al lavoro di cura è quella che
considera la comunità come:
“un insieme di soggetti che condividono aspetti significativi della propria esistenza e che, per
questa ragione, sono in rapporto di interdipendenza, potendo sviluppare un senso di
appartenenza ed intrattenere relazioni fiduciarie”.
Qualunque accezione si voglia dare alla comunità, essa coincide con i luoghi in cui la salute si
viene a determinare. La comunità costituisce, dunque, l’ambiente in cui più di ogni altro si
sperimenta la salute e malattia, dove spesso avviene la riabilitazione e dove molte persone
scelgono di morire.
“La nozione di comunità implica l’esistenza di una rete di relazioni sociali reciproche, che tra le altre
cose assicurino il reciproco aiuto e diano a coloro che le vivono, un senso di benessere” (Rapporto
Seebohm,1968). Questa affermazione permette di evidenziare il legame che unisce i concetti di
comunità, relazione di aiuto e benessere.
L’identità, la condivisione di scopi e la coesione su valori positivi, alimenta lo sviluppo di reti sociali
– familiari di aiuto e di sostegno, favorendo benessere e salute agli individui.
In realtà l’azione di una serie di fenomeni legati alla globalizzazione (sviluppo mass media,
aumento benessere materiale, dell’individualismo, della mobilità, facilità di contatti a distanza
(telematica), facilitano un progressivo deterioramento di quei processi di partecipazione sociale, di
collaborazione, ecc…
Su questo scenario impatta l’esigenza di sviluppare una cura di comunità, che può comprendere
diverse aree: sociale, psicosociale, sociosanitaria.
La community care, consiste in forme di assistenza e di supporto erogate tanto ‘’nella’’ comunità,
quanto ‘‘dalla’’ comunità, attivate in vario modo da operatori pubblici, da privati a pagamento, da
volontari o dai cosiddetti informal care (parenti, amici, vicini di casa, ecc…) ; il tutto deve essere
visto come un intreccio tra reti formali e informali, tra professionalità e figure non specialistiche,
tra pubblico e privato.
Pensare l’assistenza nell’ottica della community care, significa, quindi, coinvolgere nella cura in
modo sinergico tutte le risorse disponibili, formali ed informali, all’interno della comunità, in modo
da offrire una risposta completa ai bisogni delle persone.
 La care formale è prestata da professionisti pubblici o privati, da volontari appartenenti ad
organizzazioni nazionali o locali, indipendentemente dal fatto che l’aiuto venga prestato in
virtù dello svolgimento di un ruolo professionale, sulla base di una remunerazione
economica, oppure per il desiderio di sentirsi utili
 La care informale, invece, è l’assistenza prestata da familiari, amici o vicini di casa sulla
base di legami personali diretti.
Nell’ambito del lavoro comunitario, il lavoro di assistenza o community care ha l’obiettivo di
garantire il mantenimento o il reinserimento delle persone deboli nella comunità di appartenenza
attraverso una rete articolata e flessibile di servizi formali, pubblici e privati, che vanno da
macrostrutture residenziali a servizi personalizzati sul territorio e a domicilio.
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La modalità di azione della community care è la modalità del lavoro in rete degli operatori della
salute attraverso l’integrazione professionale, che si attua tra i professionisti che maggiormente
costituiscono la rete dei servizi (MMG/PLS, Infermieri, Assistenti sociali, ostetriche).
Le pre-condizioni che favoriscono l’integrazione professionale, sono:
 Integrazione istituzionale: che coniuga le competenze sanitarie con quelle sociali
(Comuni e Azienda Sanitarie); esempi di realizzazione di questa integrazione
possono essere: la rete delle cure palliative, LG ospedalizzazione a domicilio e
assistenza a malati cronici;
 Integrazione gestionale: tra servizi e centri di responsabilità che l’organizzazione dei
servizi e la distribuzione delle risorse.
I modelli organizzativi possono variare in base ai contesti e alle caratteristiche
dell’ambiente di riferimento, ma per un’efficace attuazione di cure comunitarie
costruire una cultura comunitaria multidisciplinare e multi professionale,
promuovere la salute della comunità con adeguati progetti integrati di cura, che
qualità dei servizi e delle prestazioni.
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degli attori e
è necessario
finalizzata a
ottimizzino la
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◙ Infermieristica comunitaria: definizioni, finalità e obiettivi
L’infermieristica comunitaria è considerata una pratica olistica finalizzata all’autocura e ha come
obiettivo quello di realizzare un servizio di assistenza pubblico volto ad orientare le persone, le
famiglie e le comunità verso attività di autocura in relazione alla promozione della salute e alla
prevenzione delle malattie.
Il ruolo dell’infermieristica di comunità è secondo il documento OMS Nursing in Action Project del
1991 di “aiutare gli individui, le famiglie, i gruppi e le comunità a determinare e raggiungere il loro
potenziale fisico, mentale e sociale all’interno dell’ambiente di vita e di lavoro, favorendo
l’AUTORESPONSABILITA’ E L’AUTODETERMINAZIONE”.
Le funzioni distintive dell’infermiere di comunità, vanno oltre la funzione assistenziale classica
prestazionale, confermandogli valore aggiunto e si possono sintetizzare riducendole alle seguenti:






Attivazione della rete delle risorse formali e informali presenti nella comunità
Presa in carico anticipata e leggera dei bisogni della comunità, potenziali e inespressi
Case manager
Presa in carico dell’utente in fase intensiva (acuta) e garanzia della continuità della cura in
fase estensiva (post-acuta)
Promozione alla salute nell’ottica dell’empowerment
Approcci teorico-pratici orientati ai concetti di self-care e self –help (l’infermiere diventa
punto di riferimento essenziale, l’interfaccia privilegiata per l’utente e per tutti gli attori che
compongono l’équipe di cura socio-sanitaria, ma anche il lettore attento dei bisogni
potenziali e inespressi, nonché l’attivatore di risorse idonee a soddisfarli).
L’azione dell’infermieristica comunitaria si colloca nei distretti, nei servizi territoriali, a domicilio e
può contribuire a potenziare e sviluppare tutti quegli interventi di primary care necessari a:






Garantire accesso alle cure
Realizzare la continuità delle cure
Erogare assistenza generale e specialistica per rispondere ai bisogni di assistenza
infermieristica nelle situazioni di cronicità
Attuare interventi di educazione alla salute allo scopo di orientare le persone, le famiglie, la
comunità a modificare stili di vita e all’uso corretto dei servizi/risorse
Promuovere livelli di benessere e di salute
Diffondere pratiche di autocura
Il principale compito dell’infermiere di comunità è la promozione della salute; infatti, lavorando con
individui, famiglie, comunità realizza interventi di educazione alla salute, prevenzione protezione
della salute, che sono come detto più volte, i principali aspetti che caratterizzano la promozione
della salute.
L’infermieristica comunitaria, agisce all’interno dell’ambiente di vita della persona (famiglia,
comunità, luoghi, esperienze, persone significative) dove si pone come sfida la salute collettiva,
contribuendo allo sviluppo di servizi assistenziali mirati a rispondere alle necessità delle persone e
delle famiglie, agendo direttamente nei luoghi di vita e di lavoro; essa occupa un ruolo centrale
nell’ambito delle cure primarie, in quanto gli infermieri, ricoprono il ruolo di facilitatori, educatori,
coordinatori, osservatori e ricercatori della comunità e possono contribuire a ricercare le cause che
portano all’uso improprio delle risorse della salute pubblica.
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◙ Infermieristica comunitaria: competenze ed ambiti di intervento
La professione infermieristica riveste un ruolo importante nell’ambito dei servizi alla persona e alla
famiglia. All’infermiere sono richieste competenze avanzate ed adeguate al nuovo contesto
sociosanitario, multiculturale e complesso.
Al riguardo le competenze che caratterizzano chi opera in tali contesti vengono distinte in:
1. Competenze chiave
Educative:
abilità culturali, competenze etiche, responsabilità ambientale, pensiero critico,
cooperazione internazionale, apprendimento continuo
Abilità di cambiamento: saper presidiare ed attuare processi di cambiamento, implementazione di nuovi
modelli di attività
Influenza politica:
partecipazione e capacità di attivismo a livello di organizzazione e rete di lavoro,
conoscenza delle politiche locali, nazionali ed internazionale
Capacità pratiche:
abilità relazioni umane; pensiero critico (saper prendere decisioni, usare nuove
conoscenze e produrre innovazione); coordinamento organizzativo; gestione
economica; relazione con i media.
2. Competenze multi professionali
Partendo dal concetto poliedrico di salute, la presa in carico della persona non può prescindere da un lavoro
che non sia integrato con altri settori professionali del sociale e del sanitario.
Il lavoro multi professionale deve saper fondere i saperi e i concetti disciplinari per rispondere in maniera
adeguata ai diversi bisogni di salute.
Al riguardo le competenze richieste per l’infermiere comunitario, sono quelle legate alla capacità di saper
lavorare in team e di leadership efficace, che sia cioè in grado di costruire relazioni positive con molti attori
per meglio individuare le opportunità per la comunità, integrando programmi multi professionali.
3. Competenze legate alla pratica dell’infermieristica di comunità
Conoscenze pedagogiche e metodologiche in campo educativo
Nozioni di educazione alla salute
Abilità di supporto alle persone, gruppi e comunità
Gli interventi di infermieristica comunitaria, si possono realizzare in vari contesti: il domicilio
dell’assistito, i distretti sanitari di base, i luoghi di lavoro, le scuole, le residenze sanitarie, le
comunità e case alloggio, le strutture di prevenzione e le sedi di Enti o Istituti.
Gli interventi possono essere distinti in:
 Gestione delle cronicità (cancro, diabete, malattie cardiovascolari, disturbi psichici,
demenze senili, handicap, politraumi);
 Gestione dispositivi/presidi medico chirurgici (nutrizioni artificiali, gestione accessi venosi,
gestione stomie, dialisi domiciliare, ecc…);
 Cure post dimissione ospedaliera (continuità assistenziale);
 Assistenza in ambito materno-infantile;
 Assistenza e riabilitazione dipendenze patologiche;
 Prevenzione luoghi di lavoro e di vita.
◙ Modelli concettuali per il nursing di comunità
L’infermieristica comunitaria si basa sulla scienza infermieristica, sulla scienza di sanità pubblica e
su altre discipline (pedagogia, psicologia, sociologia).
Nello specifico, la disciplina infermieristica, sappiamo essere una scienza che si interessa
dell’uomo nel suo complesso, in quanto beneficiario dell’assistenza.
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La professionalizzazione dell'attività assistenziale si è realizzata nel momento in cui le conoscenze
utilizzate dagli infermieri giungono ad essere organizzate in un Corpus sistematico di teorie ed
applicate secondo un'insieme condiviso di strumenti metodologici e tecnici allo scopo di assicurare
un'efficace assistenza infermieristica.
In sintesi parliamo di disciplina inf. in quanto detentrice di un campo materiale e specifico oggetto
di studio, di un corpus di conoscenze, di un metodo, scopo, campo di applicazione e ragione
storica.
 Il campo materiale di studio della disciplina infermieristica è l'uomo e il suo divenire e l'ottica
particolare con cui lo si affronta: assistenza infermieristica intesa come risposta ai suoi
bisogni di assistenza infermieristica.
 Lo strumento della disciplina infermieristica per raggiungere il suo scopo specifico è il
processo di assistenza.
 Lo scopo della disciplina infermieristica che è una disciplina prescrittiva, è quello di studiare
"l'essere possibile" dell'uomo posto in una particolare situazione di bisogno e in un dato
contesto.
 Il campo di applicabilità è quello delle strutture sanitarie, strutture sociali, ambienti di vita
dell’uomo, comunità.
All'interni di ogni disciplina possono coesistere diversi modelli concettuali o teorie che diventano il
punto di riferimento e la guida del pensiero e dell'agire di una comunità scientifica; rispetto ad essi
si sviluppano le conoscenze, i metodi e gli strumenti disciplinari.
I modelli e le loro teorie del nursing hanno un'utilità pratica per l'infermieristica, con dettagli specifici
da mettere in atto nelle diverse aree assistenziali.
Le teorie infermieristiche possono essere di aiuto nell’orientare la pratica quando l’infermiere si
trova ad agire con diversi utenti e contesti; nell’ambito dell’infermieristica comunitaria possono
essere utilizzati diversi modelli concettuali per orientare le attività infermieristiche applicate alla
sanità pubblica.
Alcuni esempi di modelli che possono orientare gli infermieri di comunità nelle attività domiciliari e
ambulatoriali, nella pianificazione di interventi assistenziali rivolti ai singoli individui e alle loro
famiglie, con l’obiettivo di sostenere e orientare le persone verso stili di vita sani e a svolgere
pratiche di autocura, possono essere:
 Modello di inadeguata cura di sé di Orem
La pratica infermieristica, secondo questo modello è un’azione deliberata che considera i pazienti
nei termini della loro capacità di cura di sé. La Orem, descrive il nursing e la pratica infermieristica
come un insieme di attività centrate sulla soddisfazione dei bisogni umani di autocura, quando le
condizioni del paziente lo rendono incapace di svolgere azioni di auto assistenza.
Lo scopo finale di tutto il processo assistenziale, individuato dalla Orem, è la cura di sé da parte
dell’individuo, da cui è evidentemente deducibile l’importanza delle attività educative e di sostegno
che costituiscono l’elemento primario del nursing agito in ambito comunitario.
La Orem individua 3 sistemi di assistenza infermieristica:
 Sistema completamente compensatorio: usato per pazienti in caso di coma o comunque
non in grado di compiere azioni di self-care
 Sistema parzialmente compensatorio: nel caso in cui il paziente riesce a compiere solo
in parte le azioni necessarie di self- care
 Sistema di supporto educativo: per pazienti che riescono a completare quasi tutte le
azioni di self- care, ma devono essere aiutati e guidati nella fase di apprendimento
 Modello dei sistemi di Neuman
Secondo questo modello, l’infermiere pensa all’assistito come un sistema di variabili che
interagiscono con l’ambiente; le variabili sono fisiologiche, psicologiche, socioculturali, di sviluppo e
spirituali.
Il processo assistenziale in questo caso, mira ad identificare e ridurre i fattori di stress che
colpiscono l’individuo per favorirne il funzionamento ottimale.
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◙ Europa: modelli assistenziali applicati alla comunità
La situazione dell’assistenza infermieristica nella regione europea è ancora molto eterogenea; un
recente sondaggio condotto dal programma di infermieristica ed ostetricia dell’OMS ha rilevato
l’attività di diversi modelli di infermieristica di comunità, descrivendo ruoli molto diversi in Paesi
diversi.
Questa indagine sull’infermieristica di comunità in Europa (Whyte,2000) illustrava, nello specifico,
le differenze nella formazione, così come nella fornitura dei servizi erogati tra gli Stati membri e
l’eterogenea diversità di titoli per indicare gli infermieri di comunità, tra i quali: Infermieri di Scuola,
Infermieri di Salute Mentale, Infermieri di Comunità, Infermiere di salute Pubblica, Infermiere
domiciliare, Infermiere di famiglia, Infermiere di Distretto, Assistente Sanitario Vigilatore, Infermiere
di pratica, Infermiere Pediatrico di comunità, Infermiere di Salute Occupazionale, Infermiere di
carcere, Infermiere Socio-Psichiatrico, Infermiere di Cure palliative, Infermiere generale, Infermiere
di Salute del lavoro.
1. In Inghilterra, dove la funzione dell’infermieristica viene considerata di fondamentale importanza
per lo sviluppo dell’assistenza primaria, esistono varie figure che si occupano della stessa:
o Occupational Health Nurse: esercitando attività di prevenzione primaria e di primo
soccorso negli ambienti di lavoro;
o Community Nurse: infermiere esperto che progetta e gestisce programmi di sanità
pubblica per specifiche tipologie di utenti;
o General Nurse: infermiere che si occupa dell’assistenza domiciliare o residenziale.
Il contesto anglosassone definisce la Family Care come un modello di intervento finalizzato a:
- assistenza diretta al paziente al domicilio con interventi infermieristici tecnici e
riabilitativi;
- educazione ed informazione sanitaria per rendere consapevole la persona e la sua
rete primaria di riferimento;
- supporto tecnico finalizzato a rendere la famiglia indipendente nella gestione della
persona affetta da patologia cronica.
2. Nel contesto dei servizi infermieristici scozzesi, invece, vengono segnalate le funzioni di alcuni
infermieri:
TITOLO
Infermiere di Distretto
Assistente Sanitario
Infermiere di Salute Mentale
Infermieri x Disabilità nell’apprendimento
Infermiere di Pratica
Infermiere Specializzato
Infermiere di Scuola
Infermiere di salute Occupazionale
FOCUS DELL’ATTIVITA’
Assistenza malati e disabili
Screening sullo sviluppo e programmi di promozione salute
Assistenza alle persone con malattie mentali
Assistenza persone con ritardi sviluppo intellettivo
Programmi screening e gestione malattie croniche
Assistenza malattie speciali (cancro, diabete, ecc..)
Screening e programmi di promozione nelle scuole
Assistere i lavoratori nel loro ambiente di lavoro
L’OMS europea, basandosi sulle esperienze di infermieristica di comunità di molti Paesi,
soprattutto sui modelli degli Assistenti Sanitari Visitatori, degli Infermieri di Distretto e di altri
Infermieri del Regno Unito e del modello Infermiere di Famiglia già esistente in Slovenia, ha
delineato il concetto di Infermiere di Famiglia (IdF).
Il ruolo e le funzioni dell’IdF contengono elementi che fanno già parte del ruolo degli infermieri di
comunità e che lavorano in assistenza primaria in tutta la Regione europea.
Su questa figura verrà dedicato uno spazio di trattazione nei successivi paragrafi.
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◙ Italia: modelli assistenziali applicati alla comunità
 Infermieristica di Distretto
L’importanza dell’assistenza primaria nel raggiungimento dei suoi obiettivi di soddisfacimento dei
bisogni di salute e tutela della continuità assistenziale, è sottolineata nella Dichiarazione dell’OMS
di Alma Ata (OMS, 1978). In Italia la struttura operativa delle Aziende Sanitarie deputata a
garantire la “primary care”, è rappresentata dal Distretto.
Quindi il Distretto si configura come centro dell’erogazione dell’assistenza primaria, governo e filtro
della domanda delle prestazioni sanitarie e socio-assistenziali e base dell’osservatorio
epidemiologico per la valutazione dei bisogni della popolazione e della conseguente
programmazione sanitaria.
Il D.Lgs. 229/99 ribadisce le finalità del Distretto:
garantire accessibilità, continuità e tempestività della risposta assistenziale e favorire un
approccio intersettoriale alla promozione della salute, assicurando un elevato grado di
integrazione tra i servizi sanitari e tra questi e i servizi socio-assistenziali.
I servizi distrettuali vengono distinti in:
Assistenza di base e specialistica ambulatoriale (MMG e PLS)
Servizio materno-infantile (Consultori)
Servizio tutela disagio giovanile (Dipartimenti Dipendenza Patologica- SERT)
Servizio per la tutela persone anziane e fragili
Servizio per la tutela della salute mentale (Centro di Salute Mentale- Centri Diurni- Strutture
Residenziali).
Per quanto riguarda i servizi per la tutela delle persone anziane e delle categorie di soggetti fragili,
essi rappresentano un ingente e crescente impegno da parte del distretto, in rapporto ai mutamenti
demografici e sociali degli ultimi 20 anni, con l’incremento di anziani non autosufficienti, pazienti
con malattie croniche e invalidanti.
Tra le principali tipologie dei servizi assicurati dal distretto, si citano quelli offerti da:
 Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)
Struttura extraospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di
recupero a persone anziane prevalentemente non autosufficienti. Si differenziano dalle strutture
riabilitative per la minore intensità delle cure sanitarie e per tempi di maggior permanenza degli
assistiti.
 Ospedale di distretto o di comunità “Country Hospital” (CH)
E’ un modello di struttura socio-sanitaria territoriale della rete dei servizi distrettuali, che si rivolge
prevalentemente a persone anziane, attraverso l’attivazione di posti letto gestiti dai loro medici di
fiducia. (Target: persone affette da patologie in atto che non richiedono trattamenti intensivi e
versano in particolari condizioni di solitudine o altri disagi). I MMG hanno la responsabilità clinica
dell’accoglienza del malato e della gestione del paziente.
 Strutture per malati terminali “Hospice”
Strutture dedicate alle cure palliative, cioè l’insieme degli interventi terapeutici, destinati ad
alleviare le sofferenze dei malati terminali.
 Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)
Ha come destinatari la popolazione anziana e i disabili, la stessa però sta estendendo i suoi
servizi anche ad altre categorie (malati di AIDS, di Alzhaimer, pazienti terminali).
L’ADI assicura a domicilio del paziente le prestazioni di: medicina generale, medicina specialistica,
infermieristica domiciliare e riabilitativa, assistenza sociale.
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
Infermieristica di Distretto
Infermieristica di Distretto
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
SERVIZI del DISTRETTO
L’assistenza domiciliare diventa integrata
quando professionalità diverse, sanitarie e
sociali, collaborano per realizzare piani
assistenziali unitari, mirati sulla
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
natura dei bisogni
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
Infermieristica di Distretto
Ha come destinatari la popolazione anziana e i disabili, la
stessa però sta estendendo i suoi servizi anche ad altre
categorie (malati di AIDS, di Alzhaimer, pazienti terminali).
L’ADI assicura a domicilio del paziente le prestazioni di:
medicina generale, medicina specialistica, infermieristica
domiciliare e riabilitativa, assistenza sociale.
Infermieristica comunitaria
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
Infermieristica di Distretto
Assistenza Domiciliare Integrata
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
Criteri d’accesso:
CONDIZIONI NECESSARIE:
 dopo dimissione (per prestazioni socio-sanitarie)
 in alternativa all’ospedalizzazione
• La valutazione multidimensionale e
l’intensità necessari
(anziani dipendenti o non autosufficienti)
 portatori di deficit fisici/psichici
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
Infermieristica di Distretto
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
CONDIZIONI NECESSARIE:
• La continuità terapeutica degli
interventi
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
Infermieristica di Distretto
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
CONDIZIONI NECESSARIE:
• La collaborazione tra operatori
sanitari e sociali
• La collaborazione della famiglia
• La valutazione dei costi delle
decisioni
• La valutazione evolutiva degli esiti
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
Infermieristica di Distretto
Infermieristica di Distretto
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
ADI: forma assistenziale
alla persona, che si
realizza attraverso
l’integrazione dei
professionisti con la
presa in carico.
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
L’integrazione è la collaborazione attiva
e il confronto continuo tra i professionisti
Il PAI rappresenta il documento di formale
assunzione di responsabilità dell’èquipe verso l’utente.
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
PAI
Piano Assistenziale Individuale (PAI)
è la trasposizione
operativa che dall’analisi
dei bisogni, individua un
percorso assistenziale
e gli obiettivi a cui
questo deve giungere
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
PAI
E’ la rappresentazione del progetto globale sulla persona che
deriva da:
 Aspetti clinico - sanitari di competenza medica
 Valutazione dei bisogni assistenziali di competenza
dell’infermiere
 Valutazione dei bisogni di riabilitazione di competenza
del fisioterapista
 Valutazione dei bisogni personali, di relazione e
socializzazione di competenza dell’operatore sociale.
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
PAI: PARTE INFERMIERISTICA
La predisposizione, la verifica e l’aggiornamento
del PAI avviene nell’ambito di una équipe
interdisciplinare, composta da figure professionali
sanitarie e socio-assistenziali individuate secondo
il setting di cura (residenziale, semiresidenziale o
domiciliare).
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Presa in carico:
INDICE COMPLESSITÀ
ASSISTENZIALE
INFERMIERISTICA
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
Gli accessi infermieristici
vengono programmati dal
Coordinatore ADI in base al
peso assistenziale rilevato e
concordati con il Medico
curante dell’assistito
Infermieristica comunitaria
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La durata del contratto ADI è in
relazione alla persistenza dei bisogni
di integrazione
Il PAI può variare di livello in base
alle variazioni dei bisogni assistenziali
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
Chi è l’infermiere di assistenza domiciliare:
 quello dell’assistenza erogata direttamente
 quello dell’organizzazione e pianificazione dei
percorsi assistenziali
 quello della complessità relazionale
 quello dell’educazione alla salute e alla
convivenza con la malattia cronica
 quello dell’ascolto e della negoziazione
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
Chi è l’infermiere di assistenza domiciliare:
 quello della valutazione costante,
data dalla inevitabile presenza di altri attori/osservatori
nel processo assistenziale (i familiari)
 quello dell’individuazione di soluzioni innovative
pur di ottenere il risultato della permanenza a domicilio
in condizioni di sicurezza, accettabilità e di migliore
assistenza possibile
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
Caratteristiche personali e professionali
Caratteristiche personali e professionali
 la capacità di autogestione ed autonomia
 notevoli competenze cliniche sia generiche
che specialistiche
 la volontà di assumersi responsabilità
 l’interesse a sviluppare nuove competenze
 la propensione al servizio, alle relazioni
interpersonali e la PAZIENZA
 l’elasticità nel saper bilanciare gli obiettivi
clinici con la realtà del paziente
 la tolleranza nei confronti di mentalità e stili
di vita diversi
 il senso dello humour per aiutare i pazienti i
colleghi a superare i momenti di crisi
[Bergamasco e Schiavon; 2000]
[Bergamasco e Schiavon; 2000]
Infermieristica comunitaria
Giovanna M. Pace
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INFERMIERISTICA di COMUNITA’
INFERMIERISTICA di COMUNITA’
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (ADI)
Caratteristiche personali e professionali
Quali competenze per l’eccellenza a domicilio?
Deve sviluppare una forte capacità di
lavorare in èquipe, operando in un
contesto multi professionale e
multidisciplinare, mantenendo la
propria autonomia professionale e
decisionale.
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Giovanna M. Pace
La competenza distintiva dell’infermiere è:
un saper agire validato dalla riflessione e
dall’esperienza, il comprendere e
prendere in carico completamente la
persona e la famiglia
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 Casa della Salute
È la sede di erogazione dell’insieme delle cure primarie rappresentate dai servizi sanitari, sociosanitari e socio assistenziali rivolti alla popolazione dell’ambito territoriale di riferimento.
La CdS si presenta come un insieme di attività organizzate in aree specifiche di intervento
profondamente integrate tra loro con la finalità di prendersi cura delle persone nei loro luoghi di
vita, offrendo risposte articolate.
E’ un presidio del Distretto la cui gestione complessiva è affidata al Dipartimento di Cure Primarie.
Dal punto di vista strutturale, si presenta come struttura unica, polivalente e funzionale, organizzata
al fine di erogare l’insieme delle cure primarie e di garantire la continuità assistenziale con
l’ospedale e le attività di prevenzione.
Dal punto di vista delle risorse umane, coinvolge il personale di distretto:
 Infermieristico
 Riabilitativo
 Sociale
 Tecnico-amministrativo
 MMG con studi associati
 Specialisti ambulatoriali
Sotto il profilo delle attività, la CdS è chiamata a garantire:
 Accertamenti diagnostici-strumentali di base (7/7 gg – 12 h)
 Procedure di teleconsulto e telemedicina
 Presa in carico di persone con patologie croniche
Finalità
 Intercettare il bisogno e la domanda
 Facilitare l’accesso ai servizi di assistenza territoriale, sanitaria e socio-sanitaria
 Erogare nell’ambito appropriato attività di assistenza primaria
 Gestire la cronicità
 Promuovere la salute e prevenire le malattie dei singoli e delle comunità
 Favorire l’empowerment della persona, sana o malata, come singola, nucleo familiare,
gruppo di pazienti, comunità
 Valorizzare le potenzialità e le sinergie delle comunità locali
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Ruolo dell’Infermiere nella CdS
L’infermiere nel contesto delle CdS è l’operatore di riferimento del cittadino della propria zona di
competenza, che assicura l’assistenza generale infermieristica, riconosce ed attiva le risorse del
cittadino, del “sistema famiglia” e la rete dei servizi territoriali.
Il suo ruolo si articola rispetto ad una serie di responsabilità cliniche ed organizzative, quali:
 Accoglienza, valutazione, orientamento ai servizi
 Monitoraggio attivo dei pazienti con patologia cronica
 Monitoraggio attivo dei pazienti “fragili”
 Educazione sanitaria / terapeutica per singoli pazienti o target di assistiti
 Coordinamento/ raccordo con ADI
 Raccordo coi servizi sociali
Nell’ambito dell’attività e dei servizi distrettuali offerti, così come dettagliato in precedenza, il
contributo peculiare dell’assistenza infermieristica è rappresentato dall’educazione sanitaria,
strumento in grado di produrre nei pazienti e nelle loro famiglie, lo sviluppo di efficaci
comportamenti relativi alla salute, oltre che a promuovere stili di vita sani.
Al riguardo il Profilo Professionale dell’Infermiere (D.M. 739/94) definisce:
l’assistenza infermieristica come preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa e che la stessa può
avere una natura tecnica, educativa e relazionale.
Secondo lo stesso, l’infermiere
a. partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;
b. identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i
relativi obiettivi;
c. promuove comportamenti e stili di vita sani;
d. promuove l’uso appropriato e consapevole dei servizi sanitari;
e. costruisce una rete integrata di servizi e rapporti sociali e familiari fondati sulla solidarietà e sul
sostegno reciproco.
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◙ La continuità assistenziale nella rete dei servizi
I mutamenti demografici e sociali in corso e la necessità di presa in carico del cittadino durante
l’intero arco della vita, pongono il tema dell’integrazione socio sanitaria e della continuità
assistenziale al centro delle politiche sanitarie dei Paesi a sviluppo economico maturo.
In questi stessi Paesi, negli ultimi vent’anni, si è assistito ad una progressiva de-ospedalizzazione
che ha coinvolto e riguardato anche il nostro paese: negli ospedali italiani, infatti, negli anni 198099 il numero dei pp.ll. è diminuito del 48% (da 542 mila a 280 mila); le giornate di degenza del 45%
(da 138 milioni a 76 milioni); la degenza media si è ridotta del 41% (da 12.9 a 7.7 giorni) (Maciocco
et al, 2004).
Il cambiamento del quadro epidemiologico ha riconosciuto e rafforzato la centralità
dell’integrazione socio sanitaria, da sempre obiettivo prioritario del SSN, così come rimarcato da
una serie di riforme istituzionali (D.Lgs. 229/99 – Riforma Ter).
Questi aspetti, inoltre, conferiscono alla continuità assistenziale (c.a.) una funzione decisiva e
vedono nell’integrazione - interdisciplinare, interprofessionale e intersettoriale- all’interno di un
sistema a rete, l’elemento irrinunciabile di risposte adeguate a bisogni complessi.
Per fare in modo che la continuità assistenziale e la continuità delle cure siano garantite, infatti, è
imperativo che i servizi e le istituzioni divengano nodi di una rete capace di integrare servizi sociali
e sanitari e di offrire le prestazioni necessarie, con la continuità dei passaggi da un nodo all’altro.
La de-ospedalizzazione ha reso necessario un rafforzamento dei servizi territoriali, un’integrazione
tra prestazioni sanitarie e sociali.
La diminuzione dei ricoveri e delle giornate di degenza rendono necessaria un’organizzazione
assistenziale post-ricovero che non può essere affidata esclusivamente alla famiglia.
Le categorie di soggetti e di malati interessate a tale nuovo modello d’assistenza sono sempre più
numerose: anziani non autosufficienti, pazienti con malattie croniche e invalidanti (pensate ai
pazienti con scompenso cardiaco cronico, che è un importante problema di salute pubblica nei
paesi occidentali, in particolare nella popolazione anziana e rappresenta uno dei principali problemi
sanitari per l’incidenza, le multiple riospedalizzazioni, i costi ), disabili …… gli obiettivi di tale
assistenza sono la stabilizzazione delle patologie in atto e il miglioramento della loro qualità di vita,
raramente la loro completa guarigione.
La cronicità è quindi il nuovo scenario con cui i professionisti e le istituzioni devono
confrontarsi per sviluppare risposte assistenziali efficaci e sostenibili.
La rete per la gestione della cronicità, caratterizzata da servizi sanitari e sociali (domiciliari,
residenziali e semiresidenziali) deve contemplare il coinvolgimento e coordinamento di molteplici
professionisti e servizi al fine di garantire la continuità assistenziale.
La continuità assistenziale nelle sue diverse declinazioni, quindi, è finalizzata a diminuire o
eliminare il fenomeno dell’ABBANDONO DEL PAZIENTE (a se stesso e alla famiglia) e del
VUOTO ASSISTENZIALE da parte delle istituzioni.
Una delle criticità del sistema sanitario, soprattutto in relazione alla gestione delle condizioni
croniche, è rappresentato proprio dalla frequente mancanza di c.a., percepita soprattutto dal
paziente dimesso dalla struttura di ricovero, superata l’acuzie, come “mancata presa in carico” da
parte delle istituzioni.
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Questa carenza comporta rilevanti costi aggiuntivi per il paziente e per il sistema sanitario, come:
 Ricoveri evitabili
 Ricoveri ripetuti e non programmati
 Ricorso improprio ad altri servizi (es.PS)
 Ridondanza / non completezza delle procedure (alle quali il paz. viene sottoposto in
assenza di una rete assistenziale connessa e ben funzionante)
 Disaffezione dell’utente (che contribuisce, fiscalmente, ad un servizio percepito come
inaffidabile)
 Frustrazione degli operatori più sensibile e motivati (che percepiscono di non poter
contribuire, per limiti organizzativi, come vorrebbero alla corretta gestione di un paziente
complesso.
Una definizione del concetto di continuità assistenziale, anche se può apparire superflua perché
intuitiva, è fornita dalla National Library of Medicine. In essa la continuity of patient care è
descritta come:
“l’assistenza sanitaria prestata sulla base continuativa a partire dal primo contatto, che
segue il paziente attraverso tutte le fasi della sua presa in carico”.
JCI
A rimarcare la valenza qualitativa per i sistemi di cura, questo concetto trova una forte presenza e rilevanza
nei sistemi di accreditamento all’eccellenza come quelli proposti dalla Joint Commission International (JCI).
Proprio nel “sistema JCI” uno degli standard “centrati sulla persona” prevede che “l’organizzazione coordini i
propri servizi con quelli forniti da altre strutture e soggetti presenti sul territorio al fine di assicurare la
continuità dell’assistenza”; nello specifico il capitolo di standard orientato al paziente, ACC: Access and
Continuty of Care, comprende: gli standard alle modalità con cui il paziente accede all’ospedale-struttura, alle
modalità con cui si garantisce la continuità delle cure, le procedure operative e i criteri che definiscono i
trasferimenti interni ed esterni, le dimissioni e il follow-up.
Volendo fare sintesi rispetto a quanto detto finora, potremmo definire la c.a. come un sistema
integrato di accompagnamento del malato nelle sue diverse fasi del bisogno. E’ perciò un progetto
organico di care, cioè presa in cura e presa in carico del paziente che deve essere personalizzato
ed affrontato in maniera multidisciplinare, coinvolgendo accanto al personale medico (MMG e
specialisti) professioni sanitarie (infermieri, fisioterapisti, ecc..) e spesso anche i servizi sociali.
In questo progetto organico di care, di presa in carico che richiede implicazioni multidisciplinari ed
intersettoriali in termini di intervento, si possono evidenziare degli ambiti-aspetti su cui l’infermiere
deve prestare particolare attenzione, in quanto possono diventare strumenti da saper presidiare e
gestire in qualità di professionisti sanitari e potenziale fonte di ulteriore sviluppo professionale
futuro.
La presa in carico globale e il contatto ravvicinato e continuo con il paziente, sono il terreno sul
quale è possibile realizzare efficaci interventi di educazione –informazione e la continuità delle
cure; così come tra l’altro sostenuto dal nostro Codice Deontologico (2009) che nell’ art. 27 recita
quanto segue:
L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una
rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.
La pianificazione della dimissione, la dimissione protetta e l’educazione terapeutica, rappresentano
gli strumenti salienti della continuità assistenziale; all’educazione terapeutica verrà dedicata una
sezione didattica a parte, mentre è opportuno far dei riferimenti ad alcuni aspetti che interessano la
pianificazione della dimissione e la dimissione protetta in quanto tale processo coinvolge
l’infermiere all’interno della rete dei servizi territoriali.
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◙ La dimissione pianificata
“Sviluppo di un piano personalizzato per i pazienti, prima che essi lascino l’ospedale per tornare a
casa”
È un processo che prevede:
 Personalizzazione
 Attivazione risorse personali, familiari e comunitarie
 Educazione
 Partnership e coinvolgimento decisionale della famiglia
 Personale dedicato
 Determinazione precisa del giorno e ora della dimissione
 Al riguardo la letteratura internazionale offre molti risultati e ricerche su cui potersi ispirare e
che avallano l’importanza di una pratica infermieristica avanzata e spendibile in questo
ambito.
La dimissione pianificata rappresenta un intervento infermieristico, contemplato nel NIC (Nursing
Interventions Classification), Dominio 6 intesa come la “Preparazione per il trasferimento di una
persona da un livello di assistenza a un altro o fuori la struttura sanitaria attuale”.
Gli elementi primari che caratterizzano tale processo, sono:



Sostegno alla persona e famiglia in una logica di partnership
Educazione alla persona e/o famiglia
Follow-up
Sostegno alla persona: la partnership con i caregiver viene ritenuta una componente essenziale,
spesso invece le persone si sentono abbandonate, poiché una volta che la dimissione viene loro
comunicata, devono organizzare da sole quanto necessario e la responsabilità dell’assistenza
post-dimissione ricade in gran parte sui caregiver familiari
Educazione: spesso tale elemento non viene garantito a pieno. È frequente che le persone non
sono in grado di apprendere e devono essere rispettati i tempi di apprendimento; il livello di
apprendimento del paziente/famiglia deve essere identificato non solo sotto il profilo educativo ma
anche sotto quello emotivo, economico, ambientale, sociale, ecc…
Follow-up: da attuare attraverso modalità differenti; per esempio telefonicamente, visite domiciliari,
insegnamento post-dimissione.
Il follow-up deve servire anche a valutare la soddisfazione dell’assistito/familiare. Delle ricerche
hanno dimostrato al riguardo, che i caregiver familiari vivono la dimissione in modo negativo,
denunciando frustrazione, ansia, mancanza di conoscenze e formazione, comunicazione carente,
mancanza di coinvolgimento ( Bauer et al.,2009; Lerret, 2009).
La presenza di una figura di coordinamento del processo di pianificazione della dimissione ha un
impatto positivo sul livello di soddisfazione di persone e caregiver (Bauer, 2009)
Al riguardo esistono nella letteratura infermieristica dei modelli di riferimento:
 Discharge planner
Infermiere, assistente sociale, amministrativo che dipende dall’ospedale e mantiene rapporti con
servizi territoriali e comunitari, contatti con i professionisti e gestione del flusso informativo.
 Liaison Nurse
Infermiere del territorio che opera in ospedale e può rappresentare un prezioso consulente per gli
infermieri dell’ospedale.
 Continuity manager
Infermiere che si occupa degli aspetti organizzativo-gestionali relativi alla continuità assistenziale e
della formazione del caregiver (Zega et al., 2009).
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Al riguardo la letteratura internazionale offre molti risultati e ricerche su cui potersi ispirare e che
avallano l’importanza di una pratica infermieristica avanzata e spendibile in questo ambito.
Per esempio in un RTC (Mary D. Naylor et al. Comprehensive Discharge Planning and Home
Follow-up of Hospitalized Elders - A Randomized Clinical Trial JAMA. 1999;281(7):613-620)
sulla pianificazione della dimissione e controllo domiciliare di anziani ospedalizzati, dimostra che
una pratica infermieristica avanzata – centrata sulla pianificazione della dimissione e su interventi
domiciliari per pazienti a rischio di ospedalizzazione, produce risultati assistenziali migliori su
pazienti anziani osservati (gruppo di intervento) rispetto al gruppo di controllo.
Nello specifico le infermiere esperte assumevano la responsabilità della dimissione protetta mentre
il paziente era ancora ricoverato; visitavano il paziente in reparto, la presa in carico del paz. durava
4 settimane dopo la dimissione; il paz. riceveva la prima visita a domicilio 48 ore e la seconda entro
7-10 gg; giornalmente riceveva una telefonata e settimanalmente venivano contattati i familiari.
I risultati di questo studio hanno dimostrato nel gruppo di studio: una riduzione delle riammissioni,
un allungamento dei tempi tra la dimissione e il rientro in ospedale, una diminuzione di costi
dell’assistenza.
La dimissione pianificata riguarda molti pazienti cronici; un numero più esiguo di persone richiede
una dimissione protetta, coiè una presa in carico delle necessità socio-assistenziali della persona
da parte dei servizi territoriali/comunitari (saiani, 2004).
◙ La dimissione protetta
Rientra nel progetto di c.a., che ha come finalità quanto visto finora, ossia: creare un’integrazione
tra ospedale, servizi distrettuali, centri riabilitativi e medici di famiglia definire percorsi
assistenziali che vedano coinvolte figure professionali che operano in ambito ospedaliero e
in ambito territoriale.
Secondo il GdL sulla continuità assistenziale della Regione Lombardia, “la dimissione protetta è
definita:
un processo di passaggio organizzativo di un paziente da un setting di cura ad un altro, che si
applica a pazienti “fragili”, prevalentemente anziani e affetti da più patologie croniche, da limitazioni
funzionali e/o disabilità, in modo tale da assicurare la continuità del processo di cura ed
assistenza.
Per questi pazienti al termine della degenza ospedaliera, può esservi ancora la necessità di
sorveglianza medica, assistenza infermieristica e/o riabilitativa organizzate in un progetto di cure
integrate di durata variabile ed erogate a domicilio o in una diversa struttura degenziale”.
(Scaccabarozzi et al, 2007)
◙ Chronic Care Model
Possibile guida per il miglioramento della gestione delle malattie croniche, specialmente
nell’ambito delle cure primarie e la riduzione dei costi sanitari-assistenziali
Obiettivo
Miglioramento dello stato di salute della popolazione, attraverso l’applicazione dei principi della
medicina d’iniziativa
Questo modello si fonda sul principio relativo alla stratificazione dei pazienti sulla base del livello di
rischio.
A ciascun livello di rischio corrisponde un modello assistenziale:
 Self-care support
 Disease management
 Case management
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Livello 1: Self-care support
Pazienti cronici con un buon controllo della malattia (70-80%); costoro con un adeguato supporto,
possono imparare a diventare attivi, partecipanti della propria assistenza, a gestire e convivere con
la propria condizione.
Il modello assistenziale appropriato per questi pazienti è quello del self-care support, in grado di
fornire gli elementi indispensabili per diventare empowered nella gestione della propria patologia.
Livello 2: Disease Management
Considera i pazienti ad alto rischio di scompenso che richiedono interventi assistenziali proattivi
di alta qualità , basata su PDTA e su follow-up accurati e programmati.
Questo livello richiede un buon sistema informativo per gestire registri di patologie,
programmazione degli interventi e sistemi di allerta e di richiami.
Livello 3: Case management
Considera i pazienti con pluripatologie complesse e alti livelli di consumo di prestazioni sanitarie e
sociali. Per questi pazienti, con elevati livelli di criticità e di imprevedibilità, il modello assistenziale
è il case management. Il case manager è di solito un infermiere del team, cui viene attribuito il
compito di coordinare gli interventi assistenziali.
(Fonte: A. Zangrandi. Economia e management per le professioni sanitarie. McGraw-Hill, 2011)
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◙ Infermieristica di famiglia
I mutamenti demografici legati al quadro epidemiologico, all’aumento delle patologie cronicodegenerative e il progressivo invecchiamento della popolazione ha condizionato il necessario
ripensamento delle politiche e strategie sanitarie come anche l’individuazione di nuovi modelli
assistenziali tesi al miglioramento della qualità della vita e all’uso ottimale e razionale delle risorse.
Questi mutamenti intervenuti negli ultimi decenni in Italia, come nel resto dell’Europa, richiamano
l’esigenza di organiche politiche di sostegno alle famiglie che sappiano valorizzare le capacità
organizzative e le risorse che già producono o sarebbero in grado di produrre.
Tutto questo evidenzia come la strategia politica di Salute 21 punti nettamente al rafforzamento
della famiglia considerata come unità di base della società, la prima “cellula” della società atta a
consentire sviluppo e promozione della salute.
La famiglia deve, quindi, divenire partner di chi la assiste da un punto di vista sanitario e la stessa
va considerata sulla base di una serie di approcci tra cui anche quello infermieristico.
Adottare la “famiglia come cliente” significa, da un punto di vista infermieristico, considerarla il
centro dell’assistenza, a partire dall’accertamento, un sistema interattivo che obbliga a concentrarsi
anche sulle dinamiche relazionali, sulla struttura della famiglia, sulle sue funzioni via via mutevoli,
come anche sull’interdipendenza tra i membri e sulle interazioni con la comunità in cui essa è
inserita. Tutte le relazioni che intercorrono nel determinarsi di salute e malattia, tra gli individui della
famiglia e tra questa e la comunità, devono essere identificate ed incluse nello sviluppo di ogni
piano di assistenza.
L’infermieristica di famiglia, intesa in questo senso, aggiunge ai concetti di base dell’assistenza il
concetto di famiglia, che si affianca e a volte sostituisce quello di “persona”.
Sulla base di quanto detto finora e nel contesto della politica Salute 21 (1999) l’Organizzazione
Mondiale della Sanità ha definito una nuova tipologia di infermiere, l’infermiere di famiglia (IdF). Si
tratta di un professionista chiave, che adeguatamente formato è parte di un gruppo
multidisciplinare di cura della salute con un ruolo rilevante nell’ambito delle cure primarie, capace
di fornire prestazioni che possono garantire il raggiungimento degli obiettivi di salute pubblica
espressi nel documento.
Secondo Watkins, la funzione primaria dell’infermiere di famiglia è quella di:
assicurare la continuità assistenziale sia in ambito domiciliare che ambulatoriale, fornendo tutti i
servizi di maggiore richiesta per gli utenti e diventando punto di riferimento per la comunità anche
per quanto attiene l’informazione sanitaria, la promozione alla salute e l’accesso ai servizi messi a
disposizione delle aziende sanitarie (Community health nursing“ Frameworks for practice, 2003)
In Salute 21 si delinea un professionista inserito nel sistema dell’assistenza sanitaria di base che
accede ad una larga fascia della popolazione e che costituisce il primo punto di incontro con il
servizio sanitario.
Lo stesso si trova in una posizione ideale per raccogliere i bisogni della comunità e può valutare
l’impatto di fattori sociali, economici ed ambientali sulla salute della famiglia; può far leva sul
rapporto di fiducia che si crea con la famiglia per promuovere la salute.
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Un ulteriore impulso dato alla figura dell’infermiere di famiglia viene offerto dalla Conferenza di
Monaco (2000) che descrive il suo ruolo, così come segue:
l’infermiere di famiglia lavora in associazione con gli individui e le famiglie per aiutarli a trovare le
soluzioni ai loro bisogni di salute, aiutandoli a gestire le malattie e le disabilità croniche,
supportandoli nei momenti di stress. Ogni infermiere in associazione con medici e ostetriche agisce
come risorsa di salute fornendo consigli sugli stili di vita e sui fattori comportamentali a rischio, essi
rappresentano il promotore chiave della salute nella comunità.
La conferenza di Monaco ha contribuito a non lasciare sulla carta le politiche dell’OMS, dando il via
in diversi paesi europei a progetti pilota di studio su questa figura. Al riguardo, il documento
elaborato in occasione della conferenza (Dichiarazione di Monaco) sottolinea l’importanza e la
necessità di dare agli infermieri insieme ai medici, l’opportunità di una formazione di base comune
per rafforzare la visione interdisciplinare e perseguire il raggiungimento dell’obiettivo 15 il quale
esprime la necessità di realizzare un settore di sanità integrato.
L’infermieristica di famiglia si contraddistingue dall’infermieristica comunitaria, a cui viene attribuito
un ruolo centrale nell’ambito delle cure primarie, per la particolare combinazione di elementi e nello
specifico di interesse verso le famiglie e le case come ambiente in cui i membri della famiglia
possono farsi carico insieme dei problemi di salute.
L’infermieristica di famiglia è quindi un approccio che non sostituisce bensì integra gli aspetti
dell’infermieristica di comunità.
L’obiettivo dell’infermieristica di famiglia è quello di aiutare la famiglia a raggiungere o mantenere
un efficace livello di funzionamento e benessere nel contesto delle sue particolarità e aspirazioni
nonostante i problemi di salute insorti al proprio interno.
Ciò che è nuovo nel concetto di infermiere di famiglia descritto nel documento salute per tutti nel
XXI secolo, è la particolare combinazione dei vari elementi:

il particolare interesse verso le famiglie (nucleo di base della società)

la casa come ambiente (setting operativo biofisico e psicosociale)

i membri della famiglia possono farsi carico insieme dei problemi di salute (attivare risorse
presenti in chi porta il problema)

creare il concetto e l’esperienza di famiglia sana.

la comunità come luogo di “reciprocità possibili” per consentire attraverso la promozione di
appartenenza, l’attivazione di percorsi di inclusione sociale, di implementazione di tutele.
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◙ Ambiti e natura delle attività dell’infermiere di famiglia
Il campo d’azione prevalente dell’IdF è rappresentato dall’assistenza primaria, il cui obiettivo è
quello di rendere le cure più appropriate attraverso la personalizzazione e l’umanizzazione degli
interventi assistenziali, terapeutici e di promozione della salute; per cui la posizione ed il ruolo del
nuovo infermiere di famiglia possono essere considerati sotto l'ombrello della salute pubblica e
dell'assistenza primaria, nel contesto del settore sanitario integrato con i servizi psicosociali.
L’infermiere di famiglia può sviluppare:
“… un ruolo durante tutto il continuum assistenziale, compresa la promozione della salute, la
prevenzione della malattia, la riabilitazione e l'assistenza ai malati ed ai morenti”.
Secondo i dettami del Profilo Professionale e del Codice Deontologico dell’Infermiere (2009)
l’assistenza infermieristica è un servizio alla persona e alla collettività. Si realizza attraverso
interventi specifici, autonomi e complementari di natura tecnica, relazionale ed educativa.
E’ particolarmente in questo ambito che si caratterizzano la specificità e la novità dell’infermiere di
famiglia.
Anche se il titolo di Infermiere di famiglia fa supporre che oggetto dell'assistenza siano soltanto i
membri delle famiglie così come comunemente intese, in effetti il ruolo è molto più ampio, partendo
dalla conoscenza della famiglia intesa come “unità di base della società” e comprendendo
indistintamente tutte le persone della comunità e il loro ambiente sia esso la casa, il luogo di
lavoro, la scuola.
All’IdF viene chiesto di essere competente come:
 Erogatore di assistenza
 Decisionista
 Comunicatore
 Leader di comunità
 Manager
Infermiere e famiglia, utilizzando una attività interattiva, divengono partner; l’infermiere è
responsabile di un gruppo predefinito di famiglie…… É in quest’ottica che l’infermiere di famiglia
assume un ruolo strategico negli interventi di assistenza preventiva, curativa, riabilitativa e di
sostegno.”
L’attuazione di questi interventi richiede che l’infermiere di famiglia sia in grado di:
1. identificare e valutare lo stato di salute ed i bisogni degli individui e delle famiglie nel
loro contesto culturale e di comunità, riconoscendone le priorità di intervento;
2. pianificare ed erogare assistenza alle famiglie ;
3. promuovere la salute degli individui, delle famiglie e delle comunità;
4. sostenere ed incoraggiare gli individui e le famiglie nella partecipazione alle decisioni
relative alla loro salute;
5. pianificare e realizzare interventi informativi ed educativi rivolti ai singoli, alle famiglie e
alle comunità, atti a promuovere modificazioni degli stili di vita e aderenza al piano
terapeutico e riabilitativo;
6. utilizzare e valutare diversi metodi di comunicazione;
7. partecipare alle attività di prevenzione;
8. coordinare e gestire l'assistenza, compresa quella delegata ad altro personale;
9. creare, gestire ed utilizzare informazioni statistiche cliniche e basate sulla ricerca per pianificare
l'assistenza;
10. definire standard e valutare l'efficacia delle attività infermieristiche di famiglia.
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Come già sostenuto, il Profilo Professionale individua la natura educativa dell’assistenza
infermieristica dalla quale discendono interventi infermieristici specifici, volti alla promozione, al
mantenimento della salute e alla prevenzione della malattia. Gli interventi di tipo preventivo che
l’IdF metterà in atto appartengono a tre tipologie: prevenzione primaria, secondaria e terziaria o
riabilitazione.
Ricordiamo sempre che “la promozione della salute è uno degli obiettivi principali di Salute 21 e
coinvolge l’infermiere di famiglia come risorsa umana professionale fondamentale per il suo
raggiungimento”.
o
PREVENZIONE PRIMARIA
Lo scopo della prevenzione primaria, che ha per oggetto le persone sane, è quello di identificare la
presenza di fattori di stress nocivi o di minacce per la salute, intervenendo per evitare che questi
possano produrre sulle famiglie e sugli individui e di contribuire all’empowerment delle famiglie con
azioni educative o di supporto in modo da permettere loro di rinforzare le proprie risorse difensive.
La casa innanzitutto e poi i luoghi di lavoro e di socializzazione saranno attentamente valutati e
inoltre, si collaborerà con altre figure professionali su campagne di vaccinazioni o finalizzate a
modificare degli stili di vita a rischio.
o
PREVENZIONE SECONDARIA
Nell’ambito della prevenzione secondaria, l’IdF , per ottenere la guarigione o limitare il progresso di
patologie e migliorare la prognosi, parteciperà a programmi di screening (colonscopie, pap-test,
mammografie, PSA, ecc…) allo scopo di individuare precocemente l’insorgenza di patologie in fase
asintomatica.
La conoscenza da parte dell’Infermiere, della particolare casistica clinica riguardante le famiglie di
cui si fa carico, sarà facilitato nell’individuare precocemente l'insorgere di problemi di salute,
attivando rapidamente misure adeguate a ridurre al minimo l'impatto sull'individuo e sulla famiglia e
chiamando in causa quando necessario, altre risorse di personale esperto del sistema dei servizi,
nella prospettiva di un ruolo di collegamento della rete dei servizi.
o
PREVENZIONE TERZIARIA
Nella prevenzione terziaria l’IdF si occupa di riabilitazione impegnandosi nella ricostruzione delle
“risorse difensive” delle famiglie e degli individui. L’attuazione di questo intervento, spesso richiede
una certa continuità di dialogo e di interazioni a tutti i livelli di cura. Può presentare,
contemporaneamente, sia componenti sanitari che sociali, per esempio, sia la riattivazione
funzionale degli arti, sia l’azione protettiva nei confronti del rischio di incorrere in ricadute, sia il
reinserimento in un ambiente di lavoro dopo un lungo periodo di malattia.
Scenari assistenziali
Gli scenari assistenziali entro cui l’IdF può trovarsi coinvolto, in relazione ad eventi che accadono
in tempi diversi nell’arco della vita della famiglia e dei singoli individui, sono numerosi ed
eterogenei tra di loro. Al riguardo, per meglio capire il concetto di infermiere di famiglia, la
profondità e lo scopo del suo ruolo, le conoscenze, le tecniche avanzate e gli atteggiamenti
richiesti per gestirlo, si farà riferimento a degli esempi di scenari assistenziali, attraverso momenti
di interazione e di lavoro di gruppo in aula.
Questi scenari saranno delle esemplificazioni provenienti dalle esperienze maturate nei diversi
Paesi della Regioni europea dell’OMS, così come riportate dal Gruppo di Pianificazione europeo
nel relativo documento in bibliografia (13).
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Per quanto riguarda la formazione proposta per l’IdF (OMS, 2000), si prevede l’acquisizione di
competenze avanzate e specifiche per gestire strategie assistenziali globali, che possono
manifestarsi nelle persone dalla nascita alla fine della vita , in riferimento a particolari condizioni di
dipendenza e vulnerabilità della persona, della sua famiglia o di una comunità.
Basandosi sulle competenze derivate dalla definizione OMS del poliedrico ruolo dell’IdF, è stato
redatto un curriculum (Gruppo Pianificazione Curriculum, 2000) che servirà a preparare infermieri
qualificati ed esperti in questo nuovo ruolo. Lo scopo del curriculum è di formare l’IdF alla pratica
nel ruolo definito nella politica OMS Salute 21. I contenuti enfatizzano l’integrazione tra teoria e
pratica e sono descritti in sette moduli.
Il completamento del programma di studio porterà al riconoscimento accademico del titolo postbase e della qualifica di “Infermiere di Famiglia” (13).
Anche in Italia, le competenze riferibili alla formazione post base, come i master universitari di
primo livello, dovrebbero orientare a completare e integrare le 5 grandi aree di competenza
previste dal Profilo Professionale (D.M. 739/94) che riguardano:
 salute mentale e psichiatrica
 geriatria
 sanità pubblica
 pediatria
 area critica
Al riguardo a oggi sono attivi master di primo livello in “Infermieristica in sanità pubblica” come
previsto da DM 739; questo master è un corso di formazione avanzata, nel quale l’infermiere
acquisisce competenze professionali specifiche necessarie negli ambiti operativi della Sanità
Pubblica. Gli obiettivi generali riguardano lo sviluppo di attività relative alla progettazione,
attuazione e valutazione di:

interventi di promozione della salute e prevenzione

interventi assistenziali alla persona, famiglia e caregiver

interventi di educazione e di educazione-formazione

interventi di ricerca

interventi di consulenza

indagine epidemiologica e/o multidimensionale in comunità e famiglia.
Nella definizione del percorso formativo del master si sono accolte le indicazioni della Federazione
Collegi Ipasvi contenute nel documento Linee guida per un progetto di formazione infermieristica
complementare nelle aree previste dal D.M. 739/94 e il Curriculum proposto dall’OMS
sull’infermiere di famiglia nel contesto di Salute 21.
Si rileva recentemente l’attivazione di un master interfacoltà di primo livello di “Infermieristica di
famiglia e di comunità” presso l’Università degli Studi di Torino; le finalità dello stesso sono quelle
di sviluppare le competenze degli infermieri che in diverse situazioni offrono assistenza alle
persone, alle famiglie e alla comunità con modelli e metodi avanzati di assistenza infermieristica
con attenzione agli aspetti preventivi e clinici psico-educativi e socio-economici in una prospettiva
multidisciplinare.
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◙ L’IdF nella strategia del “Health 21: la salute per tutti nel 21° secolo”
Come già ribadito, nel 1999, nel contesto della politica di Salute 21, l’OMS definisce la figura
dell’Infermiere di famiglia.
La finalità generale della Dichiarazione è il raggiungimento del pieno potenziale di salute per tutti
quale valore e diritto universale in rapporto anche all’obiettivo di migliorare la qualità di vita del
singolo e della popolazione all’interno di una crescita economica sostenibile.
Alla base della politica, dei suoi obiettivi e dei suoi scopi vi sono tre importanti valori fondamentali
che costituiscono il fondamento etico di Salute 21, e che sono:
 la salute è un diritto umano fondamentale;
 equità i salute e solidarietà nelle azioni tra Paesi e all’interno degli stessi e tra abitanti;
 partecipazione e responsabilità dei singoli, dei gruppi, delle istituzioni e delle comunità per uno
sviluppo sanitario continuo.
Due dei 21 obiettivi del documento Salute 21 (il 15 e il 18) definiscono la specificità dell’IdF
individuandolo come il professionista che, insieme al medico di famiglia, costituisce il perno su cui
centrare l’assistenza sanitaria di base ed è in grado di fornire prestazioni che possono garantire il
raggiungimento degli obiettivi di salute contenuti nel documento.
L’OMS, sostiene che i diversi professionisti della sanità, ricevono ancora oggi una formazione
insufficiente riguardo alle competenze necessarie per attivare interventi di promozione della salute
ed educazione terapeutica sulla popolazione e capacità di valutazione dei bisogni sanitari su base
epidemiologica.
Obiettivo 18: Sviluppo delle risorse umane per la Salute
Tra le strategie da adottare per realizzare l’obiettivo 18, il documento individua la messa in atto di
politiche miranti a migliorare le caratteristiche dei professionisti sanitari adeguandone il numero alle
esigenze, finalizzando i percorsi formativi all’acquisizione di competenze e capacità assistenziali,
fornendo i mezzi per l’aggiornamento continuo e facilitando l’integrazione delle professioni.
Obiettivo 15: Un settore sanitario integrato
Questo obiettivo esprime la necessità di realizzare un settore di sanità integrato, rafforzando una
visione interdisciplinare, tra infermieri e medici di famiglia, partendo da una formazione di base
comune. Il riferimento all’integrazione è duplice e contempla sia l’integrazione sanitaria (primaria,
secondaria e terziaria) che quella tra professionisti.
Un elemento a favore di un sistema integrato di cure è costituito dal fatto che esso si dimostra più
vantaggioso da un punto di vista economico, politico e sociale; con queste direttive, quindi, l’OMS
tenta di mettere in pratica Servizi meglio collegati fra loro e nei quali l’assistenza sanitaria di base
possa essere in grado di risolvere il maggior numero di problemi trattabili direttamente al suo
livello.
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◙ L’infermiere case manager
Potenzialità e sviluppo ruolo professionale in ambito comunitario
Con il termine case management rappresenta una metodologia di organizzazione dei servizi
sanitari basati sulla centralità dell’utente, avente come obiettivo la massima integrazione degli
interventi richiesti, erogati a livello della maggiore appropriatezza possibile (A. Santullo, 2004).
Il case manager è, quindi, un professionista che fornisce e/o coordina servizi socio-sanitari, per la
gestione clinico-assistenziale di un target di utenti dall’ammissione alla dimissione ospedaliera o
dalla DIMISSIONE ALL’ASSISTENZA DOMICILIARE creando un modello unico di assistenza
centrato sul singolo paziente attraverso una CONTINUITÀ ASSISTENZIALE.
E’ un professionista che gestisce uno o più casi a lui affidati con un percorso prestabilito, in un
contesto spazio temporale definito.
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Le esperienze negli altri Paesi del mondo che utilizzano con successo questo approccio,
sostengono che la figura professionale OTTIMALE per l’attribuzione del ruolo di Case Manager
per la gestione dei pazienti con questa modalità di presa in carico è quella INFERMIERISTICA.
Dalla stessa letteratura, emerge che “gli infermieri possono ricoprire il ruolo di Case Manager,
perché hanno una visione olistica della persona, possiedono competenze cliniche e capacità
di attivazione e coordinamento dei servizi presenti nel contesto” Pergola (1992); ed ancora
secondo Zander (1990), “gli infermieri rappresentano la figura professionale più adatta per
svolgere il ruolo di Case Manager, perché sono attenti agli aspetti multidimensionali delle
persone, in virtù della loro specifica formazione”.
L’implementazione di tale modello organizzativo, affidati ad infermieri, trova applicazione sia in
ambito ospedaliero, sia nel contesto ospedaliero-territoriale che in quello territoriale.
Al riguardo si riportano sperimentazioni italiane di applicazione del suddetto modello, come nel
caso della figura del case manager ospedaliero, distinto in:





Case manager percorso senologico
Case manager programma obesità
Case manager Stroke
Case manager Oncologia e Ematologia
Case manager percorso emicolectomia
Per quanto attiene la figura del case manager ospedale-territorio è possibile far riferimento ad
esempi, come:
 Case manager PARE (Riabilitazione Estensiva Post-Acuzia) e Dimissione Protetta
 Case manager accesso Hospice e Cure Palliative
Infine, esempi di case management applicati al territorio fanno riferimento a:
 Case manager enterostomie
 Case manager lesioni cutanee
 Case manager protesica
 Case manager disabili
 Case manager disabilità grave gravissima
 Case manager riabilitazione psichiatrica
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◙ La ricerca infermieristica applicata all’infermieristica di comunità
L’infermieristica deve dimostrare di essere una disciplina sostenuta dalla scienza e solo la ricerca
può provare la conoscenza di fenomeni importanti per l’assistenza.
La ricerca infermieristica, infatti, deve avere la funzione di definire e sviluppare il pensiero teorico
necessario per guidare la pratica clinica, i risultati delle ricerche offrono, infatti, una base teorica
per il processo decisionale relativo a come deve essere fornita l’assistenza.
La scienza evolve attraverso le scoperte, lo stesso vale per il nursing; i risultati delle ricerche
infermieristiche devono diventare la base sulla quale sviluppare l’insegnamento del nursing e
devono essere utilizzati nella pratica clinica, nel quotidiano, in tutti gli ambiti di vita che riguardano
la persona sana o malata, in tutto l’arco della vita.
La ricerca offre una base di conoscenze, scientifiche e specialistiche, che consentono alla
professione infermieristica di prevenire e soddisfare le richieste in continuo mutamento e di
sostenere e confermare l’importanza del suo ruolo, di rilevanza fondamentale nella società.
Il sapere che deriva dalla ricerca, si trasforma in pratica clinica che caratterizza un tipo di
assistenza infermieristica basata sulla conoscenza scientifica.
Imparando a condurre la ricerca e ad utilizzare i risultati, il nursing si colloca e conferma il suo
essere disciplina-scienza che fonda il suo agire su metodologia di lavoro ed utilizzo appropriato di
strumenti e risorse il tutto finalizzato a perseguire quella che viene definita l’Evidence Based
Nursing, considerata:
Il processo per mezzo del quale le infermiere e gli infermieri assumono le decisioni cliniche
utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza clinica e le preferenze del paziente, in
un contesto di risorse disponibili
(DiCenso A, Cullum N, Ciliska D. Implementing evidence based nursing: some misconceptions. Evidence Based Nursing 1998;1:38-40).
Di seguito 2 esempi di ricerche applicate all’ambito dell’infermieristica comunitaria, che possono
offrire spunti di riflessione ed argomentazioni su questo specifico contesto assistenziale.
Comprehensive Discharge Planning With Postdischarge Support for Older Patients With
Congestive Heart Failure
(Christopher O. Phillips et al - A Meta-analysis. JAMA. 2004;291(11):1358-1367).
Questo studio, cerca di sondare come la pianificazione della dimissione associata ad un supporto
post-dimissione possa ridurre le riammissioni per pazienti con insufficienza cardiaca congestizia e
valutare di conseguenza gli effetti della dimissione protetta (d.p.) con supporto post-dimissione sul
tasso di re-ammissione di questi pazienti; la lunghezza di soggiorno-ricovero, la qualità di vita e i
costi medici-sanitari.
Gli strumenti utilizzati come supporto post-dimissione consistevano in:
■ visite domiciliari
■ counseling sulla terapia e promozione all’aderenza verso la stessa;
■ supporto psicosociale;
■ educazione terapeutica sulla dieta, attività fisica, abitudini di vita
■ case management telefonico
■ accertamento compiuterizzato per pazienti e care-giver.
Le conclusioni di questo studio sostengono, come una d.p. con supporto post dimissione per questa tipologia
di pazienti, riduca significativamente il tasso di re-ospedalizzaizone ( 555/1590 gruppo di studio vs
741/1714 gruppo di controllo) e rispetto agli outcomes secondari indagati, registrano un trend verso la
riduzione della mortalità per pazienti assegnati al gruppo di studio comparati con quelli che ricevono cure
abituali; risultati simili si evidenziano anche per ciò che attiene il miglioramento della qualità della vita (QoL).
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Continuità assistenziale: analisi e confronto tra un servizio infermieristico di assistenza
domiciliare italiano e uno svedese, in base ai criteri del Canadian Council on Health
Accreditation.
(F.Feraretto, D.Salmaso, C.Pegoraro – Professioni Infermieristiche. 2005, 2
Uno degli obiettivi del documento salute 21, si propone di creare entro l’anno 2010 un sistema
sanitario integrato, dove la popolazione della Regione europea possa contare su un miglior
accesso ai servizi di salute orientati alla famiglia e comunità.
Questa ricerca si pone come obiettivo centrale, l’analisi parallela del livello di continuità
assistenziale e di integrazione di un servizio infermieristico di Assistenza Domiciliare italiano
(Padova) e un servizio di cure domiciliari svedese.
L’analisi condotta ha messo in evidenza la completezza dell’offerta dei servizi territoriali a domicilio
presentati nella realtà padovana. Il confronto con la realtà svedese ha messo però in luce alcune
lacune e potenzialità di sviluppo del servizio italiano che interessano principalmente l’integrità di
trascrizione delle informazioni sul paziente e la continuità della loro comunicazione, specie in
campo infermieristico. Un’ulteriore potenzialità di sviluppo italiano riguarda la continuità di metodo,
tra le unità operative stesse e il territorio, che sarebbe raggiungibile adottando delle linee guida o
protocolli infermieristici comuni per la gestione di situazioni assistenziali standard.
Dall’analisi dei 2 servizi è risultato che è la figura dell’infermiere ad avere il ruolo più determinante
al fine di un miglioramento della qualità delle cure.
◙ Conclusioni
I mutamenti demografici e sociali degli ultimi anni, richiedono sempre di più la realizzazione di un
sistema efficace di risposta ai bisogni che garantisca salute, benessere e dignità sociale; un nuovo
modello di welfare, fondato sul coinvolgimento attivo di tutti i soggetti della società e che evolva in
un “Welfare Community” come “presa in carico della comunità da parte della comunità”.
Attraverso questo sistema, si dovrebbe delineare una sorta di restituzione delle competenze di
cura alla comunità: l’utente diventa maggiormente responsabile della gestione del proprio
patrimonio di salute, aumentando consapevolmente la percezione delle proprie potenzialità
(empowerment).
In questo scenario possono aprirsi nuovi spazi per la professione infermieristica, con la definizione
di nuove professionalità (infermiere di comunità, di famiglia, di quartiere) investite in un ruolo più
maturo nella gestione del nursing che attiva competenze in grado di andare oltre l’assistenza
infermieristica tradizionalmente intesa ed aprire al consolidamento di altri principi, come il self care,
l’umanizzazione delle pratiche cliniche, l’ascolto condiviso dei bisogni, la ricerca costante di
collaborazione reciproca con la comunità (community care).
Il gruppo professionale, rispetto allo sviluppo di un nursing di comunità efficace ed efficiente, deve
avere ed interiorizzare la consapevolezza che la sfida più importante consiste nel convincere ( e
convincersi) che una politica delle cure alla persona – inserita all’interno della famiglia e supportata
dalla rete di comunità- può davvero rappresentare una concreta modalità di intervento dalle
potenzialità assistenziali ancora inespresse
(L. Ridolfi. L’infermiere di comunità: un nuovo modello di organizzazione del’assistenza infermieristica
territoriale. Management Infermieristico 2009, 2; 8-16).
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Bibliografia
I parte: Infermieristica preventiva e di comunità
Libri di testo (in evidenza)
1. M. Pellizzari. L’infermiere di comunità: dalla teoria alla prassi, Mc Graw-Hill, Milano 2008
2. L. Sasso et al. L’infermiere di famiglia. Ed. Mc Graw-Hill. 2005
Bibliografia di approfondimento
1. S. Scalorbi. Infermieristica preventiva e di comunità. McGraw-Hill, 2012
2. D. Tartaglini. L’infermiere e la comunità. Ed. Carocci Faber. 2006
3. S.Casazza. Continum for care. Continuità e discontinuità dell’anziano fragile. Ed. Franco Angeli
2010
4. Alligood M.R. Marriner Tomey A. La teoria del nursing. McGraw-Hill, 2006
5. G.Damiani. G.Ricciardi. Manuale di programmazione e Organizzazione sanitaria. IldesonGnocchi 2005
6. Asvall, J. The Alma-Ata Declaration Ð 20 years of impact on the European Region of WHO, In:
WHO Primary healthe care 21: Everybodys business. Ginevra, Organizzazione Mondiale della
Sanità (in stampa).
7. E.R.Martini. A.Torti. Fare Lavoro di Comunità. Carocci Ed. Faber 2003
8. P.Chiari. A.Santullo. L’infermiere case manager. Ed. Mc Graw-Hill 2001
9. World Health Organization (WHO – OMS) The family health nurse – Context, conceptual
framework and curriculum. Ufficio Regionale OMS per l’Europa – Copenaghen 2000
10. World Health Organization (WHO – OMS). Dichiarazione di Monaco. Nurses and Midwives: A
force for Health. 2000
11. Documento europeo Salute per tutti dell’OMS - Health21: the health for all policy for the WHO
European Region. Copenaghen, Ufficio Regionale OMS per l'Europa, 1999 (European Health
for All Series, No. 6).
12. OMS. “The Ottawa Charter for Health Promotion” Ottawa, Ontario, Canada – 1986
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42
UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
III anno - 2° semestre Canale B – A.A. 2012/2013
Corso Integrato di Infermieristica applicata all’Area Emergenza
INFERMIERISTICA PREVENTIVA E DI COMUNITA’
II parte
Educazione sanitaria
Educazione Terapeutica del paziente
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II parte
Educazione sanitaria e educazione terapeutica
◙ Premessa
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce, nel glossario dei termini utilizzati in Salute 21,
l’educazione alla salute come “opportunità strutturate e sistematiche di comunicare per sviluppare
le conoscenze e le abilità personali necessarie per la salute individuale e collettiva”.
L’intervento educativo è possibile per l’infermiere, in quanto oltre ad essere espressamente
previsto dal Profilo Professionale (D.M.739/94), esso è parte integrante di ogni processo di
cambiamento e perciò di ogni processo assistenziale.
In questo ambito gioca un ruolo fondamentale l’azione del processo di empowerment di cui
l’infermiere si fa garante per il raggiungimento dell’obiettivo connesso a tale processo, ossia:
l’ampliamento (attraverso il miglior uso delle risorse attuali e potenziali) delle possibilità che il
soggetto può praticare e rendere operative e tra le quali può, quindi, anche scegliere. Il risultato
permetterà alle persone di adottare comportamenti autonomi o cooperativi che stanno alla base
della loro responsabilizzazione per la propria salute.
◙ Educazione alla salute
L’educazione alla salute è parte integrante dell’attività professionale degli operatori sanitari.
L’informazione sulla salute è un diritto fondamentale delle persone e l’educazione sanitaria,
propone conoscenze specifiche per favorire scelte e comportamenti consapevoli per la promozione
della salute.
L’educazione alla salute propone interventi rivolti a modificare abitudini di vita per mantenere il
benessere e prevenire eventuali malattie (prevenzione primaria).
L’educazione alla salute, promuove quindi, stili di vita salutari, sulla base dell’auto
responsabilizzazione della popolazione (es. campagne per contrastare il consumo di tabacco e
alcool, sicurezza nella guida delle automobili e negli ambienti domestici, promozione delle
vaccinazioni, ecc…).
L’educazione terapeutica (ET) del paziente costituisce uno degli sviluppi più significativi
dell’educazione nel campo della salute per numerose categorie di pazienti.
Essa si afferma come necessità terapeutica, economica ma, anche etica, allo scopo di dare al
paziente tutti gli strumenti cognitivi e le tecniche per la gestione della malattia.
Gli operatori sanitari tendono a parlare ai pazienti delle loro malattie piuttosto che ad addestrarli
nella gestione del quotidiano. L’educazione terapeutica del paziente è quindi designata a questo
compito, all’addestramento del paziente nelle abilità di auto-gestione o adattamento del trattamento
alla sua particolare situazione di cronicità, nonché nei processi di coping. Deve anche contribuire a
ridurre i costi dell’assistenza a lungo termine sia per i pazienti che per la società.
◙ Educazione Terapeutica del paziente
“Educare” ha un’origine etimologica «ex ducere» che significa far uscire da sé, sviluppare,
realizzarsi; l’educazione terapeutica porta la persona a crescere, a superare se stessa.
Si distingue dall’educazione generale per l’impossibilità da parte del paziente affetto da una
malattia a lungo termine di avere una autonomia completa.
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44
In contrasto con gli interventi di educazione alla salute che cercano di veicolare il messaggio di
informazione più semplice possibile, l’educazione terapeutica affronta contenuti relativamente
complessi che necessitano di un apprendimento spesso lungo e continuo.
Secondo una definizione dell’OMS (1998), l’educazione terapeutica del paziente (ETP):
deve renderlo capace di acquisire e mantenere abilità che gli consentano di gestire al meglio la
propria vita di malato. Si tratta quindi di un processo continuo, integrato nell’assistenza sanitaria. E’
incentrato sul paziente; comprende una consapevolezza organizzata, l’informazione,
l’apprendimento dell’auto-cura ed il supporto psicologico riguardo la malattia, i trattamenti prescritti,
l’assistenza, l’ospedale e gli altri ambiti assistenziali, l’informazione organizzativa, i comportamenti
legati alla salute ed alla malattia. Il suo scopo è di aiutare i pazienti e le famiglie a comprendere la
malattia ed il trattamento, a cooperare con i curanti, a vivere in modo sano, a migliorare o
mantenere la qualità della vita.
Lo scenario su cui impatta l’origine e la conseguente esigenza di educazione terapeutica è
caratterizzato da vari fattori (Gagnayre, 2002):
 progresso medico-scientifico che ha comportato la possibilità di vivere più a lungo con una
malattia;
 incremento delle malattie croniche;
 complessità procedure diagnostiche-terapeutiche,
 principio secondo cui tutti sono capaci di autonomia e di autodeterminazione;
 riconoscimento e consapevolezza dei diritti riferiti alla salute.
L’educazione terapeutica si rivolge prevalentemente a persone affette da malattie croniche e trova
collocazione a livello della prevenzione secondaria e terziaria; infatti, alcuni fattori di rischio sono
già presenti o la malattia si è manifestata. La stessa non può essere guarita, ma i rischi di morte
possono essere allontanati e le complicanze inevitabili ritardate grazie alla partecipazione del
paziente al suo trattamento e all’autosorveglianza.
L’educazione terapeutica si rivolge a un solo malato o a un gruppo ristretto di persone affette dalla
stessa malattia.
◙ Criteri raccomandati dall’OMS
Il documento dell’OMS “Therapeutic patient education: continuing education programmes for
healthcare providers in the field of prevention of chronic disease” (1998), raccomanda una serie di
criteri riguardanti l’implementazione dell’educazione terapeutica quale processo di apprendimento
sistemico, centrato sul paziente.
Esso deve tener conto:
 dei processi di adattamento del paziente (coping con la malattia, convinzioni riguardo la
salute, percepito socioculturale);
 dei bisogni soggettivi ed oggettivi dei pazienti, sia espressi che non espressi.
Ω Deve essere parte integrante del trattamento e dell’assistenza e riguarda la vita quotidiana del
paziente e il suo ambiente psico-sociale, coinvolge quanto più possibile la famiglia del paziente,
gli altri parenti e gli amici.
Ω Deve essere un processo continuo, adattato al corso della malattia, al paziente ed al suo modo
di vivere; è parte dell’assistenza a lungo termine.
Ω Deve essere strutturata, organizzata e fornita in maniera sistematica a tutti i pazienti attraverso
una varietà di mezzi.
Ω Deve essere multiprofessionale, intraprofessionale, intersettoriale e compresa nel lavoro di rete.
Ω Deve essere erogata da operatori sanitari formati nell’educazione terapeutica del paziente.
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◙ Le professioni sanitarie nel processo educativo
Le professioni sanitarie (Slide 1), tra cui gli infermieri, che ne rappresentano il gruppo
numericamente più cospicuo, ma anche fisioterapisti, ostetriche ed altri, vengono chiamate ad
assolvere alla funzione educativa così come previsto dai rispettivi Profili Professionali o Codice
Deontologico (dell’Infermiere, vedi slide 2 e 3) per gli ambiti specifici di intervento.
Slide 2 – Codice Deontologico 2009
L’Infermiere nel processo educativo
Art. 2
“L’assistenza infermieristica è
servizio alla persona, famiglia
e collettività. Si realizza
attraverso interventi di natura
intellettuale, tecnicoscientifica, gestionale,
relazionale ed educativa.
Codice Deontologico dell’Infermiere, 2009
Educazione Terapeutica - GMPace
Slide 3 – Codice Deontologico 2009
L’Infermiere nel processo educativo
Art. 19
2
“L’infermiere
promuove è
“L’assistenza infermieristica
stili
di vita
la famiglia
servizio
alla sani,
persona,
diffusione
e collettività.del
Si valore
realizzadella
cultura
salutedienatura
della
attraversodella
interventi
tutela
ambientale,
intellettuale,
tecnico- anche
attraverso
l’informazione
scientifica, gestionale,
e
l’educazione.
relazionale
ed educativa.
A tal fine attiva e sostiene
la rete tra servizi e
operatori”
Codice Deontologico dell’Infermiere, 2009
Educazione Terapeutica - GMPace
La progettazione e la gestione dell’educazione terapeutica da parte degli operatori sanitari deriva
da una formazione specifica, che comporti lo sviluppo di competenze che mettano il professionista
in grado di far acquisire al paziente abilità nell’ adattamento e nell’autogestione dei trattamenti
proposti per la malattia e nel contempo a mantenere o migliorare la loro qualità di vita. Il suo scopo
principale è di produrre un effetto terapeutico che vada ad assommarsi a quelli di altri interventi
(farmacologici, di terapia fisica, ecc.).
Slide 1 – Classi di lauree professioni sanitarie
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Determinazione delle classi delle lauree universitarie
delle professioni sanitarie (D.M. 2 aprile 2001)
1
Prof.sanit.
Infermieristiche
e ostetrica
Infermiere
Ostetrico/a
Infermiere pediatrico
2
Prof.sanit. della
riabilitazione
Fisioterapista
Educatore professionale
Logopedista
Ortottista
Podologo
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
3
Prof.sanit.
Tecniche
Dietista - Igienista dentale
Tecn.audiometrista - Tecn.audioprotesista
Tecn.di fisiopat.
fisiopat. Cardiocircol.
Cardiocircol. - di neurofisiologia –
di Laboratorio Biomedico - di Radiologia medica
4
Prof.sanit. della
prevenzione
Assistente sanitario
Tecnico della prevenzione nei luoghi di lavoro
Al riguardo, un percorso formativo finalizzato allo sviluppo di tali competenze dovrebbero
contemplare ed integrare specifiche discipline, quali la pedagogia, la psicologia (per le tecniche di
comunicazione) e la sociologia.
Le competenze da conseguire, non afferiscono però, solo a quelle relazionali, ma essendo il
processo di educazione terapeutico complesso vengono richieste conoscenze relative all’approccio
metodologico che si riferisce ai principi educativi di base da applicare alla diversa tipologia di
utenza, dell’educazione del paziente e delle sue risorse.
Il documento dell’OMS precedentemente citato, definisce le competenze attese per gli operatori
sanitari in materia di educazione terapeutica del paziente, sostenendo che gli stessi singolarmente
o in team, devono essere in grado di:













adattare il proprio comportamento professionale ai pazienti ed alle loro patologie (acute/croniche)
adattare il proprio comportamento professionale ai pazienti, singolarmente, ed alle rispettive
famiglie e gruppi
adattare costantemente il proprio ruolo a quello del team assistenziale o didattico con il quale
cooperano
comunicare empaticamente con i pazienti
riconoscere i bisogni dei pazienti
tener conto dello stato emotivo dei pazienti, delle loro esperienze e delle loro rappresentazioni
mentali della malattia e del trattamento
aiutare i pazienti ad imparare
educare i pazienti nella gestione del trattamento e nell’utilizzo delle risorse sanitarie, sociali ed
economiche disponibili
aiutare i pazienti gestire il proprio modo di vivere
educare e consigliare i pazienti su come gestire le crisi ed i fattori che interferiscono con il
normale andamento delle loro condizioni
scegliere gli strumenti per educare i pazienti
utilizzare ed integrare tali strumenti nell’assistenza ai pazienti e nel processo di apprendimento
(contratto con il paziente)
nell’educazione terapeutica del paziente, tenere conto della dimensione educativa, psicologica
e sociale dell’assistenza a lungo termine
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47


valutare l’educazione al paziente in termini di effetti terapeutici (clinici, biologici, psicologici,
educativi, sociali, economici) ed apportare i necessari aggiustamenti
valutare periodicamente e migliorare le performance didattiche degli operatori sanitari.
L’educazione terapeutica come gli altri ambiti sanitari, necessita dello sviluppo di una cultura
orientata alla ricerca di soluzioni assistenziali basate su evidenze, sostenuta da ricerche
scientifiche rigorose.
Ecco perché, il processo educativo deve essere guidato da una precisa metodologia, che definisca
gli interventi e misuri i risultati.
Gli operatori sanitari formati in questo campo possono contribuire a:
 migliorare la qualità della vita, nonché a prolungarla, dei loro pazienti a lungo termine;
 migliorare la qualità dell’assistenza in generale (poiché anche i pazienti acuti possono
beneficiare di queste tecniche educative);
 diminuire i costi* medici, personali e sociali, e di conseguenza la spesa totale.
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◙ La metodologia del processo educativo e le sue fasi
L'Educazione Terapeutica, implica un vero e proprio trasferimento pianificato ed organizzato di
competenze terapeutiche dai curanti ai malati, in una prospettiva nella quale la dipendenza lascia
progressivamente il posto alla responsabilizzazione ed alla collaborazione attiva.
Un elemento che caratterizza la metodologia dell’educazione terapeutica è la progettualità.
Progettare significa possedere un metodo: l’applicazione rigorosa di una metodologia è garanzia
dell’efficacia di un intervento.
Il modello che viene più frequentemente proposto è quello basato sull’approccio sistemico. Il
processo educativo, quindi, si caratterizza dalla successione ed interconnessione di diverse fasi tra
loro.
Le fasi principali sono:
 analisi del bisogno – diagnosi educativa
 progettazione
 attuazione
 valutazione
METODOLOGIA EDUCAZIONE TERAPEUTICA
Analisi dei bisogni
Intervista
Osservazione
Questionario
Focus Group
Definizione obiettivi
Contratto educativo
Umane
Materiali
Definire risorse
Stabilire modalità e strumenti per aiutare il paziente
Strumenti
Pianificare interventi educativi
Valutazione
Livello di valutazione:
-Gradimento
-Apprendimento
-Trasferibilità
-Indicatori
1. Diagnosi educativa
La diagnosi educativa è la prima tappa del percorso di educazione e permette di conoscere i
differenti aspetti della vita e delle caratteristiche del paziente, di identificare i suoi bisogni, valutare
e sondare le sue potenzialità per poter proporre un programma di educazione personalizzato.
L’operatore sanitario ha la responsabilità di compiere un’analisi dettagliata dei bisogni, per
evidenziare quelli più rilevanti e dare agli stessi priorità di intervento.
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49
Al riguardo possono essere esplorate varie arre di indagine per l’analisi del bisogno educativo, di
seguito solo citate (ma dettagliate nelle slide) come per esempio:
- area socio-anagrafica
- area biologico-clinica
- significato della salute
- strategie di coping
- livello di conoscenze possedute
- livello di responsabilizzazione
- atteggiamento del paziente
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Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Area di indagine: SOCIO-ANAGRAFICA
Area di indagine: BIOLOGICA-CLINICA
• Età – sesso – titolo di studio
• Professione attuale e precedente
• Orari di lavoro – mezzi di trasporto
• Hobby – sport - viaggi
• Supporto assistenziale: famiglia - amici – assistenza
• Condizione abitativa
• Disturbi
• Terapie
• Patologie associate
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Educazione Terapeutica - GMPace
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Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Area di indagine:
SIGNIFICATO SULLA SALUTE PER LA PERSONA
• Aspirazioni e progetti
• Livello di efficienza
• Opinioni sulla salute
• Valori
• Esperienze precedenti
• Credenze sulla salute
Educazione Terapeutica - GMPace
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Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Area di indagine: STRATEGIE DI COPING
Come sta affrontando la malattia:
• Gestione delle emozioni, colpevolizzazione, rabbia,
aggressività
• Evitamento (personale o cognitivo, distrazione)
• Ricerca di sostegno, altruismo, analisi del problema
• Comportamenti riferiti all’attività fisica,alimentazione,
fumo ecc.
Educazione Terapeutica - GMPace
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Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Area di indagine:
Area di indagine:
CONOSCENZE POSSEDUTE SULLA MALATTIA
• Fattori di rischio
• Sintomi
• Complicanze
• Effetti della terapia
ATTEGGIAMENTO DEL PAZIENTE
• Attivo
• Passivo
• Rassegnato
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• Dinamico
Educazione Terapeutica - GMPace
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Educazione Terapeutica
I Fase
Analisi del bisogno – Diagnosi educativa
Area di indagine:
LIVELLO DI RESPONSABILIZAZIONE
• Disponibilità al cambiamento
• Importanza attribuita al problema
• Fiducia nella proprie capacità, nei
professionisti e nei progetti terapeutici
Educazione Terapeutica - GMPace
Dall’analisi del bisogno non deve emergere solo ciò che manca, ma anche identificare le
potenzialità dell’utente, ossia le risorse e i punti di forza su cui agire; potenzialità come strategie di
coping, fiducia in se stessi e nella propria capacità di recupero di autonomia, infatti, possono
essere delle preziose risorse dell’utente che l’operatore sanitario deve saper ricercare e utilizzare.
Sempre sulla diagnosi educativa, va detto che:
- costituisce il fondamento del programma di educazione, da cui partire per elaborare obiettivi
educativi pertinenti;
- non può essere considerata mai definitiva, ma al contrario, va rivista e ridiscussa;
- viene considerata uno strumento operativo che deve essere inserito nella cartella educativa.
La raccolta dati che porta alla definizione della diagnosi educativa può essere attuata attraverso
diverse metodologie e tecniche di indagini, le stesse possono essere orientate al singolo come
anche al gruppo.
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51
1.1 Strumenti di indagine rivolte al singolo
◙ Osservazione partecipante
L’osservazione partecipante vede il coinvolgimento diretto dell’operatore con il soggetto studiato.
L’osservatore partecipante è implicato attivamente nella situazione osservata; la sua sensibilità di
osservazione risulta pertanto acuita ed egli ha inoltre la possibilità di sviluppare relazioni
interpersonali significative, le quali sono potenziali fonti d’informazioni complementari e originali.
L’osservazione partecipante implica il guardare ma soprattutto l’ascolto; l’operatore osserva e
partecipa alle attività dell’utente, a domicilio o in ospedale, condividendo aspetti della sua
quotidianità che permettono di capire i punti di forza, le paure e la sua esperienza di vita rispetto
alla malattia.
Questa tecnica di indagine, viene considerata una ricerca di informazioni dirette, all’interno di uno
specifico contesto e attraverso un rapporto di interazione personale.
Lo strumento di ricerca è l’operatore; la rilevazione delle informazioni, infatti, viene filtrata
attraverso i suoi sensi, la sua cultura, i suoi valori e la sua empatia. Questi aspetti possono
differenziare la raccolta delle informazioni e coglierne aspetti diversi delle stesse in base
all’esperienza del rilevatore (operatore).
Infatti, nell’ osservazione partecipante entrano in gioco due elementi essenziali:
- la descrizione dei fatti
- l’interpretazione dell’operatore
L’operatore implicato deve avere, al riguardo, una forte ed importante consapevolezza delle proprie
emozioni per individuare possibili distorsioni nella raccolta delle informazioni.
◙ Intervista
Nella ricerca educativa il ricorso all’intervista come strumento di indagine è frequente; rimane uno
strumento privilegiato, come momento di collaborazione e dialogo fra operatore sanitario e fruitore
dell’intervento educativo.
Rispetto ad altri metodi per raccogliere le informazioni, l’intervista presenta alcuni:
Vantaggi:
1. la persona intervistata tende a sentirsi più implicata, più interessata che davanti ad un
questionario;
2. l’intervistatore può controllare meglio la situazione, può infatti chiarire il significato di alcune
domande, fornendo altre informazioni;
3. l’intervistatore può arricchire la qualità e quantità delle informazioni raccolte (attraverso
comunicazione non verbale dei soggetti intervistati).
Svantaggi o difficoltà
1. compito gravoso e complesso la registrazione delle risposte
2. l’atteggiamento dell’intervistatore può influire sulla validità delle risposte
3. interferenze sull’ambiente, possono influire sulle risposte ottenute (fretta, interruzioni, ecc..)
È possibile elencare alcune competenze fondamentali da possedere per poter impiegare in modo
conveniente lo strumento dell’intervista, tra queste ricordiamo:
 ascoltare con attenzione
 assumere atteggiamento aperto ed empatico
 parafrasare
 riassumere
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52
1.2 Strumenti di indagine rivolte al gruppo
◙ Questionario
Il questionario è uno strumento pratico ed ampiamente utilizzato, soprattutto quando si vogliono
identificare i bisogni educativi di una popolazione bersaglio dei relativi interventi educati.
Questo strumento permette di indagare su un’ampia gamma di fenomeni; la disponibilità, sempre
più marcata, di metodi statistici e supporti informatici di elaborazione favoriscono, inoltre,
un’efficace ed efficiente elaborazione dati.
Gli aspetti più critici relativi all’uso di questo strumento, possono riguardare la validità ed
attendibilità dei dati raccolti; l’attendibilità delle informazioni raccolte, infatti, può dipendere da più
fattori, come:
 la formulazione delle domande e delle alternative delle risposte
 il contesto in cui vengono formulate le domande
 le aspettative del ricercatore
 le caratteristiche e il comportamento dell’intervistatore
Un professionista sanitario deve conoscere ed essere consapevole della complessità di
elaborazione di un questionario e che di conseguenza un uso improprio di questa metodologia
potrebbe portare ad una raccolta di dati poco o non significativa.
◙ Focus group
Il focus group viene considerato una tecnica di rilevazione sociale basata sul gruppo, dove la fonte
di informazioni non è il singolo ma il gruppo. Questo gruppo di persone viene invitato a da uno o
più moderatori a parlare tra loro, in profondità, dell'argomento oggetto di indagine (questo
differenzia un focus group da un “gruppo naturale”, nel primo caso è il ricercatore che propone
l’attenzione su uno specifico oggetto di discussione).
La sua caratteristica principale consiste nella possibilità di ricreare una situazione simile al
processo ordinario di formazione delle opinioni, permettendo ai partecipanti di esprimersi
attraverso una forma consueta di comunicazione, la discussione tra "pari".
I soggetti coinvolti definiscono la propria posizione sul tema confrontandosi con altre persone,
mentre il ricercatore può limitare la sua influenza sulle loro risposte e distinguere le opinioni più o
meno radicate.
È solitamente una tecnica ben accettata dai partecipanti, in quanto, gli stessi possono esprimersi
con grande libertà, perché entrano in relazione con le persone della loro età, nella loro stessa
condizione di malattia, sociale o lavorativa.
Vantaggi:
1. Il confronto, favorisce una maggiore consapevolezza delle proprie idee
2. Gli stimoli esterni, possono evocare idee dimenticate, far emergere nuovi concetti
Svantaggi o difficoltà
1. Difficoltà a reclutare gruppi interessati e motivati all’esperienza
2. Non sempre disponibilità di luogo comodo ed accogliente per la discussione
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Quando usare il focus group
Quando non usare il focus group
 Interesse per un fenomeno di cui si hanno
poche conoscenze
 Relazioni interne con conflitti e
incomprensioni non risolte
 Approfondire la prospettiva del target
oggetto di studio
 Esistenza di significative differenze di ruolo
e potere
 Studiare fenomeni psicologici e sociali molto
complessi
 Tema oggetto di indagine relativo alla sfera
della privacy
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54
2. Progettazione attività educativa
La fase successiva alla diagnosi educativa (analisi del bisogno) riguarda fondamentalmente la
definizione degli obiettivi dell’educazione terapeutica.
La diagnosi educativa, permette di formulare le competenze che assegniamo al paziente e che
deve possedere e padroneggiare al termine delle attività di educazione; le competenze che il
paziente dovrà raggiungere, costituiscono gli “obiettivi pedagogici”del programma di educazione.
Questo richiama inevitabilmente anche ad una competenza pedagogica che l’operatore sanitario
deve possedere per trasformare le esigenze di cambiamento in obiettivi di apprendimento e
miglioramento raggiungibili solo attraverso un processo educativo.
La progettazione dell’attività educativa è complessa e si articola su più momenti; la sequenza della
stessa è la seguente:
- Definizione degli obiettivi educativi / di apprendimento
- Negoziazione degli obiettivi e contratto educativo
- Valutazione risorse disponibili
- Scelta della metodologia
- Progettazione logistica-organizzativa
2.1 Definizione degli obiettivi educativi / di apprendimento
La definizione degli obiettivi consiste nella formulazione degli scopi e delle finalità misurabili,
necessari per valutare l’acquisizione di competenze da parte del paziente oltre a misurare gli
interventi attuati.
Gli obiettivi di apprendimento (pedagogici) saranno formulati per il paziente e non sono da
confondere con gli obiettivi terapeutici del curante o dell’équipe; leggendoli il paziente deve
comprendere che si tratta di una competenza che deve poter utilizzare nella sua vita quotidiana.
Gli obiettivi pedagogici comprendono sempre un verbo di azione e un contenuto che precisa su
cosa poggia l’azione (es. deve essere in grado di realizzare un autocontrollo glicemico)
Per quanto riguarda i professionisti sanitari, la corretta definizione degli obiettivi permette di:




Promuovere la partecipazione dell’utente – famiglia - caregiver
Pianificare attività educativa realistica, misurabile ed efficace
Socializzare le informazioni sul paziente all’interno dell’équipe
Documentare quanto attuato
Gli obiettivi dovranno essere:
Pertinenti: insegnare quello che realmente serve al paziente; non deve comprendere termini
superflui e deve coprire tutti gli aspetti utili al raggiungimento dello scopo
Realistici: assicurare che ciò che è richiesto sia realmente raggiungibile
Logici: non contraddittori
Precisi: descrivere i risultati, i comportamenti e le manifestazioni
Misurabili: utilizzati come criteri di verifica
Realizzabili: assicurare che ciò che è richiesto sia effettivamente raggiungibile in rapporto alle
risorse disponibili
Accettabili: condivisi dalla persona e famiglia
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55
Gli obiettivi pedagogici vanno formulati suddividendoli nelle tre aree di apprendimento (Bloom):
 il campo cognitivo , che costituisce il campo delle conoscenze;
 il campo psico-motorio, che riguarda le abilità tecniche e gestuali;
 il campo psico-affettivo, che riguarda i comportamenti.
Questa classificazione ha lo scopo di facilitare il percorso del professionista sanitario, perché ogni
obiettivo può essere ricercato in uno di questi campi, favorendo l’individuazione delle metodologie
più idonee e dei conseguenti criteri di valutazione.
L’uso delle tassonomie permette agli educatori di definire obiettivi nei tre campi del comportamento
umano e graduare la loro complessità in funzione dei livelli di apprendimento (da obiettivi maggiori
a obiettivi minori/specifici)
Per elaborare obiettivi educativi misurabili è opportuno:
1. utilizzare un verbo di azione1 (per descrivere chiaramente cosa il paziente o familiare dovrà
fare senza rischi di interpretazioni individuali;
2. specificare una sola performance per obiettivo (per evitare ambiguità e confusione)
3. prevedere le condizioni entro cui realizzare l’intervento-performance
4. prevedere criteri di risultato
2.2 Negoziazione e contratto educativo
Alla definizione degli obiettivi deve seguire una fase di condivisione degli stessi con l’utente, se
questo passaggio non avviene si compromette il coinvolgimento della persona in quanto non
necessariamente la stessa si sforzerà di raggiungere quanto prefissato da altri.
Se l’utente percepisce e comprende l’importanza del raggiungimento dell’obiettivo, investirà
impegno e risorse finalizzate allo stesso.
Al riguardo è importante una buona strategia di negoziazione, che contempli diverse fasi:



analizzare l’esistenza del problema
motivare l’utente al cambiamento (vantaggi e svantaggi legati alla gestione del problema –
bilancia decisionale)
definire livello “accettabile” di raggiungimento degli obiettivi (in base alla situazione del
paziente.
2.2.1 Il contratto educativo
È un accordo/impegno condiviso e continuamente rinegoziabile sulla base di feedback in merito
agli obiettivi, ai metodi, ai tempi e alle risorse, alle modalità di valutazione riferite all’acquisizione di
determinate capacità – competenze terapeutiche.
Il contratto educativo, contiene gli obiettivi che il paziente deve padroneggiare al termine di una
sequenza educativa.
La finalità predominante è quella di “…rendere potenti” (empower) le persone assegnando loro il
controllo sui determinanti della loro salute, siano essi comportamentali che ambientali” (Zani,
Cicognani, 2000).
Sin dall’inizio, il processo educativo interessa persone e gruppi con obiettivi differenti, ne risulta
indispensabile, quindi, integrare le diverse prospettive dei due principali attori:
- educatore: colui che gestisce il processo educativo
- utente/paziente: colui al quale è rivolta l’azione di educazione terapeutica.
1
Verbi di azione per obiettivi educativi (Guilbert, 2001): Identificare – Distinguere- Elaborare- Elencare - Applicare –
Descrivere – Collaborare
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56
Nel processo educativo, è inevitabile non riferirsi, al concetto di apprendimento legato alla
pedagogia (bambini ed adolescenti), ma anche e soprattutto all’andragogia, ossia “l’arte e la
scienza per aiutare gli adulti ad apprendere” (Knowles, 1984).
Il punto iniziale del modello di Knowles è la considerazione degli adulti come learners (soggetti in
apprendimento) con le loro specifiche prospettive; l’obiettivo dell’insegnamento-apprendimento
viene definito come progressiva acquisizione di autonomia da parte degli individui, sia per svolgere
i ruoli propri delle diverse fasi della vita, sia per imparare ad imparare.
In questo modello, infine, è centrale il richiamo alla responsabilità del discente e alla condivisione
del progetto (contratto di apprendimento e/o educativo).
I principi da considerare, rifacendosi al modello di Knowles, sono:




L’adulto necessita di responsabilizzazione nella pianificazione dei processi di
apprendimento che lo riguardano
L’adulto porta in ogni esperienza il suo background culturale che va valorizzato
L’adulto è più motivato ad apprendere ciò che comporta un miglioramento nella sua
condizione di vita
Ogni adulto ha una personalità ed uno stile di apprendimento consolidati e unici, che vanno
valorizzati in piani individualizzati
Nelle malattie croniche esiste un livello di sicurezza al di là del quale il paziente rischia
complicanze gravi; questo può e deve rappresentare l’oggetto del contratto, tra paziente e curante.
Infatti il raggiungimento di obiettivi e competenze (padronanza della loro applicabilità nella vita
quotidiana) da parte del paziente, assicurano per quanto possibile questo livello di sicurezza.
Il contratto deve essere negoziabile, poiché si tratta di un accordo morale tra il paziente e
l’educatore, questo implica la condivisione dei mezzi da utilizzare (organizzazione incontri, metodi
di apprendimento, criteri di valutazione).
L’accento sul contratto in termini di accordo morale è necessario, in quanto esso non è assimilabile
ad un accordo-contratto giuridico; non ne ha il carattere coercitivo, ma deve essere vissuto tra le
parti come mezzo e strumento per raggiungere scopi comuni.
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2.3 Valutazione risorse disponibili
La fase successiva alla definizione e negoziazione degli obiettivi è quella relativa alla valutazione
delle risorse necessarie e fondamentali per la realizzazione del progetto.
Le suddette risorse vanno distinte sia in termini di risorse umane sia di risorse materiali; queste,
quindi possono essere considerate qualsiasi elemento che favorisca il conseguimento degli
obiettivi definiti.
Da Ewels e Simnett (1995) vengono definite una serie di risorse:
I risorsa
II risorsa
III risorsa
IV risorsa
V risorsa
VI risorsa
VII risorsa
Gli operatori, le loro esperienze, conoscenze, tecniche
Persone che possono dare aiuto (colleghi dell’équipe)
Utente o gruppo di utenti
Persone influenzanti/significative per gli utenti;
Piani Programmatori (nazionali, regionali, locali, aziendali)
Servizi e strutture (degenze,ambulatori, ecc..)
Risorse finanziarie dell’ente-istituzione
2.4 Scelta della metodologia
La scelta delle metodologie avviene dopo la definizione degli obiettivi educativi; questa scelta fatta
dall’operatore sanitario deve armonizzarsi ed essere coerente con l’analisi del bisogno, la
situazione organizzativa e le risorse disponibili.
La scelta delle metodologie è strettamente correlata all’area dell’apprendimento, come di seguito
illustrato.
METODOLOGIE DIDATTICHE
AREE DI APPRENDIMENTO
COGNITIVA
GESTUALE RELAZIONALE
INCONTRO INFORMATIVO
+
LEZIONE PARTECIPATA
+
+
LETTURRA DI OPUSCOLI
+
+
ADDESTRAMENTO
COUNSELING
+
+
La scelta della metodologia è strettamente correlata alla progettazione dei contenuti, ossia a tutte
quelle informazioni sulle quali investire modalità e stili di apprendimento.
La scelta dei contenuti risponde alla domanda «che cosa imparare» nell’ambito della disciplina,
mentre le metodologie si riferiscono al «come», in rapporto a chi è destinato il percorso educativo,
alle difficoltà organizzative.
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2.5 Progettazione logistica-organizzativa
Gli aspetti pratico-organizzativi inerenti la progettazione educativa, richiedono attenzione e
progettazione per evitare che una sottostima degli stessi comprometta e rischi di invalidare il
l’intero processo educativo.
Questi aspetti sono di seguito distinti in:
1. Articolazione e durata degli incontri
Si possono prevedere uno o più incontri, in modo continuativo. Devono essere valutati
attentamente i destinatari e definire tempi di intervento quanto più possibile vicini all’esigenza
dell’assistito.
2. Sede dell’incontro
Scegliere luogo funzionale e confortevole in termini di illuminazione, temperatura e comodità
3. Composizione del gruppo
L’ET prevede, come detto più volte, interventi rivolti al singolo ( es. momento della dimissione
Ospedaliera) ma anche al gruppo, in relazione alle situazioni e agli obiettivi da raggiungere, può
essere efficace progettare interventi a piccoli gruppi, prevedendo anche la partecipazione di
familiari o persone di riferimento. Non superare, come numero ideale, i 15 partecipanti per
evitare le problematiche legate ai grandi numeri (perdita di attenzione e concentrazione)
4. Convocazione partecipanti
Può rappresentare il primo contatta tra operatore e utente; è un momento fondamentale per
suscitare interesse e predisporre positivamente il partecipante rispetto all’incontro.
La convocazione può avvenire con modalità verbali o per iscritto (forma più corretta)
5. Progettazioni esercitazioni
Si parla di esercitazione in riferimento a qualsiasi attività didattica che “insegni a fare qualcosa”.
Con l’esercitazione l’operatore affida un compito da svolgere ai partecipanti con tempi e modalità
predefinite.
6. Documentazione scritta
La scelta del materiale da offrire ai pazienti e familiari deve essere attenta per favorire nel tempo
una testimonianza di quanto fatto e supportare l’apprendimento dell’utente.
La scelta può ricadere su libri o parti di essi, su dispense predisposte per l’uso adeguatamente
munite di bibliografia per ulteriori e futuri approfondimenti.
7. Uso di mezzi audiovisivi
Lavagna a fogli mobili
Computer e videoproiettori
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3. Attuazione progetto educativo
Le fasi precedenti, l’analisi educativa e la progettazione, sono preparatorie alla fase di intervento,
attraverso cui vengono attuate le diverse modalità di educazione terapeutica.
Una volta che il contratto educativo è stato accettato, in questa fase, infatti, se ne prevede
l’attuazione che si baserà sulla scelta dei metodi pedagogici. Alcuni obiettivi possono richiedere il
ricorso ad un unico metodo per essere raggiunti, altri possono richiedere un’insieme di metodi.
La gamma degli interventi disponibili è ampia e spazia dai più semplici ai più complessi, non
esistono, comunque, metodi migliori di altri.
Un metodo educativo è valido dal momento che rispetta più principi, tra cui quello della pertinenza,
ossia il grado di adattamento della didattica all’obiettivo pedagogico; quello della praticità, ossia di
applicazione agevole e di impiego regolare.
In questa fase è fondamentale la relazione educativa tra curante e paziente, che deve basarsi su
due aspetti come il rigore e la tolleranza, ossia l’obiettivo del curante-operatore sanitario è di
portare il paziente a raggiungere una serie di scopi prefissati, al riguardo deve indicarli, ricordare
l’impegno preso, responsabilizzare continuamente colui che apprende, ma deve anche
comprendere le difficoltà che possono incontrare certi pazienti, accettare i loro errori o fallimenti,
aiutando a trarre profitto dagli stessi e coltivando continuamente la loro motivazione.
3.1 Tipologie dei metodi e tecniche pedagogiche
I metodi possono essere classificati in diverse maniere, a seconda che si rivolgano a pazienti adulti
o bambini, che siano collettivi, individuali o di auto-apprendimento oppure in base al campo
tassonomico di appartenenza (Bloom): campo capacità intellettuali, campo delle abilità gestuali,
campo delle attitudini.
 Metodi collettivi
Raggruppare in un incontro pazienti che abbiano gli stessi bisogni, gli stessi interessi o l’esigenza
di sviluppare le stesse competenze
 Metodi individuali
Si basa sul tutorato e si applica a pazienti che non hanno la possibilità di partecipare a metodi
collettivi, è sicuramente il metodo di elezione per l’educazione continua del paziente; comporta il
trasferimento di informazioni, tecniche, aiuto e sostegno alla decisione. Questo tutorato deve
essere strutturato, preparato e non informale.
 Auto-apprendimento
Il raggiungimento di tutti gli obiettivi non sempre richiede un educatore – operatore sanitario; il
paziente in alcuni casi ha la possibilità di auto apprendere. Questo metodo ha la finalità di rendere
autonomo il paziente, anche se ciò non comporta uno sgravio di responsabilità per il curante, in
quanto anche l’auto-apprendimento va guidato e l’apporto di ogni documento deve essere
chiaramente esplicitato al paziente in base all’obiettivo da raggiungere.
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60
Infermieristica preventiva e di comunità
Educazione Terapeutica
III Fase
Attuazione progetto educativo
3.1 Metodi e tecniche pedagogiche
Metodi collettivi
In base al campo tassonomico
di apprendimento sec. Bloom
METODI COLLETTIVI
Raggruppare in un incontro pazienti che abbiano gli stessi bisogni, gli stessi
interessi o l’esigenza di sviluppare le stesse competenze.
Tecniche collettive
Campo intellettivo
Campo gestuale
Campo relazionale
Lezione interattiva
Studio dei casi
Tavola rotonda
Brainstorming
Simulazioni
Audio-visivi
Attività pratiche
Laboratori
Simulazione gesti
Attività sportive
Tavola rotonda
Giochi di ruolo
Testimonianze
Audio-visivi
Attività sportive
Brainstorming
Educazione Terapeutica - GMPace
Infermieristica preventiva e di comunità
Educazione Terapeutica
III Fase
Attuazione progetto educativo
3.1 Metodi e tecniche pedagogiche
Metodi individuali
In base al campo tassonomico
di apprendimento sec. Bloom
METODI INDIVIDUALI
Comporta il trasferimento di informazioni, tecniche, aiuto e sostegno alla
singolo. Si basa sul tutorato che deve essere strutturato, preparato.
Tecniche individuali
Campo intellettivo
Counselling
Studio di casi
Documenti simulati
Consigli telefonici
Campo gestuale
Addestramento
Lavori pratici
Simulazioni
Campo relazionale
Counselling
Gioco dei ruoli
Educazione Terapeutica - GMPace
Infermieristica preventiva e di comunità
Educazione Terapeutica
III Fase
Attuazione progetto educativo
3.1 Metodi e tecniche pedagogiche
Metodi di auto-apprendimento
In base al campo tassonomico
di apprendimento sec. Bloom
METODI AUTO-APPRENDIMENTO
Il raggiungimento degli obiettivi non sempre richiede un operatore/educatore.
Il processo va guidato e l’apporto di ogni documento deve essere chiaramente
esplicitato al paziente in base all’obiettivo da raggiungere
Tecniche auto-apprendimento
Campo intellettivo
Campo gestuale
Campo relazionale
Lettura
Internet
Video
Istruzioni tecniche
Addestramento
Video
Lettura
Visione film
Forum in rete
Incontri con altri
pazienti
Educazione Terapeutica - GMPace
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3.2 Incontro informativo/educativo
Informare, ossia trasmettere informazioni verbali al paziente familiari è una delle modalità più
utilizzate nell’ambito dell’ET.
Questa modalità richiede una progettazione di minima, rispetto a quanto detto finora, ma
soprattutto richiede che l’educatore sappia chiaramente di cosa l’utente ha bisogno e con quali
modalità comunicare le informazioni, il tutto finalizzato ad evitare rischi di inefficacia del metodo.
Di seguito vengono elencati alcuni fattori chiave per garantire la qualità delle informazioni cliniche,
così come definite nel 1993 dall’Audit Commission inglese:





Tempo dedicato all’informazione: fondamentale per garantire la comprensione da parte
dell’utente ed una efficace interazione;
Momento giusto: la scelta di un momento sbagliato può inficiare l’efficacia del metodo
e rappresentare una barriera all’informazione (tener conto delle variabili di contesto
o emozionali);
Supporto adeguato: identificazione di un eventuale supporto durante il colloquio,
rifacendosi a persone di riferimento per l’assistito;
Coerenza dell’équipe: evitare attraverso la condivisione di procedure o protocolli,
che all’interno dell’équipe vengano dispensate informazioni contrastanti tra di loro;
Pensare
alla
vulnerabilità
dell’utente:
considerare
idoneità
dell’ambiente
o delle condizioni del paziente.
3.3 Lezione partecipata
In ambito educativo la lezione partecipata, se organizzata secondo presupposti di coerenza sia con
il singolo e con il gruppo che ascolta sia con gli obiettivi didattici, si caratterizza come un momento
importante tra operatore ed utente finalizzato, a trasferire contenuti ed informazioni, diventando nel
contempo un veicolo di relazioni positive e migliorative.
Di seguito vengono elencati i principi di una lezione in ambito di ET:




Le attese degli utenti determinano la proposta di insegnamento (non vi è beneficio se non vi
è alcun bisogno)
Ogni lezione è un evento unico che nasce dalla proposta dell’operatore ma si sviluppa
attraverso il coinvolgimento degli utenti
La lezione non suscita interesse se è troppo “scontata o distante”
La lezione si costruisce mediante la relazione fra i partecipanti
La lezione può assumere diverse forme, ogni partecipante sarà coinvolto ed attraverserà momenti
di ansia, incertezza o disorientamento; nella lezione, infine, oltre ai contenuti predefiniti entrano in
gioco anche le autonomie decisionali dei partecipanti.
La lezione diventa così un momento dialogico, non solo informativo, dove gli utenti e familiari
compiono un proprio percorso di elaborazione, che si fonda sulla capacità di attuare ed operare
distinzioni.
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3.4 Addestramento
Per addestramento si intende la simulazione di situazioni pratiche, dove una o più persone sono
coinvolte per acquisire autonomia rispetto ad un’attività/azione manuale. È finalizzata, quindi,
all’insegnamento di capacità operative ad alto contenuto manuale.
L’esecuzione o l’adozione della tecnica dell’addestramento è collegata solo in parte alle capacità di
effettuare la stessa metodica correttamente ma richiede anche e soprattutto una serie di
competenze pedagogiche-educative; si può essere capace di svolgere molte attività con precisione
ma non necessariamente si ha la capacità di insegnare in modo altrettanto preciso.
L’addestramento richiede una sequenza ben precisa di atti:
Spiegazione
L’operatore spiega le operazioni che devono essere compiute per realizzare quella tecnica,
usando anche supporti cartacei o informativi vari.
Dimostrazione
Dopo aver spiegato, l’operatore compie concretamente le azioni da svolgere, svolgendo
tutti gli atti lentamente, focalizzandosi sui passaggi più importanti, commentando ciò che fa.
In questa fase è efficace stimolare la formulazione di domande di chiarimento e cercare
feedback continuo con l’assistito e/o caregiver.
Esercitazione con supervisione
L’ultima fase prevede che la tecnica venga svolta dall’assistito e/o caregiver, rilevando
eventuali errori o difficoltà su cui approfondire una discussione.
Ogni attività di addestramento deve essere calibrata sulle caratteristiche dell’assistito, valutando ed
indagando sulle conoscenze pregresse o eventuali credenze – pregiudizi rispetto alla procedura da
compiere.
Trovandosi in una fase di acquisizione di nuove abilità è normale e frequente l’evenienza di
sbagliare, è importante, quindi, comunicare che la “possibilità di errori” sono insiti nel percorso di
addestramento.
Infine, è consigliabile produrre o farsi supportare da un opuscolo informativo, che possa
rappresentare un valido supporto ad consultare anche successivamente.
3.5 Informazioni scritte
A supporto dei diversi interventi educativi, sempre più spesso i professionisti elaborano opuscoli
informativi con lo scopo di trasmettere informazioni ad un gruppo eterogeneo di utenti che
condividono lo stesso problema. L’informazione scritta rappresenta uno strumento utile ed efficace
nell’educazione terapeutica.
I vantaggi legati a questo strumento riguardano:
La riduzione delle possibilità di fraintendimenti
Il risparmio di tempo
Il fornire una documentazione a supporto dell’utente da consultare all’occorrenza.
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La creazione e divulgazione di opuscoli informativi merita attenzione, precisione ed accuratezza,
tenendo conto di una serie di aspetti, come: la popolazione target, il grado di comprensione della
stessa, l’efficacia comunicativa, ecc..; al riguardo i principi più rilevanti da considerare nella fase di
elaborazione saranno:
Titolo
Definizione del background della popolazione target
Aspetti grafici e di redazione
Chiarezza e comprensione di linguaggio
Lunghezza dell’opuscolo
Per approfondimenti vedi libro di testo in bibliografia (1)
3.6 Counseling motivazionale
Nell’educazione terapeutica la relazione tra operatore ed utente è complessa ed articolata; in essa
emerge la dimensione informativa, ossia esiste da una parte l’operatore con le sue conoscenze
specialistiche e dall’altra l’utente che deve assimilare ed acquisire queste conoscenze per gestire
la sua salute.
Esistono una serie di fattori motivazionali, però, che possono consentire o impedire alle persone di
agire secondo le proprie conoscenze o di operare un cambiamento, per es. nello stile
comportamentale.
La disponibilità al cambiamento è strettamente legato a due elementi chiave, come:
- importanza: la rilevanza che l’utente attribuisce al cambiamento
- fiducia: il grado di certezza e la speranza dell’essere in grado di cambiare.
Saper costruire una relazione autentica, dove l’utente esprima i suoi vissuti, paure ed opinioni e il
professionista operi scelte giuste, nel trasmettere informazioni o aumentare la disponibilità al
cambiamento, richiede abilità e capacità di counseling non empirico ma appropriato e concreto.
Al riguardo si può sostenere che i concetti chiave che caratterizzano il counseling motivazionale
nell’ambito dell’educazione terapeutica sono:
- lo scambio di informazioni
- la riduzione delle resistenze.
Lo scambio di informazioni rappresenta la parte predominante del lavoro e della relazione. La
dimensione del contenuto informativo non dovrebbe essere separata da quella del vissuto, paure,
aspettative, emozioni tipiche in una relazione educativa.
Oltre a fornire conoscenze specialistiche ed esperte lo scambio di informazioni deve essere inteso
come processo che implica l’uso di ascolto esperto, domande accurate ed interventi appropriati.
I pazienti hanno il bisogno e desiderio di sapere cosa viene fatto loro e perché, per cui
l’interpretazione e la spiegazione delle procedure sono diventate componenti essenziali della
pratica infermieristica. L’infermiere deve accertarsi di quanta informazione un paziente necessita e
deve trovare un vocabolario che egli possa comprendere. Alle volte diventa importante riconoscere
anche i limiti della propria comprensione.
Oltre a questo, l’operatore sanitario deve sviluppare non solo la capacità di esprimere le
conoscenze che possiede in maniera chiara e comprensibile, ma anche la capacità di gestire la
dimensione psicologica della relazione, considerando gli aspetti cognitivi ed emozionali dell’utente,
vere e proprie barriere della comunicazione educativa.
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64
Alcuni studi sulla comunicazione, hanno descritto, al riguardo, alcune strategie che possono
aiutare il professionista in tal senso, come di seguito sinteticamente riportato.
Metodo centrato sull’utente
Scambio informativo centrato verso l’utente, per facilitare l’espressione dei vissuti, idee, emozioni
dello stesso e permettergli di riorganizzare il proprio punto di vista rispetto agli stimoli che riceve.
Colloquio motivazionale
Finalizzato ad incoraggiare la curiosità degli utenti e a sollecitare continui feedback degli stessi
sulle informazioni che ricevono e sul loro significato. Gli utenti in questo modo devono maturare
una loro personale interpretazione dei fatti dopo che questi sono stati presentati dall’operatore in
maniera impersonale.
In sintesi la sequenza del colloquio può essere così riassunta:
1. far emergere la disponibilità e l’interesse dell’utente
1. fornire informazioni neutrali e prive di giudizio
2. sostenere l’utente nella riflessione e nello sviluppo della consapevolezza del suo punto di
vista.
Individuare e gestire le resistenze al cambiamento
Negli utenti, la resistenza verso il cambiamento di un comportamento, può essere causata da
conflitti interiori, che possono manifestarsi in vario modo attraverso emozioni contrastanti tra di loro
ed atteggiamenti diversificati.
Anche la mancanza di consapevolezza del problema possono provocare delle resistenze, nei casi
in cui l’assistito non consideri un problema il fatto di adottare comportamenti non salutari.
Le resistenze, inoltre, possono svilupparsi all’interno del rapporto interpersonale utente-operatore;
il professionista dovrà in questo caso, non limitarsi solo ad osservare ma anche analizzare le
stesse nell’ambito della relazione ed essere consapevole che lui stesso può sviluppare delle forme
di comportamento (riluttanza, ostilità, ecc..) di resistenza verso l’utente.
In quest’ultimo caso, se il professionista non possiede gli strumenti concettuali per identificare e
gestire questi aspetti finirà per attuare comportamenti difensivi ( es. sviluppare pregiudizi verso
certe categorie di utenti) e quindi di resistenza.
Al riguardo l’operatore deve assumersi la responsabilità rispetto alla consapevolezza di avere lui
stesso la possibilità di aumentare o diminuire il livello di resistenza del proprio assistito.
Le strategie che consentono di gestire le resistenze e creare le premesse di un cambiamento sono:
1. prendere coscienza del desiderio di autodeterminazione dell’utente
2. rivalutare l’importanza e la fiducia che l’utente ha rispetto al cambiamento
3. adottare tecniche di ascolto riflessivo.
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4. Valutazione educazione terapeutica
La valutazione viene definita:
quell’attività attraverso la quale l’educatore ricerca i cambiamenti intervenuti nei partecipanti ad
un’attività di educazione terapeutica a conclusione della stessa.
La valutazione non deve essere intesa solo come fase finale del processo educativo, in quanto
ogni fase del processo contiene in sé una dimensione valutativa, che permette di operare un
feedback di ritorno.
Il concetto di valutazione all’interno di un progetto educativo assume valenze diverse ma si
configura sempre in relazione ad un obiettivo esplicito e condiviso da tutti coloro che partecipano al
processo educativo.
La valutazione in questo specifico contesto è basato principalmente sui bisogni educativi degli
utenti, per cui un’ulteriore definizione riferita alla valutazione e che racchiude questi elementi
chiave è la seguente:
la valutazione dei risultati è un’attività di ricerca che ha l’obiettivo di misurare il soddisfacimento dei
bisogni educazione, opportunamente rilevabili, a seguito dell’intervento educativo realizzato.
4.1 Aree di indagine della valutazione
La valutazione per essere efficace, deve risultare utile sia all’organizzazione sanitaria che eroga le
prestazioni, che per l’educatore e per i partecipanti.
lo strumento più conosciuto ed utilizzato quale modello di riferimento per classificare i livelli di
valutazione di un progetto educativo- formativo è quello di Kirkpatrick.
Questo modello riconosce la complessità dell’attività di monitoraggio e propone 4 step di
misurazione, come di seguito sintetizzato:
Modello valutazione formativa Kirkpatrick. (1998)
Livello
Caratteristica
Criteri di valutazione
1
Reazione
Soddisfazione dell’utente
2
Apprendimento
Aumento delle conoscenze
3
Trasferibilità
Utilizzo di quanto appreso
4
Risultati
Outcomes
Raggiungimento obiettivi
Indicatori clinici
I livelli di misurazione sono caratterizzati da una complessità crescente e ciascun step rappresenta
una condizione necessaria, ma non sufficiente per il livello successivo di analisi. In questo modo
ogni livello successivo al primo permette una misurazione più accurata dell’efficacia del
programma, ma nello stesso tempo un’analisi più rigorosa e dispendiosa in termini di tempo.
Nel dettaglio vengono definiti in seguito gli elementi che caratterizzano i diversi livelli della
valutazione dell’attività di educazione terapeutica, secondo il suddetto modello.
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66
4.2 Reazione e gradimento dei partecipanti
Al primo livello la valutazione consiste nella misurazione della soddisfazione che il programma
educativo ha generato nei partecipanti.
Si tratta di determinare se il programma è stato mediamente soddisfacente in termini didattici,
organizzativi e sociali, tenendo conto anche delle percezioni di utilità e difficoltà da parte dei
partecipanti. Reazioni positive sono di importanza fondamentale nel creare motivazione. In questo
senso il gradimento influenza le fasi successive, come quello dell’apprendimento.
Per effettuare la misurazione di solito si utilizza un questionario con domande chiuse ed aperte
volto a raccogliere informazioni qualitative e quantitative
Diverse iniziative di educazione terapeutica, prevedono a conclusione delle stesse il ricorso a tale
strumento, nei quali viene richiesto di esprimere un giudizio sulle lezioni in termini di chiarezza,
utilità, concretezza.
Questo tipo di valutazione ha un suo valore, in termini di feedback dei partecipanti, ma non entra
nel merito, del grado di apprendimento – cambiamento avvenuto nei partecipanti al programma
educativo.
La facilità e la semplicità di questo metodo, per quanto possa presentare delle criticità in termini di
attendibilità, ne favorisce il largo utilizzo in vari ambiti.
Un questionario completo, nel sondare i vari elementi del processo educativo, può essere
schematizzato nei diversi ambiti di indagine:
argomento trattato
comportamento dei partecipanti
docenza
aspetti organizzativi
valutazione globale
La valutazione del gradimento del progetto può essere letta anche durante il corso, come la
valutazione delle reazioni dei partecipanti, per esempio:
Analizzando come ciascun partecipante vive l’esperienza educativa nel momento stesso in
cui ha luogo. Reazioni di conferma e comprensione si possono opporre a sensazione di
noia o scarsa comprensione che possono rappresentare, queste ultime, barriere e vincoli
all’apprendimento.
Tenuta di un diario, scritto giornalmente dai partecipanti, dove vengono espresse
liberamente le reazioni ed osservazione degli stessi.
4.3 L’apprendimento dei partecipanti
Il secondo livello presenta una maggiore complessità rispetto al precedente e considera lo scopo
principale del programma educativo: misurare l’apprendimento significa valutare quali conoscenze
e capacità sono state apprese.
In ambito educativo, però, la valutazione dell’apprendimento risulta ancora poco sviluppata, questo
si spiega in ragione di varie criticità, come la definizione di criteri il più possibile oggettivi, la
difficoltà a valutare gruppi eterogenei, la necessità di identificare strategie di recupero per chi
richiede tempi di apprendimento più lunghi.
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I momenti della valutazione sono 3:
Valutazione iniziale
Verifica su ciò che i partecipanti sanno sugli argomenti in oggetto, ossia una valutazione sui
prerequisiti (insieme di saperi o abilità che si posseggono). L’analisi dei prerequisiti, spesso viene
svolta al’inizio dell’incontro, per verificare il livello di adeguatezza del progetto pianificato e per
apportare eventuali adattamenti o modifiche dei contenuti e metodi. Il tutto, quindi, è finalizzato ad
orientare l’azione di educazione terapeutica verso le esigenze dei partecipanti.
Valutazione in itinere
Verifica su ciò che le persone comprendono e su eventuali azioni di rinforzo che mettono in atto.
Questa valutazione può essere più o meno strutturata e consente di avere un feedback sull’attività
in corso, valutando il grado di comprensione.
La valutazione intermedia può configurarsi come una serie di domande relative all’avvenuta
comprensione o come vero e proprio test di apprendimento; questa valutazione presenta il
vantaggio di avere ancora tempo per porre rimedio in caso di risultati negativi.
Valutazione finale
Verifica l’apprendimento finale di concetti e abilità e valuta l’efficacia complessiva dell’intervento.
La valutazione finale dell’apprendimento, in educazione terapeutica, significa certificare
l’acquisizione di abilità in termini di autonomia e sicurezza nella gestione di quanto appreso.
Quest’ultima fase, non può essere considerata solo una fase conclusiva del processo e di distacco
dell’incontro educativo, ma momento di riflessione e presa di coscienza rispetto al percorso
effettuato e ai risultati raggiunti dagli utenti.
I criteri di valutazione vanno definiti sulla base delle capacità che si vogliono sviluppare, quindi
capacità di natura: cognitiva, manuale-gestuale e relazionale.
4.3.1 Apprendimento cognitivo
Concerne l’insieme dei saperi acquisiti dal paziente, che si tratti della memorizzazione di
conoscenze precise, dell’interpretazione dei dati o della soluzione di problemi e di decisioni. Per
ogni livello si può far ricorso a domande orali o scritte.
Per quanto riguarda il livello di memorizzazione è possibile interrogare il paziente per verificare le
sue precise conoscenze. Nello specifico, in un quadro di una sequenza educativa, l’esplorazione
delle conoscenze può avvalersi di domande di tipo vero o falso.
Le stesse offrono vari vantaggi:
- sono semplici da somministrare, da correggere e sono facilmente interpretabili.
- possono essere somministrate all’inizio e alla fine dell’educazione, per misurare
attraverso la differenza (pre e post test) le conoscenze acquisite.
Per quanto riguarda il livello di interpretazione dei dati, si cerca di misurare la capacità del paziente
di:
- riconoscere determinati segni
- stimare il valore di segni clinici (ipoglicemia, dolore toracico, palpitazione
- interpretare valori/risultati biologici (glicemia), fisici (PA)
- evidenziare da una situazione gli elementi favorevoli e quelli sfavorevoli alla propria
salute ( alimentazione, attività fisica).
Per questo livello di competenza si ricorre a documenti simulati (diaria, risultati esami biologici,
menù …..) rispetto ai quali si pongono domande, finalizzate a sondare la comprensione.
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Per quanto riguarda il livello di soluzione di un problema, si cerca di misurare la capacità del
paziente di prendere decisioni.
Per questo tipo di valutazione solitamente si ricorre a mezzi di simulazione; può trattarsi di
simulazioni di una situazione teorica o di situazioni della sua esperienza
(Approfondimento libro di testo “F.d’Ivernois. R.Gagnayre. Educare il paziente. Un approccio pedagogico.
Mc Graw-Hill 2004”)
4.3.2 Apprendimento manuale- gestuale
L’acquisizione da parte dell’utente o del familiare di competenze gestuali è diventato nel tempo un
elemento sempre più importante.
Questo perché in diverse malattie croniche il paziente deve realizzare una serie di gesti di autosorveglianza e di auto-cura; infatti la gestione di regimi terapeutici, presuppone la piena autonomia
nella gestione di procedure anche abbastanza complesse (rilevazione PA, glicemia,
insulinoterapia, medicazioni).
La valutazione dell’efficacia del trattamento educativo verso un’abilità gestuale può essere
effettuata attraverso strumenti come:
- check-list
- griglia di osservazione
Questi strumenti misurano i comportamenti e possono comportare vari livelli:
- Esempio 1: comportamento atteso – eseguito in modo corretto – non eseguito
- Esempio 2: fatto bene – fatto male o tentato senza successo – non fatto o non tentato
4.3.3 Apprendimento competenze relazionali
Questo tipo di valutazione rappresenta un aspetto particolarmente complesso. Anche questo tipo
di misurazione si può attuare attraverso:
- griglie di osservazione (es. il paziente diabetico deve essere capace di spiegare la propria
malattia ad altri, negoziare le condizioni di lavoro con il proprio datore di lavoro).
- role-playing: metodologia attiva, dove l’esplicitazione del punto di vista individuale offre i
presupposti per una discussione e il confronto tra i membri del gruppo; si parla di metodologia
attiva in quanto può essere educativo e valutativo.
4.4 Trasferibilità
La valutazione della trasferibilità ha come oggetto di indagine gli effetti positivi dell’educazione sul
piano dei comportamenti indotti dalla formazione.
Questo però presenta delle criticità, in quanto, nell’ambito dell’educazione terapeutica, la
valutazione dell’apprendimento dei concetti e delle abilità manuali non è sempre sufficiente a
garantire l’efficacia dell’intervento educativo; è come dire “sapere non è sinonimo di fare”, può
esistere, infatti, uno scarto tra il “sapere” e il “fare” tenuto conto che possono intervenire altri
ostacoli (problemi economici, difficoltà legate al lavoro, problemi familiari …).
Al riguardo, è opportuno sostenere che, l’educazione terapeutica crea delle potenzialità per la
messa in atto di competenze di salute; non le genera però direttamente. Sicuramente, l’educazione
si ritiene efficace quando si è certi che le competenze acquisite sono potenzialmente utilizzabili dal
paziente.
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La valutazione della trasferibilità deve essere effettuata a uno/tre mesi di distanza dall’intervento
educativo, per favorire e dare il tempo di applicare quanto appreso.
È importante sostenere, comunque, che il trasferimento nella propria realtà quotidiana di quanto
appreso è strettamente influenzato da diversi fattori, come:
Motivazione
Riconoscimento del proprio miglioramento
Clima familiare favorevole
Collaborazione da parte delle persone coinvolte
Supporto da parte dei professionisti
4.5 Indicatori di risultato
La misurazione di indicatori di risultato sull’efficacia dell’educazione terapeutica è un livello di
valutazione fondamentale per la pratica educativa-assistenziale, andando ad evidenziare il risultato
finale dell’intero processo educativo in termini di miglioramento della sintomatologia, della gestione
della malattia o assenza di complicanze.
Gli indicatori, in questo caso, sono legati alla qualità dell’assistenza, rilevato in modo riproducibile,
analizzato e commentato in modo sistematico.
I dati rilevati a questo scopo possono essere distinti in “hard” e “soft”.
Dati hard
Fanno riferimento ad indicatori focali e centrali relativi alla gestione della malattia in termini di
abilità di autogestione della stessa.
Alcuni esempi al riguardo possono essere:
segni e sintomi della malattia
impatto sulle attività di vita
percezione dello stato di salute
compliance al trattamento
assenza/presenza di errori nell’assunzione della terapia
gestione effetti collaterali della suddetta
costi in materiale
costi risorse umane
tempi del trattamento
Dati soft
Fanno riferimento ad aspetti accessori dell’attività di educazione terapeutica, come la qualità delle
relazioni familiari e con i curanti.
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◙ L’educazione terapeutica nei differenti contesti organizzativi
Possono esistere diverse organizzazioni dell’educazione terapeutica, distinte per contesti
professionali, come quello ospedaliero, extra ospedaliero, ambulatoriale e in rete.
In seguito viene riportata una sintesi delle varie tipologie di organizzazioni distinte per contesto.
Contesto ospedaliero
Le settimane di educazione: per pazienti con diagnosi recente o che richiede una ripresa
importante della loro educazione
L’educazione di un giorno (day hospital) per un rafforzamento educativo
L’educazione di una notte: per favorire lo svolgimento dell’attività professionale del paziente
Le visite educative: per una valutazione puntuale del paziente
Le visite a domicilio: per favorire una migliore conoscenza del paziente e facilitare il suo
adattamento alla realtà quotidiana
L’ospedalizzazione a domicilio: che integra l’educazione all’assistenza
Contesto extra ospedaliero
Centri di cura termali
Centri di vacanza per giovani pazienti (es. le colonie di vacanza per l’Aiuto a giovani diabetici)
Stage sportivi (gite tematiche per favorire la socializzazione di pazienti associato al
raggiungimento di obiettivi pedagogici)
Contesto ambulatoriale
Può svolgersi individualmente o in gruppo se il professionista dispone di locali per ricevere
pazienti.
Contesto delle reti di assistenza
La rete assistenziale può coinvolgere vari attori (ospedale, medicina ambulatoriale, professioni
sanitarie, ecc..) che hanno la funzione di definire quali competenze il paziente dovrà acquisire.
Queste reti offrono il vantaggio della multi-professionalità e dell’educazione terapeutica di gruppo.
Esistono diverse esperienze nel contesto europeo di questa tipologia di organizzazione,
accreditate e finanziate a livello di Ministero della Sanità. La maggior parte di queste reti si
interessa a malattie come il diabete, tumori, malattie cardiovascolari, AIDS, ecc…).
◙ La cartella educativa
L’insieme dei dati relativi all’educazione del paziente deve essere raccolta in una cartella
educativa.
Le finalità di questo strumento operativo sono quelle di:
Monitorare l’evoluzione del paziente durante il processo educativo
Favorire la trasmissione delle informazioni tra i curanti
Valutare attività dell’équipe attraverso l’analisi della documentazione raccolta, favorente anche
la ricerca educativa.
La cartella può essere parte integrante della cartella clinica o essere una parte distaccata da essa.
Deve essere di facile lettura, priva di ridondanze informative, facile da utilizzare e contenete i
risultati più significativi.
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La cartella educativa deve, inoltre, contenere gli elementi essenziali per la conduzione del
programma educativo, in particolare:
La diagnosi educativa
Gli obiettivi educativi e la loro valutazione
Qualunque sia la forma (cartacea o informatizzata) la cartella è da considerare un mezzo per
strutturare l’educazione nei vari contesti: servizio ospedaliero, ambulatoriale o di rete.
◙ Esempi di progetti educativi
In aula presentazione di 2 progetti educativi relativi al:
1. contesto pediatrico
2. contesto medico-chirurgico
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Bibliografia
II parte: Educazione sanitaria ed educazione terapeutica
Libri di testo (in evidenza)
1. A. Ferraresi. R. Gaiani. M. Manfredini. Educazione terapeutica. Carocci Faber 2004
2. J.F.d’Ivernois. R.Gagnayre. Educare il paziente. Un approccio pedagogico. Mc Graw-Hill 2004
Bibliografia di approfondimento
1. L. Sasso et al. L’infermiere di famiglia. Ed. Mc Graw-Hill. 2005
2. R. Viganò. Pedagogia e sperimentazione. Metodi e strumenti per la ricerca educativa. Ed. Vita &
Pensiero. 2002 (II edizione)
3. OMS-Ufficio Regionale per l’Europa. “Therapeutic patient education: continuing education
programmes for healthcare providers in the field of prevention of chronic disease” .1998
III parte: L’infermieristica basata sulle evidenze
1. James A. Fain. La ricerca infermieristica. Leggerla, comprenderla e applicarla. McGraw-Hill,
2004
2. P.Chiari et al. L’infermieristica basata sulle prove di efficacia. Guida operativa per l’EBN.
Mc Graw- Hill 2006
3. E. Vellone. M.Sciuto. La ricerca bibliografica. McGraw-Hill, 2001
4. S. Corrao. Conoscere ed usare PubMed. Ed. Il pensiero scientifico. 2008
Sitografia
1.
2.
3.
4.
5.
www.gimbe.it
www.evidencebasednursing.it
www.guideline.gov
www.pnlg.it
www.cespi-centrostudi.it
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