la cucina degli antichi - Centuriazione Romana di Adria
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la cucina degli antichi - Centuriazione Romana di Adria
A. Toniolo: LA CUCINA DEGLI ANTICHI: ESPERIENZE E METODI NELLA 311 La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana REALIZZAZIONE DI ALCUNE RICETTE CULINARIE DI ETA’ ROMANA di Alessandra Toniolo (*) Può suonare un po’ strano che un’archeologa professionista, specializzata nella cultura materiale di epoca romana, abbia pensato di rileggere in senso pratico le ricette di epoca antica, quelle romane in particolare, ma anche quelle tramandate dai testi biblici e poi quelle medievali e rinascimentali. Tutto nasce dall’aver scelto agli inizi delle mie ricerche, come campo ufficiale di indagine, lo studio delle anfore, il container per eccellenza delle derrate alimentari nell’antichità. Lo studio tipologico di questi oggetti è di per se stesso appagante, ma la domanda che subentra dopo un po’ è molto più intrigante: “che cosa si sa del prodotto trasportato?”. Il passo immediatamente conseguente è stato quello di capire il significato sociale ed economico che tali prodotti avevano sull’iter quotidiano dell’uomo antico e come essi quindi venivano usati nelle cucine dell’epoca. Da anni opero in Veneto nel campo della cucina antica sperimentale, tenendo lezioni pratiche e conferenze, grazie all’aiuto validissimo sia scientifico che umano di amici come la prof. Grazia Presti, il dott. Leonardo Allegretta, Maurizio Refini il mio personale mediatore di sapori ed assaggiatore, e a quello di ristoratori estremamente interessati alle risorse storiche che proponiamo. Il Convegno di Archeologia Sperimentale tenutosi a Villadose il 28 agosto 1999, durante il quale ho tenuto la relazione alla quale si riferisce il titolo sopra indicato, mi ha concesso l’opportunità di porre l’accento su alcuni problemi che lo sperimentatore attuale può incrociare nella realizzazione dei piatti antichi. Questi problemi fondamentalmente sono: * diversità nel modo di cottura * diversità dei mezzi di cottura * diversità nella qualità degli alimenti, sia di base che già lavorati almeno parzialmente; ed ancora * mancanza al giorno d’oggi di determinati tipi di alimenti; infine, parte non trascurabile per chi tenta di ripetere esperienze tramandate da fonti che sono state considerate fino a poco tempo fa solo “mezzo letterario” * mancanza dell’indicazione delle dosi alla quale si può sopperire solo con vari tentativi di carattere pratico. Cosa si mangiava sulle tavole di epoca romana? Per rispondere adeguatamente bisognerebbe parlare diffusamente sia dei prodotti che degli uomini stessi dell’epoca, dei loro gusti e soprattutto delle tecniche della coltivazione e dell’allevamento, dei circuiti commerciali, dei modi di conservare, cucinare, preparare gli alimenti. Va tenuto presente che tutte queste componenti differivano da regione a regione, e che si sono poi evolute nel tempo. La comparazione tra i testi scritti giunti sino a noi e le multiformi testimonianze artistico-archeologiche - dalle raffigurazioni a mosaico e dalle pitture parietali a tutti gli oggetti della cultura materiale quotidiana- offre l’immagine di una cucina e di una alimentazione polimorfa. Le abitudini alimentari quotidiane furono (*) Archeologa del CeDi Centro Beni Culturali e Ambientali 312 improntate sui fabbisogni energetici e sulle direttive igienico-sanitarie di una popolazione eterogenea e molto attiva, dalle basi prettamente contadine che in alcune occasioni (erano o no i padroni del Mediterraneo?) si coloravano di esotico. Di questo si lamenta Plinio il Giovane quando racconta che l’amico che aveva invitato a cena, allettandolo con lattuga, lumache, uova e zuppa d’orzo accompagnate da vino mielato, lo aveva tradito preferendo un comune conoscente che aveva offerto ostriche, frutti di mare, maiale mentre alcune danzatrici ballavano alla maniera di Gades, cioè il paleoflamenco (Plinio, Epistole, I, 15). DIVERSITA’ NEI MODI DI COTTURA La cucina, che divenne un locale a se stante sotto l’influenza della cultura greca (prima era collocata nell’atrio delle case), era il regno dell’acqua e del fuoco. Era sottoposta alla protezione di Vesta, dea del fuoco, e dei Penates, i geni tutelari delle scorte alimentari. Nelle regioni con un clima accettabile la cucina era situata in una corte interna della casa, risolvendo così il problema del fumo; nelle zone temperate il locale era al chiuso, anche se dotato di varie aperture e di una canna fumaria. L’angolo cottura era costruito in muratura nell’angolo tra due muri; aveva una lunghezza di oltre un metro ed una larghezza tale da consentire il posizionamento di più pentole, tutte comunque facilmente raggiungibili allungando le braccia (80 centimetri circa). Sul piano di cottura venivano stese le braci e le ceneri calde, perchè i cibi venivano cotti non direttamente sul fuoco ma grazie appunto alle braci, poste sotto dei treppiedi sui quali veniva appoggiata la pentola, o alla cenere calda che veniva continuamente rinnovata, la quale avvolgeva completamente i contenitori. Il combustibile, la legna, non bruciava nel focolare, ma in un forno apposito posto nelle vicinanze, dove venivano preparati il pane, gli arrosti ed i dolci. Riproporre oggi delle pietanze cucinate sulle braci o sotto la cenere calda non pare più fattibile del tutto: le cucine attuali sono ali- Fig. 1) Angolo cottura della cucina dei Vetti a Pompei. A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana 313 mentate a gas, che rende i tempi di cottura molto più limitati e molto più frettolosi per la commistione dei vari insiemi da cucinare, rendendo oltretutto l’operatore estremamente attento sui tempi della resa parziale e definitiva del piatto. Pane alla ricotta (Libum: Catone, De agr., LXXV) gr 400 di ricotta gr 100 di farina 00 1 uovo sale quanto basta secondo i propri gusti Usando un frullatore (l’antico mortaio con pestello manuale) sciogliere la ricotta e quindi aggiungere l’uovo intero. Salare leggermente. Quindi unire un po’ per volta la farina continuando a frullare. Salare definitivamente. Non preoccupatevi se l’impasto risulta “tenero” ed appiccicoso: non aggiungete farina oltre quella indicata. Accendete il forno a 180°. Sulla teglia del forno create un cerchio Fig. 2) Libum cotto su foglie di alloro sopra una tegola. pieno con le foglie di alloro e spruzzatelo con olio di oliva. Versate sulle foglie il preparato, dandogli una forma circolare ed un’altezza di circa un centimetro. Tracciate sulla superficie due tagli incrociati ed infornate. Lasciate cuocere per circa 25 minuti e corroboratevi col profumo emanato dall’alloro: vi sembrerà di essere sull’Olimpo. Il pane può essere mangiato tiepido oppure freddo; si accompagna molto bene al formaggio all’aglio (moretum; vedi oltre). Tutti i tipi di pane, prima di essere infornati, venivano “segnati” con un taglio ad X, che permetteva poi di spezzarlo con le mani, perchè questo cibo non doveva mai essere toccato da una lama tagliente. Anche il fuoco non doveva mai essere attizzato con una lama, perchè era considerato una cosa vivente e come tale doveva essere rispettato (Legge delle XII tavole: metà V sec. a.C.). 314 DIVERSITA’ DEI MEZZI DI PREPARAZIONE E DI COTTURA Indispensabile per ottenere la farina necessaria per preparare soprattutto il pane era la macina manuale ad andamento rotatorio, della quale ancor oggi si possono trovare durante gli scavi archeologici o nelle sale espositive dei musei le varie parti. Era un tipo di macina che poteva essere usata facilmente da una persona singola e quindi trovava posto in quasi tutte le cucine di epoca antica. I semi venivano immessi nell’apertura in alto e venivano macinati con l’attrito creato tra la parte superiore, mobile, e quella inferiore, fissa, della “macchina” che veniva azionata con una manovella. Se non si aveva una macina in dotazione il cereale poteva essere portato in un mulino pubblico, dove si lavorava non solo la farina destinata alla vendita sui mercati e alle elargizioni gratuite ma anche quella di privati cittadini. Le macine da grano in pietra furono oggetto di un fiorente commercio via mare in tutte le epoche antiche. Il requisito richiesto era che non si sgretolassero facilmente con l’uso finendo nella farina; per questo erano molto ricercate le pietre di origine vulcanica, come quelle delle Sporadi, di Pompei, dell’Etna. Un altro attrezzo indispensabile fu il mortaio, dalle dimensioni, e quindi capacità, variabili, che poteva essere fissato ad un supporto rigido oppure essere mobile e quindi riposto quando non serviva (spesso i mortai in terracotta presentano un manico forato all’estremità che serviva per appenderli ad un chiodo alla parete). Il mortaio era fabbricato in marmo, pietra, terracotta. L’interno degli esemplari in terracotta è di solito rivestito con pietruzze, che rendono la vasca una grattugia. Con appositi pestelli vi si trituravano ed amalgamavano cereali, olive, erbe aromatiche, spezie, formaggi. E’ evidente che oggi tutta questa “fatica” ci è risparmiata da un lato dalla possibilità di reperire gli ingredienti già confezionati all’uopo, dall’altro da un’attrezzatura elettrica sofisticata che ha completamente eliminato qualsiasi azione fisica che vada oltre il semplice affettare in porzioni adeguate alla capienza del cestello del frullatore. Devo sottolineare però, per esperienza personale, che gli ingredienti pestati in un mortaio mantengono più a lungo il loro gusto “personale”, anche se poi amalgamati, forse perchè il risultato è “grossolano” rispetto a quello ottenuto con un frullatore. Formaggio all’aglio (Moretum: App. Virg., 85-117) gr 200 di ricotta gr 100 di pecorino fresco 3 spicchi di aglio olio di oliva aceto a piacere coriandolo in polvere pepe macinato al momento qualche foglia di mentuccia Fig. 3) Si macina del grano per ricavare farina da pane. A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana 315 Fig. 4) Il moretum, formaggio amalgamato con aglio, erbe aromatiche, olio ed aceto. Frullate gli spicchi di aglio e la mentuccia. Aggiungete i formaggi tagliati in piccoli pezzi. Quando vi sembrerà che il composto sia divenuto troppo “rigido” aggiungete un abbondante filo di olio. Frullate. Unite un cucchiaio di aceto (rosso) e continuate ad amalgamare finchè non ottenete un composto abbastanza fluido. Se ciò non avviene ancora, continuate ad aggiungere olio (a filo) ed aceto (in proporzione di mezzo cucchiaino alla volta). Infine amalgamate, se volete, il coriandolo ed il pepe. E’ ottimo spalmato sul pane alla ricotta (vedi sopra). Non vi preoccupate per l’alito “all’aglio”; di solito tutti i commensali sono attirati da questa crema da spalmare sul pane. Inoltre garantisce una buona digestione. LE PENTOLE La batteria da cucina era assai varia ed in buona parte corrispondente a quella dei nostri giorni. Il pentolame era realizzato molto spesso in metallo, perchè più resistente e durevole anche se costoso (e le pentole recano i segni di antichi rappezzi proprio per poterle utilizzare ancora), ma soprattutto perchè era lavabile con più facilità. Molto più semplicemente era fabbricato in terracotta. Il costo di una di queste pentole si aggirava su 1-2 assi. Venivano conservate impilate una nell’altra in scaffali od armadi, oppure venivano appese alle pareti. Alcuni tipi di pentole: Olla a due anse: veniva usata per cucinare carni come la porchetta Olla senza anse: usata per cucinare bolliti o minestre. Era anche detta pultarius, perchè serviva per preparare la puls, il piatto tradizionale del centro Italia romano, e cioè una farinata di farro cotta in acqua salata con fave, lenticchie, cavolo, cipolle. La puls era definita insipida dagli stessi latini, nel momento in cui veniva paragona- 316 Fig. 5) Pultarius, olla senza anse, e tegame a vernice rossa interna. ta alle abitudini alimentari della Grecia. Si trattava però solo di una crisi di identità del rude contadino-soldato latino nei confronti del popolo greco -da lui peraltro assoggettato- che sapeva preparare cibi raffinati e che con il symposium aveva creato un momento particolare di aggregazione umana. Tegame a vernice rossa interna senza manico: serviva per cuocere il pane nel forno; la pellicola interna aveva una funzione antiaderente. Tegame con manico cavo: era chiamato sartago e serviva per cucinare salse o fritti; era provvisto di un lungo manico di legno che veniva innestato nella presa cava di terracotta. Era prodotto soprattutto nell’isola greca di Egina. Casseruola: detta caccabus, era la pentola più diffusa ed usata; il ricettario di Apicio la nomina spesso quando deve consigliare la stoviglia nella quale cucinare il pulmentum, la pietanza. In genere serviva per cuocere a fuoco lento. Olla a fondo forato: serviva per cuocere a vapore carne e verdura; di solito veniva collocata in un’altra pentola dove bolliva dell’acqua. E’ risaputo che cucinare nella terracotta esalta il sapore dei cibi. Tuttavia è altrettanto normale che oggi si preferisca per comodità, pulizia, tenuta nel tempo, la pentola antiaderente. Essa permette di dimenticare per un po’ di tempo quello che si sta cucinando. E’ evidente che questo comportamento in molti casi è controproducente se si tenta di ripetere un’antica ricetta romana, perchè in un unico piatto confluiscono ingredienti molto diversi tra loro che vanno controllati accuratamente durante la fase di cottura. Crema di cereali e fagioli (Puls fabata: Plinio, 18, 117-118) gr 250 di farro (o di orzo) in grani gr 100 di fagioli con l’occhio gr 20 di prosciutto affumicato o di speck 1 cipolla olio di oliva sale Fig. 6) Caccabus, casseruola ansata. A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana 317 Far rinvenire il farro (o l’orzo) ed i fagioli (se secchi) in acqua separatamente per un paio di ore. In una casseruola rosolare la cipolla e lo speck in poco olio di oliva. Aggiungere il farro (o l’orzo) e lasciare che questo prenda sapore senza aggiungere acqua per una decina di minuti. Coprire quindi con acqua e lasciar cuocere per circa 20 minuti. Nel frattempo salare quanto basta. Aggiungere i fagioli scolati (se secchi) e regolare il livello dell’acqua in modo che la minestra non si asciughi troppo. Dopo 15 minuti assaggiare per regolare il tempo di cottura (i fagioli non devono essere spappolati) ed il sale. Servire con fette di pane duro o tostato. Alla zuppa possono essere aggiunti aglio, sedano, carote. L’unico phaseulus del vecchio mondo era il dolichos o fagiolo dall’occhio, originario delle regioni tropicali dell’Asia e dell’Africa. Nell’antichità era considerato un alimento poco pregiato. I nostri fagioli attuali si diffusero in Europa dopo la scoperta dell’America. Il farro fu il cereale preferito dal popolo latino per almeno 300 anni (Plinio, XVIII, 62). I suoi chicchi, trebbiati durante l’inverno, venivano tostati prima di essere macinati: in questo modo risultavano più digeribili. Dalla macinatura si ricavava un semolino che era la base per preparare creme, polente, ripieni e gallette (le tractae); caratteristica era la puls, minestra densa fatta con semolino di farro ed ortaggi scelti a piacere, piatto tradizionale e simbolo della cucina romana. L’orzo era già conosciuto in Lazio nel VI-V a.C., ma rimase un cereale di secondo ordine rispetto al farro. I Romani erano definiti dai Greci “mangiatori di puls” (Plauto, Poenulus, 54); a loro volta i Romani ricambiavano la cortesia definendo il popolo greco “colui che mangia orzo” (Plinio, XVIII, 83-84). Gli utensili erano assai vari e rassomigliano molto a quelli ancor oggi in uso, specie i mestoli in legno a cucchiaio o a forchetta. Si usavano anche coltelli di varia foggia, grattugie, taglieri, mezzelune, aste per spiedi, schiaccianoci, stampi per dolci o per “terrine”, co- Figura 7: Roma, bottega di granaglie 318 perchi termoprotettivi (clibanus) che grazie alla cavità fra parete esterna e parete interna trattenevano a lungo il calore convogliandolo uniformemente (assomigliano molto alla “campana”, lanciata sul mercato da una nota casa di elettrodomestici alla fine degli anni ‘70, per cuocere la pizza direttamente sul fornello), imbuti, colini. Il fabbisogno giornaliero di olio veniva ricavato quasi artigianalmente schiacciando una certa quantità di olive nel mortaio della cucina. Le olive venivano conservate in salamoia. L’olio non era tuttavia l’unico elemento usato per condire, amalgamare e cuocere. Ad esempio, nei pani e nei dolci era più usato lo strutto (il burro era conosciuto, ma veniva adoperato soprattutto come medicamento). Parlando di olio di oliva, si usavano per friggere ad esempio garum/olio/vino; garum/acqua/aceto/olio; e ancora garum/miele/olio, mai olio da solo. Il costo in epoca romana di un chilo di olio di oliva corrispondeva alla paga giornaliera di un operaio, cioè a tre sesterzi. Il sale non veniva usato in cristalli come al giorno d’oggi, ma veniva sciolto preventivamente in un liquido ed aromatizzato a piacere. Pare che in epoca romana la dose giornaliera procapite di sale fosse di circa 19 grammi (contro i 6 raccomandati di oggi); va ricordato che la dieta romana prevedeva essenzialmente alimenti ricchi solo di sali di potassio (le verdure), per cui era giocoforza integrare queste risorse con un apporto nutrito di cloruro di sodio. Componente molto usata nella preparazione di piatti sia salati che dolci era il miele; esso veniva anche usato per conservare cibi come la carne, ed entrava nella composizione di alcune bevande come il mulsum (mosto o vino corposo mescolato al miele) e l’idromiele (dove il miele veniva unito all’acqua piovana decantata). La canna da zucchero venne diffusa dagli Arabi tra il X e XI sec. d.C. In epoca antica il miele migliore era quello cretese, anche se le fonti parlano in modo favorevole di quello prodotto a Ostiglia. POSSIBILITÀ DI ACQUISTO DEL CIBO Penso che iniziare da un fax-simile di listino prezzi di età romana possa giovare ad una maggiore comprensione sulle vettovaglie richieste quasi quotidianamente da un nucleo familiare e per comprendere il valore di acquisto possibile dello stesso. I secolo d.C. * kg 8.5 di grano da trasformare in farina: 3 sesterzi * kg 1 di olio di oliva 3 sesterzi * 1/2 litro di vino DOC 4 assi * 1/2 kg di pane confezionato 1 asse * 1 pentola/1 piatto 1-3 assi * 1 mulo 520 sesterzi * fieno per un mulo 2 assi * paga gionaliera di un operaio 2-4 sesterzi * costo della spesa giornaliera di un nucleo familiare di tre persone 6 sesterzi III secolo d.C. 100 denari 30 denari 7000 denari A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana LE COMPONENTI ALIMENTARI L’immagine che ha lo sperimentatore attuale di ricette di epoca romana è quella di un’alimentazione e di una cucina a base essenzialmente vegetariana, modulata secondo la formula del piatto unico, per cui la verdura andava cucinata con l’arricchimento a piacere di uova, farina, carne, pesce, salse particolari. In questo capitolo dedicato ai vari alimenti usati nelle cucine di epoca romana, vorrei sottolineare come noi oggi non abbiamo più nozione di molti alimenti e come il nostro mercato offra solo determinate scelte oculate ed incanalate verso un sempre più rapido monotematismo. Molte specie non sono più coltivate e si affida l’approvvigionamento a poche razze selezionate. La farina da pane o da “zuppa” (semolino) venne ricavata, fino all’introduzione di specie di grano già selezionate soprattutto in Italia meridionale ed Africa, da cereali coltivati da tempo localmente, farro - miglio - orzo. Venivano preparati pani al latte, all’uovo, al miele, all’olio e con canditi e uva passa (chissà perchè quest’ultimo rassomiglia tanto al nostro panettone). Alcune ricette prevedono la “polenta”, che era preparata soprattutto con farina di orzo, visto che il mais giunse qualche tempo dopo dal continente americano (assieme al pomodoro, al peperone/ peperoncino, alla patata, al fagiolo, al girasole). Le ricette di epoca romana presentano sempre una forte componente a base di verdure di vario genere. Il companatico (termine creato nel medioevo per indicare il cibo che accompagnava il pane) veniva circondato da una commistione di erbe aromatiche e verdure variamente amalgamate e miscelate. Tutto ciò che si poteva ricavare dalla terra veniva distinto, nella terminologia latina in: * frumenta i cereali * legumina le piante di cui si mangiano i grani * holera le piante di cui si mangiano la parte verde o la radice La verdura fondamentale in epoca romana fu il cavolo, del quale sono state tramandate le cinque qualità migliori (Cuma, Pompei, Ariccia, Abruzzo, Sabina); esso serviva ad esempio per guarire l’ulcera, ma anche per cicatrizzare ferite esterne. Cavolo crudo macerato (secondo quanto raccontato da Catone, ma senza una precisa ricetta) 1 cavolo aceto quanto basta acqua Lavare bene il cavolo mantenendo le foglie più tenere. Tagliarlo a spicchi che andranno posti in una zuppiera abbastanza profonda. Coprire con una miscela di due parti di aceto (rosso o bianco a seconda dei gusti) ed una di acqua; gli spicchi devono essere completamente a bagno. Lasciar macerare per circa 24 ore. Servire a freddo con sale a parte da mettere a seconda del gusto personale. 319 320 Il cavolo presentato nella ricetta era considerato un’ottima prevenzione contro i postumi di una cena abbondante e di una bevuta “ufficiale”: a fine pasto l’impressione doveva essere quella di non aver mangiato e soprattutto bevuto nulla (Catone, De Agr., 156, 157). Le radici commestibili erano ampiamente coltivate soprattutto perchè si potevano conservare durante l’inverno: rape, carote (pastinache), ravanelli, cipolle, aglio, porri (quelli di Ariccia erano famosi). A proposito della cipolla, Marziale dice che era l’unica consolazione (mangereccia) rimasta ad un uomo con la moglie vecchia e poca vitalità personale (Ep., XXXIV) Porri in salsa (Porros: Apicio, III, 10,1) 6 porri grossi 1 litro di acqua salata nella quale vanno versati 2 cucchiai di olio di oliva Salsa 1/2 bicchiere di olio di oliva sale secondo il gusto 1/2 bicchiere di vino rosso normale Lessare i porri nell’acqua salata. Scolare. La salsa si prepara mescolando accuratamente l’olio col vino ed il sale. Tagliare i porri a rondelle, coprirli con la salsa e servire preferibilmente tiepido. Ed ancora i bulbi di gladiolo venivano ridotti a farina e così servivano per preparare pane; quelli di asfodelo venivano cotti sotto la cenere calda e venivano conditi poi con olio e sale. Inoltre piacevano molto gli asparagi, che dovevano essere più in carne di quelli odierni considerando il fatto che quelli di Ravenna pesavano quasi 400 grammi l’uno, ed i funghi, soprattutto di albero, che prevedevano una cottura in miele ed aceto. Funghi in tegame (Boletos aliter: Apicio, VII, 15, 6) 1 kg di funghi misti 1 giro di olio quanto basta per ungere il fondo della casseruola pepe macinato al momento 1 cucchiaio di miele 1 cucchiaino di aceto sale a seconda del gusto Dopo averli puliti e lavati accuratamente, i funghi vanno tagliati in quarti e cucinati in una casseruola con l’olio di oliva ed inizialmente poco sale. A metà cottura aggiungere il miele, altro sale se necessario e l’aceto. Il tempo di cottura è di circa un’ora. Poco prima di togliere la pentola dal fuoco, spolverare i funghi di pepe macinato al momento. Servire caldo. A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana 321 Molto usate erano la lattuga, la cicoria, il crescione, il cetriolo nella varietà rampicante, la malva (che veniva mangiata in insalata o bevuta come infuso per alleviare i malesseri derivati da una cena succulenta), la menta, la mentuccia, il carciofo di cui si conoscevano otto varietà (tra le quali anche quelle di Cordova e di Cartagine), la zucca (la cucurbita; la cocuzza a frutto grosso giunse dall’America nel 1600). Tra i legumi si conoscevano e si cucinavano ad esempio le lenticchie, i piselli, le fave, i ceci (che costavano più dei piselli), le cicerchie, il dolichos o fagiolo dall’occhio .Verdure e legumi servivano per preparare zuppe, minestroni, Fig. 8) Zucca (mosaico, Tunisia, III d.C.). sformati che potevano essere addensati con uova o pasta di farina sbriciolata divenendo così dei pasticci o delle fricassee. Indispensabili erano le erbe aromatiche e le spezie, che venivano usate soprattutto fresche per preparare le salse di accompagnamento alle pietanze. Il termine latino usato per indicare la salsa è ius, cioè una mescolanza, un guazzabuglio in senso ironico, ma anche “la legge” approvata, esecutiva. Venivano coltivati per scopi culinari mirto (che costava più del pepe di importazione), alloro, aneto, anice, sedano, finocchio, maggiorana, coriandolo, cumino, prezzemolo, salvia, menta, origano, timo. Si importavano pepe, sesamo, noce moscata, zafferano, chiodi di garofano, cannella, cardamomo (oggi un componente del curry), curcuma (zafferano orientale) dall’Africa e dall’Estremo Oriente. Cina e Malesia nella prima età imperiale erano collegate commercialmente al Mediterraneo da una via terrestre, quella della seta che venne riscoperta qualche secolo dopo dai Polo di Venezia, e da due rotte marittime, quella dell’incenso (da Ales- 322 sandria d’Egitto lungo il mar Rosso e poi l’Oceano Indiano fino ai porti occidentali dell’India) e quella del cinnamomo (dalle coste dell’Africa presso Madagascar verso l’isola di Giava utilizzando il monsone). Anche la frutta, come i prodotti della terra, genericamente definita in latino poma, veniva distinta in * malum tutto ciò che al suo interno ha semi o noccioli * nux tutto ciò che è rivestito da un guscio Si mangiavano mele (le fonti citano le 32 varietà principali), pere (34 varietà), fichi (44 varietà), uva, pesche (originarie della Persia), melograne (Tunisia), albicocche (Armenia), ciliege (Medioriente), angurie, meloni (Africa), datteri (dai quali si ricavava anche un vino Fig. 9) Cesto di fichi (pittura parietale, villa di Oplontis). particolarmente lassativo), pistacchi, pinoli, mandorle (che nella cucina romana venivano usate nel ripieno per la lepre e nelle salse per il cinghiale), castagne (che venivano mangiate bollite perchè più digeribili), more, nocciole, prugne. In epoca romana non esisteva l’allevamento di bestiame da macello come noi lo intendiamo oggi. I bovini e gli ovini, in quanto aiuto insostituibile nei lavori agricoli e per la produzione di latte e lana, non potevano essere uccisi per scopi alimentari se non in tarda età. Per questo motivo la loro carne, un po’ stagionata, veniva sempre bollita più volte, anche nel latte, prima di essere eventualmente arrostita o passata allo spiedo. L’unico animale che venne allevato per scopi alimentari fu il maiale (che in realtà cresceva allo stato semilibero nei boschi; in epoca tardo antica le proprietà terriere tenevano conto delle boscaglie nella misura di quanti maiali potevano nutrire spontaneamente). Gli esemplari più richiesti erano quelli emiliani o in generale quelli dell’Italia del nord. A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana Maiale in salsa di vino (In porcello lactante: Apicio, VIII, 7, 17) 1 carrè di maiale 1 bicchiere di olio di oliva 2 tazze di brodo (anche di dado) 1/4 di litro di vino rosso corposo 1/2 bicchiere di aceto rosso 1 cucchiaio di pepe macinato al momento Rosolare in una casseruola il maiale nell’olio di oliva. Aggiungere quindi il vino rosso e l’aceto. Lasciar sobbollire per circa 10 minuti, quindi versare nella pentola una tazza di brodo. Quando il liquido di cottura si sarà consumato all’incirca di metà aggiungere la seconda tazza di brodo. Tenere il fuoco moderato. Aggiungere infine il pepe e lasciar cucinare per altri 20 minuti a pentola coperta e fuoco sempre moderato. Attenzione al liquido di cottura: se vi sembra che stia evaporando troppo aggiungere ancora 1/2 tazza di brodo. Anche nel caso della carne, la terminologia latina è molto precisa nel definire i modi di cottura: * assus arrosto: tutto ciò a cui è stato tolto il liquido * elixus bollito: tutto ciò a cui è stato aggiunto un liquido * ex iure in salsa: il liquido di cottura resta una componente del risultato finale Si mangiava carne di pollo (anche se le galline erano soprattutto considerate le “fattrici” delle uova, per cui venivano tenute in vita il più a lungo possibile), di faraona, di oca (che veniva ingrassata con i fichi), di anatra, di colombo, di pavone, di fagiano, di coniglio (che veniva cacciato con il furetto; venne addomesticato solo nel Medioevo). Ancor oggi il consumo di carne di coniglio appare legato all’idea di cibo di tradizione, come antico retaggio familiare; infatti viene consumato preferibilmente a casa, in compagnia di parenti e amici ed è considerato un cibo “pulito” e facile da preparare. Le uova erano molto usate, soprattutto quelle di pavone, di oca ed infine di gallina. Entravano in quei piatti unici che prevedevano l’amalgama di elementi diversi, come carne, pesce, frutta, verdure (la patina). Tra la selvaggina la carne più ricercata e pagata profumatamente fu quella del cinghiale. Venivano anche cacciati il cervo, il daino, la lepre (che costava quattro volte di più del coniglio). Esistevano anche dei veri e propri allevamenti di lumache che venivano mantenute a vino cotto e farina. Il pesce era conosciuto ed apprezzato in tutte le varietà marine e di acqua dolce. La letteratura dell’epoca cita 260 specie di pesce ricercato per la cucina. Qualche rapido esempio: il sarago di Brindisi; lo storione di Sorrento; le murene di Messina, le triglie, i rombi, le sogliole della Campania; ed ancora il tonno, gli sgombri, le sardine, i polipi, le rossette, i calamari, le anguille. 323 324 Particolarmente apprezzati i molluschi ed i crostacei marini, come le ostriche del Circeo o del lago Lucrino, il pettine di Mitilene, i murici ed i ricci di Corcira e della Tracia. Polpette di calamari (Esicia de lolligine: Apicio, II, 1,2) 1/2 kg di calamari possibilmente freschi sale pane grattuggiato olio per friggere Pulire i calamari eliminando i tentacoli (che però rendono le polpette generosamente più saporite). Lavarli ed asciugarli. Tritarli finemente e salarli. Formare delle polpettine grandi quanto un’albicocca e passarle nel pane grattuggiato. Friggere per circa 7 minuti, girando spesso, in olio abbondante finchè non assumono un colore dorato. Fig. 10) Varietà di pesci (mosaico, Napoli, fine II-inizi I a.C.). Il pesce veniva lessato, arrostito, fritto; veniva conservato lasciandolo seccare al sole o all’aria, oppure mettendolo sotto sale o in salamoia. Le salse di pesce furono la novità commerciale di epoca romana. Esse sono un condimento, non una salsa vera e propria, che veniva preparato lasciando marinare per circa un mese pesci a carni grasse (sgombri, sardine, anguille, salmoni) in sale marino ed erbe aromatiche (aneto, coriandolo, finocchio, santoreggia, ruta, menta, origano). Quindi si filtrava con un colino. Il primo ricavato era il garum, la parte migliore semiliquida. Le altre parti erano dette muria, hallec (simile alla nostra pasta di acciughe) e liquamen, forse una salamoia aromatizzata che il ricettario di Apicio nomina assai frequentemente. E’ un po’ difficile riproporre oggi questo condimento, soprattutto se si pensa di lavorarlo artigianalmente in casa. Esistono in commercio dei surrogati di produzione orientale, come il Nuoc-Mam vietnamita, che però non convincono del tutto dopo aver letto atten- A. Toniolo: La cucina degli antichi: esperienze e metodi nella realizzazione di alcune ricette culinarie di età romana tamente le ricette originali ed aver sperimentato la salsa di pesce sui fornelli di casa. L’unico consiglio che posso dare a questo proposito è di armarsi di santa pazienza, di una pentola alta e larga, di buon pesce pulito e tagliato in piccoli tranci, di sale grosso non raffinato e, se possibile, di mazzetti di erbe fresche. Lasciate sobbollire lentamente finchè la carne non si sarà sciolta. E’ evidente che non si otterranno le varie distinzioni ricordate dalle fonti, ma per lo meno avrete tra le mani un composto che potrete utilizzare nella preparazione dei piatti originari senza sentirvi in colpa per aver usato molto più banalmente solo del sale comune. La cucina di epoca romana è stata definita a lungo “decadente” ed i Romani stessi degli abbuffoni poco raffinati, sguaiati e maleducati. Questo grazie ad una letteratura, anche dell’epoca, che ha voluto ricordare solo avvenimenti eccezionali, portati come esempio esecrabile di un certo stile di vita (concesso in verità veramente solo a pochissimi). La realtà quotidiana fu molto diversa dai banchetti luculliani rimasti nella tradizione giunta sino a noi. All’atto pratico si ha l’idea di una cucina molteplice, curiosa, sperimentatrice di nuovi gusti. I due estremi rappresentati dal salato/piccante e dal dolce concedevano la possibilità di creare molteplici sapori intermedi. In parole povere infinite combinazioni culinarie. 325 326 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE AA.VV., Agricoltura e commerci nell’Italia antica, Roma 1995 AA.VV., Dal cortile alla tavola, Atti Seminario di Studi, Padova 15 ottobre 1999, c.s. AA.VV., Homo Edens, Verona 1989 AA.VV., Homo Edens IV. 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