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Nascere di nuovo - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVI n° 4 / 2012 Nascere di nuovo 1 SOMMARIO 3 Primapagina Da dove ripartire? 6 4 Ricominciare da un gesto d’amore Non basta condividere, occorre moltiplicare! 8 10 Un “big bang” del cuore “Dio fa sempre fiorire la vita” 12 14 Quando l’incontro ci cambia Un luogo per rinascere 18 Lettere da Romena 24 C’è musica che rinasce... 28 20 Il nostro Natale 26 Veglia - Prossime tappe 29 Graffiti trimestrale Anno XVI - Numero 4 - Dicembre 2012 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - [email protected] Il giornalino è anche online su www.romena.it DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Raffaele Quadri, Massimo Schiavo FOTO: Daniela Guerrini, Piero Checcaglini, Stefano Reolon, Gloria Casati, Giuditta Scola Copertina: Piero Checcaglini Hanno collaborato: Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Luca Buccheri, Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati, Luigi Padovese Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 Ed eccola l’ultima scena. Tutto è avvenuto. Quasi duemila persone sono morte, un’intera comunità è stata sterminata. A Martina è rimasto solo un fratellino nato nel fragore del dramma, “l’uomo che verrà” che lei ha saputo salvare. Una bambina sola al mondo, senza voce, con un fagottino di vita in braccio. Nascere di nuovo. Come si fa? Guardiamola. Martina torna a casa. Sale senza fretta le scale, si affaccia nelle camere, scruta i letti disfatti, assorbe il calore delle impronte di chi non c’è più. Poi esce, distende i suoi occhi sulla sua campagna inondata di silenzio. Guarda tutto lentamente, non per appurare ciò che già sa, ma per conservarlo. Primo messaggio: per nascere di nuovo non si deve fuggire da se stessi. Martina ha milioni di motivi per separarsi da quel passato che getta sul presente ombre prepotenti, per allontanarsi da quelle assenze fresche della vita che c’era. Ma sta lì. Bisogna accettare: ecco cosa dice il suo sguardo che indugia lento sui luoghi amati. Il nuovo sorge sempre su ciò che siamo stati, anche se di quel passato restano solo macerie. Il piccolo ora piange, chiede calore. Martina lo stringe a sè. È solo una bambina, ma se ne prenderà cura. Quel bimbo è la nostra vita. Tutte le volte che ricomincia deve essere accudita senza condizioni. Un neonato non può sopravvivere se non ci dedichiamo a lui concretamente: così quando sentiamo nel profondo l’esigenza di un cambiamento dobbiamo muoverci senza esitazioni. Non è una questione di coraggio, ma di necessità. Ma attenzione a quello che accade ora: con naturalezza Martina intona una ninna nanna. La voce è tornata? No, la sua voce non se n’era mai andata. Era lì, in attesa. Torna ora perché ora è indispensabile, perché solo un canto può placare un pianto di bimbo. Ancora un messaggio: quando abbiamo accettato il passato, quando ci siamo mossi con gesti reali verso il futuro che ci attende, non possiamo che ritrovare la nostra voce interiore. La vita partorisce di continuo, ci dice Martina, partorisce sempre, anche in fondo alla più cupa delle tragedie. Bisogna seguirne il ritmo, accompagnarla in questa gestazione continua; è così che possiamo scoprire, passo dopo passo, la nostra identità. Scrive David Turoldo: “Lo spirito è il vento che non lascia dormire la polvere”. Un vento. Ecco cosa porta i germi del nuovo. Ecco con cosa possiamo soffiar via la polvere dei nostri immobilismi, delle nostre incertezze. Un vento, che soffia non fuori, ma dentro. Che ci invita ad aver voglia dell’oltre, a cercare sempre il prossimo passo. È a quel vento che Martina si affida, è su quel vento che appoggia lo spartito invisibile di una ninna nanna. È la fine del film. È il nuovo inizio della sua vita. Massimo Orlandi PRIMAPAGINA Martina ha otto anni. Martina non esiste. Martina è stata inventata, ma la sua vita è vera, riassume quella di tanti bambini. La sua fortuna è di esistere solo sulla celluloide, e in una storia che le permette di salvarsi. Martina è la protagonista de “L’uomo che verrà”, il film che racconta la strage di Marzabotto, nel settembre del 1944. Questa prima pagina è scritta da lei, è la scena finale del film. Al cuore della storia c’è la vita semplice di una famiglia contadina, c’è la terra, lievito e fatica. E c’è la guerra, il mostro, che si insinua. Immedesimarci in questo mondo è il dono del cinema e, in questo caso, il compito di Martina. Martina non parla, un trauma infantile le ha rubato la voce. Ed è con i suoi occhi che vediamo tutto, sono i suoi occhi che ci conducono verso quella deriva di dolore insopportabile. Da dove ripartire? Ricominciare, ripartire, rinascere. Mi piace il sapore fresco di queste espressioni. Ma per non farle alloggiare nel vuoto dobbiamo affidarle a un filo di inizio. E allora: da dove si riparte? Da cosa si ricomincia? Giovanni Vannucci ci dice che la prima cosa da fare è renderci terra fertile, cioè essere disponibili a farci penetrare da quei germi di novità che sono sempre presenti nella vita. I germi di novità che sento nell’aria e da cui vorrei ricominciare sono costituiti da gesti di bellezza e di tenerezza, sono intessuti di un amore speciale, quello di cui è fatto il perdono, e non appartengono a occasioni speciali, ma vivono della fedeltà al quotidiano. La bellezza e la tenerezza Papa Giovanni, in tempi di crisi della chiesa e del mondo, una sera dirà in una piazza gremita: “Guardate come è bella la luna stasera, tornate a casa e date una carezza ai vostri bambini”. Non c’è niente come quel discorso che sappia tenere insieme la bellezza e la tenerezza. La tenerezza è come una carezza che tocca senza prendere, che avvicina senza dominare. La bellezza è una forza viva, che sa congiungere gli estremi, come il sole del mattino e la falce della luna nella notte, che mescola in giuste proporzioni il finito e l’infinito. La bellezza e la tenerezza si abbracciano nei rari momenti di vita intensa, come quando si nasce, quando siamo innamorati o quando si muore, cioè ogni volta che siamo unificati, quando i nostri occhi sono impastati di lacrime e di luce. Per nascere di nuovo dobbiamo credere che l’ultima parola non appartiene all’interesse, al profitto, alla dura lotta quotidiana, ma a tutti quei gesti di tenerezza e di bellezza passati inosservati e che invece sanno tenere insieme il filo della vita. E il suo senso. Il perdono Ha un grande valore il perdono, se non si perdona la vita si blocca, non riesce più a scorrere. Ed è impossibile ricominciare davvero. Ma come si può arrivare a perdonare? 4 di Luigi Verdi Perdonare è innanzitutto capire. Capire non vuol dire giustificare, il male è male, capire è la misericordia che nasce da un cuore che conosce le proprie miserie, i propri dolori, i propri errori e che quindi riesce ad accogliere anche l’altro nella sua debolezza. Perdonare è anche non voler diventare come ciò che odiamo. Il perdono libera il cuore quando va oltre le ferite, quando non cerca la sconfitta dell’avversario, ma ha rispetto di quello che l’altro potrebbe essere e non riesce ad essere. Infine perdonare è riuscire a ringraziare chi ti ha ferito. È la cosa più difficile, ma la più liberante: nel suo testamento Bernardette di Lourdes dirà grazie a tutti coloro che l’hanno ferita perché quelle contrarietà l’hanno resa un’altra persona. Ciò che abbiamo di più bello sono tutti quei punti della nostra vita che in origine possono aver fatto molto male, ma coi quali abbiamo imparato a vivere e che si sono trasformati in sorgenti di comprensione e di bene. La fedeltà al quotidiano Come la manna che non poteva essere accumulata, anche noi dobbiamo rinnovare ogni giorno ciò che ci serve per vivere, cioè pane e amore. Ogni giorno dobbiamo vivere sapendo che in esso non vi è nulla di troppo, nulla di indifferente e di inutile, che dentro la vita c’è la sorgente che alimenta la sua creazione. Ogni giorno deve essere affrontato come un inizio, dove nulla è ancora deciso, dove ogni rischio è ancora aperto, dove ogni avventura è ancora indefinita. Bellezza e tenerezza, perdono, fedeltà al quotidiano. Sono queste le radici del nostro rinnovarci e nel rinnovarci dell’essere sempre più vicini a se stessi. Sono questi gli ingredienti di un’armonia interiore sempre rigenerata e rigenerante. L’armonia, infatti, non è questione di dosaggi, ma è la conquista di uno spazio umano di libertà e creatività nel quale nulla è scontato, nulla già visto e in cui tutto è proiettato in avanti, verso il futuro che ci attende.“Quello che so per domani – ha scritto Henry Dominque Lacordaire – è che la provvidenza sorgerà prima del sole”. Foto di Daniela Guerrini La volontà di ricominciare sempre costituisce il valore religioso della nostra piccola vita. Ernst Weichert Ricominciare da un gesto d’amore di Pier Luigi Ricci È possibile cercare di intervenire su se stessi, magari anche con qualche azione coraggiosa, per cambiare la propria vita. Ma quello che ha trovato il nostro Pier Luigi Ricci nella vita è che si rinasce davvero quando ci si occupa di qualcuno che non siamo noi. C’è un modo meraviglioso per nascere di nuovo: è fare in modo che qualcun altro lo possa fare. Se, pur dentro ad un mare di difficoltà e di paure, provi almeno per qualche momento a guardare fuori di te e ad occuparti di qualcuno, ti accade una cosa meravigliosa: rinasce da dentro l’energia, ti risenti vivo e presente, torni a camminare. È il miracolo della natura umana, è un segreto e una chiave sconvolgente, è quel calore che fa nuove tutte le cose. In assoluto questa è la strada maestra che porta verso la vita. Mi colpisce sempre tanto il vedere che in fondo chi si dedica agli altri, sia che lo faccia durante il lavoro che in momenti spontanei, molto spesso lo faccia per sostenere le proprie difficoltà e per aprire a se stesso nuove strade. Magari non se ne rende nemmeno conto fino in fondo e comunque fa bene lo stesso a farlo. Ma quando poi uno riesce a capirlo, a fare un balzo di consapevolezza e a dirsi la verità, si accorge di una cosa importante: che l’amore in fondo è un atto egoistico, che fa bene a chi lo fa. E questo fa cambiare ottica e ogni altra persona vicino a te da problema si trasforma in opportunità. E allora davanti a te si apre un mondo diverso e puoi incominciare ad accorgerti che oltre tante maschere di pesantezza e di antipatia, ci sono esseri umani che forse sono caduti a terra, che chi è aggressivo sta soffrendo di qualcosa che non riesce ad accettare, che chi sta facendo degli errori forse non riesce a reggere i propri vuoti. Se fai tuo questo punto di vista e cominci ad occuparti di qualcuno di loro, facendo qualcosa perché possa rinascere un cammino ed una speranza, in quel momento, anche se non lo sai, sei tu che rinasci per primo. L’amore non ha mai risultati certi, è come la mano del contadino che semina e come la pioggia che bagna la terra: non sai al momento cosa stia succedendo e forse non lo saprai mai: ma non puoi non esserti accorto di cosa sia successo dentro di te. Vorrei suggerirti tre cose da fare, perché tu possa nascere di nuovo, quando vorrai e quando tu ne avessi il bisogno: 6 1 - Riporta alla memoria un episodio in cui qualcuno, senza che tu te l’aspettassi o che te lo meritassi, ha fatto qualcosa per te. Ricorda il suo volto, rivivi quel momento, ripensa all’effetto che ti ha fatto. E se puoi vai a ringraziarlo, appena ti sarà possibile. Ma soprattutto sii consapevole di quanto sia stato importante per te, in certi momenti, l’aiuto degli altri, perché forse non ce l’avresti fatta da solo. Ciò che hai, ciò che sei non è frutto esclusivamente tuo. Qualcuno un giorno si è alzato per te, perché tu nascessi di nuovo. E forse oggi, quando sei tu ad alzarti, in fondo stai cominciando a restituire. 2 - Pensa a qualcuno che potrebbe aver bisogno di te. Non andare a cercarlo lontano, può essere lì a un passo e magari avere le sembianze di un rompiscatole o di uno che non vorrà mai farsi aiutare. A volte gli altri si lasciano toccare, anche se ti dicono che non vogliono e lo fanno se si sentono considerati e trattati con rispetto. Quando vai, non preparare prima cosa dovrai fare o vorrai dire, lascia che sia il cuore in quel momento a dettarti le parole e a guidare i tuoi gesti. Non aver paura di tremare o di non essere capito, tanto lui non ascolterà le tue parole, ma percepirà il tuo spirito. Ti potrebbe anche rifiutare, ma è lo stesso. Ogni cosa ha il suo tempo e questo lo devi sapere. Ma ogni nascita è impercettibile, è fatta di un lieve movimento e questo può accadere anche se tu non te ne accorgi. Non pretendere da te il risultato, lasciati andare e sii contento di essere lì: anche se non lo sai la vita rinasce per quel tuo gesto. 3 - Non ti aspettare un ringraziamento. Hai già ricevuto la tua ricompensa. E non fare il deluso se le cose non sono andate come volevi o se l’altro non ti ha dato un riconoscimento: l’amore non crea debiti, fa bene a chi lo fa. Anche se tu fossi arrabbiato hai già ricevuto la tua ricompensa: è vita, vitalità anche quella, è passione che si sprigiona. Quando stai tornando a casa, prova ad ascoltare ciò che ti sta succedendo, a sentire le tue fibre che rinascono, a percepire il tuo battito, ad assaporare quell’energia che sta scorrendo dentro di te. Si chiama nascere di nuovo. Foto di Giuditta Scola Dove si continua un sogno, si pianta un albero, si partorisce un bambino, là opera la vita, e si è aperta una breccia nell’oscurità del tempo. Hermann Hesse Non basta condividere, occorre moltiplicare! di Maurizio Maggiani* “Mi voglio rendere antipatico. Voglio salutarvi con un pensiero che vi roda il fegato”. Aveva appena finito di parlarci della bellezza e della tenerezza. Una riflessione bellissima. Ma Maurizio Maggiani aveva in serbo per noi un’ultima intuizione. Che non rode il fegato, piuttosto apre nuove, stimolanti strade.... Bisogna dar peso alle parole che si usano, rifletterci, guardarle una per una in faccia. Ne prendo una, di parola, di cui so che andate pazzi, anche qui a Romena, e che io invece guardo un po’ di sbieco, con sospetto. Questa parola è condivisione. “Siamo qui a condividere”. “Condividiamo questo momento”. Questa parola vi piace da impazzire, vero? A me, devo dirlo, mette invece un po’ di ansia. Riflettiamoci, con calma. È una parola fatta di due parti: con-dividere, dividere– con. Dite la verità: “dividere” vi sembra una bella parola? Quando sento la parola dividere, avverto come la sensazione di un coltello che taglia, di qualcosa che separa. Guardate il dizionario: dividere vuol dire tagliare, separare, sezionare, resecare. C’è, tra queste, un’espressione che vi piace? Non mi piace il “condividere”. Certo dividiamo insieme, ma è pur sempre un dividere. È un qualcosa che indica separazione, che significa averne poco comunque. Gli spagnoli, che sono più delicati, e usano molto più il latino di noi, dicono compartir, cioè fare parte-con. Già è più attenuato, già sarebbe meglio. Ma condividere... Pensateci bene. Se siamo insieme e se siamo davvero in tanti come adesso non è che dobbiamo condividere, noi dobbiamo moltiplicare. Se siamo qui, se abbiamo una spinta così forte che ci ha portati qui, non siamo qui per tagliare, ma per moltiplicare. Quando erano 5-6mila laggiù e c’erano cinque pani e due pesci cos’ha fatto Gesù? Non ha certo detto “andate e condividete”. Ha detto “andate e moltiplicatevi”. E allora, tutto ciò che riguarda bellezza e tenerezza non è da condividere, ma da moltiplicare. Certo, per moltiplicare siete chiamati a fare un miracolo. Se siete chiamati, e siete qui, è solo per fare dei miracoli. Perché per moltiplicare bellezza e tenerezza, come per moltiplicare pani e pesci occorrono dei miracoli. E non dite che non fate miracoli perché non siete quello là, quello là siete voi, l’ha detto Lui. Perciò non mentite e non trovate scuse: siete chiamati a fare dei miracoli. Ingegnatevi: fate dei miracoli! Non buttate via la condivisione. La condivisione serve. Se volete condividere con me vi dico cosa si può condividere: la colpa (se la condividete ce n’è un po’ tutti), la pena (se la dividete ce n’è un po’ meno per tutti), la malattia, la morte. Quella roba lì più la condividi e meno ce n’è per ognuno. Ma se c’è qualcosa di buono circa la vita, non limitatevi a condividerlo. Chiedete se potete, di moltiplicarlo. *Grande scrittore (è autore di libri bestseller come Il Coraggio del pettirosso) editorialista, affabulatore, il 21 ottobre scorso Maggiani ha partecipato per la seconda volta quest’anno agli incontri organizzati dalla fraternità. Questo testo riproduce la parte finale del suo intervento. La registrazione integrale dell’incontro si può ascoltare o scaricare alla pagina podcast di www.romena.it 8 Foto di Gloria Casati Le sole rivoluzioni creatrici della storia sono nate dalla trasformazione dei cuori. Olivier Clement 9 Un “big bang” del cuore di Marina Marcolini* Accade non a caso, non per una ragionata adesione, ma come un “folgorante innamoramento”. Il racconto di una conversione, di una rinascita, di una rivelazione: l’incontro con un Dio che si fa piccolo, come un neonato. Mi ha sempre affascinato la storia di Pascal, che teneva cucita nella piega del vestito una piccola pergamena, scoperta solo dopo la sua morte, dove conservava con amorosa cura parole scritte al momento della sua improvvisa conversione. Aveva annotato lì l’emozione provocata da un’esperienza indimenticabile: un incontro personale con Dio, che fu per lui non solo una svolta esistenziale, ma una vera e propria folgorazione, in grado di trasformare profondamente la sua vita, così com’era successo a Paolo. Queste conversioni improvvise e violente, cioè con la percezione di un’irruzione nella propria vita di un Altro da sé, non sono facili da comunicare, da tradurre in un discorso: tutto infatti si gioca nell’attimo in cui avviene qualcosa di totalmente nuovo che colma di stupore chi le vive. Da quel momento in poi la propria vita apparirà come suddivisa da uno spartiacque, che separa un prima e un dopo, quasi due persone diverse. Un big bang scoppiato nel silenzio del cuore. Paolo racconta di una luce accecante e poi della fatica di tornare a vedere. Perché l’irruzione di Dio in una vita la sconvolge e tutto quello che credevi prima appare ora diverso e ti sembra per un po’ di essere cieco. Anche la mia non è stata una conversione a tavolino, una ragionata adesione a un credo, ma un folgorante innamoramento. Un giorno di 8 anni fa è successo qualcosa che mi ha fatto rinascere a una vita nuova. Quello che ho provato quel giorno è stata una cosa grandiosa e inaudita ma al tempo stesso semplice e familiare, piccola e umile, fatta di silenzio sottile, dell’alito della mangiatoia. E non era una cosa “dell’altro mondo”, oppure sì ma solo nel senso in cui possiamo dire che sembra venire da un altro mondo lo sguardo di un neonato che ci è vicinissimo: possiamo toccarlo, stringerlo, ma insieme profuma di mistero. È così anche quando siamo innamorati e proviamo emozioni che diciamo ce- lestiali perché non ci sembrano di questa terra. Quel giorno non solo ho scoperto che Dio esiste, ma l’ho trovato molto diverso da come lo immaginavo. Non un Dio lontano, ma un Dio vicinissimo, da gustare. I mistici adoperano spesso metafore del gusto per parlare di Dio, un Dio buono non solo nel senso di misericordioso, ma buono come è buono un cibo, un vino, qualcosa di cui si può fare esperienza e che dà bellezza e gioia alla vita. E così anche la Bibbia: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”. Il Dio cristiano, che credevo nemico della libertà e della felicità e scrivevo con la minuscola, mi è venuto incontro come Dio della gioia e della festa: il Dio di Cana, che intensifica la vita. Ho trovato tante conferme della mia esperienza in uomini e donne di tutti i tempi. Com’è l’uomo nuovo, l’uomo rinato alla nuova vita di Dio? Ha tante caratteristiche ma la più importante è questa: «soprattutto egli è felice, divinamente felice» (Evagrio Pontico). E Agostino scrive: «abbiamo disputato sulla felicità e non conosco valore che maggiormente si possa ritenere dono di Dio» (De beata vita). Fidati di me e non di te, dice Dio a Gabrielle Bossis, perché solo io voglio veramente il tuo bene, la tua felicità. Io non ho trovato un Dio da temere, da ubbidire, ma un Dio che si fa piccolo, da accogliere e accudire dentro di me, come si accudisce una nuova vita che cresce nel grembo, con tenerezza, amore, intelligenza, dandogli tanto di noi stessi. E piano piano il seme divino che cresce dentro di noi ci trasforma e ci fa sempre più simili a sé. Si avvia un progressivo cambiamento e si comprende che siamo esseri in continuo divenire, con un pulsare dentro, un assillo, che spinge a lasciare il vecchio e ad andare avanti. Come diceva Turoldo: l’uomo è un duomo, una cattedrale senza cupola, tutta da costruire. *Docente di letteratura italiana all’università di Udine, Marina Marcolini collabora con padre Ermes Ronchi come autrice della trasmissione televisiva di Rai Uno «Le ragioni della speranza». Ha di recente pubblicato per le Edizioni Paoline“Per voce di donna” e, insieme a padre Ermes “Le ragioni della speranza” , commento ai vangeli domenicali dell’anno C. 10 Foto di Marta Togni Primavera non bussa, lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura... che paura, che voglia che ti prenda per mano, che paura, che voglia che ti porti lontano. Fabrizio De André 11 “Dio fa sempre fiorire la vita” Intervista di Luca Buccheri Alberto Maggi è un teologo e biblista appassionato e sapiente; ha grandi intuizioni, e una notevole capacità di trasmetterle. Ma sul tema del “rinascere” abbiamo voluto interpellarlo anche in relazione a una sua vicenda personale: Alberto ha recentemente affrontato una durissima battaglia tra la vita e la morte. “Nascere di nuovo” è un tema caldissimo, per lui. Alla luce della tua recente esperienza di malattia, come risuona dentro di te la parola “rinascere”? I tre mesi trascorsi in terapia intensiva, tra la vita e la morte, sono stati una straordinaria esperienza che ha tanto arricchito la mia vita. Ho potuto ancora una volta toccare con mano che, anche in situazioni di morte, il Signore è capace di far fiorire la vita. Ha ragione Paolo quando, nella Lettera ai Romani, scrive “che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28). Siamo inseriti in un grande disegno di amore del Padre, c’è solo da restargli fedele anche quando le circostanze della vita non fanno percepire questo amore. Stando faccia a faccia per mesi con la morte (la sera chiudevo gli occhi senza sapere se poi li avrei riaperti il giorno dopo), ho potuto conoscerla meglio, e considerarla come un’amica e non come una nemica. Ho compreso perché Francesco la chiamava “sorella morte”: lei non veniva a togliermi la vita, ma a offrirla in pienezza, permettendomi, grazie a lei, di continuare in maniera definitiva e completa la mia vita. Sapendo di poter morire da un momento all’altro non mi consideravo un infelice, ma facevo mia l’ul- 12 tima beatitudine del Nuovo Testamento: “Beati i morti che muoiono nel Signore” (Ap 15,13), e questa beatitudine accompagna ogni momento della mia vita. Quale figura o immagine biblica ti fa venire in mente l’espressione “Nascere di nuovo”? Per gli evangelisti, quanti incontrano Gesù e lo accolgono come modello della propria esistenza, rinascono, diventano persone nuove. Due personaggi dei vangeli sono particolarmente significativi, il cieco nato di Giovanni (Gv 9) e il lebbroso di Marco (Mc 2,40-45). Il cieco nato, anonimo, è personaggio rappresentativo di quanti, vittime della religione, che inculca loro il senso di colpa e del peccato (“Sei nato tutto nei peccati!”, Gv 9,34), vivono nelle tenebre, senza poter scorgere la luce dell’amore del Creatore per le sue creature. Una volta che il cieco incontra Gesù e accoglie la sua parola, torna a vedere… ma non viene riconosciuto (Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia», Gv 9,9). Sembra strano che le persone non riconoscano chi era stato cieco. Non si erano cambiati i suoi connotati, semplicemente era tornata la luce negli occhi. Quel che meraviglia non è un cambiamento fisico, ma la profonda trasformazione interiore dell’individuo. Quando una persona ritrova libertà e dignità, diventa una persona nuova, pur rimanendo la stessa. Plasmato col fango di Gesù, il cieco è un uomo nuovo, creato a sua immagine e somiglianza, è unto come Gesù. È l’uomo con condizione divina, “l’uomo nuovo creato a immagine di Dio” (Ef 4,24), uomo libero, che non viene riconosciuto dai sottomessi. L’altro personaggio è il lebbroso. Considerato colpevole della sua condizione in quanto punito da Dio per i suoi peccati, è emarginato dalla società e dalla religione. Il lebbroso ha perso tutto: la famiglia, gli amici, il lavoro, l’onore, e ha perso anche il conforto che poteva venire da Dio poiché considerato impuro, non si può neanche rivolgere al Signore. La sua situazione è disperata: è impuro, l’unico che potrebbe togliergli la sua impurità è il Signore, ma lui poiché impuro non si può rivolgere al Signore… una dottrina spietata che getta le persone nella più profonda disperazione. Poi il lebbroso incontra Gesù… Lui sa che non è degno di avvicinarsi a Gesù, ma il Signore lo tocca, e la lebbra scompare e con essa la traballante teologia di scribi e farisei, la dottrina del merito. Non è vero che l’uomo deve essere puro per accogliere il Signore, ma è vero il contrario: è accogliere il Signore quel che rende puro l’uomo. Il Dio di Gesù non guarda i meriti delle persone, ma i loro bisogni. Non è attratto dalle loro virtù, ma dalle loro necessità; non concede il suo amore come un premio, ma come un regalo. egoismi, chiusure e tutto quel che non è in sintonia con l’amore generoso che il Padre comunica. L’uomo che ha accolto la Parola diventa lui stesso benedizione divina per quanti incontra, diventando lui stesso collaboratore all’azione creatrice del Padre. In che modo la Parola di Dio può aiutare a “far rinascere” la vita? Gesù paragona la sua parola a un seme (Mc 4,129). Quando la parola trova un terreno accogliente, senza ostacoli, comincia a mettere profonde radici che cambiano la vita della persona, la trasformano, e l’individuo assiste, con sorpresa crescente, alla fioritura della parola nella sua vita, a un frutto abbondante e straripante di energia vitale. Forza vitale che crescendo, ed espandendosi, restringe fino ad annullare quelle tossine mortifere che potevano essere presenti: rancori, Lasciamoci con un augurio... È possibile essere pienamente felici, qui, in questa esistenza terrena. L’assicura Gesù. La felicità, infatti, non consiste in quel che si ha, ma in quel che si dà: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Donare non è perdere, ma guadagnare, perché, ci assicura Gesù, si possiede solo quel che si dona, quel che si trattiene non si possiede, ma ci possiede. L’augurio è che tutti siamo capaci di dare: tanto più grande sarà il nostro dono quanto più grande sarà la risposta del Padre nella nostra vita. Auguri! “Nascere di nuovo” è collegato alla gioia? La gioia nasce dall’esperienza di sentirsi amati incondizionatamente, scoprire che il Padre non ci ama perché siamo buoni, ma perché lui è buono. Questa gioia iniziale è destinata a crescere moltiplicandosi: più persone sperimenteranno, attraverso il nostro amore, di essere amate e più la nostra gioia crescerà. Più si dona e più la gioia cresce, come scrive Giovanni nella sua Prima Lettera: “Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1Gv 1,4). Che significato di fondo ha per te il Natale? Il Natale di Gesù, il Dio che si è fatto uomo, è un invito a diventare sempre più umani. Se Dio è diventato uomo, significa che tanto più siamo umani quanto più liberiamo il divino che è in noi. Non ci viene chiesto di salire come angeli verso i cieli, ma di scendere, come lui e con lui, verso gli uomini, attenti e sensibili ai bisogni e alle sofferenze dell’umanità. Natale significa accogliere il Dio che non assorbe l’uomo, ma gli comunica la sua energia. Un Dio che non chiede offerte, ma Lui si offre, chiedendo di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne la capacità d’amore, per renderlo l’unico vero santuario dal quale si irradia il suo amore, la sua misericordia e la sua compassione per tutti gli uomini. 13 Quando l’incontro ci cambia di Luigi Padovese Non si può generare il nuovo restando chiusi in una torre d’avorio. La nostra vita cambia solo se ci affidiamo agli inviti, alle provocazioni, agli stimoli che ci vengono dagli altri. “Io non so chi sono prima di incontrare te” (E. Levinas). C’è un luogo privilegiato nella nostra vita dove possiamo “nascere di nuovo”, ogni giorno. Questo luogo si chiama “incontro”, si chiama relazione, in particolare con le persone più vicine, che ci stanno a cuore. Ascoltare e incontrare l’altro ci trasforma. Ciò vale sia nelle occasioni e negli incontri “speciali” che possono dare una svolta alla nostra vita che nella quotidianità, nei rapporti di tutti i giorni, nelle diverse routine che frequentiamo. Proviamo a pensare a un aspetto di noi stessi e del nostro vivere che non abbia a che fare con qualche rapporto. Non esiste nulla di noi che non sia in qualche modo legato ai rapporti con gli altri. “Sono ciò che sono perché ci sono gli altri”. La trama della nostra vita si costituisce dunque, giorno dopo giorno, attraverso le relazioni che intrecciamo. In questo intreccio quotidiano, nel tempo, si formano inevitabilmente dei “nodi” che rendono faticosi e difficili i rapporti, ma contemporaneamente si possono presentare opportunità e incontri che ci permettono di esprimere le nostre potenzialità, le nostre speranze, la nostra autenti-cità più vera. Tutti nasciamo uomini o donne ed abbiamo una vita intera, attraverso molteplici ri-nascite, per diventare davvero “esseri umani”. Questa possibilità di evolvere ce la offrono abbondantemente le relazioni che via via costruiamo e frequentiamo. Ogni persona trova la sua maniera, la sua via, certe volte tormentata e faticosa, per diventare se stessa. Se io ho rapporti buoni, naturali, creativi, liberi, spaziosi sarò più felice, più centrato, più maturo. Se i miei rapporti sono pieni di sospetto, di paura, di rancore, di invidie, di sensi di colpa, di gelosie allora sarò così anch’io: incompleto, pieno di “nodi”, teso, insoddisfatto. Per tutto questo i rapporti sono importanti come potenzialità di rinascita: il recupero di quella socialità, di quello stare insieme che ci rende 14 più umani rappresentano gli ingredienti fondamentali per il nostro benessere. È nei rapporti che possiamo trovare gli spazi e gli stimoli per la nostra evoluzione. È nei rapporti che possiamo recuperare le nostre “maleforme” ricercando quell’armo-nia e quell’autenticità senza le quali tutto diventa più difficile. Per questo, partendo dai rapporti che più influenzano la nostra vita, oggi, è importante interrogarci e cercare di capire che qualità, natura e solidità esprimono. Quali bloccano la nostra evoluzione, quali la possono sostenere, quali ci stanno più a cuore, a quali dobbiamo fare spazio, quali infine dobbiamo avere il coraggio di potare per proseguire il nostro cammino di vita? Dobbiamo perciò capire cosa ci aiuta a “generare vita” nelle nostre relazioni, quali condizioni permettono ai nostri rapporti di essere “fertili”, quali qualità dobbiamo coltivare per far emergere e incontrare lo “sconosciuto”, il “nuovo” che è in noi. Seguendo questa direzione, oggi più che mai, sono importanti: l’attenzione (tutto diventa più interessante), l’ascolto (la premessa a un vero incontro con l’altro), l’accoglienza (apriamo la porta al cambiamento) e infine la fiducia (se non accetto il rischio non posso evolvere). J.P. Sartre, filosofo, disse che “l’inferno sono gli altri” e l’esperienza quotidiana ci mostra quanta desolante verità spesso racchiuda questa affermazione; ma può essere vero anche l’opposto… nelle relazioni possiamo trovare il nostro “paradiso”. Questo è possibile quando riusciamo a costruire e a mantenere “relazioni che non legano”, che non stringono, che non possiedono, dunque relazioni che nutrono e che ci permettono di vivere, di crescere, di evolvere, di assumerci la responsabilità di stare dentro a quel rapporto, di sentirci ingaggiati nell’affetto e nell’amicizia, di ritrovare quella parte più autentica e vera di noi stessi. Allora in quegli istanti, in quelle occasioni, ritroviamo il nostro “paradiso”, la nostra nuova nascita… E questa ricerca ci accompagna per tutta la nostra vita. Foto di Piero Checcaglini Che nasca così piccolo e così libero da essere incapace di aggredire, di odiare, di minacciare. Così umile e ingenuo da ragionare con il cuore.” Ermes Ronchi 15 16 Illustrazione di Stefano Reolon Accogliamo lo Spirito come la vela prende il vento, sia quel vento di passione ad orientarci, per non restare preda delle nostre conquiste, o permettere alle paure di possederci. Luigi Verdi 17 Un luogo per rinascere di Giorgio Bonati Da oltre un anno Giorgio, frate cappuccino, vive un’esperienza di incontro con la nostra Fraternità. La conosce ormai bene anche dall’interno, ma continua a viverla come ognuno dei viandanti che la frequentano. Ed è con il cuore del viandante che ha scritto questo articolo, individuano il filo del “nascere di nuovo” come seme comune di tutti i corsi e le attività cui ha partecipato. Ecco un nome nuovo per definire Romena: un luogo per rinascere! Fratello giornalino mi viene incontro suggerendo in estrema sintesi ciò che tanti, compreso il sottoscritto, hanno provato sulla pelle in occasione di qualche giorno trascorso a Romena. Proprio sulla pelle, scritto lì, quasi come un tatuaggio indelebile. Si, credo che ogni ‘corso di Romena’ in fondo abbia in sé questo dono: l’invito a rinascere. Solo un invito, ovviamente, perché qui nessuno si azzarda a dire o dare di più: un pezzo di se stessi, quel pezzo che hai vissuto, verificato su di te, quello che ti è servito per uscire fuori dal ‘labirinto’ della vita e tornare a respirare con occhi nuovi. Questo è quello che si offre. Niente ricette, ma solo esperienze, spiragli di 18 consapevolezza di sé e di ciò che ci circonda. Mi lascio un po’ trascinare dall’entusiasmo, ma dopo ogni corso vissuto a Romena è così, scusatemi, ma non ci posso far nulla. È terminato in questo week end quello intitolato “Abitare la vita, abitare se stessi” e, vi assicuro, starmene li a gustare ogni volto che veniva dolcemente accarezzato dopo aver valicato una simbolica porta e aver, con determinazione, professato il proprio impegno, è cosa da mistici: questa è la contemplazione che amo, che adoro, che mi fa rinascere alla vita con più tenerezza, con maggior fiducia, che mi aiuta a giungere a quella fede nuda che anelo. E vi lascio immaginare la rinascita di chi si è coinvolto lavorando seriamente su di sé, sulle proprie maschere, riuscendo a dar luce alle proprie ombre, come sintetizzava papa Giovanni: “Ciò che è semplice è naturale ieri ‘l’amico straniero’ che ha partecipato al e ciò che è naturale racchiude il divino”. Qui corso: Georgos. si trova il nocciolo della vita, fare di ogni E che dire della pazzia santa che anima co- giorno una dolce disciplina, capace di dare loro che terminano il primo corso: questa armonia al corpo tanto quanto all’anima e proprio non si può descrivere, è cosa di altri pure alla mente. pianeti, di altri mondi. Io amo mettermi lì, in Sembra quasi che Pigi, Gigi e Wolfgang, i tre cima alla scala fuori dalla bottega, e, mentre autisti a guida dei corsi si siano messi d’accorpassano uno ad uno, guardare quei volti, e mi do: nella vita ciò che è essenziale non è ciò che accorgo che in due semplici giorni qualcosa ci accade, ma ciò che facciamo con quello che muta, qualcosa nasce, nuovo, dentro e fuori, ci accade, e loro ne sono la prova più evidente. perché il corpo non mente, non sa mentire Davvero le nostre debolezze possono diventacome la mente. Quanta sana adrenalina, quanta re l’occasione propizia per rinascere, davvero passione per la vita sanno possiamo metter oro nelle donarti quelle neppur 48 ferite, anche quelle più I Navajo insegnano ai loro bamore trascorse col maestro profonde, davvero posPigi a dirigere l’orchestra siamo meravigliarci di un bini che ogni mattina il sole che di cuori che lentamente si lavoro fatto e avere il cosorge è un sole nuovo. sciolgono, si muovono, si raggio di esser più liberi, Nasce ogni giorno, vive solo per abbracciano. basta saper sapientemente E che meraviglia sapere potare, come ci insegnano quel giorno, muore alla sera e che questo è solo l’inizio. i contadini. non ritornerà più. Dopo esserti guardato Mi avvio alla conclusioDicono ai loro piccoli: Il sole ha dentro e aver scoperto ne non senza accennare che non sei niente male, all’ultimo corso arrivato solo questo giorno, un giorno. è l’ora che lo sguardo si al porto di Romena. QuelVivi bene la tua vita in modo che volga un po’ più su, poco lo che ci siamo inventati il sole non abbia sprecato il suo più su. Nel secondo corso Gigi, Grazia ed io è stato credo si cerchi solamente tentare di dare un tocco di tempo prezioso. una cosa: rendere sacra ‘leggerezza’ a questa vita ogni cosa. Gigi lentamenche si presenta spesso di te ti fa innamorare. Di Dio! Il Dio servo, il altro peso. Solo a pronunciarla questa parola Dio tenero, il Dio libero, quello impastato con allarga i polmoni, ma non basta. Ecco allora i nostri giorni, che si lascia mangiare e bere che ci siamo inchinati di fronte al nostro sempre, quello che diviene vita se noi si passa cuore bambino e lo abbiamo accarezzato. Ci dal fuoco sacro, quello che ci chiede di fidarci, siamo lasciati meravigliare da ‘quello che di chiudere gli occhi e procedere al buio, ma c’è’ e siamo andati al nocciolo, all’essenza mai soli! Ecco: qui rinasce l’anima, qui la parte delle nostre relazioni e vi abbiamo instillato ‘spirituale’ prende corpo, si nutre di ciò di cui una buona dose di fiducia per poter nascere ha bisogno ed è pronta a spiccare il volo. di nuovo, ogni giorno. Già, ma poi serve sorella ‘costanza’. Sappia- È ormai più di un anno che vivo Romena e mo quanto non sia per nulla facile spiccare ho avuto la fortuna di infilarmi in ognuno di ‘ogni giorno’ il volo: ecco allora che giun- questi corsi e di guardarli, dentro e fuori, e ge l’ora di esser guidati per le strade della godo, si, godo al pensiero che avrò ancora vita… da un cieco! È il nostro Wolfgang che l’opportunità di ficcare il naso e gli occhi ti prende per mano e ti aiuta ad inoltrarti nei e il cuore in questi ‘luoghi sacri’, in queste boschi di Quorle quanto in te, e con la sua parole che diventano carne, diventano vita. vita indica una disciplina quotidiana, fatta di Mi chiedo solo: saprò ridestare in me ogni cose semplici e naturali, perché come diceva giorno il nuovo che arriva? 19 Il nostro Natale Nascere di nuovo. È un tema scelto non a caso, per questo periodo natalizio. Ci piace collocare questa voglia di ripartire, di rinascere proprio accanto al bambino che nasce a Betlemme, all’infinito che scende tra di noi. In queste pagine ci avviciniamo a Gesù che nasce insieme a una pagina di Erri de Luca , a una poesia di Ermes Ronchi e a una riflessione di padre Vannucci. M Ermes Ronchi 20 “Sono Gesù, tuo figlio” * di Erri De Luca É venuto col vento di marzo, poi è cresciuto nell’acqua della mia placenta, come tutti i bambini del mondo. Cosa prova lui adesso che sta per uscire e il tempo del grembo è scaduto? “Iosef mi sembra che il censimento sia per noi un pretesto. Saremmo partiti lo stesso. L’ultima sua settimana doveva essere quella di un viandante, senza fissa dimora, sulla schiena di un’asina paziente” (...) Bet Lèhem, Casa di Pane, campi di grano intorno, arati e messi a riposo invernale, aria di neve in cielo, non ancora in terra (...) Ce la farò, qui starò benissimo. Hai trovato un posto adatto, caldo e tranquillo. Ce la farò, Iosef, sono donna per questo. All’alba ti metterò sulle ginocchia Ieshu. I dolori erano cominciati. Iosef sistemò della paglia sulle pietre asciutte, ci stese sopra una coperta e le pelli. Mi sdraiai. Batteva più violento il cuore, i colpi battevano alle tempie, da chiudere gli occhi (...) Una luce calava da un’apertura del tetto di canne e di rami. Era lei, la cometa, appesa in cielo come una lanterna. Prima di separarci gli ho messo in ordine i capelli, ci siamo sorrisi. “Così mi piaci”, gli ho detto, soddisfatta di com’erano sistemati. Iosef era uscito: ora toccava a me, ora dovevo fare, partorire è fare con il corpo (...) Lontano i pastori chiamavano qualche pecora persa. “È una bella notte per venir fuori, agnellino mio, notte limpida in alto e asciutta in terra. Il viaggio è finito e tu hai aspettato questo arrivo per nascere. Sei un bravo bambino, sai aspettare. Ora nasci che tuo padre ti aspetta. Si chiama Iosef, quando entra gli diciamo: caro Iosef io sono Ieshu tuo figlio. Vedrai che sorpresa, che faccia farà.” Faccio mosse esperte senza conoscerle. Il mio corpo fa da solo, esegue. Non l’ho istruito io. Odoro la creatura perfetta che mi è nata, posso allentare il nervo attorcigliato del sospetto: è maschio, è la certezza, non più una profezia. È maschio l’ho fatto io, sgusciato sano in mezzo all’acqua e al sangue, il corpo esulta insieme a quello di ogni donna che mette al mondo l’altro sesso, perché è un regalo a noi. L’ho palpato da tutte le parti fino ai piedi. L’ho annusato e per conferma gli ho dato una leccatina “Sei proprio un dattero, sei più frutto che figlio”. Ho messo l’orecchio sul suo cuore, batteva svelto, colpi di chi ha corso a perdifiato. Al poco lume della stella l’ho guardato, impastato di sangue mio e di perfezione. Il bue ha muggito piano, l’asina ha sbatacchiato forte le orecchie. È stato un applauso di bestie il primo benvenuto al mondo di Ieshu, figlio mio. *Tratto da “In nome della madre”, Edizioni Feltrinelli - 2006 21 La notte in cui nasce Dio di Giovanni Vannucci* Avviciniamoci alla notte di Natale leggendo in profondità i significati che ci vuol trasmettere. Insieme a padre Giovanni Vannucci cerchiamo di entrare nel silenzio di Betlemme, nella grotta che ospitò Gesù e di guardare il bambino che nasce lì. E che può rinascere nel cuore di ciascuno di noi. N el silenzio della notte La nascita del Verbo di Dio non poteva avvenire se non nel profondo silenzio della notte, mentre tutto tace, tutto è avvolto dall’oscurità. Anche in noi il Verbo divino discende quando riusciamo a fare un silenzio totale in noi, a spengere tutte le luci che vengono dalla terra. Dobbiamo spegnere tutto: le luci che sono nella nostra mente, le voci che nascono nella nostra zona emotiva e le voci che tengono svegli e all’erta i nostri sensi esterni. Se vogliamo che il Verbo di Dio nasca in noi dobbiamo saper scendere in questo silenzio profondo, in questa oscurità totale. (…) Il nostro essere naturale ci spinge all’agitazione e al rumore, all’accrescimento di pensieri, alla moltiplicazione di stati emotivi, e crediamo di essere vivi mentre siamo in una condizione di pura apparenza. Molte volte la ricerca di eccessive attività, anche in nome di Dio, è l’indizio di un disordine interiore. Quando la gente vi chiede: cosa fate, nella solitudine? Vi fa questa domanda perché è abituata a evadere nell’azione. Quando lo chiedono a me: alle Stinche, lei cosa fa, qui isolato? Rispondo: non fo niente. Cerco di vivere in spazi di silenzio, di equilibrio, di grande pace emotiva, di solitudine totale, spazi che mi debbono avvolgere e permettere alla mia anima di pensare i pensieri di Dio, al mio sentimento di 22 muoversi secondo il sentire di Dio, ai miei sensi di ascoltare le voci che sono al di là della sensibilità, al di là di tutti i rumori possibili umani. Il silenzio è quell’atmosfera che ci rende uomini e donne vere, perché in noi nasce la Parola di Dio. Nella disattenzione dei più Se pensassimo alla notte del Natale e la misurassimo con i nostri consueti criteri, rimarremmo subito sgomenti: il Figlio di Dio nasce nel buio più profondo, nel più assoluto silenzio, nell’ignoranza totale dell’umanità contemporanea, nell’ostilità dei pochi che hanno scorto la Vergine che stava per partorire e l’hanno respinta dalle loro case. In questa condizione nasce il Verbo di Dio, scende sulla terra la Parola di Dio. Misurando la notte del Natale con i nostri criteri ordinari, rimaniamo stupefatti di fronte alle misure diverse divine nei confronti dei nostri comportamenti umani. Se noi sapessimo che domani, in una località qualunque del mondo, nascerà il futuro Messia o un grande personaggio, subito cominceremmo a sussurrare, andremmo alla televisione, faremmo réclames: una madonna muove gli occhi e si fanno santini, si organizzano pellegrinaggi. Come è differente la nostra superficialità dalla profondità di Dio! Il Verbo di Dio nasce nella più assoluta dimenticanza; chi lo sapeva fuori di Maria e di Giu- seppe? e forse, dei Magi che dal lontano oriente si erano mossi? Nessun altro lo sapeva. Eppure quello era il momento centrale di tutta la storia della terra e del cosmo: il divino che assume la materia, la carne umana, per trasformare tutta la realtà pesante della terra nella realtà divina. mente Cristo nasce in Betlemme se non nasce in te». Siamo noi che dobbiamo diventare coscienti che nella nostra grotta c’è il bambino divino che vuole crescere, illuminarci, trasformarci, e deve nascere in noi. E in noi nasce quando riusciamo a fare silenzio, ad avvolgerci di tenebra. In una grotta Dove nasce il Figlio di Dio? Cristo nasce in una grotta, neppure in una casa, in una capanna, in una baracca costruita da mano d’uomo: nasce in una grotta, in un rifugio naturale, dove vanno gli animali per ripararsi dalle intemperie. Perché questo? Perché le opere di Dio non hanno niente a che fare con le opere dell’uomo. Fosse nato in una casa povera, Cristo sarebbe stato accolto con diffidenza dai ricchi. Fosse nato in una casa di ricchi, sarebbe stato accolto con diffidenza dai poveri. Cristo è di tutti. Per lui non ci sono le categorie costruite da noi uomini, ricchi e poveri, proletari e non proletari. E ancora cosa significa che il figlio di Dio nasca nel profondo della terra, in una grotta. Cos’è la grotta? È la profondità della terra, è la profondità della coscienza dell’uomo, dove il Verbo di Dio discende. Che rivelazione meravigliosa è questa e quanta gioia ci deve dare! Quando leggiamo gli studi degli psicologi moderni, specialmente di certe scuole, la scuola freudiana ad esempio, rimaniamo sgomenti nel vedere quanti serpenti, quanti animali violenti sono nel nostro intimo, nel nostro inconscio. Ed è vero: in noi ci sono delle passioni innominabili, delle passioni sfrenate, delle passioni di violenza, di cupidigia, di avidità, di sensualità, che spesso si rivelano improvvisamente a noi, e rimaniamo stupiti di trovare in noi una fossa di serpenti. Il fatto che Cristo, la Parola di Dio, nasca nel profondo della grotta ci deve dare una grande speranza. Nella nostra grotta, nel nostro pozzo, non ci sono soltanto dei serpenti, delle tendenze spaventose che, quando si manifestano, ci riempiono di terrore; in noi c’è il Figlio di Dio, con la sua tenue luce che vuole illuminarci, che risplende sulle nostre tenebre, la cui bontà e grazia colpisce le teste di tutti gli animali che sono nel nostro essere, per ucciderli e trasformarli in elementi di vita.(…) Dobbiamo sentire la grotta non soltanto come spazio geografico, ma come spazio psicologico: in noi nasce il Figlio di Dio. Angelo Silesius, nel suo libro Il viandante cherubico, dice: «Inutil- Fragile come un bambino Come si rivela il Figlio di Dio nel momento della sua nascita? Se pensate ad altre manifestazioni del divino, contenute nell’Antico testamento, notate subito la differenza. Sul Monte Sinai Dio si rivela come il potente, tra folgori e tuoni e lo sgomento del popolo. A Betlemme rivela la sua onnipotenza nell’impotenza totale di un bambino che è bisognoso di tutto: di una culla, di braccia che lo accolgano, di mammelle che gli diano il latte, del calore, della protezione, della vigilanza più assoluta. Dio è l’inerme. Così si rivela a noi: è il fanciullo che nasce. Dobbiamo riuscire a togliere dalla nostra mente tutte le visioni e le figure con le quali spesso raffiguriamo il mistero divino: il re di tremenda maestà, il re onnipotente, padrone della vita e della morte. Quando si è rivelato, si è rivelato come impotente, perché la potenza di Dio è il rovescio di tutte le potenze degli uomini. È la potenza dell’amore, è la potenza del pane, è la potenza del fanciullo. La notte di Natale Questo dobbiamo pensare, credo, per poter vivere anche noi il mistero della nascita di Cristo. In quella notte cercate di immergervi nella tenebra più fitta, ove risplende la luce divina, nel silenzio più assoluto, dove risuona la parola eterna che prende carne. In quella notte santa cerchiamo di essere anche noi il fanciullo eterno che nasce continuamente nelle tenebre, nel silenzio, nella lontananza da tutte le organizzazioni umane, nella semplicità, nella povertà più assoluta. Io spero che Cristo, il Verbo di Dio, nasca veramente nella mia coscienza come nella vostra coscienza, in questo Natale. *Il testo è la sintesi di una meditazione di padre Giovanni che è stata pubblicata ne “Il passo di Dio” (Edizioni Paoline). Padre Giovanni Vannucci, fondatore dell’eremo delle Stinche (a Panzano, nel Chianti), morto nel 1984, è uno dei mistici che più ha ispirato il cammino della nostra Fraternità. Le Edizioni Romena hanno pubblicato alcuni suoi libri. 23 Un nuovo libro Lettere da Romena di Massimo Orlandi articolo di Maria Teresa Abignente Da quasi vent’anni, la Prima pagina di Massimo Orlandi apre le porte di questa nostra rivista. Ora, gran parte di quegli scritti diventano un libro, “Lettere da Romena”. Lettere, perché così l’autore le ha pensate, immaginando oggi volta un incontro, faccia a faccia, con ciascuno di voi, per riflettere insieme sulla vita e il suo senso, sui valori e sui sentimenti, sulle piccole e grandi sfide del quotidiano. Lettere, che ora partono di nuovo, questa volta tutte insieme, per iniziare un nuovo cammino. Il libro, che sarà disponibile da metà dicembre, si apre con l’introduzione di Maria Teresa Abignente. Ve la anticipiamo. 24 “La vita si fida del tempo”: le parole scritte da Massimo Orlandi ormai quasi venti anni fa avevano forse in sè il presagio di questo libro: affidate ad uno dei primi giornalini di Romena hanno viaggiato fino ad oggi per approdare su queste pagine e consegnare, quasi con aria di festa, il loro messaggio. Queste lettere “salvano le nostre stelle e i sogni che le abitano”, catturando dal mare dei detriti la gemma preziosa, spingendo il nostro sguardo ad andare oltre e “allenandoci allo stupore del nuovo”. Nelle sue “lettere” Massimo, riesce a tirar fuori le nostalgie e le luci, le bellezze e le novità che non sapevamo di avere dentro. E tutto questo provoca in noi una sottile meraviglia di verità e uno stupore grato. Il tempo è volato su Romena, l’ha accarezzata con le mani tremanti o col cuore ferito delle tante persone che hanno portato la loro vita nelle curve che giungono alla Pieve. La Una raccolta di lettere scritta a destinatari vita si fida dell’amore perché da lì nasce. E sconosciuti, eppure vicini, anzi, fratelli nelc’è bisogno di tempo per portare avanti la la ricerca e nel desiderio di essenzialità e di vita, un tempo che pure a volte sembra non semplicità; così come semplici ed essenziali essere passato, perché laddove c’è un brivi- sono le pietre della nostra Pieve. Sono letdo di emozione o una tere scritte da Romena vibrazione di amore a donne e uomini forse Il mio sogno è che queste lettere lui si ferma rispettoso. inquieti, ma pieni di aiutino a tenere aperta E sfiora l’eternità. speranza. Sembra quasi la vostra cassetta della posta. di entrare nella Pieve È in questo nucleo forleggendo queste pagiChi ci metterà la mano dentro mato da Vita, Amore e ne... ogni lettera somiTempo tutto il succo glia a ciascuna di quelpotrà così provare, spero, del nostro cercare, la le pietre, che se ne sta la piacevole sensazione fame del nostro cuore, lì a lasciarsi carezzare in fondo, il mistero al e guardare, unica nella di non trovarla mai vuota. quale tentiamo di avsua forma e nel peso Massimo Orlandi che porta. vicinarci. Non so se vi è mai capitato di assistere ad una bufera di Sono lettere consegnate vento dall’alto di una collina: mentre tutto e lasciate nelle mani di chi leggerà col cuore intorno viene agitato e scosso laggiù, in bas- fiducioso od oppresso e cercherà in queste so, c’è un punto in cui tutto sembra immobi- parole uno squarcio, un’apertura, una nuova le e fermo, un nocciolo saldo che àncora, un visuale ed anche un abbraccio. ago di bussola che indica. E questo noccio- Perchè questo fa Massimo: abbraccia uno lo ci conferma che anche nel nostro cuore, ad uno tutti noi suoi destinatari, accompaquando le tempeste lo agitano, rimane un gnandoci a trovare “il coraggio di gettare la punto fermo, impastato di vita e di amore, in nostra vita sempre un passo più in là, senza cui silenzio e quiete si possono raggiungere. condizioni” Ognuna di queste Lettere da Romena ce lo ricorda: lo fa puntando un fascio di luce sui tanti spigoli della nostra vita o mettendo a fuoco quel che il vento delle crisi scombussola e denuda. ISBN 978-88-89669-47-1 - € 10,00 Un verso di Vivian Lamarque dice “A cosa servono i baci se non si danno?” Credo sia altrettanto vero anche per gli abbracci. E allora grazie Massimo perché non hai tenuto per te tutti i tuoi abbracci. Lettere da Romena - Massimo Orlandi in libreria o richiedendolo a [email protected] 25 P ? a r u a p e t e v a é erch e LIA app G VE e t m ssi o r p Quest’anno la veglia prova ad aiutarci ad affrontare la paura di questo tempo e spingerci a tornare ad una fede nuda. BRESCIA 21 gennaio 2013 Centro Mater Divinae Gratiae - Via Sant’Emiliano, 30 BERGAMO Chiesa dei Frati Cappuccini - Via dei Cappuccini MILANO ore 21,00 22 gennaio 2013 ore 21,00 23 gennaio 2013 Parr. Beata Vergine Immacolata - Lavanderie di Segrate ore 21,00 PIACENZA Parrocchia S.Franca - Piazza Paolo VI, 1 SIENA Parrocchia San Francesco all’Alberino 26 24 gennaio 2013 ore 21,00 29 gennaio 2013 ore 21,00 AREZZO 30 gennaio 2013 Parrocchia San Marco Alla Sella LE PIAGGE (FI) ore 21,00 13 febbraio 2013 Comunità delle Piagge CATANIA ore 21,00 19 febbraio 2013 Parrocchia SS. Pietro e Paolo - Via Siena MODICA ore 20,30 20 febbraio 2013 Chiesa di San Pietro - Corso Umberto I RAGUSA ore 20,00 21 febbraio 2013 Parrocchia S. Pietro Apostolo - V. Lazio 89, Beddio PALERMO Parr. San Gaetano - Brancaccio MESSINA ore 19,00 22 febbraio 2013 ore 20,00 23 febbraio 2013 Parr. S. Giacomo Maggiore Ap. - V. Buganza, Isolato 54 ore 20,00 LOCRI-ARDORE MARINA Parr. Santa Maria del Pozzo CROTONE Parr. del Sacro Cuore - Borgata S.Francesco LAMEZIA TERME Chiesa del Carmine - Sambiase COSENZA Parrocchia San Carlo Borromeo - Rende PRAIA A MARE (CS) Parr. Gesù Cristo Salvatore - Loc. Foresta 25 febbraio 2013 ore 20,30 26 febbraio 2013 ore 20,00 27 febbraio 2013 ore 19,30 28 febbraio 2013 ore 20,30 1 marzo 2013 ore 20,30 27 C’è musica che rinasce... C’è una musica che nasce nella nostra pieve. Le assomiglia, in fondo le appartiene. È la musica che apre il cuore durante i nostri momenti di preghiera, di incontro, è la musica che ci porta a Romena, anche quando Romena è lontana. Questa musica è di nuovo disponibile per chi vuol tenerla con sè e, magari condividerla. A grande richiesta abbiamo infatti pubblicato la seconda edizione di ROMENA CANTI e di ROMENA CANONI. ROMENA CANTI: sono le canzoni della Fraternità, quelle che accompagnano la messa e i corsi a Romena, scritte e cantate da Luigi Salis. “Disarmato Amore”, “Amami”, “Ho dipinto a colori”, “Abito la vita” sono tra i più noti dei 17 brani che compongono il CD (durata totale: 74 min). ROMENA CANONI: sono preghiere in forma di testo ispirate da don Luigi Verdi che diventano canto con la musica creata da Antonio Salis e altri amici musicisti. I canoni di Romena con il loro andamento “perpetuo” si prestano per un ascolto meditativo e di raccoglimento, le preghiere che li compongono invitano ad una fede semplice e nuda (11 brani, durata totale: 50 min). Puoi trovarli a Romena o richiederli all’indirizzo: [email protected] 28 GRAFFITI C i sono preziosi momenti in cui la vita lascia un segno indelebile nel cuore di chi ama percorrerla al di là delle solite piste battute. Quest’estate, a Cuba, ho avuto la grazia di vivere uno di questi rari momenti . La notte di San Lorenzo, nel parco di Guanahacaibibes, ho assistito, incantata, alla deposizione delle uova della tartaruga verde, sotto il più bel cielo stellato che si potesse immaginare. Un momento magico. La tartaruga, sbuffando nell’oscurità, ha deposto 122 uova. E nel silenzio, sotto le stelle, mi sono sentita parte commossa della meravigliosa danza della vita. Meno della metà dei tartarughini sopravviverà alla nascita. Alcuni saranno mangiati dai pesci, alcuni attaccati dagli uccelli, alcuni incontreranno tronchi lungo il loro percorso e non troveranno il mare…ma altri ce la faranno, e, obbedendo alle misteriose logiche della natura, vivranno. Il giorno successivo, al mattino, rientrando verso l’Havana, il nostro bus ha sbandato per colpa della strada e della pioggia, e si è rovesciato. L’urto è stato preceduto da lentissimi secondi di terrore, rotolando senza controllo in bilico tra la vita e la morte. Un momento orribile. Una ragazza ha gridato, svegliandoci tutti in tempo per reggerci un po’ più forte. Abbiamo evitato un pilastro per un pelo, nessuno passava nell’altra corsia, si è rotto solo un vetro, ci siamo ribaltati in un punto pianeggiante… molteplici intrecci grazie ai quali ne siamo usciti tutti salvi. Nei lentissimi secondi in cui il bus rotolava, recitavo una unica assillante preghiera: “Ti prego fammi continuare a vivere. Non ti chiederò più niente. Voglio solo vivere”. Dopo mille peripezie, siamo rientrati all’Havana che era già notte. Ci è stata detta una cosa bellissima al nostro arrivo: “Oggi siete tutti nati nuovamente”. Ed è così che mi sento da due mesi: grata di essere anche io un uovo prescelto, a cui è stato concesso di continuare a vivere. Questa esperienza mi ha cambiato profondamente. Ora più che mai sento chiaro e forte nel mio cuore che sopra ogni cosa, nonostante tutto, l’importante è la vita in sé, il dono più prezioso che Dio ci possa mai fare. Mio Dio grazie per aver ascoltato la mia preghiera, grazie per avermi dato una nuova opportunità, grazie per il creato e per tutte quelle piccolegrandi vite che hai affidato alla notte magica di San Lorenzo. Betta C’ è una canzone, ormai di qualche anno fa, cantata da Adriano Celentano in uno dei suoi album di maggiore successo, che mi piace particolarmente. Si intitola “Le pesche d’inverno” e racconta di una storia rinata, rifiorita quando ormai non ci si sperava più. A volte sì, succede: succede che ciò che pensavamo perso per sempre, ciò che era costato tante lacrime e aveva scavato in noi fiumi di desolazione, venga riconsegnato alle nostre mani in modo nuovo e insperato; ci sono ritorni, ci sono circostanze che riannodano rapporti e strade che tornano ad incrociarsi, dialoghi interrotti che si riempiono di parole nuove, cieli cupi che improvvisamente spalancano l’orizzonte oltre il buio e lasciano intravedere nuove vie sulle quali poter di nuovo camminare. Miracoli della vita, storie dolci da raccontare che racchiudono l’insolito sapore delle pesche d’inverno. Ma le vicende nelle quali si dibatte la nostra storia, lo sappiamo tutti, non sempre hanno un “lieto fine”, non sempre si tingono di rosa come i romanzi d’appendice. Lì, dove la speranza non ha più ali e la fede si 29 fa silenzio, dove lo spazio del cuore è occupato solo da una muta ribellione, quale volto di Dio sarà possibile ricercare e accogliere? Io non lo so, non ho risposte alla sofferenza, alla malattia, all’ingiustizia, alla morte. Il dolore merita rispetto e spesso l’amore chiede soltanto il coraggio di restare in silenzio e l’umiltà di ammettere di non capire. Allora mi viene in mente Maria sotto la croce. Maria senza lacrime. Maria senza parole. Maria senza facili consolazioni da distribuire a buon mercato. Maria che accetta solo di restare. Restare e attendere. Non cedere alla tentazione di fuggire, non arrendersi alla disperazione che si fa spazio nel cuore: restare lì. Senza risposte, senza preghiere, senza certezze. Restare e attendere che il ramo di pesco torni a rinascere e a rifiorire. Gloria Casati C’ è un tempo per tutto nella vita, uno per vivere e uno per morire, uno per soffrire e uno per gioire. Ma in mezzo non c’è il nulla, in mezzo c’è la vita stessa. Anche quando sembra che tutto vada storto, poi, torna la luce. Poco importa se è flebile come una candela o abbagliante come un riflettore. Non ci è dato sapere quando si cade, né quando, una volta caduti, ritroviamo la forza per rialzarci; certo non è aspettando di essere sollevati o guardando lontano da sé che ritorniamo alla vita. Il chiudersi al mondo, al confronto, al rischio anche di sbagliare di nuovo, per paura, toglie valore ad ogni momento bello che in precedenza la 30 vita ci ha donato. Il segreto sta solo in quell’intima disponibilità del nostro animo ad accogliere e a ricevere senza giudizi, senza pretese, senza prepotenza e senza ambizioni insane, tutto ciò che la vita stessa ci mette nel piatto. (...) Quando si perde l’oggetto d’amore ci si sente disperatamente soli, ma il dolore, prima o poi, lascerà spazio al torpore e ai ricordi dei bei momenti che potranno scaldare dentro, e anche se il cuore non tornerà mai più ad essere leggero, sarà sempre possibile tornare a vivere. Dio ci ha donato l’amore anche se non ci ha donato la possibilità di scegliere chi amare, lasciandoci spesso soli davanti all’assunzione di responsabilità dei nostri sentimenti, proprio come un genitore affettuoso che non si sostituisce a noi ma ci lascia la possibilità di imparare per crescere. E si impara, si cresce e si nasce di nuovo, cento, mille volte e si torna alla vita, all’amore, per un uomo, per una donna, per un amico o un familiare, perché è questo l’ingrediente base della nostra esistenza e senza il quale è come abitare su un pianeta senza acqua; un posto dove non ci sono fiori, non crescono alberi, non ci sono animali non c’è niente di vivo. E li si che muore davvero! Senza rinascere mai più. Patrizia Orsucci ‘‘. ..non siamo solo partoriti, ogni gesto d’amore ci rimette al mondo...”, mi sono care queste parole di Paola Nepi per la loro profonda e semplice verità. È proprio vero, tutte le volte che nella mia vita mi sentivo sprofondare nel freddo del mio inverno, il calore di un contatto riusciva a far nascere dentro di me quella speranza che mi dava la forza di rimettermi in cammino. Sono grata per tutti quei compagni di viaggio che mi hanno aiutato nella ricerca di me stessa e di un Amore più grande, tante tappe, tante piccole rinascite. Posso dire però di essere nata veramente a nuova vita il giorno della mia conversione: era un pomeriggio di primavera di sei anni fa, un amico mi aveva inviato lì da padre Luciano, un sacerdote saveriano che si occupa di dialogo fra zen e vangelo. Mi sono sentita subito accolta e capita, abbiamo parlato tanto in quella cappella che, negli anni della costruzione del Duomo di Milano,veniva utilizzata dagli operai per pregare prima di iniziare il lavoro per la costruzione del tempio. Ancora adesso quando mi sento sfiduciata e stanca, ripenso a quel momento e a quel luogo e chiedo al Signore di benedire la mia fatica, di custodirla affinché, col Suo aiuto, possa diventare un piccolo mattone del grande tempio dell’ Amore. Mariagrazia De Angeli ascere di nuovo...Quando l’amore ti tocca e ti trasforma la vita, le rigidità si sciolgono, il sorriso ti nasce dentro e nel cuore abitano le persone che hai incontrato con i loro sguardi, i loro sentimenti, la loro essenza. E non ti lasciano più. Nessuno di loro sarà perduto. Se guardo indietro o dentro, vedo tante persone che mi hanno toccato il cuore ed il mio cammino si è nutrito di vita tutte le volte che ho condiviso investendo me stessa. Le ferite e le rigidità hanno creato zone d’ombra e hanno alimentato le paure. L’incontro con l’altro, la sofferenza condivisa, frammenti di vita vissuti insieme, la ricerca di un senso e qualcuno accanto che te lo propone, mi hanno fatto percepire l’essenza dell’Uomo come spazio di Dio. E portandolo dentro e vivendolo con altri, scopro che l’eternità si avvicina e si allarga ogni giorno aumentando la vita e la creatività. Quando sembra, secondo natura, che tutto rallenti e volga al minimo, qualcosa si trasforma e assume carattere di forza (...). E quando la stanchezza ci coglie, il riposo è necessario e ristoratore. N Laura Tasselli PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Marzo approfondirà il tema: “Una fede nuda”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 28/02/2013), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: il giornalino è una pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le persone che hanno partecipato ai corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta. 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