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Nascere di nuovo - Fraternità di Romena

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Nascere di nuovo - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVI n° 4 / 2012
Nascere di nuovo
1
SOMMARIO
3
Primapagina
Da dove ripartire?
6
4
Ricominciare da un gesto d’amore
Non basta condividere, occorre moltiplicare!
8
10 Un “big bang” del cuore
“Dio fa sempre fiorire la vita”
12
14 Quando l’incontro ci cambia
Un luogo per rinascere
18
Lettere da Romena
24
C’è musica che rinasce...
28
20 Il nostro Natale
26 Veglia - Prossime tappe
29 Graffiti
trimestrale
Anno XVI - Numero 4 - Dicembre 2012
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - [email protected]
Il giornalino è anche online su
www.romena.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo
FOTO:
Daniela Guerrini, Piero Checcaglini, Stefano Reolon,
Gloria Casati, Giuditta Scola
Copertina: Piero Checcaglini
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Luca Buccheri,
Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati, Luigi
Padovese
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
Ed eccola l’ultima scena. Tutto è avvenuto. Quasi duemila persone sono morte, un’intera comunità è stata sterminata. A Martina è rimasto solo un fratellino nato nel fragore del dramma,
“l’uomo che verrà” che lei ha saputo salvare.
Una bambina sola al mondo, senza voce, con un fagottino di vita in braccio.
Nascere di nuovo. Come si fa? Guardiamola. Martina torna a casa. Sale senza fretta le scale,
si affaccia nelle camere, scruta i letti disfatti, assorbe il calore delle impronte di chi non c’è
più. Poi esce, distende i suoi occhi sulla sua campagna inondata di silenzio. Guarda tutto
lentamente, non per appurare ciò che già sa, ma per conservarlo.
Primo messaggio: per nascere di nuovo non si deve fuggire da se stessi. Martina ha milioni di
motivi per separarsi da quel passato che getta sul presente ombre prepotenti, per allontanarsi
da quelle assenze fresche della vita che c’era. Ma sta lì.
Bisogna accettare: ecco cosa dice il suo sguardo che indugia lento sui luoghi amati. Il nuovo
sorge sempre su ciò che siamo stati, anche se di quel passato restano solo macerie.
Il piccolo ora piange, chiede calore. Martina lo stringe a sè. È solo una bambina, ma se ne
prenderà cura. Quel bimbo è la nostra vita. Tutte le volte che ricomincia deve essere accudita
senza condizioni. Un neonato non può sopravvivere se non ci dedichiamo a lui concretamente:
così quando sentiamo nel profondo l’esigenza di un cambiamento dobbiamo muoverci senza
esitazioni. Non è una questione di coraggio, ma di necessità.
Ma attenzione a quello che accade ora: con naturalezza Martina intona una ninna nanna.
La voce è tornata? No, la sua voce non se n’era mai andata. Era lì, in attesa.
Torna ora perché ora è indispensabile, perché solo un canto può placare un pianto di bimbo.
Ancora un messaggio: quando abbiamo accettato il passato, quando ci siamo mossi con gesti
reali verso il futuro che ci attende, non possiamo che ritrovare la nostra voce interiore.
La vita partorisce di continuo, ci dice Martina, partorisce sempre, anche in fondo alla più
cupa delle tragedie. Bisogna seguirne il ritmo, accompagnarla in questa gestazione continua;
è così che possiamo scoprire, passo dopo passo, la nostra identità.
Scrive David Turoldo: “Lo spirito è il vento che non lascia dormire la polvere”.
Un vento. Ecco cosa porta i germi del nuovo. Ecco con cosa possiamo soffiar via la polvere
dei nostri immobilismi, delle nostre incertezze. Un vento, che soffia non fuori, ma dentro. Che
ci invita ad aver voglia dell’oltre, a cercare sempre il prossimo passo.
È a quel vento che Martina si affida, è su quel vento che appoggia lo spartito invisibile di una
ninna nanna. È la fine del film. È il nuovo inizio della sua vita.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
Martina ha otto anni. Martina non esiste.
Martina è stata inventata, ma la sua vita è vera, riassume quella di tanti bambini.
La sua fortuna è di esistere solo sulla celluloide, e in una storia che le permette di salvarsi.
Martina è la protagonista de “L’uomo che verrà”, il film che racconta la strage di Marzabotto,
nel settembre del 1944. Questa prima pagina è scritta da lei, è la scena finale del film.
Al cuore della storia c’è la vita semplice di una famiglia contadina, c’è la terra, lievito e fatica.
E c’è la guerra, il mostro, che si insinua.
Immedesimarci in questo mondo è il dono del cinema e, in questo caso, il compito di Martina.
Martina non parla, un trauma infantile le ha rubato la voce. Ed è con i suoi occhi che vediamo
tutto, sono i suoi occhi che ci conducono verso quella deriva di dolore insopportabile.
Da dove ripartire?
Ricominciare, ripartire, rinascere. Mi piace il sapore fresco di queste espressioni.
Ma per non farle alloggiare nel vuoto dobbiamo
affidarle a un filo di inizio. E allora: da dove si riparte? Da cosa si ricomincia? Giovanni Vannucci
ci dice che la prima cosa da fare è renderci terra
fertile, cioè essere disponibili a farci penetrare da
quei germi di novità che sono sempre presenti nella vita.
I germi di novità che sento nell’aria e da cui vorrei
ricominciare sono costituiti da gesti di bellezza e
di tenerezza, sono intessuti di un amore speciale,
quello di cui è fatto il perdono, e non appartengono a occasioni speciali, ma vivono della fedeltà al
quotidiano.
La bellezza e la tenerezza
Papa Giovanni, in tempi di crisi della chiesa e del
mondo, una sera dirà in una piazza gremita:
“Guardate come è bella la luna stasera, tornate a
casa e date una carezza ai vostri bambini”.
Non c’è niente come quel discorso che sappia tenere insieme la bellezza e la tenerezza.
La tenerezza è come una carezza che tocca senza
prendere, che avvicina senza dominare.
La bellezza è una forza viva, che sa congiungere
gli estremi, come il sole del mattino e la falce della
luna nella notte, che mescola in giuste proporzioni
il finito e l’infinito.
La bellezza e la tenerezza si abbracciano nei rari
momenti di vita intensa, come quando si nasce,
quando siamo innamorati o quando si muore, cioè
ogni volta che siamo unificati, quando i nostri occhi sono impastati di lacrime e di luce.
Per nascere di nuovo dobbiamo credere che l’ultima parola non appartiene all’interesse, al profitto,
alla dura lotta quotidiana, ma a tutti quei gesti di
tenerezza e di bellezza passati inosservati e che
invece sanno tenere insieme il filo della vita. E il
suo senso.
Il perdono
Ha un grande valore il perdono, se non si perdona
la vita si blocca, non riesce più a scorrere. Ed è
impossibile ricominciare davvero.
Ma come si può arrivare a perdonare?
4
di Luigi Verdi
Perdonare è innanzitutto capire. Capire non vuol
dire giustificare, il male è male, capire è la misericordia che nasce da un cuore che conosce le
proprie miserie, i propri dolori, i propri errori e
che quindi riesce ad accogliere anche l’altro nella
sua debolezza.
Perdonare è anche non voler diventare come ciò
che odiamo. Il perdono libera il cuore quando
va oltre le ferite, quando non cerca la sconfitta
dell’avversario, ma ha rispetto di quello che l’altro
potrebbe essere e non riesce ad essere.
Infine perdonare è riuscire a ringraziare chi ti ha
ferito. È la cosa più difficile, ma la più liberante:
nel suo testamento Bernardette di Lourdes dirà
grazie a tutti coloro che l’hanno ferita perché quelle contrarietà l’hanno resa un’altra persona. Ciò
che abbiamo di più bello sono tutti quei punti della
nostra vita che in origine possono aver fatto molto
male, ma coi quali abbiamo imparato a vivere e
che si sono trasformati in sorgenti di comprensione e di bene.
La fedeltà al quotidiano
Come la manna che non poteva essere accumulata,
anche noi dobbiamo rinnovare ogni giorno ciò che
ci serve per vivere, cioè pane e amore.
Ogni giorno dobbiamo vivere sapendo che in esso
non vi è nulla di troppo, nulla di indifferente e di
inutile, che dentro la vita c’è la sorgente che alimenta la sua creazione.
Ogni giorno deve essere affrontato come un inizio,
dove nulla è ancora deciso, dove ogni rischio è ancora aperto, dove ogni avventura è ancora indefinita.
Bellezza e tenerezza, perdono, fedeltà al quotidiano. Sono queste le radici del nostro rinnovarci e
nel rinnovarci dell’essere sempre più vicini a se
stessi. Sono questi gli ingredienti di un’armonia
interiore sempre rigenerata e rigenerante. L’armonia, infatti, non è questione di dosaggi, ma è la
conquista di uno spazio umano di libertà e creatività nel quale nulla è scontato, nulla già visto e in
cui tutto è proiettato in avanti, verso il futuro che
ci attende.“Quello che so per domani – ha scritto
Henry Dominque Lacordaire – è che la provvidenza sorgerà prima del sole”.
Foto di Daniela Guerrini
La volontà
di ricominciare sempre
costituisce
il valore religioso
della nostra piccola vita.
Ernst Weichert
Ricominciare da un gesto d’amore
di Pier Luigi Ricci
È possibile cercare di intervenire su se stessi, magari anche con qualche azione coraggiosa,
per cambiare la propria vita. Ma quello che ha trovato il nostro Pier Luigi Ricci nella vita
è che si rinasce davvero quando ci si occupa di qualcuno che non siamo noi.
C’è un modo meraviglioso per nascere di nuovo: è
fare in modo che qualcun altro lo possa fare.
Se, pur dentro ad un mare di difficoltà e di paure, provi almeno per qualche momento a guardare fuori di
te e ad occuparti di qualcuno, ti accade una cosa meravigliosa: rinasce da dentro l’energia, ti risenti vivo
e presente, torni a camminare. È il miracolo della natura umana, è un segreto e una chiave sconvolgente,
è quel calore che fa nuove tutte le cose.
In assoluto questa è la strada maestra che porta verso
la vita.
Mi colpisce sempre tanto il vedere che in fondo chi
si dedica agli altri, sia che lo faccia durante il lavoro
che in momenti spontanei, molto spesso lo faccia per
sostenere le proprie difficoltà e per aprire a se stesso
nuove strade. Magari non se ne rende nemmeno conto
fino in fondo e comunque fa bene lo stesso a farlo.
Ma quando poi uno riesce a capirlo, a fare un balzo
di consapevolezza e a dirsi la verità, si accorge di una
cosa importante: che l’amore in fondo è un atto egoistico, che fa bene a chi lo fa. E questo fa cambiare
ottica e ogni altra persona vicino a te da problema si
trasforma in opportunità.
E allora davanti a te si apre un mondo diverso e puoi
incominciare ad accorgerti che oltre tante maschere
di pesantezza e di antipatia, ci sono esseri umani che
forse sono caduti a terra, che chi è aggressivo sta soffrendo di qualcosa che non riesce ad accettare, che
chi sta facendo degli errori forse non riesce a reggere
i propri vuoti.
Se fai tuo questo punto di vista e cominci ad occuparti
di qualcuno di loro, facendo qualcosa perché possa rinascere un cammino ed una speranza, in quel momento, anche se non lo sai, sei tu che rinasci per primo.
L’amore non ha mai risultati certi, è come la mano del
contadino che semina e come la pioggia che bagna la
terra: non sai al momento cosa stia succedendo e forse non lo saprai mai: ma non puoi non esserti accorto
di cosa sia successo dentro di te.
Vorrei suggerirti tre cose da fare, perché tu possa nascere di nuovo, quando vorrai e quando tu ne avessi
il bisogno:
6
1 - Riporta alla memoria un episodio in cui qualcuno,
senza che tu te l’aspettassi o che te lo meritassi, ha
fatto qualcosa per te. Ricorda il suo volto, rivivi quel
momento, ripensa all’effetto che ti ha fatto. E se puoi
vai a ringraziarlo, appena ti sarà possibile. Ma soprattutto sii consapevole di quanto sia stato importante
per te, in certi momenti, l’aiuto degli altri, perché
forse non ce l’avresti fatta da solo. Ciò che hai, ciò
che sei non è frutto esclusivamente tuo. Qualcuno un
giorno si è alzato per te, perché tu nascessi di nuovo.
E forse oggi, quando sei tu ad alzarti, in fondo stai
cominciando a restituire.
2 - Pensa a qualcuno che potrebbe aver bisogno di
te. Non andare a cercarlo lontano, può essere lì a un
passo e magari avere le sembianze di un rompiscatole
o di uno che non vorrà mai farsi aiutare. A volte gli
altri si lasciano toccare, anche se ti dicono che non
vogliono e lo fanno se si sentono considerati e trattati
con rispetto. Quando vai, non preparare prima cosa
dovrai fare o vorrai dire, lascia che sia il cuore in quel
momento a dettarti le parole e a guidare i tuoi gesti.
Non aver paura di tremare o di non essere capito, tanto lui non ascolterà le tue parole, ma percepirà il tuo
spirito. Ti potrebbe anche rifiutare, ma è lo stesso.
Ogni cosa ha il suo tempo e questo lo devi sapere.
Ma ogni nascita è impercettibile, è fatta di un lieve
movimento e questo può accadere anche se tu non te
ne accorgi. Non pretendere da te il risultato, lasciati
andare e sii contento di essere lì: anche se non lo sai
la vita rinasce per quel tuo gesto.
3 - Non ti aspettare un ringraziamento. Hai già ricevuto la tua ricompensa. E non fare il deluso se le
cose non sono andate come volevi o se l’altro non ti
ha dato un riconoscimento: l’amore non crea debiti,
fa bene a chi lo fa. Anche se tu fossi arrabbiato hai già
ricevuto la tua ricompensa: è vita, vitalità anche quella, è passione che si sprigiona. Quando stai tornando
a casa, prova ad ascoltare ciò che ti sta succedendo,
a sentire le tue fibre che rinascono, a percepire il tuo
battito, ad assaporare quell’energia che sta scorrendo
dentro di te. Si chiama nascere di nuovo.
Foto di Giuditta Scola
Dove si continua un sogno,
si pianta un albero,
si partorisce un bambino,
là opera la vita,
e si è aperta una breccia
nell’oscurità del tempo.
Hermann Hesse
Non basta condividere,
occorre moltiplicare!
di Maurizio Maggiani*
“Mi voglio rendere antipatico. Voglio salutarvi con un pensiero
che vi roda il fegato”. Aveva appena finito di parlarci della bellezza e della tenerezza. Una riflessione bellissima. Ma Maurizio
Maggiani aveva in serbo per noi un’ultima intuizione. Che non
rode il fegato, piuttosto apre nuove, stimolanti strade....
Bisogna dar peso alle parole che si usano,
rifletterci, guardarle una per una in faccia.
Ne prendo una, di parola, di cui so che
andate pazzi, anche qui a Romena, e che
io invece guardo un po’ di sbieco, con
sospetto. Questa parola è condivisione.
“Siamo qui a condividere”. “Condividiamo
questo momento”. Questa parola vi piace da
impazzire, vero?
A me, devo dirlo, mette invece un po’ di ansia.
Riflettiamoci, con calma. È una parola fatta
di due parti: con-dividere, dividere– con.
Dite la verità: “dividere” vi sembra una bella
parola? Quando sento la parola dividere,
avverto come la sensazione di un coltello
che taglia, di qualcosa che separa. Guardate
il dizionario: dividere vuol dire tagliare,
separare, sezionare, resecare. C’è, tra queste,
un’espressione che vi piace?
Non mi piace il “condividere”. Certo
dividiamo insieme, ma è pur sempre
un dividere. È un qualcosa che indica
separazione, che significa averne poco
comunque.
Gli spagnoli, che sono più delicati, e usano
molto più il latino di noi, dicono compartir,
cioè fare parte-con. Già è più attenuato, già
sarebbe meglio.
Ma condividere... Pensateci bene. Se siamo
insieme e se siamo davvero in tanti come
adesso non è che dobbiamo condividere, noi
dobbiamo moltiplicare.
Se siamo qui, se abbiamo una spinta così
forte che ci ha portati qui, non siamo qui per
tagliare, ma per moltiplicare. Quando erano
5-6mila laggiù e c’erano cinque pani e due
pesci cos’ha fatto Gesù? Non ha certo detto
“andate e condividete”. Ha detto “andate e
moltiplicatevi”.
E allora, tutto ciò che riguarda bellezza
e tenerezza non è da condividere, ma da
moltiplicare.
Certo, per moltiplicare siete chiamati a fare un
miracolo. Se siete chiamati, e siete qui, è solo
per fare dei miracoli. Perché per moltiplicare
bellezza e tenerezza, come per moltiplicare
pani e pesci occorrono dei miracoli. E non
dite che non fate miracoli perché non siete
quello là, quello là siete voi, l’ha detto Lui.
Perciò non mentite e non trovate scuse: siete
chiamati a fare dei miracoli. Ingegnatevi: fate
dei miracoli!
Non buttate via la condivisione. La
condivisione serve. Se volete condividere con
me vi dico cosa si può condividere: la colpa
(se la condividete ce n’è un po’ tutti), la pena
(se la dividete ce n’è un po’ meno per tutti),
la malattia, la morte. Quella roba lì più la
condividi e meno ce n’è per ognuno.
Ma se c’è qualcosa di buono circa la vita, non
limitatevi a condividerlo. Chiedete se potete,
di moltiplicarlo.
*Grande scrittore (è autore di libri bestseller come Il Coraggio del pettirosso) editorialista, affabulatore, il 21 ottobre
scorso Maggiani ha partecipato per la seconda volta quest’anno agli incontri organizzati dalla fraternità. Questo testo
riproduce la parte finale del suo intervento.
La registrazione integrale dell’incontro si può ascoltare o scaricare alla pagina podcast di www.romena.it
8
Foto di Gloria Casati
Le sole rivoluzioni
creatrici della storia
sono nate
dalla trasformazione dei cuori.
Olivier Clement
9
Un “big bang” del cuore
di Marina Marcolini*
Accade non a caso, non per una ragionata adesione, ma come un “folgorante innamoramento”.
Il racconto di una conversione, di una rinascita, di una rivelazione: l’incontro con un Dio che si fa
piccolo, come un neonato.
Mi ha sempre affascinato la storia di Pascal, che
teneva cucita nella piega del vestito una piccola
pergamena, scoperta solo dopo la sua morte, dove
conservava con amorosa cura parole scritte al momento della sua improvvisa conversione. Aveva
annotato lì l’emozione provocata da un’esperienza
indimenticabile: un incontro personale con Dio,
che fu per lui non solo una svolta esistenziale, ma
una vera e propria folgorazione, in grado di trasformare profondamente la sua vita, così com’era
successo a Paolo.
Queste conversioni improvvise e violente, cioè
con la percezione di un’irruzione nella propria
vita di un Altro da sé, non sono facili da comunicare, da tradurre in un discorso: tutto infatti si
gioca nell’attimo in cui avviene qualcosa di totalmente nuovo che colma di stupore chi le vive. Da
quel momento in poi la propria vita apparirà come
suddivisa da uno spartiacque, che separa un prima
e un dopo, quasi due persone diverse. Un big bang
scoppiato nel silenzio del cuore. Paolo racconta
di una luce accecante e poi della fatica di tornare
a vedere. Perché l’irruzione di Dio in una vita la
sconvolge e tutto quello che credevi prima appare
ora diverso e ti sembra per un po’ di essere cieco.
Anche la mia non è stata una conversione a tavolino, una ragionata adesione a un credo, ma un
folgorante innamoramento. Un giorno di 8 anni
fa è successo qualcosa che mi ha fatto rinascere a
una vita nuova.
Quello che ho provato quel giorno è stata una cosa
grandiosa e inaudita ma al tempo stesso semplice
e familiare, piccola e umile, fatta di silenzio sottile, dell’alito della mangiatoia. E non era una cosa
“dell’altro mondo”, oppure sì ma solo nel senso in
cui possiamo dire che sembra venire da un altro
mondo lo sguardo di un neonato che ci è vicinissimo: possiamo toccarlo, stringerlo, ma insieme
profuma di mistero. È così anche quando siamo
innamorati e proviamo emozioni che diciamo ce-
lestiali perché non ci sembrano di questa terra.
Quel giorno non solo ho scoperto che Dio esiste,
ma l’ho trovato molto diverso da come lo immaginavo. Non un Dio lontano, ma un Dio vicinissimo,
da gustare.
I mistici adoperano spesso metafore del gusto per
parlare di Dio, un Dio buono non solo nel senso di
misericordioso, ma buono come è buono un cibo,
un vino, qualcosa di cui si può fare esperienza e che
dà bellezza e gioia alla vita. E così anche la Bibbia:
“Gustate e vedete quanto è buono il Signore”.
Il Dio cristiano, che credevo nemico della libertà
e della felicità e scrivevo con la minuscola, mi è
venuto incontro come Dio della gioia e della festa:
il Dio di Cana, che intensifica la vita. Ho trovato
tante conferme della mia esperienza in uomini e
donne di tutti i tempi.
Com’è l’uomo nuovo, l’uomo rinato alla nuova
vita di Dio? Ha tante caratteristiche ma la più importante è questa: «soprattutto egli è felice, divinamente felice» (Evagrio Pontico).
E Agostino scrive: «abbiamo disputato sulla felicità e non conosco valore che maggiormente si
possa ritenere dono di Dio» (De beata vita).
Fidati di me e non di te, dice Dio a Gabrielle Bossis, perché solo io voglio veramente il tuo bene,
la tua felicità.
Io non ho trovato un Dio da temere, da ubbidire,
ma un Dio che si fa piccolo, da accogliere e accudire dentro di me, come si accudisce una nuova
vita che cresce nel grembo, con tenerezza, amore,
intelligenza, dandogli tanto di noi stessi. E piano
piano il seme divino che cresce dentro di noi ci
trasforma e ci fa sempre più simili a sé. Si avvia
un progressivo cambiamento e si comprende che
siamo esseri in continuo divenire, con un pulsare
dentro, un assillo, che spinge a lasciare il vecchio
e ad andare avanti.
Come diceva Turoldo: l’uomo è un duomo, una
cattedrale senza cupola, tutta da costruire.
*Docente di letteratura italiana all’università di Udine, Marina Marcolini collabora con padre Ermes Ronchi come autrice
della trasmissione televisiva di Rai Uno «Le ragioni della speranza». Ha di recente pubblicato per le Edizioni Paoline“Per
voce di donna” e, insieme a padre Ermes “Le ragioni della speranza” , commento ai vangeli domenicali dell’anno C.
10
Foto di Marta Togni
Primavera non bussa,
lei entra sicura,
come il fumo lei penetra
in ogni fessura...
che paura, che voglia
che ti prenda per mano,
che paura, che voglia
che ti porti lontano.
Fabrizio De André
11
“Dio fa sempre fiorire la vita”
Intervista di Luca Buccheri
Alberto Maggi è un teologo e biblista appassionato e sapiente; ha grandi intuizioni, e una
notevole capacità di trasmetterle. Ma sul tema del “rinascere” abbiamo voluto interpellarlo
anche in relazione a una sua vicenda personale: Alberto ha recentemente affrontato una
durissima battaglia tra la vita e la morte. “Nascere di nuovo” è un tema caldissimo, per lui.
Alla luce della tua recente esperienza di malattia, come risuona dentro di te la parola “rinascere”?
I tre mesi trascorsi in terapia intensiva, tra la vita
e la morte, sono stati una straordinaria esperienza che ha tanto arricchito la mia vita. Ho potuto
ancora una volta toccare con mano che, anche
in situazioni di morte, il Signore è capace di far
fiorire la vita. Ha ragione Paolo quando, nella
Lettera ai Romani, scrive “che tutto concorre
al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).
Siamo inseriti in un grande disegno di amore del
Padre, c’è solo da restargli fedele anche quando le circostanze della vita non fanno percepire
questo amore.
Stando faccia a faccia per mesi con la morte
(la sera chiudevo gli occhi senza sapere se poi
li avrei riaperti il giorno dopo), ho potuto conoscerla meglio, e considerarla come un’amica
e non come una nemica. Ho compreso perché
Francesco la chiamava “sorella morte”: lei non
veniva a togliermi la vita, ma a offrirla in pienezza, permettendomi, grazie a lei, di continuare in
maniera definitiva e completa la mia vita. Sapendo di poter morire da un momento all’altro non
mi consideravo un infelice, ma facevo mia l’ul-
12
tima beatitudine del Nuovo Testamento: “Beati
i morti che muoiono nel Signore” (Ap 15,13),
e questa beatitudine accompagna ogni momento
della mia vita.
Quale figura o immagine biblica ti fa venire in
mente l’espressione “Nascere di nuovo”?
Per gli evangelisti, quanti incontrano Gesù e lo
accolgono come modello della propria esistenza,
rinascono, diventano persone nuove. Due personaggi dei vangeli sono particolarmente significativi, il cieco nato di Giovanni (Gv 9) e il lebbroso
di Marco (Mc 2,40-45).
Il cieco nato, anonimo, è personaggio rappresentativo di quanti, vittime della religione, che
inculca loro il senso di colpa e del peccato (“Sei
nato tutto nei peccati!”, Gv 9,34), vivono nelle
tenebre, senza poter scorgere la luce dell’amore
del Creatore per le sue creature.
Una volta che il cieco incontra Gesù e accoglie
la sua parola, torna a vedere… ma non viene riconosciuto (Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia», Gv 9,9). Sembra
strano che le persone non riconoscano chi era
stato cieco. Non si erano cambiati i suoi connotati, semplicemente era tornata la luce negli occhi.
Quel che meraviglia non è un cambiamento fisico, ma la profonda trasformazione interiore
dell’individuo. Quando una persona ritrova libertà e dignità, diventa una persona nuova, pur
rimanendo la stessa. Plasmato col fango di Gesù,
il cieco è un uomo nuovo, creato a sua immagine
e somiglianza, è unto come Gesù. È l’uomo con
condizione divina, “l’uomo nuovo creato a immagine di Dio” (Ef 4,24), uomo libero, che non
viene riconosciuto dai sottomessi.
L’altro personaggio è il lebbroso. Considerato
colpevole della sua condizione in quanto punito
da Dio per i suoi peccati, è emarginato dalla società e dalla religione.
Il lebbroso ha perso tutto: la famiglia, gli amici,
il lavoro, l’onore, e ha perso anche il conforto
che poteva venire da Dio poiché considerato impuro, non
si può neanche rivolgere al
Signore.
La sua situazione è disperata:
è impuro, l’unico che potrebbe
togliergli la sua impurità è il
Signore, ma lui poiché impuro
non si può rivolgere al Signore… una dottrina spietata che
getta le persone nella più profonda disperazione.
Poi il lebbroso incontra
Gesù… Lui sa che non è degno di avvicinarsi a Gesù, ma
il Signore lo tocca, e la lebbra scompare e con
essa la traballante teologia di scribi e farisei, la
dottrina del merito.
Non è vero che l’uomo deve essere puro per accogliere il Signore, ma è vero il contrario: è accogliere il Signore quel che rende puro l’uomo.
Il Dio di Gesù non guarda i meriti delle persone,
ma i loro bisogni. Non è attratto dalle loro virtù,
ma dalle loro necessità; non concede il suo amore come un premio, ma come un regalo.
egoismi, chiusure e tutto quel che non è in sintonia con l’amore generoso che il Padre comunica.
L’uomo che ha accolto la Parola diventa lui stesso benedizione divina per quanti incontra, diventando lui stesso collaboratore all’azione creatrice
del Padre.
In che modo la Parola di Dio può aiutare a “far
rinascere” la vita?
Gesù paragona la sua parola a un seme (Mc 4,129). Quando la parola trova un terreno accogliente, senza ostacoli, comincia a mettere profonde
radici che cambiano la vita della persona, la trasformano, e l’individuo assiste, con sorpresa crescente, alla fioritura della parola nella sua vita,
a un frutto abbondante e straripante di energia
vitale. Forza vitale che crescendo, ed espandendosi, restringe fino ad annullare quelle tossine
mortifere che potevano essere presenti: rancori,
Lasciamoci con un augurio...
È possibile essere pienamente felici, qui, in questa esistenza terrena. L’assicura Gesù. La felicità, infatti, non consiste in quel che si ha, ma in
quel che si dà: “Si è più beati nel dare che nel
ricevere” (At 20,35). Donare non è perdere, ma
guadagnare, perché, ci assicura Gesù, si possiede
solo quel che si dona, quel che si trattiene non si
possiede, ma ci possiede. L’augurio è che tutti
siamo capaci di dare: tanto più grande sarà il nostro dono quanto più grande sarà la risposta del
Padre nella nostra vita. Auguri!
“Nascere di nuovo” è collegato alla gioia?
La gioia nasce dall’esperienza di sentirsi amati
incondizionatamente, scoprire che il Padre non
ci ama perché siamo buoni, ma perché lui è buono. Questa gioia iniziale è destinata a crescere
moltiplicandosi: più persone sperimenteranno,
attraverso il nostro amore, di essere amate e più
la nostra gioia crescerà. Più si dona e più la gioia cresce, come scrive Giovanni nella sua Prima
Lettera: “Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia
sia piena” (1Gv 1,4).
Che significato di fondo ha
per te il Natale?
Il Natale di Gesù, il Dio che si
è fatto uomo, è un invito a diventare sempre più umani.
Se Dio è diventato uomo, significa che tanto più siamo umani
quanto più liberiamo il divino
che è in noi. Non ci viene chiesto di salire come angeli verso
i cieli, ma di scendere, come lui
e con lui, verso gli uomini, attenti e sensibili ai
bisogni e alle sofferenze dell’umanità.
Natale significa accogliere il Dio che non assorbe
l’uomo, ma gli comunica la sua energia. Un Dio
che non chiede offerte, ma Lui si offre, chiedendo di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne la capacità d’amore, per renderlo l’unico
vero santuario dal quale si irradia il suo amore,
la sua misericordia e la sua compassione per tutti
gli uomini.
13
Quando l’incontro ci cambia
di Luigi Padovese
Non si può generare il nuovo restando chiusi in una torre d’avorio. La nostra vita cambia solo se ci
affidiamo agli inviti, alle provocazioni, agli stimoli che ci vengono dagli altri.
“Io non so chi sono prima di incontrare te”
(E. Levinas).
C’è un luogo privilegiato nella nostra vita dove
possiamo “nascere di nuovo”, ogni giorno. Questo luogo si chiama “incontro”, si chiama relazione, in particolare con le persone più vicine,
che ci stanno a cuore.
Ascoltare e incontrare l’altro ci trasforma. Ciò
vale sia nelle occasioni e negli incontri “speciali” che possono dare una svolta alla nostra
vita che nella quotidianità, nei rapporti di tutti i
giorni, nelle diverse routine che frequentiamo.
Proviamo a pensare a un aspetto di noi stessi e
del nostro vivere che non abbia a che fare con
qualche rapporto. Non esiste nulla di noi che
non sia in qualche modo legato ai rapporti con
gli altri. “Sono ciò che sono perché ci sono gli
altri”.
La trama della nostra vita si costituisce dunque,
giorno dopo giorno, attraverso le relazioni che
intrecciamo. In questo intreccio quotidiano, nel
tempo, si formano inevitabilmente dei “nodi”
che rendono faticosi e difficili i rapporti, ma
contemporaneamente si possono presentare opportunità e incontri che ci permettono di esprimere le nostre potenzialità, le nostre speranze,
la nostra autenti-cità più vera. Tutti nasciamo
uomini o donne ed abbiamo una vita intera, attraverso molteplici ri-nascite, per diventare davvero “esseri umani”.
Questa possibilità di evolvere ce la offrono abbondantemente le relazioni che via via costruiamo e frequentiamo. Ogni persona trova la sua
maniera, la sua via, certe volte tormentata e faticosa, per diventare se stessa. Se io ho rapporti
buoni, naturali, creativi, liberi, spaziosi sarò più
felice, più centrato, più maturo. Se i miei rapporti sono pieni di sospetto, di paura, di rancore, di invidie, di sensi di colpa, di gelosie allora
sarò così anch’io: incompleto, pieno di “nodi”,
teso, insoddisfatto.
Per tutto questo i rapporti sono importanti come
potenzialità di rinascita: il recupero di quella
socialità, di quello stare insieme che ci rende
14
più umani rappresentano gli ingredienti fondamentali per il nostro benessere. È nei rapporti
che possiamo trovare gli spazi e gli stimoli per
la nostra evoluzione. È nei rapporti che possiamo recuperare le nostre “maleforme” ricercando
quell’armo-nia e quell’autenticità senza le quali
tutto diventa più difficile.
Per questo, partendo dai rapporti che più influenzano la nostra vita, oggi, è importante interrogarci e cercare di capire che qualità, natura
e solidità esprimono. Quali bloccano la nostra
evoluzione, quali la possono sostenere, quali ci
stanno più a cuore, a quali dobbiamo fare spazio, quali infine dobbiamo avere il coraggio di
potare per proseguire il nostro cammino di vita?
Dobbiamo perciò capire cosa ci aiuta a “generare vita” nelle nostre relazioni, quali condizioni
permettono ai nostri rapporti di essere “fertili”,
quali qualità dobbiamo coltivare per far emergere e incontrare lo “sconosciuto”, il “nuovo”
che è in noi. Seguendo questa direzione, oggi
più che mai, sono importanti: l’attenzione (tutto
diventa più interessante), l’ascolto (la premessa a un vero incontro con l’altro), l’accoglienza (apriamo la porta al cambiamento) e infine
la fiducia (se non accetto il rischio non posso
evolvere).
J.P. Sartre, filosofo, disse che “l’inferno sono gli
altri” e l’esperienza quotidiana ci mostra quanta
desolante verità spesso racchiuda questa affermazione; ma può essere vero anche l’opposto…
nelle relazioni possiamo trovare il nostro “paradiso”.
Questo è possibile quando riusciamo a costruire e a mantenere “relazioni che non legano”,
che non stringono, che non possiedono, dunque
relazioni che nutrono e che ci permettono di vivere, di crescere, di evolvere, di assumerci la
responsabilità di stare dentro a quel rapporto, di
sentirci ingaggiati nell’affetto e nell’amicizia, di
ritrovare quella parte più autentica e vera di noi
stessi. Allora in quegli istanti, in quelle occasioni, ritroviamo il nostro “paradiso”, la nostra
nuova nascita… E questa ricerca ci accompagna
per tutta la nostra vita.
Foto di Piero Checcaglini
Che nasca così piccolo e così libero
da essere incapace di aggredire,
di odiare, di minacciare.
Così umile e ingenuo
da ragionare con il cuore.”
Ermes Ronchi
15
16
Illustrazione di Stefano Reolon
Accogliamo lo Spirito
come la vela prende il vento,
sia quel vento di passione
ad orientarci,
per non restare preda
delle nostre conquiste,
o permettere alle paure
di possederci.
Luigi Verdi
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Un luogo per rinascere
di Giorgio Bonati
Da oltre un anno Giorgio, frate cappuccino, vive un’esperienza di incontro con
la nostra Fraternità. La conosce ormai bene anche dall’interno, ma continua
a viverla come ognuno dei viandanti che la frequentano. Ed è con il cuore del
viandante che ha scritto questo articolo, individuano il filo del “nascere di
nuovo” come seme comune di tutti i corsi e le attività cui ha partecipato.
Ecco un nome nuovo per definire Romena:
un luogo per rinascere!
Fratello giornalino mi viene incontro suggerendo in estrema sintesi ciò che tanti,
compreso il sottoscritto, hanno provato sulla
pelle in occasione di qualche giorno trascorso a Romena. Proprio sulla pelle, scritto lì,
quasi come un tatuaggio indelebile. Si, credo
che ogni ‘corso di Romena’ in fondo abbia
in sé questo dono: l’invito a rinascere. Solo
un invito, ovviamente, perché qui nessuno si
azzarda a dire o dare di più: un pezzo di se
stessi, quel pezzo che hai vissuto, verificato
su di te, quello che ti è servito per uscire fuori
dal ‘labirinto’ della vita e tornare a respirare
con occhi nuovi. Questo è quello che si offre.
Niente ricette, ma solo esperienze, spiragli di
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consapevolezza di sé e di ciò che ci circonda.
Mi lascio un po’ trascinare dall’entusiasmo,
ma dopo ogni corso vissuto a Romena è
così, scusatemi, ma non ci posso far nulla.
È terminato in questo week end quello intitolato “Abitare la vita, abitare se stessi” e,
vi assicuro, starmene li a gustare ogni volto
che veniva dolcemente accarezzato dopo aver
valicato una simbolica porta e aver, con determinazione, professato il proprio impegno,
è cosa da mistici: questa è la contemplazione
che amo, che adoro, che mi fa rinascere alla
vita con più tenerezza, con maggior fiducia,
che mi aiuta a giungere a quella fede nuda
che anelo. E vi lascio immaginare la rinascita
di chi si è coinvolto lavorando seriamente su
di sé, sulle proprie maschere, riuscendo a dar
luce alle proprie ombre, come sintetizzava papa Giovanni: “Ciò che è semplice è naturale
ieri ‘l’amico straniero’ che ha partecipato al e ciò che è naturale racchiude il divino”. Qui
corso: Georgos.
si trova il nocciolo della vita, fare di ogni
E che dire della pazzia santa che anima co- giorno una dolce disciplina, capace di dare
loro che terminano il primo corso: questa armonia al corpo tanto quanto all’anima e
proprio non si può descrivere, è cosa di altri pure alla mente.
pianeti, di altri mondi. Io amo mettermi lì, in Sembra quasi che Pigi, Gigi e Wolfgang, i tre
cima alla scala fuori dalla bottega, e, mentre autisti a guida dei corsi si siano messi d’accorpassano uno ad uno, guardare quei volti, e mi do: nella vita ciò che è essenziale non è ciò che
accorgo che in due semplici giorni qualcosa ci accade, ma ciò che facciamo con quello che
muta, qualcosa nasce, nuovo, dentro e fuori, ci accade, e loro ne sono la prova più evidente.
perché il corpo non mente, non sa mentire Davvero le nostre debolezze possono diventacome la mente. Quanta sana adrenalina, quanta re l’occasione propizia per rinascere, davvero
passione per la vita sanno
possiamo metter oro nelle
donarti quelle neppur 48
ferite, anche quelle più
I Navajo insegnano ai loro bamore trascorse col maestro
profonde, davvero posPigi a dirigere l’orchestra
siamo meravigliarci di un
bini che ogni mattina il sole che
di cuori che lentamente si
lavoro fatto e avere il cosorge è un sole nuovo.
sciolgono, si muovono, si
raggio di esser più liberi,
Nasce ogni giorno, vive solo per
abbracciano.
basta saper sapientemente
E che meraviglia sapere
potare, come ci insegnano
quel giorno, muore alla sera e
che questo è solo l’inizio.
i contadini.
non ritornerà più.
Dopo esserti guardato
Mi avvio alla conclusioDicono ai loro piccoli: Il sole ha
dentro e aver scoperto
ne non senza accennare
che non sei niente male,
all’ultimo corso arrivato
solo questo giorno, un giorno.
è l’ora che lo sguardo si
al porto di Romena. QuelVivi bene la tua vita in modo che
volga un po’ più su, poco
lo che ci siamo inventati
il sole non abbia sprecato il suo
più su. Nel secondo corso
Gigi, Grazia ed io è stato
credo si cerchi solamente
tentare di dare un tocco di
tempo prezioso.
una cosa: rendere sacra
‘leggerezza’ a questa vita
ogni cosa. Gigi lentamenche si presenta spesso di
te ti fa innamorare. Di Dio! Il Dio servo, il altro peso. Solo a pronunciarla questa parola
Dio tenero, il Dio libero, quello impastato con allarga i polmoni, ma non basta. Ecco allora
i nostri giorni, che si lascia mangiare e bere che ci siamo inchinati di fronte al nostro
sempre, quello che diviene vita se noi si passa cuore bambino e lo abbiamo accarezzato. Ci
dal fuoco sacro, quello che ci chiede di fidarci, siamo lasciati meravigliare da ‘quello che
di chiudere gli occhi e procedere al buio, ma c’è’ e siamo andati al nocciolo, all’essenza
mai soli! Ecco: qui rinasce l’anima, qui la parte delle nostre relazioni e vi abbiamo instillato
‘spirituale’ prende corpo, si nutre di ciò di cui una buona dose di fiducia per poter nascere
ha bisogno ed è pronta a spiccare il volo.
di nuovo, ogni giorno.
Già, ma poi serve sorella ‘costanza’. Sappia- È ormai più di un anno che vivo Romena e
mo quanto non sia per nulla facile spiccare ho avuto la fortuna di infilarmi in ognuno di
‘ogni giorno’ il volo: ecco allora che giun- questi corsi e di guardarli, dentro e fuori, e
ge l’ora di esser guidati per le strade della godo, si, godo al pensiero che avrò ancora
vita… da un cieco! È il nostro Wolfgang che l’opportunità di ficcare il naso e gli occhi
ti prende per mano e ti aiuta ad inoltrarti nei e il cuore in questi ‘luoghi sacri’, in queste
boschi di Quorle quanto in te, e con la sua parole che diventano carne, diventano vita.
vita indica una disciplina quotidiana, fatta di Mi chiedo solo: saprò ridestare in me ogni
cose semplici e naturali, perché come diceva giorno il nuovo che arriva?
19
Il nostro Natale
Nascere di nuovo. È un tema scelto non a caso, per questo periodo natalizio.
Ci piace collocare questa voglia di ripartire, di rinascere proprio accanto al
bambino che nasce a Betlemme, all’infinito che scende tra di noi. In queste
pagine ci avviciniamo a Gesù che nasce insieme a una pagina di Erri de Luca , a
una poesia di Ermes Ronchi e a una riflessione di padre Vannucci.
M
Ermes Ronchi
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“Sono Gesù, tuo figlio”
* di Erri De Luca
É
venuto col vento di marzo, poi è cresciuto nell’acqua della mia placenta,
come tutti i bambini del mondo. Cosa
prova lui adesso che sta per uscire e il
tempo del grembo è scaduto? “Iosef mi
sembra che il censimento sia per noi un
pretesto. Saremmo partiti lo stesso. L’ultima sua settimana doveva essere quella
di un viandante, senza fissa dimora, sulla schiena di un’asina paziente” (...)
Bet Lèhem, Casa di Pane, campi di grano intorno, arati e messi a riposo invernale, aria di neve in cielo, non ancora in
terra (...)
Ce la farò, qui starò benissimo. Hai trovato un posto adatto, caldo e tranquillo.
Ce la farò, Iosef, sono donna per questo.
All’alba ti metterò sulle ginocchia Ieshu.
I dolori erano cominciati. Iosef sistemò
della paglia sulle pietre asciutte, ci stese
sopra una coperta e le pelli. Mi sdraiai.
Batteva più violento il cuore, i colpi battevano alle tempie, da chiudere gli occhi
(...) Una luce calava da un’apertura del
tetto di canne e di rami. Era lei, la cometa, appesa in cielo come una lanterna.
Prima di separarci gli ho messo in ordine
i capelli, ci siamo sorrisi. “Così mi piaci”, gli ho detto, soddisfatta di com’erano sistemati.
Iosef era uscito: ora toccava a me, ora
dovevo fare, partorire è fare con il corpo
(...)
Lontano i pastori chiamavano qualche
pecora persa. “È una bella notte per venir fuori, agnellino mio, notte limpida in
alto e asciutta in terra. Il viaggio è finito
e tu hai aspettato questo arrivo per nascere. Sei un bravo bambino, sai aspettare. Ora nasci che tuo padre ti aspetta. Si
chiama Iosef, quando entra gli diciamo:
caro Iosef io sono Ieshu tuo figlio. Vedrai che sorpresa, che faccia farà.”
Faccio mosse esperte senza conoscerle.
Il mio corpo fa da solo, esegue. Non l’ho
istruito io. Odoro la creatura perfetta che
mi è nata, posso allentare il nervo attorcigliato del sospetto: è maschio, è la certezza, non più una profezia. È maschio
l’ho fatto io, sgusciato sano in mezzo
all’acqua e al sangue, il corpo esulta insieme a quello di ogni donna che mette
al mondo l’altro sesso, perché è un regalo a noi.
L’ho palpato da tutte le parti fino ai piedi. L’ho annusato e per conferma gli ho
dato una leccatina “Sei proprio un dattero, sei più frutto che figlio”. Ho messo
l’orecchio sul suo cuore, batteva svelto,
colpi di chi ha corso a perdifiato.
Al poco lume della stella l’ho guardato,
impastato di sangue mio e di perfezione.
Il bue ha muggito piano, l’asina ha sbatacchiato forte le orecchie. È stato un
applauso di bestie il primo benvenuto al
mondo di Ieshu, figlio mio.
*Tratto da “In nome della madre”, Edizioni Feltrinelli - 2006
21
La notte in cui nasce Dio
di Giovanni Vannucci*
Avviciniamoci alla notte di Natale leggendo in profondità i significati che ci
vuol trasmettere. Insieme a padre Giovanni Vannucci cerchiamo di entrare nel
silenzio di Betlemme, nella grotta che ospitò Gesù e di guardare il bambino
che nasce lì. E che può rinascere nel cuore di ciascuno di noi.
N
el silenzio della notte
La nascita del Verbo di Dio non poteva avvenire
se non nel profondo silenzio della notte, mentre
tutto tace, tutto è avvolto dall’oscurità. Anche in
noi il Verbo divino discende quando riusciamo a
fare un silenzio totale in noi, a spengere tutte le
luci che vengono dalla terra. Dobbiamo spegnere tutto: le luci che sono nella nostra mente, le
voci che nascono nella nostra zona emotiva e le
voci che tengono svegli e all’erta i nostri sensi
esterni. Se vogliamo che il Verbo di Dio nasca in
noi dobbiamo saper scendere in questo silenzio
profondo, in questa oscurità totale. (…)
Il nostro essere naturale ci spinge all’agitazione
e al rumore, all’accrescimento di pensieri, alla
moltiplicazione di stati emotivi, e crediamo di
essere vivi mentre siamo in una condizione di
pura apparenza. Molte volte la ricerca di eccessive attività, anche in nome di Dio, è l’indizio di
un disordine interiore. Quando la gente vi chiede:
cosa fate, nella solitudine? Vi fa questa domanda
perché è abituata a evadere nell’azione. Quando
lo chiedono a me: alle Stinche, lei cosa fa, qui
isolato? Rispondo: non fo niente. Cerco di vivere
in spazi di silenzio, di equilibrio, di grande pace
emotiva, di solitudine totale, spazi che mi debbono avvolgere e permettere alla mia anima di
pensare i pensieri di Dio, al mio sentimento di
22
muoversi secondo il sentire di Dio, ai miei sensi
di ascoltare le voci che sono al di là della sensibilità, al di là di tutti i rumori possibili umani. Il
silenzio è quell’atmosfera che ci rende uomini e
donne vere, perché in noi nasce la Parola di Dio.
Nella disattenzione dei più
Se pensassimo alla notte del Natale e la misurassimo con i nostri consueti criteri, rimarremmo subito sgomenti: il Figlio di Dio nasce nel buio più
profondo, nel più assoluto silenzio, nell’ignoranza totale dell’umanità contemporanea, nell’ostilità dei pochi che hanno scorto la Vergine che stava
per partorire e l’hanno respinta dalle loro case. In
questa condizione nasce il Verbo di Dio, scende
sulla terra la Parola di Dio. Misurando la notte
del Natale con i nostri criteri ordinari, rimaniamo
stupefatti di fronte alle misure diverse divine nei
confronti dei nostri comportamenti umani. Se noi
sapessimo che domani, in una località qualunque
del mondo, nascerà il futuro Messia o un grande
personaggio, subito cominceremmo a sussurrare,
andremmo alla televisione, faremmo réclames:
una madonna muove gli occhi e si fanno santini,
si organizzano pellegrinaggi. Come è differente
la nostra superficialità dalla profondità di Dio!
Il Verbo di Dio nasce nella più assoluta dimenticanza; chi lo sapeva fuori di Maria e di Giu-
seppe? e forse, dei Magi che dal lontano oriente
si erano mossi? Nessun altro lo sapeva. Eppure
quello era il momento centrale di tutta la storia
della terra e del cosmo: il divino che assume la
materia, la carne umana, per trasformare tutta la
realtà pesante della terra nella realtà divina.
mente Cristo nasce in Betlemme se non nasce in
te». Siamo noi che dobbiamo diventare coscienti
che nella nostra grotta c’è il bambino divino che
vuole crescere, illuminarci, trasformarci, e deve
nascere in noi. E in noi nasce quando riusciamo
a fare silenzio, ad avvolgerci di tenebra.
In una grotta
Dove nasce il Figlio di Dio? Cristo nasce in una
grotta, neppure in una casa, in una capanna, in
una baracca costruita da mano d’uomo: nasce
in una grotta, in un rifugio naturale, dove vanno
gli animali per ripararsi dalle intemperie. Perché
questo? Perché le opere di Dio non hanno niente
a che fare con le opere dell’uomo. Fosse nato in
una casa povera, Cristo sarebbe stato accolto con
diffidenza dai ricchi. Fosse nato in una casa di
ricchi, sarebbe stato accolto con diffidenza dai
poveri. Cristo è di tutti. Per lui non ci sono le
categorie costruite da noi uomini, ricchi e poveri,
proletari e non proletari.
E ancora cosa significa che il figlio di Dio nasca
nel profondo della terra, in una grotta.
Cos’è la grotta? È la profondità della terra, è la
profondità della coscienza dell’uomo, dove il Verbo di Dio discende. Che rivelazione meravigliosa è questa e quanta gioia ci deve dare! Quando
leggiamo gli studi degli psicologi moderni, specialmente di certe scuole, la scuola freudiana ad
esempio, rimaniamo sgomenti nel vedere quanti
serpenti, quanti animali violenti sono nel nostro
intimo, nel nostro inconscio. Ed è vero: in noi ci
sono delle passioni innominabili, delle passioni
sfrenate, delle passioni di violenza, di cupidigia,
di avidità, di sensualità, che spesso si rivelano
improvvisamente a noi, e rimaniamo stupiti di
trovare in noi una fossa di serpenti.
Il fatto che Cristo, la Parola di Dio, nasca nel profondo della grotta ci deve dare una grande speranza. Nella nostra grotta, nel nostro pozzo, non ci
sono soltanto dei serpenti, delle tendenze spaventose che, quando si manifestano, ci riempiono di
terrore; in noi c’è il Figlio di Dio, con la sua tenue
luce che vuole illuminarci, che risplende sulle nostre tenebre, la cui bontà e grazia colpisce le teste
di tutti gli animali che sono nel nostro essere, per
ucciderli e trasformarli in elementi di vita.(…)
Dobbiamo sentire la grotta non soltanto come
spazio geografico, ma come spazio psicologico:
in noi nasce il Figlio di Dio. Angelo Silesius, nel
suo libro Il viandante cherubico, dice: «Inutil-
Fragile come un bambino
Come si rivela il Figlio di Dio nel momento della
sua nascita? Se pensate ad altre manifestazioni
del divino, contenute nell’Antico testamento, notate subito la differenza. Sul Monte Sinai Dio si
rivela come il potente, tra folgori e tuoni e lo sgomento del popolo. A Betlemme rivela la sua onnipotenza nell’impotenza totale di un bambino che
è bisognoso di tutto: di una culla, di braccia che
lo accolgano, di mammelle che gli diano il latte,
del calore, della protezione, della vigilanza più
assoluta. Dio è l’inerme. Così si rivela a noi: è il
fanciullo che nasce. Dobbiamo riuscire a togliere
dalla nostra mente tutte le visioni e le figure con
le quali spesso raffiguriamo il mistero divino: il
re di tremenda maestà, il re onnipotente, padrone
della vita e della morte. Quando si è rivelato, si
è rivelato come impotente, perché la potenza di
Dio è il rovescio di tutte le potenze degli uomini.
È la potenza dell’amore, è la potenza del pane, è
la potenza del fanciullo.
La notte di Natale
Questo dobbiamo pensare, credo, per poter vivere anche noi il mistero della nascita di Cristo. In
quella notte cercate di immergervi nella tenebra
più fitta, ove risplende la luce divina, nel silenzio
più assoluto, dove risuona la parola eterna che
prende carne. In quella notte santa cerchiamo
di essere anche noi il fanciullo eterno che nasce
continuamente nelle tenebre, nel silenzio, nella
lontananza da tutte le organizzazioni umane, nella semplicità, nella povertà più assoluta.
Io spero che Cristo, il Verbo di Dio, nasca veramente nella mia coscienza come nella vostra
coscienza, in questo Natale.
*Il testo è la sintesi di una meditazione di padre Giovanni che è stata pubblicata ne “Il passo di Dio”
(Edizioni Paoline). Padre Giovanni Vannucci, fondatore dell’eremo delle Stinche (a Panzano, nel Chianti),
morto nel 1984, è uno dei mistici che più ha ispirato il
cammino della nostra Fraternità. Le Edizioni Romena
hanno pubblicato alcuni suoi libri.
23
Un nuovo libro
Lettere da Romena
di Massimo Orlandi
articolo di Maria Teresa Abignente
Da quasi vent’anni, la Prima pagina di Massimo
Orlandi apre le porte di questa nostra rivista.
Ora, gran parte di quegli scritti diventano un
libro, “Lettere da Romena”. Lettere, perché così
l’autore le ha pensate, immaginando oggi volta
un incontro, faccia a faccia, con ciascuno di voi,
per riflettere insieme sulla vita e il suo senso,
sui valori e sui sentimenti, sulle piccole e grandi
sfide del quotidiano. Lettere, che ora partono di
nuovo, questa volta tutte insieme, per iniziare
un nuovo cammino.
Il libro, che sarà disponibile da metà dicembre,
si apre con l’introduzione di Maria Teresa
Abignente. Ve la anticipiamo.
24
“La vita si fida del tempo”: le parole scritte
da Massimo Orlandi ormai quasi venti anni
fa avevano forse in sè il presagio di questo
libro: affidate ad uno dei primi giornalini di
Romena hanno viaggiato fino ad oggi per
approdare su queste pagine e consegnare,
quasi con aria di festa, il loro messaggio.
Queste lettere “salvano le nostre stelle e i
sogni che le abitano”, catturando dal mare
dei detriti la gemma preziosa, spingendo il
nostro sguardo ad andare oltre e “allenandoci allo stupore del nuovo”.
Nelle sue “lettere” Massimo, riesce a tirar
fuori le nostalgie e le luci, le bellezze e le
novità che non sapevamo di avere dentro. E
tutto questo provoca in noi una sottile meraviglia di verità e uno stupore grato.
Il tempo è volato su Romena, l’ha accarezzata con le mani tremanti o col cuore ferito
delle tante persone che hanno portato la loro
vita nelle curve che giungono alla Pieve. La Una raccolta di lettere scritta a destinatari
vita si fida dell’amore perché da lì nasce. E sconosciuti, eppure vicini, anzi, fratelli nelc’è bisogno di tempo per portare avanti la la ricerca e nel desiderio di essenzialità e di
vita, un tempo che pure a volte sembra non semplicità; così come semplici ed essenziali
essere passato, perché laddove c’è un brivi- sono le pietre della nostra Pieve. Sono letdo di emozione o una
tere scritte da Romena
vibrazione di amore
a donne e uomini forse
Il mio sogno è che queste lettere
lui si ferma rispettoso.
inquieti, ma pieni di
aiutino a tenere aperta
E sfiora l’eternità.
speranza. Sembra quasi
la vostra cassetta della posta.
di entrare nella Pieve
È in questo nucleo forleggendo queste pagiChi ci metterà la mano dentro
mato da Vita, Amore e
ne... ogni lettera somiTempo tutto il succo
glia a ciascuna di quelpotrà così provare, spero,
del nostro cercare, la
le pietre, che se ne sta
la piacevole sensazione
fame del nostro cuore,
lì a lasciarsi carezzare
in fondo, il mistero al
e guardare, unica nella
di non trovarla mai vuota.
quale tentiamo di avsua forma e nel peso
Massimo Orlandi che porta.
vicinarci. Non so se vi
è mai capitato di assistere ad una bufera di
Sono lettere consegnate
vento dall’alto di una collina: mentre tutto e lasciate nelle mani di chi leggerà col cuore
intorno viene agitato e scosso laggiù, in bas- fiducioso od oppresso e cercherà in queste
so, c’è un punto in cui tutto sembra immobi- parole uno squarcio, un’apertura, una nuova
le e fermo, un nocciolo saldo che àncora, un visuale ed anche un abbraccio.
ago di bussola che indica. E questo noccio- Perchè questo fa Massimo: abbraccia uno
lo ci conferma che anche nel nostro cuore, ad uno tutti noi suoi destinatari, accompaquando le tempeste lo agitano, rimane un gnandoci a trovare “il coraggio di gettare la
punto fermo, impastato di vita e di amore, in nostra vita sempre un passo più in là, senza
cui silenzio e quiete si possono raggiungere. condizioni”
Ognuna di queste Lettere da Romena ce lo
ricorda: lo fa puntando un fascio di luce sui
tanti spigoli della nostra vita o mettendo a
fuoco quel che il vento delle crisi scombussola e denuda.
ISBN 978-88-89669-47-1 - € 10,00 Un verso di Vivian Lamarque dice “A cosa
servono i baci se non si danno?” Credo sia
altrettanto vero anche per gli abbracci. E allora grazie Massimo perché non hai tenuto
per te tutti i tuoi abbracci.
Lettere da Romena - Massimo Orlandi
in libreria o richiedendolo a [email protected]
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Quest’anno la veglia prova ad aiutarci ad
affrontare la paura di questo tempo
e spingerci a tornare ad una fede nuda.
BRESCIA
21 gennaio 2013
Centro Mater Divinae Gratiae - Via Sant’Emiliano, 30
BERGAMO
Chiesa dei Frati Cappuccini - Via dei Cappuccini
MILANO
ore 21,00
22 gennaio 2013
ore 21,00
23 gennaio 2013
Parr. Beata Vergine Immacolata - Lavanderie di Segrate ore 21,00
PIACENZA
Parrocchia S.Franca - Piazza Paolo VI, 1
SIENA
Parrocchia San Francesco all’Alberino
26
24 gennaio 2013
ore 21,00
29 gennaio 2013
ore 21,00
AREZZO
30 gennaio 2013
Parrocchia San Marco Alla Sella
LE PIAGGE (FI)
ore 21,00
13 febbraio 2013
Comunità delle Piagge
CATANIA
ore 21,00
19 febbraio 2013
Parrocchia SS. Pietro e Paolo - Via Siena
MODICA
ore 20,30
20 febbraio 2013
Chiesa di San Pietro - Corso Umberto I
RAGUSA
ore 20,00
21 febbraio 2013
Parrocchia S. Pietro Apostolo - V. Lazio 89, Beddio
PALERMO
Parr. San Gaetano - Brancaccio
MESSINA
ore 19,00
22 febbraio 2013
ore 20,00
23 febbraio 2013
Parr. S. Giacomo Maggiore Ap. - V. Buganza, Isolato 54 ore 20,00
LOCRI-ARDORE MARINA
Parr. Santa Maria del Pozzo CROTONE
Parr. del Sacro Cuore - Borgata S.Francesco LAMEZIA TERME
Chiesa del Carmine - Sambiase COSENZA
Parrocchia San Carlo Borromeo - Rende PRAIA A MARE (CS)
Parr. Gesù Cristo Salvatore - Loc. Foresta 25 febbraio 2013
ore 20,30
26 febbraio 2013
ore 20,00
27 febbraio 2013
ore 19,30
28 febbraio 2013
ore 20,30
1 marzo 2013
ore 20,30
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C’è musica che rinasce...
C’è una musica che nasce nella nostra pieve. Le assomiglia, in fondo le appartiene.
È la musica che apre il cuore durante i nostri momenti di preghiera, di incontro, è la
musica che ci porta a Romena, anche quando Romena è lontana. Questa musica è di
nuovo disponibile per chi vuol tenerla con sè e, magari condividerla. A grande richiesta
abbiamo infatti pubblicato la seconda edizione di ROMENA CANTI e di ROMENA CANONI.
ROMENA CANTI: sono le canzoni della Fraternità, quelle che accompagnano la messa e i corsi a Romena,
scritte e cantate da Luigi Salis. “Disarmato Amore”, “Amami”, “Ho dipinto a colori”, “Abito la vita” sono
tra i più noti dei 17 brani che compongono il CD (durata totale: 74 min).
ROMENA CANONI: sono preghiere in forma di testo ispirate da don Luigi Verdi che diventano canto
con la musica creata da Antonio Salis e altri amici musicisti. I canoni di Romena con il loro andamento
“perpetuo” si prestano per un ascolto meditativo e di raccoglimento, le preghiere che li compongono
invitano ad una fede semplice e nuda (11 brani, durata totale: 50 min).
Puoi trovarli a Romena o richiederli all’indirizzo:
[email protected]
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GRAFFITI
C
i sono preziosi momenti in cui la vita
lascia un segno indelebile nel cuore di
chi ama percorrerla al di là delle solite
piste battute. Quest’estate, a Cuba, ho avuto la
grazia di vivere uno di questi rari momenti .
La notte di San Lorenzo, nel parco di Guanahacaibibes, ho assistito, incantata, alla deposizione delle uova della tartaruga verde, sotto il più
bel cielo stellato che si potesse immaginare.
Un momento magico. La tartaruga, sbuffando
nell’oscurità, ha deposto 122 uova. E nel silenzio, sotto le stelle, mi sono sentita parte commossa della meravigliosa danza della vita.
Meno della metà dei tartarughini sopravviverà
alla nascita. Alcuni saranno mangiati dai pesci,
alcuni attaccati dagli uccelli, alcuni incontreranno tronchi lungo il loro percorso e non troveranno il mare…ma altri ce la faranno, e, obbedendo
alle misteriose logiche della natura, vivranno.
Il giorno successivo, al mattino, rientrando verso
l’Havana, il nostro bus ha sbandato per colpa
della strada e della pioggia, e si è rovesciato.
L’urto è stato preceduto da lentissimi secondi di
terrore, rotolando senza controllo in bilico tra la
vita e la morte. Un momento orribile.
Una ragazza ha gridato, svegliandoci tutti in
tempo per reggerci un po’ più forte. Abbiamo evitato un pilastro per un pelo, nessuno passava
nell’altra corsia, si è rotto solo un vetro, ci siamo
ribaltati in un punto pianeggiante… molteplici intrecci grazie ai quali ne siamo usciti tutti salvi.
Nei lentissimi secondi in cui il bus rotolava, recitavo una unica assillante preghiera: “Ti prego
fammi continuare a vivere. Non ti chiederò più
niente. Voglio solo vivere”.
Dopo mille peripezie, siamo rientrati all’Havana
che era già notte. Ci è stata detta una cosa bellissima al nostro arrivo: “Oggi siete tutti nati nuovamente”. Ed è così che mi sento da due mesi:
grata di essere anche io un uovo prescelto, a cui
è stato concesso di continuare a vivere. Questa
esperienza mi ha cambiato profondamente. Ora
più che mai sento chiaro e forte nel mio cuore
che sopra ogni cosa, nonostante tutto, l’importante è la vita in sé, il dono più prezioso che Dio
ci possa mai fare.
Mio Dio grazie per aver ascoltato la mia preghiera, grazie per avermi dato una nuova opportunità, grazie per il creato e per tutte quelle piccolegrandi vite che hai affidato alla notte magica di
San Lorenzo.
Betta
C’
è una canzone, ormai di qualche anno
fa, cantata da Adriano Celentano in uno
dei suoi album di maggiore successo,
che mi piace particolarmente. Si intitola “Le pesche d’inverno” e racconta di una storia rinata,
rifiorita quando ormai non ci si sperava più.
A volte sì, succede: succede che ciò che pensavamo perso per sempre, ciò che era costato tante lacrime e aveva scavato in noi fiumi di
desolazione, venga riconsegnato alle nostre
mani in modo nuovo e insperato; ci sono ritorni,
ci sono circostanze che riannodano rapporti e
strade che tornano ad incrociarsi, dialoghi interrotti che si riempiono di parole nuove, cieli cupi
che improvvisamente spalancano l’orizzonte oltre il buio e lasciano intravedere nuove vie sulle
quali poter di nuovo camminare. Miracoli della
vita, storie dolci da raccontare che racchiudono
l’insolito sapore delle pesche d’inverno.
Ma le vicende nelle quali si dibatte la nostra
storia, lo sappiamo tutti, non sempre hanno un
“lieto fine”, non sempre si tingono di rosa come i
romanzi d’appendice.
Lì, dove la speranza non ha più ali e la fede si
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fa silenzio, dove lo spazio del cuore è occupato
solo da una muta ribellione, quale volto di Dio
sarà possibile ricercare e accogliere?
Io non lo so, non ho risposte alla sofferenza, alla
malattia, all’ingiustizia, alla morte. Il dolore merita rispetto e spesso l’amore chiede soltanto il
coraggio di restare in silenzio e l’umiltà di ammettere di non capire.
Allora mi viene in mente Maria sotto la croce.
Maria senza lacrime. Maria senza parole. Maria
senza facili consolazioni da distribuire a buon
mercato. Maria che accetta solo di restare. Restare e attendere. Non cedere alla tentazione di
fuggire, non arrendersi alla disperazione che si
fa spazio nel cuore: restare lì. Senza risposte,
senza preghiere, senza certezze.
Restare e attendere che il ramo di pesco torni a
rinascere e a rifiorire.
Gloria Casati
C’
è un tempo per tutto nella vita, uno per
vivere e uno per morire, uno per soffrire e uno per gioire. Ma in mezzo non
c’è il nulla, in mezzo c’è la vita stessa. Anche
quando sembra che tutto vada storto, poi, torna la luce. Poco importa se è flebile come una
candela o abbagliante come un riflettore. Non ci
è dato sapere quando si cade, né quando, una
volta caduti, ritroviamo la forza per rialzarci; certo non è aspettando di essere sollevati o guardando lontano da sé che ritorniamo alla vita. Il
chiudersi al mondo, al confronto, al rischio anche di sbagliare di nuovo, per paura, toglie valore ad ogni momento bello che in precedenza la
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vita ci ha donato. Il segreto sta solo in quell’intima disponibilità del nostro animo ad accogliere
e a ricevere senza giudizi, senza pretese, senza
prepotenza e senza ambizioni insane, tutto ciò
che la vita stessa ci mette nel piatto. (...)
Quando si perde l’oggetto d’amore ci si sente
disperatamente soli, ma il dolore, prima o poi,
lascerà spazio al torpore e ai ricordi dei bei momenti che potranno scaldare dentro, e anche se
il cuore non tornerà mai più ad essere leggero,
sarà sempre possibile tornare a vivere.
Dio ci ha donato l’amore anche se non ci ha donato la possibilità di scegliere chi amare, lasciandoci spesso soli davanti all’assunzione di responsabilità dei nostri sentimenti, proprio come
un genitore affettuoso che non si sostituisce a
noi ma ci lascia la possibilità di imparare per crescere. E si impara, si cresce e si nasce di nuovo,
cento, mille volte e si torna alla vita, all’amore,
per un uomo, per una donna, per un amico o
un familiare, perché è questo l’ingrediente base
della nostra esistenza e senza il quale è come
abitare su un pianeta senza acqua; un posto
dove non ci sono fiori, non crescono alberi, non
ci sono animali non c’è niente di vivo. E li si che
muore davvero! Senza rinascere mai più.
Patrizia Orsucci
‘‘.
..non siamo solo partoriti, ogni gesto
d’amore ci rimette al mondo...”, mi sono
care queste parole di Paola Nepi per
la loro profonda e semplice verità. È
proprio vero, tutte le volte che nella mia vita mi
sentivo sprofondare nel freddo del mio inverno, il
calore di un contatto riusciva a far nascere dentro di me quella speranza che mi dava la forza di
rimettermi in cammino. Sono grata per tutti quei
compagni di viaggio che mi hanno aiutato nella
ricerca di me stessa e di un Amore più grande,
tante tappe, tante piccole rinascite. Posso dire
però di essere nata veramente a nuova vita il
giorno della mia conversione: era un pomeriggio
di primavera di sei anni fa, un amico mi aveva
inviato lì da padre Luciano, un sacerdote saveriano che si occupa di dialogo fra zen e vangelo.
Mi sono sentita subito accolta e capita, abbiamo
parlato tanto in quella cappella che, negli anni
della costruzione del Duomo di Milano,veniva
utilizzata dagli operai per pregare prima di iniziare il lavoro per la costruzione del tempio. Ancora
adesso quando mi sento sfiduciata e stanca, ripenso a quel momento e a quel luogo e chiedo
al Signore di benedire la mia fatica, di custodirla
affinché, col Suo aiuto, possa diventare un piccolo mattone del grande tempio dell’ Amore.
Mariagrazia De Angeli
ascere di nuovo...Quando l’amore ti
tocca e ti trasforma la vita, le rigidità
si sciolgono, il sorriso ti nasce dentro
e nel cuore abitano le persone che hai incontrato con i loro sguardi, i loro sentimenti, la loro
essenza. E non ti lasciano più. Nessuno di loro
sarà perduto.
Se guardo indietro o dentro, vedo tante persone
che mi hanno toccato il cuore ed il mio cammino
si è nutrito di vita tutte le volte che ho condiviso
investendo me stessa.
Le ferite e le rigidità hanno creato zone d’ombra e hanno alimentato le paure. L’incontro con
l’altro, la sofferenza condivisa, frammenti di vita
vissuti insieme, la ricerca di un senso e qualcuno accanto che te lo propone, mi hanno fatto
percepire l’essenza dell’Uomo come spazio di
Dio. E portandolo dentro e vivendolo con altri,
scopro che l’eternità si avvicina e si allarga ogni
giorno aumentando la vita e la creatività.
Quando sembra, secondo natura, che tutto rallenti e volga al minimo, qualcosa si trasforma e
assume carattere di forza (...). E quando la stanchezza ci coglie, il riposo è necessario e ristoratore.
N
Laura Tasselli
PROSSIMO NUMERO: il giornale in
uscita a Marzo approfondirà il tema:
“Una fede nuda”.
Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine
ultimo: 28/02/2013), preferibilmente alla
nostra e-mail: [email protected]
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pubblicazione gratuita e viene inviato a
tutte le persone che hanno partecipato ai
corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta.
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SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è
necessario telefonare al nostro numero
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Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.
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Foto di Daniela Guerrini
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la mia creta
H ohovisitato
visitato la mia nascita
fino a quando sono tornato piccolo
ed impaurito abbastanza
da nascere di nuovo.
Leonard Cohen
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