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Chiamati dal futuro - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XII n° 3/2008 Chiamati dal futuro 1 3 Primapagina C’è un poeta nel cuore dell’universo 6 4 È il futuro che muove il presente Attraversati dal vento 8 10 Il futuro, oltre ogni sbarra La capacità di scegliere 12 14 Una parola nuova nel libro del mondo SOMMARIO Gli infiniti orizzonti 18 20 La storia ha bisogno di noi Le parole e il silenzio 22 23 Una nuova pubblicazione La nuova agenda 2009 24 26 La nuova veglia di Romena Ciao Luigi 28 Graffiti 30 29 Avvisi trimestrale Anno XII - Numero 3 - Ottobre 2008 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel./fax 0575/582060 www.romena.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Simone Pieri, Alessandro Bartolini Massimo Schiavo FOTO: Massimo Schiavo, Eliseo Pieri, Piero Checcaglini Copertina: tratta dal film “Tempi moderni” Charlie Chaplin Hanno collaborato: Luigi Verdi, Stefania Ermini, Maria Teresa Abignente, Luca Buccheri, Luigi Padovese. Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 Massimo Orlandi PRIMAPAGINA “Ricordi come tutto era possibile e pareva che aspettasse solo noi?” Leggo queste parole di Giovanni Arpino e mi ripenso bambino. Sono stato molte cose allora: campione di sci (con le pattine, in camera), finalista agli internazionali di tennis (il muro dietro casa), stella del calcio (il prato davanti), telecronista (di me stesso negli sport di cui sopra). La tv lasciava libere le menti, almeno di pomeriggio, e la fantasia galoppava sul nostro tempo. Il sogno era una dimensione del gioco, la bellezza consisteva nel lasciarlo andare ovunque volesse. Non erano sogni premonitori. Non avevano l’urgenza né l’aspettativa di esserlo. Bastavano a se stessi, erano fuoco che scaldava una stagione ancora acerba, erano un irresistibile invito ad andare a vedere cosa sarebbe successo davvero. Se li richiamo non è per nostalgia, ma per ritrovarne il sapore. E perché quel senso di proiezione infinita, quella gioia di slanci impossibili è un grande bisogno del nostro presente. Oggi, infatti, sentiamo che quei sogni bambini non si sono evoluti, ma sono scomparsi, come evaporati. In un bellissimo articolo Concita De Gregorio scrive: “I miei genitori sapevano che il mio futuro sarebbe stato migliore del loro. Per i nostri figli sappiamo che non sarà così”. È una frase cupa, ma vera, che dà conto dello stato d’animo di questa epoca: siamo consapevoli di poter fare solo peggio. Il futuro è divenuto un punto minaccioso oltre che indefinito: con mezzi sempre più sofisticati proviamo a controllarlo, a programmarlo, ma non siamo più capaci di sognarlo. Temiamo che domani sarà peggio perché se guardiamo lo scivolamento verso il basso delle istituzioni, della vita sociale, dei valori condivisi, se consideriamo l’indifferenza e la distrazione con cui viviamo le vicende a noi contemporanee, non potrà che essere così. Questa frustrante percezione del domani ha un pregio di analisi (è fondata e realistica), ma un pericoloso difetto di prospettiva: rischia di bloccare, sotto una cappa di timori e di rinunce, l’unico terreno che può in qualche modo dialogare col futuro, preparandolo, facendogli spazio: il terreno delle speranze, dei sogni, delle aspirazioni. Non so come, ma è necessario risvegliare questi sogni, smettendo di confonderli con i desideri e i bisogni, spesso falsi, che ci vengono infusi via endovena dal mondo dei mass media. Se il Dio della Bibbia ci invita a “custodire e coltivare il giardino”, la prima operazione da fare è quella di immaginare, di sognare continuamente quello che potremmo essere, quello che vorremmo fare in questo giardino. Questa fase creativa non va ingabbiata; non contano i suoi risultati, conta il movimento che produce in noi: una voglia di andare oltre, una spinta sul futuro capace di accendere la passione, di rintracciare energie insospettabili. E anche se il futuro ci porterà comunque verso situazioni che sono aldilà di quelle che possiamo immaginare, questa attività del sognare non è vana, perché ci esercita a guardare avanti, perché ci allena allo stupore del nuovo. “Ho una malattia, sono contaminato dai sogni – ha detto lo scrittore Maurizio Maggiani parlando del rapporto tra realtà e fantasia nei suoi libri – Sono un uomo che non sa distinguere bene, e non gli interessa neanche, tra ciò che vede e ciò che sogna, tra ciò che ascolta e ciò che immagina…”Chiamiamo questa “malattia” virus dei sogni o della fantasia. E se possibile cerchiamo di capire non come si cura ma come, anche a piccole dosi, si può propagare. C’è UN POETA NEL DELL’UNIVERSO di Luigi Verdi Ti chiamo avvenire perché non vieni mai. Non Cosa può cambiare se i tuoi occhi attendono vieni mai così come vorrei, così come ti ho l’alba di un nuovo giorno, se la tua vita si sognato. Io ti voglio progettare e non sopporto sente chiamata dal futuro? che tu non giunga a me come ti ho pensato, ti Mi risveglio quando sento fuori dalla finestra aspetto come un pacco postale che ha con sé un respirare più forte, è l’alba che arriva. quello che comodamente, da casa, senza fare Alba di un nuovo giorno senza nessun invito un passo ho scelto come su un catalogo. e un vento sereno di semente viene dal futuro. Noi abbiamo la pretesa di erigere la casa sul Occorre abbandonarsi al suono senza pausa futuro, con la prepotenza di uomini “realiz- della terra. zati”, sicuri nell’armatura splendente del suc- C’è un inno dentro al grido di dolore di Luigi, cesso e della responsabilità, tu ci lasci vivere un canto sottile, c’è un inno nella gioia come un concerto selvaggio. il nostro trionfo per quel poco che vale… Ci manca l’umiltà di attendere qualcosa di C’è un inno nella vita che è la vita di ciò che ho vissuto e ho salnuovo non programvato diligentemente mato, la pazienza di dallo sterminio ferocolui il cui “ora” è C’è un poeta ce dei giorni. C’è un eterno, la rettitudine inno nel caos di quel di chi non è ancora nel cuore dell’universo. mio incostante cercaarrivato. Descrive sempre re di risposte che vieIncontro Luigi, ultine sempre defraudato mo saluto prima di la bellezza dei fiori, cancella dalle futilità delle riaffidarlo al custode spesso le insoddisfazioni cerche. del raccolto dei chicdell’animo, Devo chiudere con chi d’amore. Lui privo di forze, in ma non riesce a far tacere mai fede gli occhi ed essere capace di udire me senso di miseria. il grido del dolore. questi inni nascosti e Tutti noi intorno al chiedere alla chiarezsuo corpo a trattenerTagore za di non andarsene lo, come quando chi dai miei occhi, non ama desidera che il schernire la ragione treno ritardi. Terminata l’unzione del corpo un brivido cre- che mi spinge a proseguire. Cerco di ascolpuscolare, noi a trattenerlo ancora, lui incerto tare il futuro che mi chiama a seguire i suoi ondeggia, poi chi lo chiama dal futuro è più passi come quando impariamo a ballare e ci potente e convincente di noi, e noi con Luigi ci pieghiamo ad un ritmo che insiste più di noi. abbandoniamo al richiamo, e con lui ci indiriz- Un inno che ci anima a qualcosa di più bello ziamo verso il futuro. In quel momento catena di tanta diffidenza di tanto smarrimento e mi chiede di costruire la mia vita chiamato dal di luce e sapore di cielo scendono su di noi. Il vento di ottobre trae il tesoro di luce dalle futuro. Mastico lentamente i minuti dopo avergli lefoglie che cadono verso più luce. Cadono le foglie, cadono le stelle, cade il gior- vato ogni spina e quando la vita mi maltratta, no, è caduto Luigi, ma tutto ciò che cade, qual- mi ricordo che non può stancarsi d’aspettare cuno con dolcezza infinita lo tiene nella mano. colui che non si stanca di guardarti. 4 Foto di Piero Checcaglini Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada. Rainer Maria Rilke è IL FUTURO CHE MUOVE IL PRESENTE di Giovanni Vannucci Qual è la direzione del tempo? In questo testo, tratto dalle conversazioni tenute a Sotto il Monte (Bergamo) nel 1977, padre Giovanni Vannucci sovverte le nostre convinzioni razionali e ci invita a guardare la realtà con occhi nuovi: come nel seme di grano c’è già un sogno di spiga, così nel nostro oggi c’è già il segno, invisibile, del nostro domani. La nostra numerazione considera il tempo in un da Firenze», e ci troviamo qui, e il nostro inconprocesso, in una direzione, che va dal passato al tro è puramente casuale, cioè è avvenuto perché c’è stato un richiamo: amiamo trovarci insieme presente, e che è protesa verso il futuro. In realtà com’è il tempo? Osservate il bimbo che qui a Sotto il Monte, tutto qui. sta crescendo nel seno di una donna, di sua ma- Questa è la descrizione razionale del nostro indre. La crescita di questo bambino è determinata contro. Non potrebbe darsi che fra dieci anni dal passato o dal futuro? Il bambino cresce per noi comprendiamo i motivi che ci hanno portato qui? Non vi è mai succesraggiungere una figura che so nella vita di capire dopo ancora non ha e che ragdegli anni perché avete ingiungerà nel seno materDio ci parla sempre dal contrato quella persona, no il nono mese. E perché cresce? Cresce: c’è stato il futuro; e anche quando ci o perché avete preso quel libro, o perché siete andati primo giorno o perché c’è rivolge la parola nel presente, in quel determinato posto, il termine del nono mese, quando avrà raggiunto la la parola è protesa verso così, spinti da una curiosità oppure da una sollecitaziosua figura di bambino e il futuro, come il chicco di ne momentanea che non vi verrà proiettato nel mondo con la nascita? Vedete grano che mettiamo nella attendevate? Dopo un certo che nel reale, nel vivente, terra è proteso verso la spiga tempo comprendete il perché di quell’incontro e di il tempo ha un movimento che apparirà al momento quel colloquio, della lettura differente: ha un movimendi quel determinato libro, il to che parte dal futuro e che della maturazione perché della partecipazione influisce sul presente. a quella determinata ricerca, I cinesi usano raccontare un a quella conferenza, a quelepisodio molto intelligente la lezione. Lo comprendete a proposito della sconfitta di un loro generale: «Questo generale è stato scon- dopo un certo tempo. fitto perché il giorno dei suoi funerali non sono Questo mi preme farvi comprendere: il tempo vistate adempiute alcune cerimonie rituali». Que- tale, il tempo vissuto non parte dal passato verso sto episodio lo riferiva un ambasciatore cinese a il presente, ma parte dal futuro verso il presente. Parigi, ed era presente Teilhard de Chardin. Tutti Il seme che cresce nei nostri campi, il seme di si misero a ridere pensando fosse una battuta di grano che ora sta sviluppando le radici, perché spirito orientale, cinese, ma Teilhard de Chardin sviluppa ora le radici? Perché c’è il tempo vivente che lo chiama dal futuro, e il grano che cresce disse: «No, l’ambasciatore ha ragione». Vedete, noi stasera siamo qui insieme. Consi- “sogna” la spiga, la figura che un giorno riuscirà derando il nostro incontro da un punto di vista a raggiungere nella sua maturazione. razionale diciamo: «Io sono partito da Milano», Il presente è una risposta nella vita concreta, nel «Io sono partito da Bergamo», «Io sono partito reale, agli appelli che ci vengono dal futuro. * Il testo è tratto da “Il richiamo dell’infinito”, Edizioni Romena 6 Maria non si è lasciata condizionare dal passato ma dal futuro. Da quello che diventerà. Luigi Verdi ATTRAVERSATI DAL VENTO di Maria Teresa Marra Abignente Ogni gestazione è qualcosa di segretamente brividi di gratitudine ti salgono per la schiena, nascosto: nel ventre della madre o della terra una vertigine ti afferra e ti solleva e tutto sembra tutto avviene nell’intimità di un calore che è leggero e chiaro, finalmente. impalpabile, nell’oscurità di trasformazioni che I frammenti di vita, gli spezzoni d’incomprensono invisibili agli occhi. La vita fa così: si na- sibile materia attraverso cui si snoda la nostra sconde e poi esplode, si occulta e poi si rivela. esistenza, si ricollegano in una compiutezza È il suo gioco, è il suo continuo fluire che noi insperata; è come quando comprendiamo che vorremmo lento e costante, ma che in realtà è a tutte le acque della terra sono collegate tra loro da volte straripante ed a volte sommerso, a volte un continuo gioco di profondità e superficie: che inebriante altre volte incerto e stentato, come il sorpresa e che gioia ci dà avvertire tutto questo. cammino tortuoso di un fiume. Perchè allora vuol dire che non esiste dispersioTroppo spesso ci sentiamo gli ne, ma tutto è intrecciato; non autori della nostra vita, troppo c’è spreco, ma tutto si accorda L’autunno, spesso pensiamo, con grande in un’armonia che le nostre presunzione, di essere noi dita non sanno suonare e la spogliando i rami, a plasmare e a dar forma al nostra mente nemmeno immalascia vedere il cielo. nostro esistere, come fossimo ginare, ma che esiste, aldilà di noi creatori e non creature. E noi. E questa armonia è la vita, Christiane Singer nella furia di gestire e rivoltare la vita che gioca attraverso di il nostro destino, nell’opporci noi, gioca nella nostra pelle, con mille strategie ed astuzie al solo pensiero nelle nostre braccia, nei nostri piedi, nel nostro di essere limitati finiamo per perderci, anzi, ci cuore; gioca anche quando noi non capiamo e ritroviamo a remare in uno stagno. E pensare che vorremmo sfuggire al suo gioco, ma se la si lascia invece siamo fatti per navigare l’immensità! fare… Se la si lascia libera di attraversarci, come Non so se a voi è mai capitato, a me sì e sono stati fanno le foglie con il vento, se le si concede di momenti di una pienezza incontenibile. Forse vivere in noi, di respirare la nostra aria, se le pretutto è successo in un attimo o comunque in un stiamo la nostra pelle, le nostre gambe e mani può barlume di maggiore chiarezza. Forse è maturato riannodarci ad una dimensione che ci trascende come un frutto estivo o come uno scroscio di e ci dà senso, ci immerge nell’immensità a cui pioggia sulla terra riarsa. La sensazione nitida, apparteniamo. fulminante che, finalmente, hai capito; che cioè Si tratta solo di far scorrere attraverso di noi quequel che sembrava star dentro a marcire acquista sti giochi di luce, si tratta di umilmente attendere, finalmente senso e tutto, finalmente, si illumina. si tratta di pazientemente credere che non siamo Si accende però di una luce che non è nuova, di soli e sganciati dal creato, ma ne siamo parte. E una luce che già covava dentro, già contenuta in come il creato siamo custoditi da una saggezza tutto quel che sembrava marciume… o peso… o irrefrenabile e misteriosa. Quando tentiamo di incomprensibile fatica della vita… e che ne era confinare questa saggezza o quando vogliamo in fondo la sostanza. Come se si fosse aperta una sostituirci ad essa diventiamo come alberi stanchi porta, dietro alla quale in silenzio c’eri tu che a cui sembra di portare sui rami e sulle chiome guardavi e ti interrogavi e aspettavi chissà quale tutto il peso del cielo: ma è il cielo che chiama i misterioso aprirsi. Come se al di sotto di tante rami in alto attirandoli delicatamente; è il cielo, scorze e gusci, nascosto come un embrione ci l’aria pulita e fresca e la luce che dà loro lo slanfosse un nocciolo luccicante. E in quel momento cio. Solo così il vento tra le foglie può giocare. 8 Foto di Massimo Schiavo L’eternità è il miracolo della “prima volta” che si ripete sempre. L’eternità è non abituarsi. Ermes Ronchi IL FUTURO, OLTRE OGNI SBARRA Questo articolo ci arriva dal luogo dove la parola futuro non gira mai a vuoto. Perchè in prigione il futuro è necessario come l’aria. “Il nostro mondo – ci scrive Enrico – viaggia a velocità incredibili. Ognuno di noi, per scelta per necessità, va ad una velocità diversa dalla sua. Ma ora, finalmente, sono arrivato a capire. E quando mi accorgo che sto variando la mia velocità (spesso per soddisfare un bisogno inutile, magari di qualcun altro), mi fermo e ricerco il mio io. Uno degli strumenti che uso è il giornalino di Romena. Le copie che ho ricevuto in questi anni le conservo come pietre preziose e sono una delle pochissime cose di cui non mi sono spogliato durante i tanti trasferimenti che ho fatto (mi vengono concessi 7kg. di bagaglio)…”. Enrico allega alla sua lettera un articolo. Nei 7kg che sposterà, se dovrà spostarsi di nuovo in un altro istituto di pena, ci sarà anche il peso, e la forza, delle sue parole. Sono in carcere. Per altri, tanti anni dovrò starci, le carte mi dicono che uscirò il 23 marzo 2018. Potrei, anzi posso, gestire questi anni come meglio credo, facendo ciò che voglio. In fondo è la realtà; mi è stato detto così una mattina di quasi cinque anni fa e di questo ne ho fatto e ne sto facendo tesoro: “puoi vivere il carcere anche come un’opportunità…”. Mai nessuno più di una persona spogliata di tutte le sue quotidianità, di tutto il suo essere, può sentire la chiamata dal futuro. E ognuno se lo costruisce il suo futuro. Passo dopo passo. Se resta fedele a quelli che sono i suoi sogni riuscirà a esaudire questa chiamata. Per me, il futuro è rappresentato dai miei affetti. Il resto non mi importa. Nella mia vita passata ho fatto un po’ di tutto, lavorato tanto, troppo, e alla fine ero diventato una persona “arrivata”, ma diversa da quella che nel mio intimo avrei voluto diventare, perché stavo esaudendo le aspettative di altri, non le mie. Ero ricco di tutte quelle cose inutili che la società ormai ci impone, ma mai nel mio intimo sono stato tanto povero come in quei momenti. Con il lavoro che svolgevo avevo soddisfatto i bisogni primari, secondari, terziari miei e delle persone che mi circondavano, ma non bastava mai e un giorno si è spento definitivamente quel lume che ognuno di 10 noi ha nel cuore e che gli dice chi è, e sono esploso. La mia chiamata dal futuro è rappresentata dall’esaudire il mio bisogno di aiutare chi è meno fortunato di me e il mondo ad essere meglio di ciò che è. Stamattina guardando il telegiornale i titoli erano sempre gli stessi: qualche morto, il governo che si inventa qualcosa di bizzarro, incidenti sulle strade e via di seguito. Io in tutto questo non mi riconosco più. Ho capito che bisogna tornare all’origine, a quell’essere bambini, per recepire realmente le cose come sono e andare verso il nostro futuro. Il perdere di vista “chi sono e cosa voglio”, mi ha portato in carcere. Pigi nel suo libro descrive un “esercizio” che ha fatto con alcuni ragazzi, mettendo una bottiglia su un armadio e chiedendo a loro di raggiungerla partendo dall’altro lato della stanza. L’unica che ce l’ha fatta è stata una ragazza che “non ha perso di vista l’obiettivo”. Ho adottato abbastanza facilmente questa tecnica, che è poi molto semplice e cioè quella di non perdere di vista me stesso. So che solamente rispondendo alla chiamata dal futuro, esaudendo i bisogni del mio intimo, riuscirò a combinare qualcosa nella mia esistenza e solamente dopo questo avrò vissuto. Enrico Foto di Massimo Schiavo Occorrono segni, cioè fessure da cui oggi qui sulla terra intravedere Dio. Gesù sulla terra aprì segni, aprì con la sua vita fessure; da cui sorprendere la gloria futura. Angelo Casati 11 L A CAPACITÀ DI SCEGLIERE di Luigi Padovese La vita è come un “laboratorio”. Ci sono dei momenti in cui questo appare più vero. Momenti in cui senti forte il bisogno di trasformazione. In natura, questo bisogno si esprime bene con il cambio delle stagioni. È in questa fase che si possono vedere bene i “contrasti” e i “conflitti” connessi al cambiamento, ma anche le opportunità, le novità possibili, le speranze. È un cammino che si definisce camminando. E, in questa ricerca, spesso mi chiedo se conti solo l’affidarsi o se c’è anche uno spazio reale per “progettare”, per influenzare e far accadere le cose. Mi chiedo, cioè, quanto pesi in tutto questo la volontà, il nostro volere. “A te dico, alzati!”. Mi colpisce ogni volta che lo leggo e che prendo in mano le lodi del mattino. Un richiamo forte e un invito altrettanto forte alla nostra volontà, un’indicazione di fiducia e di speranza. Alzarsi, partire, mettersi in cammino verso una meta, seguendo una direzione. Ma questa “post modernità” in cui viviamo si presenta spesso come l’epoca del disorientamento. Non si sa dove andare, che direzione prendere. Essere disorientati, non saper scegliere: rappresentano l’uomo senza volontà. Chi perde la propria identità perde la propria volontà. Assaggioli, fondatore della psicosintesi, diceva che quando non c’è volontà, quando una persona non è capace o ha paura di scegliere c’è sofferenza, depressione, ansia. La capacità di scegliere è forse ciò che più di tutto può definire un essere umano: ecco allora l’importanza fondamentale di riscoprire e coltivare la nostra volontà, che è la funzione psicologica da cui la scelta ha origine. Senza scelta consapevole, senza volontà non ci alziamo, non guardiamo da nessuna parte, non andiamo in nessuna direzione. Se ignoriamo la volontà tendiamo a reprimere il nostro stesso “potere personale”, le nostre facoltà più importanti. Riconoscere e dar valore alla volontà significa essere responsabili della propria vita. Dobbiamo però distinguere tra questa volontà, 12 che ci fa evolvere e che ci fa sentire padroni di noi stessi, dalla volontà di stampo “vittoriano” che ci fa sentire schiavi e ci pone su di una strada di involuzione e irrigidimento. Dunque non una volontà intesa come ansioso senso del dovere, come condanna, come repressione di una parte di noi stessi, ma una volontà che ha origine dal “centro” del nostro essere, che si comporta come il nostro personale “regista interno” che armonizza, dirige e permette di decidere ciò che vogliamo fare e farlo. Questa consapevolezza ci aiuta a crescere e a guarire superando quell’atteggiamento di “vittima impotente” tale per cui le ingiustizie avvengono perché non facciamo nulla per impedirle, ci ammaliamo perché non ci curiamo della nostra salute, siamo soli perché temiamo il contatto con gli altri, le disavventure ci perseguitano perché vediamo solo ciò che è negativo, le prepotenze ci opprimono perché ce le aspettiamo e le permettiamo, ecc. La volontà ci aiuta in questo cammino evolutivo. Una volontà al servizio, dunque, dell’autorealizzazione: ciascuno possa essere ciò che può essere e così esprimere tutte le potenzialità che possiede. Possiamo lasciarci condizionare da fattori esterni, o andare avanti per forza dell’abitudine, inserendo il “pilota automatico”, oppure scoprire in noi stessi la facoltà di scegliere, di dirigere, di guardare nella direzione voluta, di essere causa. Tutto questo lo possiamo scoprire, provare ed esercitare in ogni situazione della vita, nella quotidianità, nella crisi, nella routine e nel cambiamento, nel fare le cose e nell’incontrare l’altro. Questo succede se vediamo la vita come un laboratorio, dove possiamo esercitare la nostra volontà, la nostra capacità di dominare una situazione con competenza e consapevolezza. E questo, come molte ricerche dicono, dà gioia, gioia di vivere. La volontà, dunque, ci aiuta a rispondere alla “chiamata del futuro”. È l’augurio che faccio a me stesso in questo momento della mia vita! Foto di Piero Checcaglini I beni più preziosi non devono essere cercati e conquistati, ma attesi. Simone Weil 13 UNA PAROLA NUOVA NEL LIBRO DEL MONDO di Luca Buccheri «I sogni di oggi sono il futuro che muove il presente» diceva l’indimenticato padre Giovanni Vannucci. In effetti se noi abbiamo un sogno, un desiderio profondo, non è il passato, ma il futuro a influenzarlo. Agiamo, creiamo, progettiamo senza avere certezze davanti a noi, solo perché c’è un oltre che ci spinge, che ci mostra ciò che ancora non si vede ad occhio nudo, e ci chiama a rischiare, a non calcolare, ma solo a muovere le cose perché sia raggiunto quello che muove e abita il cuore. Anche la natura, la creazione risponde al comando ad esistere che le viene dal futuro: «E Dio disse: “la luce sarà!”; e la luce fu» (Gen 1,3). L’autore biblico usa un verbo all’imperfetto, che però in ebraico esprime il senso del futuro, anche con una tonalità imperativa. Ogni creatura viene all’esistenza nella misura in cui obbedisce a questo comando, a questa Parola che le viene dal futuro. Come a dire che fin dalle primissime pagine della Bibbia la condizione della vita è dettata dal futuro non dal passato. Il passato è descritto come un caos primordiale in cui Dio crea separando, attraverso una parola che squarcia il presente immettendo i semi del futuro. Se questa chiamata dal futuro – che mi piace anche intendere come speranza – è primordiale e costitutiva di ogni vivente, possiamo allora capire come il rifugio nel passato, nelle sicurezze date dalle tradizioni e dalle abitudini possa generare disperazione e tristezza. Come quella del “giovane ricco” che rifiuta la chiamata di Gesù per voltarsi indietro ai suoi beni, alle sue sicurezze, al suo passato. Il fascino che Gesù esercitava su questo giovane non è stato sufficiente ad aprirgli un futuro nuovo anche se incerto. La fiducia è sempre un atto di speranza, che risponde positivamente agli appelli provocanti del futuro. La vita ci provoca continuamente, ci chiama ad una sfida dopo l’altra, ad un cammino di novità. In ebraico “piede” (regel) e “abitudine” (herguel) derivano dalla stessa radice. Perché questa associazione? In una lingua povera di vocaboli il fenomeno della polisemia (una parola con più significati) è frequente e va osservato attentamente 14 perché spesso nasconde un legame assai ricco tra i diversi significati. Nel nostro caso, si potrebbe definire l’abitudine come l’andare dove ti porta il piede… per strade già note, senza che la mente se ne accorga. Come sfuggire all’alienazione dei ritmi consolidati, al rifugio nella sicurezza delle abitudini? La terza parola del Decalogo indica una strada: è lo shabbat, il sabato. Nel sabato, che vuol dire “riposo”, tu impari a fermarti e a fermare il tempo. Ad aprire un nuovo sguardo, a lasciare entrare la novità. Nel sabato il “cessare ogni attività” non va letto in senso moralistico, ma come un recupero di quegli spazi di gratuità e silenzio, bellezza e creatività che spesso sono preclusi nella ferialità. In altre parole, lo shabbat vuole restituire all’uomo quello sguardo sul futuro che spesso gli sfugge, travolto dagli ingranaggi del presente o dai blocchi del passato. Istintivamente siamo portati a seguire strade già conosciute, già percorse da noi o da altri. Ma l’essere umano non si sviluppa pienamente, non mette a frutto tutte le sue potenzialità in un contesto in cui tutto è già definito e codificato dai ruoli e dalle regole. C’è bisogno di uno spazio interiore ed esteriore libero perché ciascuno trovi la sua strada seguendo ciò che preme maggiormente nel suo cuore, ciò che lo libera dai condizionamenti e lo rende felice. C’è uno spazio di unicità che solo ognuno di noi deve occupare per abitare pienamente la Vita. Ognuno è una lettera e perché il libro del mondo sia terminato devi scrivere anche la tua parola, per rinnovare il libro aggiungendo il tuo significato! Qualcuno diceva, giustamente: non sarà un caso se abbiamo gli occhi davanti. Siamo fatti per guardare avanti e non per voltarci indietro. La vita è avanti a noi, non è rifugio nel ricordo o nostalgia «del tempo che non tornerà più», come recita una bella canzone di Fiorella Mannoia. La Vita, il futuro, ci chiama. Siamo invitati, dolcemente, ad esserci, a lasciarci trovare quando l’amore busserà ancora, a vivere già oggi quei sogni che anticipano la realtà. Foto di Alfredo Altafini La porta della felicità si apre solo verso l’esterno: chi cerca di “forzarla” in senso contrario finisce col chiuderla ancora di più. S. Kierkegaard 16 17 Foto di Nassimo Schiavo Gli infiniti orizzonti di Massimo Orlandi Adnane Mokrani e Sharzad Houshmand sono due teologi musulmani. Lui è tunisino, lei iraniana. Sono marito e moglie. Da molti anni vivono a Roma, entrambi insegnano all’Università gregoriana. A Romena hanno portato i frutti del loro cammino spirituale, la bellezza della loro religione e anche i segni di quanta strada possediamo in comune. Senza saperlo. da sinistra: Sharzad Houshmand , Raffaele Luise e Adnane Mokrani “Nel nome di Dio, pienezza di amore e di misericordia”. Sharzad pronuncia in arabo le prime parole del Corano. Si apre così la prima fessura su un mondo nuovo, conosciuto solo per i suoi riflessi, per ciò che è cronaca, dibattito, pregiudizio. La spiritualità è altro. Sono i volti dei nostri ospiti che assorbono la luce del mattino, è la loro accoglienza discreta, il loro porgerci se stessi e la loro cultura con delicatezza, con cura. Sharzad e Adnane avevano già regalato a Romena un gesto. Erano stati qui nei giorni di Pasqua. Avevano voluto incontrare le nostre tradizioni in silenzio, in punta di piedi, in ascolto. Ed è da quell’incontro che parte il loro intervento. “La prima cosa che vorremmo dirvi oggi è grazie. Già a Pasqua avevamo sentito Romena come un luogo dei primi discepoli di Gesù, un luogo semplice, pulito, alla ricerca della spiritualità. Oggi quella sensazione ci viene confermata”. È un tappeto di amicizia quello che ci offrono. Ci si può appoggiare, liberi. 18 Abbiamo invitato Sharzad e Adnane a parlarci della beatitudine della misericordia. E la misericordia è al cuore del Corano, è uno dei nomi di eccellenza di Dio: “Quando parliamo dei 99 nomi di Dio – spiega Adnane – il numero 99 è simbolico perché i nomi di Dio sono infiniti. Dentro questo Dio unico, troviamo una pluralità, la pluralità dei nomi, la diversità interiore che si riflette nella diversità del Creato: ogni cosa, ogni creatura, ogni persona riflette un nome divino, ci dice qualcosa di Dio. Ma dentro questa pluralità troviamo anche una dualità: ci sono i nomi della maestà che esprimono la grandezza, l’energia, la forza di Dio, e ci sono i nomi della Bellezza, che esprimono la dolcezza, la tenerezza, l’amore, la misericordia. I nomi della Maestà esprimono, in qualche maniera, il lato maschile di Dio, invece la parte della Bellezza esprime il lato femminile di Dio. Ma queste due categorie non sono uguali: c’è un detto del Profeta che dice “La mia misericordia ha vinto, ha superato la mia ira, la mia vendetta”. Dunque il lato della tenerezza è più grande del lato della Grandezza. E questi due lati insieme, uniti, rappresentano il Dio unico”. Anche Sharzad insiste su questo aspetto femminile, materno di Allah: “È interessante vedere che le due parole, Amore e misericordia, Rachman e Rachim, si riferiscono alla parola Rachem che significa letteralmente, in arabo, l’utero materno. Per l’Islam Dio non è un essere umano, non ha una figura materiale, non è né maschio né femmina, ma se volete proprio dare una forma, un simbolo, è molto più vicino ad una madre, ad una madre che abbraccia il suo feto già dentro l’utero, ed è un abbraccio totale, un nutrimento continuo”. Amore e Misericordia. Ma, intanto, incalza Raffaele Luise che conduce l’incontro, intorno a noi c’è tanta violenza e questa violenza spesso si fa scudo con la religione. “L’essere umano è fisiologicamente violento – ci dice Adnane. “C’è un egoismo individuale e un egoismo di gruppo, da cui nasce la violenza. Scopo delle religioni deve essere proprio quello di aiutare l’essere umano a liberarsi dall’egoismo che causa questa violenza, di aiutarlo a essere più umano, più libero. Perché nel momento in cui l’essere umano è libero da questo egoismo riesce a guardare le persone, il mondo, con l’occhio di Dio, con l’occhio della misericordia”. Le religioni devono liberare, non tenere prigionieri, e devono unire, non dividere: “Trovo che un grande peccato religioso sia l’esclusivismo, cioè il dire che solo noi siamo i salvi, che gli altri sono condannati solo perché appartengono a un’altra realtà religiosa. È un atteggiamento antireligioso perché è contro la natura misericordiosa di Dio che include tutti in sé”. Sono chiare, nette, ma anche straordinariamente morbide le parole che ci arrivano da questi teologi. Ribaltano prospettive, luoghi comuni, e lo fanno accostando alla forza del ragionamento, l’ispirazione del cuore; ragione e cuore insieme. È così che tanti antagonismi vani potrebbero essere abbattuti, e che questa paura della diversità che oggi attanaglia il nostro Occidente, potrebbe essere superata. “Io – sottolinea Sharzad – penso che la paura sia contro la fede. Anche personal- mente, quando ho paura di qualcosa, in quel momento perdo la fede. Vedo proprio un contrasto fortissimo fra la fede e la paura, sia nelle piccole cose della vita che quando si ha paura di un’altra creatura, di una creatura di Dio”. Eppure. Eppure questa paura che accomuna tanta parte del nostro mondo moderno può essere affrontata. Solo che occorre unire, mettere insieme, ascoltarci. È un esercizio in grande, che assomiglia a quello che stiamo facendo oggi in piccolo, in questa pieve che trabocca stupore e affetto. “Voi – dice Adnane – mi parlate della crisi della società occidentale e del cristianesimo, ma anche il mondo islamico vive le sue crisi, crisi di politica, crisi per i diritti umani, per i diritti delle minoranze, per i diritti delle donne. E per affrontare queste crisi abbiamo bisogno gli uni degli altri: credo in questa cultura del Mediterraneo che ci unisce, non ci separa, credo che possiamo dirci e fare tante cose insieme”. Tocca a Sharzad: “Sono convinta che l’Islam, come il cristianesimo, come altre religioni siano delle proposte all’essere umano per migliorare, per cominciare un cammino di purificazione. Per questo credo che le due religioni, l’Islam e il Cristianesimo (anche il Corano nomina i cristiani come coloro che sono i più vicini ai musulmani) potranno aiutarci molto per rispondere alla crisi del mondo. I cristiani potranno aiutare i musulmani a non essere magari così chiusi sulla Legge perché, sì, c’è questa debolezza purtroppo di chiudersi un po’ sulla lettera e sulla legge. E i musulmani magari potranno aiutare i cristiani a leggere di nuovo il Vangelo, a vedere con occhi nuovi Cristo, a vederlo come un Cristo universale, a non vedere solo un Cristo per i cristiani”. C’è una strada possibile, un sentiero, che sembra possibile percorrere alla fine di questa mattina. Risuonano nell’aria di Romena le parole di padre Giovanni Vannucci: “Le religioni sono come i raggi di una ruota, tutti puntano verso il centro”. E, in fondo, si riflettono sulla frase del Corano che Sharzad pronuncia per salutarci: “Venite, raduniamoci tutti insieme intorno alla parola perché in fondo il nostro Dio e il vostro Dio è uno solo.” 19 “La storia ha bisogno di noi” di Stefania Ermini Un pomeriggio con don Luigi Ciotti, “piccolo grande testimone del nostro tempo”. La riflessione è sul tema della giustizia, ma la parola che più ritorna è responsabilità. La responsabilità, cioè il contributo che ciascuno di noi, con le sue forze, può dare, per costruire una società più umana, più pacifica, più giusta. Romena e don Luigi Ciotti si incontrano in una calda giornata d’estate. C’è voglia di ascoltare questo “uomo di parte”: dalla parte dei diritti, della dignità, della vita, della giustizia, della ricerca della verità, della libertà. Fondatore del “Gruppo Abele”, organizzazione che opera all’interno delle carceri minorili ed aiuta le vittime della droga; primo presidente della Lega italiana per la lotta contro l’Aids (LILA), presidente di “Libera”, rete di organizzazioni impegnate nella lotta alla mafia. “Un piccolo, piccolo, piccolo testimone, con tutte le mie miserie, dell’incontro di Dio”. Così si definisce Don Ciotti. Piccolo, piccolo uomo dalla parte della giustizia e della verità: “Non si costruisce giustizia senza ricerca della verità. Dobbiamo fare, dobbiamo dare coerenza. La prima responsabilità che abbiamo rispetto alla giustizia è di fare in modo che i diritti dell’uomo diventino per tutti noi carne!” Don Ciotti è seduto su un panchetto di paglia vissuta mentre prendono forma parole che scuotono e spingono ad aprirsi all’azione. “Il problema non è la mafia, non sono i mafiosi. Il problema siamo noi. Se c’è una malattia mortale oggi è proprio la crescita dell’indifferenza, di perbenismo, di rassegnazione, di de- 20 lega in molti contesti e in molte realtà. Allora qui noi abbiamo una grande responsabilità. Non dobbiamo perdere la capacità di portare un contributo”. Ripiegato sul panchetto di paglia vissuta chiede lo sciopero degli applausi di chi lo sta ascoltando. Quasi a chiedere invece, di ascoltare, pensare bene e poi agire per creare una società responsabile: “proviamo a parlare di una società responsabile. Cioè di uomini e donne che ridefiniscono una responsabilità. Che non ci mettiamo a far solo denunce, ma che facciamo proposte. Dobbiamo cominciare a vivere con coerenza questi contenuti e questi valori, dandone continuità. La giustizia si crea anche non facendo sconti a nessuno, con atteggiamento rispettoso, propositivo, ma chiaro. Non diventiamo complici con il nostro silenzio”. Don Ciotti chiama certamente alla gioia e alla festa, ma anche alla consapevolezza che il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi. “È importante non dimenticarci che senza giustizia non c’è pace e quando nel Vangelo di Matteo c’è quel passo categorico che dice “cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia” noi siamo chiamati a cominciare a portare qui il nostro contributo, a realizzare il Regno di Dio e la sua giustizia. E per quel che mi riguarda e a non dimenticarci che la storia ha bisogno di ci riguarda, incomincia proprio da quei volti e noi. Anche noi possiamo scrivere una pagina da quell’affermazione di diritti della libertà e meravigliosa di storia. Cominciando con quel della dignità umana e della giustizia sociale”. faccia a faccia quotidiano con la storia delle Ecco perché noi non possiamo tacere, dobbia- persone. Noi siamo chiamati a scrivere la nomo evitare le scorciatoie, dobbiamo conoscere, stra pagina di storia qui. Sul Vangelo, c’è una dobbiamo ascoltare, dobbiamo evitare di vive- pagina bianca che siamo chiamati a scrivere. re per sentito dire. È nostra, ci è affidata. Dio ci dice: “Scrivila “Abbiamo sempre il dovere di andare in profon- tu”. Siamo chiamati a scrivere nella coerenza dità. Non venga meno la profondità in ciascuno una pagina di vita. Una pagina che ci è affidadi noi rispetto alle cose che facciamo, ma anche ta e che ci chiede di incontrare e di costruire alle letture che facciamo. Prima di esprimere Amore. Ma l’amore è l’impegno. L’impegno dobbiamo essere seri, attenti e documentati, ma costruisce l’amore. L’amore comincia dalla responsabilità. L’amore comincia dalla conpoi non possiamo e non dobbiamo tacere”. Don Ciotti ci indirizza sapevolezza che i percorsi verso un futuro che può non hanno bisogno di naessere costruito solo romvigatori solitari, ma solo il “La prima dimensione pendo il silenzio e crean‘noi’ ci permette di costrudo reti di relazioni forti ire le strade”. della giustizia che si muovono insieme Piccolo, piccolo, piccolo è la prossimità, per scardinare la malattia uomo dell’incontro con Dio l’ascolto, la relazione” dell’indifferenza. “Quel e con l’altro. “Perché è la “fame e sete di giustizia” storia delle persone che ci deve essere prepotente cambia, sono gli altri che dentro di noi, non dimenticandoci che è un definiscono, è la nostra relazione con l’altro, è dono che Dio ci fa e che ci affida. Lui l’ha vis- l’ascolto dell’altro che definisce chi siamo, dove suto e l’ha testimoniato”. siamo, dove stiamo andando. Il futuro della Giustizia sta nelle nostre gam- Io ho sempre creduto che bisogna unire forze be, nei nostri movimenti, nella nostra azio- ed energie di mondi diversi. Avere dei compane. Non senza fatica e difficoltà, ricorda Don gni di viaggio che ci arricchiscono per la loro Ciotti. Ma sperare significa anche fidarsi delle storia, i loro percorsi, le loro idee, le loro in“curve” perché la strada non è sempre dritta e tuizioni, le loro diversità”. comoda. Fermo su quella sedia di paglia vissuta su cui “E io non l’ho mai dimenticato questo, e non lo è immobile e ripiegato Don Ciotti ci spinge dimentico mai. Come non dimentico mai quel ad accogliere le domande aggressive e quelpasso di Isaia che dice “Le acque non ti tra- le mute dell’altro, ad accarezzare le ferite, ad volgeranno, non temere”. A volte abbiamo un aprire varchi verso la propria e l’altrui libertà momento di smarrimento, di fatica. Credo che “coi piedi per terra, saldando cielo e terra, ciascuno di noi abbia trovato nel cammino del- chiedendo ogni giorno perdono a tanti fratelli la sua vita un momento di sofferenza, di dubbi, e a Dio della mia fragilità. Che vi accompagni di interrogativi. Spesso mi sono chiesto se i 13- la passione perché l’incontro con le persone 14 anni di attività con Libera, sono serviti. Se i ha bisogno di passione: è fatto di testa, ma è 43 anni di Gruppo Abele sulla strada con quei fatto anche di cuore. E la prima dimensione volti di uomini e di donne sfruttate, dei ragaz- della giustizia è la prossimità, l’ascolto, la zi senza fissa dimora sono serviti. Me lo devo relazione. Allora io credo che questo debba chiedere e devo dirvi che noi siamo chiamati appartenere veramente a tutti…” 21 Le parole e il silenzio Sulle orme di Tiziano Terzani “La vostra iniziativa è bellissima, onora Tiziano e aiuta a farne conoscere i pensieri. Soprattutto è larga, ampia, comprende tanti altri che la pensano come lui, ma si esprimono in altri modi o con altri mezzi e questo è esattamente quello che Tiziano sperava succedesse: che si andasse avanti” Angela Terzani Nel silenzio dei castelli, delle pievi e dei monasteri del Casentino si calano le parole di importanti testimoni del nostro tempo, da Erri De Luca a Rita Borsellino, da Lucio Luzzatto a Angela e Folco Terzani intervistati da Massimo Orlandi e Paolo Ciampi. E se è l’esperienza di Tiziano Terzani che disegna le mappe di questo itinerario, è nel vissuto, nei pensieri, nelle intuizioni di queste voci, libere e liberanti, che il cammino prende forma per offrire a ciascuno l’occasione di riflettere sui grandi temi della vita: il rapporto con la malattia, il desiderio di pace, la dimensione del viaggio, il richiamo dell’infinito. Il libro “Le parole e silenzio”, pubblicato dalle Edizioni Romena, insieme alla Fondazione Giuseppe e Adele Baracchi, raccoglie i frutti preziosi di questo percorso. € 10,00 ISBN 978-88-89669-26-6 A Romena e in tutte le librerie Prossimi incontri SABATO 18 OTTOBRE ore 16,30 castello di poppi Giudicare nelle aule dei tribunali nei cuori degli uomini Pierluigi vigna - carol beebe tarantelli SABATO 8 novembre ore 16,30 Pieve di Romena Ritirarsi - ritrovarsi Tito BARBINI - ELENA TUCCITTO - WOLFGANG FASSER 22 UNA NUOVA PUBBLICAZIONE CharlesDe Foucauld Un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare Guardando le vostre immagini e ascoltando le parole del mistico del deserto, cari amici di Romena voi offrite un invito, quello che viene dal deserto, illuminato di quelle bellezze che appaiono nelle vostre immagini. Non dovrebbero stimolare unicamente un sentimento estetico e soddisfare quel bisogno di bellezza che è in ciascuno di noi, ma un bisogno di silenzio che è l’unico ambiente che può trasformare il nostro cuore e creare relazioni nuove fra noi e, grazie al quale, le cose scoperte possono essere messe al servizio della vita di tutti i fratelli del mondo. (dalla prefazione di Arturo Paoli) € 11,00 ISBN 978-88-89669-28-0 A Romena e in tutte le librerie PAROLE E IMMAGINI Charles De Foucauld vedeva il deserto, e nel deserto c’era Dio, vedeva i tuareg, e lì incontrava Gesù, vedeva il silenzio, il vento e la luce, e di tutto questo era fatta la sua vita. Lasciarci penetrare dalle sue parole, dai luoghi che ha amato, dai volti che lo hanno cambiato: è questo il cammino che proviamo a compiere con queste immagini e le loro parole, le une e le altre inscindibilmente insieme. foto di Massimo Schiavo 23 LA NUOVA AGENDA 2009 È sempre bello veder nascere un libro, in questo caso un’agenda. Gli amici di Romena hanno pensato di costruire per il 2009 un’agenda “al femminile”. E così alcune di noi hanno cominciato a leggere, leggere, leggere… per raccogliere testi, scritti da donne, che accompagnassero lo sgranare dei giorni del prossimo anno. Ci siamo imbattute in testi meravigliosi, caratterizzati da uno stile squisitamente femminile: la sensibilità, la concretezza, la passione, la tenerezza, la partecipazione al dolore di tutte le creature e dell’intero universo, lo spirito materno e di fraternità, la dolcezza, ma anche la determinazione con cui venivano trattati i diversi temi, ci hanno commosso profondamente e ci hanno spinto a continuare a cercare. E penso che continueremo a farlo, perché la rivelazione di “donne” a “donne” ci ha fatto intuire, capire, comprendere meglio lo sguardo femminile sul mistero. Sguardo che sempre tocca e si rivolge ad uno spazio più grande, forse più alto, perché partorito dalla creatività e dalla vita. Che ci comprende tutti. Elena Berlanda Con gli occhi delle donne Quest’anno abbiamo deciso di scegliere gli interventi del mese e il commento al Vangelo della domenica tra testi scritti da donne 24 Leggere la nostra storia, i nostri sogni accompagnati dalla ricerca femminile che ci invita all’inquietudine e ci spinge al cammino. Essere terra d’accoglienza Io chiamo «femminile» la qualità che la donna risveglia nel cuore dell’uomo. Chiamo «femminile» il perdono delle offese, il gesto di rimettere nel fodero la spada quando l’avversario è al suolo, l’emozione che si sente ad inchinarsi. «Al di là del bene e del male, c’è un prato dove ti attendo». Questo verso di Rûmi è il loro regno: uno spazio in cui esse credono, che gestiscono, che inventano e che immergono nella luce del loro amore; uno spazio al di là del fatto di aver ragione o di aver torto, al di là dei violenti strattonamenti a destra e a manca, al di là delle rivendicazioni giustificate o ingiustificate, al di là delle ferite terribili e delle vendette, al di là della guerra e della pace stesse. Uno spazio folle, uno spazio logicamente impossibile, politicamente scorretto, razionalmente indifendibile, in cui i morti di ogni sponda “terroristi e vittime, kamikaze e passanti assassinati, combattenti e civili uccisi” vengano a farsi cullare in silenzio. E da questo spazio nasce un campo di coscienza che si diffonde come un sottile profumo e che nessun muro è in grado di fermare. Chi lo inspira viene contaminato. «Al di là del bene e del male, del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, c’è un prato dove ti aspetto». Ecco il regno delle donne. Il femminile è una vasca, un ricettacolo vuoto. Una terra d’accoglienza. Christiane Singer Di cosa parlano le donne quando parlano d’amore? Del mistero della vita, dell’ineluttabilità della morte. Della paura. Del sogno. Dell’ingiustizia e della bellezza. Soprattutto di se stesse. Perché noi donne abbiamo conosciuto il mondo attraverso l’amore. Iaia Caputo A Romena e in tutte le librerie € 14,00 ISBN 978-88-89669-27-3 25 LA NUOVA VEGLIA DI ROMENA Abitare la Vita 35 incontri nelle varie cittˆ per ritrovarci e continuare il cammino 26 LE VEGLIA DI ROMENA Rovereto Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini ore 21,00 Udine Parrocchia di San Marco ore 21,00 Padova Parrocchia SS. Trinità - via Bernardi ore 21,00 Brescia Chiesa di San Cristo dei Padri Saveriani ore 21,00 Bergamo Chiesa dei Frati Cappuccini ore 21,00 Milano Parrocchia Beata Vergine - Lavanderie Segrate ore 21,00 Catania Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena ore 20,30 TRAPANI - SALEMI Chiesa Padri Cappuccini ore 20,30 LAMEZIA TERME Chiesa del Carmine - Sambiase ore 20,30 ROSSANO CALABRO Comunità Santa Maria delle Grazie ore 20,30 Valdarno Pieve di Cascia - Reggello ore 21,00 Firenze Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti ore 21,00 14 Ottobre 15 Ottobre 16 Ottobre 21 Ottobre 22 Ottobre 23 Ottobre 10 Novembre 11 Novembre 12 Novembre 13 Novembre 26 Novembre 10 Dicembre 27 Ciao Luigi Non dimenticheremo mai quell’ultima volta, due anni fa. Alla fine della messa ti avvicinasti all’altare e, in poche parole, ci raccontasti della sfida per la vita che ti era toccata. Avevi un sorriso morbido, che catturava amore. Spendesti lucenti parole, il resto lo dicesti cantando con la chitarra, nel modo che ti piaceva di più. Ma questo è solo uno dei mille momenti con cui chi ti ha incontrato, ti tiene con sè. A Romena ti ascoltiamo sempre, la tua voce è nelle canzoni che ci accompagnano, molte di queste le hai composte con tuo fratello Antonio. Già, Antonio. Questa canzone, questa poesia Antonio l’ha scritta per te dopo che avevi imboccato il nuovo viaggio. La ascoltiamo col cuore, abbracciandoti, abbracciandovi con tenerezza. Fratellino ra la pioggia scende sulla terra fresca della tua tomba ti bagna come un grembo come un pianto di mamma, mamma piangendo ti culla ancora un’altra volta. Le lacrime e la luce fanno l’arcobaleno, così ti dice Gigi, e la polvere è aria che si solleva. Noi di polvere tanta ne abbiamo raccattata, a volte anche i capelli erano solo polvere scompigliata, e a forza di blue jeans l’abbiamo consumata. Fino agli occhi di polvere posata, uno sguardo di cielo 28 dagli occhiali di un sole a una frangia di luna su una spalla di sera quasi appena toccata. E poi la notte ancora a volte, disabitata. Ora la pioggia scende con morbidezza, e delicata bagna la tua terra bagna il tuo sonno, che è diventato sempre più leggero. Non smetterò mai di cantare con te. Fratellino, fratellino mio non ti avrei mai pensato in fondo a quella terra, né a fare questo viaggio, tu da solo, quando ogni volta ti accompagnavo io. Antonio Salis Festa d'Autunno Domenica 19 Ottobre Stiamo lavorando al programma che scandirà i momenti della giornata. Vi invitiamo a consultare il nostro sito, www.romena.it, per conoscere gli incontri e gli orari della festa. Nuovi Corsi 12-13-14 dicembre 12-13-14 dicembre I gesti quotidiani I profeti ieri e oggi con Maria Teresa Abignente con Dino Liberatori Nella semplicità dei piccoli gesti ritrovare l’attenzione, la calma, la cura che merita la vita: perché è nella semplicità che avvengono i miracoli. Sono la voce di Colui che non ha voce: gridano la giustizia, l’amore per la pace. Hanno occhi che guardano più dentro, oltre il visibile. Iscrizioni dal 1 novembre segreteria di Romena: 0575.582060 Iscrizioni dal 1 novembre segreteria di Romena: 0575.582060 29 GRAFFITI scolto il telegiornale e lo sconforto mi piega ad una triste riflessione. È drammaticamente vero che qualsiasi guerra, anche la più atroce, non insegna niente all’uomo. È vero, come dicono i “grandi”, che la vera unica pace, sta e risiede nel cuore dell’uomo, ed è partendo da lì, che l’uomo sempre e ovunque, potrà chiamarsi tale. Credo però che lo scenario sociale sia lontano, molto lontano da ciò. Mi viene incontro un passo di “Desiderata”, che cosi recita: “Conserva l’interesse per il tuo lavoro, per quanto umile, è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo”. La piccola goccia nell’oceano è l’amore che ognuno di noi ha dentro di sé per quella scintilla divina che tocca e ha toccato tutti noi. L’unico vero momento a nostra disposizione è il presente, ed è qui che vive tutto, in particolare la vita… che non chiede mai perchè vive ma… vive. Credo che siamo nati per amare, per imparare ad amare, anche se le vie o le vite possono essere tormentose e ingrate. Credo che chi è in rapporto con questo sentimento di fondo sappia che ogni cosa, ogni esperienza insegni veramente qualcosa, l’importante è non giudicare e non giudicarsi per rischiare di bloccare quel flusso di energia pronto ad insegnarci che la vita è da vivere, e “stranamente” ha sempre qualcosa da dirti. Il futuro… il passato… è qui con noi, in A 30 questo eterno presente, con le nostre piccole “gocce” d’amore pronte a darci quel contenuto tanto prezioso, chiamato… esperienza. E sono certa che, anche questa non “razionalizza” i passi compiuti, ma li vive si! li vive in un incessante movimento dove l’unico rumore è il nostro cuore che batte, aperto a nuova vita! Ora è già cosi… mentre scrivo si è affacciato un nuovo giorno. Paola o un’immagine di madre che partorisce, qualcuno viene chiamato alla vita, accompagnato con amore o disperazione verso un’inevitabile arrivo, la nascita. Quante aspettative per un figlio chiamato al futuro, al suo amore pensato, vissuto, sentito; voglia di donare, di spandere energia pensando a lui. E il suo futuro si dipana, cresce, prende forma nei fatti, nelle scelte, negli eventi imprevisti. Tanto amore scorre, si intreccia con pazienza ed ansia, chiede a volte conferme. Chiamare al futuro qualcuno è un grande impegno, come lo è stato essere stati chiamati da qualcuno a suo tempo. In questa legge di vita a doppio canale qualcosa accarezza l’orizzonte come un vento d’amore più grande e ci chiede di chiamarci al futuro. Il più grande gesto d’amore H è questo: essere capaci di chiamare noi stessi al nostro futuro, vivere per fare il passo successivo , infondere coraggio al nostro gesto per quello che verrà dopo, che troveremo strada facendo. Nella scoperta di quello che accadrà, che riusciremo ad accettare come fioritura dei semi dell’oggi, vedo la meraviglia del divenire, l’avventura di un chiamarsi al futuro seguendo l’eco di noi stessi. Giuliett a ualche tempo fa una parente che non vedevo da diversi anni, al mio invito di incontrarci rispose: “per quale motivo?”. Io le dissi, sempre per sms: “per vederci, abbracciarci, ricordare”. Lei mi rispose: “vederci e abbracciarci mi sta bene, ma ricordare assolutamente no!” Li per lì pensai: “ma guarda che str…” Poi invece le risposi: “Viva il presente e il futuro!”. Così ci siamo incontrate ed è stato bello! Questo mi ha fatto riflettere un bel po’ sul richiamo del futuro, sulla mia vita trascorsa: Q gioie, dolori, sofferenze, prove, amore, difficoltà di intesa, tristezza del non essere capita ed ultimamente la scoperta che io non posso decidere per situazioni che altri devono vivere e risolvere. È così che oggi (ho 70 anni) il mio cuore e la mia mente guardano oltre. La vita, questo dono splendido ricevuto per amore, è dentro di me e corre oltre, va avanti e (pur non rinnegando niente di ciò che è stato, chiedendo perdono per quanto ho sbagliato) mi spinge verso un futuro che, breve o lungo che sia sarà ancora pieno di bello, di amore, di tenerezza, di gioia. Ultimamente ho tenuto la barca della mia vita troppo ancorata ed è ora che molli gli ormeggi e prenda il largo. Forse da qualche parte qualcuno è in attesa e sarà felice di dire: “eccola, arriva!”. Sono qui davanti ad un mare splendido dove i colori si fondono. C’è addirittura un delfino, al largo, che corre e salta nell’azzurro che si fa verde… E mi sento serena… chiamata dal futuro, piena di domande, con una voglia di “inventarmi” di nuovo. O forse questo è un sogno di follia?! Gioia PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Dicembre approfondirà il tema: “Abitare la vita”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 20 Novembre 2008), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo sul c.c.p allegato. CASSA COMUNE: è composta dai vostri c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e ampliarne la diffusione (in carceri, istituti, associazioni, gruppi, ecc.) PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, o se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci. SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso. 31 Foto di Massimo Schiavo N on voleva saperne di edifici, la divinità era nomade e nomade è restata. Erri De Luca 32