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Chiamati dal futuro - Fraternità di Romena

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Chiamati dal futuro - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XII n° 3/2008
Chiamati dal futuro
1
3
Primapagina
C’è un poeta nel cuore dell’universo
6
4
È il futuro che muove il presente
Attraversati dal vento
8
10 Il futuro, oltre ogni sbarra
La capacità di scegliere
12
14 Una parola nuova nel libro del mondo
SOMMARIO
Gli infiniti orizzonti
18
20 La storia ha bisogno di noi
Le parole e il silenzio
22
23 Una nuova pubblicazione
La nuova agenda 2009
24
26 La nuova veglia di Romena
Ciao Luigi
28
Graffiti
30
29 Avvisi
trimestrale
Anno XII - Numero 3 - Ottobre 2008
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel./fax 0575/582060
www.romena.it
e-mail: [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Simone Pieri, Alessandro Bartolini
Massimo Schiavo
FOTO:
Massimo Schiavo, Eliseo Pieri, Piero Checcaglini
Copertina:
tratta dal film “Tempi moderni” Charlie Chaplin
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Stefania Ermini, Maria Teresa Abignente,
Luca Buccheri, Luigi Padovese.
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
“Ricordi come tutto era possibile e pareva che aspettasse solo noi?”
Leggo queste parole di Giovanni Arpino e mi ripenso bambino. Sono stato molte cose allora:
campione di sci (con le pattine, in camera), finalista agli internazionali di tennis (il muro
dietro casa), stella del calcio (il prato davanti), telecronista (di me stesso negli sport di cui
sopra). La tv lasciava libere le menti, almeno di pomeriggio, e la fantasia galoppava sul
nostro tempo. Il sogno era una dimensione del gioco, la bellezza consisteva nel lasciarlo
andare ovunque volesse.
Non erano sogni premonitori. Non avevano l’urgenza né l’aspettativa di esserlo.
Bastavano a se stessi, erano fuoco che scaldava una stagione ancora acerba, erano un
irresistibile invito ad andare a vedere cosa sarebbe successo davvero.
Se li richiamo non è per nostalgia, ma per ritrovarne il sapore. E perché quel senso di proiezione infinita, quella gioia di slanci impossibili è un grande bisogno del nostro presente.
Oggi, infatti, sentiamo che quei sogni bambini non si sono evoluti, ma sono scomparsi, come
evaporati. In un bellissimo articolo Concita De Gregorio scrive: “I miei genitori sapevano
che il mio futuro sarebbe stato migliore del loro. Per i nostri figli sappiamo che non sarà
così”. È una frase cupa, ma vera, che dà conto dello stato d’animo di questa epoca: siamo
consapevoli di poter fare solo peggio.
Il futuro è divenuto un punto minaccioso oltre che indefinito: con mezzi sempre più sofisticati
proviamo a controllarlo, a programmarlo, ma non siamo più capaci di sognarlo.
Temiamo che domani sarà peggio perché se guardiamo lo scivolamento verso il basso delle
istituzioni, della vita sociale, dei valori condivisi, se consideriamo l’indifferenza e la distrazione con cui viviamo le vicende a noi contemporanee, non potrà che essere così.
Questa frustrante percezione del domani ha un pregio di analisi (è fondata e realistica),
ma un pericoloso difetto di prospettiva: rischia di bloccare, sotto una cappa di timori e
di rinunce, l’unico terreno che può in qualche modo dialogare col futuro, preparandolo,
facendogli spazio: il terreno delle speranze, dei sogni, delle aspirazioni.
Non so come, ma è necessario risvegliare questi sogni, smettendo di confonderli con i desideri
e i bisogni, spesso falsi, che ci vengono infusi via endovena dal mondo dei mass media.
Se il Dio della Bibbia ci invita a “custodire e coltivare il giardino”, la prima operazione da
fare è quella di immaginare, di sognare continuamente quello che potremmo essere, quello
che vorremmo fare in questo giardino. Questa fase creativa non va ingabbiata; non contano
i suoi risultati, conta il movimento che produce in noi: una voglia di andare oltre, una spinta
sul futuro capace di accendere la passione, di rintracciare energie insospettabili.
E anche se il futuro ci porterà comunque verso situazioni che sono aldilà di quelle che
possiamo immaginare, questa attività del sognare non è vana, perché ci esercita a guardare
avanti, perché ci allena allo stupore del nuovo.
“Ho una malattia, sono contaminato dai sogni – ha detto lo scrittore Maurizio Maggiani parlando del rapporto tra realtà e fantasia nei suoi libri – Sono un uomo che non sa distinguere
bene, e non gli interessa neanche, tra ciò che vede e ciò che sogna, tra ciò che ascolta e ciò
che immagina…”Chiamiamo questa “malattia” virus dei sogni o della fantasia. E se possibile
cerchiamo di capire non come si cura ma come, anche a piccole dosi, si può propagare.
C’è UN POETA NEL
DELL’UNIVERSO
di Luigi Verdi
Ti chiamo avvenire perché non vieni mai. Non Cosa può cambiare se i tuoi occhi attendono
vieni mai così come vorrei, così come ti ho l’alba di un nuovo giorno, se la tua vita si
sognato. Io ti voglio progettare e non sopporto sente chiamata dal futuro?
che tu non giunga a me come ti ho pensato, ti Mi risveglio quando sento fuori dalla finestra
aspetto come un pacco postale che ha con sé un respirare più forte, è l’alba che arriva.
quello che comodamente, da casa, senza fare Alba di un nuovo giorno senza nessun invito
un passo ho scelto come su un catalogo.
e un vento sereno di semente viene dal futuro.
Noi abbiamo la pretesa di erigere la casa sul Occorre abbandonarsi al suono senza pausa
futuro, con la prepotenza di uomini “realiz- della terra.
zati”, sicuri nell’armatura splendente del suc- C’è un inno dentro al grido di dolore di Luigi,
cesso e della responsabilità, tu ci lasci vivere un canto sottile, c’è un inno nella gioia come
un concerto selvaggio.
il nostro trionfo per quel poco che vale…
Ci manca l’umiltà di attendere qualcosa di C’è un inno nella vita che è la vita di ciò che
ho vissuto e ho salnuovo non programvato diligentemente
mato, la pazienza di
dallo sterminio ferocolui il cui “ora” è
C’è un poeta
ce dei giorni. C’è un
eterno, la rettitudine
inno nel caos di quel
di chi non è ancora
nel cuore dell’universo.
mio incostante cercaarrivato.
Descrive sempre
re di risposte che vieIncontro Luigi, ultine sempre defraudato
mo saluto prima di
la bellezza dei fiori, cancella
dalle futilità delle riaffidarlo al custode
spesso le insoddisfazioni
cerche.
del raccolto dei chicdell’animo,
Devo chiudere con
chi d’amore.
Lui privo di forze, in
ma non riesce a far tacere mai fede gli occhi ed essere capace di udire
me senso di miseria.
il grido del dolore.
questi inni nascosti e
Tutti noi intorno al
chiedere alla chiarezsuo corpo a trattenerTagore
za di non andarsene
lo, come quando chi
dai miei occhi, non
ama desidera che il
schernire la ragione
treno ritardi.
Terminata l’unzione del corpo un brivido cre- che mi spinge a proseguire. Cerco di ascolpuscolare, noi a trattenerlo ancora, lui incerto tare il futuro che mi chiama a seguire i suoi
ondeggia, poi chi lo chiama dal futuro è più passi come quando impariamo a ballare e ci
potente e convincente di noi, e noi con Luigi ci pieghiamo ad un ritmo che insiste più di noi.
abbandoniamo al richiamo, e con lui ci indiriz- Un inno che ci anima a qualcosa di più bello
ziamo verso il futuro. In quel momento catena di tanta diffidenza di tanto smarrimento e mi
chiede di costruire la mia vita chiamato dal
di luce e sapore di cielo scendono su di noi.
Il vento di ottobre trae il tesoro di luce dalle futuro.
Mastico lentamente i minuti dopo avergli lefoglie che cadono verso più luce.
Cadono le foglie, cadono le stelle, cade il gior- vato ogni spina e quando la vita mi maltratta,
no, è caduto Luigi, ma tutto ciò che cade, qual- mi ricordo che non può stancarsi d’aspettare
cuno con dolcezza infinita lo tiene nella mano. colui che non si stanca di guardarti.
4
Foto di Piero Checcaglini
Il futuro entra in noi,
per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.
Rainer Maria Rilke
è IL FUTURO CHE MUOVE IL PRESENTE
di Giovanni Vannucci
Qual è la direzione del tempo? In questo testo, tratto dalle conversazioni tenute a Sotto il Monte (Bergamo) nel 1977, padre Giovanni Vannucci sovverte le nostre convinzioni razionali e ci invita a guardare
la realtà con occhi nuovi: come nel seme di grano c’è già un sogno di spiga, così nel nostro oggi c’è già il
segno, invisibile, del nostro domani.
La nostra numerazione considera il tempo in un da Firenze», e ci troviamo qui, e il nostro inconprocesso, in una direzione, che va dal passato al tro è puramente casuale, cioè è avvenuto perché
c’è stato un richiamo: amiamo trovarci insieme
presente, e che è protesa verso il futuro.
In realtà com’è il tempo? Osservate il bimbo che qui a Sotto il Monte, tutto qui.
sta crescendo nel seno di una donna, di sua ma- Questa è la descrizione razionale del nostro indre. La crescita di questo bambino è determinata contro. Non potrebbe darsi che fra dieci anni
dal passato o dal futuro? Il bambino cresce per noi comprendiamo i motivi che ci hanno portato
qui? Non vi è mai succesraggiungere una figura che
so nella vita di capire dopo
ancora non ha e che ragdegli anni perché avete ingiungerà nel seno materDio ci parla sempre dal contrato quella persona,
no il nono mese. E perché
cresce? Cresce: c’è stato il
futuro; e anche quando ci o perché avete preso quel
libro, o perché siete andati
primo giorno o perché c’è
rivolge la parola nel presente, in quel determinato posto,
il termine del nono mese,
quando avrà raggiunto la
la parola è protesa verso così, spinti da una curiosità
oppure da una sollecitaziosua figura di bambino e
il futuro, come il chicco di ne momentanea che non vi
verrà proiettato nel mondo con la nascita? Vedete
grano che mettiamo nella attendevate? Dopo un certo
che nel reale, nel vivente,
terra è proteso verso la spiga tempo comprendete il perché di quell’incontro e di
il tempo ha un movimento
che apparirà al momento quel colloquio, della lettura
differente: ha un movimendi quel determinato libro, il
to che parte dal futuro e che
della maturazione
perché della partecipazione
influisce sul presente.
a quella determinata ricerca,
I cinesi usano raccontare un
a quella conferenza, a quelepisodio molto intelligente
la lezione. Lo comprendete
a proposito della sconfitta di
un loro generale: «Questo generale è stato scon- dopo un certo tempo.
fitto perché il giorno dei suoi funerali non sono Questo mi preme farvi comprendere: il tempo vistate adempiute alcune cerimonie rituali». Que- tale, il tempo vissuto non parte dal passato verso
sto episodio lo riferiva un ambasciatore cinese a il presente, ma parte dal futuro verso il presente.
Parigi, ed era presente Teilhard de Chardin. Tutti Il seme che cresce nei nostri campi, il seme di
si misero a ridere pensando fosse una battuta di grano che ora sta sviluppando le radici, perché
spirito orientale, cinese, ma Teilhard de Chardin sviluppa ora le radici? Perché c’è il tempo vivente che lo chiama dal futuro, e il grano che cresce
disse: «No, l’ambasciatore ha ragione».
Vedete, noi stasera siamo qui insieme. Consi- “sogna” la spiga, la figura che un giorno riuscirà
derando il nostro incontro da un punto di vista a raggiungere nella sua maturazione.
razionale diciamo: «Io sono partito da Milano», Il presente è una risposta nella vita concreta, nel
«Io sono partito da Bergamo», «Io sono partito reale, agli appelli che ci vengono dal futuro.
* Il testo è tratto da “Il richiamo dell’infinito”, Edizioni Romena
6
Maria
non si è lasciata
condizionare dal passato
ma dal futuro.
Da quello che diventerà.
Luigi Verdi
ATTRAVERSATI DAL VENTO
di Maria Teresa Marra Abignente
Ogni gestazione è qualcosa di segretamente brividi di gratitudine ti salgono per la schiena,
nascosto: nel ventre della madre o della terra una vertigine ti afferra e ti solleva e tutto sembra
tutto avviene nell’intimità di un calore che è leggero e chiaro, finalmente.
impalpabile, nell’oscurità di trasformazioni che I frammenti di vita, gli spezzoni d’incomprensono invisibili agli occhi. La vita fa così: si na- sibile materia attraverso cui si snoda la nostra
sconde e poi esplode, si occulta e poi si rivela. esistenza, si ricollegano in una compiutezza
È il suo gioco, è il suo continuo fluire che noi insperata; è come quando comprendiamo che
vorremmo lento e costante, ma che in realtà è a tutte le acque della terra sono collegate tra loro da
volte straripante ed a volte sommerso, a volte un continuo gioco di profondità e superficie: che
inebriante altre volte incerto e stentato, come il sorpresa e che gioia ci dà avvertire tutto questo.
cammino tortuoso di un fiume.
Perchè allora vuol dire che non esiste dispersioTroppo spesso ci sentiamo gli
ne, ma tutto è intrecciato; non
autori della nostra vita, troppo
c’è spreco, ma tutto si accorda
L’autunno,
spesso pensiamo, con grande
in un’armonia che le nostre
presunzione, di essere noi
dita non sanno suonare e la
spogliando i rami,
a plasmare e a dar forma al
nostra mente nemmeno immalascia vedere il cielo.
nostro esistere, come fossimo
ginare, ma che esiste, aldilà di
noi creatori e non creature. E
noi. E questa armonia è la vita,
Christiane Singer
nella furia di gestire e rivoltare
la vita che gioca attraverso di
il nostro destino, nell’opporci
noi, gioca nella nostra pelle,
con mille strategie ed astuzie al solo pensiero nelle nostre braccia, nei nostri piedi, nel nostro
di essere limitati finiamo per perderci, anzi, ci cuore; gioca anche quando noi non capiamo e
ritroviamo a remare in uno stagno. E pensare che vorremmo sfuggire al suo gioco, ma se la si lascia
invece siamo fatti per navigare l’immensità!
fare… Se la si lascia libera di attraversarci, come
Non so se a voi è mai capitato, a me sì e sono stati fanno le foglie con il vento, se le si concede di
momenti di una pienezza incontenibile. Forse vivere in noi, di respirare la nostra aria, se le pretutto è successo in un attimo o comunque in un stiamo la nostra pelle, le nostre gambe e mani può
barlume di maggiore chiarezza. Forse è maturato riannodarci ad una dimensione che ci trascende
come un frutto estivo o come uno scroscio di e ci dà senso, ci immerge nell’immensità a cui
pioggia sulla terra riarsa. La sensazione nitida, apparteniamo.
fulminante che, finalmente, hai capito; che cioè Si tratta solo di far scorrere attraverso di noi quequel che sembrava star dentro a marcire acquista sti giochi di luce, si tratta di umilmente attendere,
finalmente senso e tutto, finalmente, si illumina. si tratta di pazientemente credere che non siamo
Si accende però di una luce che non è nuova, di soli e sganciati dal creato, ma ne siamo parte. E
una luce che già covava dentro, già contenuta in come il creato siamo custoditi da una saggezza
tutto quel che sembrava marciume… o peso… o irrefrenabile e misteriosa. Quando tentiamo di
incomprensibile fatica della vita… e che ne era confinare questa saggezza o quando vogliamo
in fondo la sostanza. Come se si fosse aperta una sostituirci ad essa diventiamo come alberi stanchi
porta, dietro alla quale in silenzio c’eri tu che a cui sembra di portare sui rami e sulle chiome
guardavi e ti interrogavi e aspettavi chissà quale tutto il peso del cielo: ma è il cielo che chiama i
misterioso aprirsi. Come se al di sotto di tante rami in alto attirandoli delicatamente; è il cielo,
scorze e gusci, nascosto come un embrione ci l’aria pulita e fresca e la luce che dà loro lo slanfosse un nocciolo luccicante. E in quel momento cio. Solo così il vento tra le foglie può giocare.
8
Foto di Massimo Schiavo
L’eternità
è il miracolo
della “prima volta”
che si ripete sempre.
L’eternità è non abituarsi.
Ermes Ronchi
IL FUTURO, OLTRE OGNI SBARRA
Questo articolo ci arriva dal luogo dove la parola futuro non gira mai a vuoto.
Perchè in prigione il futuro è necessario come l’aria.
“Il nostro mondo – ci scrive Enrico – viaggia a velocità incredibili. Ognuno di noi, per scelta per necessità,
va ad una velocità diversa dalla sua. Ma ora, finalmente, sono arrivato a capire. E quando mi accorgo che
sto variando la mia velocità (spesso per soddisfare un bisogno inutile, magari di qualcun altro), mi fermo
e ricerco il mio io. Uno degli strumenti che uso è il giornalino di Romena. Le copie che ho ricevuto in questi anni le conservo come pietre preziose e sono una delle pochissime cose di cui non mi sono spogliato
durante i tanti trasferimenti che ho fatto (mi vengono concessi 7kg. di bagaglio)…”.
Enrico allega alla sua lettera un articolo. Nei 7kg che sposterà, se dovrà spostarsi di nuovo in un altro
istituto di pena, ci sarà anche il peso, e la forza, delle sue parole.
Sono in carcere. Per altri, tanti anni dovrò
starci, le carte mi dicono che uscirò il 23
marzo 2018. Potrei, anzi posso, gestire
questi anni come meglio credo, facendo ciò
che voglio. In fondo è la realtà; mi è stato
detto così una mattina di quasi cinque anni
fa e di questo ne ho fatto e ne sto facendo
tesoro: “puoi vivere il carcere anche come
un’opportunità…”. Mai nessuno più di
una persona spogliata di tutte le sue quotidianità, di tutto il suo essere, può sentire
la chiamata dal futuro. E ognuno se lo
costruisce il suo futuro. Passo dopo passo.
Se resta fedele a quelli che sono i suoi sogni
riuscirà a esaudire questa chiamata. Per
me, il futuro è rappresentato dai miei affetti.
Il resto non mi importa.
Nella mia vita passata ho fatto un po’ di
tutto, lavorato tanto, troppo, e alla fine
ero diventato una persona “arrivata”, ma
diversa da quella che nel mio intimo avrei
voluto diventare, perché stavo esaudendo le
aspettative di altri, non le mie. Ero ricco di
tutte quelle cose inutili che la società ormai
ci impone, ma mai nel mio intimo sono stato
tanto povero come in quei momenti. Con
il lavoro che svolgevo avevo soddisfatto i
bisogni primari, secondari, terziari miei
e delle persone che mi circondavano, ma
non bastava mai e un giorno si è spento
definitivamente quel lume che ognuno di
10
noi ha nel cuore e che gli dice chi è, e sono
esploso.
La mia chiamata dal futuro è rappresentata
dall’esaudire il mio bisogno di aiutare chi è
meno fortunato di me e il mondo ad essere
meglio di ciò che è.
Stamattina guardando il telegiornale i titoli
erano sempre gli stessi: qualche morto, il
governo che si inventa qualcosa di bizzarro,
incidenti sulle strade e via di seguito. Io in
tutto questo non mi riconosco più. Ho capito
che bisogna tornare all’origine, a quell’essere bambini, per recepire realmente le cose
come sono e andare verso il nostro futuro.
Il perdere di vista “chi sono e cosa voglio”,
mi ha portato in carcere. Pigi nel suo libro
descrive un “esercizio” che ha fatto con
alcuni ragazzi, mettendo una bottiglia su
un armadio e chiedendo a loro di raggiungerla partendo dall’altro lato della stanza.
L’unica che ce l’ha fatta è stata una ragazza
che “non ha perso di vista l’obiettivo”. Ho
adottato abbastanza facilmente questa tecnica, che è poi molto semplice e cioè quella
di non perdere di vista me stesso.
So che solamente rispondendo alla chiamata dal futuro, esaudendo i bisogni del
mio intimo, riuscirò a combinare qualcosa
nella mia esistenza e solamente dopo questo
avrò vissuto.
Enrico
Foto di Massimo Schiavo
Occorrono segni,
cioè fessure
da cui oggi
qui sulla terra
intravedere Dio.
Gesù sulla terra
aprì segni,
aprì con la sua vita
fessure;
da cui sorprendere
la gloria futura.
Angelo Casati
11
L A CAPACITÀ DI SCEGLIERE
di Luigi Padovese
La vita è come un “laboratorio”. Ci sono dei
momenti in cui questo appare più vero. Momenti in cui senti forte il bisogno di trasformazione.
In natura, questo bisogno si esprime bene con
il cambio delle stagioni. È in questa fase che si
possono vedere bene i “contrasti” e i “conflitti”
connessi al cambiamento, ma anche le opportunità, le novità possibili, le speranze.
È un cammino che si definisce camminando.
E, in questa ricerca, spesso mi chiedo se conti
solo l’affidarsi o se c’è anche uno spazio reale
per “progettare”, per influenzare e far accadere
le cose. Mi chiedo, cioè, quanto pesi in tutto
questo la volontà, il nostro volere.
“A te dico, alzati!”. Mi colpisce ogni volta che
lo leggo e che prendo in mano le lodi del mattino. Un richiamo forte e un invito altrettanto
forte alla nostra volontà, un’indicazione di fiducia e di speranza.
Alzarsi, partire, mettersi in cammino verso una
meta, seguendo una direzione. Ma questa “post
modernità” in cui viviamo si presenta spesso
come l’epoca del disorientamento. Non si sa
dove andare, che direzione prendere. Essere
disorientati, non saper scegliere: rappresentano l’uomo senza volontà. Chi perde la propria
identità perde la propria volontà.
Assaggioli, fondatore della psicosintesi, diceva
che quando non c’è volontà, quando una persona non è capace o ha paura di scegliere c’è
sofferenza, depressione, ansia.
La capacità di scegliere è forse ciò che più di
tutto può definire un essere umano: ecco allora
l’importanza fondamentale di riscoprire e coltivare la nostra volontà, che è la funzione psicologica da cui la scelta ha origine.
Senza scelta consapevole, senza volontà non ci
alziamo, non guardiamo da nessuna parte, non
andiamo in nessuna direzione. Se ignoriamo la
volontà tendiamo a reprimere il nostro stesso
“potere personale”, le nostre facoltà più importanti.
Riconoscere e dar valore alla volontà significa
essere responsabili della propria vita.
Dobbiamo però distinguere tra questa volontà,
12
che ci fa evolvere e che ci fa sentire padroni di
noi stessi, dalla volontà di stampo “vittoriano”
che ci fa sentire schiavi e ci pone su di una strada di involuzione e irrigidimento. Dunque non
una volontà intesa come ansioso senso del dovere, come condanna, come repressione di una
parte di noi stessi, ma una volontà che ha origine
dal “centro” del nostro essere, che si comporta
come il nostro personale “regista interno” che
armonizza, dirige e permette di decidere ciò che
vogliamo fare e farlo. Questa consapevolezza ci
aiuta a crescere e a guarire superando quell’atteggiamento di “vittima impotente” tale per cui
le ingiustizie avvengono perché non facciamo
nulla per impedirle, ci ammaliamo perché non
ci curiamo della nostra salute, siamo soli perché
temiamo il contatto con gli altri, le disavventure
ci perseguitano perché vediamo solo ciò che è
negativo, le prepotenze ci opprimono perché ce
le aspettiamo e le permettiamo, ecc.
La volontà ci aiuta in questo cammino evolutivo.
Una volontà al servizio, dunque, dell’autorealizzazione: ciascuno possa essere ciò che può
essere e così esprimere tutte le potenzialità che
possiede.
Possiamo lasciarci condizionare da fattori esterni, o andare avanti per forza dell’abitudine, inserendo il “pilota automatico”, oppure scoprire
in noi stessi la facoltà di scegliere, di dirigere,
di guardare nella direzione voluta, di essere
causa.
Tutto questo lo possiamo scoprire, provare ed
esercitare in ogni situazione della vita, nella quotidianità, nella crisi, nella routine e nel
cambiamento, nel fare le cose e nell’incontrare
l’altro. Questo succede se vediamo la vita come
un laboratorio, dove possiamo esercitare la nostra volontà, la nostra capacità di dominare una
situazione con competenza e consapevolezza.
E questo, come molte ricerche dicono, dà gioia,
gioia di vivere.
La volontà, dunque, ci aiuta a rispondere alla
“chiamata del futuro”. È l’augurio che faccio a
me stesso in questo momento della mia vita!
Foto di Piero Checcaglini
I beni più preziosi
non devono essere cercati
e conquistati,
ma attesi.
Simone Weil
13
UNA PAROLA NUOVA NEL LIBRO DEL MONDO
di Luca Buccheri
«I sogni di oggi sono il futuro che muove il presente» diceva l’indimenticato padre Giovanni
Vannucci. In effetti se noi abbiamo un sogno, un
desiderio profondo, non è il passato, ma il futuro a
influenzarlo. Agiamo, creiamo, progettiamo senza
avere certezze davanti a noi, solo perché c’è un oltre che ci spinge, che ci mostra ciò che ancora non
si vede ad occhio nudo, e ci chiama a rischiare, a
non calcolare, ma solo a muovere le cose perché
sia raggiunto quello che muove e abita il cuore.
Anche la natura, la creazione risponde al comando ad esistere che le viene dal futuro: «E Dio
disse: “la luce sarà!”; e la luce fu» (Gen 1,3).
L’autore biblico usa un verbo all’imperfetto, che
però in ebraico esprime il senso del futuro, anche con una tonalità imperativa. Ogni creatura
viene all’esistenza nella misura in cui obbedisce
a questo comando, a questa Parola che le viene
dal futuro. Come a dire che fin dalle primissime pagine della Bibbia la condizione della vita
è dettata dal futuro non dal passato. Il passato è
descritto come un caos primordiale in cui Dio
crea separando, attraverso una parola che squarcia il presente immettendo i semi del futuro.
Se questa chiamata dal futuro – che mi piace
anche intendere come speranza – è primordiale
e costitutiva di ogni vivente, possiamo allora capire come il rifugio nel passato, nelle sicurezze
date dalle tradizioni e dalle abitudini possa generare disperazione e tristezza. Come quella del
“giovane ricco” che rifiuta la chiamata di Gesù
per voltarsi indietro ai suoi beni, alle sue sicurezze, al suo passato. Il fascino che Gesù esercitava su questo giovane non è stato sufficiente ad
aprirgli un futuro nuovo anche se incerto. La fiducia è sempre un atto di speranza, che risponde
positivamente agli appelli provocanti del futuro.
La vita ci provoca continuamente, ci chiama ad
una sfida dopo l’altra, ad un cammino di novità.
In ebraico “piede” (regel) e “abitudine” (herguel) derivano dalla stessa radice. Perché questa
associazione? In una lingua povera di vocaboli il
fenomeno della polisemia (una parola con più significati) è frequente e va osservato attentamente
14
perché spesso nasconde un legame assai ricco tra
i diversi significati. Nel nostro caso, si potrebbe
definire l’abitudine come l’andare dove ti porta
il piede… per strade già note, senza che la mente
se ne accorga. Come sfuggire all’alienazione dei
ritmi consolidati, al rifugio nella sicurezza delle
abitudini?
La terza parola del Decalogo indica una strada:
è lo shabbat, il sabato. Nel sabato, che vuol dire
“riposo”, tu impari a fermarti e a fermare il tempo. Ad aprire un nuovo sguardo, a lasciare entrare la novità. Nel sabato il “cessare ogni attività”
non va letto in senso moralistico, ma come un
recupero di quegli spazi di gratuità e silenzio,
bellezza e creatività che spesso sono preclusi
nella ferialità. In altre parole, lo shabbat vuole
restituire all’uomo quello sguardo sul futuro che
spesso gli sfugge, travolto dagli ingranaggi del
presente o dai blocchi del passato.
Istintivamente siamo portati a seguire strade già
conosciute, già percorse da noi o da altri. Ma
l’essere umano non si sviluppa pienamente, non
mette a frutto tutte le sue potenzialità in un contesto in cui tutto è già definito e codificato dai
ruoli e dalle regole. C’è bisogno di uno spazio
interiore ed esteriore libero perché ciascuno trovi
la sua strada seguendo ciò che preme maggiormente nel suo cuore, ciò che lo libera dai condizionamenti e lo rende felice. C’è uno spazio di
unicità che solo ognuno di noi deve occupare per
abitare pienamente la Vita. Ognuno è una lettera
e perché il libro del mondo sia terminato devi
scrivere anche la tua parola, per rinnovare il libro
aggiungendo il tuo significato!
Qualcuno diceva, giustamente: non sarà un caso
se abbiamo gli occhi davanti. Siamo fatti per
guardare avanti e non per voltarci indietro. La
vita è avanti a noi, non è rifugio nel ricordo o
nostalgia «del tempo che non tornerà più», come
recita una bella canzone di Fiorella Mannoia. La
Vita, il futuro, ci chiama. Siamo invitati, dolcemente, ad esserci, a lasciarci trovare quando
l’amore busserà ancora, a vivere già oggi quei
sogni che anticipano la realtà.
Foto di Alfredo Altafini
La porta della felicità
si apre solo verso l’esterno:
chi cerca di “forzarla”
in senso contrario
finisce col chiuderla
ancora di più.
S. Kierkegaard
16
17
Foto di Nassimo Schiavo
Gli infiniti orizzonti
di Massimo Orlandi
Adnane Mokrani e Sharzad Houshmand sono due teologi musulmani. Lui è tunisino, lei iraniana. Sono
marito e moglie. Da molti anni vivono a Roma, entrambi insegnano all’Università gregoriana.
A Romena hanno portato i frutti del loro cammino spirituale, la bellezza della loro religione e anche i
segni di quanta strada possediamo in comune. Senza saperlo.
da sinistra: Sharzad Houshmand , Raffaele Luise e Adnane Mokrani
“Nel nome di Dio, pienezza di amore e di misericordia”.
Sharzad pronuncia in arabo le prime parole del
Corano. Si apre così la prima fessura su un mondo
nuovo, conosciuto solo per i suoi riflessi, per ciò
che è cronaca, dibattito, pregiudizio.
La spiritualità è altro. Sono i volti dei nostri
ospiti che assorbono la luce del mattino, è la loro
accoglienza discreta, il loro porgerci se stessi e la
loro cultura con delicatezza, con cura.
Sharzad e Adnane avevano già regalato a Romena
un gesto. Erano stati qui nei giorni di Pasqua.
Avevano voluto incontrare le nostre tradizioni
in silenzio, in punta di piedi, in ascolto. Ed è da
quell’incontro che parte il loro intervento. “La
prima cosa che vorremmo dirvi oggi è grazie. Già
a Pasqua avevamo sentito Romena come un luogo
dei primi discepoli di Gesù, un luogo semplice,
pulito, alla ricerca della spiritualità. Oggi quella
sensazione ci viene confermata”.
È un tappeto di amicizia quello che ci offrono.
Ci si può appoggiare, liberi.
18
Abbiamo invitato Sharzad e Adnane a parlarci
della beatitudine della misericordia. E la misericordia è al cuore del Corano, è uno dei nomi
di eccellenza di Dio: “Quando parliamo dei
99 nomi di Dio – spiega Adnane – il numero 99
è simbolico perché i nomi di Dio sono infiniti.
Dentro questo Dio unico, troviamo una pluralità,
la pluralità dei nomi, la diversità interiore che si
riflette nella diversità del Creato: ogni cosa, ogni
creatura, ogni persona riflette un nome divino, ci
dice qualcosa di Dio. Ma dentro questa pluralità
troviamo anche una dualità: ci sono i nomi della
maestà che esprimono la grandezza, l’energia, la
forza di Dio, e ci sono i nomi della Bellezza, che
esprimono la dolcezza, la tenerezza, l’amore, la
misericordia.
I nomi della Maestà esprimono, in qualche
maniera, il lato maschile di Dio, invece la parte
della Bellezza esprime il lato femminile di Dio.
Ma queste due categorie non sono uguali: c’è un
detto del Profeta che dice “La mia misericordia
ha vinto, ha superato la mia ira, la mia vendetta”.
Dunque il lato della tenerezza è più grande del
lato della Grandezza. E questi due lati insieme,
uniti, rappresentano il Dio unico”.
Anche Sharzad insiste su questo aspetto femminile, materno di Allah: “È interessante vedere che
le due parole, Amore e misericordia, Rachman e
Rachim, si riferiscono alla parola Rachem che
significa letteralmente, in arabo, l’utero materno. Per l’Islam Dio non è un essere umano, non
ha una figura materiale, non è né maschio né
femmina, ma se volete proprio dare una forma,
un simbolo, è molto più vicino ad una madre, ad
una madre che abbraccia il suo feto già dentro
l’utero, ed è un abbraccio totale, un nutrimento
continuo”.
Amore e Misericordia. Ma, intanto, incalza Raffaele Luise che conduce l’incontro, intorno a noi
c’è tanta violenza e questa violenza spesso si fa
scudo con la religione. “L’essere umano è fisiologicamente violento – ci dice Adnane. “C’è un
egoismo individuale e un egoismo di gruppo, da
cui nasce la violenza. Scopo delle religioni deve
essere proprio quello di aiutare l’essere umano a
liberarsi dall’egoismo che causa questa violenza,
di aiutarlo a essere più umano, più libero. Perché
nel momento in cui l’essere umano è libero da
questo egoismo riesce a guardare le persone, il
mondo, con l’occhio di Dio, con l’occhio della
misericordia”. Le religioni devono liberare, non
tenere prigionieri, e devono unire, non dividere:
“Trovo che un grande peccato religioso sia
l’esclusivismo, cioè il dire che solo noi siamo i
salvi, che gli altri sono condannati solo perché
appartengono a un’altra realtà religiosa. È un
atteggiamento antireligioso perché è contro la
natura misericordiosa di Dio che include tutti in
sé”. Sono chiare, nette, ma anche straordinariamente morbide le parole che ci arrivano da questi
teologi. Ribaltano prospettive, luoghi comuni, e
lo fanno accostando alla forza del ragionamento,
l’ispirazione del cuore; ragione e cuore insieme.
È così che tanti antagonismi vani potrebbero essere abbattuti, e che questa paura della diversità
che oggi attanaglia il nostro Occidente, potrebbe
essere superata. “Io – sottolinea Sharzad – penso
che la paura sia contro la fede. Anche personal-
mente, quando ho paura di qualcosa, in quel
momento perdo la fede. Vedo proprio un contrasto
fortissimo fra la fede e la paura, sia nelle piccole
cose della vita che quando si ha paura di un’altra
creatura, di una creatura di Dio”.
Eppure. Eppure questa paura che accomuna
tanta parte del nostro mondo moderno può essere affrontata. Solo che occorre unire, mettere
insieme, ascoltarci. È un esercizio in grande, che
assomiglia a quello che stiamo facendo oggi in
piccolo, in questa pieve che trabocca stupore e affetto. “Voi – dice Adnane – mi parlate della crisi
della società occidentale e del cristianesimo, ma
anche il mondo islamico vive le sue crisi, crisi di
politica, crisi per i diritti umani, per i diritti delle
minoranze, per i diritti delle donne. E per affrontare queste crisi abbiamo bisogno gli uni degli
altri: credo in questa cultura del Mediterraneo
che ci unisce, non ci separa, credo che possiamo
dirci e fare tante cose insieme”.
Tocca a Sharzad: “Sono convinta che l’Islam,
come il cristianesimo, come altre religioni siano
delle proposte all’essere umano per migliorare,
per cominciare un cammino di purificazione.
Per questo credo che le due religioni, l’Islam e il
Cristianesimo (anche il Corano nomina i cristiani
come coloro che sono i più vicini ai musulmani)
potranno aiutarci molto per rispondere alla
crisi del mondo. I cristiani potranno aiutare i
musulmani a non essere magari così chiusi sulla
Legge perché, sì, c’è questa debolezza purtroppo
di chiudersi un po’ sulla lettera e sulla legge. E
i musulmani magari potranno aiutare i cristiani
a leggere di nuovo il Vangelo, a vedere con occhi
nuovi Cristo, a vederlo come un Cristo universale, a non vedere solo un Cristo per i cristiani”.
C’è una strada possibile, un sentiero, che sembra
possibile percorrere alla fine di questa mattina.
Risuonano nell’aria di Romena le parole di
padre Giovanni Vannucci: “Le religioni sono
come i raggi di una ruota, tutti puntano verso
il centro”. E, in fondo, si riflettono sulla frase
del Corano che Sharzad pronuncia per salutarci:
“Venite, raduniamoci tutti insieme intorno alla
parola perché in fondo il nostro Dio e il vostro
Dio è uno solo.”
19
“La storia ha bisogno di noi”
di Stefania Ermini
Un pomeriggio con don Luigi
Ciotti, “piccolo grande testimone
del nostro tempo”.
La riflessione è sul tema della
giustizia, ma la parola che più
ritorna è responsabilità. La
responsabilità, cioè il contributo
che ciascuno di noi, con le sue
forze, può dare, per costruire una
società più umana, più pacifica,
più giusta.
Romena e don Luigi Ciotti si incontrano in una
calda giornata d’estate. C’è voglia di ascoltare
questo “uomo di parte”: dalla parte dei diritti,
della dignità, della vita, della giustizia, della
ricerca della verità, della libertà.
Fondatore del “Gruppo Abele”, organizzazione che opera all’interno delle carceri minorili
ed aiuta le vittime della droga; primo presidente della Lega italiana per la lotta contro l’Aids
(LILA), presidente di “Libera”, rete di organizzazioni impegnate nella lotta alla mafia. “Un
piccolo, piccolo, piccolo testimone, con tutte le
mie miserie, dell’incontro di Dio”. Così si definisce Don Ciotti. Piccolo, piccolo uomo dalla parte della giustizia e della verità: “Non si
costruisce giustizia senza ricerca della verità.
Dobbiamo fare, dobbiamo dare coerenza. La
prima responsabilità che abbiamo rispetto alla
giustizia è di fare in modo che i diritti dell’uomo diventino per tutti noi carne!”
Don Ciotti è seduto su un panchetto di paglia
vissuta mentre prendono forma parole che
scuotono e spingono ad aprirsi all’azione.
“Il problema non è la mafia, non sono i mafiosi. Il problema siamo noi. Se c’è una malattia
mortale oggi è proprio la crescita dell’indifferenza, di perbenismo, di rassegnazione, di de-
20
lega in molti contesti e in molte realtà. Allora
qui noi abbiamo una grande responsabilità.
Non dobbiamo perdere la capacità di portare
un contributo”.
Ripiegato sul panchetto di paglia vissuta chiede lo sciopero degli applausi di chi lo sta ascoltando. Quasi a chiedere invece, di ascoltare,
pensare bene e poi agire per creare una società
responsabile: “proviamo a parlare di una società responsabile. Cioè di uomini e donne che
ridefiniscono una responsabilità. Che non ci
mettiamo a far solo denunce, ma che facciamo
proposte. Dobbiamo cominciare a vivere con
coerenza questi contenuti e questi valori, dandone continuità. La giustizia si crea anche non
facendo sconti a nessuno, con atteggiamento
rispettoso, propositivo, ma chiaro. Non diventiamo complici con il nostro silenzio”.
Don Ciotti chiama certamente alla gioia e alla
festa, ma anche alla consapevolezza che il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi. “È importante non dimenticarci che senza giustizia
non c’è pace e quando nel Vangelo di Matteo
c’è quel passo categorico che dice “cercate
prima il Regno di Dio e la sua giustizia” noi
siamo chiamati a cominciare a portare qui il
nostro contributo, a realizzare il Regno di Dio
e la sua giustizia. E per quel che mi riguarda e a non dimenticarci che la storia ha bisogno di
ci riguarda, incomincia proprio da quei volti e noi. Anche noi possiamo scrivere una pagina
da quell’affermazione di diritti della libertà e meravigliosa di storia. Cominciando con quel
della dignità umana e della giustizia sociale”. faccia a faccia quotidiano con la storia delle
Ecco perché noi non possiamo tacere, dobbia- persone. Noi siamo chiamati a scrivere la nomo evitare le scorciatoie, dobbiamo conoscere, stra pagina di storia qui. Sul Vangelo, c’è una
dobbiamo ascoltare, dobbiamo evitare di vive- pagina bianca che siamo chiamati a scrivere.
re per sentito dire.
È nostra, ci è affidata. Dio ci dice: “Scrivila
“Abbiamo sempre il dovere di andare in profon- tu”. Siamo chiamati a scrivere nella coerenza
dità. Non venga meno la profondità in ciascuno una pagina di vita. Una pagina che ci è affidadi noi rispetto alle cose che facciamo, ma anche ta e che ci chiede di incontrare e di costruire
alle letture che facciamo. Prima di esprimere Amore. Ma l’amore è l’impegno. L’impegno
dobbiamo essere seri, attenti e documentati, ma costruisce l’amore. L’amore comincia dalla
responsabilità. L’amore comincia dalla conpoi non possiamo e non dobbiamo tacere”.
Don Ciotti ci indirizza
sapevolezza che i percorsi
verso un futuro che può
non hanno bisogno di naessere costruito solo romvigatori solitari, ma solo il
“La
prima
dimensione
pendo il silenzio e crean‘noi’ ci permette di costrudo reti di relazioni forti
ire le strade”.
della giustizia
che si muovono insieme
Piccolo, piccolo, piccolo
è la prossimità,
per scardinare la malattia
uomo dell’incontro con Dio
l’ascolto,
la
relazione”
dell’indifferenza. “Quel
e con l’altro. “Perché è la
“fame e sete di giustizia”
storia delle persone che ci
deve essere prepotente
cambia, sono gli altri che
dentro di noi, non dimenticandoci che è un definiscono, è la nostra relazione con l’altro, è
dono che Dio ci fa e che ci affida. Lui l’ha vis- l’ascolto dell’altro che definisce chi siamo, dove
suto e l’ha testimoniato”.
siamo, dove stiamo andando.
Il futuro della Giustizia sta nelle nostre gam- Io ho sempre creduto che bisogna unire forze
be, nei nostri movimenti, nella nostra azio- ed energie di mondi diversi. Avere dei compane. Non senza fatica e difficoltà, ricorda Don gni di viaggio che ci arricchiscono per la loro
Ciotti. Ma sperare significa anche fidarsi delle storia, i loro percorsi, le loro idee, le loro in“curve” perché la strada non è sempre dritta e tuizioni, le loro diversità”.
comoda.
Fermo su quella sedia di paglia vissuta su cui
“E io non l’ho mai dimenticato questo, e non lo è immobile e ripiegato Don Ciotti ci spinge
dimentico mai. Come non dimentico mai quel ad accogliere le domande aggressive e quelpasso di Isaia che dice “Le acque non ti tra- le mute dell’altro, ad accarezzare le ferite, ad
volgeranno, non temere”. A volte abbiamo un aprire varchi verso la propria e l’altrui libertà
momento di smarrimento, di fatica. Credo che “coi piedi per terra, saldando cielo e terra,
ciascuno di noi abbia trovato nel cammino del- chiedendo ogni giorno perdono a tanti fratelli
la sua vita un momento di sofferenza, di dubbi, e a Dio della mia fragilità. Che vi accompagni
di interrogativi. Spesso mi sono chiesto se i 13- la passione perché l’incontro con le persone
14 anni di attività con Libera, sono serviti. Se i ha bisogno di passione: è fatto di testa, ma è
43 anni di Gruppo Abele sulla strada con quei fatto anche di cuore. E la prima dimensione
volti di uomini e di donne sfruttate, dei ragaz- della giustizia è la prossimità, l’ascolto, la
zi senza fissa dimora sono serviti. Me lo devo relazione. Allora io credo che questo debba
chiedere e devo dirvi che noi siamo chiamati appartenere veramente a tutti…”
21
Le parole e il silenzio
Sulle orme di Tiziano Terzani
“La vostra iniziativa è bellissima, onora Tiziano e aiuta a farne conoscere i
pensieri. Soprattutto è larga, ampia, comprende tanti altri che la pensano come
lui, ma si esprimono in altri modi o con altri mezzi e questo è esattamente
quello che Tiziano sperava succedesse: che si andasse avanti”
Angela Terzani
Nel silenzio dei castelli, delle pievi e dei monasteri del
Casentino si calano le parole di importanti testimoni del nostro
tempo, da Erri De Luca a Rita Borsellino, da Lucio Luzzatto a
Angela e Folco Terzani intervistati da Massimo Orlandi e Paolo
Ciampi. E se è l’esperienza di Tiziano Terzani che disegna le
mappe di questo itinerario, è nel vissuto, nei pensieri, nelle
intuizioni di queste voci, libere e liberanti, che il cammino
prende forma per offrire a ciascuno l’occasione di riflettere sui
grandi temi della vita: il rapporto con la malattia, il desiderio
di pace, la dimensione del viaggio, il richiamo dell’infinito.
Il libro “Le parole e silenzio”, pubblicato dalle
Edizioni Romena, insieme alla Fondazione Giuseppe e Adele
Baracchi, raccoglie i frutti preziosi di questo percorso.
€ 10,00
ISBN 978-88-89669-26-6
A Romena e in tutte le librerie
Prossimi incontri
SABATO 18 OTTOBRE ore 16,30 castello di poppi
Giudicare nelle aule dei tribunali
nei cuori degli uomini
Pierluigi vigna - carol beebe tarantelli
SABATO 8 novembre ore 16,30 Pieve di Romena
Ritirarsi - ritrovarsi
Tito BARBINI - ELENA TUCCITTO - WOLFGANG FASSER
22
UNA NUOVA PUBBLICAZIONE
CharlesDe Foucauld
Un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare
Guardando le vostre immagini e ascoltando
le parole del mistico del deserto, cari
amici di Romena voi offrite un invito,
quello che viene dal deserto, illuminato
di quelle bellezze che appaiono nelle
vostre immagini. Non dovrebbero
stimolare unicamente un sentimento
estetico e soddisfare quel bisogno di
bellezza che è in ciascuno di noi, ma
un bisogno di silenzio che è l’unico
ambiente che può trasformare il
nostro cuore e creare relazioni
nuove fra noi e, grazie al quale,
le cose scoperte possono essere
messe al servizio della vita di
tutti i fratelli del mondo.
(dalla prefazione di Arturo Paoli)
€ 11,00
ISBN 978-88-89669-28-0
A Romena e in tutte le librerie
PAROLE E IMMAGINI
Charles De Foucauld vedeva il deserto, e nel deserto c’era Dio, vedeva i tuareg, e lì incontrava
Gesù, vedeva il silenzio, il vento e la luce, e di tutto questo era fatta la sua vita. Lasciarci
penetrare dalle sue parole, dai luoghi che ha amato, dai volti che lo hanno cambiato: è questo
il cammino che proviamo a compiere con queste immagini e le loro parole, le une e le altre
inscindibilmente insieme.
foto di Massimo Schiavo
23
LA NUOVA AGENDA 2009
È sempre bello veder nascere un libro, in questo caso un’agenda.
Gli amici di Romena hanno pensato di costruire per il 2009 un’agenda “al femminile”. E così alcune di noi hanno cominciato a leggere, leggere, leggere… per
raccogliere testi, scritti da donne, che accompagnassero lo sgranare dei giorni del
prossimo anno.
Ci siamo imbattute in testi meravigliosi, caratterizzati da uno stile squisitamente
femminile: la sensibilità, la concretezza, la passione, la tenerezza, la partecipazione al dolore di
tutte le creature e dell’intero universo, lo spirito
materno e di fraternità, la dolcezza, ma anche
la determinazione con cui venivano trattati
i diversi temi, ci hanno commosso profondamente e ci hanno spinto a continuare a
cercare. E penso che continueremo a farlo,
perché la rivelazione di “donne” a “donne”
ci ha fatto intuire, capire, comprendere
meglio lo sguardo femminile sul mistero.
Sguardo che sempre tocca e si rivolge ad
uno spazio più grande, forse più alto,
perché partorito dalla creatività e dalla
vita. Che ci comprende tutti.
Elena Berlanda
Con gli occhi delle donne
Quest’anno abbiamo deciso di scegliere gli interventi del mese e
il commento al Vangelo della domenica tra testi scritti da donne
24
Leggere la nostra storia, i
nostri sogni accompagnati
dalla ricerca femminile che
ci invita all’inquietudine e
ci spinge al cammino.
Essere terra d’accoglienza
Io chiamo «femminile» la qualità che la donna risveglia nel cuore dell’uomo. Chiamo
«femminile» il perdono delle offese, il gesto
di rimettere nel fodero la spada quando l’avversario è al suolo, l’emozione che si sente
ad inchinarsi.
«Al di là del bene e del male, c’è un prato dove
ti attendo». Questo verso di Rûmi è il loro
regno: uno spazio in cui esse credono, che
gestiscono, che inventano e che immergono
nella luce del loro amore; uno spazio al di là
del fatto di aver ragione o di aver torto, al
di là dei violenti strattonamenti a destra e a
manca, al di là delle rivendicazioni giustificate
o ingiustificate, al di là delle ferite terribili e
delle vendette, al di là della guerra e della pace
stesse. Uno spazio folle, uno spazio logicamente impossibile, politicamente scorretto,
razionalmente indifendibile, in cui i morti di
ogni sponda “terroristi e vittime, kamikaze
e passanti assassinati, combattenti e civili
uccisi” vengano a farsi cullare in silenzio. E da
questo spazio nasce un campo di coscienza
che si diffonde come un sottile profumo e
che nessun muro è in grado di fermare. Chi
lo inspira viene contaminato. «Al di là del bene
e del male, del vero e del falso, del giusto e
dell’ingiusto, c’è un prato dove ti aspetto».
Ecco il regno delle donne. Il femminile è
una vasca, un ricettacolo vuoto. Una terra
d’accoglienza.
Christiane Singer
Di cosa parlano le donne
quando parlano d’amore?
Del mistero della vita,
dell’ineluttabilità della morte.
Della paura.
Del sogno.
Dell’ingiustizia
e della bellezza.
Soprattutto di se stesse.
Perché noi donne
abbiamo conosciuto il mondo
attraverso l’amore.
Iaia Caputo
A Romena e in tutte le librerie
€ 14,00
ISBN 978-88-89669-27-3
25
LA NUOVA VEGLIA DI ROMENA
Abitare la Vita
35
incontri
nelle varie cittˆ
per ritrovarci
e continuare
il cammino
26
LE VEGLIA DI ROMENA
Rovereto
Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini
ore 21,00
Udine
Parrocchia di San Marco
ore 21,00
Padova
Parrocchia SS. Trinità - via Bernardi
ore 21,00
Brescia
Chiesa di San Cristo dei Padri Saveriani
ore 21,00
Bergamo
Chiesa dei Frati Cappuccini
ore 21,00
Milano
Parrocchia Beata Vergine - Lavanderie Segrate
ore 21,00
Catania
Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena
ore 20,30
TRAPANI - SALEMI
Chiesa Padri Cappuccini
ore 20,30
LAMEZIA TERME
Chiesa del Carmine - Sambiase
ore 20,30
ROSSANO CALABRO
Comunità Santa Maria delle Grazie
ore 20,30
Valdarno
Pieve di Cascia - Reggello
ore 21,00
Firenze
Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti
ore 21,00
14 Ottobre
15 Ottobre
16 Ottobre
21 Ottobre
22 Ottobre
23 Ottobre
10 Novembre
11 Novembre
12 Novembre
13 Novembre
26 Novembre
10 Dicembre
27
Ciao Luigi
Non dimenticheremo mai quell’ultima volta, due anni fa. Alla fine della messa ti avvicinasti all’altare e, in poche
parole, ci raccontasti della sfida per la vita che ti era toccata. Avevi un sorriso morbido, che catturava amore.
Spendesti lucenti parole, il resto lo dicesti cantando con la chitarra, nel modo che ti piaceva di più. Ma questo è
solo uno dei mille momenti con cui chi ti ha incontrato, ti tiene con sè. A Romena ti ascoltiamo sempre, la tua voce
è nelle canzoni che ci accompagnano, molte di queste le hai composte con tuo fratello Antonio. Già, Antonio.
Questa canzone, questa poesia Antonio l’ha scritta per te dopo che avevi imboccato il nuovo viaggio. La ascoltiamo
col cuore, abbracciandoti, abbracciandovi con tenerezza.
Fratellino
ra la pioggia scende
sulla terra fresca
della tua tomba
ti bagna come un grembo
come un pianto di mamma,
mamma piangendo
ti culla ancora un’altra volta.
Le lacrime e la luce fanno l’arcobaleno,
così ti dice Gigi,
e la polvere è aria che si solleva.
Noi di polvere tanta
ne abbiamo raccattata,
a volte anche i capelli
erano solo polvere
scompigliata,
e a forza di blue jeans
l’abbiamo consumata.
Fino agli occhi di polvere posata,
uno sguardo di cielo
28
dagli occhiali di un sole
a una frangia di luna
su una spalla di sera
quasi appena toccata.
E poi la notte ancora
a volte, disabitata.
Ora la pioggia scende
con morbidezza, e delicata
bagna la tua terra
bagna il tuo sonno,
che è diventato sempre più leggero.
Non smetterò mai di cantare con te.
Fratellino, fratellino mio
non ti avrei mai pensato in fondo a quella
terra,
né a fare questo viaggio,
tu da solo,
quando ogni volta ti accompagnavo io.
Antonio Salis
Festa d'Autunno
Domenica 19 Ottobre
Stiamo
lavorando
al
programma che scandirà i
momenti della giornata. Vi
invitiamo a consultare il
nostro sito, www.romena.it,
per conoscere gli incontri e
gli orari della festa.
Nuovi Corsi
12-13-14 dicembre
12-13-14 dicembre
I gesti
quotidiani
I profeti
ieri e oggi
con Maria Teresa Abignente
con Dino Liberatori
Nella semplicità dei piccoli gesti
ritrovare l’attenzione, la calma,
la cura che merita la vita: perché
è nella semplicità che avvengono i miracoli.
Sono la voce di Colui che non
ha voce: gridano la giustizia,
l’amore per la pace. Hanno occhi che guardano più dentro, oltre il visibile.
Iscrizioni dal 1 novembre
segreteria di Romena: 0575.582060
Iscrizioni dal 1 novembre
segreteria di Romena: 0575.582060
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GRAFFITI
scolto il telegiornale e lo sconforto mi
piega ad una triste riflessione.
È drammaticamente vero che qualsiasi
guerra, anche la più atroce, non insegna niente
all’uomo.
È vero, come dicono i “grandi”, che la vera
unica pace, sta e risiede nel cuore dell’uomo, ed
è partendo da lì, che l’uomo sempre e ovunque,
potrà chiamarsi tale. Credo però che lo scenario
sociale sia lontano, molto lontano da ciò.
Mi viene incontro un passo di “Desiderata”, che
cosi recita:
“Conserva l’interesse per il tuo lavoro, per quanto
umile, è ciò che realmente possiedi per cambiare
le sorti del tempo”.
La piccola goccia nell’oceano è l’amore che
ognuno di noi ha dentro di sé per quella scintilla
divina che tocca e ha toccato tutti noi. L’unico
vero momento a nostra disposizione è il presente,
ed è qui che vive tutto, in particolare la vita… che
non chiede mai perchè vive ma… vive.
Credo che siamo nati per amare, per imparare
ad amare, anche se le vie o le vite possono
essere tormentose e ingrate. Credo che chi è in
rapporto con questo sentimento di fondo sappia
che ogni cosa, ogni esperienza insegni veramente
qualcosa, l’importante è non giudicare e non
giudicarsi per rischiare di bloccare quel flusso
di energia pronto ad insegnarci che la vita è da
vivere, e “stranamente” ha sempre qualcosa da
dirti. Il futuro… il passato… è qui con noi, in
A
30
questo eterno presente, con le nostre piccole
“gocce” d’amore pronte a darci quel contenuto
tanto prezioso, chiamato… esperienza.
E sono certa che, anche questa non “razionalizza”
i passi compiuti, ma li vive si! li vive in un
incessante movimento dove l’unico rumore è
il nostro cuore che batte, aperto a nuova vita! Ora è già cosi… mentre scrivo si è affacciato un
nuovo giorno.
Paola
o un’immagine di madre che partorisce,
qualcuno viene chiamato alla vita,
accompagnato con amore o disperazione
verso un’inevitabile arrivo, la nascita.
Quante aspettative per un figlio chiamato al
futuro, al suo amore pensato, vissuto, sentito;
voglia di donare, di spandere energia pensando
a lui.
E il suo futuro si dipana, cresce, prende forma nei
fatti, nelle scelte, negli eventi imprevisti. Tanto
amore scorre, si intreccia con pazienza ed ansia,
chiede a volte conferme.
Chiamare al futuro qualcuno è un grande
impegno, come lo è stato essere stati chiamati
da qualcuno a suo tempo. In questa legge di vita
a doppio canale qualcosa accarezza l’orizzonte
come un vento d’amore più grande e ci chiede di
chiamarci al futuro. Il più grande gesto d’amore
H
è questo: essere capaci di chiamare noi stessi al
nostro futuro, vivere per fare il passo successivo ,
infondere coraggio al nostro gesto per quello che
verrà dopo, che troveremo strada facendo.
Nella scoperta di quello che accadrà, che
riusciremo ad accettare come fioritura dei semi
dell’oggi, vedo la meraviglia del divenire,
l’avventura di un chiamarsi al futuro seguendo
l’eco di noi stessi.
Giuliett a
ualche tempo fa una parente che non
vedevo da diversi anni, al mio invito di
incontrarci rispose: “per quale motivo?”.
Io le dissi, sempre per sms: “per vederci,
abbracciarci, ricordare”. Lei mi rispose: “vederci
e abbracciarci mi sta bene, ma ricordare
assolutamente no!” Li per lì pensai: “ma guarda
che str…” Poi invece le risposi: “Viva il presente
e il futuro!”. Così ci siamo incontrate ed è stato
bello! Questo mi ha fatto riflettere un bel po’ sul
richiamo del futuro, sulla mia vita trascorsa:
Q
gioie, dolori, sofferenze, prove, amore, difficoltà
di intesa, tristezza del non essere capita ed
ultimamente la scoperta che io non posso decidere
per situazioni che altri devono vivere e risolvere.
È così che oggi (ho 70 anni) il mio cuore e la mia
mente guardano oltre.
La vita, questo dono splendido ricevuto per
amore, è dentro di me e corre oltre, va avanti e
(pur non rinnegando niente di ciò che è stato,
chiedendo perdono per quanto ho sbagliato) mi
spinge verso un futuro che, breve o lungo che sia
sarà ancora pieno di bello, di amore, di tenerezza,
di gioia. Ultimamente ho tenuto la barca della mia
vita troppo ancorata ed è ora che molli gli ormeggi
e prenda il largo. Forse da qualche parte qualcuno
è in attesa e sarà felice di dire: “eccola, arriva!”.
Sono qui davanti ad un mare splendido dove i
colori si fondono. C’è addirittura un delfino,
al largo, che corre e salta nell’azzurro che si fa
verde… E mi sento serena… chiamata dal futuro,
piena di domande, con una voglia di “inventarmi”
di nuovo. O forse questo è un sogno di follia?!
Gioia
PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita
a Dicembre approfondirà il tema:
“Abitare la vita”.
Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine
ultimo: 20 Novembre 2008), preferibilmente
alla nostra e-mail: [email protected]
UN CONTRIBUTO: se volete darci una
mano a realizzare il giornalino e a sostenere
le spese potete inoltrare il vostro contributo
sul c.c.p allegato.
CASSA COMUNE: è composta dai vostri
c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e
ampliarne la diffusione (in carceri, istituti,
associazioni, gruppi, ecc.)
PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui
non è arrivato il giornale o ha cambiato
indirizzo, o se desideri farlo avere a qualche
altra persona, informaci.
SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai
corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica
quando vuoi.
Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.
31
Foto di Massimo Schiavo
N on voleva saperne di edifici,
la divinità era nomade
e nomade è restata.
Erri De Luca
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