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2015/2-Lo sguardo dei giovani
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XIX n° 2 / 2015 Lo Sguardo Giovani dei 1 SOMMARIO 3 Primapagina Cominciate dalla libertà 8 Quel cantiere di energie e di speranze Cari genitori,non arrendetevi mai” 12 Una nuova forza generatrice Ragazzi,voi siete le frecce dell’arco di Dio 18 Dobbiamo educarli alla tenerezza I miei ragazzi mi insegnano 22 Quello sguardo bambino che resiste al tempo Viaggiare, Sognare, Innamorarsi 26 Nuovo libro “La chiesa della tenerezza” Romena Incontri “Dio è un bacio” 30 “Uomo dove sei?” Annunci vari trimestrale Anno XIX - Numero 2 - Giugno 2015 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - [email protected] Il giornalino è anche online su www.romena.it DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Raffaele Quadri, Massimo Schiavo FOTO: Maurizio Carlino, Raffaele Quadri, Stefano Corso, R.Amal Serena, Marina del Castell, Elisa Greco, Federica Marchi, amira_a. COPERTINA: Massimo Schiavo HANNO COLLABORATO: Luigi Verdi, Maria Teresa Abignente, Diana Quadri, Pier Luigi Ricci, Tamara Taiti Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 5 10 14 20 24 28 31 Ai giovani Ci credo in voi e non per partito preso, ma perché voi avete un valore inespugnabile: siete nuovi. Portate dentro un frammento di nuovo che può contenere tutto, incluso un mondo migliore. Perciò, se può esservi utile guardarvi indietro, ricordatevi però che la vostra forza è originata da ciò che vi aspetta all’orizzonte. Siete chiamati dal futuro. Siete il segno del futuro. L’altro giorno ci ha lasciato un anziano saggio del mio paese, Renzo. Mi è venuto in mente l’atteggiamento che lui, padre di quattro figli, miei amici, aveva verso noi, all’epoca ragazzi: ci guardava con uno sguardo amoroso, con una fiducia incrollabile. La sua era una generazione cresciuta durante la guerra, lui conosceva bene il peso della fatica e il valore del pane. Eppure era certo delle nostre potenzialità, ne era certo anche quando i nostri slanci giravano a vuoto, quando bastava una piccola delusione d’amore a metterci al tappeto. Quella benevolenza dava luce ai nostri pallidi tentativi e ci rendeva liberi. Beninteso, non era un credito concesso alla cieca: alle spalle c’era una testimonianza di vita forte, sicura. Il messaggio di vita coerente e la fiducia che ne derivava stavano insieme, come una cosa sola. Negli ultimi tempi, insieme a don Luigi, mi è capitato spesso di parlare con voi negli incontri che scuole e gruppi ci propongono per confrontarci, attraverso l’esperienza di Romena, su ciò che vi preme di più: speranze, amicizie, sogni, valori, sentimenti. Credetemi: per un adulto non c’è niente di più stimolante che cercare di gettare un seme in un campo che ha la possibilità di farlo germogliare. Ma quello che mi piace è anche riassaporare, grazie a voi, quella fase della vita in cui siamo nulla e possiamo essere tutto. Una fase nella quale, come dice lo scrittore Marco Lodoli, si può imparare a vivere nel modo che sarà sempre quello più giusto, e cioè con l’atteggiamento del principiante: un principiante, infatti, guarda la vita con attenzione e meraviglia, e compensa l’inesperienza con l’entusiasmo. So che sul vostro cielo si addensano premature preoccupazioni. Le prospettive generali non sono allettanti, non c’è lavoro, qualcuno vi invita a disinnescare i vostri sogni. A me non piace questo realismo, mi preoccupa chi getta acqua gelida sulla naturalità del vostro fuoco. Scrive Stefano Benni: “Se i tempi non chiedono la tua parte migliore, inventa altri tempi”. Ecco, questo potete fare, questo mi auguro che facciate: non accettare compromessi con un tempo che non vi piace e pensare invece ad inventarne uno che sia in linea con le vostre speranze. Sognate tempi migliori, ragazzi, sognateli così forte da farli arrivare. E introducete nella vita di tutti l’ingrediente che cambia il mondo, quello di cui siete i primi depositari: la parola ‘cominciare’. Massimo Orlandi PRIMAPAGINA Ragazzi, io credo in voi. Non è molto, me ne rendo conto. Ma partiamo da qui. Verso di voi c’è infatti un pregiudizio diffuso. Sembrate candidati a spingere il mondo su quell’asse di declino nel quale si è da qualche tempo indirizzato. Come potreste invertire la rotta con la vostra fragilità, con il rapporto quasi ossessivo che avete col mondo virtuale? Ma io ci credo lo stesso. Ci credo perché i difetti che avete non sono vostri. Ve li abbiamo inoculati noi. Siete stati destinatari di un consumismo compulsivo, disorientati dalla confusione interiore dei vostri adulti di riferimento. Facile, in queste condizioni, profetizzare fallimenti. È precario il mio cuore e il mio carattere, sono come le mie scarpe allacciate di corsa o come i miei capelli dove dimorano i venti. Scrivo e riscrivo il mio nome su un foglio per lasciare una traccia e nel nome il mio segreto. Cammino per la strada, con in spalla il mio sacco di speranze. Vi prego, non mi distruggete il domani che è un orizzonte di attese.* * Luigi Verdi, “Dio guarda il cuore - Edizioni Romena 2013 4 Cominciate dalla libertà Foto di Stefano Corso di Luigi Verdi Un estratto dai colloqui che il nostro don Luigi tiene spesso con i giovani, analizzando con loro ciò che frena le loro vite. E ciò che può farle riaprire. Quando mi rivolgo ai giovani, più che partire dai grandi temi come l’amore, la giustizia, la fedeltà, io cerco di confrontarmi con loro su ciò che siamo, su come stiamo vivendo e su ciò che, secondo me, in questo tempo ingabbia l’esistenza dei nostri ragazzi. Oggi viviamo in un tempo in cui siamo tutti più soli e muti nel dolore: se domando a un ragazzo “Di cosa hai paura?” scavando in fondo scopro che la paura più grande è sempre quella della solitudine. La solitudine, il peggiore di tutti i mali. Adamo è in paradiso eppure è incomprensibilmente triste: gli manca Eva, il suo faccia a faccia. E muti nel dolore significa che troppi giovani non riescono più a esprimerlo questo dolore, che viene nascosto e pigiato dentro, fino a scoppiare. Questo è un male tipico del nostro tempo, della nostra società: quando non esistevano i televisori, i computer o i telefonini, c’era un focola- re, una tavola intorno alla quale ci si guardava negli occhi. Oggi, invece, nelle nostre case giochiamo a nascondino, nessuno sa niente dell’altro ed è difficile capire quale e quanto dolore stia vivendo l’altro, cosa si nasconde nel suo cuore. Siamo tutti più soli e muti nel dolore. Ma questo è un tempo che ha ucciso anche la responsabilità: non abbiamo il coraggio di assumerci le nostre responsabilità, la colpa è sempre di qualcun altro, o di qualcos’altro. Mi domando, come si matura senza assumersi le proprie responsabilità? Per essere responsabile devo essere consapevole e questo significa che la vita la tocco, la sento, l’avverto scorrere nelle mie vene. Oggi invece è tutto virtuale, cioè il virtuale è preponderante rispetto alla vera vita e pretendiamo tutto subito, immediatamente, senza concederci il tempo di capire e di assimilare. 5 I nostri ritmi sono folli: noi non siamo fatti per vivere questi ritmi frenetici, non siamo strutturati per questo, non si può vivere con una folla di messaggini, voci continue nelle orecchie e troppe cose da fare simultaneamente: questi ritmi esasperati separano la mente dal corpo e dall’anima e lo sperimentiamo ogni giorno quanto ci sentiamo scissi, dissociati, a pezzi. Alla sera, quando si rientra nelle nostre case, dove siamo? e come facciamo a capire quel che l’altro sta attraversando? Baudelaire diceva “il ritmo di una città è più veloce del ritmo del cuore dell’uomo”: se il ritmo che vivi è più veloce del tuo cuore ci si ammala, non si riesce ad andare avanti. E soprattutto questi ritmi forsennati uccidono la percezione: come si riesce a vedere davvero, a sentire, ad accorgersi di quel che l’altro sta vivendo se non si sente più nulla? I ragazzi oggi sono come rimbambiti perché tante cose distraggono e distolgono l’attenzione: non si può essere presenti a sé stessi se la nostra attenzione viene continuamente deviata. La società, la nostra società, quella che noi stiamo consegnando ai giovani, non fa altro che suscitare bisogni e desideri, ma non si può vivere solo di bisogni, è necessario che un sogno, almeno un sogno diventi vita e per diventare vita lo devo toccare questo sogno e devo sudare. Abbiamo dei sogni scollegati con la vita e come farli abbracciare insieme se non abbassiamo un po’ il sogno e innalziamo un po’ la vita? Certo questo implica sforzo, questo chiede di graffiarsi le mani e rompersi la schiena, ma senza sforzo i sogni non si rea- 6 lizzano. Il problema vero è che la nostra volontà è debole: al paralitico che gli chiede di guarire, Gesù domanda:” Vuoi guarire?” Cioè lo vuoi davvero, veramente, con tutto te stesso? Genitori, insegnanti, adulti, tutti tendono a confezionare risposte, a dare ricette pronte per la vita: dovremmo invece suscitare nel cuore dei giovani le domande e abitare i loro interrogativi, i loro tormenti. Pensiamo di risolvere tutto con l’amore, ma l’amore in qualche caso non basta; se sommergiamo di amore un figlio, se gli appianiamo ogni difficoltà, se gli procuriamo scorciatoie per facilitargli la strada, così facendo non lo aiutiamo, lo facciamo solo accomodare nella vita, gli facciamo credere che la vita va avanti senza sforzi, senza dolore e lo priviamo della gioia della conquista. Sarebbe bello nelle nostre case sentirci davvero a casa: sentirci cioè in un luogo in cui se qualcuno mi guarda mi guarda davvero, in cui c’è qualcuno che mi ascolta davvero, un luogo in cui se faccio una stupidaggine trovo qualcuno che mi perdona davvero. È tempo di ricominciare e si ricomincia sempre da dove ci siamo arrestati e fermati, da dove siamo rimasti incagliati. Bisogna ricominciare proprio dalla libertà perché, per quanto noi ci crediamo liberi, siamo invece la generazione più schiava della storia: prima almeno le catene si vedevano, erano concrete, ora siamo legati da catene invisibili e dipendiamo da mille cose nascoste. Nell’antico testamento se Dio si arrabbia sempre tan- Foto di R.Amal Serena to con gli idoli è perché l’idolo è colui che ti compra. Dio ci vuole liberi. Solo Gesù non si è fatto comprare nessuno, né dai soldi, né dal potere, né dall’ambizione e neanche dalle emozioni. Ma i giovani come fanno a seguire noi adulti? Noi che ci siamo fatti comprare da soldi, potere, ambizioni, emozioni? I giovani sono ora come in un limbo, non vogliono vivere come noi, perché avvertono che la nostra vita è falsa e avvelenata, ma non hanno la forza di trovare un altro modo di vivere e sono lì fermi ad aspettare che qualcosa succeda, che qualcuno si ribelli. Mi piacerebbe vedere i loro occhi liberi dalle paure, pieni della luce che brilla quando si è innamorati, quando si prova stupore e batticuore per qualcosa. Quando si osa sfidare, in nome del brivido che dà una passione, le convenzioni, le forme ristrette e soffocanti dei luoghi comuni, le false sicurezze imposte dal consumismo. Bisogna ricominciare dalla forza della debo- lezza: tutti noi, ma soprattutto i giovani hanno paura dei propri punti deboli e li nascondono e più si nascondono più si diventa deboli e vulnerabili. Invece la pietra scartata è diventata quella d’angolo e questo vuol dire che i nostri punti deboli sono in realtà i nostri punti di forza; certo ci vuole fatica per trasformarli e ci vuole coraggio e soprattutto ci vuole una passione forte e vera, un sogno. Un sogno sognato ad occhi bene aperti, desiderato con la calma e la pazienza di chi sa resistere alle voci delle mille sirene che cantano; un sogno costruito con la tenacia e la gioia di chi sa impastare rischi e pericoli all’istinto e all’impeto del cuore. Un sogno anche piccolo, ma duraturo e vivo. Ai giovani, a chi sta iniziando la sua vita con brividi di paura e slanci di entusiasmi, auguro il coraggio della creatività, della fantasia, del gioco, auguro l’audacia della passione e la tenerezza dell’amore. 7 Quel cantiere di energie e di speranze di Pier Luigi Ricci Come intercettare quella generazione che è forza viva del nostro presente? Pier Luigi Ricci ci propone due idee per entrare in sintonia con i giovani, in modo da riuscire a capirli, ma anche da lasciare libera la loro capacità di creare e innovare… Il pediatra e psicoanalista inglese Winnicott diceva: “Il mondo andrà avanti finché ci sarà un adolescente a metterlo in crisi.” Mi è sempre piaciuta questa frase perché in un attimo infatti sposta l’accento da quello che noi possiamo dare ed insegnare ai nostri giovani dietro l’idea che essi siano il nostro futuro, a tutto ciò che noi possiamo prendere da loro e costruire insieme a loro, in quanto essi rappresentano il nostro presente. Ogni giovane infatti racchiude e rappresenta un universo in movimento, un bagaglio di risorse, un cantiere di energie e di speranze. E questo è vero anche quando ci provoca, anche quando non si riesce immediatamente a capire o a condividere ciò che pensa e ciò che fa. Winnicott prosegue: “Dove c’è un ragazzo che lancia la sua sfida per crescere, là deve esserci un adulto pronto a raccoglierla. Non sarà sempre un cosa piacevole. Ma a livello profondo, nella fantasia inconscia, si tratta di una questione di vita o di morte per l’adolescente… e poi forse anche per quell’adulto.” Il mondo degli adulti muore fintanto che si rigira su se stesso. E fino a che continua a pensare di aver solo cose da insegnare ai ragazzi. Pensare che i giovani siano il nostro presente significa potersi mettere nella condizione di raccogliere quelle sfide e di percepirsi in cammino insieme a loro e in questo tragitto rivedere le nostre visioni, rinfrescare i nostri sogni, imparare i nostri significati. Ma perché tutto ciò non sembri e non rimanga teoria vorrei sottolineare due cose. La prima è l’importanza della relazione. C’è relazione solo quando due soggetti, uno di fronte all’altro si percepiscono alla pari, con uguale dignità. E quando si può riconoscere che l’altro di fronte rappresenta un’ opportunità, un dono. Anche se ti mette in crisi. Anzi proprio perché ti mette in crisi. In quel momento entra in relazione solo chi pensa 8 di sfruttare l’occasione e di prendere qualcosa di utile per sé e non chi pensa di essere lì unicamente per convincere e per controllare il conflitto. Se in una relazione, forse per chiudere alla svelta la tensione, ti capita di usare troppo spesso il ruolo, hai perso, sei fuori dalla relazione. Il ruolo chiude il rapporto e va usato solo quando tensione ed ansia hanno raggiunto dei livelli troppo alti. Credo che su questo punto ancora abbiamo tanto da camminare. La seconda idea che vorrei proporre è quella della “scatola vuota”. L’ho imparata da ragazzo dal mio vecchio parroco che ogni tanto, facendo finta di non aver idee pronte e brillanti ci diceva: “Ragazzi queste mie stanze sono per voi, sono vostre. Io ci metto queste, un po’ di soldi se vi servono. E chiamatemi se avete bisogno….” Così, dopo i primi tentennamenti partimmo noi. “Sennò lui, si diceva, è uno che non fa niente.” E noi invece inventammo un sacco di cose. E siccome erano nostre quelle idee, non si poteva neanche contrastarle. La regola della “scatola vuota” è bellissima. L’ho sempre usata, imparando a metter su quella faccia da tonto, che poi non è cosa così difficile e poi aspettando. E i miei centri hanno sempre funzionato. Poi col tempo si cresce ed ho capito anche che non era tanto una cosa tecnica, ma che poteva diventare uno stile di rapporto e uno stile educativo. E dico spesso agli educatori, ai genitori e a me stesso che non si tratta di “far da tonti”, ma di essere semplicemente se stessi. Tanto ci sono delle giornate che lo siamo. Ed invece di fingere è molto meglio dire: “non so …. tu che ne pensi?” La presenza dei nostri giovani con noi non ci chiede scaltrezza e bravura, ma di essere veri. E se accettiamo questa sfida davvero potremo crescere insieme. Foto di Raffaele Quadri D a ogni parte vi si cerca e vi si chiama con lusinghe e promesse. Avete il dovere di porvi una domanda: perché e per chi vivere e morire ? Giovanni Vannucci “Cari genitori, non arrendetevi mai” Abbiamo chiesto a una ragazza ventenne di raccontarsi, di svelare dal ‘di dentro’ ciò che sentono e pensano i giovani. Diana Quadri ci propone la sua esperienza personale, ma i suoi pensieri riguardano tutta la sua generazione… Cari genitori, ho appena terminato il mio primo anno di Università, è stato intenso, pieno di cose nuove, di ambizioni soprattutto. Credevo che fin dal primo giorno mi sarei sentita diversa, più grande. Ricordo che ogni mattina mi svegliavo e specchiandomi spesso mi piacevo, mi vedevo più matura e saggia. Riuscivo a collocarmi bene tra gli altri studenti, perché ero più sicura di me, pensavo che finalmente fosse arrivato il mio momento di crescere. Mi sentivo bene. Lusingata dagli sguardi dei ragazzi che mi notavano, e li sostenevo senza vergogna o sforzi esagerati. Sorridevo per niente, mi guardavo attorno curiosa e rimanevo appagata da quello che mi circondava. Credevo di essere ormai una donna, solare, forte e indipendente. Alla fine della giornata facevo un riepilogo degli eventi accaduti, delle nuove conquiste ed esperienze riempiendomi di autostima. Ricordo la 10 mia contentezza nel vedermi così cambiata, sentivo una forza d’animo nuova impadronirsi delle mie gambe, che mi spostavano in direzioni che prima mi terrorizzavano. Ero contenta e sicura, ma anche sola. Ero così eccitata da tutti i successi, le nuove amicizie, gli scambi di sguardi con ragazzi, sentirmi rispettata, bella e universitaria, ma ancora non riuscivo ad accontentarmi. Smaniavo per attenzioni, ero alla costante ricerca di qualcosa, in ogni momento il mio sguardo vagava ignorando chi avevo di fronte. Quello che mi sembrava entusiasmo ed energia nuova, si trasformò in nervosismo e continua agitazione, non riuscivo più a farmi bastare la quotidianità. Ogni cosa che facevo mi sembrava uno spreco di tempo. Allora facevo tutto quello che era necessario per dare una certa immagine di me, ma non ero sincera, avevo fretta di sembrare chi non ero, un’adulta. In tutta la mia frenesia e il mio bisogno di vedermi grande, non vivevo più l’università come ciò che dovrebbe essere, un luogo per crescere sì, ma riempiendosi piano piano, allungandosi un centimetro alla volta, mentre io volevo già alzarmi di un metro. Così ho iniziato a notare solo i miei insuccessi, la mia delusione per non riuscire a essere ciò che volevo era tale, che il mio corpo, prima snello e seducente iniziò a ingrossarsi. Non riuscendo più a riempirmi di attenzioni e autostima, avevo trovato rimedio nel cibo, ma anche questo era un appagamento momentaneo. Il non rispecchiarmi più in quell’ideale che pensavo di aver raggiunto mi demolì, e mi fece riflettere. Non ero ancora adulta, ma attorno a me non ero l’unica, tutti quelli che mi sembravano così seri e maturi, tutti quegli universitari che prima ammiravo e rispettavo con leggero timore, non erano pronti neanche loro. Forse proprio come me anche loro avevano fretta di diventare grandi, ma osservandoli bene erano in cammino verso la meta, ma non l’avevano ancora raggiunta. Con questa consapevolezza, mi sono resa conto che è inutile spingere il naso troppo avanti, ho iniziato a muovermi a ritmo del respiro, rilassandomi, senza impormi subito di raggiungere obiettivi ancora lontani. Essere semplice e paziente, riuscire ad adeguarmi al ritmo della vita è difficile. Così ho iniziato a conoscermi, o meglio a riconoscermi per chi ero e mi piacevo comunque. Sentivo che la mia voglia di crescere si era placata, ma un’altra forza dentro di me continuava a vigilarmi autoritaria, tenendo in serbo grandi progetti, ma non immediati, raggiunti con il giusto tempo. Lentamente sono riuscita a lasciarmi andare, anche con gli altri, a farmi conoscere senza inganni essendo sincera fin da subito. Ho ripreso a prendermi cura di me e di chi mi circondava, dalla famiglia, che avevo trascurato, fino ai miei vecchi amici. Con questa spontaneità ho scoperto le mie vere emozioni, all’interno di relazioni sincere, e non quelle che volevo impormi. In particolare con l’altro ses- so, ho abbandonato le mie strategie seduttive optando per un approccio spontaneo, meritandomi finalmente una relazione vera ed ora mi riempio d’amore. In sintesi volevo ringraziarvi per quanto mi avete insegnato, educare i propri figli è un compito importante e rischioso e scegliere come farlo ancora di più, ma vi chiedo di non arrendervi, di continuare a insegnarmi senza dare per scontato che “tanto ci pensa la scuola”, l’università ha il compito d’istruirmi, ma siete voi, i miei genitori, che m’insegnate a vivere. Vorrei conoscere altri valori e avere voi come maestri, non tanto quanto compagni. Vorrei vedervi generosi, onesti e sinceri. Vorrei guardarvi accontentare di ciò che avete senza pretendere sempre il massimo, godere del “qui e ora”, senza attendere sempre che succeda qualcosa di straordinario. Vorrei che mi parlaste dell’amore senza vergogna, perché non c’è pudore nello spirito innamorato. Vorrei scoprirvi sereni nella solitudine e nel non fare niente, senza preoccuparvi di sprecare tempo, essere inutili o improduttivi. Vorrei sapere che sognate ancora in grande senza paura di non vedere realizzare i vostri desideri. Vorrei sentirvi ringraziare ed essere riconoscenti, perché la vita è una cosa per cui si dovrebbe dire grazie ogni giorno. Vorrei che faceste tutto questo perché io possa prendervi ad esempio nel mio diventare grande, in questo momento sto ancora camminando su un filo, teso tra passato e futuro, avanzo con un passo alla volta, con paura ma anche tenacia. Sono in bilico tra partenza e destinazione e se questo percorso dovrà durare tutta la vita, non mi preoccuperò, perché adulti non si diventa con l’età, io ne ho venti di anni, ma sono sempre più sicura che sia solo un numero convenzionale. È nell’agire e nel pensare che si distinguono un uomo e una donna. Io vi chiedo di darmi un esempio da imitare e un modello da ammirare. Perché “essere adulti” e non “fare gli adulti” è un orizzonte da conquistare, non da aspettare. Diana Quadri 11 Una nuova forza generatrice* di Luigi Ciotti Bisogna smettere di preoccuparsi dei giovani, e invece occuparsi di loro. Don Ciotti chiede agli adulti di abbandonare clichet ed etichette e di accompagnare e appassionare i giovani, invece che pensare a definirne disagi e bisogni. Mentre sono qui a parlare ci sono seimila giovani che hanno scelto di trascorrere le loro vacanze andando a lavorare sui terreni confiscati alle mafie. Sono seimila, ma se avessimo avuto quindicimila posti sarebbero stati quindicimila. La verità è che sono meravigliosi, i giovani, meravigliosi! Me ne accorgo stando in mezzo a loro tutti i giorni, dalla Sicilia alla Lombardia. È la mia vita stare in mezzo ai ragazzi. E stando ogni giorno con loro ho capito questa cosa: che è l’ora di smettere di dedicare iniziative, convegni, discussioni al disagio giovanile, perché c’è il rischio che noi adulti continuiamo a chiudere il mondo giovanile dentro questa etichetta. Se c’è una realtà che oggi in Italia è a disagio è il mondo degli adulti. Anche il mondo giovanile vive i suoi disagi, sia ben chiaro, ma ancora più gravi sono quelli che viviamo noi, siamo noi i responsabili di una società che ha messo ai primi posti l’immagine, l’apparire, il potere, il successo, la prestazione. Al massimo i giovani imitano i modelli che la nostra generazione ha costruito. Quindi il primo passaggio riguarda noi, non i giovani. Quello che serve non sono adulti ‘impeccabili’, ma veri, carichi di passione, di autenticità, capaci di testimoniare con l’esempio, direttamente, e non a parole, i 12 valori. I giovani ci sono sempre quando trovano punti di riferimento coerenti, credibili. Che cosa è importante dare ai giovani? Relazione e ascolto. Quando gliele dai rispondono sempre con grande entusiasmo. I giovani non hanno bisogno di qualcuno che dica loro che cosa fare, ma che faccia insieme a loro e poi, al momento buono, si metta in disparte, per lasciare che imparino a camminare con le loro gambe, nella libertà e nella responsabilità. Allora ci deve essere innanzitutto più umiltà e coerenza da parte del mondo adulto, e la consapevolezza che invece di preoccuparsi dei giovani, bisogna occuparsene di più, non calando lezioni dall’alto, ma costruendo insieme, ascoltando, accompagnando, creando le occasioni e le opportunità di protagonismo. Io noto che quando si offrono questi spazi, queste opportunità, i giovani, o almeno la stragrande maggioranza, hanno voglia di mettersi in gioco. E allora questa è la sfida: smetterla di dire ai giovani “voi siete il nostro futuro” per demandare tutto a loro e rimandarlo in un indefinito domani. No, il futuro comincia oggi! Oggi dobbiamo cominciare a costruire insieme, giovani e adulti, una nuova forza generatrice. * Testo tratto dal libro “Il morso del più – incontri con don Luigi Ciotti, di Massimo Orlandi, Edizioni Romena, 2013. Foto di Elisa Greco Cari ragazzi, riempite la vita di vita, impegnate la vostra libertà per chi libero non è. Siate la coscienza critica del mondo. Siate sovversivi.” Luigi Ciotti 13 “Ragazzi, voi siete le frecce dell’arco di Dio”* di Ermes Ronchi Davanti a un pubblico di giovani, padre Ermes trova le parole più belle e appassionate per invitarli al viaggio nella vita. Un percorso di cui riprendiamo due passaggi: l’invito a “venerare il positivo che è in ciascuno”, e l’appello a fidarsi del futuro In questo incontro con voi vorrei mantenere sullo sfondo la parabola della zizzania e del buon grano. Questa parabola mi ha cambiato la fede e la vita. Avvenne in un lontano corso di esercizi spirituali al liceo tenuto da uno dei grandi mistici del Novecento, Giovanni Vannucci. Il messaggio finale che ci trasmise era questo: venerate il positivo che è in voi, venerate tutti i germi divini seminati in voi, fate che erompano in tutta la loro potenza, bellezza, energia, e vedrete le tenebre scomparire e la zizzania soffocare, senza più terreno, senza più respiro. Padre Giovanni ci spiegava che lo sguardo di Dio si posa sul buon grano, che per il padrone del campo una spiga di buon grano vale più di tutta l’erba cattiva. Così Dio ci dice “non strappate la zizzania”, perché rischiate di strapparmi le spighe: la fede cristiana non deve quindi essere centrata sul paradigma del peccato, ma sul paradigma della pienezza e della fecondità. All’epoca noi in seminario facevamo l’esame di coscienza tutte le sere; e padre Vannucci ci diceva: il vero esame di coscienza non è quello negativo dei difetti e delle colpe, ma quello positivo, La domanda da farsi non è cosa ho fatto di male, ma cosa ho fatto di bene: ho dato qualcosa alla vita, ho coltivato il mio campo di grano, i germi di luce che la mano di Dio ha seminato in me? Di qui la domanda: chi sono io per Dio? Io non sono la zizzania del mio campo, ma il mio buon grano. Io non sono i miei limiti, ma le mie maturazioni, non i miei difetti, ma le mie potenzialità, i miei talenti, le mie risorse e nessuno ne è privo perché la mano di Dio non è la mano di un cadavere, ma di un vivente. 14 Secondo passo. Noi camminiamo nella vita chiamati dal domani. Per capire meglio mi appoggio al primo libro della Bibbia: Dio creò l’uomo e lo pose in un giardino perché lo coltivasse e lo custodisse. Il giardino dell’Eden è dentro ciascuno di noi, non è nostalgia ma progetto, non è nel passato, ma nel futuro. E mettere l’uomo nel giardino significa offrirgli le migliori possibilità. E in questo spazio il primo verbo che Dio impiega nel dialogo con l’uomo è: “voi potete”. E il primo verbo che Eva utilizza nel suo dialogo con il serpente è “Noi possiamo mangiare”. La Bibbia ci ricorda con il primo verbo, “tu puoi”, che il senso della vita è una potenzialità, è uno sviluppo, un crescere. Invece il serpente usa come primo verbo “è vero che non dovete mangiare” e presenta il rapporto con la vita come una trappola di divieti. Dio e l’uomo impiegano come primo verbo quello che indica un sì alla vita, il nemico usa quello del divieto, un no alla vita. L’uomo è figlio di una addizione, non di una sottrazione, “voi potete”, certo c’è anche la proibizione, il divieto è importante, ma è secondario, è nella proporzione di uno a mille. Ciò che Dio dice con il primo verbo sono le parole che rivelano ciò che è l’amore vero: il solo amore vero è quello che ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare. L’amore di Dio non trattiene, tende i suoi figli come frecce al suo arco e li invia verso il domani, inviati, ‘apostoli’, cioè frecce all’arco di dio. E qui intravedo già una parte della mia identità: noi siamo al mondo non come esecutori di ordini, ma come inventori di strade. *Testo liberamente tratto dall’incontro sull’identità dei giovani, tenuto nella basilica di san Nicolò (Milano), nel gennaio 2014. Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta. Foto di Marina del Castell Jim morrison 15 Foto di Elisa Greco Disperazione, Amore, Gioia. 16 Chi ha queste tre rose dentro il cuore ha la giovinezza in sé, per sé. Christian Bobin 17 “Dobbiamo educarli alla tenerezza” di Achille Rossi* Il senso di che il mondo virtuale sa riempire solo in apparenza costituisce la trappola più pericolosa per i nostri ragazzi. Per evitarla don Achille Rossi, una vita dedicata ai giovani, invita ogni educatore, ciascun adulto, a ripartire dalle relazioni e dall’affettività Ho l’impressione che i giovani di oggi siano stati defraudati dei sogni. I ragazzi non sognano più perché non vengono dette parole che animino l’esistenza. È come se fossero condannati a vivere di niente e nessuno li avesse aiutati a costruire una base solida per il viaggio della vita. Di fronte a questa situazione diventa ancora più urgente chiedersi cosa significhi educare. In sostanza l’impegno educativo non può che svilupparsi attorno alle relazioni umane. Il vero bagaglio che resiste all’urto della vita si costruisce nella scoperta di un senso. Il senso libera dal vuoto e dal nulla che assedia l’esistenza umana. Oserei dire che il nichilismo vissuto oggi dai giovani ha una tonalità affettiva più che intellettuale e ruota attorno alla convinzione che non ci sia nulla per cui valga la pena di spendersi e appassionarsi. La solitudine crescente delle giovani generazioni può essere guarita solo lasciandosi coinvolgere in una relazione reale, che significa ascolto, condivisione di esperienza, cammino fatto insieme. I ragazzi hanno bisogno di essere pensati, portati nel cuore. Questa silenziosa relazione dà vita a una corrente affettiva che libera dalla solitudine e fa fiorire l’esistenza umana come una continua nascita. In un mondo travagliato dalla violenza uno dei compiti fondamentali di chi ha la responsabilità dei giovani è di educarli alla tenerezza. Non si tratta di fare l’apologia del buonismo o della passività, ma di essere convinti che la tenerezza è il vero principio di realtà che si oppone alla violenza. La violenza, in fondo, nasce dalla paura di vivere; la tenerezza, invece, custodisce la vita e la ripara. Questa educazione alla tenerezza ha riflessi sul piano sociale e politico e porta immediatamente ad appassionarsi agli ultimi, perché rende sensibili al dolore altri. Vorrei richiamare gli adulti a una evidenza solare: non si educa con quello che si dice, ma con quello che si è. Per aiutare i giovani a non soffocare nelle spire della società degli adulti, c’è bisogno di adulti che sappiano guardare oltre l’esistente e additare i sentieri dell’impossibile. I giovani seguiranno, come dimostra la storia di sempre. Dobbiamo cominciare a vederli i giovani, perché la società sembra che non se ne occupi affatto. Eppure sono la parte più debole della popolazione: hanno un lavoro precario, una sicurezza sociale pari a zero, un futuro certo di povertà, quando verrà a mancare il supporto dei genitori. I giovani interessano solo come consumatori. Vederli significa porsi il problema del loro futuro, cercare soluzioni possibili alla loro mancanza di lavoro, stimolare la politica a farsi carico del loro avvenire. Se una comunità non riesce ad ascoltarli si interrompe il filo che lega le varie generazioni e l’esito finale è che i giovani si smarriscono perché portano un bagaglio troppo leggero e gli adulti intristiscono perché constatano il fallimento dei loro ideali. Forse è il caso di ricordare al mondo adulto che per educare occorre entusiasmo, che non è l’euforia sentimentale, breve e passeggera, ma la consapevolezza della presenza del divino, come ricorda l’etimologia stessa della parola: en Thus (da Thoes) in Dio. C’è un proverbio sufi che sintetizza alla perfezione la qualità di un educatore: “Cosa fa di un uomo un genio? La capacità di riconoscere. Riconoscere che cosa? Una farfalla in un bruco, l’aquila in un uovo, il santo in un essere umano egoista”. *Don Achille conduce a Città di Castello (PG) un singolare esperimento educativo, un doposcuola che dura da oltre 40 anni. I passaggi di questo intervento sono tratti dal libro “L’educazione nel tessuto delle relazioni”, L’altrapagina 2014, che sintetizza questo suo cammino da educatore. 18 Vi auguro la cosa di cui avete maggiormente bisogno. L’innamoramento più vero, più vivo, più forte. Foto di Federica Marchi Tonino Bello I miei ragazzi mi insegnano di Tamara Taiti* Dalla cattedra un insegnante offre il suo sapere. Ma, se ha cuore aperto, riceve molto di più: per esempio la possibilità di veder nascere, in ogni bruco, la farfalla che è in lui. Ho il privilegio di fare un lavoro meraviglioso: tutte le mattine mi alzo e vado verso un nuovo giorno nel quale incontro decine e decine di giovani ai quali devo “insegnare”, trasmettere un sapere, una conoscenza, letteralmente “lasciare un segno”, e che mi portano nel loro mondo fatto di speranze, insicurezze, sogni, difficoltà mentre io cerco di “educare” e cioè “tirare fuori” la loro parte più autentica, più vera e di accompagnarli in un cammino di crescita e di scoperta. Non è un processo neutro. In questo percorso la relazione è alla base di tutto e devi essere disposto ogni volta a mettere in discussione le tue certezze, a cambiare i tuoi piani e le tue previsioni. Se devo essere sincera ho un debole per i ragazzi “difficili”, quelli ai quali non piace studiare, che hanno perso la fiducia nella scuola e che non sanno cosa fare della propria vita. Quelli che quando entri in classe per la prima volta ti provocano subito per vedere di che stoffa sei fatta e per mettere subito in chiaro che loro sono fuori dagli schemi e che non sono interessati. Io mi domando sempre “chissà dove si è interrotto il loro rapporto di fiducia con gli adulti, chissà chi li ha delusi e quando?”. È bellissimo allora iniziare con delle attenzioni per loro, con dei gesti di fiducia e di stima cui non sono abituati. Rispettare i loro tempi, il loro bisogno di movimento, di aria. Mi faccio insegnare cose che non so fare. Piccole cose, piccoli segni che a loro non sfuggono e che lentamente li fanno tornare ad appassionarsi a quello che fanno, allo studio e quindi a pren- 20 dersi cura di se stessi e a trovare la propria strada. Sono sempre sorpresa e grata quando arriva una confidenza, una richiesta di aiuto. Perché ogni volta imparo qualcosa e il mio cuore fa spazio all’altro. Imparo a tacere e a non proporre subito la mia soluzione. Imparo che è sufficiente ascoltare perché mentre ascolti, l’altro si libera del suo fardello e dentro di lui comincia a farsi spazio una piccola luce che gli farà intuire il cammino. Ho imparato che bisogna saper aspettare: tutte le crisi si superano, quello che fa la differenza è solo il modo in cui ci si sta e quindi “essere accanto” è quello che mi è chiesto, niente altro. Imparo che essere giusti non vuol dire fare la stessa cosa con tutti, ma fare quello di cui ognuno ha bisogno. Per questo sono grata a tutti i miei ragazzi, a tutte le loro crisi, i loro pianti, le loro rabbie perché da ognuno di loro ho “ricevuto un segno” che resterà impresso nel mio cuore. Se penso ai momenti che mi danno più emozione nel mio lavoro, sono due: il primo è il giorno in cui conosci una classe, quando guardi quei ragazzi e ti chiedi che cosa ne uscirà, quali talenti sveleranno, quale futuro riusciranno a disegnarsi e l’altro, ancora più bello, quando volano via dopo l’esame, ormai uomini e donne pronti ad affrontare il mondo, con quella luce negli occhi colma di gratitudine e di curiosità per la vita mentre tu, orgoglioso dei tuoi ragazzi, resti lì, a scuola, con la silenziosa promessa che sarai custode per sempre dei loro giorni andati, nei quali il bruco ha lavorato per diventare farfalla. *Tamara, collaboratrice della Fraternità di Romena, insegna in un Liceo di Sesto Fiorentino Dietro ogni adolescente, c’è sempre una bellezza, un tesoro, una motivazione che noi dobbiamo scoprire. Dobbiamo accendere un fuoco dentro questi ragazzi per farlo divampare. Foto di amira_a Eraldo Affinati 21 Quello sguardo bambino che resiste al tempo di Maria Teresa Abignente Non se n’è mai andata, la gioventù. È ben nascosta, ma viva dentro ciascuno di noi. È possibile, se non trovarla, almeno riconoscerla: è il riscoprire uno stupore, è il risentire una freschezza, è il riaccendersi di una stella. Ogni volta che ci penso mi sorprende: ogni volta che guardo una stella e mi dico che potrebbe essersi spenta già da chissà quanti anni, un brivido quasi di angoscia percorre il mio cuore. Io la vedo brillare, è là, posso puntare il dito e seguirla nel suo pulsare eppure non c’è, non esiste più. Morta. Mi sgomenta il suo esserci e il suo contemporaneo non esserci; come una doppia dimensione per me incomprensibile: c’è e non c’è, morta e viva nello stesso momento. E inevitabilmente la mente corre sul filo delle domande che si agganciano alla prima, che scaturiscono da quella realtà che non comprendo: è dunque possibile che ciò che per me è reale in un dato istante sia irreale invece in un altro istante? O in un altro spazio? È possibile che ciò che vive sia invece morto e, dunque, è possibile anche il contrario di questa affermazione? Non ci arrivo a capire: guardo la stella e penso: “ forse è morta…” . Eppure mi sembra così bella. E così viva. Non mi interessano le spiegazioni degli astrofisici, non voglio calcolare quanti anni sono passati prima che la luce di quella stella arrivi ai miei occhi: il mio non è un ragionamento scientifico o un applicare delle formule; è una esperienza, basata su ciò che vedo o credo di vedere, su ciò che vivo. A volte torna, sul nostro viso, un’espressione bambina come quella che immagino si dipinga sul mio volto di fronte alla stella: accade, si manifesta e noi non la vediamo, cioè non ce la vediamo addosso, la regaliamo agli altri; lasciamo che gli altri, che ci sono vicini, leggano sul nostro viso lo stupore, la meraviglia, lo sgomento che proviamo. Mi piace che non possiamo vederci stampata sul viso quell’aria bambina: penso che, se ce ne accorgessimo, faremmo di tutto per dissimularla, per alterarla, cercando di indossare la maschera di chi sa 22 già tutto, di chi ‘non deve chiedere mai’. Sorprendere sul viso questa espressione riporta indietro negli anni, a una freschezza quasi dimenticata, a una giovinezza che sembrava essersi persa. Profuma di nuovo. Suscita quelle emozioni che ci facevano sentire a volte invincibili e altre volte fragili e vulnerabili come carne viva: perché il succo della giovinezza è proprio qui, nella contemporaneità del suo sbocciare e del suo bruciarsi, nella labilità del confine tra riso e pianto. Sentimenti dissonanti, a volte opposti che si susseguono nel giro di attimi, ma sempre con la certezza inesauribile di avere forza, energia e voglia di rovesciare le sorti del mondo intero. Cesare Pavese parla del “mestiere di vivere”, che è cosa terribilmente importante e raffinata: mestiere che si impara giorno dopo giorno, che non si trasmette in eredità, che soprattutto non si è mai sicuri di aver appreso una volta per tutte. Il più difficile tra tutti i mestieri. Si comincia ad impararlo da piccoli, con la soddisfazione dei primi passi e la delusione delle prime cadute, con le carezze morbide e le sgridate amare: ci si allena un po’ alla volta, ma mai abbastanza e mai come nella giovinezza sembra aspro e incerto. O immediato e sicuro. Come la stella, che c’è e non c’è, si verifica una coincidenza di stati che nel suo sovrapporsi forse rendono possibile la luce. E brilla in noi, anche quando quell’età è passata da un pezzo, la tenue speranza di non aver perso la prospettiva di un futuro, di poter capovolgere la sorte, di possedere uno sguardo che fa vedere nuove tutte le cose. Mi convinco che è una questione di occhi, solo di occhi, che riescono a trovare la vita, tutta la vita, nelle cose che guardano. Allora decido: la mia stella è viva. Foto di Raffaele Quadri Torniamo a guardare come i bambini e ad ascoltare come gli innamorati. Luigi Verdi 23 Viaggiare Sognare 31 Luglio 2 Agosto 2015 “Viaggiare, sognare, innamorarsi”. Parte da queste tre parole la proposta che la Fraternità di Romena rivolge ai giovani per il weekend 31 luglio – 2 agosto. Tre parole nelle quali ci sono gli orizzonti, le emozioni, le paure, le speranze di tutti i giovani. Tre parole da vivere, da respirare, da condividere. 24 i s r a r o m a Inn Stare insieme, confrontarsi, incontrare testimoni del nostro tempo, ascoltare musica del vivo, vivere momenti gioiosi di festa: sarà questo il programma di fondo della tre giorni dedicata ai giovani. La pieve, la fattoria, l’auditorium, i prati di Romena saranno interamente a disposizione dei ragazzi e dei loro momenti insieme. I giovani potranno venire singolarmente o in gruppi, dormire negli spazi della fraternità o in tenda, godere di un’accoglienza semplice, ma piena di calore. In quei giorni Romena sarà tutta per loro. Gli incontri di “Viaggiare sognare innamorarsi” saranno animati dai responsabili della Fraternità, da don Luigi Verdi a Pier Luigi Ricci, ma accoglieranno anche ospiti come Folco Terzani e includeranno momenti di incontro all’insegna della musica. Info: 0575.582060 Se siete un gruppo di giovani ( età tra i 15 e 22 anni) già costituito il vostro referente può mettersi in contatto al 328.4144396 (Paolo) 25 L VE IBRO RD I IG I NU LU OV O Luigi Verdi prefazione Card. La chiesadella tenerezza “La chiesa che amo ha pietà negli occhi, ha dolcezza nelle parole, tenerezza nei gesti. Si nutre del silenzio, si ferma e accarezza i volti”. È questo il sogno di don Luigi Verdi, il nostro Gigi. Una Chiesa umile e consapevole della propria fragilità; una Chiesa che respira e dona libertà; una Chiesa leggera e con lo sguardo innamorato. Un sogno che viene rappresentato attraverso pensieri, poesie, riflessioni nel suo ultimo libro “La chiesa della tenerezza”. Un libro di cui ci leggiamo in anteprima l’introduzione, affidata a una grande figura come quella di Walter Kasper, uno dei cardinali più vicini a Papa Francesco. 26 M Walter Kasper La chiesadella tenerezza ISBN 978-88-89669-62-4 / € 10,00 disponibile on-line e in libreria i è piaciuto molto questo libro, perché “La chiesa della tenerezza” è la chiesa che amo. Non la chiesa della nostalgia, la chiesa del passato, come l’ho conosciuta e amata da bambino, e che non tornerà mai più a dispetto di tutti i tentativi che le forze della restaurazione vorranno mettere in atto. E neppure la chiesa di un sogno utopistico, che non è di questo mondo, ma quella dei pescatori, che siamo anche noi, la chiesa sporca e ferita, ospedale da campo, non la chiesa senza macchia e senza rughe, che solo alla fine del tempo apparirà discendere dal cielo. La chiesa qui descritta non è altro che la chiesa di Gesù, di Gesù che camminava con gli uomini, entrava nelle loro case, incontrava tutti con uno sguardo di amore, di tenerezza, di misericordia, che guariva e liberava, che amava sopratutto i poveri, i malati, i deboli, i rattristati, i piccoli, una chiesa umile, piena di fiducia, che perdona, che è libera e che libera. Procedendo nella lettura, mi è risultato chiaro che la chiesa di questo libro non è solo la chiesa di Gesù che quasi duemila anni fa è vissuto in Palestina, no, è la chiesa di Gesù Cristo, il Risorto ed Asceso in cielo, il Figlio del Dio vivente, che cammina anche oggi con noi, e con le persone che incontriamo nella nostra quotidianità; fratelli e sorelle che sono, come noi, per via, con le loro domande, le loro gioie e le loro angosce, e nei quali possiamo vedere il volto nascosto di Gesù e toccare le sue ferite. La chiesa della tenerezza, che amo, non è un passato lontano né un futuro utopico, è un futuro che comincia oggi e nello Spirito di Gesù risorge ogni giorno di nuovo. E questo libro, ricco di fascino spirituale e umano, ci invita a far parte di essa e ad entrare nella sua comunione. “Venite e vedete!” Card. Walter Kasper O gnuno è alla ricerca di: un po’ di pane, un po’ di affetto e di sentirsi a casa da qualche parte. Puoi ordinare tutte le Edizioni Romena on-line su www.romena.it 27 27 Romena Incontri 17-18-19 Luglio Dio e un bacio Alla ricerca di ciò che accende la vita Con “Dio è un bacio” dal 17 al 19 luglio, proveremo a cercare, a capire, ad ascoltare in profondità ciò che davvero alimenta dal profondo la vita di tutti. Con tante voci della saggezza, dell’arte, della poesia, che ci aiuteranno in questo cammino. 28 Dio è un bacio ”: così il grande monaco camaldolese Benedetto Calati amava trasmettere l’indescrivibile bellezza e tenerezza del divino, e anche la sua inafferrabilità. E proprio da questa frase che si svilupperà la tre giorni di incontri organizza dal 17 al 19 luglio a Romena. Teologi, scrittori, poeti, musicisti, testimoni provenienti da cammini, esperienze, culture diverse ci aiuteranno a proiettare lo sguardo verso l’infinito, accompagnando il percorso di ciascuno di noi nella ricerca del proprio orizzonte spirituale. Aperte le iscrizioni. Il cammino di “Dio è un bacio” si svilupperà dalla sera di venerdì 17 al pomeriggio di domenica 19 e ciascuno sarà libero di partecipare a tutto il percorso oppure potrà scegliere liberamente anche soltanto un momento. Venerdì sera il percorso si aprirà alle 21 con l’incontro concerto del chitarrista e scrittore Luca Francioso che porterà in dote le sue atmosfere musicali delicate e la sua grande sensibilità. Sabato protagonisti saranno uno dei più grandi e prestigiosi teologi europei, lo spagnolo Josè Castillo, noto per le sue posizioni aperte e liberanti, e ancora Lidia Maggi, teologa e pastora battista, capace con intuizione femminile e sapienza di guidarci ed emozionarci nell’incontro con la Bibbia, e di Livia Candiani , poetessa di straordinaria sensibilità che ci condurrà tra i suoi versi e tra quelli scritti dai bambini, ai quali trasmette l’amore per la poesia. Una serata scoppiettante e divertente con il Quartetto Euphoria , quartetto d’archi famoso per le sue parodie in musica (una sorta di Banda Osiris al femminile) chiuderà la giornata. Domenica, per chi vorrà, la sveglia suonerà prestissimo. Alle 5 in punto attenderemo l’alba accompagnati ancora dal Quartetto d’archi, questa volta in versione classica: un lieve tappeto musicale che si intonerà con la musica della natura al risveglio. Quindi ancora due grandi figure: Sharazad Houshmand , teologa musulmana che insegna all’università di Roma, fortemente impegnata nel dialogo interreligioso, e Paolo Ricca, teologo e pastore valdese che ha ispirato con i suoi scritti Roberto Benigni per i suoi dieci comandamenti televisivi. La domenica pomeriggio il percorso si concluderà con l’incontro con Moni Ovadia, artista geniale, scrittore, acuto testimone dei nostri tempi. L’intero percorso sarà accompagnato da letture, brevi recitati, racconti proposti dall’autrice e attrice Elisabetta Salvatori. Tutti i momenti delle giornate, quelli di incontro e quelli ricreativi, si svilupperanno tra la pieve, i prati circostanti, la fattoria e l’auditorium, ormai in fase di completamento. Info sul sito www.romena.it Per informazioni e iscrizioni: tel: 339 7055339 nei seguenti orari: LUN - MER - VEN dalle 15,30 alle 18,30 email: [email protected] 29 Uomo dove sei? 18-19-20 Settembre Le grandi domande di Dio a uomini e donne di questo tempo sono al centro del nostro secondo grande incontro di quest’anno, “Uomo dove sei?”, in programma dal 18 al 20 settembre. “Dove sei Adamo?» è questa la prima domanda che Dio fa all’uomo. Ne segue una seconda, questa volta indirizzata a Caino: “Dov’è tuo fratello?” Due domande per capire ciò che più conta: dove ci troviamo, e che relazione abbiamo con il nostro prossimo. Queste domande saranno al centro del secondo incontro di quest’anno della Fraternità, “Uomo, dove sei?” in programma da venerdì 18 a domenica 20 settembre. Dove siamo? Dove sta andando la nostra umanità? In che modo stiamo utilizzando quel meraviglioso dono che è la vita? E come viviamo la relazione con gli altri? 30 Interrogativi come questi saranno al centro del cammino che si svilupperà come sempre con i contributi di testimoni preziosi: saranno con noi la presidente di Emergency Cecilia Str ada , la teologa Antonietta Potente , lo scrittore Maurizio Maggiani , due grandi testimoni di fede come suor Rita Giaretta e don Antonio Mazzi, e ancora il cardinale Walter Kasper uno dei collaboratori più stretti di Papa Francesco e un grande amico di Romena come don Luigi Ciotti. Il percorso sarà come sempre arricchito da contributi artistici: la sera del sabato è previsto un recital del compositore e attore Luca Mauceri. Info: 339.7055339 [email protected] Annunci vari Corsi a tema TEMPO DI FRATERNITÀ DAL 10 AL 20 AGOSTO 2015 Un periodo di “casa aperta”, di fraternità, dove ogni giorno è proposta un’armonia tra preghiera, lavoro e condivisione. Chiunque può parteciparvi. Info e iscrizioni: aperte al n. 0575 582060 (escl. martedì) CUSTODIRE L’AMORE 11-13 SETTEMBRE Delicato come un germoglio, indifeso come un bambino,tremante come una candela al vento: questo è il nostro amore. Iscrizioni: dal 1° agosto al n. 0575 582060 (escl. martedì) “FACCIAMO L’UOMO” 16-18 OTTOBRE Corso Biblico con GIANNI MARMORINI Cosa si nasconde dietro i gesti e le parole della creazione? Perchè Dio ha voluto dare una forma ad un suo sogno? Iscrizioni: dal 1° settembre al n. 0575 582060 (escl. martedì) DOMANDE SU DIO E SULL’UOMO 30 NOVEMBRE - 1 OTTOBRE con J. GAILLOT, vescovo francese In chi e in che cosa crediamo? Un tempo di scambio e di interrogativi, oltre gli schemi e le abitudini, per scrutare responsabilmente l’orizzonte delle nostre relazioni e scelte. Iscrizioni: dal 1° ottobre al n. 0575 582060 (escl. martedì) CANTARE LA VITA, L’AMORE, IL DOLORE 6-8 NOVEMBRE con LIDIA MAGGI La teologa e pastora battista, guida di viaggi appassionanti dentro il mare sconfinato della Bibbia ci porta questa volta a incontrare i Salmi, e ci invita a pregare, a cantare, a gioire con queste perle di poesia che l’uomo offre a Dio. Iscrizioni: dal 1° ottobre al n. 0575 582060 (escl. martedì) Appuntamenti dei gruppi FAMIGLIE e NAIN Romena dedica una domenica al mese alle Famiglie e ai genitori colpiti dal lutto più grande, la perdita di un figlio. FAMIGLIE 26 luglio L’Uomo-Padre 13 settembre I Figli: la via dell’Incontro 4 ottobre Vivere i Conflitti 8 novembre Creatività e Gentilezza 6 dicembre Tornare Bambini Info: [email protected] NAIN 23 agosto Dove posso trovarti? 18 ottobre Perchè vivere il presente? 15 novembre Come ridarti vita? 20 dicembre È Natale e mi manchi di più Info: [email protected] Per articoli, pubblicazioni delle Edizioni Romena, foto, audio degli incontri e altro ancora seguici su: WWW.ROMENA.IT Iscriviti alla nostra Newsletter per essere aggiornato su tutti gli eventi organizzati dalla Fraternità. UN CONTRIBUTO: il giornalino è una pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le persone che hanno partecipato ai corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta. Aiutateci a sostenere le spese di realizzazione e spedizione inviando il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettuate un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo): postale IBAN: IT 58 O 07601 14100 000038366340 bancario IBAN: IT 27 L 05390 05458 00000 0003260 Per richiedere o modificare l’indirizzo di spedizione del Giornalino: www.romena.it/contatti/richiesta-giornalino.html oppure scrivi a [email protected]. È disponibile online l’archivio ti tutti i giornalini collegandosi a www.romena.it/pubblicazioni/giornalino/archiviogiornalino.html SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è necessario telefonare al nostro numero 0575.582060. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente il corso stesso. 31 I giovani sono come le rondini: sentono il tempo, sentono la stagione: Foto di: Maurizio Carlino Q uando viene la primavera essi si muovono ordinatamente, sospinti da un invincibile istinto vitale che indica loro la rotta e i porti verso la terra ove la primavera è in fiore! Giorgio La Pira