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2015/2-Lo sguardo dei giovani

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2015/2-Lo sguardo dei giovani
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XIX n° 2 / 2015
Lo
Sguardo Giovani
dei
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SOMMARIO
3
Primapagina
Cominciate dalla libertà
8
Quel cantiere di energie e di speranze
Cari genitori,non arrendetevi mai”
12 Una nuova forza generatrice
Ragazzi,voi siete le frecce dell’arco di Dio
18 Dobbiamo educarli alla tenerezza
I miei ragazzi mi insegnano
22 Quello sguardo bambino che resiste al tempo
Viaggiare, Sognare, Innamorarsi
26 Nuovo libro “La chiesa della tenerezza”
Romena Incontri “Dio è un bacio”
30 “Uomo dove sei?”
Annunci vari
trimestrale
Anno XIX - Numero 2 - Giugno 2015
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - [email protected]
Il giornalino è anche online su
www.romena.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo
FOTO:
Maurizio Carlino, Raffaele Quadri, Stefano Corso,
R.Amal Serena, Marina del Castell, Elisa Greco,
Federica Marchi, amira_a.
COPERTINA: Massimo Schiavo
HANNO COLLABORATO:
Luigi Verdi, Maria Teresa Abignente, Diana Quadri, Pier
Luigi Ricci, Tamara Taiti
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
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Ai giovani
Ci credo in voi e non per partito preso, ma perché voi avete un valore inespugnabile: siete nuovi.
Portate dentro un frammento di nuovo che può contenere tutto, incluso un mondo migliore.
Perciò, se può esservi utile guardarvi indietro, ricordatevi però che la vostra forza è originata da ciò
che vi aspetta all’orizzonte. Siete chiamati dal futuro. Siete il segno del futuro.
L’altro giorno ci ha lasciato un anziano saggio del mio paese, Renzo. Mi è venuto in mente l’atteggiamento che lui, padre di quattro figli, miei amici, aveva verso noi, all’epoca ragazzi: ci guardava
con uno sguardo amoroso, con una fiducia incrollabile.
La sua era una generazione cresciuta durante la guerra, lui conosceva bene il peso della fatica e il
valore del pane. Eppure era certo delle nostre potenzialità, ne era certo anche quando i nostri slanci
giravano a vuoto, quando bastava una piccola delusione d’amore a metterci al tappeto.
Quella benevolenza dava luce ai nostri pallidi tentativi e ci rendeva liberi.
Beninteso, non era un credito concesso alla cieca: alle spalle c’era una testimonianza di vita forte,
sicura. Il messaggio di vita coerente e la fiducia che ne derivava stavano insieme, come una cosa sola.
Negli ultimi tempi, insieme a don Luigi, mi è capitato spesso di parlare con voi negli incontri che
scuole e gruppi ci propongono per confrontarci, attraverso l’esperienza di Romena, su ciò che vi
preme di più: speranze, amicizie, sogni, valori, sentimenti.
Credetemi: per un adulto non c’è niente di più stimolante che cercare di gettare un seme in un campo
che ha la possibilità di farlo germogliare.
Ma quello che mi piace è anche riassaporare, grazie a voi, quella fase della vita in cui siamo nulla
e possiamo essere tutto. Una fase nella quale, come dice lo scrittore Marco Lodoli, si può imparare
a vivere nel modo che sarà sempre quello più giusto, e cioè con l’atteggiamento del principiante:
un principiante, infatti, guarda la vita con attenzione e meraviglia, e compensa l’inesperienza con
l’entusiasmo.
So che sul vostro cielo si addensano premature preoccupazioni. Le prospettive generali non sono
allettanti, non c’è lavoro, qualcuno vi invita a disinnescare i vostri sogni.
A me non piace questo realismo, mi preoccupa chi getta acqua gelida sulla naturalità del vostro fuoco.
Scrive Stefano Benni: “Se i tempi non chiedono la tua parte migliore, inventa altri tempi”.
Ecco, questo potete fare, questo mi auguro che facciate: non accettare compromessi con un tempo che
non vi piace e pensare invece ad inventarne uno che sia in linea con le vostre speranze.
Sognate tempi migliori, ragazzi, sognateli così forte da farli arrivare.
E introducete nella vita di tutti l’ingrediente che cambia il mondo, quello di cui siete i primi depositari: la parola ‘cominciare’.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
Ragazzi, io credo in voi.
Non è molto, me ne rendo conto. Ma partiamo da qui.
Verso di voi c’è infatti un pregiudizio diffuso. Sembrate candidati a spingere il mondo su quell’asse
di declino nel quale si è da qualche tempo indirizzato. Come potreste invertire la rotta con la vostra
fragilità, con il rapporto quasi ossessivo che avete col mondo virtuale?
Ma io ci credo lo stesso. Ci credo perché i difetti che avete non sono vostri. Ve li abbiamo inoculati
noi. Siete stati destinatari di un consumismo compulsivo, disorientati dalla confusione interiore dei
vostri adulti di riferimento. Facile, in queste condizioni, profetizzare fallimenti.
È precario il mio cuore e il mio carattere,
sono come le mie scarpe allacciate di corsa
o come i miei capelli dove dimorano i venti.
Scrivo e riscrivo il mio nome su un foglio
per lasciare una traccia e nel nome il mio segreto.
Cammino per la strada, con in spalla
il mio sacco di speranze.
Vi prego,
non mi distruggete il domani
che è un orizzonte di attese.*
* Luigi Verdi, “Dio guarda il cuore - Edizioni Romena 2013
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Cominciate dalla libertà
Foto di Stefano Corso
di Luigi Verdi
Un estratto dai colloqui che il nostro don Luigi tiene spesso con i giovani,
analizzando con loro ciò che frena le loro vite. E ciò che può farle riaprire.
Quando mi rivolgo ai giovani, più che partire
dai grandi temi come l’amore, la giustizia, la
fedeltà, io cerco di confrontarmi con loro su
ciò che siamo, su come stiamo vivendo e su
ciò che, secondo me, in questo tempo ingabbia l’esistenza dei nostri ragazzi.
Oggi viviamo in un tempo in cui siamo tutti più
soli e muti nel dolore: se domando a un ragazzo “Di cosa hai paura?” scavando in fondo scopro che la paura più grande è sempre
quella della solitudine. La solitudine, il peggiore di tutti i mali. Adamo è in paradiso eppure è incomprensibilmente triste: gli manca
Eva, il suo faccia a faccia. E muti nel dolore
significa che troppi giovani non riescono più
a esprimerlo questo dolore, che viene nascosto e pigiato dentro, fino a scoppiare. Questo
è un male tipico del nostro tempo, della nostra società: quando non esistevano i televisori, i computer o i telefonini, c’era un focola-
re, una tavola intorno alla quale ci si guardava
negli occhi. Oggi, invece, nelle nostre case
giochiamo a nascondino, nessuno sa niente
dell’altro ed è difficile capire quale e quanto
dolore stia vivendo l’altro, cosa si nasconde
nel suo cuore. Siamo tutti più soli e muti nel
dolore.
Ma questo è un tempo che ha ucciso anche
la responsabilità: non abbiamo il coraggio di
assumerci le nostre responsabilità, la colpa è
sempre di qualcun altro, o di qualcos’altro. Mi
domando, come si matura senza assumersi
le proprie responsabilità? Per essere responsabile devo essere consapevole e questo significa che la vita la tocco, la sento, l’avverto
scorrere nelle mie vene. Oggi invece è tutto
virtuale, cioè il virtuale è preponderante rispetto alla vera vita e pretendiamo tutto subito, immediatamente, senza concederci il tempo di capire e di assimilare.
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I nostri ritmi sono folli: noi non siamo fatti per
vivere questi ritmi frenetici, non siamo strutturati per questo, non si può vivere con una
folla di messaggini, voci continue nelle orecchie e troppe cose da fare simultaneamente:
questi ritmi esasperati separano la mente dal
corpo e dall’anima e lo sperimentiamo ogni
giorno quanto ci sentiamo scissi, dissociati, a
pezzi. Alla sera, quando si rientra nelle nostre
case, dove siamo? e come facciamo a capire quel che l’altro sta attraversando? Baudelaire diceva “il ritmo di una città è più veloce
del ritmo del cuore dell’uomo”: se
il ritmo che vivi è
più veloce del tuo
cuore ci si ammala, non si riesce
ad andare avanti. E soprattutto
questi ritmi forsennati uccidono la percezione:
come si riesce a vedere davvero, a sentire,
ad accorgersi di quel che l’altro sta vivendo
se non si sente più nulla? I ragazzi oggi sono
come rimbambiti perché tante cose distraggono e distolgono l’attenzione: non si può essere presenti a sé stessi se la nostra attenzione viene continuamente deviata. La società,
la nostra società, quella che noi stiamo consegnando ai giovani, non fa altro che suscitare bisogni e desideri, ma non si può vivere
solo di bisogni, è necessario che un sogno,
almeno un sogno diventi vita e per diventare vita lo devo toccare questo sogno e devo
sudare. Abbiamo dei sogni scollegati con la
vita e come farli abbracciare insieme se non
abbassiamo un po’ il sogno e innalziamo un
po’ la vita? Certo questo implica sforzo, questo chiede di graffiarsi le mani e rompersi la
schiena, ma senza sforzo i sogni non si rea-
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lizzano. Il problema vero è che la nostra volontà è debole: al paralitico che gli chiede di
guarire, Gesù domanda:” Vuoi guarire?” Cioè
lo vuoi davvero, veramente, con tutto te stesso?
Genitori, insegnanti, adulti, tutti tendono a
confezionare risposte, a dare ricette pronte
per la vita: dovremmo invece suscitare nel
cuore dei giovani le domande e abitare i loro
interrogativi, i loro tormenti. Pensiamo di risolvere tutto con l’amore, ma l’amore in qualche
caso non basta;
se sommergiamo
di amore un figlio,
se gli appianiamo
ogni difficoltà, se
gli procuriamo
scorciatoie per
facilitargli la strada, così facendo
non lo aiutiamo,
lo facciamo solo
accomodare nella vita, gli facciamo credere
che la vita va avanti senza sforzi, senza dolore e lo priviamo della gioia della conquista.
Sarebbe bello nelle nostre case sentirci davvero a casa: sentirci cioè in un luogo in cui
se qualcuno mi guarda mi guarda davvero, in
cui c’è qualcuno che mi ascolta davvero, un
luogo in cui se faccio una stupidaggine trovo
qualcuno che mi perdona davvero.
È tempo di ricominciare e si ricomincia sempre da dove ci siamo arrestati e fermati, da
dove siamo rimasti incagliati. Bisogna ricominciare proprio dalla libertà perché, per
quanto noi ci crediamo liberi, siamo invece
la generazione più schiava della storia: prima
almeno le catene si vedevano, erano concrete, ora siamo legati da catene invisibili e dipendiamo da mille cose nascoste. Nell’antico testamento se Dio si arrabbia sempre tan-
Foto di R.Amal Serena
to con gli idoli è perché l’idolo è colui che ti
compra. Dio ci vuole liberi. Solo Gesù non
si è fatto comprare nessuno, né dai soldi, né
dal potere, né dall’ambizione e neanche dalle
emozioni. Ma i giovani come fanno a seguire
noi adulti? Noi che ci siamo fatti comprare da
soldi, potere, ambizioni, emozioni? I giovani
sono ora come in un limbo, non vogliono vivere come noi, perché avvertono che la nostra
vita è falsa e avvelenata, ma non hanno la
forza di trovare un altro modo di vivere e sono
lì fermi ad aspettare che qualcosa succeda,
che qualcuno si ribelli. Mi piacerebbe vedere i loro occhi liberi dalle paure, pieni della
luce che brilla quando si è innamorati, quando si prova stupore e batticuore per qualcosa.
Quando si osa sfidare, in nome del brivido
che dà una passione, le convenzioni, le forme
ristrette e soffocanti dei luoghi comuni, le false sicurezze imposte dal consumismo.
Bisogna ricominciare dalla forza della debo-
lezza: tutti noi, ma soprattutto i giovani hanno
paura dei propri punti deboli e li nascondono
e più si nascondono più si diventa deboli e
vulnerabili. Invece la pietra scartata è diventata quella d’angolo e questo vuol dire che i
nostri punti deboli sono in realtà i nostri punti
di forza; certo ci vuole fatica per trasformarli
e ci vuole coraggio e soprattutto ci vuole una
passione forte e vera, un sogno. Un sogno
sognato ad occhi bene aperti, desiderato con
la calma e la pazienza di chi sa resistere alle
voci delle mille sirene che cantano; un sogno
costruito con la tenacia e la gioia di chi sa
impastare rischi e pericoli all’istinto e all’impeto del cuore. Un sogno anche piccolo, ma
duraturo e vivo.
Ai giovani, a chi sta iniziando la sua vita con
brividi di paura e slanci di entusiasmi, auguro
il coraggio della creatività, della fantasia, del
gioco, auguro l’audacia della passione e la
tenerezza dell’amore.
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Quel cantiere di energie e di speranze
di Pier Luigi Ricci
Come intercettare quella generazione che è forza viva del nostro presente? Pier
Luigi Ricci ci propone due idee per entrare in sintonia con i giovani, in modo da
riuscire a capirli, ma anche da lasciare libera la loro capacità di creare e innovare…
Il pediatra e psicoanalista inglese Winnicott
diceva: “Il mondo andrà avanti finché ci sarà
un adolescente a metterlo in crisi.” Mi è sempre piaciuta questa frase perché in un attimo infatti sposta l’accento da quello che noi
possiamo dare ed insegnare ai nostri giovani
dietro l’idea che essi siano il nostro futuro, a
tutto ciò che noi possiamo prendere da loro
e costruire insieme a loro, in quanto essi rappresentano il nostro presente.
Ogni giovane infatti racchiude e rappresenta
un universo in movimento, un bagaglio di risorse, un cantiere di energie e di speranze. E
questo è vero anche quando ci provoca, anche
quando non si riesce immediatamente a capire o a condividere ciò che pensa e ciò che fa.
Winnicott prosegue: “Dove c’è un ragazzo
che lancia la sua sfida per crescere, là deve
esserci un adulto pronto a raccoglierla. Non
sarà sempre un cosa piacevole. Ma a livello
profondo, nella fantasia inconscia, si tratta di
una questione di vita o di morte per l’adolescente… e poi forse anche per quell’adulto.”
Il mondo degli adulti muore fintanto che si rigira su se stesso. E fino a che continua a pensare di aver solo cose da insegnare ai ragazzi.
Pensare che i giovani siano il nostro presente significa potersi mettere nella condizione
di raccogliere quelle sfide e di percepirsi in
cammino insieme a loro e in questo tragitto
rivedere le nostre visioni, rinfrescare i nostri
sogni, imparare i nostri significati.
Ma perché tutto ciò non sembri e non rimanga teoria vorrei sottolineare due cose. La prima è l’importanza della relazione.
C’è relazione solo quando due soggetti, uno
di fronte all’altro si percepiscono alla pari, con
uguale dignità. E quando si può riconoscere
che l’altro di fronte rappresenta un’ opportunità, un dono. Anche se ti mette in crisi.
Anzi proprio perché ti mette in crisi. In quel
momento entra in relazione solo chi pensa
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di sfruttare l’occasione e di prendere qualcosa di utile per sé e non chi pensa di essere lì
unicamente per convincere e per controllare
il conflitto.
Se in una relazione, forse per chiudere alla
svelta la tensione, ti capita di usare troppo
spesso il ruolo, hai perso, sei fuori dalla relazione. Il ruolo chiude il rapporto e va usato solo
quando tensione ed ansia hanno raggiunto
dei livelli troppo alti. Credo che su questo punto ancora abbiamo tanto da camminare.
La seconda idea che vorrei proporre è quella
della “scatola vuota”.
L’ho imparata da ragazzo dal mio vecchio parroco che ogni tanto, facendo finta di non aver
idee pronte e brillanti ci diceva: “Ragazzi queste mie stanze sono per voi, sono vostre. Io ci
metto queste, un po’ di soldi se vi servono. E
chiamatemi se avete bisogno….” Così, dopo
i primi tentennamenti partimmo noi. “Sennò
lui, si diceva, è uno che non fa niente.” E noi
invece inventammo un sacco di cose. E siccome erano nostre quelle idee, non si poteva
neanche contrastarle.
La regola della “scatola vuota” è bellissima.
L’ho sempre usata, imparando a metter su
quella faccia da tonto, che poi non è cosa
così difficile e poi aspettando. E i miei centri
hanno sempre funzionato. Poi col tempo si
cresce ed ho capito anche che non era tanto
una cosa tecnica, ma che poteva diventare
uno stile di rapporto e uno stile educativo. E
dico spesso agli educatori, ai genitori e a me
stesso che non si tratta di “far da tonti”, ma di
essere semplicemente se stessi. Tanto ci sono
delle giornate che lo siamo. Ed invece di fingere è molto meglio dire: “non so …. tu che
ne pensi?”
La presenza dei nostri giovani con noi non ci
chiede scaltrezza e bravura, ma di essere veri.
E se accettiamo questa sfida davvero potremo crescere insieme.
Foto di Raffaele Quadri
D
a ogni parte vi si cerca
e vi si chiama
con lusinghe
e promesse.
Avete il dovere
di porvi una domanda:
perché e per chi
vivere e morire
?
Giovanni Vannucci
“Cari genitori,
non arrendetevi mai”
Abbiamo chiesto a una ragazza ventenne di raccontarsi, di svelare dal ‘di dentro’
ciò che sentono e pensano i giovani.
Diana Quadri ci propone la sua esperienza personale, ma i suoi pensieri
riguardano tutta la sua generazione…
Cari genitori,
ho appena terminato il mio primo anno di Università, è stato intenso, pieno di cose nuove, di
ambizioni soprattutto. Credevo che fin dal primo giorno mi sarei sentita diversa, più grande.
Ricordo che ogni mattina mi svegliavo e specchiandomi spesso mi piacevo, mi vedevo più
matura e saggia. Riuscivo a collocarmi bene tra
gli altri studenti, perché ero più sicura di me,
pensavo che finalmente fosse arrivato il mio
momento di crescere. Mi sentivo bene. Lusingata dagli sguardi dei ragazzi che mi notavano,
e li sostenevo senza vergogna o sforzi esagerati. Sorridevo per niente, mi guardavo attorno
curiosa e rimanevo appagata da quello che mi
circondava. Credevo di essere ormai una donna,
solare, forte e indipendente.
Alla fine della giornata facevo un riepilogo degli
eventi accaduti, delle nuove conquiste ed esperienze riempiendomi di autostima. Ricordo la
10
mia contentezza nel vedermi così cambiata,
sentivo una forza d’animo nuova impadronirsi
delle mie gambe, che mi spostavano in direzioni che prima mi terrorizzavano. Ero contenta e
sicura, ma anche sola.
Ero così eccitata da tutti i successi, le nuove amicizie, gli scambi di sguardi con ragazzi, sentirmi
rispettata, bella e universitaria, ma ancora non
riuscivo ad accontentarmi. Smaniavo per attenzioni, ero alla costante ricerca di qualcosa, in
ogni momento il mio sguardo vagava ignorando chi avevo di fronte. Quello che mi sembrava
entusiasmo ed energia nuova, si trasformò in
nervosismo e continua agitazione, non riuscivo
più a farmi bastare la quotidianità. Ogni cosa
che facevo mi sembrava uno spreco di tempo.
Allora facevo tutto quello che era necessario
per dare una certa immagine di me, ma non ero
sincera, avevo fretta di sembrare chi non ero,
un’adulta.
In tutta la mia frenesia e il mio bisogno di vedermi grande, non vivevo più l’università come ciò
che dovrebbe essere, un luogo per crescere sì,
ma riempiendosi piano piano, allungandosi un
centimetro alla volta, mentre io volevo già alzarmi di un metro. Così ho iniziato a notare solo i
miei insuccessi, la mia delusione per non riuscire
a essere ciò che volevo era tale, che il mio corpo, prima snello e seducente iniziò a ingrossarsi.
Non riuscendo più a riempirmi di attenzioni e
autostima, avevo trovato rimedio nel cibo, ma
anche questo era un appagamento momentaneo. Il non rispecchiarmi più in quell’ideale che
pensavo di aver raggiunto mi demolì, e mi fece
riflettere. Non ero ancora adulta, ma attorno a
me non ero l’unica, tutti quelli che mi sembravano così seri e maturi, tutti quegli universitari che
prima ammiravo e rispettavo con leggero timore, non erano pronti neanche loro. Forse proprio
come me anche loro avevano fretta di diventare
grandi, ma osservandoli bene erano in cammino verso la meta, ma non l’avevano ancora raggiunta.
Con questa consapevolezza, mi sono resa conto che è
inutile spingere il naso troppo avanti, ho iniziato a muovermi a ritmo del respiro, rilassandomi, senza impormi
subito di raggiungere obiettivi ancora lontani. Essere
semplice e paziente, riuscire
ad adeguarmi al ritmo della
vita è difficile. Così ho iniziato a conoscermi, o
meglio a riconoscermi per chi ero e mi piacevo
comunque. Sentivo che la mia voglia di crescere si era placata, ma un’altra forza dentro di me
continuava a vigilarmi autoritaria, tenendo in
serbo grandi progetti, ma non immediati, raggiunti con il giusto tempo. Lentamente sono
riuscita a lasciarmi andare, anche con gli altri, a
farmi conoscere senza inganni essendo sincera
fin da subito. Ho ripreso a prendermi cura di me
e di chi mi circondava, dalla famiglia, che avevo
trascurato, fino ai miei vecchi amici. Con questa
spontaneità ho scoperto le mie vere emozioni,
all’interno di relazioni sincere, e non quelle che
volevo impormi. In particolare con l’altro ses-
so, ho abbandonato le mie strategie seduttive
optando per un approccio spontaneo, meritandomi finalmente una relazione vera ed ora mi
riempio d’amore.
In sintesi volevo ringraziarvi per quanto mi avete insegnato, educare i propri figli è un compito
importante e rischioso e scegliere come farlo
ancora di più, ma vi chiedo di non arrendervi, di
continuare a insegnarmi senza dare per scontato che “tanto ci pensa la scuola”, l’università ha il
compito d’istruirmi, ma siete voi, i miei genitori,
che m’insegnate a vivere. Vorrei conoscere altri
valori e avere voi come maestri, non tanto quanto compagni. Vorrei vedervi generosi, onesti e
sinceri. Vorrei guardarvi accontentare di ciò che
avete senza pretendere sempre il massimo, godere del “qui e ora”, senza attendere sempre che
succeda qualcosa di straordinario. Vorrei che
mi parlaste dell’amore senza vergogna, perché
non c’è pudore nello spirito innamorato. Vorrei
scoprirvi sereni nella solitudine e nel non fare
niente, senza preoccuparvi di
sprecare tempo, essere inutili o
improduttivi. Vorrei sapere che
sognate ancora in grande senza
paura di non vedere realizzare
i vostri desideri. Vorrei sentirvi
ringraziare ed essere riconoscenti, perché la vita è una cosa per
cui si dovrebbe dire grazie ogni
giorno. Vorrei che faceste tutto
questo perché io possa prendervi ad esempio nel mio diventare
grande, in questo momento sto ancora camminando su un filo, teso tra passato e futuro, avanzo con un passo alla volta, con paura ma anche
tenacia. Sono in bilico tra partenza e destinazione e se questo percorso dovrà durare tutta
la vita, non mi preoccuperò, perché adulti non
si diventa con l’età, io ne ho venti di anni, ma
sono sempre più sicura che sia solo un numero
convenzionale.
È nell’agire e nel pensare che si distinguono
un uomo e una donna. Io vi chiedo di darmi un
esempio da imitare e un modello da ammirare.
Perché “essere adulti” e non “fare gli adulti” è
un orizzonte da conquistare, non da aspettare.
Diana Quadri
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Una nuova forza generatrice*
di Luigi Ciotti
Bisogna smettere di preoccuparsi dei giovani, e invece occuparsi di loro.
Don Ciotti chiede agli adulti di abbandonare clichet ed etichette e di accompagnare
e appassionare i giovani, invece che pensare a definirne disagi e bisogni.
Mentre sono qui a parlare ci
sono seimila giovani che hanno scelto di trascorrere le loro
vacanze andando a lavorare
sui terreni confiscati alle mafie.
Sono seimila, ma se avessimo
avuto quindicimila posti sarebbero stati quindicimila.
La verità è che sono meravigliosi, i giovani, meravigliosi!
Me ne accorgo stando in
mezzo a loro tutti i giorni, dalla Sicilia alla
Lombardia. È la mia vita stare in mezzo ai
ragazzi. E stando ogni giorno con loro ho
capito questa cosa: che è l’ora di smettere
di dedicare iniziative, convegni, discussioni
al disagio giovanile, perché c’è il rischio che
noi adulti continuiamo a chiudere il mondo
giovanile dentro questa etichetta.
Se c’è una realtà che oggi in Italia è a disagio
è il mondo degli adulti.
Anche il mondo giovanile vive i suoi disagi, sia ben chiaro, ma ancora più gravi sono
quelli che viviamo noi, siamo noi i responsabili di una società che ha messo ai primi
posti l’immagine, l’apparire, il potere, il successo, la prestazione. Al massimo i giovani
imitano i modelli che la nostra generazione
ha costruito.
Quindi il primo passaggio riguarda noi, non
i giovani. Quello che serve non sono adulti ‘impeccabili’, ma veri, carichi di passione,
di autenticità, capaci di testimoniare con
l’esempio, direttamente, e non a parole, i
12
valori.
I giovani ci sono sempre
quando trovano punti di riferimento coerenti, credibili.
Che cosa è importante
dare ai giovani? Relazione
e ascolto. Quando gliele
dai rispondono sempre con
grande entusiasmo. I giovani non hanno bisogno
di qualcuno che dica loro
che cosa fare, ma che faccia
insieme a loro e poi, al momento buono, si
metta in disparte, per lasciare che imparino
a camminare con le loro gambe, nella libertà
e nella responsabilità.
Allora ci deve essere innanzitutto più umiltà
e coerenza da parte del mondo adulto, e la
consapevolezza che invece di preoccuparsi dei giovani, bisogna occuparsene di più,
non calando lezioni dall’alto, ma costruendo insieme, ascoltando, accompagnando,
creando le occasioni e le opportunità di
protagonismo.
Io noto che quando si offrono questi spazi,
queste opportunità, i giovani, o almeno la
stragrande maggioranza, hanno voglia di
mettersi in gioco.
E allora questa è la sfida: smetterla di dire
ai giovani “voi siete il nostro futuro” per demandare tutto a loro e rimandarlo in un indefinito domani. No, il futuro comincia oggi!
Oggi dobbiamo cominciare a costruire insieme, giovani e adulti, una nuova forza generatrice.
* Testo tratto dal libro “Il morso del più – incontri con don Luigi Ciotti, di Massimo Orlandi, Edizioni Romena, 2013.
Foto di Elisa Greco
Cari ragazzi,
riempite la vita di vita,
impegnate la vostra libertà
per chi libero non è.
Siate la coscienza critica
del mondo.
Siate sovversivi.”
Luigi Ciotti
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“Ragazzi, voi siete le frecce dell’arco di Dio”*
di Ermes Ronchi
Davanti a un pubblico di giovani, padre Ermes trova le parole più belle e
appassionate per invitarli al viaggio nella vita. Un percorso di cui riprendiamo
due passaggi: l’invito a “venerare il positivo che è in ciascuno”, e l’appello a
fidarsi del futuro
In questo incontro con voi vorrei mantenere
sullo sfondo la parabola della zizzania e del
buon grano.
Questa parabola mi ha cambiato la fede e la
vita. Avvenne in un lontano corso di esercizi
spirituali al liceo tenuto da uno dei grandi mistici del Novecento, Giovanni Vannucci.
Il messaggio finale che ci trasmise era questo:
venerate il positivo che è in voi, venerate tutti
i germi divini seminati in voi, fate che erompano in tutta la loro potenza, bellezza, energia,
e vedrete le tenebre scomparire e la zizzania
soffocare, senza più terreno, senza più respiro.
Padre Giovanni ci spiegava che lo sguardo di
Dio si posa sul buon grano, che per il padrone
del campo una spiga di buon grano vale più di
tutta l’erba cattiva. Così Dio ci dice “non strappate la zizzania”, perché rischiate di strapparmi le spighe: la fede cristiana non deve quindi
essere centrata sul paradigma del peccato, ma
sul paradigma della pienezza e della fecondità.
All’epoca noi in seminario facevamo l’esame
di coscienza tutte le sere; e padre Vannucci ci
diceva: il vero esame di coscienza non è quello
negativo dei difetti e delle colpe, ma quello
positivo, La domanda da farsi non è cosa ho
fatto di male, ma cosa ho fatto di bene: ho
dato qualcosa alla vita, ho coltivato il mio campo di grano, i germi di luce che la mano di Dio
ha seminato in me?
Di qui la domanda: chi sono io per Dio? Io
non sono la zizzania del mio campo, ma il mio
buon grano. Io non sono i miei limiti, ma le
mie maturazioni, non i miei difetti, ma le mie
potenzialità, i miei talenti, le mie risorse e nessuno ne è privo perché la mano di Dio non è la
mano di un cadavere, ma di un vivente.
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Secondo passo. Noi camminiamo nella vita
chiamati dal domani.
Per capire meglio mi appoggio al primo libro
della Bibbia: Dio creò l’uomo e lo pose in un
giardino perché lo coltivasse e lo custodisse.
Il giardino dell’Eden è dentro ciascuno di noi,
non è nostalgia ma progetto, non è nel passato, ma nel futuro. E mettere l’uomo nel giardino significa offrirgli le migliori possibilità. E in
questo spazio il primo verbo che Dio impiega nel dialogo con l’uomo è: “voi potete”. E il
primo verbo che Eva utilizza nel suo dialogo
con il serpente è “Noi possiamo mangiare”. La
Bibbia ci ricorda con il primo verbo, “tu puoi”,
che il senso della vita è una potenzialità, è
uno sviluppo, un crescere. Invece il serpente
usa come primo verbo “è vero che non dovete
mangiare” e presenta il rapporto con la vita
come una trappola di divieti.
Dio e l’uomo impiegano come primo verbo
quello che indica un sì alla vita, il nemico usa
quello del divieto, un no alla vita. L’uomo è figlio di una addizione, non di una sottrazione,
“voi potete”, certo c’è anche la proibizione, il
divieto è importante, ma è secondario, è nella
proporzione di uno a mille.
Ciò che Dio dice con il primo verbo sono le parole che rivelano ciò che è l’amore vero: il solo
amore vero è quello che ti obbliga a diventare
il meglio di ciò che puoi diventare.
L’amore di Dio non trattiene, tende i suoi figli
come frecce al suo arco e li invia verso il domani, inviati, ‘apostoli’, cioè frecce all’arco di dio.
E qui intravedo già una parte della mia identità: noi siamo al mondo non come esecutori di
ordini, ma come inventori di strade.
*Testo liberamente tratto dall’incontro sull’identità dei giovani, tenuto nella basilica di san Nicolò (Milano), nel gennaio 2014.
Amo gli adolescenti
perché tutto quello che fanno
lo fanno per la prima volta.
Foto di Marina del Castell
Jim morrison
15
Foto di Elisa Greco
Disperazione, Amore, Gioia.
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Chi ha queste tre rose
dentro il cuore
ha la giovinezza in sé,
per sé.
Christian Bobin
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“Dobbiamo educarli alla tenerezza”
di Achille Rossi*
Il senso di che il mondo virtuale sa riempire solo in apparenza costituisce la
trappola più pericolosa per i nostri ragazzi. Per evitarla don Achille Rossi, una
vita dedicata ai giovani, invita ogni educatore, ciascun adulto, a ripartire dalle
relazioni e dall’affettività
Ho l’impressione che i giovani di oggi siano stati defraudati dei sogni. I ragazzi non sognano più perché
non vengono dette parole che animino l’esistenza.
È come se fossero condannati a vivere di niente e
nessuno li avesse aiutati a costruire una base solida
per il viaggio della vita.
Di fronte a questa situazione diventa ancora più urgente chiedersi cosa significhi educare. In sostanza
l’impegno educativo non può che svilupparsi attorno alle relazioni umane.
Il vero bagaglio che resiste all’urto della vita si costruisce nella scoperta di un senso. Il senso libera
dal vuoto e dal nulla che assedia l’esistenza umana.
Oserei dire che il nichilismo vissuto oggi dai giovani
ha una tonalità affettiva più che intellettuale e ruota
attorno alla convinzione che non ci sia nulla per cui
valga la pena di spendersi e appassionarsi.
La solitudine crescente delle giovani generazioni
può essere guarita solo lasciandosi coinvolgere in
una relazione reale, che significa ascolto, condivisione di esperienza, cammino fatto insieme. I ragazzi
hanno bisogno di essere pensati, portati nel cuore.
Questa silenziosa relazione dà vita a una corrente
affettiva che libera dalla solitudine e fa fiorire l’esistenza umana come una continua nascita.
In un mondo travagliato dalla violenza uno dei
compiti fondamentali di chi ha la responsabilità dei
giovani è di educarli alla tenerezza. Non si tratta di
fare l’apologia del buonismo o della passività, ma di
essere convinti che la tenerezza è il vero principio
di realtà che si oppone alla violenza. La violenza, in
fondo, nasce dalla paura di vivere; la tenerezza, invece, custodisce la vita e la ripara.
Questa educazione alla tenerezza ha riflessi sul piano sociale e politico e porta immediatamente ad
appassionarsi agli ultimi, perché rende sensibili al
dolore altri.
Vorrei richiamare gli adulti a una evidenza solare:
non si educa con quello che si dice, ma con quello
che si è. Per aiutare i giovani a non soffocare nelle
spire della società degli adulti, c’è bisogno di adulti
che sappiano guardare oltre l’esistente e additare i
sentieri dell’impossibile. I giovani seguiranno, come
dimostra la storia di sempre.
Dobbiamo cominciare a vederli i giovani, perché la
società sembra che non se ne occupi affatto. Eppure
sono la parte più debole della popolazione: hanno
un lavoro precario, una sicurezza sociale pari a zero,
un futuro certo di povertà, quando verrà a mancare
il supporto dei genitori. I giovani interessano solo
come consumatori. Vederli significa porsi il problema del loro futuro, cercare soluzioni possibili alla
loro mancanza di lavoro, stimolare la politica a farsi
carico del loro avvenire. Se una comunità non riesce
ad ascoltarli si interrompe il filo che lega le varie generazioni e l’esito finale è che i giovani si smarriscono perché portano un bagaglio troppo leggero e gli
adulti intristiscono perché constatano il fallimento
dei loro ideali.
Forse è il caso di ricordare al mondo adulto che per
educare occorre entusiasmo, che non è l’euforia sentimentale, breve e passeggera, ma la consapevolezza della presenza del divino, come ricorda l’etimologia stessa della parola: en Thus (da Thoes) in Dio.
C’è un proverbio sufi che sintetizza alla perfezione
la qualità di un educatore: “Cosa fa di un uomo un
genio? La capacità di riconoscere. Riconoscere che
cosa? Una farfalla in un bruco, l’aquila in un uovo, il
santo in un essere umano egoista”.
*Don Achille conduce a Città di Castello (PG) un singolare esperimento educativo, un doposcuola che dura da oltre 40
anni. I passaggi di questo intervento sono tratti dal libro “L’educazione nel tessuto delle relazioni”, L’altrapagina 2014,
che sintetizza questo suo cammino da educatore.
18
Vi auguro
la cosa di cui avete
maggiormente bisogno.
L’innamoramento più vero,
più vivo, più forte.
Foto di Federica Marchi
Tonino Bello
I miei ragazzi mi insegnano
di Tamara Taiti*
Dalla cattedra un insegnante offre il suo sapere. Ma, se ha cuore aperto, riceve
molto di più: per esempio la possibilità di veder nascere, in ogni bruco, la
farfalla che è in lui.
Ho il privilegio di fare un lavoro meraviglioso:
tutte le mattine mi alzo e vado verso un nuovo
giorno nel quale incontro decine e decine di
giovani ai quali devo “insegnare”, trasmettere un sapere, una conoscenza, letteralmente
“lasciare un segno”, e che mi portano nel loro
mondo fatto di speranze, insicurezze, sogni,
difficoltà mentre io cerco di “educare” e cioè
“tirare fuori” la loro parte più autentica, più
vera e di accompagnarli in un cammino di crescita e di scoperta.
Non è un processo neutro. In questo percorso
la relazione è alla base di tutto e devi essere
disposto ogni volta a mettere in discussione le
tue certezze, a cambiare i tuoi piani e le tue
previsioni.
Se devo essere sincera ho un debole per i ragazzi “difficili”, quelli ai quali non piace studiare, che hanno perso la fiducia nella scuola
e che non sanno cosa fare della propria vita.
Quelli che quando entri in classe per la prima
volta ti provocano subito per vedere di che
stoffa sei fatta e per mettere subito in chiaro
che loro sono fuori dagli schemi e che non
sono interessati. Io mi domando sempre “chissà dove si è interrotto il loro rapporto di fiducia
con gli adulti, chissà chi li ha delusi e quando?”.
È bellissimo allora iniziare con delle attenzioni per loro, con dei gesti di fiducia e di stima
cui non sono abituati. Rispettare i loro tempi,
il loro bisogno di movimento, di aria. Mi faccio
insegnare cose che non so fare. Piccole cose,
piccoli segni che a loro non sfuggono e che
lentamente li fanno tornare ad appassionarsi
a quello che fanno, allo studio e quindi a pren-
20
dersi cura di se stessi e a trovare la propria
strada.
Sono sempre sorpresa e grata quando arriva
una confidenza, una richiesta di aiuto. Perché
ogni volta imparo qualcosa e il mio cuore fa
spazio all’altro. Imparo a tacere e a non proporre subito la mia soluzione. Imparo che è
sufficiente ascoltare perché mentre ascolti,
l’altro si libera del suo fardello e dentro di lui
comincia a farsi spazio una piccola luce che gli
farà intuire il cammino. Ho imparato che bisogna saper aspettare: tutte le crisi si superano,
quello che fa la differenza è solo il modo in cui
ci si sta e quindi “essere accanto” è quello che
mi è chiesto, niente altro.
Imparo che essere giusti non vuol dire fare
la stessa cosa con tutti, ma fare quello di cui
ognuno ha bisogno.
Per questo sono grata a tutti i miei ragazzi, a
tutte le loro crisi, i loro pianti, le loro rabbie perché da ognuno di loro ho “ricevuto un segno”
che resterà impresso nel mio cuore. Se penso
ai momenti che mi danno più emozione nel
mio lavoro, sono due: il primo è il giorno in cui
conosci una classe, quando guardi quei ragazzi
e ti chiedi che cosa ne uscirà, quali talenti sveleranno, quale futuro riusciranno a disegnarsi
e l’altro, ancora più bello, quando volano via
dopo l’esame, ormai uomini e donne pronti ad
affrontare il mondo, con quella luce negli occhi
colma di gratitudine e di curiosità per la vita
mentre tu, orgoglioso dei tuoi ragazzi, resti lì,
a scuola, con la silenziosa promessa che sarai
custode per sempre dei loro giorni andati, nei
quali il bruco ha lavorato per diventare farfalla.
*Tamara, collaboratrice della Fraternità di Romena, insegna in un Liceo di Sesto Fiorentino
Dietro ogni adolescente,
c’è sempre una bellezza,
un tesoro, una motivazione
che noi dobbiamo scoprire.
Dobbiamo accendere
un fuoco dentro
questi ragazzi
per farlo divampare.
Foto di amira_a
Eraldo Affinati
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Quello sguardo bambino che resiste al tempo
di Maria Teresa Abignente
Non se n’è mai andata, la gioventù. È ben nascosta, ma viva dentro ciascuno di noi.
È possibile, se non trovarla, almeno riconoscerla: è il riscoprire uno stupore, è il risentire
una freschezza, è il riaccendersi di una stella.
Ogni volta che ci penso mi sorprende: ogni volta
che guardo una stella e mi dico che potrebbe essersi spenta già da chissà quanti anni, un brivido
quasi di angoscia percorre il mio cuore. Io la vedo
brillare, è là, posso puntare il dito e seguirla nel suo
pulsare eppure non c’è, non esiste più. Morta.
Mi sgomenta il suo esserci e il suo contemporaneo
non esserci; come una doppia dimensione per me
incomprensibile: c’è e non c’è, morta e viva nello
stesso momento. E inevitabilmente la mente corre sul filo delle domande che si agganciano alla
prima, che scaturiscono da quella realtà che non
comprendo: è dunque possibile che ciò che per me
è reale in un dato istante sia irreale invece in un
altro istante? O in un altro spazio? È possibile che
ciò che vive sia invece morto e, dunque, è possibile
anche il contrario di questa affermazione?
Non ci arrivo a capire: guardo la stella e penso: “
forse è morta…” . Eppure mi sembra così bella. E
così viva. Non mi interessano le spiegazioni degli
astrofisici, non voglio calcolare quanti anni sono
passati prima che la luce di quella stella arrivi ai
miei occhi: il mio non è un ragionamento scientifico o un applicare delle formule; è una esperienza,
basata su ciò che vedo o credo di vedere, su ciò
che vivo.
A volte torna, sul nostro viso, un’espressione bambina come quella che immagino si dipinga sul mio
volto di fronte alla stella: accade, si manifesta e noi
non la vediamo, cioè non ce la vediamo addosso,
la regaliamo agli altri; lasciamo che gli altri, che
ci sono vicini, leggano sul nostro viso lo stupore,
la meraviglia, lo sgomento che proviamo. Mi piace che non possiamo vederci stampata sul viso
quell’aria bambina: penso che, se ce ne accorgessimo, faremmo di tutto per dissimularla, per alterarla, cercando di indossare la maschera di chi sa
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già tutto, di chi ‘non deve chiedere mai’.
Sorprendere sul viso questa espressione riporta indietro negli anni, a una freschezza quasi dimenticata, a una giovinezza che sembrava essersi persa.
Profuma di nuovo. Suscita quelle emozioni che ci
facevano sentire a volte invincibili e altre volte fragili e vulnerabili come carne viva: perché il succo
della giovinezza è proprio qui, nella contemporaneità del suo sbocciare e del suo bruciarsi, nella
labilità del confine tra riso e pianto. Sentimenti
dissonanti, a volte opposti che si susseguono nel
giro di attimi, ma sempre con la certezza inesauribile di avere forza, energia e voglia di rovesciare le
sorti del mondo intero.
Cesare Pavese parla del “mestiere di vivere”, che è
cosa terribilmente importante e raffinata: mestiere che si impara giorno dopo giorno, che non si
trasmette in eredità, che soprattutto non si è mai
sicuri di aver appreso una volta per tutte. Il più difficile tra tutti i mestieri. Si comincia ad impararlo
da piccoli, con la soddisfazione dei primi passi e
la delusione delle prime cadute, con le carezze
morbide e le sgridate amare: ci si allena un po’
alla volta, ma mai abbastanza e mai come nella
giovinezza sembra aspro e incerto. O immediato
e sicuro. Come la stella, che c’è e non c’è, si verifica
una coincidenza di stati che nel suo sovrapporsi
forse rendono possibile la luce.
E brilla in noi, anche quando quell’età è passata
da un pezzo, la tenue speranza di non aver perso
la prospettiva di un futuro, di poter capovolgere la
sorte, di possedere uno sguardo che fa vedere nuove tutte le cose. Mi convinco che è una questione di
occhi, solo di occhi, che riescono a trovare la vita,
tutta la vita, nelle cose che guardano.
Allora decido: la mia stella è viva.
Foto di Raffaele Quadri
Torniamo a guardare
come i bambini
e ad ascoltare
come gli innamorati.
Luigi Verdi
23
Viaggiare Sognare
31 Luglio
2 Agosto
2015
“Viaggiare, sognare, innamorarsi”. Parte da queste tre parole
la proposta che la Fraternità di Romena rivolge ai giovani
per il weekend 31 luglio – 2 agosto. Tre parole nelle quali ci
sono gli orizzonti, le emozioni, le paure, le speranze di tutti
i giovani. Tre parole da vivere, da respirare, da condividere.
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i
s
r
a
r
o
m
a
Inn
Stare insieme, confrontarsi, incontrare
testimoni del nostro tempo, ascoltare
musica del vivo, vivere momenti gioiosi
di festa: sarà questo il programma
di fondo della tre giorni dedicata ai
giovani.
La pieve, la fattoria, l’auditorium, i
prati di Romena saranno interamente
a disposizione dei ragazzi e dei loro
momenti insieme.
I giovani potranno venire singolarmente
o in gruppi, dormire negli spazi
della fraternità o in tenda, godere di
un’accoglienza semplice, ma piena di
calore. In quei giorni Romena sarà tutta
per loro.
Gli incontri di “Viaggiare sognare
innamorarsi” saranno animati dai
responsabili della Fraternità, da don
Luigi Verdi a Pier Luigi Ricci, ma
accoglieranno anche ospiti come Folco
Terzani e includeranno momenti di
incontro all’insegna della musica.
Info: 0575.582060
Se siete un gruppo di giovani ( età tra i 15 e 22 anni) già costituito il vostro
referente può mettersi in contatto al 328.4144396 (Paolo)
25
L
VE IBRO
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LU OV
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Luigi Verdi
prefazione
Card.
La chiesadella
tenerezza
“La chiesa che amo ha pietà negli occhi, ha
dolcezza nelle parole, tenerezza nei gesti. Si
nutre del silenzio, si ferma e accarezza i volti”.
È questo il sogno di don Luigi Verdi, il nostro
Gigi. Una Chiesa umile e consapevole della
propria fragilità; una Chiesa che respira e
dona libertà; una Chiesa leggera e con lo
sguardo innamorato. Un sogno che viene
rappresentato attraverso pensieri, poesie,
riflessioni nel suo ultimo libro “La chiesa
della tenerezza”.
Un libro di cui ci leggiamo in anteprima
l’introduzione, affidata a una grande figura
come quella di Walter Kasper, uno dei
cardinali più vicini a Papa Francesco.
26
M
Walter Kasper
La chiesadella
tenerezza
ISBN 978-88-89669-62-4 / € 10,00
disponibile on-line e in libreria
i è piaciuto molto questo libro,
perché “La chiesa della tenerezza” è la
chiesa che amo.
Non la chiesa della nostalgia, la chiesa del passato, come l’ho conosciuta e
amata da bambino, e che non tornerà
mai più a dispetto di tutti i tentativi che
le forze della restaurazione vorranno
mettere in atto. E neppure la chiesa di
un sogno utopistico, che non è di questo
mondo, ma quella dei pescatori, che siamo anche noi, la chiesa sporca e ferita,
ospedale da campo, non la chiesa senza
macchia e senza rughe, che solo alla fine
del tempo apparirà discendere dal cielo.
La chiesa qui descritta non è altro che
la chiesa di Gesù, di Gesù che camminava con gli uomini, entrava nelle loro
case, incontrava tutti con uno sguardo
di amore, di tenerezza, di misericordia,
che guariva e liberava, che amava sopratutto i poveri, i malati, i deboli, i rattristati, i piccoli, una chiesa umile, piena di
fiducia, che perdona, che è libera e che
libera.
Procedendo nella lettura, mi è risultato
chiaro che la chiesa di questo libro non
è solo la chiesa di Gesù che quasi duemila anni fa è vissuto in Palestina, no,
è la chiesa di Gesù Cristo, il Risorto ed
Asceso in cielo, il Figlio del Dio vivente,
che cammina anche oggi con noi, e con
le persone che incontriamo nella nostra
quotidianità; fratelli e sorelle che sono,
come noi, per via, con le loro domande,
le loro gioie e le loro angosce, e nei quali possiamo vedere il volto nascosto di
Gesù e toccare le sue ferite.
La chiesa della tenerezza, che amo, non
è un passato lontano né un futuro utopico, è un futuro che comincia oggi e
nello Spirito di Gesù risorge ogni giorno
di nuovo.
E questo libro, ricco di fascino spirituale
e umano, ci invita a far parte di essa e ad
entrare nella sua comunione.
“Venite e vedete!”
Card. Walter
Kasper
O
gnuno è alla ricerca di:
un po’ di pane,
un po’ di affetto
e di sentirsi a casa
da qualche parte.
Puoi ordinare tutte le Edizioni Romena on-line su
www.romena.it
27
27
Romena Incontri
17-18-19
Luglio
Dio
e un bacio
Alla ricerca di ciò che accende la vita
Con “Dio è un bacio” dal 17 al 19 luglio, proveremo
a cercare, a capire, ad ascoltare in profondità ciò
che davvero alimenta dal profondo la vita di tutti.
Con tante voci della saggezza, dell’arte, della
poesia, che ci aiuteranno in questo cammino.
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Dio è un bacio ”:
così il grande
monaco camaldolese Benedetto Calati
amava trasmettere l’indescrivibile bellezza
e tenerezza del divino, e anche la sua
inafferrabilità. E proprio da questa frase
che si svilupperà la tre giorni di incontri
organizza dal 17 al 19 luglio a Romena.
Teologi, scrittori, poeti, musicisti, testimoni
provenienti da cammini, esperienze, culture
diverse ci aiuteranno a proiettare lo sguardo
verso l’infinito, accompagnando il percorso
di ciascuno di noi nella ricerca del proprio
orizzonte spirituale. Aperte le iscrizioni.
Il cammino di “Dio è un bacio” si svilupperà
dalla sera di venerdì 17 al pomeriggio
di domenica 19 e ciascuno sarà libero di
partecipare a tutto il percorso oppure potrà
scegliere liberamente anche soltanto un
momento.
Venerdì sera il percorso si aprirà alle 21
con l’incontro concerto del chitarrista e
scrittore Luca Francioso che porterà
in dote le sue atmosfere musicali delicate
e la sua grande sensibilità.
Sabato protagonisti saranno uno dei più
grandi e prestigiosi teologi europei, lo
spagnolo Josè Castillo, noto per le
sue posizioni aperte e liberanti, e ancora
Lidia Maggi, teologa e pastora battista,
capace con intuizione femminile e sapienza
di guidarci ed emozionarci nell’incontro
con la Bibbia, e di Livia Candiani ,
poetessa di straordinaria sensibilità che ci
condurrà tra i suoi versi e tra quelli scritti
dai bambini, ai quali trasmette l’amore per
la poesia.
Una serata scoppiettante e divertente con
il Quartetto Euphoria , quartetto
d’archi famoso per le sue parodie in musica
(una sorta di Banda Osiris al femminile)
chiuderà la giornata.
Domenica, per chi vorrà, la sveglia suonerà
prestissimo. Alle 5 in punto attenderemo
l’alba accompagnati ancora dal Quartetto
d’archi, questa volta in versione classica:
un lieve tappeto musicale che si intonerà
con la musica della natura al risveglio.
Quindi ancora due grandi figure:
Sharazad Houshmand , teologa
musulmana che insegna all’università di
Roma, fortemente impegnata nel dialogo
interreligioso, e Paolo Ricca, teologo
e pastore valdese che ha ispirato con i
suoi scritti Roberto Benigni per i suoi dieci
comandamenti televisivi.
La domenica pomeriggio il percorso
si concluderà con l’incontro con
Moni Ovadia, artista geniale, scrittore,
acuto testimone dei nostri tempi.
L’intero percorso sarà accompagnato
da letture, brevi recitati, racconti
proposti dall’autrice e attrice
Elisabetta Salvatori.
Tutti i momenti delle giornate, quelli di incontro e quelli
ricreativi, si svilupperanno tra la pieve, i prati circostanti,
la fattoria e l’auditorium, ormai in fase di completamento.
Info sul sito www.romena.it
Per informazioni e iscrizioni:
tel: 339 7055339 nei seguenti orari: LUN - MER - VEN dalle 15,30 alle 18,30
email: [email protected]
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Uomo dove sei?
18-19-20 Settembre
Le grandi domande di Dio a uomini e donne di
questo tempo sono al centro del nostro secondo
grande incontro di quest’anno, “Uomo dove sei?”,
in programma dal 18 al 20 settembre.
“Dove sei Adamo?» è questa la prima
domanda che Dio fa all’uomo. Ne segue una
seconda, questa volta indirizzata a Caino:
“Dov’è tuo fratello?”
Due domande per capire ciò che più conta:
dove ci troviamo, e che relazione abbiamo
con il nostro prossimo. Queste domande
saranno al centro del secondo incontro di
quest’anno della Fraternità, “Uomo, dove
sei?” in programma da venerdì 18 a domenica
20 settembre.
Dove siamo? Dove sta andando la nostra
umanità? In che modo stiamo utilizzando
quel meraviglioso dono che è la vita? E come
viviamo la relazione con gli altri?
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Interrogativi come questi saranno al centro
del cammino che si svilupperà come sempre
con i contributi di testimoni preziosi: saranno
con noi la presidente di Emergency Cecilia
Str ada , la teologa Antonietta
Potente , lo scrittore Maurizio
Maggiani , due grandi testimoni di
fede come suor Rita Giaretta e don
Antonio Mazzi, e ancora il cardinale
Walter Kasper uno dei collaboratori più
stretti di Papa Francesco e un grande amico
di Romena come don Luigi Ciotti.
Il percorso sarà come sempre arricchito
da contributi artistici: la sera del sabato è
previsto un recital del compositore e attore
Luca Mauceri.
Info: 339.7055339 [email protected]
Annunci vari
Corsi a tema
TEMPO DI FRATERNITÀ
DAL 10 AL 20 AGOSTO 2015
Un periodo di “casa aperta”, di fraternità, dove
ogni giorno è proposta un’armonia tra preghiera, lavoro e condivisione. Chiunque può parteciparvi.
Info e iscrizioni: aperte al n. 0575 582060 (escl.
martedì)
CUSTODIRE L’AMORE
11-13 SETTEMBRE
Delicato come un germoglio, indifeso come un
bambino,tremante come una candela al vento:
questo è il nostro amore.
Iscrizioni: dal 1° agosto al n. 0575 582060
(escl. martedì)
“FACCIAMO L’UOMO”
16-18 OTTOBRE
Corso Biblico con GIANNI MARMORINI
Cosa si nasconde dietro i gesti e le parole della
creazione? Perchè Dio ha voluto dare una forma ad un suo sogno?
Iscrizioni: dal 1° settembre al n. 0575 582060
(escl. martedì)
DOMANDE SU DIO E SULL’UOMO
30 NOVEMBRE - 1 OTTOBRE
con J. GAILLOT, vescovo francese
In chi e in che cosa crediamo? Un tempo di
scambio e di interrogativi, oltre gli schemi e le
abitudini, per scrutare responsabilmente l’orizzonte delle nostre relazioni e scelte.
Iscrizioni: dal 1° ottobre al n. 0575 582060
(escl. martedì)
CANTARE LA VITA, L’AMORE, IL DOLORE
6-8 NOVEMBRE
con LIDIA MAGGI
La teologa e pastora battista, guida di viaggi
appassionanti dentro il mare sconfinato della
Bibbia ci porta questa volta a incontrare i Salmi, e ci invita a pregare, a cantare, a gioire con
queste perle di poesia che l’uomo offre a Dio.
Iscrizioni: dal 1° ottobre al n. 0575 582060
(escl. martedì)
Appuntamenti dei gruppi
FAMIGLIE e NAIN
Romena dedica una domenica al mese alle
Famiglie e ai genitori colpiti dal lutto più grande,
la perdita di un figlio.
FAMIGLIE
26 luglio L’Uomo-Padre
13 settembre I Figli: la via dell’Incontro
4 ottobre Vivere i Conflitti
8 novembre Creatività e Gentilezza
6 dicembre Tornare Bambini
Info: [email protected]
NAIN
23 agosto Dove posso trovarti?
18 ottobre Perchè vivere il presente?
15 novembre Come ridarti vita?
20 dicembre È Natale e mi manchi di più
Info: [email protected]
Per articoli, pubblicazioni delle Edizioni Romena,
foto, audio degli incontri e altro ancora seguici
su: WWW.ROMENA.IT Iscriviti alla nostra
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organizzati dalla Fraternità.
UN CONTRIBUTO: il giornalino è una
pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le
persone che hanno partecipato ai corsi di Romena o
ne abbiano fatto richiesta. Aiutateci a sostenere le
spese di realizzazione e spedizione inviando il vostro
contributo col bollettino allegato, oppure effettuate
un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a
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postale IBAN:
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bancario IBAN:
IT 27 L 05390 05458 00000 0003260
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telefonare al nostro numero 0575.582060.
Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del
mese precedente il corso stesso.
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I giovani sono come le rondini:
sentono il tempo, sentono la stagione:
Foto di: Maurizio Carlino
Q uando viene la primavera
essi si muovono ordinatamente,
sospinti da un invincibile istinto vitale
che indica loro la rotta e i porti
verso la terra
ove la primavera è in fiore!
Giorgio La Pira
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