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2014/3-Osare passi nuovi

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2014/3-Osare passi nuovi
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVIII n° 3 / 2014
Osare
passi nuovi
1
SOMMARIO
3
Primapagina
Ogni novità è preceduta da un sogno
6
Cammina eretto, e lascia agire la vita
Abbiate il coraggio dell’eresia
10 Verità è ciò che fa fiorire la vita
Scegliere il movimento della vita
4
8
12
14 Dobbiamo accendere un fuoco nei nostri ragazzi
Un cardinale a Romena
20 Obbedire solo alla felicità
La terra è la mia preghiera
24 I giorni dello stupore
trimestrale
Anno XVIII - Numero 3 - Dicembre 2014
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - [email protected]
Il giornalino è anche online su
www.romena.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo
FOTO:
Piero Checcaglini, Paolo Dalle Nogare,
Kenneth Fernandes Gallinelli
Copertina: Paolo Dalle Nogare
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Wolfgang Fasser,
Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
22
Natale a Romena
26
Agenda 2015
30
28 La nuova veglia
31 Annunci vari
18
Claudia Francardi è la moglie di Antonio Santarelli, il carabiniere morto per i postumi di una
aggressione subita nel 2011 durante un posto di blocco, nel grossetano. Irene Sisi è la mamma
di Matteo, il giovane diciannovenne che ha ferito brutalmente Antonio.
Il destino indirizza queste due donne, inevitabilmente, su due fronti avversi.
Tra di loro si alza la barriera di un lutto irrisarcibile, la divisione è segnata dallo squarcio di
quella ferita che spezza la loro esistenza in un prima e in un dopo.
Quanto costa il passo nuovo a queste due donne? Costa tutto, perché vale tutto.
Chiamerei miracolo la loro disponibilità a avvicinarsi cautamente, poi a incontrarsi, a diventare
addirittura amiche, sino a coinvolgere Matteo in questo cammino di riconciliazione. Ma la parola ha solo il senso di indicare lo stupore per quello che accade, non la sua rapidità. In realtà
il movimento di questo passo è lentissimo, è un fiume carsico che, solo a costo di tanta fatica e
sofferenza, riporta il profumo della vita dove si annidava solo disperazione.
Ogni cambiamento vero, radicale, non può che essere così: se anche noi vogliamo provare a
cambiare qualcosa di assestato e di collaudato nella nostra vita, dobbiamo sapere che dovremo
erodere roccia, aprire fessure, esporci, nella nostra massima vulnerabilità.
“Credo nell’amore” dicono Claudia e Irene nel silenzio delle loro lunghe notti agitate e insonni,
Lo dicono senza dirlo, come se accendessero un fiammifero in una notte nera.
Nel loro cammino di ascolto reciproco e di incontro sanno fidarsi del poco perché sentono che la
sovrabbondanza della notte è solo lo spazio infinito in cui può muoversi la speranza della luce.
Osare passi nuovi. In questo giornalino troverete il tema declinato in molti modi diversi, grazie
al contributo di alcuni dei testimoni che hanno animato i nostri grandi incontri di luglio e di
settembre.
Anche Irene e Claudia sono venute a Romena per questo. Ma il loro incontro, per me, tiene
insieme tutti gli altri, perché ci fa sentire sulla pelle il peso specifico di tutti i passaggi verso il
nuovo. Si cambia, ci dicono le due donne, solo se ci si mette in gioco totalmente, senza far sconti
a ciò che sentiamo dentro, si cambia, aggiungono, solo se ci si nutre di una fiducia senza limiti.
Irene e Claudia, con la loro storia, ci chiamano a guardare oltre ogni modello di amore basato
sull’efficienza e sulla diligenza, un amore che però arretra o alza comprensibili barricate quando
la vita ci ferisce.
Il passo che loro hanno sperimentato conduce a un amore fatto di dismisura e di misericordia,
un amore che rischia di disorientarci, tanto è distante dalle nostre convenzioni.
Eppure è questo il passo nuovo più vero e rivoluzionario, è così che si partecipa nella maniera
più integrale al disegno d’amore del creato.
È questo il cuore della fede che professiamo senza avere, spesso, il coraggio di viverla.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
Quando Claudia appoggia la prima parola sui nostri sguardi già sente che sì, oggi può permetterselo. Può permettersi la libertà di mettere dentro le parole tutto il dolore che ha dentro, può
lasciare che le lacrime parlino con lei. Anche Irene sente che può tirar fuori quella storia che le
serra la gola, e non fa nulla per trattenerla.
Ma che succede, oggi, a Romena? Succede che queste due donne ci stanno mostrando concretamente come si percorre, nella vita, quel passo che ci rende nuovi. E il loro è uno dei passi più
difficili, ma anche uno dei più decisivi: è il passo che cambia la qualità dell’amore.
Ogni novità è preceduta da un sogno
di Luigi Verdi
Con questa meditazione don Luigi ha aperto il cammino di “Osare passi nuovi”,
scegliendo la parola che ci sembra più lontana e impalpabile, come unità di
misura del nostro desiderio di cambiamento…
La prima parola che mi viene in mente, la parola che sento più urgente per affrontare questo
tema è la parola sogno. C’è bisogno di sognarli,
i passi nuovi, molto prima che pensarli.
Allo stesso tempo sento invece il peso di un’altra parola, quella che ci sembra più pratica, più
adatta: la parola volontà.
Ha scritto Ernest Bloch: “Il nuovo non è mai totalmente nuovo, lo precede sempre un sogno”.
Non è possibile dirigere la nostra vita a colpi di
volontà, stringendo sempre i denti, misurando e
progettando la nostra resistenza. Alla lunga non
funziona, alla lunga si cede.
Non si cresce per forza di volontà, ma se si segue la scia dei nostri sogni.
Perciò la volontà non serve, e non serve nemmeno quello che chiamiamo senso della realtà,
o realismo. Tante volte ci sentiamo dire, “mi raccomando, sii realista” pensando che il realismo
sia un elemento positivo, un modo bilanciato e
concreto di guardare ciò che viviamo.
Ma il realismo non fotografa la realtà, piuttosto
la frena: non ce la fa guardare per migliorarla,
ma per trattenerla.
Sono invece i sogni che producono la realtà,
perché le offrono una direzione, un obiettivo, un
tesoro da scoprire.
Questo luogo, Romena, io prima l’ho sognato
poi è diventato realtà. Se non avessi avuto quel
sogno forte, pungente, che non mi faceva arrendere, che non mi faceva frenare di fronte alle difficoltà e alle delusioni non avrei toccato la vita.
I sogni che coltiviamo dentro, nel profondo,
sono la misura più realistica della nostra vita e
del nostro bisogno di felicità: se pensiamo ai nostri momenti più infelici ci accorgiamo che sono
i momenti in cui non ci è stato possibile abitare i
nostri sogni, per esempio i sogni di amore.
L’unico modo per essere davvero felici è che un
sogno divenga vita.
4
Ma tutte queste cose, in fondo le sappiamo.
Perché allora oggi abbiamo spinto i sogni in una
dimensione così lontana, perché ci riesce così
difficile avvicinarli a noi?
Io credo che questo accada perché la nostra
generazione non sa più cos’è la fatica.Se non
sai faticare, se non ti sforzi, non puoi raggiungere un sogno.
Nella chiesa si usa la parola sacrificio, e non va
bene, sacrificio è fare una cosa quasi senza di
me, sottomesso a quello che faccio. Quello che
non ci riesce è piuttosto la fatica, la fatica dei
contadini, la fatica di un fiore nel farsi frutto, lo
sforzo che è dentro la vita,
“Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal
naso” dice una canzone di Fabrizio De André:
senza sforzo, senza essere disposti a far uscire
sangue, non puoi raggiungere un sogno.
Che questi giorni insieme ci aiutino a fare uno
sforzo, nella consapevolezza che il passo che
occorre a tutti noi è qui, all’orizzonte, è il passo
che marca la differenza tra la paura di vivere e
il coraggio. È il passo che ci porta a osservare
invece che a guardare, ad ascoltare piuttosto
che a sentire, ad agire e non solo a desiderare,
a vivere, piuttosto che a esistere.
Un’ultima cosa. Dobbiamo avere la consapevolezza che i passi nuovi è difficile farli nascere
da soli.
Ci serve un po’ di fiducia, ci occorre qualcuno
che ci dia fiducia. Dio ha questa capacità. Dio
si fida di noi. Quando uno vuol dare fiducia è
come se ti desse un credito. Ci vuole qualcuno che ti dia fiducia, che ti dica “prendi, me lo
ridai quando ce l’hai”. Dio fa così con noi. Proviamo a raccogliere questo credito. Dio a ogni
alba ci dà bellezza, semplicità, una possibilità
nuova e un credito che, se abbiamo coraggio,
se ci metteremo fatica e impegno, a sera potremo restituire.
Accolgo la fragilità dei giorni
e li impasto come il pane.
Osservo segnali lontani
fra le nostre case
oltre la folla,
un vento sereno
di semente
viene dal futuro.
Luigi Verdi
5
Passi nuovi dell’uomo
“Cammina eretto, e lascia agire la vita”
di Wolfgang Fasser
Il cambiamento è necessario, come l’aria. Ma per attivarlo non basta la volontà
di un attimo. Occorre superare le nostre resistenze, ritrovare coraggio e,
soprattutto, non aver paura di sbagliare.
Per questo incontro non
sono venuto da solo. Ho portato con me questa bella scopa fatta a mano da un contadino di Quorle. Lo conoscete
il proverbio? “Con la scopa
nuova, spazzi meglio”.
Cosa vuol dire? Che come
tutte le cose anche la scopa ha la sua vita. A un certo
punto finisce. Arriva un momento in cui occorre metterla via e farsene una nuova.
Così nella nostra vita arriva un momento in
cui dobbiamo mettere da una parte strumenti, cioè idee, pensieri, modi di vedere
che hanno funzionato sin qui, ma che hanno
esaurito il loro compito.
Osare passi nuovi. Il primo passaggio che occorre è quello di andare oltre le abitudini. Dice
Nelson Mandela: “Non fuggire dai problemi,
affrontali, perché se non li affronti rimarranno sempre con te”. Le abitudini sono appiccicose, sono come la scopa vecchia che non
troviamo mai tempo e modo di cambiare. Ma
il movimento della vita vuole altro: ci chiede
di rinnovarci, di rispondere alle sfide nuove,
ci chiede una disponibilità al cambiamento.
Finché resistiamo alle novità pensando di
poter controllare la nostra vita e per controllarla le abitudini sono l’alleato migliore. I
passi nuovi possono arrivare quando ci prepariamo a dire sì, quando realizziamo che
solo una scopa nuova potrà spazzare meglio.
Vedete, gli inviti a esporsi
al cambiamento, in questa
società, arrivano di continuo. Pensiamo ai problemi
dell’ambiente, li conosciamo
benissimo, siamo informati,
ciò che manca è il rendersi
disponibili a fare qualcosa di
nostro, a intervenire in prima persona. Quando questa
disponibilità c’è, anche con
poco si può fare tanto. Ne
abbiamo di testimonianze di
persone che si mettono in moto e vivono
un’alternativa.
Insieme alla disponibilità, il coraggio. Ci vuole ardore, l’ardore è quel coraggio che nasce
dall’amalgama fra pensiero, parola e azione.
Deve nascere dal di dentro, non come una
reazione muscolare, forte, ma come una
fiamma costante che sentiamo maturare
dentro di noi.
Io non credo nell’attivismo di chi confeziona
programmi, strategie, tempi per il cambiamento, senza avere una meta chiara davanti
a sé. Non funziona. È come quando facciamo
un grande fuoco di paglia, lì per lì le fiamme
salgono altissime, ma dopo 10 minuti il fuoco è già spento.
Avete presente invece quando di sera in
campagna, prima di andare a letto si lascia
nel camino quella bella brace e la si ricopre
di cenere? La mattina soffi la cenere e ritrovi
la brace.
Sintesi dell’incontro Osare passi nuovi. Ascoltalo integralmente su www.romena.it
6
Ecco, quello è l’ardore: è quel bruciare che
dura, è un entusiasmo costante, è quell’intenzione che sentiamo unita dentro di
noi.
Quando abbiamo sentito forte dentro di
noi il bisogno di cambiare, quando c’è
questa fiamma che arde, non dobbiamo
far altro che cominciare a orientarci verso il nuovo, superando l’ultimo ostacolo
che resta: la paura di sbagliare. Abbandoniamo l’idea di riuscire sempre bene,
di avere subito un successo con cose che
facciamo la prima volta. Siamo allievi in
questa vita, allievi per sempre. Dobbiamo sperimentare. Quest’anno a Quorle
è venuta a trovarci una ragazza thailandese, ci ha comunicato il suo modo di
stare in cucina, come se cucinare fosse
una meditazione. Le ho dato spazio, ho
lasciato fare, la cucina è divenuta un tempio, un po’ anomalo forse. Non è detto
che d’ora in poi si cucinerà così: ma intanto abbiamo sperimentato questo modo
di mangiare più calmo, meno frenetico.
È necessario sperimentare, per poter poi
verificare. I passi nuovi necessitano di pescare a piene mani dalla tradizione, ma
anche di affidarsi al vento della vita.
Giosuè Boesch, caro fratello saggio di
Romena diceva: “Sii eretto e cammina
eretto, e lascialo agire attraverso di te”.
Stai dritto, sii fiero di quello che sei, non
stare in poltrona a lamentarti, muoviti e
poi lascialo agire: io non credo nell’atteggiamento arrogante di chi pensa di poter
fare tutto da sé, credo in quel “lascialo
fare”, che significa tenere un abbraccio
aperto verso la vita, consapevoli che ci
sia qualcosa di più grande di noi.
Osare passi nuovi, allora. Perché è importante accettare quest’invito a migliorare
la vita nostra e quella degli altri, a partecipare, a rendere più umano questo
mondo. “Dio – dice Desmond Tutu – ha
soltanto noi, Dio ha bisogno di noi. Noi
siamo mani, piedi e testa di Dio”.
Buon cammino di vita a tutti.
7
Passi nuovi nella società
“Abbiate il coraggio dell’eresia”
di Luigi Ciotti
È il momento più atteso dell’incontro di luglio. Sarà indimenticabile come ogni
incontro con don Ciotti. “Rischiamo il coraggio” è il suo tema, è l’espressione della
sua vita, un darsi totale alla fame di giustizia e di verità. Difficile spremere il senso
del suo bellissimo intervento. Ma lui saprà farlo, con il suo saluto conclusivo…
C’è un’onda in piena che non
travolge l’Italia distruggendola, come fanno i temporali
d’autunno. È un’onda buona,
l’onda di chi non accetta che
siano sempre i furbi e i prepotenti a sfangarla. L’onda buona di chi legge il Vangelo una
riga alla volta, perché ha bisogno di viverlo nei fatti: “Fame
e sete di giustizia””Avevo sete
e mi avete dato da bere”. Don
Luigi Ciotti è da più di quarant’anni parte di quest’onda, con il gruppo Abele, con
Libera, e in ogni parte d’Italia la rappresenta,
mostrando che c’è un Paese che ha il coraggio
dell’umiltà e della responsabilità, dell’indignazione e della verità.
A Romena, per l’incontro “Rischiamo il coraggio” Luigi ci racconta quest’Italia, la fa vibrare
nelle sue parole, la fa risuonare nella testimonianza di altri preti come lui. “Rischiamo
di morire di prudenza in un mondo che non
vuole e non può attendere” ci dice ricordando
Primo Mazzolari, “Dobbiamo essere cristiani
sovversivi” aggiunge innalzando il nome di
Tonino Bello. Davanti ai suoi appunti sparsi,
nel ventre caldo di una chiesa straripante, don
Luigi richiama la gravità del periodo che stiamo vivendo, con i 6 milioni di italiani in condizione di povertà assoluta, con i 7 senza lavoro.
E con i meccanismi di criminalità e di corruzione che invece non conoscono crisi, tutt’altro. E in questo contesto, già difficile, trova
terreno fertile, l’idea che tutto è segnato, che
nulla può cambiare: “È la rassegnazione, l’in-
differenza, il cinismo, è
questa mafiosità diffusa
il vero patrimonio delle
mafie, prima ancora del
patrimonio economico”.
Davanti a questa pericolosa cristallizzazione verso il
basso don Luigi esorta ad
abbandonare gli schemi
di chi vuol mettersi l’animo in pace: “Ci vuole il coraggio di dire “Io ci sono”.
Perché la democrazia si
fonda su grandi doni: la
dignità umana e la giustizia. Ma non starà mai in piedi se non c’è una
terza gamba che la sorregge, ed è la responsabilità”.
È un grande esame di coscienza collettivo
quello cui ci risveglia don Luigi, non dimenticando di invitarci a guardare anche dentro
le pieghe del nostro attivismo: “Sai qual è la
prima riforma che oggi deve essere fatta nella
nostra società? È un’autoriforma, una riforma
di noi stessi, delle nostre coscienze. Perché
ciascuno di noi, nelle nostre associazioni, rischia la malattia del potere. Il potere non è
abuso, è servizio, il potere non è opacità è trasparenza, il potere non è solo competenza, è
integrità morale”.
Passano in un istante due ore così, con don
Ciotti, con i suoi morsi del più, con la spinta
a dare di più, a fare di più, a uscire dal guscio.
Ma la perla di questa giornata arriva alla fine,
sulla scia di quel lungo, interminabile applauso. Arriva quando Luigi si riprende il microfono per il saluto più inatteso…
Sintesi dell’incontro Rischiamo il coraggio. Ascoltalo integralmente su www.romena.it
8
Vi auguro di essere eretici
Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in
questo senso è colui che più della verità
ama la ricerca della verità.
E allora io ve lo auguro di cuore questo
coraggio dell’eresia.
Vi auguro l’eresia dei fatti prima che
delle parole, l’eresia che sta nell’etica
prima che nei discorsi.
Vi auguro l’eresia della coerenza, del
coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno.
Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora
libero non è.
Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi
approfondisce, chi si mette in gioco in
quello che fa.
Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia
una fatalità.
Eretico è chi non cede alla tentazione
del cinismo e dell’indifferenza.
Chi crede che solo nel noi, l’io possa
trovare una realizzazione.
Eretico è chi ha il coraggio di avere più
coraggio.
Luigi Ciotti
Passi nuovi nella fede
“Verità è ciò che fa fiorire la vita”
di Maria Teresa Abignente
Come comprendere che i passi nuovi nel cammino di vita e di fede sono
orientati nella giusta direzione? Vito Mancuso, teologo, ci offre alcune preziose
indicazioni. E questo è solo uno dei frutti del bellissimo e affollatissimo incontro
con lui, un intenso abbraccio di calore e di vita tra il teologo e la fraternità…
Credere in Dio vuol dire guardare la vita e ritenere che
questa vita viene dal bene e
va verso il bene.
Sono le prime parole che
Vito Mancuso ha pronunciato a Romena durante l’incontro di settembre all’inizio
del quale si era presentato
così: “Chi sono io veramente,
interpretando il mio nome e
il mio cognome? Vito=vita,
Mancuso=mancino, in dialetto siciliano, oppure mancus
cioè manchevole, storpio in latino. Io sono vita manchevole,
vita ferita. Gli indiani hanno Toro seduto, Aquila
silenziosa…, io mi presento come “Vita ferita”: fin
da bambino ho sempre avuto la sensazione che la
vita sia una ferita, la freccia di cui parla il Buddha,
che colpisce ogni persona.”
Ma Vito Mancuso è anche un teologo, di quelli scomodi e provocatori, uno di quelli che sta
sul confine a fare da sentinella, bene attento a
vigilare. :“Occorre essere sui confini, con un piede
che sta collegato alla tradizione, al passato, alla
dottrina, che ama la liturgia, ama le Scritture, la
tradizione, la Sacra Scrittura, il Vangelo e un piede che ascolta invece tutte le provocazioni, tutte
le novità, le problematiche che la vita del mondo
presenta. E questo per far camminare, per far crescere non la dottrina, ma la mente dei credenti,
cioè la vita concreta delle persone concrete.
Molti dicono che sono un eretico, ma io voglio
continuare ad avere questa possibilità di aria libera e voglio restare fedele alle mie intuizioni e
alla mia coscienza: sono un teologo laico, non un
teologo ecclesiastico. Quando
scrivo, il mio interlocutore non
è la Chiesa cattolica, anche se
spero di poter dare un contributo alla Chiesa, ma il mio interlocutore, quando penso, è il
mondo, è la coscienza contemporanea, postmoderna, laica.
Oggi siamo tutti nella sensazione dell’esilio, ci sentiamo
tutti nella vita come estranei,
al freddo. Ci chiediamo perché
sono nato? Cosa ci faccio qui?
E sentiamo allora il bisogno di
pane, di una carezza…
A questo punto per me interviene la religione. Amo molto la parola religione,
denigrata da alcuni forse troppi, e soffro per come
sia disprezzata.
Il termine ‘religione’ significa invece ‘legare, collegare’, significa in fondo l’armonia che fa sì che le
cose si uniscano. E quindi il nome ‘religione’ e il
nome ‘amore’ dicono la medesima tensione che
attraversa le cose, che fa sì che dal caos possano
sorgere fenomeni ordinati; tutto è aggregazione:
l’aria, l’acqua, la terra, il sole. Che cosa le tiene
insieme, che cosa le aggrega? il logos, o se volete
l’amore, o se volete la madre materia.
Abbiamo bisogno di consolazione, di guarire cioè
la ferita che la vita ci consegna venendo al mondo e per me è consolante quando quella forza che
collega gli elementi, che è all’origine del mondo e
che io ritengo Dio, viene accolta dentro di te consapevolmente e tu provi a riprodurla dentro e fuori di te. Diventando a tua volta un seme, un fattore, un elemento di armonia. Quando cioè capisci
che sei qui per amare, per collegarti, per esporti
Sintesi dell’incontro Osare passi nuovi. Ascoltalo integralmente su www.romena.it
10
alla luce del bene e diffondere la luce del bene,
dell’armonia, dell’intelligenza, della comprensione, e la riproduci: questo per me è terapeutico e
allora la freccia dell’esistenza, la ferita della mia
vita, mi fa meno male.”
In Pieve regna il silenzio, un silenzio che scalda
e fa bene al cuore: sono parole che accarezzano anche le nostre ferite. Sono parole che spiegano, che aprono cioè le pieghe nelle quali si
sono avvolte per svelare un significato autentico e più vicino alla vita.
“In latino primavera si dice ver-veris, ed è la medesima radice di vero e verità; è importante fare
ricognizioni filologiche, non per fare l’erudito, ma
per scoprire da quale impressione è nata quella
parola. Gli uomini sono giunti ad elaborare il concetto di verità in funzione della fioritura dell’essere:
è vera una cosa che fa fiorire la vita. E allora capite
bene che la verità non è più uno schema, un dogma che lega, che disciplina, che comprime, che
ferma, o di fronte al quale stai immobile. La verità
è ciò che ti fa verdeggiare: è vero tutto ciò che serve
alla fioritura della vita. Gesù la pensava allo stesso
modo, altrimenti non avrebbe potuto dire in Giovanni 3, 21: “Chi fa la verità viene alla luce!”
Com’è bella questa dimensione primaverile della
verità: sei chiamato a fare la verità, a introdurre
energia luminosa e positiva nei sistemi, a dare speranza alle persone, a farle fiorire, a dirgli di sì, a introdurre pensieri di purificazione. Invece il termine
verità, nella comune accezione, è uno dei più ambigui, maltrattati, diventa quasi un’arma: nel nome
della custodia della verità, del patrimonio dogmatico, sono state uccise e torturate molte persone.”
Sembra quasi di respirarla questa primavera
ora, sembra quasi che questa pressione della
vita che vuol fiorire abbia trovato un terreno
fertile dal quale succhiare linfa per poi slanciarsi verso l’alto. Inevitabile non pensare a papa
Francesco, ai suoi gesti umili, alle parole sussurrate, al vento nuovo che sembra voler spazzare
la polvere accumulata; ma Vito è una sentinella e continua a vegliare: “bisogna verificare che
questi gesti, questa tensione ideale del Papa, davanti alla quale sono felice e a volte commosso,
come nel giorno della sua elezione, quando si è inchinato davanti al popolo per chiedere la sua benedizione, si concretizzino in azioni di governo.”
È ora di andare, di alzarsi dalle sedie e mettersi
in cammino, con gli occhi lucidi e il cuore caldo
perché “la vita preme su di noi, la pressione della
vita a volte è una carezza, a volte un graffio, ma
continuamente preme”.
11
Passi nuovi nell’amore
“Scegliere il movimento della vita”
di Maria Teresa Abignente
Nessuno dei presenti, in quel sabato pomeriggio di luglio, potrà togliersi di
dosso lo sguardo di quelle due donne, Claudia e Irene, le loro lacrime, il loro
dolore, ma anche il loro credere nella forza della vita. È una storia terribile,
quella da cui partono: è un meraviglioso cammino di amore, nel segno del
perdono, quello che ci raccontano.
La vita, quella vera, sosteneva Giovanni Vannucci, fa un movimento
opposto rispetto alla
legge di gravità: sale
verso l’alto, si slancia
verso il cielo superando
le leggi della fisica, basta guardare un germoglio o il semplice crescere di un bambino.
Ci sono però alcune situazioni in cui sarebbe naturale lasciarsi trascinare verso il basso da sentimenti come la rabbia, la vendetta, l’odio; occasioni in cui sarebbe logico seguire la naturale legge della pesantezza; ma, quando si innesta la vita, si può
invertire questo movimento, si può ascendere,
provare ad andare in alto, come il prepotente
seme nella terra ed esprimere così sentimenti
di vita, anche laddove la morte sembrerebbe
la cosa più naturale, o quella più sensata.
La storia di Claudia e Irene fa così, va contro
ogni logica.
Tutto comincia una mattina, la mattina del 25
aprile 2011: il marito di Claudia sta lavorando,
è un carabiniere a un posto di blocco. In quel
momento il figlio di Irene, Matteo, che si trova
in macchina con altri amici viene fermato dai
carabinieri e risulta positivo all’alcool test: a
quel punto Matteo ha una reazione spropositata, aggredisce Antonio, il marito di Claudia,
con un bastone e lo ferisce molto gravemente.
Antonio resterà in coma
tredici mesi per poi morire. Questa la cruda storia.
Antonio e Matteo non
sono con noi oggi in pieve
ma a raccontarli e farceli conoscere ci sono una
moglie e una madre che
ci parlano di due famiglie,
due normali famiglie, che
in un tragico momento
smettono di essere semplici famiglie: e ci dimostrano che nel gioco feroce
e incomprensibile della casualità può nascondersi la forza della vita.
Le vite, dunque, a volte si incrociano: quella
mattina le vite di Antonio e Matteo si sono
date appuntamento, così come a distanza si
sono incrociati il dolore di Irene e quello di
Claudia: il dolore di una moglie, nel vedere il
suo uomo ferito a morte, e quello di una madre, nello scoprire che suo figlio è un assassino.
Ci dice Irene: “Ripartorire un figlio è possibile?
è possibile perdonare un figlio che ha ucciso un
uomo? un figlio che è diventato lo specchio della
tua fragilità di madre?” È un lavoro duro quello di
Irene, un lavoro che parte da se stessa per passare attraverso Matteo e raggiungere Claudia.
Ma i miracoli, si sa, avvengono segretamente e
lentamente, soprattutto quelli del cuore.
Irene scrive una lettera a Claudia “chiedendole perdono per il gesto di suo figlio e per le sue
responsabilità”; Claudia avrebbe potuto, sof-
Sintesi dell’incontro Rischiamo il coraggio. Ascoltalo integralmente su www.romena.it
12
focata dal suo dolore, strappare quella lettera
o sospettare, come forse noi avremmo fatto,
che quella sia solo una manovra suggerita
dagli avvocati. Claudia crede invece alla legge
dell’amore, lei è fatta così: crede che si possano rimettere i debiti, come il Padre ci insegna.
Decidono allora di incontrarsi.
A questo punto il dolore dell’una guarda negli
occhi il dolore dell’altra. E da questo sguardo incrociato nasce quello che Claudia vuole
chiamare “più che perdono un percorso di riconciliazione, un ritrovarsi sullo stesso piano e camminare insieme” quasi tenendosi per mano.
Sono sentieri lunghi questi, sono sentieri faticosi perché la sofferenza, da entrambe le parti,
può diventare un velo che appanna gli occhi.
Ma la forza per proseguire Claudia e Irene la
trovano nelle loro viscere, viscere di donna.
Claudia incontra Matteo in un giorno di neve
che, leggera e bianca, quasi veste lo sforzo
di Claudia: “quanti pensieri, quanti sentimenti
contrastanti durante quel viaggio; quanto dolore
ancora da ingoiare e quanta fatica per prepararsi a guardarlo negli occhi. Ma sono contenta di
aver dovuto faticare quel giorno perché l’amore
va oltre, va sempre oltre”: dietro colui che gli ha
strappato il marito in un modo così selvaggio,
Claudia vuole vedere “l’uomo, anzi, il fratello,
un fratello da conoscere e da capire e dal quale
farsi conoscere e capire.” Un fratello da abbracciare e con cui piangere insieme, sentendo
che in quell’abbraccio e mescolato a quelle
lacrime c’è anche Antonio. L’essenziale è invisibile agli occhi, dice il Piccolo principe, e l’invisibile agli occhi è ora presente: in un gesto,
in un pianto.
che non potrei sopravvivere. Ho incontrato una
donna, Claudia, meravigliosa, che mi sta dando
la speranza che, dal male fatto, io possa essere
migliore e utile agli altri, come Antonio riusciva
ad essere. Ne ho poi conosciuta un’altra, mia
mamma, che prima non avevo mai visto con
questa forza e questo coraggio e con l’umiltà di
presentarsi di fronte agli uomini e alle donne che
suo figlio ha offeso e ferito. Il mio sogno è umile e
in questa giornata di uomini che provano a perdonarsi io credo che il sogno si stia già avverando. Se voi non riuscite a credermi io credo a voi,
perché oggi Antonio è con noi, io ci parlo e lui mi
aiuta a risollevarmi quando non ce la farei.”
A cosa serve scalare questa montagna, a cosa
serve sfidare la legge di gravità e non farsi
prendere dalle proprie ragioni e cercare di entrare nelle ragioni dell’altro? a cosa può essere
utile non farsi trascinare in basso dal peso del
dolore e dell’offesa? Forse ad avere uno sguardo diverso su ciò che accade, a mettere vita là
dove sembra che non sia possibile. A rendere
visibile l’invisibile.
Matteo viene condannato a venti anni da passare in comunità, ma anche in lui è iniziato un
cammino di trasformazione: la sua forza e la
sua intelligenza, che prima venivano convogliate verso scelte autodistruttive, ora sono invece indirizzate verso la vita: Matteo ha scelto
di dire sì alla vita e all’amore. Dal suo passato
ha capito, dal suo presente trae la forza. Queste le sue parole tra noi oggi: “Se potessi sentire tutto il male fatto, nella sua interezza, credo
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Passi nuovi dei giovani
“Dobbiamo accendere un fuoco nei nostri ragazzi”
di Eraldo Affinati
Eraldo Affinati, insegnante e scrittore, dedica la sua vita al luogo dove i passi
nuovi vengono concepiti: alla scuola. Ha scelto di insegnare l’italiano in un
istituto di Roma dove convergono giovani immigrati o scartati da altri percorsi.
All’incontro “Osare passi nuovi” ha portato il vento buono di questi ragazzi
trasmettendoci la sua capacità di saperlo alimentare. Abbiamo scelto alcuni
passaggi della sua bellissima testimonianza…
Educare
Dietro ogni adolescente, dietro ogni ragazzo difficile c’è sempre una bellezza, un
tesoro, una motivazione che noi dobbiamo
scoprire. Dobbiamo
accendere un fuoco
dentro questi studenti per farlo divampare.
Però è un lavoro che
richiede impegno, forza, consapevolezza
anche degli ostacoli che si trovano, perché
non tutte sono storie così belle.
Ci sono anche fallimenti, ci sono amarezze,
ci sono momenti di sconforto e l’insegnante deve sapere che educare significa ferirsi.
Ferirsi perché quando insegni ti devi mettere in gioco. Non puoi essere solo il depositario di un regolamento da applicare.
Educare vuol dire condurre mano per la
mano il ragazzo lungo un’esperienza conoscitiva. È un percorso a ostacoli, lui si può
rifiutare, ti può anche combattere. E tu devi
essere amico, nel momento in cui condividi
i suoi entusiasmi e le sue malinconie, ma
devi essere anche maestro, cioè portarlo a
capire che la vera libertà, per ogni persona,
non consiste nel superamento, ma nell’accettazione del limite.
I ragazzi e la scuola
I ragazzi di oggi sono
cresciuti in un vuoto
dialettico, per questo
non hanno ancora
preso coscienza della
loro identità e spesso
non hanno senso del
limite. Il loro smarrimento denuncia una
crisi antropologica. Questi ragazzi hanno
avuto una deflagrazione del desiderio.
Tutto è possibile, tutto è accessibile. L’informazione? Vai su google e trovi tutto. Ma
poi chi ti mette in squadra questo mare
magnum, chi ti ristabilisce le gerarchie di
valori?
La scuola ha questa responsabilità. Dobbiamo far amare di nuovo ai nostri ragazzi
il processo conoscitivo. La scuola deve recuperare quello che un tempo si chiamava
lo spirito critico.
La responsabilità della parola
Quando chiesero ad Albert Camus nei ‘Di-
Sintesi dell’incontro Osare passi nuovi. Ascoltalo integralmente su www.romena.it
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scorsi in Svezia’ perché scrivi? Lui
rispose: “Io scrivo in nome di chi
non può farlo”. Quando lessi questa
frase a 17 anni capii che la letteratura deve fare questo, deve parlare a
nome di chi non può farlo.
Scrittore e insegnante sono custodi
della parola. La responsabilità della
parola è fondamentale sia per chi
scrive che per chi insegna. Quello
che dici e che fai in aula può incidersi in maniera indelebile nella percezione dell’adolescente. Le parole
sono importanti. Se tu non hai un sistema verbale, come fai a esprimere
un’emozione? Quell’emozione resta
un grumo emotivo, non si traduce in
niente, in nessuna forma espressiva.
Insegnare le parole è importante
per condurre alla maggiore età i ragazzi che hai di fronte.
Il futuro
La scuola italiana corrisponde soltanto in minima parte alla sua immagine mediatica. Vedo professori
che non si limitano a svolgere il
mansionario.
Esistono ragazzi e ragazze che sono
come spugne, pronte ad assorbire
l’acqua che tu riesci a versare. La nostra provincia è vitale. Le metropoli
sono piene di giovani attivi.
Per questo non dobbiamo mai soccombere alla brutalità e alla volgarità del nostro tempo, ma provocare
un contagio, dando luce a quest’Italia più bella e più vera. Un’Italia che
spesso non compare, che non viene
rappresentata in Tv. Ma che esiste.
Ed è questa l’Italia in cui credo. Se
non avessi fiducia in quest’Italia non
entrerei in classe ogni mattina.
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Foto di Piero Checcaglini
C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in un ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi ,
il come, il dove e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui
nel tritadocumenti,
e le persone ignote
dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più,
perché dietro quell’attimo
sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione
dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio,
per fortuna mi passa.
Wislawa Szymborska
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Un Cardinale a Romena
di Giorgio Bonati
Walter Kasper è uno dei collaboratori più stretti di Papa Francesco, è a lui che il
papa ha affidato la preparazione del Sinodo delle famiglie. È un cardinale tra
i più importanti in Vaticano. Che effetto gli farà Romena? E a noi? Fra Giorgio
ci racconta uno degli incontri più speciali di quest’estate.
Il professor Benedetti, un gesuita, entra in
classe per la sua prima ora di teologia dogmatica e mostra orgoglioso quale sarà il libro di
testo che ci accompagnerà per l’intero anno
accademico: “Gesù, il Cristo”, di Walter Kasper.
Correva l’anno 1988, e io mi iniziavo allo studio della teologia. Chi l’avrebbe detto che il
cardinale che attendevo a Romena, a conclusione del nostro incontro “Osare passi nuovi”,
era proprio lui, e stentavo a credere che avrei
potuto stringergli la mano, uno sulle cui pagine migliaia di studenti di teologia si sono
formati, un nome che aveva insomma più a
che fare con la ‘storia’ che con la realtà.
Eccolo li, col suo sorriso. Si, di quel libro e di altri letti negli anni successivi, del coraggio nel
sostenere Papa Francesco nelle sue battaglie,
dei suoi continui sforzi per il dialogo interreli-
gioso, rimane negli occhi il suo sorriso, la sua
leggerezza.
Di quello che ha condiviso con noi quella
domenica di fine settembre vi parlerò tra
poco,ma davvero il senso di leggerezza che ho
ancora ricordando il suo volto, mi stupisce e mi
rasserena. Occhi buoni, risata facile, saggezza
da vendere senza un minimo di orgoglio, un
uomo ancora in ricerca, a ottant’anni suonati.
Ecco forse uno dei segreti della leggerezza.
“Sono molto contento che anche i peccatori facciano parte della Chiesa, altrimenti io non sarei
un membro della Chiesa.” Ma davvero questo
è un cardinale, si chiede la gente ascoltando
le sue prime parole! E prosegue: “La misericordia è il centro del Vangelo di Gesù Cristo:
noi abbiamo un Dio che non è un poliziotto
supremo, ma un Dio misericordioso.”
Sintesi dell’incontro Osare passi nuovi. Ascoltalo integralmente su www.romena.it
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Ormai il ghiaccio è rotto, è uno dei nostri, non
uno dei tanti lontani pastori della chiesa, ma
un amico che prova a fare qualche passo con
noi, che puzza di pecora, come ricorderà durante l’incontro citando Papa Francesco. Con
quel suo italiano teutonico spiega: “Dio non
lascia cadere nessuno in un buco senza dargli
una possibilità d’uscita. Dio è misericordia, dà
un nuovo inizio, dà una nuova chance. I padri
della Chiesa hanno detto che nella vita può capitare di essere in una tempesta, ma Dio ti da
una zattera per sopravvivere, non una nave
comoda, ma una zattera con la quale si può sopravvivere.”
E proprio con queste precise parole conclude la
prima parte del suo intervento: “Per me la domanda non è se la Chiesa può dare l’assoluzione ma se la Chiesa può negare l’assoluzione.”
E qui gli applausi si fanno caldi, l’acqua fresca
scende goccia a goccia
a bagnare quel terreno
che troppo spesso abbiamo sentito così arido,
e la Chiesa si fa amica,
madre che si prende
cura di ognuno dei suoi
figli, con tenerezza.
E sulla Chiesa è il cuore
del suo dialogare, e non
può non parlare di Francesco, della sua volontà
di aprire, di non giudicare, di dare opportunità,
di volere una Chiesa veramente accogliente:
“Penso che tutti noi oggi sperimentiamo,
dall’inizio di questo pontificato, una nuova
primavera, una nuova aria fresca dove si può
respirare di nuovo la speranza. Senza la speranza nessuno può vivere e così anche la Chiesa. E questo ha portato questo Papa. La speranza presuppone libertà, e libertà è scambio
di idee. La Chiesa non può essere un sistema
totalitario, la Chiesa è vivere la libertà cristiana
e perciò si vuole questa libertà di esprimere le
proprie opinioni all’interno della Chiesa.”
Il Cardinale da quindici anni spreme il meglio
delle sue energie nel dialogo interreligioso e
quindi non può tralasciare di richiamarci che
“la pace nel mondo è il valore più alto per la comunità degli uomini. La pace può essere conservata soltanto se c’è un rispetto mutuo e un dialogo fra le culture, fra le religioni. Il dialogo può
funzionare soltanto se io ho la mia convinzione
ferma, e l’altro ha la sua. Dialogo è aver rispetto
per un’altra posizione e poi cercare cosa si ha in
comune, e abbiamo molto in comune con tutte
le altre religioni, perché tutte le religioni hanno
rispetto verso la dimensione divina e il sacro, e
tutte hanno questa regola d’oro: ciò che io non
voglio per me non lo devo fare all’altro.”
La sete di risposte non accenna a diminuire
e incalzato dalle domande di Raffaele Luise,
Kasper prova a dare una risposta ai quesiti su
questo tempo di crisi: “Il Papa non può dare una
ricetta su come fare in economia, anche io capisco poco di queste cose, ma deve sensibilizzare
sulle ingiustizie che sono nel mondo. Siamo qui
a Romena e vediamo la
bellezza attorno a noi e la
bellezza è una via a Dio,
la bellezza è un riflesso
della gloria e della bellezza di Dio, e noi dobbiamo
riflettere su un nuovo stile
di vita, un’altra forma di
cultura, che non significa
diventare tutti poveri, ma
è indispensabile trovare
tutti uno stile più semplice di vita”.
Siamo alle battute finali e l’ultimo capitolo è dedicato alla donna, a
questa ‘sconosciuta’ nella Chiesa. Il Cardinale
non può che iniziare con una battuta ‘strappa
consensi’: “Abbiamo un consiglio per le famiglie,
nel Vaticano: in questo consiglio non c’è nessuna donna, io non conosco una famiglia senza
una donna, non è possibile questo.” E tutti si
ride, forse un riso a tratti malinconico, ma poi
le sue parole convinte riaprono la speranza:
“È una ricchezza che la Chiesa ruba a sé stessa
se non valorizza le donne. Ci sono molti valori
importanti che loro possono apportare nella
Chiesa e così noi dobbiamo finirla con questa
atmosfera troppo clericale!” E se è un cardinale
a dirlo, possiamo crederlo!
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no br
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Obbedire solo alla felicità
di Roberto Mancini
Roberto Mancini
Obbedire solo
alla felicità
Lo abbiamo ascoltato più volte nei grandi incontri di Romena.
Ci siamo immersi nel suo sguardo largo, nella sua prosa densa, nel suo incedere
appassionato. Ora le preziose riflessioni di Roberto Mancini, filosofo, possiamo
offrirle in una forma diversa, quella di un libro. In “Obbedire solo alla felicità”
Mancini ci invita a riflettere su due grandi questioni che riguardano ogni uomo:
la presenza di Dio e il coraggio di credere.
Vi anticipiamo una sintesi della sua introduzione…
In queste pagine vorrei riflettere sulle due forze fondamentali per risorgere dalla disperazione e per sperimentare una fede liberatrice. Mi
riferisco anzitutto all’esperienza di Dio sentito
come presenza viva nell’esistenza personale
e nella storia di tutti. Poi alludo al coraggio di
credere e di agire di conseguenza. È il coraggio
necessario a non sprecare questa esperienza, il
coraggio che porta a scegliere di seguire la via
che essa dischiude con tutto il proprio essere.
evocato nel termine “salvezza”, ma nel linguaggio comune viene detto “felicità”. Credo
che l’esperienza di Dio e il coraggio di non
arrendersi alla disperazione convergano verso una felicità concreta, dove la dignità delle
persone e la loro esistenza giungono all’armonia malgrado le ferite e le contraddizioni che
ci colpiscono.
Di qui la formulazione dell’invito a obbedire
solo alla felicità, che dà il titolo a queste pagine.
Si può sperimentare la vicinanza di Dio? In
che cosa consiste il coraggio di affrontare la
vita senza arrendersi alla disperazione? Le due
parti del libro sono appunto dedicate ad assumere queste le domande, nel tentativo di
evidenziare una direzione di risposta. Una direzione che guarda verso la piena realizzazione dell’umanità, in ciascuno e come comunità
universale.
Nel linguaggio religioso tale compimento è
In un celebre verso di Edgar Lee Masters, poi
ripreso in una canzone di Fabrizio De André, si
racconta la storia del suonatore Jones, che non
obbediva né al denaro, né all’amore borghese,
né al Cielo della religione sacrale. Quel verso
evoca a suo modo una reazione sana verso tutto ciò che pretende obbedienza senza essere
la felicità autentica.
D’altronde il senso della rivolta verso ogni logica o comando che ci falsifichi non è quello
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di darsi a una vita senza regole e senza responsabilità, il senso è quello di tenersi liberi
e disponibili per aderire con tutto se stessi alla
vita vera.
Questa adesione è come la scoperta del cuore
della realtà, del mondo comune in cui siamo
realmente compresenti con gli altri, con la
natura, con il Dio vivente. Non è un percorso
immune dalla sofferenza. Basta riflettere sul
fatto che ogni vero dolore è permanente, non
si lascia dimenticare o cancellare. Non si tratta
nemmeno della banalità di una vita “fortunata”, dove tutto è attutito e avvolto nel benessere materiale e nell’apatia verso la sofferenza
degli altri. Si tratta invece del cammino di chi
ha imparato a essere fedele all’invito che corrisponde al suo desiderio più profondo, anche
se in questo viaggio deve non solo affrontare
il dolore proprio, ma anche imparare a farsi carico di ciò che produce l’infelicità e la sofferenza di altri per offrire quanto meno la propria
prossimità.
Il problema maggiore, oggi, mi sembra rappresentato dall’ottundimento dei sentimenti e
della coscienza, dalla pressione che spinge verso un conformismo nichilista che reputa inesistenti il bene e la felicità, mentre riserva molta
deferenza al male. Se si considera l’universo
mentale di chi si trova nella società odierna,
si deve registrare il fatto che ogni giorno ciascuno di noi riceve, senza volerlo, migliaia di
stimoli negativi che ci trattengono il cuore e
la mente in uno stato di mortificazione. A tale
situazione si resta presto assuefatti come se
fosse una condizione normale. Il senso degli
stimoli ricorrenti è sempre lo stesso: nulla ha
davvero valore, vivere è sopravvivere finché si
può, la felicità non esiste.
In confronto, gli stimoli positivi, quelli che
fanno respirare le persone, sono assai rari. La
percezione del valore delle persone e della vita
stessa, della solidarietà, della bellezza, della
giustizia, della pace e della propria responsabilità per tutto questo si affievolisce e viene
sepolta sotto una montagna di angoscia. Anche la bellezza della natura, che è come l’abbraccio di Dio aperto verso un’umanità di cui
si attende il risveglio, resta disattesa e tradita.
Così molti si scordano del futuro che li riguarda, perdono la consapevolezza di appartene-
re alla storia comune dell’umanità, rimuovono
l’idea di una salvezza possibile.
Naturalmente in questa cultura della disperazione l’apertura alla relazione con Dio risulta
compromessa: o la questione perde qualsiasi
rilevanza e credibilità, oppure viene risolta
aderendo alla religiosità convenzionale, senza
pensare di cambiare vita e di contribuire attivamente a una storia liberata.
Oggi le confessioni religiose sorte dalla tradizione biblica, l’ebraismo e il cristianesimo, danno prova per lo più soltanto di devozione nel
culto e di adattamento alla situazione sociale e
storica presente. La profezia sembra divenuta
sconosciuta per loro da tanto tempo, al punto
che questa parola viene ormai presa come un
sinonimo della previsione di avvenimenti (più
o meno catastrofici) che dovranno verificarsi.
Perché i credenti accettano l’inaccettabile,
perché sono disperati come tutti? Proviamo a
rifare la strada, tornando alle sorgenti del credere, se credere significa accettare di cambiare vita e vivere con amore liberante in modo
da portare alla luce il vero volto dell’umanità.
Un’umanità talmente rinnovata da costituire il
vero luogo storico di rivelazione di Dio.
Obbedire solo alla felicità
di Roberto Mancini - Edizioni Romena
Prezzo € 6,00 - ISBN 9788889669594
In libreria o su www.romena.it
Obbedire solo alla felicità
non ha niente a che fare con l’egoismo
o con l’edonismo;
implica la scelta di elevare l’esistenza
sino a ciò che la rende autentica
e la trasforma in un dono per gli altri.
Roberto Mancini
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“La terra è la mia preghiera”
di Massimo Orlandi
È stato il padre dell’agricoltura biologica. Ma anche un uomo di fede, capace di far rivivere
un monastero trecentesco. Il cammino di Gino Girolomoni è oggi raccontato da Massimo
Orlandi in un libro che ci riguarda: perché la sua vita contiene insegnamenti che possono
germogliare dentro ciascuno di noi. E perché il suo sguardo è uno sguardo profetico, che
parla al presente, e continua ad aprire strade per il futuro.
“Mangiare non è soltanto trasformare e cuocere
il cibo: mangiare è dono, spiritualità, amicizia,
fraternità, bellezza, calore, colore, sapienza, profumo, semplicità, compagnia”.
Su una parete del punto di ristoro di Romena
potete leggere questa frase. Rispecchia pienamente il motivo per cui, circa un anno fa,
abbiamo deciso di aprire questo spazio. Ma è
anche un modo per fare un omaggio all’autore
di quella frase, Gino Girolomoni.
Girolomoni non è mai stato a Romena. Ma ci conosceva. Più volte don Luigi era andato a trovarlo, al monastero di Montebello, nelle Marche,
vicino Urbino, per carpire i segreti di quel suo
essere contadino innamorato della terra, e per
la sua capacità di trasmettere ai suoi prodotti
quell’amore.
La rotta di avvicinamento tra quel mondo contadino, che Gino aveva fatto rinascere nel segno
della genuinità e del rispetto della terra, e la spiritualità di Romena, improntata su un desiderio
di autenticità, era promettente. E se gli eventi
della vita, la morte di Gino, nel marzo 2011,
avevano momentaneamente interrotto quel
percorso, oggi quel cammino di avvicinamento
è ripreso grazie a un libro, “La terra è la mia preghiera” (Edizioni Emi, www.emi.it), nel quale il
racconto della vita di Girolomoni diventa lievito
prezioso di tanti temi molto presenti tra i viandanti di Romena: il valore delle radici, l’attenzione a custodire e coltivare il Creato, il bisogno di
una fede viva, concreta, ma disgiunta dalla vita.
La biografia, scritta dal nostro Massimo Orlandi, è il tessuto sul quale si posano le grandi do-
Ascolta la presentazione del libro di Massimo Orlandi alla pagina Podcast di www.romena.it
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mande della vita (Chi sei? In cosa credi? Qual è
il tuo compito?), domande alle quali Gino offre
le direzioni di risposta di un uomo che ha avuto
il coraggio di credere nella vita, nei propri sogni
e in Dio.
Se non fosse stato così, non sarebbe stato possibile per lui, di umile famiglia, riuscire a costruire le premesse per tornare a chiamare la terra
‘madre’, smettendo di avvelenarla con pesticidi
e diserbanti e facendo di tutto questo un’impresa, (inizialmente la cooperativa “Alce nero”, oggi
“Girolomoni”), che produce ed esporta in tutto
il mondo e stimolando la nascita di un settore, quello del biologico, che oggi in Italia conta
cinquantamila addetti e un milione di ettari di
terreni coltivati.
Non solo, Gino ha realizzato la sua impresa di
riportare la sua terra alla naturalità partendo da
un presupposto di fede: la ricostruzione di un
edificio religioso abbandonato. Il faro che illumina tutta la vicenda di Girolomoni è costituito
dalla rinascita del monastero di Montebello,
un’impresa compiuta non da un ordine religioso, ma da un monaco singolare, Gino, con la sua
famiglia e i suoi amici.
Insomma ci sono tanti stimoli preziosi in questa
storia, la storia di un uomo, di un monaco, di
un contadino, di un imprenditore, che con il suo
sguardo profetico si rende presente, e ci invita a
piantare semi di giustizia, di rispetto e di amore
nella nostra vita.
“In questo libro – ha scritto la nota attivista e
scienziata indiana Vandana Shiva nell’introduzione – Massimo Orlandi racconta la vita di Gino
Girolomoni con la capacità di chi riesce a parlare al cuore delle persone, trasmettendo l’essenza
profonda della sua missione di pioniere dell’agricoltura biologica, paladino delle comunità locali e
uomo dalle grandi passioni, testimone di un rapporto religioso con la terra e con la natura. Questo
libro servirà a far capire a molti che non ne hanno mai sentito parlare, ma persino a molti che lo
hanno conosciuto e non lo hanno capito fino in
fondo, il senso straordinario e multicolore del suo
messaggio.”
Il giorno della presentazione de “La terra è la
mia preghiera” a Romena sono arrivati i figli di
Gino, il fratello, gli amici. Il ponte, a suo tempo
iniziato con Gino, prosegue così la sua costruzione. Grazie a Montebello Romena riscopre le
sue radici contadine e il bisogno di camminare
nella direzione della fedeltà e dell’amore verso
la terra e tutte le sue espressioni, consapevoli
che anche ogni nostro piccolo cambiamento in
questa direzione incoraggia la vita. “Io – diceva
Gino – non penso che l’agricoltura biologica salverà il mondo, ma la pratico per non stare dalla
parte di chi il mondo lo distrugge”.
La terra è la mia preghiera
Vita di Gino Girolomoni, padre del biologico
di Massimo Orlandi - Editrice EMI
Prezzo € 14,00 - ISBN 9788830722088
In libreria o su www.emi.it
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I giorni dello stupore
Quest’anno nel cammino di Natale vi proponiamo un libro di un compagno speciale, don
Angelo Casati. Un prete-poeta che scandisce con passione, delicatezza e bellezza tutti i
momenti dell’Avvento e della Natività attraverso i suoi pensieri e le sue meditazioni.
Chi ha portato in grembo un figlio lo sa.
Conosce le ansie, le meraviglie, le fatiche,
i sudori e lo stupore di quei nove mesi. Sa
che la vita non nasce all’improvviso, ma che
ha bisogno di un tempo per prepararsi. Un
tempo di attesa. Un tempo in
cui fuori niente sembra succedere e tutto invece accade, nel
silenzioso intessersi delle cellule e nel buio fitto di un grembo. Chi ha aspettato un figlio
lo sa. Sentirsi culla di un mistero che sta prendendo forma e
sangue è cosa che sgomenta,
che fa battere il cuore all’impazzata.
Eppure, quando festeggiamo il Natale dimentichiamo che la nascita che celebriamo,
proprio quella nascita, ha avuto bisogno anche lei di prepararsi, ha dato il tempo a chi
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l’attendeva di stupirsi e sudare, di sentire
stanchezze e gonfiori.
“Non sono dal nulla le nascite”, ce lo sussurra dolcemente don Angelo e ci accompagna, quasi tenendoci per mano, a ripercorrere questa attesa di nascita.
Ma il Natale che dovremmo festeggiare non è la vuota rievocazione di qualcosa ormai lontana
nel tempo: il vero Natale, ci dice
don Angelo, è quello che accade
dentro di noi, nel grembo della
nostra vita o, se volete, della nostra storia. Anche quello succede
nel buio. Anche quello si verifica
attraverso fatiche e meraviglie. E mai così
all’improvviso.
Ha bisogno di tempo la nascita e ha bisogno di spazio: “occorre un tempo per fare
posto, nel pensiero e nella carne, a Dio.”
Ripensare al Natale con questo libro
significa ripensare al nostro essere
“ruvida paglia”, la fragile realtà su
cui Dio si appoggia e chiede protezione, significa chiederci se questo
Dio bambino può sentirsi al sicuro
tra le nostre mani, nel nostro cuore.
Sarà prezioso questo libro per chi
vuole vivere un Natale che non sia
solo una data sul calendario, ma
quello scandito al ritmo lento di
un’attesa che prepara uno spuntare di fragilità: un Dio bambino non
si era mai visto, eppure “il Verbo si
fece carne. Notizia stupefacente:
ciò che gli uomini della religione
avevano in gran parte separato, Dio
e il corpo, è sorprendentemente
accaduto, non la separazione ma il
congiungimento: Dio nella carne,
nel corpo, nella storia come uno di
noi. “
Fa festa allora la terra, quella stessa
terra che sporca le mani, ma che
pure si racchiude a scaldare un germoglio; fa festa la nostra terra di fragilità e debolezza, perché il Natale
ci parla di un Dio che non ha paura
di sporcarsi. “Ha percorso con amore le nostre strade: e perché non dovremmo con amore percorrerle noi?
Ha creduto nell’uomo e nella donna, per quanto deboli e peccatori: e
perché non dovremmo credere noi
nell’uomo e nella donna così come
sono?”
Don Angelo ci porta più vicini a
questo Dio: lo fa con parole discrete, profonde, facendoci provare il
brivido e il calore di una tenerezza:
la tenerezza verso un bambino caldo appena sgusciato dal ventre, lo
stupore verso un Dio che si affida
alle nostre mani, “come se volesse
insegnare che la vita è consegnarsi
a una promessa”.
Angelo Casati
I giorni dello stupore
“Le nascite non sono dal nulla.
Nemmeno quella di Gesù è dal nulla della terra.
Vengono da una dimora nel grembo. Noi diciamo
venne alla luce, come se da lì avessero inizio i giorni. Raramente indugiamo a pensare ai giorni in cui
abbiamo dimorato nel grembo, ai pensieri, alle
trepidazioni e anche alle fatiche da gonfiore che
hanno accompagnato i nove mesi. In uno scambio
reciproco, in trasformazioni lievi ma tenere dell’uno
che è portato e dell’altra che porta.
Raramente sosto a pensare alle fatiche di quando
mia madre saliva scale ed io le pesavo dentro. Ai
gradini, allora senza ascensori nella mia casa di
Milano. Lei mi portava, forse anche mi parlava. Le
sono grato per i nove mesi.
Non so se a sua madre Gesù, qualche sera o qualche
mattino, quando la luce tiene la timidezza di un intimo dialogare, abbia chiesto dei suoi nove mesi nel
tepore. Se scalciava o se stava quieto in attesa. Non
so se le abbia chiesto del fruscio dell’angelo e se lei
gli abbia mai raccontato come pioveva quel giorno
la luce tra le pareti di casa, una casa che si portava
appresso l’umido delle pietre.”
I giorni dello stupore
di Angelo Casati - Edizioni Romena
Prezzo € 10,00 - ISBN 9788889669587
In libreria o su www.romena.it
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25
Na Romena
atale
I giorni dello stupore sono i giorni che ci portano verso una nascita:
sono i giorni dell’attesa, del gonfiarsi del ventre, di una notte rischiarata
da una stella.
Sono i giorni in cui occorre fare posto a Dio.
“I giorni dello stupore” è il titolo che abbiamo dato al cammino natalizio
di quest’anno, lo stesso del libro di don Angelo Casati che idealmente
ci accompagnerà.
Saranno giorni di stupore, perché nell’ascolto, nel silenzio e nell’incontro
anche noi tenteremo di farci grembo di un mistero che nasce.
Il tempo di Avvento da vivere giorno per giorno
Seguire i giorni che precedono il Natale con un cammino quotidiano.
Fra Giorgio Bonati ci invita a viverli con riflessioni, video, canzoni.
su www.romena.it
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Mercatino di Natale
7
Domenica
8 14
Lunedì
Domenica
21
Domenica
Il punto ristoro e la libreria di Romena vi aspettano per il mercatino di Natale
con tante proposte per piccoli pensieri natalizi nel segno della Fraternità.
le Domeniche
del Tempo di Natale
30 Novembre
7 Dicembre
8 Dicembre
14 Dicembre
21 Dicembre
24 Dicembre
25 Dicembre
28 Dicembre
4 Gennaio
ore 15 Pier Luigi Ricci
“Un Dio di carne”
ore 15 M. Teresa Abignente
“Il grembo di Dio”
ore 15 Luigi Verdi
“Nascerà un figlio”
ore 15 Luca Buccheri
“Noi, custodi di Dio”
ore 15 Massimo Orlandi
“Mistero di terra e stelle”
ore 22:30 Messa
ore 16:30 Messa
Natale
ore 15 Concerto di Natale
Coro Strane Voci
ore 15 Gianni Novello
“Una luce nella notte”
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A
OV
NU
A
LI
G
E
V
Dio
e un bacio
BRESCIA
19 gennaio 2015
BERGAMO
20 gennaio 2015
MILANO
21 gennaio 2015
CASALMAGGIORE (CR)
22 gennaio 2015
PIACENZA
23 gennaio 2015
SIENA
27 gennaio 2015
AREZZO
28 gennaio 2015
CATANIA
9 febbraio 2015
MODICA
10 febbraio 2015
RAGUSA
11 febbraio 2015
PALERMO
12 febbraio 2015
MESSINA
13 febbraio 2015
Centro Mater Divinae Gratiae - via Sant’Emiliano, 30
Chiesa dei Frati Cappuccini - via dei Cappuccini
ore 21.00
ore 21.00
Parr. Beata Vergine Immacolata - Lavanderie di Segrate
ore 21.00
Parr. S. Pietro Apostolo-Via Lamarmora, 1 - Vicomoscano
ore 21.00
Parrocchia Santa Franca - P.zza Paolo VI, 1
ore 21.00
Parrocchia San Francesco all’Alberino
Parrocchia San Marco Alla Sella
Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena
Chiesa di San Pietro - C.so Umberto 1º
Parrocchia S. Pietro Apostolo, V. Lazio 89, Beddio
Parr. San Gaetano - Brancaccio
ore 21.00
ore 21.00
ore 20.30
ore 20.00
ore 19.00
Parr. S. Giacomo Maggiore Ap.- v. Buganza, Isolato 54
28
28
ore 20.00
ore 20.00
LE PIAGGE (FI)
18 febbraio 2015
LOCRI-ARDORE MARINA
23 febbraio 2015
CROTONE
24 febbraio 2015
LAMEZIA TERME
25 febbraio 2015
COSENZA
26 febbraio 2015
SCALEA (CS)
27 febbraio 2015
Comunità delle Piagge
Parr. Santa Maria del Pozzo
Parr. Sacro Cuore - Borgata S.Francesco
Chiesa del Carmine - Sambiase
Parr. di San Nicola - Via B. Serra
Parr. San Nicola di Platea - Via S. Nicola
ROVERETO
Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini
ore 21.00
ore 19.30
ore 20.00
ore 19.30
ore 20.30
ore 19.00
9 marzo 2015
ore 21.00
VERONA
10 marzo 2015
MODENA
11 marzo 2015
IMOLA
12 marzo 2015
BOLOGNA
13 marzo 2015
NOCERA INFERIORE
13 aprile 2015
SALERNO
14 aprile 2015
NAPOLI
15 aprile 2015
CAMPOBASSO
16 aprile 2015
FONDI (LT)
17 aprile 2015
ROMA
27 aprile 2015
GROSSETO
28 aprile 2015
LIVORNO
29 aprile 2015
AULLA (MS)
30 aprile 2015
Parr. San Nicolò all’Arena - P.zza San Nicolò 13
Chiesa San Barnaba, Via Carteria, 108
Chiesa Santa Maria dei Servi - Piazza Mirri, 2
Chiesa San Vincenzo De Paoli - Via Ristori, 1
Parr. S.Maria del Presepe - P.zza Amendola
Parrocchia Volto Santo - Via R.Cocchia
Istituto Padri Salesiani-Via Scarlatti - Vomero
Parr. S. Emidio V.M. - Monteverde di Bojano (CB)
Monastero San Magno - Fondi
Parrocchia San Frumenzio - via Cavriglia 8
Parrocchia San Giuseppe - Piazza Sauro 7
Parrocchia Sant’ Agostino - via Aldo Moro, 2
Parr. San Caprasio - Piazza Abbazia
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 20.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
29
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Agenda 2015
Tema di quest’anno
Rischiare il coraggio
“Dio è il Dio delle sorprese,
rompe gli schemi.
Se anche noi non sapremo
rompere gli schemi
non andremo avanti”
Papa Francesco
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Come un compagno di viaggio fedele l’agenda di Romena ci invita ad abbracciare
ogni nostro nuovo giorno con uno spazio di riflessione e con proposte di lettura.
Aforismi di artisti e pensatori, di uomini di fede, di cultura e di scienza alimentano il
percorso quotidiano, come piccoli semi da far germogliare. Ogni domenica l’agenda
propone il testo del Vangelo, con i commenti di Ermes Ronchi e Angelo Casati.
Edizioni Romena - Pagine 284 - Prezzo € 14,00 - ISBN 978-88-89669-56-3
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Annunci vari
Corsi a tema
Le paure che ci abitano
16-17-18 gennaio 2015
Quali paure abitano la nostra vita, togliendo spazio al nostro quotidiano e al nostro
sogno? La paura della vita, della morte,
degli altri, dell’amore, della libertà, di Dio.
Ritroviamo insieme il coraggio di guardarle, la consapevolezza per affrontarle, la volontà per essere padroni della nostra vita.
Il Perdono riapre il futuro
30-31 gennaio 1 febbraio 2015
Abbiamo bisogno del perdono per riaprire
il futuro; occorre disarmare il meccanismo
dell’odio, cercando di capire dove e perché nasce, per non diventare come ciò che
odiamo. Per giungere a ringraziare quanto
abbiamo vissuto e ci ha resi più forti.
“Conta le stelle”
dal 13 al 15 febbraio 2015
Come Abramo, prima di partire, fu invitato
da Dio a guardare il cielo e contare le stelle, ad addentrarsi cioè nell’immensità, così
forse anche noi dovremmo sollevare gli occhi e agganciarci all’infinito. (Questi incontri
si terranno a Romena e si svolgeranno nei
modi e tempi di tutti gli altri nostri corsi.)
La libertà dei figli di Dio
20-21-22 febbraio 2015
La libertà di Gesù ha affascinato i nostri
cuori, una libertà che chiede di non rifugiarsi in nidi o tane sicure, ma di rimanere sempre in cammino, che ci toglie dalla
massa per consentirci di vivere la nostra
unicità. La libertà è uno spazio che chiama, che ci costringe a ridefinire la nostra
finitezza, a tracciare nuovi confini.
Appuntamenti del
Gruppo Famiglie
22 febbraio 2015
La fatica dell’amore
22 marzo 2015
Attenzione e tenerezza
12 aprile 2015
Prendersi tempo
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giorno del mese precedente al corso stesso.
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L’
amore fuggì
senza allontanarsi,
ritornò senza essere
mai partito,
il tempo moriva
e lui restava, e lui restava.
icona: Raffaele Quadri
Luigi Pirandello
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